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KENA UPANIṢAD
http://www.edizioniasramvidya.it/asramvidya/
DI
ŚA°KARA
–––––––– 10 ––––––––
Testi della Conoscenza Tradizionale
© 2017 Kevalasa§gha
Tuti i diriti riservati
Stampato a Rieti
da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA
Via Poggio Mirteto, 4
02100 Rieti
CON I COMMENTI
DI
ÂA°KARA
Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11
Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12
Elenco Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . » 14
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . » 15
Kena Upani≤ad
Introduzione di Âa√kara . . . . . . . . . . . . » 29
Primo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 35
Secondo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . » 53
Terzo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 69
Qarto Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . » 77
10
Kena Upani≤ad
Primo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 93
Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 149
*
FONTI
– htp://sanskritdocuments.org.
AVVERTENZE
Al testo italiano
Inoltre:
Al testo sanscrito
Del Brahman, come noto, non può darsi una immagine di-
reta, ma solo indicazioni per similitudine, rafgurazioni, allu-
sioni indirete. L’istruzione viene allora impartita atraverso
un “preceto”, cioè un’analogia che si avvale di simboli o di
immagini note. Anche qui, in relazione alla sfera divina, viene
paragonato, per la luce e l’istantaneità della conoscenza libe-
ratrice che concede, al balenare di una folgore che d’improv-
viso illumina tuto, o al repentino aprirsi e chiudersi degli oc-
chi grazie a cui si riconosce perfetamente ciò che ci atornia.
Nella sfera individuale il Brahman è Qello, indefnibile e
inconcepibile, verso cui si protende la mente del discepolo
nella contemplazione, Qello che con la mente egli ricorda e
l’oggeto del suo costante pensiero meditativo.
All’ultima richiesta del discepolo il Maestro risponde: “In-
vero a te ho enunciato la conoscenza segreta (upani≤ad) con-
cernente il Brahman”; i suoi ausilii sono la disciplina ascetica,
l’autodominio, l’atività rituale e i Veda, ma la sua dimora è la
Verità, e così conclude: “colui il quale realizza questa [cono-
scenza segreta] così, avendo rimosso l’errore, resta ferma-
mente stabilito nell’infnito mondo che è il cielo, nel Supre-
mo”, cioè si risolve nel Brahman e non ricade più nel divenire
esistenziale trasmigratorio perché questo, come ogni prodoto
d i måyå, si è dileguato per sempre nella Coscienza priva di
secondo: “.l’immortalità viene conseguita atraverso la cono-
scenza”.
Come accennato, Âa§kara ha steso due commenti alla Ke-
na, per quanto non tuti gli studiosi concordino nel ritenere
con certezza anche il secondo opera del Maestro. Nel primo il
grande Advaitin esamina, come di consueto, le singole parole
degli Ÿloka (padabhå≤ya); nell’altro prende in considerazione
le intere sentenze (våkyabhå≤ya) dilucidando le varie impli-
canze che racchiudono. I due bhå≤ya sono indipendenti ma,
analizzando il testo soto angolazioni diverse, risultano in un
certo senso complementari, laddove il secondo costituisce una
24 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
(kenopani≤acchå§karapadabhå≤yopetå)
Invocazione augurale
gando sul signifcato della Scritura così come gli era stata
esposta dal maestro, avendone accertato il senso con il ragio-
namento e, infne, dopo aver realizzato la sua propria espe-
rienza, fece ritorno presso il maestro e disse: io “ritengo che”
il Brahman “sia” anche ora [da me] ben conosciuto”.
Obiezione: Ascoltate.
2.3. Per colui, per il quale è ignoto, per quegli è noto. Colui
per il quale è noto, quegli non [lo] conosce. È non-conosciuto da
parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono, è conosciu-
to da parte di coloro i quali [afermano che] non [lo] conoscono.
*
KENA UPANI≥AD
(kenopani≤acchå§karavåkyabhå≤yopetå)
Invocazione augurale
Obiezione: Perché?
lui che sovrintende a una [data] atività solo mediante [la pre-
senza in cui esplica] una costante atenzione.
A seguire, il prå~a è [identifcato con] il naso, per via della
sua tratazione (prakara~a): la natura di primarietà appartiene
alla funzione del movimento [ascendente e discendente, ossia
di inalazione ed esalazione] in quanto è la causa del prå~a
[quale energia vitale].55
La funzione specifca degli organi di per sé consiste unica-
mente nella manifestazione del proprio oggeto; invero, tra
[tuti gli organi come] la mente e gli altri, la funzione espli-
cantesi in un movimento [alterno] appartiene solo al prå~a,
per cui la primarietà [nello svolgere la propria funzione speci-
fca] speta all’energia vitale. Essa [agisce per prima] in quan-
to “perdura nell’essere congiunta [con le sue funzioni]”, cioè
si muove perfetamente unita [a loro].
La “parola” (våg) è l’ato del pronunciare; su che cosa si
fonda? [E poi] qual è il deva che controlla totalmente la vista
e l’udito? Il signifcato è: in che modo viene specifcato Colui
il quale, dotato di consapevolezza, sovrintende agli organi [in
tute le loro funzioni]?
[Con le parole del verso che comincia con] “Se pensi: ben
conosco [il Brahman]”, viene [momentaneamente] bloccato il
processo di apprendimento del discepolo, al fne di fssare
quanto aferrato. Respinto il conosciuto e il non-conosciuto,
fato tornare su se stesso l’intelleto del discepolo [con il co-
mando]: «Qello soltanto tu devi conoscere come il Brahman.»
(Ke. 1.4-8), immergendosi nella propria grandezza tramite la
esclusione di ciò che potrebbe essere oggeto di adorazione
[distinto dal Brahman, il maestro] blocca il suo apprendimen-
to [con il monito]: “Se” tu “pensi”: io “ben conosco” il Brahman,
“allora tu in verità conosci del Brahman solo quello che è un
suo aspeto” limitato: questo senza dubbio ritiene il maestro.
Qale scopo ha, dunque, tale arresto?
Si dice: [è fato] per fssare la comprensione [del discepo-
lo] sull’oggeto aferrato in precedenza. Invero colui, il quale
pensi: io ben conosco [il Brahman in quello che è il suo aspet-
to] anche in relazione ai deva, in verità conosce del Brahman
solo il suo aspeto come ‘piccolo spazio’ (dahara).72
Perché?
Perché il Brahman [supremo] non è oggeto [di conoscen-
za] per alcuno.
114 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.1
2.3. Per colui, per il quale è ignoto, per quegli è noto. Colui
per il quale è noto, quegli non [lo] conosce. È non-conosciuto da
parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono, è conosciu-
to da parte di coloro i quali [afermano che] non [lo] conoscono.
2.3 Secondo Kha~ƒa 117
Come?
“Colui per il quale è noto”, è conosciuto, [per il quale] vi è
la consapevolezza: ‘io ho realizzato il Brahman’, quegli è uno
la cui conoscenza è erronea (viparıtavijñåna), un falso cono-
scitore: poiché il Brahman è altro dal conosciuto, “quegli non
[lo] conosce”, non ne ha consapevolezza. E con questo è pro-
vata anche la erroneità di una conoscenza che sia diforme
dalla tradizione vedica.
Essendo stata disapprovata in quanto non ha come ogget-
to il Brahman, così anche per quanto convenuto da parte di
Kapila, Ka~abhug e altri,82 si ha la natura fallace anche per la
mancata cessazione della volontà di conoscere, in quanto è
generata da un ragionamento non stabilito, dal momento che
concerne un Brahman [immaginato come avente natura di og-
geto] conosciuto. [Ciò si apprende] anche dalla Smÿti: «Qel-
le Smÿti che sono estranee ai Veda e tute quelle [altre] non
ortodosse, invero tute quelle Smÿti vengono dichiarate essere
prive di fruto e fondate nell’oscurità», dato che non distrug-
gono né la conoscenza opposta né quella diforme o erronea.
Data la mancanza di signifcato della ripetizione [in gene-
re], la pronunzia dell’argomento precedente [nei termini]: “È
non-conosciuto da parte di coloro i quali [afermano che lo]
conoscono, è conosciuto da parte di coloro i quali [afermano
che] non [lo] conoscono” sarebbe una espressione priva di si-
gnifcato [se valutata] solo in relazione alla ripetizione; que-
sto si aferma in virtù del fato che l’argomento costituito da
conoscenza e non-conoscenza, quali sono state precedente-
mente enunciate [con le parole]: “Per colui, per il quale è i-
gnoto.”, mantiene un [preciso] signifcato.
Poiché il Brahman “È non-conosciuto”, non è realizzato
come [il proprio] åtman “da parte di coloro i quali [afermano
che lo] conoscono” in quanto non è oggeto [di conoscenza
nel senso ordinario e duale del termine], perciò quello stesso
Brahman, il quale costituisce la loro [stessa] conoscenza (co-
2.4 Secondo Kha~ƒa 119
Risposta: No.
giusto agire.» (Bÿ. 3.2.13) che l’altro (il jıva) è del tuto oppo-
sto. Perciò stesso [si conclude che] soltanto il Signore è afat-
to eternamente libero, in virtù della unione con la eterna pu-
rezza, mentre l’altro è un essere trasmigrante. E inoltre, lad-
dove vi è una diferenza che caraterizza la conoscenza e le al-
tre [proprietà], là la distinzione è efetivamente constatata.
Come per un cavallo e un bufalo, così si può supporre che vi è
una distinzione degli åtman [individuati] dal Signore in virtù
della distinzione che caraterizza la conoscenza, ecc.
Risposta: No.
Obiezione: Perché?
*
NOTE
1
Accennando alle due Vie, Âa§kara si riferisce ai corsi postumi
denominati Sentiero setentrionale (utaramårga) e Sentiero meri-
dionale (dak≤i~amårga).
Il primo, che corrisponde alla Via degli dèi (devayåna), è imboc-
cato da coloro i quali, avendo trasceso l’individualità e compiuto le
prescrite meditazioni sulle Forme divine, al momento del trapasso
si elevano verso sfere di esistenza superiori, dalle quali non faranno
ritorno alla condizione umana terrena.
Nel secondo, che è la Via degli antenati (pitÿyåna), entrano co-
loro i quali, non avendo ancora trasceso l’individualità ma, alimen-
tando il desiderio e praticando solo l’atività rituale, alla dipartita si
portano verso sfere di esistenza commisurate al proprio fardello
karmico e accedono a condizioni paritetiche o inferiori dalle quali,
al completamento della esperienza del fruto karmico, faranno ri-
torno all’esistenza terrena.
La terza condizione citata è caraterizzata da una grande limita-
zione e da una immensa difcoltà a rinascere in forma umana, per
cui l’essere che vi cade permane in tale stato mantenendolo o reite-
randolo per tempi indefniti. Le prime due vie corrispondono ri-
spetivamente a stati di supercoscienza (deva) e di subcoscienza
(pitÿ) a livello universale.
2
Il termine vidyå viene impiegato per indicare sia la conoscen-
za che la meditazione in generale o sulle Forme divine (devatå) in
particolare. È evidente che solo in questa accezione la meditazione
può essere praticata in combinazione con l’atività rituale e non se
indicante la conoscenza, dato che la conoscenza metafsica – preci-
puamente designata dal termine jñåna – risolve ogni dualismo e
annulla qualsiasi distinzione, anche quella tra divino e umano.
150 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
3
Nel piano relativo un oggeto suscita desiderio e quindi impul-
sa alla corrispondente azione onde aquisirlo, ma nel caso del Bra-
hman, essendo privo di secondo, non può manifestarsi alcuna dua-
lità, quindi nemmeno un soggeto che concepisca un desiderio ac-
quisitivo sfociante nell’azione. Pertanto, secondo il commentatore
Ånandagiri, può costituire oggeto di ingiunzione solo ciò che è su-
scetibile di venire acquisito a seguito di un ato, deliberatamente
concepito e compiuto, che risulta imposto atraverso una prescri-
zione, ma non una natura sempre esistente e libera dal rapporto
soggeto-oggeto. Qindi il Brahman, la cui natura è pura Cono-
scenza, può essere svelato solo atraverso la rimozione dell’igno-
ranza, essendo l’ignoranza una sovrapposizione alla conoscenza.
4
Il non-visibile (adÿ≤†a) è il fruto dell’azione che può essere ap-
preso solo dalla Âruti ed è otenibile in esistenze future o in condi-
zioni diverse da quella umana. Visibile e non-visibile, per quanto di
specie diferente, costituiscono entrambi risultato dell’azione e per-
tanto sono ambedue relativi e limitati.
5
La mera volontà (icchå) – come spiega Ånandagiri – non im-
plica un agire efetivo, simile cioè all’agire individuato, che neces-
sita del contato, del rapporto direto con l’oggeto, ecc. ma lascia
intendere la sola presenza. Come il sole determina le stagioni, la
vita, ecc. solo grazie alla sua presenza, in quanto irradia di per sé
luce e calore vitali senza un intervento ativo di ordine materiale e
caraterizzato dal contato, così l’åtman non necessita di una rela-
zione direta con la mente, ecc. onde dirigerla, ecc.
6
Un contadino nell’ato di falciare si pone come soggeto agen-
te il quale si serve di uno strumento che in quel momento esplica,
posto in atività da lui, un’azione specifca. Deposto lo strumento-
falce, il contadino può essere agente in altre funzioni sue proprie o
non-agente, mentre lo strumento è comunque non-agente. Nel caso
degli strumenti organici, le loro funzioni-atività sono impulsate
dal prå~a, l’energia vitale, e questa è posta in azione dalla coscienza
dell’åtman.
Note 151
7
Dal manifestarsi e riassorbirsi delle varie funzioni si inferisce
l’ente che le impulsa. Ånandagiri commenta così: “L’udito e le altre
funzioni risultano complementari in rapporto a un ente afato di-
stinto da loro, perché esse sono entità composite, come una casa,
ecc. Atraverso questa inferenza si comprende Colui che è realmen-
te il possessore di funzioni come l’udito e le altre. Se, invece, fosse
egli stesso parte integrante della combinazione, allora sarebbe pri-
vo di consapevolezza propria, come un elemento di una casa, ecc.
Pertanto dovremmo immaginare qualche altro ente che se ne serve
[come strumento] e così via (nel caso si ponga nuovamente il pro-
blema dell’appartenenza alla natura composita), un terzo ente, ecc.
In tal modo si genera una regressione senza fne, per evitare la qua-
le si deve porre una Coscienza [autoesistente] che non sia parte di
tale combinazione”.
8
L’essere umano ordinario si identifca al veicolo individuale e
alle sue peculiarità organiche, per cui considera åtman quelli che
ne sono solo lontani rifessi veicolari. A seconda del grado di iden-
tifcazione, ritiene l’åtman, cioè se stesso, essere il corpo fsico, il
complesso emozionale, il mentale, ecc. o l’insieme di questi.
9
Il termine “mente” (manas), cioè l’ “organo interno” (anta¢ka-
ra~a), riassume le quatro funzioni di: intelleto puro o intuizione
152 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
10
Il termine prå~a possiede molti signifcati a seconda del con-
testo. Il più consueto è certamente quello di energia vitale nella sua
interezza, ma può anche indicare la sola funzione respiratoria esa-
lante, come anche il naso, atraverso cui, appunto, si esala, quale
organo dell’olfato, e, persino, come in alcuni passi della Âruti, an-
che il Brahman. Cfr. Ke. 1.8.
11
Il termine dhıra designa sia l’uomo di intelligenza (dhı), sia
l’uomo determinato, fermo nell’aderire alla sua deliberazione. Così
dhıra è il saggio che, avendo compreso la natura della condizione
individuata e del divenire in cui è necessariamente costreta, se ne
astrae in maniera risoluta e defnitiva.
12
Cfr. anche: Bÿ. 2.4.11 e 4.4.18, Chå. 8.12.4, Mai. 6.31 e Kau. 3.4.
13
Cfr. anche: Ka. 6.12 e Mu. 3.1.8. Lo Ÿloka in questione ricorda
anche Ù. 10.
14
Se il Brahman è al di là di tuto, cioè del manifestato (forma-
le-efetuale) e del non-manifestato (informale-causale), come può,
ci si potrebbe chiedere, essere l’intimo åtman di ciascuno? Inoltre,
se il Brahman è l’oggeto della istanza realizzativa del jıva, come
può questo essere già Qello? Qalsiasi ato rituale o di meditazio-
ne presuppone una diferenza tra l’agente e il fruto. In aggiunta a
ciò, l’ipotetico avversario, aderendo al senso comune, identifca
l’åtman con il jıva, l’essere vivente, il quale è solo il rifesso indivi-
duato di quello.
15
I grammatici distinguono oto sedi di emissione del suono,
che caraterizzano la natura e la specie delle singole letere che vi
vengono emesse (aspirazione pura, consonanti, vocali, semivocali,
Note 153
sibilanti, risonanza pura). Tali sedi sono: il profondo del peto (aspi-
razione pura), la parte interna della gola o radice della lingua (gut-
turali), il palato posteriore (palatali), il palato superiore (cerebrali),
la zona dentale (dentali), la regione labiale (labiali), la regione del
contato della lingua con alcune zone precedenti quali il palato po-
steriore, il superiore e i denti (sibilanti) e la regione che si estende
dalla radice del naso alla sommità del capo (nasali, risonanza o suo-
no puro). Talvolta le sedi sono descrite diversamente. Si veda an-
che la nota 17.
16
Si allude allo spho†a secondo la tesi dei grammatici fautori
della dotrina omonima. Lo spho†a è il suono eterno, non-udibile e
posseduto virtualmente delle singole letere – di cui le letere e i ri-
spetivi suoni udibili sono la manifestazione concreta – che conferi-
sce sonorità percepibile e signifcato primario sia alle letere stesse
sia alle parole in cui esse sono raggruppate. Il termine deriva dalla
radice verbale sphu† e ha il senso di ‘ciò che è manifestato, rivelato
dalle letere’. Lo spho†a potremmo defnirlo il suono sotile, il tono
potenziale delle singole letere connaturato a loro, la loro contro-
parte virtuale, immanifesta e duratura come l’universo. Per quanto
concerne l’ordine o la sequenza (krama) la scuola Mımåµsaka so-
stiene che, nella formazione di una parola, la successione delle sin-
gole letere, ciascuna dotata di un suo particolare e inseparabile
spho†a, fssa il signifcato del termine risultante. Medesime letere
diversamente disposte, pur mantenendo i propri singoli spho†a,
danno luogo a termini aventi signifcati diversi. Su tale dotrina è
fondata la scienza etimologica tradizionale (nirukta), e quindi la
stessa comprensione del signifcato delle Scriture e alcune forme di
meditazione.
17
Secondo il commentatore Ånandagiri, la letera a, la prima
dell’alfabeto sanscrito, costituendo anche la prima “misura” (måtra)
del monosillabo om (a, u, m), comprende la intera possibilità espri-
mibile tramite il suono, in quanto racchiude tuti gli altri suoni del-
l’alfabeto e le loro combinazioni. Infati, il suo spho†a si manifesta
sia nella veste delle altre vocali, qualora sia conferita una diversa
conformazione all’organo vocale, sia come i suoni nascenti come
154 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
consonanti dal contato delle parti, sia come i suoni intermedi co-
stituenti le semivocali (y, r, l, v), sia, infne, come quelli prodoti dal
sibilare dell’aria forzata a uscire da aperture serrate e producenti
atrito (le sibilanti: Ÿ palatale, ≤ cerebrale, s dentale). Così si genera
l’intero alfabeto e si hanno tute le possibilità di combinazione dei
suoni. Si torni alla nota 15.
18
Cfr. Chå. 7.23.1.
19
Le espressioni niyama (regola) e parisaµkhyå (asserzione e-
saustiva) appartengono alla dotrina Mımåµså. Corrispondono a
due precise prescrizioni: la prima (niyamavidhi) stabilisce una nor-
ma di scelta quando si presentano diverse possibilità; la seconda
(parisaµkhyåvidhi) decreta una tesi escludendo qualsiasi alternati-
va. Âa§kara riporta tali espressioni perché, laddove il Brahman po-
trebbe essere erroneamente identifcato anche con ciò che non è il
Brahman – come avviene per i ritualisti, ecc. – si deve operare la
giusta discriminazione della sua natura tra le diverse tesi e quindi
escludere categoricamente la cognizione erronea per poterlo com-
prendere e realizzare come il proprio åtman.
20
La percezione sensoriale è resa possibile dalla atività della
mente unita alla funzione del particolare organo di senso, per cui
l’oggeto con cui questo entra in contato viene pervaso e ricono-
sciuto tramite la mente. Qando la mente è inativa, come nel son-
no profondo, i sensi, ancorché funzionanti e in contato con i loro
oggeti, non esplicano la facoltà percetiva, per cui i rispetivi og-
geti restano non-conosciuti.
21
Cfr. Chå. 8.7-12.
22
Cfr. Chå. 8.1.1 e segg.
23
L’ipotetico interlocutore considera la coscienza un semplice
atributo applicato che, defnendo il Brahman, ne esprime indireta-
mente la natura. Per lui ‘il Brahman è coscienza in quanto carate-
Note 155
24
Il termine brahmacårin deriva da brahmacarya e defnisce sia
lo stadio di vita (åŸrama) dello studentato, dell’apprendimento delle
Scriture vivendo al servizio di un Maestro, sia colui che, dedicatosi
alla conoscenza-realizzazione del Brahman, conduce una esistenza
adeguata alla natura del Brahman, o meglio alla sua consapevolez-
za, cioè osserva una “condota brahmanica” (brahmacåra).
25
A tale proposito, così si esprime Ånandagiri: “Proprio come
nella comune esperienza è ben noto che a coloro, che sono consci
della natura della madreperla, l’argento [erroneamente] sovrappo-
sto su quella resta non-conosciuto, mentre l’argento sovrapposto è
considerato [reale] solo dall’ignorante, similmente, poiché [si con-
sidera che] la conoscibilità è un atributo relativo sovrapposto al
Brahman [come una qualità che caraterizza un oggeto], i conosci-
tori ritengono che il Brahman non possa essere conosciuto [come
oggeto]”. Per quanto concerne l’asserzione di Âa§kara: “.è realiz-
zato. da coloro i quali non posseggono una perfeta visione, vale a
dire coloro che concepiscono l’åtman solo come [identifcato con] i
sensi, ecc.”, il suo signifcato apparirà chiaro nello Ÿloka seguente e
nel relativo commento.
26
Come si vedrà più avanti, il termine composto pratibodha vie-
ne interpretato in più modi. La parola bodha, dalla radice verbale
budh (conoscere, svegliarsi) indica genericamente la conoscenza, la
coscienza, la consapevolezza; l’aggiunta della particella prati (verso,
vicino) le conferisce un valore distributivo: “ogni conoscenza”,
“ogni stato di coscienza”. Tradizionalmente il medesimo termine
viene poi impiegato anche per designare una conoscenza defnitiva
156 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
31
Essendo pura Coscienza, l’åtman è il sostrato di ogni stato
(veglia, ecc.) e del suo eventuale contenuto, quindi anche di ogni
modifcazione (vÿti), comprese le diverse funzioni mentali. Per la
stessa ragione è il Testimone della totalità (sarvadarŸin), il quale
trascende non solo la distinzione individuale e persino quella uni-
versale, ma anche la stessa måyå quale sua immensa possibilità. Per
le quatro funzioni della mente si torni alla nota 9.
32
Il testo di riferimento della Bÿhadåra~yaka Upani≤ad riporta:
åtmanyevå ’’tmånaµ paŸyati, ma vi è anche un’altra redazione che
si presenta come: åtmanaivå ’’tmånaµ paŸyati.
Âa§kara, in questo suo Commento alla Kena, fa riferimento a
quest’ultima letura, il cui senso è: “costui vede l’åtman atraverso il
158 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
33
La “conoscibilità da parte di se stesso” (svasaµvedyatå) impli-
ca la scissione dell’åtman, per natura unico, in soggeto e oggeto,
la conoscibilità da parte di un altro (parasaµvedyatå) presuppone la
presenza di un secondo laddove la Âruti aferma che l’åtman è “Uno
senza secondo” (Chå. 6.2.1). Pertanto nessuna delle due ipotesi è ac-
cetabile.
Nella UpadeŸasåhasrı Âa§kara aferma: «Come non si richiede una
ulteriore fonte luminosa al fne di rivelare una lampada accesa, nes-
sun’altra conoscenza è necessaria onde realizzare l’autentica natura
dell’åtman che è pura Consapevolezza» (UpadeŸasåhasrı: 2.17.41).
34
L’espressione “consapevolezza priva di una causa oggetiva”
(nirnimito bodha¢) è come la percezione dell’immagine di sogno,
che trae dalle impressioni mentali il proprio contenuto e l’impulso
a proietarsi. Peraltro, il termine pratibodha corrisponde a un risve-
glio spontaneo che determina un riconoscimento pieno ed efetivo
in maniera autonoma e indipendente da qualsiasi causa esterna.
Così si esprime Ånandagiri: “Una volta che l’åtman è realizzato,
non può più aversi alcuna funzione di [ulteriore] conoscitore e, per
conseguenza, nessuna possibilità di ulteriore conoscenza. Per que-
Note 159
38
Per quanto concerne la lota tra deva e asura cfr.: Bÿ. 1.3.1-7.
39
Ånandagiri specifca che “.lo Yoga è la combinazione dei tre
atributi (gu~a) : satva, rajas e tamas.”. Poiché tali atributi sono
anche i costituenti principiali dell’universo e, quindi, della måyå, lo
Yoga del Signore “.è la måyå stessa”: atraverso il suo potere di
måyå il Brahman manifesta l’universo restando Esso stesso non-
manifestato. Altrove nelle Scriture si dice che il Signore manifesta
l’universo atraverso l’ascesi yoga, il tapas. Così, poiché la manife-
stazione fnale comporta una molteplicità ed è costituita nel suo
complesso dal divenire di ciò che ha forma – la trasformazione è
l’essenza della forma – questa è la ragione per cui l’essere, sia divi-
no sia umano, non può riconoscere diretamente il Brahman che sta
dietro l’apparenza fenomenica.
40
Il termine Yak≤a designa l’Essere supremo, immortale, infni-
to che si manifesta come Essere universale, seme dell’intero dispie-
gamento cosmico comprensivo di tuti i piani dell’esistenza e di tut-
te le possibilità, divine e non. I deva non compresero come il Bra-
hman potesse apparire soto forma di Yak≤a. Si trata di un simboli-
smo che sintetizza il mistero della måyå, o del vivartavåda, la dot-
trina della modifcazione apparente. È il fulcro dell’Advaita: il Bra-
hman non-duale, infnito, eterno e immutabile, si manifesta, atra-
verso il suo stesso potere di måyå – la illimitata possibilità espres-
siva – come l’universo molteplice pur rimanendo identico a se stes-
so e sempre presente come Sostrato cosciente in ogni essere.
41
Agni è deto “Colui che procede a capo” (agragåmin), in rela-
zione a tute le altre divinità, perché è il primo deva a ricevere le
oblazioni nei sacrifci. Jåtavedas è un epiteto per Agni e signifca:
‘Colui che conosce (veda) tuto ciò che è stato generato (jåta)’, e
quindi onnisciente in relazione alla manifestazione.
42
Tradizionalmente si considera la triplice divisione del mondo
in: terra (pÿthivı), spazio intermedio (antarik≤a) e cielo (dyau). Le
tre sfere sono anche in relazione con le tre vyåhÿti o ‘esclamazioni
mistiche’ (bh¥r, bhuvas, svar). La regione intermedia è il regno delle
Note 161
43
Il saetare improvviso (sakÿd) della folgore è sufciente, con il
suo bagliore, a illuminare tuto intorno consentendo di riconoscere
il luogo, anche se ciò si verifca una sola volta. Così l’intuizione del
Brahman è in grado di dissolvere l’oscurità di måyå anche se il suo
lampo subitaneo riluce per un solo istante. L’istantaneità – o me-
glio, l’atemporalità – della presa di coscienza del Brahman viene ri-
marcata da diversi Testi perché è un riconoscimento che, come tale,
non può non essere immediato, totale e defnitivo, sempreché siano
presenti le giuste condizioni di qualifcazione spirituale. Cfr. anche
Bÿ. 5.7.1 e Mai. 7.11. Si noti che la forma vidyutas corrisponde sia
all’ablativo sia al genitivo.
44
Il sådhaka è l’aspirante alla conoscenza che segue una parti-
colare sådhanå o disciplina spirituale articolantesi in vari tipi di
pratica di meditazione, visualizzazione, ecc.
45
Ånandagiri spiega che “.il suo atributo (del Brahman quali-
fcato) nel contesto divino è la capacità di agire in maniera infnita-
mente rapida riguardo alla creazione, ecc. in quanto è assente qual-
siasi impedimento, come il balenare della folgore illumina tuto al-
l’istante”. La sua volontà è ato, senza interposizione di alcun tem-
po o modo. Così continua: “.il Brahman è per natura splendore il-
limitato e compie la manifestazione della totalità in maniera imme-
diata”. Mentre il Brahman inqualifcato (nirgu~a) tratato nei primi
due Kha~ƒa è il Sostrato di qualsiasi contenuto o modifcazione in
quanto pura Coscienza, il Brahman qualifcato (sagu~a) rappresenta
una apparente modifcazione o sovrapposizione a Qello, per cui si
manifesta proprio nella sovrapposizione mentale. Per questo moti-
vo Âa§kara dice: “.poiché ha la mente come sovrapposizione limi-
tante (upådhi), il Brahman sembra essere rivelato proprio dai conte-
nuti mentali” e conclude asserendo: “Esso esprime la proprietà di
manifestarsi in simultaneità con i contenuti della mente”. Si tenga
presente che l’assenza di contenuto relativa al sonno profondo non
162 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
46
La denominazione tadvanam rappresenta un uso particolare
del composto nominale che la grammatica esemplifca nella locu-
zione: tatpuru≤a, ‘l’uomo di quello’, ‘il suo uomo’. Così le parole tat
(quello, lui) e vana (venerazione, devozione, adorazione, ecc.) for-
mano: tadvanam, al neutro, che signifca: ‘che ha l’adorazione di
quello’, quindi ‘da lui venerato’, cioè ‘da ognuno venerato’, ossia
caro a ogni essere vivente in quanto åtman proprio di ciascuno. Si
veda anche la nota 113.
47
Un mezzo o fatore complementare (sahakåri) è un elemento
non facente parte integrante e necessaria di una cosa, ma susceti-
bile di essere combinato con quella allo scopo di perfezionarne o
completarne il risultato; una parte integrante (Ÿe≤a) rappresenta in-
vece qualcosa di necessariamente appartenente per natura all’og-
geto in esame e quindi non separabile da quello.
48
Cfr. Chå. 8.7-12. Tradizionalmente si considera che i costi-
tuenti del composto individuato sono modifcazioni (vÿti) degli at-
tributi-qualità principiali (gu~a). Così il corpo fsico è associato al
tamas, la sfera energetica al rajas e quella mentale al satva. L’indi-
vidualità veicolare nel suo complesso è il ritultato di una commi-
stione-interazione dei tre che riposa nella pura Coscienza (åtman)
di cui quelli sono una successiva apparente modifcazione.
49
Così si esprime il Signore Kÿ≤~a nell’intero passo: «Umiltà,
innocenza, inofensività, tolleranza, retitudine, rispeto per l’Istrut-
tore, purezza, costanza, totale controllo di sé, distacco nei confronti
degli oggeti sensoriali e assenza dello stesso senso dell’io, conside-
razione del male insito in nascita, morte, vecchiaia, malatia e sofe-
renza; non-aderenza, assenza di ataccamento morboso verso il f-
glio, il coniuge, la casa, ecc., e una costante equanimità mentale ne-
gli eventi desiderati e non desiderati e verso di Me, grazie allo yoga
Note 163
62
La ‘funzione’ (pravÿti) in questo caso è quella di sollecitare e
dirigere la mente rimanendone al di là.
63
Si avrebbe anche una regressione senza fne.
64
Per l’avversario la contraddizione è rivelata dalla condizione
di non-conoscenza dell’åtman: se l’åtman è conoscenza, come è pos-
sibile che sia non-conosciuto?
65
Un ipotetico oppositore, basandosi su passi come: «Qello
conobbe soltanto sé stesso» (Bÿ. 1.4.10), potrebbe sostenere che l’å-
tman è presentato dalla stessa Âruti sia come soggeto che come og-
geto di conoscenza, per cui o si conclude che la Âruti è in autocon-
traddizione, o si deve immaginare una natura composita, e quindi
impermanente, nell’åtman.
Il ‘non conoscere’ l’åtman implica la coesistenza di una cono-
scenza autentica – quella del soggeto-åtman – e di una conoscenza
diforme – quella che non arriva a conoscerlo – e se le due si mani-
festano in contemporaneità nell’åtman, ciò rappresenta una con-
traddizione in termini.
66
Si allude al rifesso infnitesimo e puntiforme dell’åtman, cioè
al suo rifesso incarnato come essere vivente, il jıva, deto anche jı-
våtman, il sé vivente, il quale, a causa del proprio fardello karmico
sostenuto da una condizione di assoggetamento all’avidyå, si iden-
tifca con la propria condizione di autoindividuazione e con i veico-
li che ha atrato e condensato atorno al proprio centro di autoco-
scienza.
67
È bene precisare che tra åtman reale e åtman identifcato con
la mente, ecc. – cioè il jıva o jıvåtman – non c’è contrapposizione,
né diferenza, né dualità: nell’åtman, che è non-duale, non c’è real-
mente nessun ‘altro’ åtman. È il medesimo e unico åtman che ap-
pare, per virtù di måyå, soto l’aspeto rifesso di molti åtman che si
identifcano ai veicoli; va comunque ricordato che la soggezione a
tale condizione sovrapposta pertiene solo a colui che è immerso
nella ignoranza della propria natura.
166 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
68
Va considerato che tali ‘diverse condizioni’ ineriscono al sog-
geto percipiente individuato, quello appunto identifcato con l’io
empirico, e non sono reali né possono porsi sul medesimo piano
degli enti (fuoco, sole, ecc.) di cui velano di volta in volta la natura.
69
Il conosciuto defnisce la sfera oggetuale relativa al piano
esteriore-empirico e quindi l’esperienza-percezione nello stato di
veglia e quella relativa al piano interiore-onirico e quindi l’espe-
rienza-percezione nello stato di sogno, cioè il manifestato (vyakta)
o il formale (m¥rta); il non-conosciuto defnisce il piano causale in-
diferenziato nel quale non si ha alcuna esperienza-percezione in
quanto è assente il conoscibile ma non il conoscitore, per cui corri-
sponde allo stato di sonno profondo, cioè l’Immanifesto (avyakta) o
il Non-formale (am¥rta).
Da un altro punto di vista il conosciuto corrisponde alla dualità
e il non-conosciuto all’unità indistinta e, come spiega Âa§kara, ri-
spetivamente all’efeto e alla causa nell’ordine individuale e anche
in quello universale. Poiché il Brahman-åtman è non-duale, Qello
è al di là di entrambi, del causato (mondo) e del Causante (Signore,
ÙŸvara). È in questo senso che l’åtman è il Testimone sia della cono-
scenza (dualità) che della non-conoscenza (unità).
70
Il Brahman non può essere oggeto di accetazione né di rifu-
to perché non costituisce un oggeto ma la natura stessa di colui
che acceta o rifuta. Essendo non-duale (advaya), non vi è alcun
‘secondo’ distinto da Qello. Inoltre non può nemmeno scindersi in
soggeto e oggeto pena il contravvenire alla natura non-duale e la
conseguente natura fnita dell’uno e dell’altro, dato che due infniti
non possono coesistere. Per lo stesso motivo non può nemmeno di-
venire oggeto per un altro ente.
71
Il Brahman-åtman è la causa fondante della parola, ossia della
defnizione. Se la molteplicità formale è efeto della proiezione del
nome (cfr. Chå. 6.1.4), tale sovrapposizione necessita di un Sostrato
libero da nome e forma, essenziato di non-diferenziazione, conti-
nuità e acausalità, nonché privo di qualifcazione: in sostanza, non-
duale.
Note 167
72
L’espressione: ‘piccolo spazio’ (dahara) designa simbolica-
mente lo ‘spazio all’interno’, il nucleo di autocoscienza che è il cuo-
re spirituale dell’essere, vale a dire il rifesso infnitesimo dell’å-
tman come jıva.
73
Cioè il suo rifesso come jıva e il suo aspeto qualifcato come
Brahman sagu~a, cioè l’Essere qualifcato universale, causa prima
dell’universo-efeto.
74
La triplice nozione (pratyayatraya) è l’argomento della prima
domanda (1.1), in cui si cerca di stabilire il soggeto cosciente e
avulso dal movimento mentale a cui è imputabile il triplice fato di:
‘sollecitare’ la mente, ‘dirigere’ la mente verso un dato oggeto e
causare il ‘cadere’ della mente sull’oggeto. In altre parole si vuole
svelare quella Coscienza che vitalizza la sostanza mentale, la im-
pulsa al moto verso un oggeto e la proieta su quello facendole as-
sumerne la forma.
75
Il triplice ato compiuto sulla mente: formarsi, dirigersi verso
un oggeto e conformarsi ad esso, è dovuto a una causa impulsante
unica. Riconosciuta questa, si comprende l’intero processo forman-
te, direzionante e identifcante della mente.
76
La parola aha (certamente) che compare qui è confermata dal
commento alle sentenze. Più avanti nel corso del commento e nel
testo della versione corredata dal commento alle parole (padabhå-
≤ya) è riportata come: aham (io). Si trata di una possibilità inter-
pretativa tradizionale evidenziata da Âa§kara.
77
La prima è che il discepolo conosce solo un aspeto limitato
dell’åtman-Brahman, cioè il jıva o il Brahman sagu~a; la seconda è
che, pertanto, deve ancora meditare su Qello.
78
Qi nel testo del commento compare nuovamente la forma
aham (io).
168 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
79
L’oggeto della conoscenza ordinaria, poiché esiste in manife-
stazione, è sotoposto a nascita, mutamento e cessazione. Qeste
fasi determinano la sua conoscibilità. Ciò che non nasce, non muta
e non cessa non può costituire oggeto mancando qualsiasi relazio-
nabilità, variazione e defnibilità. L’atività modifcante (vikriyå) è
ciò che rende conoscibile come ‘entità’ quello che si presenta come
‘variazione’ e questa, come confermano le Scriture, è solo il risul-
tato di un ato della mente che opera proietando una separazione
distintiva. Si torni alla nota 69.
80
Cfr. L’opera di Âa§kara Pañcıkara~am: 6.
81
Lo conferma anche la frase: “.né [può afermare che] non
[lo] conosce, e [neppure che lo] conosce”.
82
Kapila è il codifcatore del darŸana Såµkhya; Ka~abhug
(Ka~åda) il codifcatore del darŸana VaiŸe≤ika. Entrambi pongono la
realtà al di là del piano meramente fenomenico, sia pur con le do-
vute diferenze. Nel Såµkhya la realtà è assimilata al Puru≤a, lo Spi-
rito cosciente universale, contrapposto alla natura sostanziale deta
Prakÿti. Nel VaiŸe≤ika le categorie (padårtha) da cui deriva la quali-
fcazione (viŸe≤a) della entità singola formano una rete che impri-
giona l’essere. In entrambi i darŸana, come negli altri, l’insegna-
mento è vòlto a liberare la coscienza dell’essere individuato dal
condizionamento del piano relativo.
83
Poiché la conoscenza erronea o diforme si basa sulla igno-
ranza o non-conoscenza, si dice che questa è la causa di quella. Si-
milmente il manifestato è efeto di quella causa che è il non-mani-
festato, nel quale è racchiuso come possibilità. Poiché il Brahman è
al di là di causa ed efeto, quindi del manifestato e del non-manife-
stato, qualsiasi assimilazione di Qello a ciò che appartiene a questi
piani è dovuto a una errata sovrapposizione fondata sulla ignoran-
za della sua natura. Si torni alla nota 69.
Note 169
84
Ciò che è sovrapposizione non è altro dal sostrato, perché so-
stanziato di quello. L’onda, modifcazione sovrapposta al mare, è
acqua. Così il riconoscere qualsiasi contenuto mentale come una
proiezione sostanziata di coscienza e sullo sfondo della pura Co-
scienza da un lato annulla ogni possibilità di movimento ativo e
reativo e di identifcazione con loro, dall’altro ristabilisce il sogget-
to nel proprio naturale stato di åtman, il Testimone per eccellenza.
In altre parole, l’immagine nella mente non è altro che la coscienza
stessa dell’åtman che ha apparentemente assunto quella forma.
Tale presa di consapevolezza, estesa a tuti i contenuti e a tuti i
veicoli insieme con le loro condizioni, costituisce un potente mezzo
realizzativo, un vero e proprio strumento con cui varcare (dvårin)
la soglia della non-conoscenza.
85
L’immortalità è la natura stessa dell’åtman, per cui il suo con-
seguimento va di pari passo con lo svelarsi della conoscenza del-
l’åtman. La radice verbale vid, da cui la voce: vindate, ha anche il
senso di ‘recuperare’. Conseguire l’immortalità è recuperare la pie-
na consapevolezza della propria natura immortale, che è sempre
presente e atuale.
86
L’espressione: svapnapratibodhavadyadviditam può anche es-
sere interpretata nel senso: ‘che è realizzato in quanto conosciuto
come nel sogno’, cioè in modo confuso e indeterminato.
87
‘Risveglio totale’ e ‘perfeta consapevolezza’, da cui la perva-
sione di ogni stato di coscienza. Si torni anche alla nota 26.
88
La percezione ripetuta, reiterata o varia può concernere un
oggeto o uno stato relativo, ma la realizzazione dell’åtman implica
lo svelamento di una identità. Ciò comporta un riconoscere che di-
sperde istantaneamente e defnitivamente ogni errata conoscenza
al riguardo e anche la non-conoscenza. È la presa di consapevolez-
za che risolve il dubbio e l’ignoranza in quanto svela la propria na-
tura di åtman.
170 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
89
La calma e le altre virtù mentali costituiscono un necessario
requisito per la realizzazione. Esse sono: calma mentale (Ÿama), au-
todominio (dama), propensione al raccoglimento (uparati), pazien-
za perseverante (titik≤å), fede nell’insegnamento, nelle Scriture e
nel Maestro (Ÿraddhå) e stabilità mentale nella contemplazione (sa-
mådhåna). Oltre a queste si richiedono: la discriminazione (viveka)
tra reale e non-reale, la spassionatezza (vairågya) nell’agire fnaliz-
zato a un fruto e la ferma volontà di emanciparsi dal divenire (mu-
muk≤utå). Cfr. l’opera di Âa§kara Vivekac¥ƒåma~i.
90
Âa§kara accenna alla scomparsa del Brahman-Yak≤a dalla vi-
sta di Indra quale si legge in 3.11.
91
Come sempre nei suoi commentari, Âa§kara si riferisce al
Brahman con il termine: ‘Signore’ (ÙŸvara), né traccia esplicitamen-
te una distinzione tra Brahman supremo e non-supremo perché
dalla sua visuale non-dualista quest’ultimo è solo un aspeto di
Qello, con il quale è identifcato a livello di realtà-essenza. L’a-
speto da considerarsi di volta in volta concerne il piano di espe-
rienza e, quindi, il grado o la capacità di comprensione di colui che
medita su Qello.
92
Un ipotetico oppositore potrebbe sostenere la tesi secondo
cui, se il Brahman è puro Essere, quindi non-agente diretamente,
l’universo composito deve essere prodoto da qualche altra entità e,
poiché nessun altro ente esiste all’infuori di Qello, ne consegue
che l’universo deriverebbe solo dall’azione. Qesta tesi è sostenuta
da scuole non-ortodosse dedite a un ritualismo dogmatico che pre-
clude ogni possibilità di trascendenza.
93
L’azione dipende dall’agente, dallo strumento, dalla sostanza
e dalla condizione: sono tuti fatori coefcienti e, quindi, semplici
mezzi singolarmente incapaci di dar luogo a un risultato compiuto.
94
La varietà di condizioni, mezzi, ecc. è determinata dall’azione
e questa dalle istanze preesistenti. La concatenazione è indefnita e
Note 171
95
È la legge del determinismo causale o, per dirla con le Upa-
ni≤ad, del karman. Ogni ato identifcato, cioè compiuto nella iden-
tifcazione al ruolo di soggeto che esplica una data volizione, è ef-
feto e causa a sua volta di un altro e successivo ato, e così via in
una concatenazione senza fne. Qale la volontà, tale l’azione – re-
cita una Upani≤ad – e quale l’ato, tale il fruto. L’agente è egli stes-
so causa del proprio assoggetamento al divenire e l’assegnazione
dei fruti atribuita al Signore esprime solo la necessità di un efeto
qualora ne sia stata promossa la causa tenendo conto della sfera di
esistenza dell’ente individuato. D’altronde nessun ente, in quanto
parte integrante di un tuto-intero, può sotrarsi alla legge di equili-
brio-armonia in cui si esprime la coesività propria dell’unità tra-
scendente. In altre parole, l’essere individuato – anche nell’ordine
universale – si muove coscienzialmente tra causa ed efeto fn
quando non sono risolti entrambi.
96
L’ipotetico oppositore vuole dimostrare che la natura del
fruto dipende esclusivamente dalla natura dell’ato.
97
Operando nel visibile, il risultato sarà parimenti visibile. Si è
deto che quale la natura dell’ato, tale quella del fruto. Viceversa,
l’ato sacrifcale, ecc., proietandosi al di là di spazio e tempo, porta
un fruto non necessariamente percepibile diretamente nella me-
desima condizione di esistenza in cui è stato compiuto.
98
Il Brahman, anche nel suo aspeto sagu~a, non è diretamente
il conferitore del fruto dell’azione, ma Colui che, costituendo l’U-
172 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
99
Condizioni coscienziali diverse determinano, pur nella mede-
sima modalità di azione, fruti anch’essi diferenti.
100
Dunque il Brahman nel suo aspeto sagu~a, ossia come ÙŸva-
ra, viene considerato il conferitore del fruto dell’azione, mentre
nella sua vera natura di nirgu~a è solo il Testimone. ÙŸvara rappre-
senta così il Principio causale, da cui discende il rapporto causa-ef-
feto che si sviluppa nel mondo manifesto; invece il Brahman, avul-
so da qualsiasi relazionabilità e defnizione, è Qello sul quale si
staglia la infnita possibilità di essere sia dell’efeto (universo) sia
della causa (Ù©vara).
101
Il fruto che il contadino raccoglie non dipende dalla sola
terra ma principalmente dalla sua azione consapevole. Così la Pra-
kÿti in cui si svolge l’agire umano, e quindi la måyå nella sua inte-
gralità diveniente, non è la causa direta del fruto, ma il terreno
esistenziale nel quale l’ente conscio agisce e raccoglie il fruto del
proprio agire.
102
Anche un’altra Upani≤ad dice: «Otiene [solo di passare] da
morte a morte colui il quale qui vede come se vi fosse molteplicità»
(Ka. 2.1.10).
103
Si intende la conoscenza duale fondata sul rapporto sogget-
to-oggeto, di cui la percezione sensoriale, come la proiezione men-
tale, ecc. è un aspeto.
104
Conoscenza, capacità e azione del jıva, che si presentano
molteplicemente in funzione dei singoli esseri, sono un rifesso inf-
nitesimo di jñåna-Ÿakti-karman propri di ÙŸvara e, rappresentando
Note 173
105
Una ipotetica natura del mondo separata rispeto al Signore
non è ammissibile perché, quando la måyå-avidyå viene risolta dal-
la conoscenza, tale dualismo scompare. Qesta visione risponde
alla concezione dei dualisti (Såµkhya e altri), per i quali la dualità
Puru≤a-Prakÿti è reale ed eterna. L’Advaita sostiene invece che, non
essendovi una causa per la dualità – in quanto la causa stessa por-
rebbe un rapporto duale con l’efeto – questa è apparente in quan-
to fruto di proiezione su un substrato di ignoranza che poi è an-
ch’essa sovrapposta alla pura e reale Conoscenza non-duale.
106
A Qello che è privo di qualità si sovrappongono qualità pro-
venienti dalla percezione e dalla esperienza ordinarie e non create
dal nulla. Qale lo stato di coscienza, tale il grado di comprensione
e, inversamente, di sovrapposizione del non-reale al reale.
107
Ciò si comprende dalla dotrina advaita racchiusa nell’ajåti-
våda di Gauƒapåda che, in sintesi, può esprimersi come: ‘poiché la
dualità non ha ragione di essere, la sola realtà è la Non-dualità’. Cfr.
Må~ƒ¥kya Upani≤ad, con Kårikå di Gauƒapåda e Bhå≤ya di Âa§kara.
108
Nell’åtman non vi è né schiavitù né liberazione perché è pri-
vo di secondo; così i conceti di schiavitù e liberazione si riferisco-
no al jıva, cioè al rifesso individuato dell’åtman, che ignora la pro-
pria vera natura pensandosi individuo legato ai veicoli e alle loro
condizioni.
109
Benché in un primo momento Indra rimanesse perplesso allo
scomparire del Brahman alla sua vista, poi, proprio grazie a tale
174 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara
kenopani≤at
Ÿå§karapadabhå≤yopetå
iti ©å√karopodghåta¢
atha prathama¢ kha~ƒa¢
athendramiti | athendramabruvanmaghavannetadvijånıhıtyådi
p¥rvavat | indra¢ parameŸvaro maghavanbalavatvåt | tatheti tada-
bhyadravatasmådindrådåtmasamıpaµ gatåtadbrahma tirodadhe
198 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 3.12
*
såmavedıyatalavakåraŸåkhıyå
kenopani≤at
Ÿå§karavåkyabhå≤yopetå
tapravÿtikramametadbhoktÿkarmavibhågajñaprayatnap¥rvakaµ
bhavitumarhati | kåryatve sati yathoktalak≤a~atvåt | gÿhapråsåda-
rathaŸayanåsanådivadvipak≤a åtmådivat | karma~a eveti cet | na |
paratantrasya nimitamåtratvåt | yadidamupabhogavaicitryaµ prå-
~inåµ tatsådhanavaicitryaµ ca deŸakålanimitånur¥paniyatapravÿ-
tinivÿtikramaµ ca tanna nityasarvajñakartÿkam | kiµ tarhi ka-
rma~a eva | tasyåcintyaprabhåvatvåtsarvaiŸca phalahetutvåbhyu-
pagamåt | sati karma~a¢ phalahetutve kimıŸvarådhikakalpanayeti
na nityasyeŸvarasya nityasarvajñaŸakte¢ phalahetutvaµ ceti cet |
na | karma~a evopabhogavaicitryådyupapadyate | kasmåt | kartÿta-
ntratvåtkarma~a¢ | citimatprayatnanirvÿtaµ hi karma tatpraya-
tnoparamåduparataµ saddeŸåntare kålåntare vå niyatanimitaviŸe-
≤åpek≤aµ kartu¢ phalaµ janayi≤yatıti na yuktamanapek≤yånyadå-
tmana¢ prayoktÿ | kartaiva phalakåle prayokteti cet | mayå nirva-
rtito ’si tvåµ prayok≤ye phalåya yadåtmånur¥paµ phalamiti || na |
deŸakålanimitaviŸe≤ånabhijñatvåt | yadi hi kartå deŸaviŸe≤åbhijña¢
sansvåtantrye~a karma niyuñjyåtato ’ni≤†aphalasyåprayoktå syåt |
na ca nirnimitaµ tadanicchayå ’’tmasamavetaµ saccarmavadvika-
roti karma | na cå ’’tmakÿtamakartÿsamavetamayaskåntama~ivadå-
kra≤†ÿbhavati | pradhånakartÿsamavetatvåtkarma~a¢ || bh¥tåŸraya-
miti cenna sådhanatvåt | kartÿkriyåyå¢ sådhanabh¥tåni bh¥tåni
kriyåkåle ’nubh¥tavyåpårå~i samåptau ca halådivatkartrå paritya-
ktåni na phalaµ kålåntare kartumutsahante | na hi halaµ k≤etrå-
dvrıhıngÿhaµ praveŸayati bh¥takarma~oŸcåcetanatvåtsvata¢pra-
vÿtyanupapati¢ | våyuvaditi cennåsiddhatvåt | na hi våyoraciti-
mata¢ svata¢pravÿti¢ siddhå rathådi≤vadarŸanåt | Ÿåstråtkarma~a
eveti cet | Ÿåstraµ hi kriyåta¢ phalasiddhimåha – neŸvaråde¢ sva-
rgakåmo yajetetyådi | na ca pramå~ådhigatatvådånarthakyaµ yu-
ktam | na ceŸvaråstitve pramå~åntaramastıti cet | na | dÿ≤†anyåya-
hånånupapate¢ | kriyå hi vividhå dÿ≤†aphalå ’dÿ≤†aphalå ca | dÿ≤†a-
phalå ’pi vividhå ’nantaraphalå ’’gåmiphalå ca | anantaraphalå ga-
tibhujilak≤a~å | kålåntaraphalå ca kÿ≤isevådilak≤a~å | tatrånantara-
phalå phalåpavargi~yeva kålåntaraphalå t¥tpannapradhvåµsinı |
åtmasevyådyadhınaµ hi kÿ≤isevåde¢ phalaµ yata¢ | na cobhaya-
nyåyavyatireke~a svatantraµ karma tato vå phalaµ dÿ≤†aµ | tathå
ca karmaphalapråptau na dÿ≤†anyåyahånamupapadyate | tasmå-
cchånte yågådikarma~i nitya¢ kartÿkarmaphalavibhågajña ıŸvara¢
3.1 t®tıya¢ kha~ƒa¢ 221
sevyådivadyågådyanur¥paphaladåtopapadyate | sa cå ’’tmabh¥ta¢
sarvasya sarvakriyåphalapratyayasåk≤ı nityavijñånasvabhåva¢ saµ-
såradharmairasaµspÿ≤†a¢ | ŸruteŸca “na lipyate lokadu¢khena bå-
hya¢” “jaråmÿtyumatyeti” “vijaro vimÿtyu¢” “satyakåma satyasa-
§kalpa¢” “e≤a sarveŸvara¢ pu~yaµ karma kårayati” “anaŸnanna-
nyo abhicåkaŸıti” “etasya vå ak≤arasya praŸåsane” ityådyå asaµså-
ri~a ekasyå ’’tmano nityamuktasya siddhau Ÿrutaya¢ || smÿtayaŸca
sahasraŸo vidyante | na cårthavådå¢ Ÿakyante kalpayitum | ana-
nyayogitve sati vijñånotpådakatvåt | na cotpannaµ vijñånaµ bå-
dhyate | aprati≤edhåcca | na ceŸvaro nåstıti ni≤edho ’sti | pråptya-
bhåvåditi cenna | uktatvåt | na hiµsyåditivatpråptyabhåvåtprati≤e-
dho nå ’’rabhyata iti cenna | ıŸvarasadbhåve nyåyasyoktatvåt | a-
thavå ’prati≤edhåditi karma~a¢ phaladåna ıŸvarakålådınåµ na pra-
ti≤edho ’sti | na ca nimitåntaranirapek≤aµ kevalena kartraiva pra-
yuktaµ phaladaµ dÿ≤†am | na ca vina≤†o ’pi yåga¢ kålåntare phala-
do bhavati | sevyabuddhivatsevakena sarvajñeŸvarabuddhau tu
saµskÿtåyåµ yågådikarma~å vina≤†e ’pi karma~i sevyådiveŸvarå-
tphalaµ karturbhavatıti yuktam | na tu puna¢ padårthå våkyaŸate-
nåpi deŸåntare kålåntare vå svaµ svaµ svabhåvaµ jahati | nahi de-
Ÿakålåntare≤u cågniranu≤~o bhavati | evaµ karma~o ’pi kålåntare
phalaµ dviprakåramevopalabhyate | bıjak≤etrasaµskåraparirak≤å-
vijñånavatkartrapek≤aphalaµ kÿ≤yådivijñånavatsevyabuddhisaµ-
skåråpek≤aphalaµ ca sevådi | yågåde¢ karma~astathå ’vijñånava-
tkartrapek≤aphalatvånupapatau kålåntaraphalatvåtkarmadeŸakåla-
nimitavipåkavibhågajñabuddhisaµskåråpek≤aµ phalaµ bhavitu-
marhati | sevådikarmånur¥paphalajñasevyabuddhisaµskåråpek≤a-
phalasyeva | tasmåtsiddha¢ sarvajña ıŸvara¢ sarvajantubuddhika-
rmaphalavibhågasåk≤ı sarvabh¥tåntaråtmå | iti Ÿrute¢ || sa eva cå-
trå ’’tmå jant¥nåm “nånyo ’to ’sti dra≤†å Ÿrotå mantå vijñåtå” “nå-
nyadato ’sti vijñåtÿ” ityådyåtmåntaraprati≤edhaŸrute¢ “tatvamasi”
iti cå ’’tmatvopadeŸåt | na hi mÿtpi~ƒa¢ kåñcanåtmatvenopadiŸya-
te | jñånaŸaktikarmopåsyopåsakaŸuddhåŸuddhamuktåmuktabhedå-
dåtmabheda eveti cenna | bhedadÿ≤†yapavådåt || yaduktaµ såµså-
ri~a ıŸvarådananyå iti | tanna kiµ tarhi bheda eva saµsåryåtma-
nåm | kasmåt | lak≤a~abhedådaŸvamahi≤avat | kathaµ lak≤a~abhe-
da ityucyate | ıŸvarasya tåvannityaµ sarvavi≤ayaµ jñånaµ savitÿ-
prakåŸavat | tadviparıtaµ saµsåri~åµ khadyotasyeva | tathaiva Ÿa-
222 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 3.1
ta aik≤anteti mithyåpratyayatvåddheyatvakhyåpanårthamåmnå-
ya¢ | ıŸvaranimite vijaye svasåmarthyanimito ’småkamevåyaµ
vijaye ’småkamevåyaµ mahimetyåtmano jayådiŸreyonimitaµ sa-
rvåtmånamåtmasthaµ sarvakalyå~åspadamıŸvaramevå ’’tmatvenå-
buddhvå pi~ƒamåtråbhimånå¢ santo yaµ mithyåpratyayaµ cakru-
stasya pi~ƒamåtravi≤ayatvena mithyåpratyayatvåtsarvåtmeŸvara-
yåthåtmyåvabodhena håtavyatåkhyåpanårthastaddhai≤åmityådyå-
khyåyikåmnåya¢ | tadbrahma ha kilai≤åµ devånåmabhipråyaµ mi-
thyåhaµkårar¥paµ vijajñau vijåtavan | jñåtvå ca mithyåbhimåna-
Ÿåtanena tadanujighÿk≤ayå devebhyo ’rthåya te≤åmevendriyagoca-
re nåtid¥re prådurbabh¥va | maheŸvaraŸaktimåyopåtenåtyantå-
dbh¥tena prådurbh¥taµ kila kenacidr¥paviŸe≤e~a | tatkilopalabha-
månå api devå na vyajånata na vijñåtavanta¢ | kimidaµ yadeta-
dyak≤aµ p¥jyamiti ||
224 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 3.3
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Finito di stampare nel mese di Novembre 2017 da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA
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