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Publications de l'École française

de Rome

Cerimoniale e diplomazia pontificia nel XVII secolo


Stefano Andretta

Riassunto
Lo sviluppo della diplomazia pontificia nell'ultimo trentennio del XVI e nella prima metà del XVII secolo ebbe come
conseguenza, tra le altre, quella di una maggiore attenzione verso il cerimoniale che vide accrescere la sua complessità rituale
e simbolica. Roma occupò un posto di primo piano nella trattatistica e nella letteratura specializzata sull'argomento. L'apparato
diplomatico papale, con la sua doppia veste di rappresentanza in temporalibus et in spirìtualibus, si trovò a dover affrontare le
nuove esigenze imposte dalle strategie papali di internazionalizzazione del proprio intervento e della stessa curia, dal
modificarsi del contesto politico e dei fondamenti giuridici che regolavano i rapporti tra le nazioni europee. Il contributo analizza
gli sforzi, i limiti e le contraddizioni di tale processo soprattutto nelle missioni di intermediazione internazionale e nel delicato
rapporto con il mondo protestante.

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Andretta Stefano. Cerimoniale e diplomazia pontificia nel XVII secolo. In: Cérémonial et rituel à Rome (XVIe-XIXe siècle) Rome
: École Française de Rome, 1997. pp. 201-222. (Publications de l'École française de Rome, 231);

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Jol

STEFANO ANDRETTA

CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTIFICIA


NEL XVII SECOLO

1. In termini quantitativi, e fors'anche qualitativi, è indubbio


che la diplomazia pontifìcia, analogamente a quella di molti altri
stati europei, conobbe, nell'ultimo trentennio del XVI e durante la
prima metà del XVII secolo, una fase di particolare slancio1. In
questo dinamismo, dalle molteplici ragioni religiose, politiche e buro-
cratiche, l'accrescimento dell'attenzione e della sensibilità verso
l'importanza del cerimoniale diplomatico furono il riconoscimento
di una cornice attraverso la quale si esplicitavano le funzioni proprie
dei nunzi nei rapporti con le strutture statuali moderne; ovvero con
realtà di fatto che andavano consolidando e movimentando la
propria identità e i propri codici relazionali sulle difficoltà
dell'universalismo papale nonché sulle ceneri dell'idea e della realtà imperiale.
Nel caso romano, il cerimoniale, tradizionalmente costituito da
un complesso di norme antiche e successive, legate al paradigma
rituale-religioso, si dovette misurare con convenzioni e
comportamenti formali che identificavano figure giuridiche e gerarchle
fondate su un diverso sfondo, in cui il carattere rituale-civile risultava
predominante. Fu perciò necessario adattare porzioni della sfera ce-
rimonialistica (e di etichetta) ad un modello più consono a
legittimare la cittadinanza del papato nel «concerto» delle nazioni e degli
Stati che si erano imposti nel corso del Seicento come i veri soggetti
per l'edificazione dell'ordine e dell'equilibrio europeo. E ciò non
soltanto per l'emergere di una solida teorizzazione dello ius gentium
ma per un appannamento, nel corso del secolo, delle giustificazioni
confessionali, a cui si sostituivano motivazioni ideali ed egemoniche
basate su progetti politici forti in un'atmosfera seicentesca segnata
dalle guerre, dalla ridefinizione di equilibri geopolitici, dall'emerge-
re della leadership francese, dallo sfaldamento dell'Impero germani-

1 Cf. con tesi notoriamente diverse per molti aspetti ma convergenti per ciò
che riguarda l'ampliamento e l'affinamento degli strumenti diplomatici : P. Blet,
Histoire de la représentation diplomatique du Saint-Siège des origines à l'aube du
XIXe siècle (Collectanea Archivi Vaticani, 9), Città del Vaticano, 1982, p. 275-398 e
P. Prodi, La diplomazia nel Cinquecento. Istituzioni e prassi, Bologna, 1963; Id., Il
sovrano pontefice, Bologna, 1982, soprattutto le p. 295-344.
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co e dal consolidamento delle realtà riformate, e, infine, dalla


progressiva affermazione pratica di un originale diritto internazionale
ancorato al pensiero di Ugo Grozio.
Il processo di internazionalizzazione e il conseguente
affinamento dell'organizzazione diplomatica curiale aveva le sue radici
nel periodo preconciliare. La traumatica vicenda del sacco di Roma
del 1527 rivelò la debolezza romana e la sproporzione di una
strategia di scontro frontale con l'autorità secolare rispetto alle forze
effettive di cui poteva disporre il papato in termini politico-militari. Sulla
base di quella esperienza vi fu una riconsiderazione dell'essenzialità
dell'istituzione diplomatica pontificia : Paolo III, in particolare, si
adoperò fortemente per impostare la questione e nel rilanciare il
ruolo di mediazione della Santa Sede (Nizza, Lucca, Busseto, Cré-
py). Durante il pontificato farnesiano, il papa e i suoi nipoti fecero
un uso molto politico del personale diplomatico inseguendo una
strategia che venne suggellata dall'edificazione di un ducato
familiare nell'Italia centrale. Si attuò nel frangente una sapiente regia
politica che conteneva ancora elementi di corte e grazie alla quale i
Farnese furono in grado di sostenere un disegno politico anche in
condizioni particolarmente complesse e difficili2.
Paolo III riuscì a far coincidere l'interesse familiare con le
pressioni e l'esigenza di una riforma che fece del nunzio un soggetto
pastorale di sorveglianza e di controllo in una forma, per così dire,
vicariale del pontefice che veniva rappresentato a tutto tondo nella
sua potestà di capo di Stato. Come conseguenza di questa azione
papale si può riconoscere il sostanziale dissolvimento della
separazione tra funzioni essenzialmente ecclesiastico-pastorali e di collettoria
con quelle di rappresentanza diplomatica vera e propria. Questa
tendenza costituì un momento particolarmente alto di quella
progres iva omologazione, come è stato osservato, alla figura del diplomatico
secolare3. Questo intreccio di mansioni, ad esempio, è rawisabile in
quelle che saranno le modalità concrete della legittimazione del
nunzio in relazione alla concessione delle lettere credenziali sino
alla delega di alcune facilitates per l'esercizio della potestà spirituale
anche in ambiti delicati come la possibilità absolvendi ab haeresi op-

2 Cf. C. Capasso, Paolo III (1534-1549), voli. 2, Messina, 1924.


3 Ci riferiamo ancora alle considerazioni di P. Prodi che, analizzando, a
nostro avviso in modo convincente, le sorti della figura del legato papale dal XV
secolo al XVII secolo, giunge alla conclusione che lo «Stato pontifìcio ha seguito
l'evoluzione generale degli altri Stati d'Europa, la diplomazia papale presenta
durante l'età moderna uno sviluppo per molti lati analogo a quello della diplomazia
degli altri Stati secolari», cfr. : Prodi, La diplomazia..., op. cit., p. 133.
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pure di sciogliere un voto, ο ancora di permettere la lettura di libri


proibiti4.
Il Concilio di Trento divenne poi, su un terreno già ben
predisposto dall'incontestabile realtà di aver consumato in Europa la
lacerazione confessionale, l'occasione per una valorizzazione delle
incombenze politico-religiose. Le decisioni conciliari accentuarono il
ruolo politico dei legati e dei nunzi e li destinarono ad un
dinamismo diplomatico che fondeva insieme la gestione del grande
progetto di una massiccia riorganizzazione della Chiesa (e l'applicazione
dei decreti tridentini) e la definizione delle alleanze politiche ma,
inevitabilmente, anche la configurazione di un rapporto giurisdizio-
nale con il potere civile : questi nuovi compiti finirono per relegare
in secondo piano molte mansioni tradizionali legate ad aspetti
pastorali, per le quali il baricentro naturale tornava ad essere il
vescovo, in qualità di responsabile e visitatore diocesano.
Il passo successivo fu l'ampliamento delle nunziature
permanenti grazie a Gregorio XIII, che portò a tredici il loro numero,
assicurando così una continuativa e qualificata presenza nelle principali
corti europee. E, quindi, soprattutto a partire da Clemente Vili5
negli ambienti romani, nell'ambito di un vasto movimento che -
almeno per ciò che concerne l'Europa - più che universalistico era
piuttosto internazionale, prese corpo uno spiccato sostegno delle
strutture diplomatiche : infatti, con Paolo V decolleranno il peso
istituzionale e la fisionomia politica della segreteria di Stato come
cuore sovente dell'attività estera; e, infine, le attività diplomatiche
toccheranno il loro apice nel pontificato di Urbano VILI. Tutto ciò
ebbe una ripercussione nel coordinamento e nell'organizzazione
delle nunziature e degli aspetti logistici necessari all'e^)letamento
dell'informazione diplomatica sin negli aspetti più minuti6. Insom-
ma, la Santa Sede visse a lungo una stagione di irradiazione politica
in difesa delle proprie prerogative nella speranza di far coincidere

4 M. Olivieri, Natura e funzioni dei legati pontifìci nella storia e nel contesto
ecclesiologico del Vaticano II, Città del Vaticano, 1982, p. 120 sq.
5 Un significativo colpo d'occhio dell'attività dei nunzi e dei legati pontifìci si
può avere in : K. Jaitner, Die Hauptinstruktionen Clemens' Vili, für die Nuntien
und Legaten an den europäischen Fürstenhöfen (1592-1605) , voll. 2, Tübingen,
1984; e nel volume a più voci : Das Papsttum, die Christenheit und die Staaten
Europas (1592-1605), a cura di G. Lutz, Tübingen, 1994.
6 Persino per la compilazione degli avvisi venne indicata una normativa per i
segretari del nunzio per la «prattica nell'anticamere», Γ« intelligenza nelle poste»,
la «continuatione affilata» e la «ritrattatione veridica» dei resoconti, sul «parlare
obliquo disimpegno del nuntio» e sul «non discorrere ma puramente avvisare».
Cf. K. Repgen, Zur Diplomatik der Nuntiaturberichte. Dienstvorschrift für das
Abfassen von Avvisi aus dem Jahre 1639, in Römische Quartahchrift für christliche
Altertumskunde und Kirchengeschichte, 49, 1954, p. 123-126.
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interessi confessionali e curiali. In quest'opera, la corte romana da


«sostanzialmente italiana e principesca», come è stato detto in una
importante rassegna sulla Roma nell'età moderna7, dopo una
progressiva burocratizzazione iniziata in epoca postconciliare8 si
avviava dunque nel corso del Seicento a diventare, pur non risolvendo
tutte le sue contraddizioni, il soggetto di una politica statuale
matura.
Questa maturazione venne confermata dalla successione delle
iniziative politiche che impegnarono la corte pontificia nell'ultimo
decennio del XVI secolo e nella prima metà del Seicento : la volontà
di lavorare per una visibilità internazionale in sostegno di una
politica catholica in Europa e una crescente mentalità giurisdizionalista
fecero comprendere come il problema della costruzione di
strumenti idonei a rappresentare la monarchia pontificia e i suoi interessi
generali fosse ormai consapevolmente posto. È difficile non
riconoscere infatti l'importanza dell'attività diplomatica nell'opera di
reperimento di risorse umane e materiali per dare corpo ad una vivace
politica estera : una politica inaugurata con l'intervento militare in
Francia (1591-1593) al seguito delle truppe di Alessandro Farnese,
con il ruolo svolto nell'accordo di Vervins (1598), con
l'organiz azione delle tragiche spedizioni contro le armate ottomane in Ungheria
e Croazia (1595-1601), ossessivamente perseguite da Clemente Vili9,
sino alla difficile e delicata questione dell'intermediazione armata
tra la Francia e la Spagna per la custodia dei forti in Valtellina(1623-
1627) conclusasi in modo assai deludente per la Santa Sede con il
trattato di Monzone. Così come altrettanto incalzante fu la strategia
pontificia nelle più modeste, ma non per questo insignificanti dal
punto di vista dell'affermazione del primato romano, guerre
italiane : dall'umiliazione della casa estense durante la devoluzione del
ducato di Ferrara (1598)10, al concepimento di un piano militare
durante l'Interdetto scagliato contro Venezia (1605-1606)11, sino alle
guerre di Castro (1641-1649) conclusesi con la distruzione completa
della piazzaforte farnesiana.

7 M. Pellegrini, Corte di Roma e aristocrazie italiane in età moderna. Per una


lettura storico-sociale detta curia romana, in Rivista di storia e letteratura religiosa,
XXX, 1994, n. 3, p. 543-602.
8 Cf. G. Fragnito, Le corti cardinalizie netta Roma del Cinquecento, in Rivista
storica italiana, a.CVI, fase. I, 1994, p. 5-41.
9 Cf. P. Bartl, Der Türkenkrieg : Ein zentrales Thema der Hauptinstruktionen
und der Politik Clemens' VIII. , in Das Papsttum..., op. cit., p. 67-76.
10 Cf. Β. Barbiche, La politique de Clément VIII à l'égard de Ferrare en
novembre et décembre 1597 et l'excommunication de César d'Esté, in Mélanges
d'archéologie et d'histoire, 74, 1962, p. 289-328.
11 Arch. Vat., Fondo Borghese, s. Π, η. 48, Discorso del sig. Mario Farnese
generale di S.R.C., cc. 27r-32r.
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2. Su un piano diverso rispetto a queste vicende si manifestò


una infervorata pubblicistica che, per tutto il secolo, non smetterà di
occuparsi di una teorica della diplomazia come forma di relazione
tra gli stati e di mettere ordine nei dettami di un cerimoniale in
perenne modificazione, strumento ormai necessario al personale
diplomatico per entrare in sintonia con le abitudini e le gerarchle dei
governi. L'indiscussa fortuna della trattatistica sull'ambasciatore e
sul cerimoniale di corte, specie in Italia, che si riteneva a torto ο a
ragione la più autorevole depositarla di una tradizione
cinquecentesca12, si sviluppava su una materia, per la verità, non sempre
distinguibile e dai confini assai sfumati. Era normale imbattersi, accanto
alle consuete raccomandazioni sulle qualità e virtù del personale
diplomatico, in una certa confusione descrittiva in cui la «cerimonia»,
l'etichetta e la mansione diplomatica risultavano poste sullo stesso
piano; tuttavia, il successo riscosso da questo genere di trattati
rivelava un crescente affinamento dell'arte diplomatica ed evidenziava il
superamento di una visione di «uomo di corte» ο di «rango
ecclesiastico» per sostituirla con la preoccupazione di riconoscere
un'autonomia alla funzione di diplomatico e al cerimoniale come ambiti e
spazi codificati per operare secondo norme universalmente
credibili13.
In questa letteratura, per la sua valenza simbolica, non poteva
certo mancare Roma. In due dei trattati più utilizzati negli anni
venti del XVII secolo, Federico de Marselaer nel suo Legatus,
ampliamento del suo KHRYKEION pubblicato ad Anversa nel 161814,
indugiava sulle caratteristiche delle diverse sedi europee15 ivi compresa
quella apostolica; così Juan Antonio de Vera, autore del celebre e
fortunato trattato El embaxador, che conoscerà parecchie traduzioni
francesi (Le parfait ambassadeur) e italiane (Idea del perfetto amba-
sciadore), si soffermava nel quarto discorso sulle istituzioni
diplomatiche proponendone un panorama europeo in cui Roma
esercitava un ruolo di primo piano16.
Si trattava di significativi prototipi di un intenso lavoro sui
risvolti della composizione diplomatica e delle sue esigenze formali e
sostanziali, che proseguirà per tutto il secolo, i cui frutti vennero

12 Cf. G. Mattingly, Renaissance Diplomacy, Cambridge, 1955.


13 Ibid., p. 211-222. E per una visione d'insieme sulla trattatistica sino al 1626
cf. il datato ma utile lavoro bibliografico di V.E. Hrabar, De legatis et legationibus
tractatus varii, Dorpat, 1906.
14 Frederici de Marselaer, KHPYKEION sive Legationum insigne, Anversa,
apud Guil. a Tongris, 1618.
15 Frederici de Marselaer, Legatus, Anversa, 1626, p. 119-139.
16 J. A. de Vera, El ambaxador, Siviglia, por Francisco de Lyra, 1620
(ristampa anast., a cura di J.M. Lopez Balboa, Madrid, 1947), p. 74-102.
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raccolti nel tardo Seicento e soprattutto nei primi decenni del


Settecento.
Il riferimento d'obbligo è ad Abraham de Wicquefort che, poco
prima di morire nel 1682, aveva portato a termine le Mémoires
touchant les ambassadeurs et les ministres publics (Colonia, Pierre du
Marteau, 1676) trattato decisivo per la definizione dell'immunità
diplomatica e dei problemi relativi alle «precedenze»; e, ad uso di
intere generazioni di diplomatici, la fondamentale opera
L'ambassadeur et ses fonctions (Colonia, Pierre de Marteau, 1690) in cui
venivano analizzate e codificate le caratteristiche della funzione
diplomatica. D secondo testo che merita di essere menzionato, in
questa breve ricostruzione di genere, è il Corps universel
diplomatique^ la monumentale fatica di Jean Dumont che, insieme a Jean
Barbeyrac (1674-1744) e a Jean Rousset de Missy (1686-1762)
raccoglieva la fioritura dei lavori di giuristi e pubblicisti, compilatori di
cerimoniali, collazionatoli a vario titolo di materiali diplomatici e di
trattati, di costumi e consuetudini nelle ambasciate ecc.18
Il Corps universel diplomatique ebbe un suo significativo
supplemento dedicato specificatamente al cerimoniale diplomatico delle
corti europee19 il cui chiaro intento era quello non solo di coronare
post mortem il sogno di Wicquefort, che aveva inseguito una silloge
del genere tutta la vita, ma di offrire uno strumento in grado di illu-

17 J. Dumont, Corps universel diplomatique du droit des gens, contenant un


recueil des traitez d'alliance, de paix, de trêve, de neutralité, de commerce, d'échange,
de protection et de garantie, de toutes les conventions, transactions, pactes,
concordats et autres contrats, qui ont été faits en Europe, depuis le regne de l'empereur
Charlemagne jusques à présent avec les capitulations impériales et royales... les
droits et les intérêts des princes et états de l'Europe . . ., à La Haye, chez P. Husson et
Ch. Levier, 1726-1731. L'opera era composta di otto tomi a cui se ne aggiunsero
negli anni a seguire altri cinque di Supplementi.
18 Costoro furono quasi tutti personaggi perseguitati dalle biografie difficili :
intellettuali di spessore molto diverso tra loro, furono frequentatori dei paesi
dell'Europa settentrionale, attratti dal dibattito sul diritto delle genti e sul principio
di tolleranza, e approdarono provvisoriamente ο definitivamente in Olanda.
Questo fu il caso di Jean Dumont, pubblicista, organizzatore di corsi di diritto in
Olanda, morto a Vienna nel 1726 e storiografo dell'imperatore ed anche del
collaboratore e continuatore del Corps Jean Rousset de Missy (1686-1762). Costui, un
classico awenturiero della penna dai spiccati sentimenti antifrancesi, aveva
avuto in tenerissima età la vita sconvolta dagli effetti della revoca dell'editto di
Nantes, e in Olanda era divenuto il proprietario del Mercure historique et politique
vivendo nella cerchia dei rifugiati, e schierandosi, con qualche guaio, a favore del
principe d'Orange. A sua volta Jean Barbeyrac (1674-1744), di famiglia ugonotta,
si ritirò in Svizzera dopo la revoca dell'editto di Nantes; professore a Berlino, Lo-
sanna, a Groningen si occupò sempre di diritto delle genti e diritto naturale, e fu
un apprezzato traduttore di Puffendorff e di Grozio.
19 Supplement au Corps universel diplomatique du droit des gens, t. IV, L'Aia,
1739.
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strare titoli, dignità, onori, preminenze, funzioni pubbliche dei


sovrani ο di coloro che esercitavano la sovranità, riti, incoronazioni,
battesimi, funerali, investiture, entrate pubbliche, udienze,
immunità e franchige degli ambasciatori, vertenze e dispute di rango e di
precedenza. Insomma uno straordinario strumento che sintetizzava
una massiccia tradizione diplomatica seicentesca, un risultato
nemmeno troppo criptico del credito conseguito dallo ius gentium, in cui
si può facilmente ritrovare in bella evidenza il cerimoniale papale.
La raccolta in questione fu opera del citato Rousset che di fatto
raccolse il meglio di quanti si erano occupati dell'argomento : in essa
furono utilizzate ampiamente le opere dei Godefroy, di Cristoforo
Marcelli, di Gregorio Leti, di Johann Christian Lünig e altri.
In queste opere, i cerimoniali di corte conservavano certo una
loro continuità terminologica ma indicavano, con il passare degli
anni, simboli e modalità comportamentali e rituali assai diversi,
innestati nelle strutture e nelle burocrazie degli stati di ancien régime,
dove il rispetto ο il rifiuto della formalità diveniva spesso un
messaggio esplicito di pacificazione ο di contesa non solo nella teoria ma
specialmente in una prassi politica sempre più carica di simbologia
cerimonialistica.

3. La figura del diplomatico pontificio non fu esente dalla


riflessione seicentesca a cui molto rapidamente si è accennato : inoltre,
all'enfasi cerimonialistica che regolò i rapporti diplomatici di tanta
parte del mondo barocco si sovrappose la doppia natura di carattere
temporale e spirituale del nunzio, che, nonostante la progressiva
aderenza alla figura del diplomatico secolare, vedeva pur sempre
convivere nella stessa persona la sorveglianza e la riorganizzazione
ecclesiastica da un lato e dall'altro la gestione dei rapporti con il
potere civile20. La coesistenza di doveri di rappresentanza in temporali-
bus et in spiritualibus conferiva naturalmente agli inviati del papa
un ruolo e un cerimoniale peculiari. Una questione che procurava,
ad esempio, qualche imbarazzo a Gasparo Bragaccia, monsignore
piacentino che, vivendo a Padova, aveva indirizzato le sue fatiche ai
giovani intenzionati ad intraprendere la carriera diplomatica per
divenire «l'imagine del suo Signore», e scritto a questo scopo uno dei
pochi e abbastanza fortunati trattati seicenteschi italiani
sull'ambasciatore. Egli, infatti, quando si trovò ad affrontare l'argomento
della diplomazia pontificia avvertì immediatamente la difficoltà di scri-

20 Cf. le ancora oggi illuminanti considerazioni sulle caratteristiche della


diplomazia pontificia di P. Prodi in La diplomazia..., op. cit., p. 128 sq.
208 STEFANO ANDRETTA

vere, in una Repubblica veneta oltretutto dominata dai «giovani» e


dalla personalità di Niccolo Contarmi, intorno ad ambasciatori così
anomali «li quali hanno per oggetto principalmente le cose divine
mescolate coll'humane»21. Con un'implicita ammissione della
delicatezza e dell'ossessività degli aspetti cerimoniali, dai nunzi si
pretendeva una maggiore attenzione nei comportamenti virtuosi e nella
pietà, nella saggezza come nella dignità «come rappresentanti il
maggior monarca dell'Universo, il vicario di Christo in terra, il
Padre e Pastore di tutti i fedeli, girano gli occhi piccioli e grandi et
osservano ciò che dicono et notano ciò che fanno»22.
La consapevolezza della particolare collocazione del legato non
scemò nemmeno successivamente, né tantomeno la coscienza della
peculiarità dell'origine dei suoi poteri : lo sosteneva con
convinzione, ad esempio, Gregorio Leti. Infatti, il celebre poligrafo,
personaggio quantomai inquieto e itinerante, dagli atteggiamenti sovente
megalomani e discutibili, però contemporaneamente esperto
conoscitore dei meccanismi delle corti, si preoccupò ben due volte di
illustrare i compiti e la pratica della diplomazia pontificia.
Indagatore morboso egli stesso, non solo di conclavi, di sindicati, di cardinali-
smi, di nepotismi, di puttanismi, di livelli e teatrì politici romani, ma
anche di ambasciate e cerimoniali annessi per gli incarichi ricevuti
dalla Repubblica di Venezia e dalla Francia, nel 1673 vi dedicava
nella seconda parte del suo Itinerario della corte di Roma (posto
peraltro all'indice il 6 marzo del 1674) un'ampia trattazione dal titolo
Delli legati apostolici et a latere23. In questa sezione dell'opera, l'auto-

21 G. Bragaccia, L'ambasciatore, Padova, appresso Francesco Bolzetta libraro


e dedicata ad Odoardo Farnese, 1627, p. 596.
22 Ibidem, p. 601. Considerato il clima teso dei rapporti tra la repubblica e il
pontefice, in modo propagandistico l'autore suggeriva anche l'uso della
dissimulazione e della duttilità nel comportamento diplomatico dei nunzi, perché
l'accordo tra il potere civile e quello ecclesiastico era da ritenersi indispensabile per
la stessa difesa della cristianità e del cattolicesimo minacciato. Scriveva a tal
proposito : «È verisimile che di simil modo di negotiare si tengano anco serviti i
Sommi Pontefici, li quali amando tutti li fedeli paternamente e singolarmente i
Prencipi, li quali conoscono esser anch'essi ministri di Dio nel governo temporale
delli popoli nelli loro stati et regni et perciò in molte cose deferir loro, salvi però
sempre i punti principali et essentiali della Apostolica superiorità, amano sopra
tutto che quelli intendano che non è costume né intentione della Santa Sede
Apostolica coll'eminenza concedutale da Dio sopra tutta la faccia della terra
abbassare l'altezza de' Principi et colla somma sua potestà togliere et circonscrivere
il diritto della loro giurisditione, ma più tosto desiderare che la potestà secolare
venga essaltata, accioché sia, come è tenuta, protettrice dell'ecclesiastica authori-
tà.», p. 607.
23 Gregorio Leti, Itinerario della corte di Roma ο vero teatro historico,
cronologico e politico della sede apostolica, dataria e canceUarìa romana, p. II, Valenza,
per Pietro Francesco Guerini, 1675, p. 105-192. Per intendere meglio la natura di
questa pamphlettistica può essere utile dare per esteso il titolo della seconda
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTTIFICIA 209

re aveva il inerito di operare e organizzare per iscritto un ampio


recupero di una letteratura tradizionale sulle cerimonie della corte
romana, con un metodo di lavoro e di analisi quasi ingegneristici in
cui la polemica antiromana e i pruriti diffamatori, nei quali l'autore
aveva ecceduto in altre sue opere, erano qui sovrastati dalla volontà
di descrivere nella loro importanza i simboli, le mansioni e i modi
propri dell'istituzione diplomatica. Egli riproponeva
sostanzialmente, con qualche significativo apporto personale, i lavori di Lunado-
ro24, di Martinelli25 e di Sestini26.
E non pago, Leti27, ritornò sulla materia dieci anni più tardi, nel
1685, ne II Cerimoniale historico e politico2*, opera dedicata al Re
Sole, da cui in vita ottenne denaro e benevolenza, affermando che i
legati «precedono incontrastabilmente tutti gli altri della Christianità,
poiché cedendo l'imperatore al papa e tutti gli altri all'imperatore si
rende per conseguenza la precedenza al papa sopra degli altri e si
burlino quanto voglino i protestanti». Queste affermazioni sulla
superiorità della precedenza papale - da collocare all'interno
dell'atteggiamento adulatorio di Leti rispetto a Luigi XIV, impegnato nello
sterminio e nell'espulsione degli Ugonotti (come ricorda lo Spini in
alcune pagine dedicate al Cerimoniale, «polpettone insopportabile»29
ad eccezione delle sue due ultime parti dove si segnala appunto il
vivo interesse per la normativa diplomatica degli Stati europei) - rap-

parte : Parte seconda nella quale si discorre dell'Origine, Progressi, Promotioni,


Titoli, Legationi, Precedenze, Fattioni, Ricchezze, Testamenti, Visite, Complimenti,
Processi, Punitioni, Rinoncie di Cappello, e modo di vivere de' Cardinali. Del
Conclave & Eledone. Degli Offici della Corte. Del Governo di Roma e Stato
ecclesiastico. Delle Funtioni e Cerimonie Papali. Delle Rendite e Spese della Cancelleria e
Dataria Apostolica e delle Massime di Stato.
24 G. Lunadoro, Relatione della corte di Roma, s.L, P. Frambotto, 1635.
L'opera fu peraltro falsamente attribuita allo stesso Leti, cfr. a proposito il pregevole
lavoro bibliografico di F. Barcia, Bibliografìa delle opere di Gregorio Leti, Milano,
1981, p. 542.
25 F. Martinelli, Roma ricercata nel suo sito, Venezia, 1664.
26 F. Sestini da Bibbiena, H maestro di camera, cf. le numerose edizioni sei-
centesche : la prima nel 1621 (Firenze, per Zanobi Pignoni) e l'ultima nel 1699
(Venezia, Tivanni). Inoltre, il trattato comparve anche inserito nella Relatione del-
h corte di Roma di Lunadoro.
27 Questa riflessione si pone nel solco di una riconsiderazione del Leti
suggerita da E. Nistri, Per una rilettura di Gregorio Leti, in Nuova Rivista storica, 1979,
p. 349-377.
28 G. Leti, Ceremoniale historico e politico, ο vero dilucidario, e guida al
carattere inviolabile di tutti Plenipotenziari, ambasciatori, inviati, deputati e residenti et
all'officio de i segretari in assenza de' rappresentanti e degli agenti, consoli e
commissarii, Amsterdam, per Giovanni & Egidio Janssonio e Waesberge, 1684.
29 G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel
Seicento italiano, Firenze, 1983 (2* ed. riveduta e ampliata), p. 298. A Leti sono
dedicate le p. 295-311.
210 STEFANO ANDRETTA

presentavano il persistere tenace, nell'esegeta del cerimoniale, di


una presunta diversità; una peculiarità che stava diventando
anacronistica nelle relazioni estere e che, svuotata di senso politico, veniva
legittimata unicamente per consuetudine e rispetto del decoro.
Nondimeno in Leti si continuava a manifestare una difesa della non
assimilazione al mondo laico riscontrabile, a suo avviso, persino nella
differenziazione dell'investitura formale e terminologica : poiché
«non costuma il papa benché principe secolare - scriveva - di
servirsi di questo titolo d'ambasciatore e ciò per non dividere la maestà
spirituale dalla temporale, ch'è quello che vorrebbono i prencipi e
che dalla loro parte vanno facendo, a questo fine dunque il pontefice
si serve di legati che con qualche esercitio di giurisditione spirituale
dove vanno, fanno molto campeggiare nel medesimo tempo la
maestà spirituale e temporale del papa...»30.
La presenza di Roma, alla stregua delle maggiori potenze, in
tutti i repertori sul cerimoniale di corte, era probabilmente dovuta non
solo al riconoscimento ovvio del ruolo supremo del capo del
cattolicesimo, ma costituiva lo strumento e il segnale di un'appartenenza
internazionale; e ancora, testimoniava la necessità di
autoaffermazione e visibilità di un papato minacciato e in decadenza, che
caricava di un enfasi sproporzionata, in un misto di liturgia e etichetta,
momenti particolarmente solenni della vita pontificia, dal conclave
alle udienze concesse agli ambasciatori, dalle uscite pubbliche alle
manifestazioni di devozione, nella costruzione di quell'immagine
trionfale e fastosa che i pontificati barocchi si sforzavano di
restituire alla platea internazionale.
Inoltre, l'affermazione che nel XVII secolo il papa restava
indiscutibilmente «le chef de la Chrétienté catholique» anche se la
Riforma «avait réduit géographiquement l'aire de son autorité et le
progrès de l'État moderne avaient affaibli ses moyens d'action»31,
andrebbe integrata dalla constatazione degli incessanti tentativi di
intromissione nel quadro internazionale del papato :
un'intromis ione politica che avvenne essenzialmente con la lotta contro il Turco
(da Lepanto alle tragiche guerre d'Ungheria, e poi per Candia sino a
Vienna, in modo particolare per la sua difesa) e con gli sforzi di
interrompere le guerre intromettendosi tra le potenze cristiane. Tutte
iniziative che garantirono una presenza stabile della diplomazia
pontificia e la copertura politica per un'operatività nel diverso
terreno del sostegno di una configurazione statuale in cui il papato aveva

30 Si è qui utilizzata l'ed. del 1685 : G. Leti, // Cerimoniale historico e politico


opera utilissima a tutti gli ambasciatori e ministri publici e particolarmente a quei
che vogliono pervenire a tali carichi e ministeri, Amsterdam, per Giovanni & Egi-
dio Janssonio e Waesberge nel 1685, p. 204.
31 P. Blet, Histoire de la représentation diplomatique..., op. cit., p. 385.
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTIFICIA 211

scelto di proteggere la pertinenza del proprio diritto e della


giurisdizione ecclesiastica.
E ancora, nel corso del XVII secolo, un ambito particolarmente
esemplare, in cui individuare però la distanza tra la teoria cerimo-
nialistica sulla diplomazia papale e l'attività romana in politica
estera, furono le mediazioni. Nelle interposizioni internazionali affiorò
tuttavia il disagio di una figura che voleva mantenere insieme un
ruolo super partes, giustificato dalla sua garanzia spirituale e di
salvaguardia confessionale e, insieme, un soggetto politico che già di
fatto era coinvolto in un «sistema» delle nazioni che non sempre
riteneva il pontefice e i suoi rappresentanti come titolati a svolgere un
ruolo di «paterna» neutralità nella composizione dei conflitti.

4. In tale direzione, i limiti del ruolo apostolico e romano sulla


scena internazionale non tardarono a manifestarsi in tutta la loro
contraddizione rispetto alle considerazioni fin qui svolte. Ad
esempio, le faticosissime trattative dei congressi di Vestfalia, protrattesi
dal 1643 al 1648, misero duramente alla prova il ruolo di
intermediazione pontificia e posero in risalto le ambiguità di una diplomazia
romana che, nonostante le intenzioni, risultava non completamente
attrezzata ai nuovi contesti e, in buona sostanza, annaspava di
fronte all'evoluzione europea32.
Già nel 1636, in fase preliminare e con la guerra che infuriava in
mezza Europa, l'istruzione del cardinal legato Marzio Ginetti, che fu
la base delle successive istruzioni del cardinal Carlo Rossetti e del
cardinal Fabio Chigi - effettivo mediatore e nunzio con potestà di
legato a latere - designato nel febbraio 1644, indicava il compito
supremo a cui era chiamata la presenza diplomatica della Santa Sede.
Il desiderio di pace vi veniva esaltato dall'appassionata
dichiarazione del papa Urbano Vili, il quale voleva a tutti i costi la
convocazione di un congresso fra i belligeranti «per mezzaneggiare con
quell'affetto disinteressato, e con quella indifferente candidezza che
sempre ha nodrito S. B.ne verso il bene de' principi cattolici»33. Si
trattava di individuare una sede in cui esercitare la «paterna
indifferenza tra li principi sfugendo tutte quelle cose che possino arguir in
lui partialità», evitando di diventare «giudice nelli interessi politici»

32 Cf. a tal proposito lo stimolante contributo fornito ad un convegno


francotedesco da : A. Dupront, De la Chrétienté à l'Europe : la passion westphalienne du
nonce Fabio Chigi, in Forschungen und Studien zur Geschichte des Westfälischen
Friedens, Münster, 1965, p. 49-84. In esso vengono analizzati vari aspetti, anche
terminologici (Christianità, Christianesimo, Religione cattolica, Europa, acattolici,
heretici, protestanti ecc), per condurre una riflessione sul disfacimento dei valori
sacrali della cristianità che non costituiva più un collante europeo.
33 K. Repgen, Die Hauptinstruktion Ginettis für den Kölner Kongress (1636),
in Quellen und Forschungen, XXXIV, 1954, p. 269.
212 STEFANO ANDRETTA

ed esercitando una grande prudenza. Una prudenza che però


badava al sodo e faceva tesoro di sgradevoli esperienze passate, allorché
si raccomandava di respingere accuratamente qualunque impegno
compromettente e gravoso come il deposito : «mettendosi - si
sosteneva - con questo la Sede apostolica et il papa in pericolo di
diventar parte e perder il suo posto di padre di tutti, e V. E. può rifletter
sopra li dispendij e travagli havutisi nel deposito della Valtellina,
però se lei fosse ricercata di consentir a qualche deposito in mano del
papa, ella se ne scusi con la ragione di sopra e non spedisca sopra di
ciò conierò, ma lo lasci far alle parti et ella con la medesima
comodità, ο per altra strada avisi quanto passa34».
Le città di Münster ed Osnabrück, com'è noto, costituirono un
vero e proprio laboratorio per le delegazioni di ambasciatori di
numerose nazioni europee che, lavorando per alcuni anni alla
costruzione di un nuovo assetto geopolitico dell'Europa35, diedero luogo
ad un grande evento di pace che poneva fine alla lunga crisi
dell'istituto diplomatico come strumento per risolvere le tensioni
politiche e confessionali tra le potenze.
I congressi vestfalici, come ci attestano quasi tutte le fonti
contemporanee, furono teatro di infinite contese procedurali che
investirono prepotentemente il cerimoniale e l'etichetta. Una massa di
questioni condizionò e spesso rappresentò fedelmente lo stato degli
orientamenti politici e dei rapporti di forza. Del resto che il
cerimoniale fosse utilizzabile come codice e come espediente, per rendere
le trattative difficoltose ο addomesticabili secondo i propri interessi
contingenti, era una consapevolezza largamente diffusa. A
cominciare dai mediatori : le esasperazioni attorno a formalità fonte di
infinite vertenze, che tuttavia costituivano una maniera di
addestramento ad un codice internazionale futuro, erano ben rappresentate
dalle cronache quotidiane di Chigi36. Davanti a colloqui estenuanti,
irritanti, il nunzio scriveva : «Non entrano in carriera, ma fanno
tante questioni di cerimonie, precedenze, incontri, livree, pompe,

3534 Sull'andamento
Ibid., p. 270. dei congressi resta, oltre agli Acta, fondamentale la
riedizione del saggio di F. Dickmann, Der Westfälische Frieden, Münster, 1985, con un
ampio aggiornamento bibliografico (p. 591-604). Cf. anche il recente contributo
di K. Malettke, Diplomatie et guerre : les traités de Westphalie, Munster et
Osnabrück 1643-1648, in XVII' Siècle, 182, 1994, p. 153-170. Per l'attività della curia in
particolare cf. Κ. Repgen, Die Römische Kurie und der Westfälische Friede. Idee
und Wirklichkeit des Papsttums im 16. und 17. Jahrhundert, Papst, Kaiser und
Reich 1521-1644, 1-II, Tübingen 1962-1965.
36 V. Kybal e G. Incisa della Rocchetta, La nunziatura di Fabio Chigi (1640-
1651), v. I, parte I-II, Roma 1943-46; Acta Pacis Westfalicae, s. Ili C, I, Diarium
Chigi (1639-1651), a cura di K. Repgen, Münster, 1984.
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTIFICIA 213

guardie, corteggi e... parole, parole»37; e a lui farà eco con lo stesso
disappunto Alvise Contarini, il mediatore veneziano, nella sua
Relazione conclusiva letta davanti al Senato38.
Fu subito evidente, anche a congressi non ancora ufficialmente
aperti, che il cerimoniale non era un fatto astratto e privo di
significato per l'andamento dei pourparlers e per la predisposizione degli
incontri tra gli ambasciatori. Sulla attenzione che bisognava
prestare ai tempi di consegna delle plenipotenze l'esperto ecclesiastico
ragusano Pietro Benessa aveva redatto per il legato Ginetti un passo
dell'istruzione quantomai chiaro : «Quanto alle plenipotenze - vi si
leggeva - queste si comunicarano fra li plenipotentiary, perché
ciascuna delle parti vorrà veder quella dell'altra per saper se è ampia, e
se in questo nascesse la differenza, come potrebbe seguire di chi do-
verà esser il primo a darla, potrà V. Em. sopirla con farsele dar lei,
con tener segreta la consegna, fine che da tutti sarà eseguita, e poi
publicarla, e farne le dovute consegne»39. Una raccomandazione
simile ma relativa all'ordine dei posti da rispettare e alle precedenze
che ne conseguivano venne reiterata in maniera pressante dallo
stesso cardinal Francesco Barberini nell'istruzione di Fabio Chigi :
«...Può essere considerabile il punto delle precedenze tra le due
corone, e che i Spagnuoli non si voranno trovare con i Francesi, et in
molti casi si può rimediare col mezo de' terzi, come sarebbe
degl'imperiali per i Spagnuoli. Sapra V.S. che nel trattato di Vervins alla
destra del legato stava il nuntio et appresso di lui l'ambasciatore di
Spagna et alla sinistra l'ambasciatore di Francia...»40.
E sempre in fase preparatoria si erano presentate questioni di
difficile risoluzione, dal banale rilascio dei salvacondotti a ben più
serie questioni di autorità41; inoltre, una volta aperti ufficialmente i

37 Cf. : Bibl. Apost. Vat., Mss. Chigiani, A.I. 6, e. 28, cit. in L. Schiavi, La
mediazione di Roma e di Venezia nel congresso di Münster, Bologna, 1923, p. 37.
38 Cf. Relazioni di ambasciatori Veneti al Senato, a cura di L. Firpo, voi. Ili,
Germania (1557-1654), Torino, 1968, p. 984 sq.
39 K. Repgen, Die Hauptinstruktion Ginettis, op. cit., p 278.
40 Κ. Repgen, Fabio Chigis Instruktion für den Westfälischen
Friedenskongress, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und
Kirchengeschichte, 48, 1953, p. 110. Qualche orientamento era stato espresso anche
nell'istruzione a Marzio Ginetti «Resti servita V.E. di veder il diario di Vervin per saper
quel che fu fatto alThora circa il trattamento dell'ambasciatori, e circa l'arrivo
loro al luogo destinato per regolar con questo esempio il trattamento da farsi da
lei» (K. Repgen, Die Hauptinstruktion Ginettis..., op. cit., p. 275. A questo
proposito veniva prospettata la proposta di collocare l'ambasciatore imperiale al posto
del nunzio.
41 «Ma con tutto, che fusse stata nominata la città di Colonia per il
congresso, si andò scoprendo ancora rispetto ad essa la difficoltà non tanto per la situa-
tione, quanto, per l'authorità che vTiaveva riposta il legato Apostolico con la di-
minutione di quella de' Svezzesi, Hollandesi et altri; nondimeno non ne fecero
214 STEFANO ANDRETTA

congressi nel 1644 gli attriti procedurali diventarono un turbine


incontrollabile insistendo su titoli, cadenze e priorità degli
abboccamenti, qualità e attributi da assegnare ai titolari di mandato e ai
membri delle numerosissime delegazioni affluite nelle città vest-
faliche.
Le pie intenzioni del nunzio ad isolarsi, in un soggiorno non
molto gradito42, vennero presto frustrate da un train de vie sfarzoso e
costosissimo43. Chigi fu obbligato per mantenere il proprio decoro
ad organizzare una piccola corte e una stalla : fece costruire, con
grandi sforzi per l'imperizia degli artigiani del luogo, una ingegnosa
carrozza di cui erano ben chiari i simboli e i richiami alla funzione
di pace esercitata dal nunzio44.
Quelle che potrebbero apparire agli occhi di un contemporaneo
come bizzarie di personaggi lunatici, furono problemi terribilmente
seri che bloccarono l'attività diplomatica. Ad esempio, la pretesa di
voler essere trattato con il titolo di «altezza» da parte del duca Henri
de Longueville, capo della delegazione francese, impegnò i
mediatori come interpositori con il plenipotenziario spagnolo, Gaspare de
Bracamonte conte di Penaranda, che non volle mai rivolgere la
parola al plenipotenziario francese per ben tre anni : nemmeno
quando tutti gli altri diplomatici si erano accordati sull'uso della «terza
persona», impedendo di fatto ogni possibilità di trattativa diretta tra
Spagna e Francia45. Così delicatissimi, per non urtare la suscettibili-

motto i Francesi, nemeno gl'Austriaci, quelli forse per non dar ad intendere di
dependere da Svezzesi» (K. Repgen, Fabio Chigis..., cit., p. 106).
42 Un ricco resoconto sulle noiose giornate di Chigi sono reperibili in Acta
pacts Westfalicae, s. Ili C, I, Diarium Chigi (1639-1651), op. cit., p. 208-455; V. Ky-
bal e G. Incisa della Rocchetta, La nunziatura di Fabio Chigi, op. cit., p. 91-335.
43 Cf. a riguardo l'interessante e ben documentato studio di : F. Bosbach, Die
Kosten des Westfälischen Friedenskongresses. Eine strukturgeschichtliche
Untersuchung, Münster, 1984.
44 «Ho fatto qua una carrozza, dove né pur san fare le tregge e vi ho
consumati quattro mesi, benché positiva, di velluto nero e da potersi condurre anco per
viaggi, con lo scemarsi delle colonne, che si fa per certa giunta messavi con ferri
a vite : la quale ho intitolata dalle ultime tre parole del Cantico di Zaccaria, (però
nel mio cuore) che sono le prime dell'Itinerario {in viatn pacts), tanto per
tornarmene in Italia, quanto per la dimora che mi tocchi a far qui. Ne' quattro canti
sopra ho fatti gettare quattro vasi di bronzo pieni di frutti come sorgenti da un
cestello, tramezzati di spighe e di fiori, che in mezzo sorge una Croce dritta pura,
che esce da due serpenti a modo di caduceo : che questa è la vera Verga di pace,
diritta, e liscia per la intentione, per la purità; tonda per la perfettione senza
alcun angolo d'imperfettione, che solo può separare e spartire i contrasti de'
dragoni e de' serpenti». Cf. V. Kybal e G. Incisa della Rocchetta, La nunziatura di Fabio
Chigi, op. cit., p. 582 sq.
45 Cf. S. Andretta, La diplomazia veneziana e la pace di Vestfalia (1643-1648),
in Annuario dell'Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea,
XXVII-XXVni, 1975-76, p. 38 sq.
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTIFICIA 215

tà dei nobili convenuti, si rivelarono il calendario degli omaggi e


delle visite e l'adozione di formule di cortesia, per non parlare della
distribuzione pletorica dei vari titoli di «eccellenza»,
«eccellentissimo», «eminenza», «vostra grazia principale», «illustre»,
«illustrissimo», «potentissima», «serenissimo», «vostra signoria»,
«vostra signoria illustrissima», «testa coronata» ecc.
Una conoscenza e una preparazione approfondita dei
cerimoniali erano insomma necessarie al personale diplomatico di primo
ordine presente ai congressi vestfalici, dai menzionati e lodati dalla
storiografìa sei-settecentesca46 Chigi (poi papa Alessandro VII) e
Contarmi (a cui solo la morte impedì di dar seguito concreto alla
nomina di storiografo pubblico della Serenissima), al residente
Théodore Godefroy che metteva la sua grande conoscenza delle tecniche
diplomatico-cerimonialistiche al servizio della delegazione
francese47, ad Antoine Brun per gli Spagnoli, a Massimiliano Trauttman-
sdorf per l'Impero e ad altri ancora.
Riferendosi poi soltanto a Francesi e Olandesi, cioè a coloro che
più profittarono degli esiti delle paci del 1648, appariva evidente
come il cerimoniale fosse l'accessorio naturale su cui poggiare il
sentimento di una certezza, presunta dalla maggior fortuna politico-
militare delle loro nazioni, per comunicare agli avversali la loro
debolezza e inferiorità. L'ostinazione sugli aspetti cerimonialistici e il

46 Cf. : A. Adami, Arcana pacts Westphalicae... relatio historìca, Francoforte,


1648, p. 295. G.H. Bougeant, Histoire du Traité de Westphalie ou des négociations
qui se firent à Münster et à Osnabrug, pour établir la paix entre toutes les
puissances de l'Europe, ΙΠ, Parigi, 1744, p. 6-15.
47 Théodore Godefroy appartenente, com'è risaputo, ad una famiglia
cinquecentesca di celebri giureconsulti di «robe» (1580-1649), abbandonata la religione
protestante nel 1602, pubblicò la prima edizione del Cérémonial de France (Paris
1619; suo figlio Denis continuò l'opera del padre con una seconda edizione nel
1649) e divenne storiografo nel 1632. Egli accompagnò il cardinale di Lione a
Colonia e fu presente alle trattative di Münster come incaricato degli affari di
Francia. Un codice della raccolta dei manoscritti Chigiani (Bibl. Apost. Vat., MSS.
Chigiani, Q. ΙΠ. 77) contiene un interessante Inventario dei libri e dei manoscritti
di Th. Godefroy «historico et consigliero del re di Francia fatto in Munster li...
d'agosto 1649» (cc. 108-111) che consente di conoscere e stimare la biblioteca
utilizzata per ottemperare al suo ruolo di esperto. In esso si possono reperire
soprattutto raccolte di trattati di pace (Cateau-Cambrésis, Augusta, Ratisbona, Monfer-
rato, Mantova, Valtellina, Vervins ecc); dizionari di fiammingo, latino, tedesco,
francese; l'introduzione al «Diritto dell'Olanda» di Grazio in fiammingo, scritti
sulla libertà di esercizio della religione secondo la confessione di Augsburg, un
opuscolo dal titolo De vera pace ecclesiae contra mediatores; testi disparati di
storia e sui siti geografici interessati dalle trattative, accurati promemoria
genealogici e sul rango, nonché le «Memorie» sulla precedenza dei re francesi su quelli
spagnoli (cc. 112-165) e una copia di un trattato sul cerimoniale matrimoniale tra
Spagna e Francia. In tutto più di un centinaio di pezzi che dimostrano l'esistenza
di una biblioteca-archivio perfettamente funzionale alle paci di Vestfalia.
216 STEFANO ANDRETTA

peso loro attribuito divennero sovente il grimaldello della gestione


delle trattative.
Nella commissione diplomatica del 30 settembre 1643 ai pleni-
potenziari del re di Francia, Longueville e Claude d'Avaux de Me-
smes, si dipingeva un quadro preciso della complessità di
incastonare il rango e il ruolo della Francia e degli alleati nelle trattative,
giovandosi se necessario di precedenti e di consuetudini reputati, non
sempre in modo del tutto fondato, vigenti nella prassi delle corti. Si
poteva leggere infatti nel documento diplomatico : «La première
difficulté qui se rencontrera au Traitté de la Paix concernera l'ordre de
la scéance de tous les Députez, car bien qu'après Mr le Légat et les
Ambassadeurs de l'Empereur le premier rang appartienne à la
France, l'orgueil des Espagnolz est venu jusques à tel poinct qu'ilz le
voudront disputer. Il se pourra encore trouver d'autres contestations de
la part des Suédois qui ne voudront pas assurément céder à
l'Espagne, ny peut estre à la France. Il se rencontrera encore des difficultés
semblables entre d'autres Princes, et particulièrement entre Holan-
de et Savoye, qui seront très difficiles à vuider, par ce que par le
passé Savoye a précédé en beaucoup d'assemblées, et que maintenant
les Estatz Généraux qui voudroient bien imiter les Vénitiens, quoy
qu'ilz n'ayent pas raison, ne veulent pas céder. Et partant, si on ne
trouve quelque expédient d'abord qui laisse toutes ces difficultéz en
arrière, sans qu'on soit contrainct de les décider, on passera plus de
tempz à les terminer qu'à conclure la Paix, et il seroit impossible
d'éviter le mescontentement de celle des parties qui seroit contraincte
de céder, ce qui nuiroit à l'avancement de la Paix»48. L'istruzione
non mancava poi di essere corredata da alcuni suggerimenti
motivati per fronteggiare la situazione; ai mediatori si poteva, ad esempio,
proporre come espediente di incontrare «les principales parties
selon leur ordre, l'Empereur le premier, la France le second, et
l'Espagne en suite. Et quant aux autres Princes de moindre considération
qui seront à Munster, entre lesquelz il y aura difficulté, on les peut
voir sans garder un ordre réglé... L'on pourroit dire que cette
précaution est inutile pour ce que l'on ne doit point apréhender que les
Ministres du Pape et de la République de Venize qui seront
apparemment les seulz Entremetteurs peussent commettre cette faute,
tant pour bien sçavoir ce qui appartient de droict à Leurs Majestéz,
qu'en Cour de Rome et à Venize le droict et prééminence de la
France n'est point contesté, qu'elle est en possession de ce qui luy
appartient, et que dans toutes les cérémonies qui se font à Rome et à Veni-

48Acta Pacts Westphalicae, s. I, Instruktionen, I, Frankreich, a cura di F. Dick-


mann e Κ. Goronzy, Münster, 1962, p. 64 sq.
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTIFICIA 217

ze les Ambassadeurs de France siègent immédiatement après ceux


de l'Empereur, et que l'on y observe si religieusement ce qui leur est
deu que les neveux des Papes, quand ilz vont donner les bonnes
festes, commencent tousjours par la maison de l'Ambassadeur de
France»49. E infine, si poteva con predeterminazione ricorrere a
comportamenti, del resto usuali e vecchi come il mondo, per
inquinare l'imparzialità della mediazione50.
L'agguerrita diplomazia olandese stipulando la pace con gli
Spagnoli all'inizio del 1648, pose fine al regime delle tregue e dei
conflit i uscendo trionfalmente dalle trattative con il riconoscimento di
«testa coronata» : e come primo atto aveva preteso, sin dall'apertura
dei congressi, la modifica del cerimoniale. Ciò a suggello di una
condizione politica mutata secondo la quale si richiedeva di essere
considerati non come singoli deputati delle singole province ma come
insieme di «stati confederati» che avevano difeso la «lor giusta
libertà contro la tirannia spagnola»; in secondo luogo per attestare la
loro incontestabile realtà di potenza coloniale «per haver... dilatato
tant'oltre il lor dominio sopra molti paesi e popoli e nationi nell'una
e l'altra India et in singoli porti del mondo», per cui «nelle inscrittio-
ni e nelli abboccamenti... s'aboliscono tutti gli altri titoli di minor
qualità come incompetenti». Pertanto le Province Unite richiesero
un titolo di «maestro delle cerimonie» da destinare ad un membro
del seguito, per poter così soddisfare le proprie nuove esigenze e il
rispetto dell'apparato cerimonialistico nei labirinti dell'etichetta sei-
centesca : dalla congrua collocazione nei banchetti, all'ordine delle
udienze pubbliche e private, alle modalità dei saluti51.

5. Durante il XVII secolo per la diplomazia pontificia si pose la


questione dei rapporti con il mondo protestante : in questo
territorio, in cui abitavano coloro che teoricamente erano esclusi dal
cerimoniale del capo del cattolicesimo, fu possibile registrare, in modo

49 Ibid., p. 66 sq.
50 «II importe tellement au bien des affaires de Sa Majesté, et Mrs les
Plénipotentiaires sont trop consumméz en celles du monde pour ignorer, combien il
leur est avantageux de gaigner la volonté des Médiateurs...
Il est partant de leur prudence de les mesnager, et selon leur condition et ce
qu'ilz peuvent prétendre leur faire des offres, et les gaigner à quelque prix que ce
soit, rien ne devant estre cher qui produict un si grand effect, duquel la fin sera
de les avoir favorables et leurs Maistres en toutes les affaires qui regardent la
France, qui seront par eux persuadez que noz prétentions sont justes, conviez par
cette raison de les appuyer, engagez à les faire valoir; persuadant les Ministres
des autres Princes à y condescendre, nous parviendrons à noz fins, ou du moins
ilz parleront favorablement et justiffieront la conduicte de la France...», ibid.,
p. 67.
51 Cf. : Bibl. Apost. Vat., Mss. Chigiani, Q. ΠΙ. 71, Cerimoniale rissoluto tra li
Stati d'Olanda, ce. 25-29.
218 STEFANO ANDRETTA

sempre più percepibile, una significativa modificazione, se non


formalistica almeno di sostanza, rispetto all'andamento delle relazioni
diplomatiche tra Stati europei che vedevano coinvolte le realtà
riformate.
Il problema si manifestò ovviamente a Vestfalia, dove il
desiderio di pace, largamente diffuso in concomitanza con l'avanzata
terrestre e marittima dell'Impero ottomano, cozzava con il fatto di
trovarsi in un consesso in cui non si poteva evitare la presenza dei
«settatori di Luterò, Calvino et altri». Vaste porzioni delle classi
dirigenti europee chiedevano ormai al papa di saper ben
distinguere, in nome della pace e per il bene delle popolazioni, il suo duplice
ruolo di sovrano temporale e di capo spirituale.
La crisi della doppia veste diplomatica dei nunzi era infatti
nell'aria. In un lungo trattato anonimo di materia diplomatica, scritto
con papa Urbano Vili regnante e di poco precedente all'ipotesi di
Colonia come sede di discussione, si argomentava efficacemente in
lingua francese il senso delle obiezioni per il recupero di un pieno
ruolo di mediazione pontificia. In un capitolo, appositamente
dedicato alla questione (Que les légats a latere et nonces du pape ne
doivent faire difficulté de s'entremettre de la Paix qui est a traitter entre les
Princes Catholiques, Calvinistes et Luthériens), si ricordava l'accordo
di Vervins del 2 maggio 1598 in cui si era consumata la pacificazione
tra il convcrtito Enrico IV e Filippo II e, nonostante la negazione
reiterata al contatto con i riformati, si era vista la Santa Sede come de-
positaria di un capitolato che nominava, tranne i ginevrini, una
quantità di principi eretici. Ci si rammentava di come Alessandro VI
non avesse esitato ad inviare un nunzio al sultano Bayazid per
decidere della sorte del fratello Gen, prigioniero di lusso a Roma. Si
ricorreva a motivazioni storico-bibliche scomodando personaggi di
primo piano, da Davide a Bonifacio Vili, oppure pontefici più
recenti (Giulio II, Clemente VII, Paolo IV) per dimostrare come anche
principi cattolici si potevano alleare e concludere la pace con gli
infedeli e i protestanti.
Infine, si andava al centro della motivazione che riguardava da
vicino la figura dell'interpositore richiesta dai tempi : «Le pape au
fait qui se presente aujourd'hui - si scriveva - est seulement
médiateur, les Suédois et les Hollandois font part de la négociation inter-
ressez avec le Roy non seulement pour l'interest de la France, mais
pour le leur propre, il semble donc que le pape se doit acommoder
aux uns et aux autres et travailler suivant les quallitez des personnes
qui sont interressées. Quand Sa Sainteté s'est entremise de cet
acommodement elle n'a pas ignoré la condition des parties
interressées et la religion dont il font profession; son entremise sera vaine et
inutile, si ses ministres ne veulent passer sur cette difficulté, n'estant
question que d'une chose pure temporelle, c'est à dire de la Paix ge-
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA ΡΟΝΉΠΟΑ 219

nerale. Et Sa Sainteté considérée par tous les princes intéressez non


point comme chef de la religion mais comme grand prince temporel
non interressé avec aucun des princes qui se font la guerre... prince
grand et puissant au temporel et personne privée et, par consequent,
qui ne doit faire difficulté de s'entremettre avec des Princes d'autre
créance que de la catholique s'il veut le bien de la Chrestienté et
establir la Paix entre les Princes chrestiens»52.
In occasione della mediazione vestfalica il cardinal Barberini si
era dilungato sulla questione dando indicazioni in cui traspariva il
conflitto e l'imbarazzo della Santa Sede tra la difesa del principio e
la realtà delle cose53. Il disagio di dover in qualche modo mantenere
un contatto con le potenze protestanti residenti a Osnabrück fu
aggirato, con una buona dose di commedia delle parti, dalla
diplomazia veneziana che supplì a questa incombenza e sopravanzò, in
quest'opera di mediazione, gli orizzonti ristretti a cui era stato costretto
il nunzio Chigi54. Anche se, per la verità, non erano mancati durante
le trattative, nonostante la irrefutabile condanna della pace del 24
ottobre 1648 per mezzo della bolla Zelo domus Dei, segnali da parte
di Chigi di considerare in particolari circostanze gli ambasciatori
«heretici» come «persone publiche», con cui i principi cristiani si
potevano permettere di «far civiltà» con conseguenze evidenti
nell'ambito cerimonialistico55.
Le disposizioni date a Fabio Chigi, insormontabili per ciò che
riguardava il duro atteggiamento da osservare nei confronti di coloro
che venivano giudicati i peggiori nemici di Roma, si erano
sostanzialmente riferite all'antica disciplina ecclesiastica e i riflessi
negativi si erano potuti verificare da una sostanziale inconcludenza del-

52 Bibl. Apost. Vat., Vat. Lat. 9224, De rebus politicis maximi Regni Franco-
rum..., cc. 12-14.
53 «... Si vede, che i Francesi sotto titolo di alliati comprendono gl'Olandesi
per fargli entrare nella pace universale, e N.S. non può approvare le allianze che
si fanno con gl'heretici, et in particolare sapendosi che gl'Olandesi con la
navigazione universale conducono predicanti Theresia, e quando habbino da esser
compresi senza dar ella il suo assenso, procuri almeno che faccino qualche
vantaggio alii cattolici habitant! nel dominio loro, come sarebbe il libero essercitio
della nostra santa religione, ο di una chiesa publica in ogni luogo dove li cattolici
potessero fare le loro divotioni... Una particular avertenza si dovrà havere che si-
come ne i capitolati, dove apparirà la mezanità di N.S. non deve costare che si
meschino interessi dlieretici, ma che se ne faccino capitolati a parte, così ne i
proemij e conclusione si dovranno esprimere le fatiche incessanti che N.S. ha
fatto per condurre li prencipi cattolici alla pace, con tutte le altre espressioni di
stima et rispetto verso la Santità Sua e la Santa Sede...» Cf. : Κ. Repgen, Fabio
Chigis Instruktion cit., p. 115 sq.
54 Per tutta la vicenda della partecipazione veneziana, cfr. S. Andretta, La
diplomazia veneziana..., op. cit.
55 Cf. le considerazioni a proposito di A. Dupront, De la Chrétienté à
l'Europe..., op. cit., p. 71 sq.
220 STEFANO ANDRETTA

l'interposizione del nunzio. Tuttavia, ad Agostino Franciotti, nunzio


a Colonia, fu concesso di discostarsi dalla rigidità pretesa a Münster
quando fu necessario inviarlo ad Aquisgrana per assistere come
mediatore alla sottoscrizione di una pace (2 maggio 1668), già decisa a
Saint-Germain, a cui non erano palesemente estranei gli inviati
inglesi, olandesi e dei principi elettori tedeschi56.
Al successore Francesco Buonvisi nell'ottobre 1671 fu concesso
da Clemente X il permesso di aver rapporti «umani» con i non
cattolici e di non evitare in linea di principio, soprattutto se fruttuose per
l'espletamento dei propri compiti, conversazioni private con inviati
protestanti : «Non è discaro, ma anzi grato a Nostro Signore che
V. S. - scriveva Paluzzo Paluzzi-Altieri dalla Curia - secondo l'ap-
probazione ottenutane di qua, usi costì humanamente con li
ministri de' prencipi eretici, non rigettando li loro domestici
ragionamenti, già che l'urbanità pregio costumato d'huomo civile, non è
punto incompatibile col carattere di ministro pontificio, ma anzi a
questo tanto meglio si adatta verso tali persone, quanto elle sogliono
più arrendersi ai dolci trattamenti di cortesia, e resister contumaci
alii forti stimoli della coscienza e della ragione. Mentre però è sicura
Sua Beatitudine del ben giusto avvedimento di V.S. nell'unire
affabilità con la dignità, La commenda specialmente delle amorevoli
accoglienze usate... ne' quali possono tali sincere dimostrazioni d'affetto
ingenuo et indifferente divenir semi di vera credenza e partorir frutti
di benedizione a pro de' poveri cattolici»57. Al di là delle
preoccupazioni pastorali, non era diffìcile però intravedere l'ottantenne
pontefice giustamente sospettoso e inquieto per l'autoritarismo e lo
spirito egemonico di Luigi XIV, e per i fermenti gallicani che facevano
passare in secondo piano i vantaggi possibili per un attacco alle
Province Unite. Una nuova sensibilità, più politica, si affiancava a
quella confessionale nel nunzio di Colonia : ciò si tradusse in comporta-

56 Cf. Inventaire analytique des documents relatifs à l'histoire du diocèse de


Liège sous le régime des nonces de Cologne (1666-1670) , a cura di J. Hoyoux,
Bruxelles-Roma, 1974; C. Terlinden, La diplomatie pontificale et la paix d'Aix-la-
Chapelle de 1668, in Bulletin de l'Institut historique belge de Rome, XXVII, 1952,
p. 254 sq. Il nunzio Franciotti peraltro non possedeva le capacità umane e di stile
di Fabio Chigi : poco dopo la firma della pace, il prevosto di Liegi richiedeva un
intervento di censura per il nunzio che, nel corso della solenne processione di
San Lamberto, aveva attraversato la solenne processione con la sua carrozza.
Comportamento grave, a detta del prevosto, perché «gli eretici, venuti quel
giorno in grande numero dai nostri dintorni, ne hanno tratto occasione per dire che
non potevano credere che Gesù Cristo fosse nell'Ostia, poiché nemmeno il nunzio
che rappresenta il papa vi porta rispetto», cf. Relations des Pays-Bas, de Liège et de
Franche-Comté avec le Saint-Siège d'après les «Lettere di vescovi» (1566-1779), a
cura di L. Jadin, Bruxelles-Roma, 1952, p. 147.
57 Francesco Buonvisi. Nunziatura a Colonia, a cura di F. Diaz, ν. Ι, Roma,
1959, p. 455-456.
CERIMONIALE E DIPLOMAZIA PONTIFICIA 221

menti anomali e originali in cui le procedure diplomatiche di


cortesia potevano risultare addirittura sconcertanti rispetto ad un non
lontano passato58.
Nel 1675, prima del congresso di Nimega, il papa aveva
destinato come plenipotenziario l'arcivescovo di Ravenna Fabio Guinigi e
nell'istruzione ci si occupò ancora a lungo di quale atteggiamento
tenere con i protestanti. Al Guinigi si raccomandò una souplesse di
maniere da applicare abilmente in una veste pubblica e assai
formale : egli doveva fare certo una distinzione tra cattolici ed eretici, per
la sconvenienza di un atteggiamento fraterno nei confronti di
avversali dichiarati della fede cattolica, però doveva assolutamente
astenersi da impulsi offensivi tali da compromettere l'esito della
missione pontificia ai congressi59. Tuttavia proprio a Nimega, nella

58 Buonvisi scriveva a suo zio cardinale Girolamo il 3 gennaio 1672 : «Invitai


ad un banchetto il residente di Danimarca e quello del Palatino che mi avevano
visitato. Gli altri Nunzii non l'hanno mai praticato; ma io chiesi licenza di poterlo
fare... Questo modo di trattare mi ha procacciata tanta aura che i Deputati di
Brandemburgo hanno detto che se fossero venuti Preti ospitali in queste parti, la
Germania sarebbe tutta cattolica. I medesimi l'altro giorno al pranzo che
imbandì la Città, mi ferono un brindesi alla salute del S. Padre, ed io risposi che mi
rallegrava che conservassero venerazione verso l'antico e vero loro padre; ed essi
replicarono che non mancavano di rispetto verso tanto Principe.... Io cerco di far
loro conoscere che abbiamo odiato quei primi, i quali apostatarono, ma che
amiamo essi perché si mostrano cambiati, sperando che conosceranno la verità.
A questo effetto studio sempre controversie, e gradiscono molto la piacevolezza
de' miei discorsi e una tal quale disinvoltura lontana da quella rozzezza, con cui
sinora sono stati trattati, ond'è che si esasperavano moltissimo. Un altro
deputato eretico che ha la moglie cattolica, mi portò un brindesi alla prosperità del
papa. Io nel renderglielo, dissi, lo porto a vostra moglie e costituisco voi mio
procuratore. Con queste maniere me li guadagno e scrivono vantaggiosamente di me
ai loro Principi... L'usar piacevolezza fa sì che si guadagna ogni giorno con
costoro, e cresce sempre più il numero dei Cattolici. Nella reggia di Danimarca il re col
consenso dei vescovi e del clero luterano ha concessa una chiesa pubblica per i
cattolici offiziata da' Gesuiti. L'Elettor di Sassonia ha inalzato un crocifisso sopra
il ponte di Dresda e sempre si converte qualcuno de' Principi di Germania».
T. Trenta, Memorie per servire atta stona politica del card. Francesco Buonvisi, 1. 1,
Lucca, 1818, p. 294-95.
59 «Dovrà Msgr Arcivescovo esser molto cauto e custodire con tal circospe-
zione la sua rappresentanza che ne apparisca la distinzione delle Persone, le
quali sono fuori del diritto camino della salute, perciò che troppo grande assurdo
sarebbe che si potessero creder fratelli coloro che della Chiesa Romana sono giurati
nemici, e che per secondar le maniere de gl'interessi humani, si abbandonasse il
risguardo che a Dio si deve, nelle incompetenti dissimulazioni della fede e del
Ministero Apostolico, ma non dovrà per questo usar tali sottigliezze e puntigli, che
ad unliora offendano i settarii, dispiacciano ai cattolici e turbino il fine, per cui è
istituito il Congresso» (H. Laemmer, Zur Kirchengeschichte des Sechszehnten und
Siebenzehnten Jahrhunderts, Friburgo in Brisgovia, 1863, p. 31-32). L'istruzione è
riportata più ampiamente in P. Hiltebrandt, Die Anfänge des direkten
diplomatischen Verkehrs zwischen dem päpstlichen und dem preussischen Hofe, in Quellen
und Forschungen, XV, 1912, p. 366-367.
222 STEFANO ANDRETTA

insignificante e deludente presenza del nunzio straordinario e


plenipotenziario Luigi Bevilacqua, il quale peraltro svolse
dignitosamente una parte molto attiva e frustrata dalla conflittualità tra Luigi XIV
e Innocenzo XI, fu evidente la parabola sempre più discendente che
aveva ormai imboccato lo spessore internazionale della Santa Sede.
L'interposizione diplomatica, nonostante «sarebbe stata grata ai
protestanti la mediazione pontificia, tanto più desiderata quanto
meno si confidavano essi in quella degli Inglesi» cadde pertanto nel
vuoto per la politica intransigente del papa contrario a cedere alle
richieste olandesi, caldeggiate a Roma dall'imperatore60; e la pace fu
conclusa il 5 febbraio 1679, senza partecipare alla firma e «senza
intervento de' mediatori, non potendovi io assistervi per non far alcun
atto dal quale potesse indursi approvazione alla pace di Munster e
delle condizioni pregiudiziali... Stimai perciò di dover impedire che
nel trattato di pace fusse nominata la mediazione pontificia,
inerendo anche a' sentimenti della Santità Vostra, che non erano diretti
alla propria gloria, ma a quella di Dio ed al bene della Cristianità...»
con la «consolazione di scorgere ne' medesimi (cattolici d'Olanda)
una religiosa pietà, e gara di zelo verso la Santa Sede ed una non
ordinaria confidenza nella mediazione pontificia»61.
A Nimega si consumò uno degli ultimi atti internazionali del
XVII secolo, prima del decadimento del primo Settecento in cui
tutte le velleità naufragarono di fronte al fallimento del neutralismo di
Clemente XI; il papa, impacciato ed impotente prima in occasione
della successione spagnola, fu in seguito ancora più gravemente
offeso dalla totale esclusione dai trattati di pace di Utrecht e Rastadt,
in cui nemmeno la statura di Domenico Passionei62 riuscì a
risollevare le sorti di una diplomazia che aveva risolto tutti i suoi antichi e
nuovi problemi di cerimoniale con la pressoché totale scomparsa
sulla scena internazionale del suo credito temporale e politico.

Stefano Andretta

6160 Ibid.,
62 P. Brezzi,
Cf. A. p.Caracciolo,
211.
La diplomazia
Domenico
pontificia,
Passionei
Milano,
tra Roma
1942, ep.la197.
Repubblica delle
lettere, Roma, 1968. E sulla politica di Clemente XI, cfr. S. Andretta, Clemente XI, in
Dizionario biografico degli Italiani, XXVI, Roma, 1982.

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