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DEDEKIND
BIBLIOPOLIS
Titoli originali: Stetigkeit und irrationale Zah/en.
Was sind und was sol/en die Zahlen.
ISBN 88-7088-068-<l
Copyright © 1982
by "Bibliopolis, edizioni di filosofia e scienze spa"
Napoli, via Arangio Ruiz 83
INDICE
INTRODUZIONE 9
1 . Idee sulla natura dei numeri 14
2. L'analisi delle nozioni numeriche 36
Riferimenti bibliografici 55
Cronologia della vita di Julius Wilhelm Richard Dedekind 57
Nota alla presente edizione 59
* l rimandi racchiusi tra parentesi quadre doppie sono sempre rimandi interni al pre
sente volume.
12 SCRITII SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
1 . 1 La libertà
In più luoghi D asserisce che i numeri sono « una libera creazione
dello spirito umano ». Ora, se c'è qualcosa di veramente caratteristico
dello stile di D, sia nel campo della matematica che nello studio dei
fondamenti (ma è da presumere, sin nella vita quotidiana), è che i
giudizi che egli esprime sono sempre frutto di una meditazione, di
una elaborazione assai più ampie di quel che non appaia dalla
semplice formulazione del giudizio. In una lettera a Lipschitz (del 6
giugno, 1876; v. Dedekind 1932, p. 468), il quale gli proponeva delle
modifiche a un testo che D gli aveva mandato per la pubblicazione,
D, motivando il suo rifiuto ad accogliere anche una sola di quelle
proposte, afferma orgogliosamente che « ogni parola che vi compare
è stata ponderata col massimo scrupolo ». Questo tratto del suo stile è
probabilmente una necessaria conseguenza, da un lato della sua
INTRODUZIONE 15
1 .4 La logica
La semplice prospettiva che potremmo chiamare 'culturalista' di
D sui numeri lo porta naturalmente a interessarsi di come sono creati
i numeri: se sono costrutti complessi, come tali possono e debbono
essere analizzati. Ma riflettendo proprio sull'epigrafe apposta a Nu
meri, citata or ora, si può avere una sensazione di incongruenza, di
un contrasto con la prospettiva anzidetta. Difatti, è vero che
l'epigrafe asserisce che, non o 9tòc;;, ma o &v9pw7toç &:pL91LT)'t(�tL, ma D ci
dice anche che l'uomo 'aritmetizza' sempre ('Ad), che svolge sempre
una 'attività aritmetica'. Come vada inteso questo 'sempre' risulta
chiaro in un passo analogo dell'inedito Zum Zahlbegrif! già menzio
nato: « Ogni uomo pensante è un uomo numerico, un aritmetico [ein
lahlen-Mensch, ein Aritmetiker], anche se non traspare manifesta
mente ». Qui bisogna sottolineare l'aggettivo 'pensante'; D sostiene
che l'uomo 'artimetizza' sempre perché l'uomo 'aritmetizza' ogni
20 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
1 .5 Il pensiero
Le affermazioni ripetute di D che la matematica è un aspetto (una
figlia) della logica vanno intese in base a quanto si è detto sopra, ma
bisogna osservare che la generalizzazione implicita nella categoria
'Iogicismo' come etichetta che pone D assieme a Frege, a Russell, ai
polacchi, ecc., per molti aspetti è veramente fuorviante. Basta un
breve raffronto con Frege per rendersene conto. Per Frege la logica è
la scienza delle leggi del pensiero, e su questo D era d'accordo, ma ciò
che è peculiare in Frege è che per lui il pensiero non ha quasi nulla a
22 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
l'una ora l'altra l'elemento, la 'facoltà logica', che sta alla base della
. .
decisamente più profonda del modo in cui gli insiemi sono 'creati';
infatti, interpretando gli insiemi esclusivamente come 'estensioni di
concetti', egli disponeva di una nozione chiara e univoca del modo
crearli (attraverso il Principio di comprensione, o Assioma V dei
Grundgesetze) e delle difficoltà che ciò poteva comportare, ed era così
in condizione di mettere in luce con grande perspicuità le insuffi
cienze delle altre concezioni (Frege 1893, Prefazione, e 1903,
§§ 139-140). Va osservato, però, che, se la concezione di 'insieme', o
di come un insieme sia dato, è rimasta così vaga, e quindi aperta, nelle
opere dei creatori della teoria degli insiemi (Cantor e Dedekind), for
se proprio per questo la teoria degli insiemi stessa si è mostrata
incomparabilmente più vitale che non la teoria di Frege. La prima ha
conosciuto un ampio sviluppo proprio grazie alle nuove analisi della
nozione di insieme rese necessarie dalle note difficoltà, mentre la
seconda non lasciava abbastanza spazio a ulteriori analisi della
nozione di 'estensione di concetto', dato che modificare sostanzial·
mente tale nozione voleva dire semplicemente distruggere tutta la
teoria di Frege.
Tuttavia, anche se nella definizione D è vago, nella pratica si può
vedere che egli, per 'creare' insiemi, applica tutti i principi poi
esplicitati da Zermelo, compreso quello della scelta K v. p. 44 D ;
utilizza anche, ovviamente, u n principio di comprensione non
ristretto, ad esempio, nella celebre dimostrazione che esiste un
insieme infinito K v. i §§ 1.7 e 2.5 seguenti, e pp. 98-9 D •
1 .7 Il Platonismo
L'uso che D fa della teoria degli insiemi porta nel cuore del
problema 'filosofico' che è rimasto più oscuro (anche perché D non
lo ha mai affrontato direttamente), e cioè la questione dell'esistenza
degli enti matematici.
Gli insiemi sono creazioni dello spirito umano: questo D lo
ripete e lo asserisce talmente spesso che non si può immaginare che
avesse qualche dubbio in proposito. Ma se sono creazioni umane,
cioè se gli insiemi esistono in quanto sono creati dall'uomo, che
senso può avere considerare delle totalità infinite come attualmente
esistenti? Qui torna alla mente un passo in cui D riconosce un
aspetto 'divino' a questa facoltà creativa dell'uomo K v. p. 145 D , ed è
bizzarro notare come la nascita della teoria degli insiemi si mescoli
sempre con un fondo di natura religiosa, dal più discreto (Dedekind)
al più marcato (Cantor; si veda Dauben 1979, cap. 6). Tuttavia, dire
INTRODUZIONE 25
pensiero, esso può a sua volta essere oggetto del pensiero, quindi
P(s)ES. Ma D è autorizzato a parlare del pensiero P(s) solo appunto se
P(s) è un pensiero. Se «s può essere oggetto del mio pensiero », per s
qualsiasi appartenente a S, non fosse sempre un pensiero, !p non
sarebbe ben definita; pertanto, tutta l'argomentazione di D per
dimostrare che S è infinito riposa sull'assunzione seguente: per ogni
sES, P(s) è un pensiero. Ma, dice Frege, se un pensiero è tale solo
quando è pensato da una mente (l'aborrita concezione 'psicologi
stica') allora certamente quell'assunzione non può essere vera, visto
che i pensieri pensati da una mente sono certamente in numero finito
(chi di noi, sia pure convinto di essere « di stirpe divina », può
affermare di albergare nella sua mente un numero infinito di
pensieri?). La conclusione può essere solo che, se l'argomentazione di
D deve avere un senso, bisogna assumere che in generale i pensieri
esistono indipendentemente dal pensiero umano. Ciò implica, es
sendo ogni pensiero un elemento di S, che gli elementi dell'insieme S
esistono indipendentemente dal pensiero umano. Ma allora, che il
26 SCIlITII S U I FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
pensiero umano crea gli insiemi può significare solo che l'uomo
definisce, delimita, individua col suo processo di pensiero insiemi
preesistenti, o, con le celebri parole di Frege, che « il matematico non
può creare qualcosa ad arbitrio, proprio come non lo può il geografo.
Sia l'uno che l'altro possono solo scoprire quel che già esiste, e dargli
un nome » (Frege 1884, p. 336-337), una conclusione che caratterizza
appunto quell'aspetto del pensiero di Frege che è stato chiamato (ci
torto o a ragione) 'platonismo', ma che stride orribilmente con tutta
la Weltanschauung matematica di D.
È importante, però, rendersi conto che non si tratta di uno
'scherzo' di Frege; la dimostrazione dell'esistenza dell'insieme in
finto S è un tassello vitale per l'edificio costruito da D, e Frege, senza
volerIo, ha solo messo a nudo una difficoltà reale nel pensiero di D,
ha portato a galla delle assunzioni esistenziali che non solo D non ha
mai dichiarato, ma non ha mai neppure tematizzato esplicitamente
come un problema attinente al suo modo di concepire gli enti
matematici.
1. 8 Il logicismo
Torniamo ora a quella parte della logica che consiste nella facoltà
di operare inferenze elementari. Come si è detto, essa non viene
indagata specificamente da D; ma viene comunque da lui usata per
ricostruire la creazione delle nozioni numeriche e in modo non
meno essenziale di quello in cui egli adopera come fondamento le
due 'facoltà logiche' di cui si è parlato due paragrafi fa. Qui, per
chiarire il ruolo della logica come scienza del ragionamento, bisogna
anticipare un poco di quanto verrà illustrato meglio più avanti. D,
per mostrare come la nozione, ad esempio, di numero naturale si
fondi sulle nozioni logiche, costruisce un insieme che soddisfa certe
proprietà (definite in termini della nozione di insieme e di applica
zione) e mostra come da quelle proprietà, in base alle definizioni
introdotte e alle proprietà fondamentali delle nozioni di insieme e
applicazione, si possono dedurre per gli elementi di quell'insieme
tutti i teoremi fondamentali che valgono per i numeri naturali. In
questa analisi, l'uso delle inferenze logiche ha un ruolo nuovo.
Infatti, evidentemente che la matematica fosse strettamente intrec
ciata alla logica è sempre stato per i matematici, per lo meno, dai
greci in poi, un semplice fatto di esperienza, e per i filosofi un tema di
riflessione: il puro ragionamento su nozioni matematiche può
condurre a nuove conoscenze matematiche. La meditazione su
INTRODUZIONE 27
così tipica del suo carattere, conclude che tale ricostruzione dovrà
avere anche particolari virtù didattiche.
Per questo argomento, lo scambio di corrispondenza con Weber
è di estremo interesse. In una lettera a Weber (8 novembre 1878) D
dichiara che, se anche il metodo di Heine e Cantor per introdurre i
numeri reali è più rapido del suo, tuttavia il risparmio non è poi
grande, « e io credo persino che, per lo studente che ancora non sa
nulla nei limiti [Grenzwerten] delle grandezze variabili, la mia
definizione di somma, differenza, eccetera, sia più facile da afferrare
e, se esposta come si deve, non presenti difficoltà alcuna. In effetti
sono così ottimista da credere che anche al ginnasio si potrà
insegnare rigorosamente l'aritmetica» [ p. 141 ] . L'accenno finale
alla possibilità di insegnare anche al ginnasio l'aritmetica con metodi
didattici rigorosi è evidentemente un riflesso del lavoro (che D sta
compiendo) documentato dai primi abozzi di Numeri. Questo rivela
fino a che punto D pensasse di condurre una ricerca sul funziona
mento della mente umana, o meglio, come fosse sicuro che il
fondamento filosofico coincidesse con il fondamento psicologico.
Questa convinzione, sulla quale del resto egli non ha mai riflettutto
esplicitamente, sfugge persino a un amico, collaboratore e allievo
qual era Weber; nella sua risposta (13 novembre, 1878) alla lettera di
D sopra citata, nella quale D esprimeva appunto le sue idee sulla
riforma dei programmi scolastici, egli dichiara che, sì, molto c'è da
riformare nell'insegnamento scolastico, ma il metodo di D gli appare
« un po' troppo rigoroso» [ p. 142 ] ; quindi menziona, come unico
tentativo a lui noto, ancorché imperfetto, di « impostare rigorosa
mente l'insegnamento matematico inferiore» [ p. 147 ] , il Lehrbuch
der Arithmetik und Algebra di Schroder; poi propone ingenuamente:
« Per i primi concetti, quello di numero intero e quello di frazione
decimale, all'inizio si può e si deve richiamarsi all'intuizione che tutti
ne abbiamo» [ p. 142 ] , e infine si lascia andare alla séguente
osservazione: « L'ulteriore analisi di tale intuizione è un problema
filosofico, che per essere capito, già richiede una maturità molto
maggiore» [ p. 142 ] . Nulla poteva dire di più contrario alla linea
di pensiero che D seguiva da anni. D sentiva che, se si concedeva
spazio all'intuizione dei -numeri nella didattica, allora il problema
della natura dei numeri diventava davvero un problema puramente
filosofico, del quale un matematico poteva anche lavarsi le mani
perché non pertinente al suo lavoro, o poteva affrontare così, come si
prende una vacanza, senza che ciò incidesse affatto sul suo lavoro
vero e proprio. Ma, come sottolineeremo ancora più avanti
INTRODUZIONE 31
1 . 1 1 Perché i numeri
A prima vista, l'obiettivo di D sembra riflettere una concezione
un po' antiquata della matematica, come appunto la 'scienza dei
numeri' (oltre che delle figure, ma si è visto che a D le figure
piacciono poco), che mal si accorda con la modernità sia della
matematica che D sviluppa, sia dei risultati a cui giungono le sue
ricerche sui fondamenti. In realtà, ciò che è antiquato, o meglio,
tradizionale, è solo il luogo in cui D fissa la linea di demarcazione tra
la matematica e ciò che lui chiama 'logica'. La prima è una
costruzione umana che cresce e si sviluppa con la creazione di
nozioni numeriche; la seconda è in generale l'esercizio di quelle
facoltà umane innate (<< senza le quali non può esistere alcun
pensiero») mediante le quali l'uomo ha creato e crea, tra le altre cose,
i numeri (principalmente, la facoltà di creare insiemi e applicazioni).
T aIe confine si sposterà rapidamente nella coscienza dei matematici
quando la teoria degli insiemi verrà accolta come una parte (per
alcuni essenziale) della matematica comunemente intesa. Come si è
detto, D non si propone mai lo studio della logica in quanto tale,
come oggetto a sé, ma solo quel tanto che basta a mostrare come con
l'uso di quelle facoltà logiche l'uomo crei le nozioni numeriche. Alla
logica in quanto tale D non riconosce un grande interesse specifica
mente matematico; per esempio, non pensa che la sua individuazione
dell'assioma di continuità abbia un qualche interesse specificamente
matematico [ pp. 130 e 136-37 D . Tutti e due i suoi lavori sui fonda
menti furono pubblicati con molto ritardo [ p. 1 1 D , e dopo molta
esitazione, superata non grazie a una maggiore consapevolezza
dell'interesse che potevano avere per i matematici, ma solo perché
altri matematici si pronunciavano su questioni analoghe in modi che
D non condivide. Ora, se si tiene presente che ciò che lui chiama
' logica' non è altro che la teoria degli insiemi, molte cose che
appaiono a prima vista singolari trovano una loro giustificazione.
34 SCRITTI S U I FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
2. 1 I numeri reali
Veniamo ora a Continuità e alla 'creazione' dei numeri reali.
L'idea di D può essere delineata come segue: a) D individua,
analizzando un modello di ciò che i matematici intendono per un
dominio continuo (i punti sulla retta), certe proprietà generali che
sono « l'essenza della continuità», o gli « assiomi della continuità» (gli
assiomi I-IV del § 5). b) Definisce la nozione di 'sezione' come certi
particolari sottoinsiemi di un dominio numerico considerato come
già creato, l'insieme dei numeri razionali ( 1 0 capov. del § 4).
c) Dimostra che l'insieme di tutte le sezioni irrazionali è non vuoto
(anzi, è infinito) m pp. 70-7 1 D . cl) Per ogni sezione 'crea' un'entità
numerica corrispondente (un numero reale) e introduce una rela
zione d'ordine totale tra tali numeri m pp. 71-73 D . e) Dimostra che
l'insieme m di tali numeri soddisfa gli assiomi della continuità (§ 5).
1) Dimostra due teoremi fondamentali dell'analisi per l'insieme m
così introdotto (§ 7).
La modernità del procedimento a) consistente nell'individuare
gli assiomi della continuità non ha bisogno di venir sottolineata. Essa
è tale che sfugge a un contemporaneo di D della levatura di Lipschitz,
ed è proprio nella corrispondenza con Lipschitz che D rivela la sua
incredibile persipicacia nelle questioni fondazionali e la profondità
della sua concezione assiomatica dell'analisi. Come si è già accen
nato, alla base di Continuità stanno due motori fondamentali: da un
lato l'idea dell'aritmetizzazione, motivata dal fatto che le nozioni
geometriche sono 'oscure' (non appartengono alla logica), quindi un
nuovo criterio di rigore matematico, e dall'altro l'idea del tratta
mento assiomatico. Ad entrambe Lipschitz si mostra fortemente
refrattario: quanto alle nozioni geometriche e al nuovo ideale di
rigorosità egli dichiara che il rigor geometricus è stato il massimo
criterio di rigorosità per millenni, che le nuove esigenze di rigore
moderne sono figlie di quel criterio, e che comunque, di fatto, non
sono ancora distinte da esso m p. 135 D . Quanto all'assioma di
INTRODUZIONE 37
stessa rivista (cosa che non ottenne), D mostra come tale indeboli
mento di � fosse fatale dalla teoria: il sistema di assiomi di Keferstein,
infatti, è soddisfatto da qualsiasi insieme infinito, e pertanto non può
caratterizzare interamente N m p. 152 D . Nella lettera del 27 febbraio
1 890 D rivela a Keferstein che l'assioma � è stato il più difficile da
trovare m p. 155 D . Esso infatti, con la nozione di 'catena di un insie
me' perveniva a risolvere proprio il problema che D aveva trovato
più arduo, quello di escludere modelli 'troppo grandi'. Nella dimo
strazione contenuta nella sua 'controrecensione' m pp. 152-53 D D
delinea anche come costruire un modello che soddisfa gli assiomi
ot, � ' , y ' (quindi a fortiori,y), 8, ma non � " ; esso, aggiunge D nella
lettera m p. 155 D può essere ideato in modo tale che non sussista più
alcun teorema dell'aritmetica.
Questo esempio fornito da D, assieme alla sua esplicita menzione
dell'indipendenza degli assiomi m p. 154 D , fa capire che egli aveva
sondato fino in fondo questo aspetto del suo sistema, anche se nel
testo di Numeri di indipendenza I10n se ne parla affatto. Tuttavia, le
due dimostrazioni di indipendenza più interessanti (e cioè, l'indipen
denza di � " , l'assioma che assicura l'induzione, e quella di y,
l'assioma che assicura l'infinito) sono contenute, la prima, come si è
visto, nella lettera a Keferstein, la seconda, anche se indirettamente,
in Numeri. Dimostrando il Teorema 126 D ha colto un problema
profondo, come si dirà meglio in seguito, e cioè la necessità di
dimostrare che l'assunzione di una funzione che soddisfi I-III in 126
non è contraddittoria, cioè che gli assiomi I-III sono coerenti, o
ancora, che la funzione definita per induzione 'esiste'. In 130 D vuoI
mostrare che I-III non sono contraddittori solo se si assumono ot 8 -
terna < S, cp, 1 > dove 1 e S e cp:S --+ S. Perciò nell'assioma � " (quello
che assicura l'induzione) la quantificazione varia su tutti i sottoin
siemi di S, il che vuoI dire, essendo S infinito (Teorema 66), su un
insieme più che numerabile.
INTRODUZIONE 43
2.4 L 'infinito
Prima di parlare della 'dimostrazione di esistenza' è bene fer
marsi su un aspetto di Numeri che è intermedio tra queste due parti,
in quanto è funzionale sia all'indagine assiomatica sia al problema
della dimostrazione di esistenza: la definizione di insieme infinito.
Da un lato, infatti, è evidente che nella ricerca degli assiomi per gli
interi positivi D dovrà esser stato guidato anche dalla necessità di
assicurare a tale insieme un carattere che corrisponda alla nozione
consueta di insieme infinito. Per stabilire quale può essere questa
proprietà diventa necessaria un'indagine preliminare sulla nozione di
insieme infinito. D'altra parte, come si vedrà più sotto, la ricerca di
una caratterizzazione assiomatica della nozione generale di insieme
infinito è funzionale anche alla dimostrazione che a. ò hanno un
-
sono diversi tra loro. Ora, il problema è: essi daranno luogo alla
stessa nozione di numero naturale? Ma che vuoI dire qui la stessa
nozione? Questa è la chiave dell'atto di astrazione secondo D (come
anche secondo Frege): definire un criterio di 'stessa nozione', e la sua
soluzione potrebbe discendere in modo molto semplice e naturale
proprio da considerazioni di questo genere. Se la popolazione A usa
(isola in S) l'insieme NA e la popolazione B l'insieme di NB, in che
caso potremo dire che NA e NB sono la stessa struttura numerica?
Quando si potrà tradurre liberamente da NA a NB e viceversa, cioè
52 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
I testi
Stetigkeit und irrationale Zahlen è stato pubblicato per la ,p rima volta nel 1 872 a
Braunschweig, da Vieweg & Sohn, e più volte ristampato. E stato pubblicato una
seconda volta in Dedekind, Gesammelte mathematische Werke, voI. III, Vieweg &
Sohn, Braunschweig 1932, pp. 3 1 5-334, e su questo testo è stata condotta la presente
traduzione.
Was sind und was sol/en die Zahlenr è stato pubblicato per la prima volta nel
1888, sempre a Braunschweig da Vieweg & Sohn, ha avuto tre edizioni prefate da D,
più numerose ristampe. Anch'esso è stato pubblicato in Dedekind, op. cit,
pp. 335-39 1, e su questo testo è stata condotta la presente traduzione.
Le lettere di D a Lipschitz del 10 giugno 1 876 e del 27 luglio 1 876 sono state
pubblicate per la prima volta da Emmy Noether in Dedekind, op. cit, pp. 468-479.
Le lettere di Lipschitz a D dell'8 giugno 1 876 e del 6 luglio 1 876 sono state
pubblicate per la prima volta da Pierre Dugac in Richard Dedekind et les fondaments
des mathématiques, Vrin, Paris 1976, pp. 217-220.
Le lettere di D a Weber dell'8 novembre 1 878, del 19 novembre 1878 e del 24
gennaio 1888 sono state pubblicate per la prima volta da Emmy Noether in
Dedekind op. cit, pp. 485-486 e 488-490.
Le lettere di Weber a D del 13 novembre 1 878 e del 28 novembre 1 878 sono state
pubblicate per la prima volta da Pierre Dugac in Dugac, op. cit, pp. 272-273.
.
Il testo di « Uber den Begriff des Unendlichen » e quello della lettera di D a
Keferstein del 27 febbraio 1 890 sono stati pubblicati per la prima volta (in tedesco) da
Mohammed-A. Sinaceur in « L'infini et les nombres », Revue d'histoire des sciences, 27
( 1974), 3, pp. 251-278.
La traduzione
Stetigkeit und irrationale Zahlen e Was sind und was sol/en die Zahlenr hanno già
avuto un'ottima traduzione italiana ad opera di Oscar Zariski, con un suo ricco
commento, nella collana « Per la storia e la filosofia delle matematiche » diretta da
Federigo Enriques per la Casa Editrice Alberto Stock, Roma 1926. Non tanto
l'inevitabile presenza di piccole imprecisioni, di alcune sviste e di qualche arbitrio,
quanto il mezw secolo e oltre trascorso su questa traduzione hanno reso indispensa
bile una ritraduzione integrale, la quale naturalmente ha tenuto ben presente il
lavoro già fatto. Gli estratti dall'epistolario di D sono invece qui tradotti per la prima
volta in italiano.
60 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
Quanto alla terminologia e alla notazione, ormai del tutto desuete, usate da D, si
è deciso di mantenerle fedelmente cosÌ come erano, senza tentare minimamente di
rimodernarle, per due ragioni. La prima è che D, che si era fabbricato la sua
terminologia e la sua notazione del tutto autonomamente, le ha sempre mantenute
costanti e inalterate in tutta la sua produzione e nelle lettere, anche in epoche in cui si
poteva già sentire la necessità di adattarle ad usi più diffusi: un aggiornamento
apparirebbe come un tradimento di una scelta precisa di D. La seconda è che si tratta
di nozioni ormai cosÌ elementari e note che il lettore non avrà la minima difficoltà a
individuare da sé immediatamente e, se vuole, a sostituire mentalmente il corrispet
tivo moderno.
].W.R. DEDEKIND
All'amato padre
illustre Consigliere di corte, professore,
dottore in legge
Juuus LEVIN ULRICH DEDEKIND
per il suo 50° anniversario di attività professionale
. Braunschweig, 26 aprile 1872
[1 Journal far reine und angewandte Mathematik, 74 ( 1 872), pp. 172-1 88.]
[2 In Cantor, Gesammelte A bhandlungen , Springer, Berlin 1932, pp. 92-102.]
CONTINUITÀ E NUMERI IRRAZIONAU 65
5 L'illusione che questa definizione del numero abbia il pregio della generalità si
dissolve subito quando si pensi ai numeri complessi. Secondo me, invece, si può
sviluppare chiaramente il concetto del rapporto fra due grandezze omogenee solo
quando i numeri irrazionali siano già stati introdotti.
CONTINUITÀ E NUMERI IRRAZIONALI 69
slmo o m I nI mo.
Ma è facile convincersi che esistono infinite sezioni che non sono
determinate da un numero razionale. L'esempio più immediato è il
seguente.
Sia D un intero positivo che non sia il quadrato di un intero,
allora esiste un intero positivo ). tale che
).2 < D « )' + 1)2 .
Se si assegnano alla seconda classe A2 tutti i razionali positivi a2 il
cui quadrato sia > D, e alla prima classe tutti i rimanenti numeri
razionali al, questa partizione costituisce una sezione (A l, A2), cioè
ogni numero al è minore di ogni numero a2. Infatti, se il numero al è
= 0 o è negativo, esso è automaticamente minore di ogni numero a2,
che per definizione è positivo; se invece al è positivo, il suo qudrato è
s D, e quindi al è minore di ogni numero positivo a2, il cui quadrato
è > D.
CONTINUITÀ E NUMERI IR.RAZIONALI 71
infiniti, perché tutti gli infiniti numeri che giacciono tra al e al'
(§ 1 . II) sono evidentemente contenuti in A t , ma non in BI. In
questo caso diciamo che le due sezioni (A t, A2) e (BI, B2) sono
essenzialmente diverse e che i numeri corrispondenti et e � sono
anch' essi diversi tra loro; in particolare diremo che et è maggiore di �,
CONTINUITÀ E NUMERI IRRAZIONALI 73
che � è minore di ex, in simboli ex > �, � < ex. Si osservi che, se ex e � sono
entrambi razionali, questa definizione coincide interamente con
quella data sopra. Gli altri casi possibili sono: 4. in BI c'è uno e un
solo numero bi = ai. non contenuto in A l; allora le due sezioni (A h
A 2) e (BI, B2) non SQno essenzialmente diverse e sono determinate dal
medesimo numero razionale ex = ai. = bi = �. 5. Se invece in BI ci
sono almeno due numeri diversi non contenuti in A h allora
� > ex, ex < �.
A vendo così esaurito tutti i casi possibili, ne segue che, dati due
numeri diversi, uno è necessariamente maggiore e l'altro minore,
cioè sono contemplate due possibilità. Un terzo caso è impossibile.
Del resto, questo era già implicito nella scelta del comparativo
('maggiore' e 'minore') per indicare le relazioni tra ex e �� ma soltanto
adesso, a posteriori, questa scelta risulta giustificata. E proprio in
ricerche come questa che occorre la massima cautela per non cadere,
anche con la migliore buona fede, nell'errore di operare dei trasferi
menti illegittimi da un dominio all'altro adottando prematuramente
espressioni mutuate da altre nozioni già sviluppate.
Ritornando ora al caso ex > �, è evidente che se il numero minore �
è razionale esso appartiene alla classe A l; difatti, poiché A l contiene
un numero ai = b2 che appartiene a B2 , �, sia esso il numero
massimo di BI o il minimo di B2 , è certamente s ai e quindi
contenuto in A l . Analogamente, da ex > � segue che se il numero
maggiore ex è razionale appartiene certamente alla classe B2 , dato che
ex � ai . Da queste due considerazioni si ottiene il seguente risultato:
se una sezione (A h A 2) è determinata dal numero ex, allora ogni
numero razionale appartiene alla classe A l o alla classe A 2 a seconda
che sia minore o maggiore di ex; se ex stesso è razionale appartiene
all'una o all'altra classe.
Da qui, infine, si ottiene ancora il seguente risultato: se ex > �,
esistono in A l infiniti numeri non contenuti in BI, diversi da ex e da �;
tali razionali c sono tutti < ex, perché appartengono ad A h e > �,
perché appartengono a B2 .
I. Se ex > � e � > "'(, anche ex > "'(. Diremo in tal caso che il numero
� giace tra ex e "'(.
II. Se ex e "'( sono numeri diversi, allora esistono infiniti numeri
che giacciono tra ex e "'(.
III. Dato un numero ex tutti i numeri del sistema 9t si
ripartiscono in due classi �I e �2 , contenenti ciascuna infiniti
individui; la prima classe �l comprende tutti i numeri exl < ex, la
seconda classe �2 comprende tutti i numeri ex2 > ex; il numero ex stesso
può essere assegnato a piacere alla prima o alla seconda classe; esso
sarà allora, rispettivamente, il numero massim� dt;lla prima classe o il
numero minimo della seconda. In ogni caso la suddivisione del
sistema 9t nelle due classi �t, �2 è tale che ogni numero della prima
classe �I è minore di ogni numero della seconda classe �2 ; diremo
che la suddivisione è determinata dal numero ex.
Per essere breve, e per non stancare il lettore, ometto la
dimostrazione dei teoremi, che seguono immediatamente dalle
definizioni del paragrafo precedente.
Oltre a queste tre proprietà, il dominio 9t possiede anche la
continuità, vale cioè il teorema seguente:.
IV. Se il sistema 9t di tutti i numeri reali si suddivide in due
classi �t, �2 tali che ogni numero exl della classe �l è minore di ogni
numero ex2 dalla classe �2 , allora esiste uno e un solo numero ex dal
quale questa suddivisione è determinata.
Dimostrazione. Con la suddivisione, o sezione, di 9t in �I e �2 è
data al tempo stesso una sezione (A I , A 2) del sistema R di tutti i
numeri razionali, definita così: A I contiene tutti i numeri razionali
della classe �I e A 2 tutti i rimanenti, cioè tutti i numeri razionali di
�2 . Sia ex quel ben determinato numero che determina la sezione (A l,
A 2). Sia � un numero qualsiasi diverso da ex; allora esistono infiniti
numeri razionali c che giacciono tra ex e �. Se � < ex, allora c < ex,
quindi c appartiene alla classe A I, e di conseguenza anche alla classe
�l; ma dato che � < c, anche � appartiene alla classe �l perché ogni
numero di �2 è maggiore di ogni numero c di �I . Se invece � > ex,
allora c > ex, quindi c appartiene alla classe A 2 e di conseguenza anche
alla classe �2 ; ma dato che � > c, anche � appartiene alla classe �2 ,
perché ogni numeri di �l è minore di ogni numero c di �2 . Pertanto
ogni numero � diverso da ex appartiene alla classe �l o alla classe �2 ,
a seconda che � < ex o � > ex; quindi ex stesso è il numero massimo di �I
o il numero minimo di �2 , cioè ex è un numero, ed evidentemente
l'unico, che determina la suddivisione di 9t nelle classi �t, �2 , come
volevasi dimostrare.
CONTINUITÀ E NUMERI IRRAZIONALI 75
avrebbe 1 1
C2 (ex - - p) + (� - - p),
=
2 2
che sarebbe in contraddizione con la definizione del numero C2 , dato
che ex - 1/2 P appartiene ad A l e � - 112 P a BI. Di conseguenza nel
caso in cui ex e � siano numeri razionali, la sezione (CI, C2) è
determinata dalla somma ex + �. Pertanto se per somma ex + � di due
numeri reali qualsiasi ex e � intendiamo sempre quel numero "( che
determina la sezione (CI, C2) non contravveniamo alle definizioni
che valgono nell'aritmetica dei numeri razionali. Se poi uno soltanto
dei due numeri, per esempio ex, è razionale, si mostra facilmente che
assegnare ex ad A l o ad A 2 non ha alcun effetto sulla somma
"( = ex + �.
Analogamente all'addizione si possono definire tutte le altre
operazioni della cosiddetta aritmetica elementare, e cioè la forma
zione di differenze, prodotti, quozienti, potenze, radici, logaritmi, e
in questo modo si ottengono vere e proprie dimostrazioni di teoremi
(per esempio ..fi . Y3 '16) che, a quanto mi consta, finora non sono
=
§ 7. Analisi infinitesimale
assegniamo tutti i numeri non contenuti in �h; sia CXI uno di tali
numeri, allora, per quanto si faccia variare x , resterà sempre un
numero infinito di valori tali che X > CXI . Siccome ogni numero CXI è
minore di ogni numero CX2 , esiste un numero cx ben determinato che
determina la sezione (�lt, �h) del sistema 9t e che chiamiamo limite
superiore della variabile x . Sempre basandoci sull'andamento di x si
può definire una seconda sezione (� .. �2) del sistema 9t assegnando a
�I un numero �I (per esempio a - 8), se col variare di x, da un certo
momento in poi si ha x > �I; tutti i numeri rimanenti �2 , che
assegniamo a �2 , godono della proprietà che x non risulterà mai � �2
e quindi rimangono sempre infiniti valori tali che x < �2 ; il numero �
determinato da tale sezione lo chiamiamo il limite inferiore della
variabile x . È evidente che i numeri cx e � sono entrambi caratterizzati
anche dalla proprietà seguente: se t è una grandezza positiva piccola a
piacere, allora da un certo momento in poi si avrà sempre x < cx + t e
x > � - t, ma x non diventerà mai definitivamente < cx - t né > � + t.
Ora, due casi sono possibili. Se cx è diverso da �, allora necessaria
mente cx > �, perché si ha sempre CX2 � �I; la variabile x oscilla e, per
quanto si porti avanti il processo, subisce sempre variazioni di
ampiezza superiore ad (cx - �) - 2t, dove t indica una grandezza
positiva piccola a piacere. Ma questa conclusione contraddice l'ipo
tesi originaria su x ; quindi rimane soltanto il secondo caso cx = �, e
siccome si è già dimostrato che, per piccola che sia la grandezza t, da
un certo momento in poi x sarà definitivamente < cx + t e > � - t,
segue che x tende al limite cx, come dovevasi dimostrare.
Saranno sufficienti questi esempi per mostrare la connessione che
sussiste tra il principio di continuità e l'analisi infinitesimale.
Che cosa sono
e a che cosa servono i numeri?
A mia sorella
JULIE
e a mio fratello
AOOLF
Dottore in Legge
Consigliere di Corte d'Appello a Braunschweig
con affetto
6 Fra i lavori a me noti cito il pregevole Lehrbuch der Arithmetik und Algebra di
E. Schroder ([Teubner,] Lipsia 1 873), in cui si trova anche una bibliografia, e le
ricerche di Kronecker [« Uber den Zahlbegriff» (1 886), in Werke, voI. 3 1 , Teubner,
Lipsia 1 899, pp. 249-274] e di Helmholtz [" Zahlen und Messen, erkenntnisstheoreti
sch betrachtet », in Wissenschaftliche A bhandlungen, lA. Barth, Lipsia 1882-1 895, voI.
3°, pp. 356-391] sul concetto di numero e sul computo e la misura (nella raccolta di
saggi filosofici in onore di E. Zeller, [Fues' Verlag,] Lipsia, 1887). La pubblicazione di
questi lavori mi ha spinto a render noto il mio punto di vista, che, sebbene per molti
aspetti simile al loro, ha una fondazione essenzialmente diversa. Queste idee sono
sorte in me già da molti anni, senza alcuna influenza da qualsiasi parte.
80 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
[9 L'opinione che Plutarco (Conv. disp. , VIII, 2) attribuisce a Platone è che 'tòv
9tòv IÌti ytwl-lnpttv.].
82 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
erigere la scienza dei numeri sopra una base unica, e che esse
stimolino altri matematici a ridurre le lunghe serie di inferenze a
dimensioni più modeste ed eleganti.
Coerentemente con lo scopo del presente lavoro mi limito qui a
considerare la serie dei cosÌ detti numeri naturali.
L'estensione graduale del concetto di numero, cioè la creazione
dello zero, dei numeri negativi, di quelli frazionari, degli irrazionali e
dei complessi, va poi effettuata basandosi sempre sui concetti
precedentemente stabiliti e senza far intervenire rappresentazioni
estranee (ad esempio quella di grandezza misurabile) alle quali,
secondo la mia concezione, soltanto la scienza dei numeri ha dato per
la prima volta un significato chiaro e preciso. Un esempio di questo
processo l'ho dato, per il caso specifico dei numeri irrazionali, nel
mio precedente scritto sulla continuità (1872); come ho già detto in
quel lavoro (§ 3) è possibile trattare le altre estensioni in modo del
tutto analogo, e mi riservo di dedicare a quest'argomento una tratta
zione sistematica IO . Questa stessa concezione fa apparire come una
cosa evidente che ogni teorema di algebra e di analisi superiore, per
quanto remoto, si può esprimere come un teorema sui numeri
naturali, un'asserzione che ho potuto udire più volte dalla viva voce
di Dirichlet. lo però non considero affatto un' opera meritoria - e
anche Dirichlet era ben lontano dal farlo - intraprendere effettiva
mente una tale faticosa opera di trasposizione e non voler ammettere
e usare altro che i numeri naturali. Al contrario, i progressi più
grandi e fecondi nella matematica e nelle altre scienze sono dovuti
prevalentemente alla creazione e all'introduzione di nuovi concetti,
rese necessarie dalla frequente ricomparsa di fenomeni complessi,
difficilmente dominabili per mezzo dei vecchi concetti. Proprio su
questo argomento verteva la mia dissertazione per la libera docenza
alla facoltà di filosofia di Gottingen, nell'estate del 1854, e le sintesi in
essa contenute ebbero anche l'approvazione di Gauss. Ma non è
questo il luogo per parlarne più diffusamente.
Invece colgo qui l'occasione per fare ancora alcune osservazioni
relative al mio precedente lavoro, citato sopra, sulla continuità e i
numeri irrazionali. La teoria dei numeri irrazionali che vi è esposta
fu ideata da me nell'autunno del 1 858; essa si fonda su un fenomeno
che si produce nel dominio dei numeri razionali (§ 4), al quale ho
1 \ P.G. Lejeune Dirichlet, op. cit., § 159 della seconda edizione, § 160 della
terza.
84 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
§ 1 . Sistemi di elementi
1. Nel seguito intendo per cosa ogni oggetto del nostro pensiero.
Per parlare delle cose è comodo designarle per mezzo di segni, per
esempio lettere, e consentire di parlare brevemente della cosa a, o
semplicemente di a, quando in realtà si vuole intendere la cosa
designata con a, e non certo la lettera a stessa. Una cosa è
completamente determinata da tutto ciò che di essa può essere detto
e pensato. La cosa a è la stessa di b (identica a b) e b è la stessa di a, se
tutto ciò che può essere pensato di a può essere pensato anche di b, e
viceversa. Con il segno a = b, così come col segno b=a, si indica che a
e b sono soltanto segni o nomi di una medesima cosa. Se inoltre b = c,
e dunque c è anch' esso, come a, un segno per la cosa designata con b,
allora anche a = c. Se codesta coincidenza della cosa designata con a
con quella designata con b non sussiste, allora le cose a e b si dicono
diverse, a è un'altra cosa rispetto a b, b è un'altra cosa rispetto ad a;
c'è almeno una proprietà che conviene all'una e non all'altra.
2. Capita molto spesso che cose diverse a, b, c... , considerate per
un motivo qualsiasi da un medesimo punto di vista, vengano
mentalmente collegate; si dice allora che esse formano una sistema S;
88 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
§ 2. Rappresentazione di un sistema
18
Cfr. P.G. Lejeune Dirichlet, op. cit. , terza edizione, § 163.
CHE COSA SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 91
D'altra parte essendo, per 9, A , B, C .. parti di M, A " B ' , C' ... sono
parti di M' (per 22); quindi, per lO,
m (A ' , B ' , C' ... ) 3 M' ,
da cui insieme alla formula precedente segue, per 5, il teorema da
dimostrare
m (A ' , B ' , C' ... ) M' .
=
s ' e T' sono, in base a 22 e 7, esse stesse a loro volta elementi e parti
di S, e lo stesso vale per tutte le cose designate con lettere latine.
37. Definizione. Chiamiamo K una catena 24 , se K' 3 K. Faccia
mo osservare espressamente che alla parte K del sistema S l'attributo
di catena non compete in assoluto, ma le viene assegnato solo in
rapporto con quella rappresentazione !p; rispetto a un'altra rappre
sentazione del sistema S in se stesso, K può benissimo non essere una
catena.
38. Teorema. S è una catena.
39. Teorema. L'immagine K' di una catena K è una catena.
Dimostrazione. Difatti da K' 3 K segue, per 22, (K' ) ' 3 K' c.v.d.
40. Teorema. Se A è parte di una catena K, allora anche A ' 3 K.
Dimostrazione. Da A 3 K segue (per 22) A ' 3 K' e essendo (per
37) K' 3 K, si ha (per 7) A ' 3 K, c.v.d.
m (A ' , L ' ) e per ipotesi A ' 3 L e L ' 3 L, allora, per lO, è soddisfat
ta anche la condizione K' 3 Lj ne segue che essendo, per 9, L 3 K,
anche K' 3 K cioè K è una catena, c.v.d.
42. Teorema. Un sistema M composto di sole catene A, B, c. .. è
una catena.
Dimostrazione. Dato che (per 23 ) M' = m (A ' , B ' , C' ... ) e per
ipotesi A ' 3 A, B ' 3 B, C' 3 C, ... , segue (per 12) M' 3 M, c.v.d.
43. Teorema. La comunione G di sole catene A, B, C . . è una
catena.
Dimostrazione. Essendo G, per 17, parte comune di A, B, C .. G '
è, per 22, parte comune di A ' , B ' , C ' ... , e inoltre, per ipotesi,
A ' 3 A, B ' 3 B, C' 3 c. .. , dunque (per 7) anche G ' è parte co
mune di A, B, C . . , e quindi, per 18, parte di G, c.v.d.
44. Definizione. Sia A una parte di S; con Ao indichiamo la
comunione di tutte le catene (come S, p. es.) delle quali A è parte.
Tale comunione Ao esiste (cfr. 17) , perche A stesso è già parte
comune di tutte queste catene. Dato che, per 43, Ao è una catena,
chiameremo Ao la catena del sistema A o, brevemente, la catena di A .
Anche questa definizione s i riferisce strettamente alla rappresenta
zione fondamentale data ql del sistema S in se stesso, e se, per ragioni
di chiarezza, si renderà necessario, preferiamo usare la notazione
qlo(A) invece di Ao; similmente designeremo con wo(A) la catena A
corrispondente a un' altra rappresentazione w. Per questo importan
tissimo concetto valgono i teoremi seguenti.
45. Teorema. A 3 Ao.
Dimostrazione. Essendo A parte comune di tutte quelle catene la
cui comunione è Ao, segue, per 18, il teorema.
46. Teorema. (Ao) '3 Ao.
Dimostrazione. Infatti, per 44, Ao è una catena ( 37) .
47. Teorema. Se A è parte di una catena K, allora Ao 3 K.
Dimostrazione. Infatti, Ao è la comunione, e quindi anche una
parte comune, di tutte le catene K di cui A è una parte.
48. Osservazione. Si vede facilmente che il concetto della catena
Ao, definito in 44, è completamente caratterizzato dai teoremi 45, 46,
47 precedenti.
49. Teorema. A ' 3 (Ao) ' .
96 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
(A o) , 3 (A ' )0
Inoltre per 49, A ' 3 (Ao) ' e, per 44 e 3 9 , (Ao) ' è una catena, e quindi,
per 47,
(A ' )0 3 (A o) , ,
da cui, insieme al risultato precedente, segue (5) il teorema.
58. Teorema. Ao = IDl (A , A�), cioè la catena di A è composta da
A e dalla catena dell'immagine di A .
Dimostrazione. S i ponga ancora, per brevità,
'
L = A� = (Ao) ' = (A )0 e K = IDl (A , L)
allora, per 45, A ' 3 L ed essendo L una catena, per 41, anche K lo è;
essendo poi, per 9, A 3 K, per 47, anche
CHE COSA SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 97
A0 3 K
D'altra parte, siccome, per 45 A 3 Ao e, per 46, L 3 Ao, allora,
per 10, anche
K 3 Ao
da cui, insieme al risultato precedente, segue ( 5) il teorema.
59. Teorema di induzione completa. Per dimostrare che la catena
Ao è parte di un qualsivoglia sistema :E (sia esso parte di S o no), basta
mostrare
p. che A 3 :E, e
a. che l'immagine di ogni elemento comune di Ao e :E è anch'essa
elemento di :E.
Dimostrazione. Se è vero p, allora, per 45, esiste sempre la
comunione G ® (Ao, :E) e, per 18, A 3 G; essendo inoltre, per 17,
=
G 3 Ao,
G è anche parte del nostro sistema S che cp rappresenta in se stesso, e,
per 55, si ha subito G' 3 Ao. Ora se è vero anche a, cioè se G' 3 :E,
allora G' è parte comune dei sistemi Ao, :E e come tale, per 18, deve
essere parte della loro comunione G; quindi G è una catena (37), ed
essendo, come si è già osservato, A 3 G, si ha anche, per 47,
A0 3 G,
da cui, insieme al risultato precedente, segue G Ao e quindi, per
=
sistema. Per 42, K è una catena. Ora siccome, per 45, ciascuno dei
sistemi A, B, C... è parte di uno dei sistemi AD, Bo, Co... , per 12 M 3 K
e quindi, per 47,
M0 3 K
D'altra parte, essendo, per 9, ciascuno dei sistemi A , B, C. . . parte del
sistema M, e anche, per 45, 7, parte della catena Mo, anche ciascuno
dei sistemi Ao. Bo. Co, ... deve essere, per 47, parte di Mo, quindi,
per 10,
K 3 Mo,
da cui, insieme al risultato precedente, segue (5) il teorema in
questione MD = K.
62. Teorema. La catena di @ (A , B, C...) è parte di @ (AD, Bo,
Co ... ) .
Dimostrazione. Indichiamo con G il primo e con K il secondo
sistema. Per 43 K è una catena. Ora, essendo, per 45, ciascuno dei
sistemi AD, Bo, Co... intero di uno dei sistemi A, B, C. . . , si ha (per 20)
G 3 K, da cui, con 47, segue il teorema in questione Go 3 K.
63. Teorema. Se K' 3 L 3 K, per cui K è una catena, allora an
che L è una catena. Sia L una parte propria di K e sia U il sistema di
tutti gli elementi di K non contenuti in L; sia inoltre Uo parte propria
di K e V il sistema di tutti gli elementi di K non contenuti in Uo, al
lora K = ID1 ( Uo, V), L = ID1 (U� , V). Se infine L = K', allora V3 V' .
Lasciamo al lettore la dimostrazione di questo teorema, di cui
(come pure dei due teoremi precedenti) in seguito non faremo uso.
§ 5. Il finito e l'infinito
64. Definizione 25 • Un sistema S si dice infinito se è simile a una
sua parte propria (32); nel caso contrario S si dice un sistema finito.
65. Teorema. Ogni sistema che consiste di un unico elemento è
finito.
Dimostrazione. Infatti un tale sistema non possiede alcuna parte
propria (2, 6).
66. Teorema. Esistono sistemi infiniti.
25 Se si vuole evitare l'uso del concetto di sistemi simili (32) bisogna dire: S è
infinito se esiste una parte propria di S (6) in cui S può essere rappresentato
distintamente (in modo simile). La definizione dell'infinito, che costituisce il
nocciolo di tutta la mia ricerca, l'ho comunicata in questa forma a G. Cantor nel
settembre 1 882 n v. p. 144 D e molti anni prima a Schwarz e Weber. Tutti gli altri
tentativi a me noti di distinguere l'infinito dal finito mi sembrano cosi poco felici che
credo di potermi esimere dal criticarli.
CHE COSA SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 99
c!t(b) sono diverse, dato che c!t è una rappresentazione simile; se poi a è
contenuto in T e b non è contenuto in T, allora cp(a) c!t(a) è diverso
=
�. N = 10'
r. L'elemento 1 non è contenuto in N' .
8. La rappresentazione cp è simile.
Da Ot , �, r, 8 segue evidentemente che ogni sistema N semplice
mente infinito è di fatto un sistema infinito (64), perché simile a una
sua parte propria N' .
72. Teorema. In ogni sistema infinito S è contenuto come parte
un sistema N semplicemente infinito.
Dimostrazione. Per 64 esiste una rappresentazione simile di S tale
che cp(S) , ovvero S ' , risulti parte propria di S; esiste quindi un
elemento 1 in S che non è contenuto in S ' . La catena N = 10
corrispondente alla rappresentazione cp del sistema S in se stesso (44) è
un sistema semplicemente infinito, ordinato da cp; infatti, tutte le
condizioni caratteristiche Ot, �, r, 8 espresse in 71 sono chiaramente
soddisfatte.
73. Definizione. Se in un sistema N semplicemente infinito e
ordinato da una rappresentazione cp si prescinde interamente dalla
particolare natura dei suoi elementi, tenendo ferma soltanto la loro
distinguibilità, e si considerano esclusivamente le relazioni recipro
che determinate dalla rappresentazione ordinante cp, allora questi
elementi sono detti numeri naturali o numeri ordinali o senz' altro
numeri, e l'elemento fondamentale 1 è chiamato il numero fonda.
mentale della serie numerica N. In considerazione di quest'atto di
eliminare dagli elementi ogni altro contenuto (astrazione), i numeri
si possono giustamente chiamare una libera creazione dello spirito
umano. L'oggetto immediato della scienza dei numeri o aritmetica è
costituito dalle relazioni o dalle leggi che si derivano unicamente
dalle condizioni Ot, �, r, 8 in 71, e che perciò sono sempre le stesse in
tutti i sistemi ordinati semplicemente infiniti, quali che siano i nomi
con cui sono indicati i singoli elementi (cfr_ 134). Dai concetti gene
rali e dai teoremi del § 4 sulla rappresentazione di un sistema in se
stesso ricaviamo immediatamente i teoremi fondamentali seguenti,
dove continuiamo a indicare con a, b... , m, n, ... elementi di N, cioè
numeri, con A, B, C, . .. parti di N e con a I , b ' , ... , m I , n I , , A I , B ' ,
•••
1 02 SCRITrI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
p successivo a n, c.v.d.
82. Teorema. Nell'immagine n� della catena di un numero n non
. è contenuto il numero n stesso, bensì, per 74, 75, la sua immagine n I .
Dimostrazione per induzione completa (80). Infatti
p. il teorema è vero per n = 1, perché 1� = N' e, per 7 1 il numero
fondamentale 1 non è contenuto in N' .
o. Se il teorema è vero per un numero n e poniamo di nuovo n I
(per 94) m ' S n , si ha, per 98, l� 3 ln '. Inoltre, dato che il numero
1
c.v.d.
120. Teorema. Siano m, n numeri diversi, allora i sistemi 2m e 2n
non sono simili.
Dimostrazione. In virtù della simmetria è lecito assumere, per 90,
m < n; allora 2m è, per 106, parte propria di 2n e poiché 2n è finito
( 1 19), 2m e 2n non possono, per 64, essere simili, c.v.d.
CHE COSA SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 109
III ' . ePp( m ' ) = 9ePp(m), se m <p; dato che ( 107) Zn 3 Zp, ePP
contiene, per 21, una rappresentazione di Zn che evidentemente
soddisfa le medesime condizioni I, II, III che soddisfa ePn, e che
quindi coincide completamente con ePn. Quindi per tutti i numeri
c/I(T' ) = Oc/l(7),
dove (7) indica una parte qualsiasi della serie numerica N.
Dimostrazione. Infatti, se t indica un qualsivoglia numerò del
sistema T, allora c/I(T' ) consta di tutti gli elementi c/I(t ' ) e Oc/l(1) consta
di tutti gli elementi Oc/l(t). Dato che (per III in 126) c/I(t ' ) = Oc/l(t), ne
segue il teorema.
128. Teorema. Mantenendo ancora le medesime assunzioni e
indicando con 00 la catena (44) corrispondente alla rappresentazione
O del sistema il in, se stesso, si ha
c/I(N) = Oo(w).
Dimostrazione. In primo luogo mostriamo per induzione com
pleta (80) che
c/I(N) 3 Oo(w).
cioè che ogni immagine c/I(n) è anche elemento di Oo(w). Infatti,
p. il teorema è vero per n = 1, giacché (per II in 126) c/I(l) = w e
(per 45) w 3 Oo(w).
a. Se il teorema è vero per un numero n, cioè c/I(n)300(w), allora si
ha anche, per 55, 9(c/I(n)) 3 Oo(w), ossia (per II in 126) c/I(n ' ) 3 Oo(w),
e quindi il teorema vale anche per il numero successivo n I , c.v.d.
Per dimostrare poi che ogni elemento v della catena Oo(w) è
contenuto in c/I(N), cioè che
Oo (w) 3 c/I(N),
applichiamo di nuovo l'induzione completa, cioè il corrispettivo del
teorema 59 per il e per la rappresentazione O. Infatti
p. l'elemento w è = c/I(l), e quindi è contenuto in c/I(N).
a. Se v è un elemento comune alla catena Oo (w) e al sistema c/I(N),
O(c/I(no)) = 9(00(c/I(n))),
e dato che per 127 e 75
O(c/I(no)) = c/I(n� )
CHE COSA SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 1 13
ne risulta
�(n�) 90(�(n ' )),
=
III. wn l = ww n
e la sua esistenza è assicurata dal teorema 126.
Se, inoltre, il suddetto collegamento tra gli elementi è tale che per
elementi fL, 1/ , w qualsiasi si ha sepre W (l/fL) = (Wl/) fL, allora valgono
i teoremi
wn l= wnw, wm wn = wnwm ,
la cui dimostrazione si ottiene per induzione completa (80) e può
essere lasciata al lettore.
La precedente considerazione generale trova applicazione imme
diata nell'esempio seguente. Sia S un sistema di elementi qualsiasi e
sia n il corrispondente sistema che ha per elementi tutte le rappre
sentazioni 1/ di S in se stesso (36); allora, per 25, gli elementi di n si
possono sempre comporre dato che v(S) 3 S e che la rappresenta
zione Wl/ composta dalle rappresentazioni 1/ e w è ancora elemento di
n
n. Allora anche tutti gli elementi w sono rappresentazioni di S in se
stesso, e si dice che derivano dalla rappresentazione w per ripeti
zione. Vogliamo ancora mettere in rilievo una semplice connessione
tra tale concetto e il concetto della catena wo(A) definito in 44, dove
A indica ancora una parte qualsiasi di S. Se, per brevità, denotiamo
con An l'immagine wn(A ) generata dalla rappresentazione wn , allora
CHE COSA -SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 115
esso vale anche per il numero successivo n ' , c.v.d. Avendosi poi, per
45, A 3 wo(A), segue da 10 che anche il sistema K composto di A e di
tutte le immagini A n è una parte di wo(A). Inversamente, dato che,
per 23, w(K) è composto di w(A) A l e di tutti i sistemi w(A n) = A n',
=
�. O = 90 (w)
y. w non è contenuto in 9 ( 0 )
8 . La rappresentazione 9 è simile.
Sia ora � la rappresentazione della serie numerica N definita in 126;
allora da � e da 128 segue
�(N) = O;
per 32, ci rimane soltanto da mostrare che � è una rappresentazione
simile, vale a dire (36) che a numeri m, n diversi corrispondono
1 16 SCRI1TI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
<p(N) il .
=
I. <\1(1\1) 3 N;
per determinare completamente <\I resta da scegliere a piacere
l'elemento w da n, ossia da N. Se prendiamo w = 1 evidentemente <\I
diventa la rappresentazione identica (2 1) di N perché in generale le
condizioni
<\1(1) 1, <\I(n ' ) (<\I(n)) '
= =
numero successivo n ' , allora m ' + n = m +p, quindi anche (m ' + n) '
= (m +p) ' , da cui (per III in 135) segue m ' +p = m +p ' ; quindi il
teorema vale anche per il numero successivo p, c.v.d.
137. Teorema. m ' + n = (m + n) ' .
La dimostrazione segue da 136 e da III in 135.
138. Teorema. 1 + n = n ' .
Dimostrazione per induzione completa (80) . Infatti,
p. per II in 135 il teorema è vero per n = 1.
a . Se il teorema vale per il numero n e s i pone n' = p, allora 1 + n
= (n + m) ' , ossia, per III in 135, m + n ' = n + m ' , e quindi (per 136)
m + n = n ' + m; pertanto il teorema vale anche per il numero
'
per il numero successivo n ' . In effetti, se l > n ' , allora, per 9 1 e 95,
l> n e quindi esiste un numero k che soddisfa la condizione 1= k + n;
siccome tale numero, per 138, è diverso da 1 (altrimenti sarebbe
l= n ' ) esso è, per 78, l'immagine m ' di un numero m, e quindi 1 =
m ' + n, ossia, per 136, l = m + n ' , c.v.d.
mn + m = nm + m,
cioè (per ID in 147 e 148) mn ' = n ' m, quindi il teorema vale anche
per il numero successivo n ' , c.v.d.
1 5 1 . Teorema. l(m + n) = lm + ln.
Dimostrazione per induzione completa (80). Infatti,
p. per n in 135, ID in 147 e n in 147, il teorema è vero per n = 1 .
a. Se il teorema vale per un numero n, allora
am + n . a = (am • an)a,
ma per III in 155 e III in 135, si ha am + n . a = im + n) I = am + n I , e per
CHE COSA SONO E A CHE COSA SERVONO I NUMERI? 123
c.v.d.
157. Teorema. (amt = am n .
Dimostrazione per induzione completa (80). Infatti,
p. per II in 155 e II in 147, il teorema è vero per n = 1 .
a . Se il teorema vale per un numero n, allora
(amt . � = am n . am;
ma per III in 155, (amt . am = (amt I , e per 156 e III in 147 am n .am =
amn + m = amn ; pertanto (amt I = amn , cioè il teorema vale anche
'
zione simile di Zn, allora, per 105 e 108, è possibile estendere tale
rappresentazione a una rappresentazione simile � di Zn ' ponendo
�(n ' ) y, e si avrà precisamente �(Zn') = r, c.v.d.
=
III in 135) = m + n ' ; ma dato che evidentemente, per 15, ID? (1: , y) =
ID? (A , B,y) = ID? (A , r), il numero di elementi di ID? (A , r) è m + n ' ,
c.v.d.
169. Teorema. Siano A , B sistemi finiti rispettivamente di m e n
elementi, allora ID? (A , B) è un sistema finito, e il suo numero di
elementi è S m + n.
Dimostrazione. Se B 3 A, allora ID? (A, B) A , e il numero m di
=
[32 La parola superare è sottolineata nel manoscritto. Cfr. più sotto la rispo
sta di D.]
DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E L1PSCHITZ 131
rapporto tra la diagonale del quadrato e il lato non è quello tra due
numeri interi. Dunque, una volta assunta l'esistenza di rapporti che
non sono razionali, per eseguire le operazioni fondamentali del
calcolo con tali rapporti è sufficiente la definizione euclidea di
uguaglianza tra rapporti, e in sostanza è questo ciò che Lei . realizza
col Suo Principio.
Certo, Lei obietterà che per derivare l'esistenza di un rapporto
non Le basta una costruzione geometrica. A ciò rispondo così: lo
spirito umano ha attinto la forza che oggi possiede soprattutto dalla
pratica della geometria. Per millenni il rigor geometricus è valso come
il criterio supremo. Se ora noi imponiamo altri criteri lo dobbiamo
in gran parte alla pratica della geometria, e per ora tali criteri non
sono materialmente diversi [da 'F ello]. Chi non vuoI dire che la
diagonale di quel quadrato = ";2 non può neanche negare che
(m/n)2 = 2 è impossibile per m ed n interi, e deve ammettere che le
diseguaglianze
(m/n) 2 - 2 > O e (m/n) 2 - 2 < O
possono esser soddisfatte con qualsivoglia precisione. Anche questo ce
lo hanno insegnato gli antichi, e la Sua definizione di sezione ha forse
un contenuto diverso? lo credo di no. Quanto alla completezza del
dominio da Lei menzionata, che si deduce dai Suoi Princlpi, essa di
fatto coincide con la proprietà fondamentale senza la quale nessun
uomo può rappresentarsi una retta. I Suoi teoremi esprimono
unicamente cose che risultano necessariamente dal calcolo con le
diseguaglianze e che sono state utilizzate da chiunque abbia calcolato
con le diseguaglianze sapendo ciò che faceva.
Anche il calcolo coi logaritmi presuppone necessariamente che
quei concetti siano stati chiariti nel modo più completo, e devo
136 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
[34 Lipschitz, R., Lehrbuch der Analysis, Cohen, Bonn 1 877- 1 880.]
DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E L1PSCHITZ 137
non riesco a vedere nulla che non va anche se diciamo, per esempio,
che cercare ..fi vuoI dire cercare un numero il cui quadrato differi
sce quanto si voglia poco da 2, e così si dimostra anche che
..fi . V3 = V6». Per cominciare, non mi pare corretto che qui si
definisca, più che il risultato dell'operazione, l'operazione stessa; mi
sembra meglio definire la somma come un numero completamente
determinato mediante gli addendi, piuttosto che definire l'!1ggiun
gere; questo già nei numeri razionali. Ora, però, pensa a uno
studente che ha ben compreso l'aritmetica razionale e al quale il
professore ha dimostrato in modo pedettamente rigoroso che ..fi,
V3, V6 non esistono; non rimarrebbe confuso se a un certo punto g! i
si cominciasse a parlare di ..fi, anzi, neppure di ..fi ma di cercare v2?
Prima ha imparato, nell'aritmetica razionale, a collegare con la
parola 'prodotto' una ben determinata rappresentazione; può ora ca
pire il segno ..fi . V3? Mi sembra che sia molto più semplice afferrare
il fenomeno di una 'sezione', nel quale egli può stabilire senza alcuna
incertezza per tutti i numeri razionali, a lui così ben noti, se cadono
in una classe o nell'altra; pochi esempi basteranno a chiarirgli
completamente l'essenza del fenomeno; un concetto così preciso sarà
un beneficio per il suo pensiero, ed egli non farà resistenza ad
accettare che quel fenomeno sia utilizzato per introdurre nuovi
numeri: tante sezioni, altrettanti numeri. Anche la definizione della
somma, della differenza, ecc., tra i nuovi numeri si può formulare
molto semplicemente. Tu certo desideri che gli studenti imparino a
maneggiare ..fi, V3, ecc.; e allora vuoi che essi continuino sempre a
vederci dei simboli di un computo per approssimazione? o non ti
sembra meglio che ci vedano dei simboli per nuovi numeri completa
mente equiparabili ai vecchi? Quale di queste due rappresentazioni
favorirà maggiormente un pensiero preciso e sicuro? Quale eserciterà
meglio la loro mente? Ma su questo punto è troppo difficile trovare
un accordo per lettera.
Tu chiedi anche della mia ricerca sui primi princìpi dell'aritme
tica, « Was sind und was sollen die Zahlen? ». Per ora dorme, e mi
chiedo se sarà mai pubblicata; è ancora allo stato rudimentale di
abbozzo, e reca il motto: « Nella scienza non si deve credere senza
dimostrazione a ciò che è dimostrabile ». La questione fondamentale
è la distinzione tra contabile e non contabile, e il concetto di quantità
numerica, e il fondamento della cosiddetta induzione completa. [ ... ]
[36 Cantor, Gesammelte Abhandlungen, Springer, Berlin 1932, pp. 1 19- 133.]
DALLA CORRISPONDENZA TRA DEDEKIND E WEBER 145
[37 Weber riprende proprio queste parole della lettera di D nel suo « Elementare
Mengenlehre » Uahresbericht der deutschen Mathematiker- Vereinigung, 15 ( 1906),
p. 173).]
146 SCRITrI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
(Brauschweig, 1 888) 3 8 . Sono molto lieto che in essa si parli del mio
scritto tutto sommato positivamente, ma devo oppormi con deci
sione a tutti i miglioramenti e le correzioni apportati da Keferstein,
infatti, a mio parere, essi poggiano soltanto su incomprensioni a cui
il mio scritto, se letto con cura, non può assolutamente dar adito. Se
si volessero adottare questi miglioramenti e queste pretese corre
zioni, di un edificio che a me pare costruito a regola d'arte,
perfettamente compatto in tutte le sue parti, incrollabile, non
resterebbe che un cumulo di macerie, del tutto inutilizzabile, come
mostrerò più avanti, per edificare la scienza dei numeri. Questo lo
avrebbe riconosciuto subito Keferstein stesso se avesse prima di tutto
tentato seriamente di edificarla sulle basi da lui consigliate. Trala
sciando le questioni di dettaglio, mi limito a contestare tre punti
fondamentali.
I
Per prima cosa considererò le seguenti parole di Keferstein
(p. 123, r. 3 1 ; p. 124, r. 3):
« Per ottenere la successione infinita dei numeri Dedekind inizia
identico) a una sua parte propria, e che questo fosse il mio scopo. Ma,
come giustamente dice Keferstein, tale uguglianza contraddice im
mediatamente il concetto di parte propria (D. 6) , quindi non so
spiegarmi come egli abbia potuto attribuirmi un errore così mador
nale. In realtà, la definizione di sistema infinito (D. 64), che del resto
Keferstein riferisce correttamente sopra, dice qualcosa di molto
diverso: ciò che bisogna dimostrare non è l'identità (uguaglianza) tra
S e una parte propria di S, ma la similitudine. Cosa vuoI dire che due
sistemi sono simili è detto chiaramente nelle definizioni 32, 36 del
mio scritto ed è riferito fedelmente da Keferstein in un passo
precedente quello citato sopra (p. 122, rr. 5-13), perciò è inutile
ripeterlo qui. Invece, il mio teorema 66 e la sua dimostrazione sono
formulati letteralmente così:
« 66. Teorema . Esistono sistemi infiniti.
« Dimostrazione. Il mondo dei miei pensieri, cioè la totalità S di
tutte le cose che possono essere oggetto del mio pensiero, è infinito.
Difatti, se s indica un elemento di S, allora il pensiero s ' che s può
essere oggetto del mio pensiero è esso stesso un elemento di S. Se si
considera s ' come immagine cp(s) dell'elemento s, allora la rappre
sentazione cp di S determinata in tal modo ha la proprietà che
l'immagine S' è una parte di S; e anzi, S ' è parte propria di S, dato
che in S vi sono elementi (per esempio, il mio proprio io) diversi da
ogni pensiero s ' del genere, e quindi non contenuti in S ' . Infine è
chiaro che se a, b sono elementi diversi di S anche .le immagini a ' ,
b ' saranno diverse, cioè cp è una rappresentazione distinta (simile)
(26). Dunque S è infinito, c.v.d. ».
Questa dimostrazione io la ritengo rigorosamente corretta. Qui
la riesporrò solo per fornire un commento, ma senza aggiungervi
alcunché di nuovo. Anzitutto, nella dimostrazione è definita una
determinata rappresentazione del sistema S; a ogni elemento s di S
corrisponde, come sua immagine s ' = cp(s), il pensiero (da espri
mersi sotto forma di un'asserzione, di un giudizio): questo elemento
s può essere oggetto del mio pensiero. Ora, però, questo pensiero s '
può esso stesso diventare oggetto del mio pensiero (per esempio,
posso pensare, di questo pensiero s ' , che è evidente, o che possiede
un soggetto e un predicato, eccetera), quindi anche s ' è elemento di
S (per la definzione di S), e quindi l'immagine S ' = cp(S) è parte di S
(cioè, S è rappresentato in se stesso da cp). Secondariamente: il mio io
può essere oggetto del mio pensiero, e quindi è elemento di S; ma il
mio io non è certo un pensiero (non è un giudizio esprimibile come
un'asserzione, con determinati soggetto e predicato), quindi è di-
1 50 SCRITTI SUI FONDAMENTI DELLA MATEMATICA
II
Liquidato il primo punto, passo ora alle parole che Keferstein fa
seguire immediatamente a quelle riferite sopra (p. 124, rr. 3-6):
« Respinta quella definizione di sistema infinito, ci atteniamo a
quest'altra (D. 64, nota): S si dice infinito se esiste una parte propria
di S in cui S può essere rappresentato in modo simile ».
A questo devo osservare che, come risulta chiaramente dalla nota
a 64, le due definizioni in questione di insieme infinito non
presentano altra differenza che la seguente: la definizione data nel
testo (D. 64) utilizza il concetto di sistema simile (D. 32), mentre la
seconda definizione evita quel concetto, quel termine tecnico, e
semplicemente lo sostituisce con il contenuto della definizione stessa
(D. 32). Naturalmente, questa differenza tra le due definizioni non
tocca il concetto stesso, e anche la forma esteriore la tocca unica
mente in rapporto all'impiego nel testo del termine tecnico, e in
questo è talmente insignificante che tutto ciò che si può .derivare da
una definizione segue immediatamente anche dall'altra. Se ci si'
persuade di questo, e non vedo come si possa non persuadersene,
allora stupisce che Keferstein, con le parole sopra riferite, contrap
ponga cosÌ nettamente le due definizioni, al punto da respingere
l'una e accettare l'altra, e questo conferma la mia ipotesi che
Keferstein intenda la definizione fornita nel testo (64) in un senso del
tutto particolare che, come risulta dalle spiegazioni precedenti, non
le appartiene affatto. Ma quale sia questo senso, non riesco a
indovinarlo.
A proposito di definizioni diverse, colgo qui l'occasione per
attrarre l'attenzione su un fenomeno piuttosto notevole; esso non si
ricollega immediatamente con la presente discussione, ma a mio
parere merita ampiamente di suscitare l'interesse degli studiosi di
logica o di teoria dei numeri a cui piace penetrare nel cuore dei
DALLA COllRISPONDENZA TRA DEDEKIND E KEFEIlSTEIN 151
III
Prosegue Keferstein (p. 134, rr. 6-14):
« Da ciò si deriva immediatamente la seguente forma leggermente
modificata della definizione di Dedekind di sistema semplicemente
infinito: Un sistema N si dice semplicemente infinito se esiste una
rappresentazione simile di N in se stesso tale che cp (N) non contiene
uno e un solo elemento di N. Questo elemento, che nel seguito
indicheremo col simbolo 1, lo chiamiamo l'elemento fondamentale di
N, e diciamo che il sistema semplicemente infinito N è ordinato
mediante la rappresentazione cp ».
Per cominciare torno su un argomento già discusso. Dopo che
Keferstein (come si è detto nel punto I) qualifica come un fallimento
la mia dimostrazione dell'esistenza di un insieme infinito (D. 66) e,
per lo meno a quanto mi sembra, addossa alla mia definizione di
infinito contenuta nel testo (D. 64) la responsabilità del fallimento,
quel che ci si aspetterebbe è quanto meno che egli fornisca una sua
dimostrazione basata sulla seconda definizione (D. 64, nota), quella