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Si rende noto

che la prima parte del presente volume, la

KENA UPANIṢAD

con il Commento di Śaṅkara alle Parole

è disponibile al pubblico in formato cartaceo,

per i tipi delle

Edizioni Āśram Vidyā

http://www.edizioniasramvidya.it/asramvidya/

inserita nel volume 58 della Collezione Vidyā

KENA, MUṆḌAKA E AITAREYA UPANIṢAD

con il Commento di Śaṅkara


Si ringrazia

la Associazione Ecoculturale Parmenides,

già Edizioni Āśram Vidyā,

per la gentile concessione alla pubblicazione

del testo su questo sito


KENA UPANIṢAD
CON I COMMENTI

DI

ŚA°KARA

ALLE PAROLE E ALLE SENTENZE


La Kena Upaniṣad appartiene al Så- La Kena è stata ampiamente dilucidata
maveda e verte esclusivamente sulla da Âa§kara, il grande advaitin codificatore
conoscenza del Brahman. Malgrado la sua del Vedånta Advaita, il quale ha steso due
brevità è particolarmente importante, commenti: nel primo prende in esame, co-
tanto che viene annoverata tra le Upaniṣad me di consueto, le singole parole degli Ÿloka
principali. (padabhåṣya); nell’altro tratta le intere
Il nome di questa Upaniṣad deriva dalla sentenze (våkya bhåṣya) dilucidando le va-
parola iniziale del verso di apertura: kena..., rie implicanze che racchiudono. I due bhå-
“da chi...?”, in riferimento a qual è l’Ente ṣya sono indipendenti ma, analizzando il
che governa l’individualità, la mente e ogni testo sotto angolazioni diverse, risultano
funzione nella sua specifica attività. in un certo modo complementari, laddove
In essa si sottolinea non solo la neces- il secondo costituisce una sorta di inte-
sità del Brahman quale risposta alla inelu- grazione e approfondimento filosofico del
dibile esigenza filosofica di conferire un primo.
Sostrato ultimo e invariabile alla totalità,
ma anche l’inadeguatezza dei sensi e della
mente a conoscerlo come oggetto attra-
verso una conoscenza ordinaria.
Esso, infatti, essendo la Coscienza sen-
za-dualità che sorregge non solo il proces-
so universale nel suo emergere e svi-
lupparsi ma anche l’aspetto individuale –
nel quale si riflette come principio di auto-
coscienza, a livello della mente e in quello
di ogni singola facoltà sensoriale – è il
Soggetto ultimo, Testimone della totalità, e
lo Sfondo su cui si staglia l’intero esistente.
Anche attraverso singolari simbolismi,
la Kena conduce il ricercatore a svelare que-
sta Essenza autoesistente che, una volta
realizzata, annulla istantaneamente e defi-
nitivamente la soggezione all’indefinito
divenire esistenziale trasmigratorio.
Kena Upani≤ad

–––––––– 10 ––––––––
Testi della Conoscenza Tradizionale
© 2017 Kevalasa§gha
Tuti i diriti riservati

Stampato a Rieti
da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA
Via Poggio Mirteto, 4
02100 Rieti

Il presente volume è stato composto


con il caratere “Adri”
KENA UPANI≥AD

CON I COMMENTI

DI

ÂA°KARA

ALLE PAROLE E ALLE SENTENZE

Traduzione dal Sanscrito, presentazione e note


a cura di
Kevalasa§gha
«Per colui, per il quale è ignoto, per quegli è noto. Colui
per il quale è noto, quegli non [lo] conosce. È non-cono-
sciuto da parte di coloro i quali [afermano che lo] cono-
scono, è conosciuto da parte di coloro i quali [afermano
che] non [lo] conoscono. [Qando è] realizzato in ogni
stato di coscienza, [allora il Brahman] è conosciuto; infat-
ti [tramite ciò] si consegue l’immortalità»
Kena Upani≤ad: 2.3-4
INDICE

Fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 11

Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . » 12

Elenco Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . » 14

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . » 15

Kena Upani≤ad

con il Commento di Âa√kara alle Parole

Invocazione augurale . . . . . . . . . . . . .pag. 27

Introduzione di Âa√kara . . . . . . . . . . . . » 29

Primo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 35

Secondo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . » 53

Terzo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 69

Qarto Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . » 77
10

Kena Upani≤ad

con il Commento di Âa√kara alle Sentenze

Invocazione augurale . . . . . . . . . . . . .pag. 91

Primo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 93

Secondo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . » 113

Terzo Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . . » 125

Qarto Kha~ƒa . . . . . . . . . . . . . . . » 143

Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 149

Testo Sanscrito. . . . . . . . . . . . . . . . » 175

*
FONTI

Per la traduzione della Kena Upani≤ad con i Commenti di Âa√kara


e delle altre opere citate è stato consultato il testo sanscrito origi-
nale in devanågarı delle seguenti edizioni:

– Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit,


by Sri Vani Vilas Press, Srirangam, 1910;

– Complete Works of Ârı Âa√karåcårya in the original Sanskrit,


Samata Books, Madras, 1982;

– htp://sanskritdocuments.org.
AVVERTENZE

Al testo italiano

Per una migliore intelligibilità del testo sono stati posti:

– tra parentesi tonde ( ) l’originale sanscrito di parole o frasi, le


fonti delle citazioni o le parti mancanti di queste, i riferimenti ai
Versi, ulteriori chiarimenti al conceto espresso;

– tra parentesi quadre [ ] parole o frasi integrative o sotintese,


fonti di citazioni o di passi presenti nel Commento e non menzionati;

– tra virgolete basse « » le citazioni trate da fonti scriturali


rintracciate o meno, i Versi distinti da quello in esame;

– tra virgolete alte “ ” le parti del singolo Verso tratato nel


Commento, termini o frasi particolari, espressioni di rilievo;

– tra virgolete semplici ‘ ’ alcune parole o espressioni notevoli,


locuzioni esemplifcative, frasi in discorso direto e asserzioni dot-
trinali di importanza rilevante;

– in corsivo i termini sanscriti trasliterati, a eccezione di nomi


propri di luogo o di persona, e i termini italiani di interesse dotri-
nario; sono resi con parole unite da tratino termini non perfeta-
mente traducibili alla letera con un solo vocabolo;

– nella forma tematica i termini sanscriti se sono sostantivi o


aggetivi, o in quella radicale se si trata di verbi; tutavia, qualora
sia preferibile ai fni della comprensione, sostantivi e/o aggetivi
possono trovarsi nella forma declinata, i verbi in quella coniugata.
Avvertenze 13

Inoltre:

– il Maiuscolo e il minuscolo seguono l’impiego convenzionale,


mentre un medesimo termine può trovarsi maiuscolo o minuscolo
se indica rispetivamente una Forma divina o un oggeto;

– l’inserimento di Obiezione e Risposta nel Commento – sotin-


tesi nel testo originale – è stato ridoto al minimo indispensabile
per una più agevole comprensione;

– si considera il genere italiano dei vari termini sanscriti impie-


gati nella lingua originale, a eccezione di quelli entrati diversamen-
te nell’uso corrente;

– per facilitare la consultazione, è stata adotata la numerica


doppia separata da un punto (capitolo.verso);

– per le parole sanscrite è stata adotata la divisione sillabica;

– eventuali diferenze tra passi e/o fonti scriturali sono impu-


tabili a una disomogeneità nelle relative redazioni.

Al testo sanscrito

– Le citazioni da fonti scriturali note o meno sono state ripor-


tate tra virgolete alte “ ”; la numerica multipla relativa alle succes-
sive partizioni è stata separata da punti come nell’originale;

– La trasliterazione segue i criteri comunemente adotati man-


tenendo l’unione grafca delle parole come nel testo originale de-
vanågarı e la divisione sillabica;

– L’anusvåra, quando non trasliterato come µ, è stato talora


trasformato nella corrispondente nasale pronunciata.
ELENCO ABBREVIAZIONI

Ai. = Aitareya Upani≤ad


Ai. Å. = Aitareya Åra~yaka
Bha. Gı. = Bhagavad Gıtå
B®. = B®hadåra~yaka Upani≤ad
Bra. Pu. = Brahmå~ƒa Puråãa
Chå. = Chåndogya Upani≤ad
Ù. = Ù©a (Ù©å vasya) Upani≤ad
Ka. = Ka†ha Upani≤ad
Kai. = Kaivalya Upani≤ad
Kau. = Kau≤ıtaki Upani≤ad
Ke. = Kena Upani≤ad
Må. = Må~ƒ¥kya Upani≤ad
Ma. Bhå. Âå. = Mahå Bhårata Âåstra
Mu. = Mu~ƒaka Upani≤ad
Mukti. = Muktikå Upani≤ad
N®. = N®siµha P¥rva Tåpanıya Upani≤ad
Pra. = Pra©na Upani≤ad
Âve. = Âvetå©vatara Upani≤ad
Tai. = Taitirıya Upani≤ad
Tai. Brå. = Taitirıya Bråhmaãa
Vi. Sm®. = Vi≤~u Sm®ti
PRESENTAZIONE

La Kena Upani≤ad appartiene al Såmaveda, il Veda dei can-


ti såman, di cui fa parte anche la Chåndogya, ma verte esclu-
sivamente sulla conoscenza del Brahman. È nota anche soto
la denominazione di Talavakåra o, più raramente, Jaimini, dai
nomi della branca (Ÿåkhå) o del Bråhma~a che la contiene.
Malgrado la sua brevità la Kena è particolarmente impor-
tante, tanto che viene annoverata tra le Upani≤ad principali e
vanta ben due distinti commenti (bhå≤ya) a opera di Âa§kara.
In essa si sotolinea sia la necessità, o l’evidenza, del Bra-
hman quale risposta alla ineludibile esigenza flosofca di con-
ferire un sostrato ultimo e invariabile alla totalità, e quindi la
sua presenza regolatrice in ogni essere, ente, stato e condizio-
ne, sia l’inadeguatezza dei sensi e della mente a cogliere il
Brahman, l’incapacità di conoscerlo come oggeto atraverso
la conoscenza ordinaria.
Per il Vedånta, che rappresenta l’epilogo dei Veda e la sin-
tesi delle Upani≤ad, il Brahman è la Realtà ultima che sotostà
all’universo fenomenico, il Sostrato immutabile su cui si sta-
glia, in cui sussiste e in cui si riassorbe, quale semplice modi-
fcazione (vÿti) o sovrapposizione (adhyåropa), il mondo del
mutamento-divenire, l’Assoluto quale necessaria base di ogni
relativo.
Tale Assoluto-Brahman non è completamente avulso dal-
l’esistente in quanto si rifete in ogni essere vivente (jıva)
come åtman – let. l’afato vitale, dalla radice verbale an, re-
spirare – cioè come il principio o centro focale dell’autoco-
scienza individuale, e come tale rimane al di là della percezio-
16 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

ne e della stessa concetualizzazione. Tutavia può essere co-


nosciuto nella sua vera natura quando viene liberato dall’ap-
parente legame con il relativo, quando cioè viene astrato dal-
la limitatezza del veicolo.
Il Vedånta, ricordiamo, considera non-reale la molteplicità:
essa è un errore percetivo dovuto alla måyå, il potere proiet-
tivo velante del Brahman stesso; l’universo composito, in al-
tre parole, è l’apparenza del Brahman unico. Laddove la forma
(r¥pa) sembra imporre una distinzione tra gli enti, l’Essenza
brahmanica è e resta sempre una esprimendosi come l’armo-
nia della composizione universale. La diferenza tra gli enti è
solo esteriore, mentre oltre la superfcie riluce un unico Esse-
re cosciente (Puru≤a) che trascende tuti i parametri dimensio-
nali e di cui ogni essere, ogni ente formalmente distinto, è un
momento esistenziale.
Pertanto il Brahman deve essere concepito e realizzato co-
me il Soggeto unico della totalità e quindi come il Testimone
di tuto, ivi compresa la mente nella sua integralità. La pura
Coscienza, che è la natura dell’åtman, è per chiunque il conte-
nuto essenziale di consapevolezza della comune esperienza e,
a tale proposito, Âa§kara stesso aferma: “.il signifcato ben
accertato di tuto il Vedånta è che l’åtman proprio di ogni cono
scitore è il Brahman”, e “.da tale realizzazione del Brahman
come intimo åtman, l’ignoranza, che è il seme del divenire ci-
clico e colei che produce l’insorgere del desiderio e della [con-
seguente] atività, si estingue in maniera incondizionata”.
La Kena consta di quatro Sezioni (Kha~ƒa), di cui le pri-
me due in versi – talora metricamente irregolari – e le altre,
diferenti dalle precedenti anche per quanto riguarda il conte-
nuto, in prosa. I primi due Kha~ƒa presentano una tematica
di ordine metafsico in quanto tratano essenzialmente del
Brahman inqualifcato, l’Essere assoluto o “privo di atributi”
(nirgu~a) quale Fondamento trascendente di ogni possibilità;
gli ultimi due prospetano una dotrina per lo più ontologica
Presentazione 17

in quanto si riferiscono al Brahman nel suo aspeto qualifca-


to, di Essere universale immanente o “con atributi” (sagu~a),
quale Principio causale della manifestazione e, quindi, anche
dei princìpi secondari o deva.
Mentre la realizzazione del Brahman nirgu~a concede la
totale, immediata liberazione (mok≤a, mukti) dalla peregrina-
zione esistenziale (saµsåra), la conoscenza dell’Essere qualif-
cato – raggiunta anche atraverso la devozione, la pratica me-
ditativa, le forme di adorazione, ecc. – consente una emanci-
pazione graduale (kramamukti), diferita nel tempo universale
all’interno dei cicli manifesti (kalpa) sino alla soluzione (pra-
laya) di questi nel Brahman.
Il nome di questa Upani≤ad deriva dalla parola iniziale del
verso di apertura: kena., “da chi.?”, che introduce la que-
stione in riferimento a qual è l’Ente che governa l’individua-
lità, la mente e ogni funzione sensoriale nella sua specifca at-
tività. Il secondo Ÿloka fornisce la risposta: è Qello il quale “è
l’udito dell’udito, la mente della mente”, ecc. Qesta singolare
espressione allude alla coscienza che sta dietro la veicolarità,
sia questa rappresentata da un organo o persino dalla mente
nel suo complesso, e che conferisce consapevolezza non sol-
tanto alla mente nello svolgere la sua funzione proietiva, per-
cetiva o rammemorativa – “.la capacità di pensare [esplica-
ta] da parte della mente, dice Âa§kara nel suo Commento, [si
verifca] in quanto viene illuminata internamente dalla luce
della Coscienza” – ma anche a ogni singolo senso nell’ela-
borare i dati della percezione sotoponendoli all’esame men-
tale: se immaginiamo i sensi e persino l’energia vitale come
autosufcienti, indipendenti nelle loro atività, siamo in er-
rore, perché essi sono vitalizzati e possono svolgere il proprio
specifco ruolo solo grazie alla loro pervasione da parte del-
l’åtman.
In sostanza, la mente, con i sensi e le loro rispetive fun-
zioni, può essere presente ossia ativa o meno, come nel son-
18 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

no profondo, ecc., ma la coscienza è sempre e non cessa mai –


possiamo paragonarla alla sostanza rispeto alle sue forme-
modifcazioni, o allo spazio rispeto agli oggeti in esso conte-
nuti – e, al pari dell’intero composto individuato, è una modi-
fcazione (vÿti) della Coscienza onnipervadente che può emer-
gere, esprimersi o riassorbirsi e restare latente su un Sostrato
che invece è costantemente esistente, privo di limitazione e
immodifcato; tale Sostrato, che è Essere, Coscienza e Beatitu-
dine (sat-cit-ånanda) , è il Brahman stesso, privo di secondo
(advaya), che sta dietro la molteplicità nominale e formale del
mondo fenomenico (nåma-r¥pa).
Qando per ignoranza l’individuo si identifca con il pro-
prio complesso veicolare, ne segue le sorti subendo la transi-
torietà e la limitatezza delle condizioni; è il regno della morta-
lità, della illusorietà, del non-essere, della contradditorietà e
dei condizionamenti della forma e del suo incessante divenire
all’interno del saµsåra: in defnitiva, di måyå.
Ma coloro i quali, avendo riconosciuto che l’ignoranza, o
non-conoscenza, è sovrapposta alla conoscenza ed essendo
fermamente decisi a trascendere il piano relativo, sono risolu-
ti nella propria istanza realizzativa, nell’aspirazione alla libe-
razione dal saµsåra, “andandosene da questo mondo, diven-
gono immortali”, perché nella loro profonda consapevolezza
hanno già recuperato, o svelato, la propria natura di immorta-
lità, di Essere ‘che è e non-diviene’ – conceto, questo, che
verrà ribadito a conclusione del Secondo Kha~ƒa.
Il Brahman, come si è deto, non è oggeto per la comune
conoscenza: “Qello è afato altro dal conosciuto, ed è anche
al di là del non-conosciuto”. Il conoscibile rappresenta una
semplice possibilità, cioè quella della mente di assumere la
forma dell’oggeto, percepito o proietato; il non-conoscibile è
ciò che non rientra nella portata sensoriale o mentale, o non
esiste afato, come, per dirla con Âa§kara, le corna di una le-
pre. Ma il Brahman è distinto da ambedue, e Lo si deve com-
Presentazione 19

prendere come “Qello che non è espresso atraverso la paro-


la, ma atraverso cui la parola è espressa”.
Non è l’oggeto dei sensi o del pensiero, ma il loro Sogget-
to nascosto e sempre presente, lo Spetatore della loro atività
come della loro quiete, senza soluzione di continuità.
Non è quello che è il pensiero per la mente, ma Ciò grazie
a cui la mente stessa pensa e, come dice l’Upani≤ad, è pensata;
non è quello che è il veduto per la vista, ma Ciò grazie a cui si
vede l’oggeto esterno e la vista stessa, cioè si è consapevoli
del suo contenuto formale-oggetivo; Ciò per mezzo di cui si
ascolta l’udito, si respira il prå~a: infati ogni senso è “reso
oggeto di conoscenza dalla luce della Coscienza”.
Ci si può illudere di conoscere il Brahman oggetivamente,
ma in realtà se ne può cogliere tut’al più un minimo, infnite-
simo rifesso come “piccolo spazio” (dahara), vale a dire il jı-
va, il vivente conscio; né il Brahman è oggeto di adorazione
come Forme divine (deva) e nemmeno è ÙŸvara, che ne è solo
l’aspeto qualifcato come Persona universale: il Brahman è al
di là di tuti questi enti in quanto rappresenta il Sostegno tra-
scendente di tuto ciò che è o può essere.
In realtà il Brahman “è ignoto a colui che crede di cono-
scerlo e noto a chi non lo conosce”, a chi sa di non poterlo co-
noscere come oggeto. Aferma l’Upani≤ad: “È non conosciuto
da parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono, è co-
nosciuto da parte di coloro i quali [afermano che] non [lo]
conoscono”, sintetizzando la natura non-oggetuale del Bra-
hman in uno dei suoi Ÿloka più noti. Tale impossibilità di co-
noscerlo oggetivamente non esclude la possibilità di realiz-
zarlo in modo diverso, vale a dire soggetivamente, come la
Coscienza che comprende qualsiasi contenuto, e questo la
Kena lo esprime chiaramente dove sentenzia: “Il Brahman è
conosciuto quando è realizzato in ogni stato di coscienza”,
quando lo si riconosce come il Sostrato continuo e immodif-
cato in ogni forma o condizione della mente (Qarto, Turıya).
20 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

La dotrina dei tre stati di coscienza – veglia, sogno e son-


no profondo – con il Qarto stato, Turıya, quale loro Fonda-
mento è ampiamente dibatuta in altre Upani≤ad, prima fra
tute la Må~ƒ¥kya. Qi, spiega Âa§kara, si aferma solo che il
Brahman lo si deve comprendere come quell’ “.åtman per il
quale tuti i contenuti (pratyaya) divengono oggeto di cono-
scenza”, come la Coscienza che è il sostegno di ogni cono-
scenza e della stessa non-conoscenza. Nella condizione ordi-
naria di soggezione all’ignoranza, infati, Esso – continua Âa-
§kara – “viene percepito come [identifcato in] tuti gli stessi
stati di coscienza”, cioè associato con i loro oggeti, le loro
condizioni e le rispetive limitazioni. Inoltre, essendo “il Veg-
gente di tuti i contenuti. viene intuito in quei contenuti non
separatamente da loro”: è questo il motivo per cui non si può
coglierlo nella sua natura.
Qando la conoscenza assume la forma dell’oggeto, l’å-
tman sembra scomparire, venendo velato da tale immagine
sovrapposta; ma quando la sovrapposizione è riconosciuta ta-
le, essa si dissolve e l’åtman diviene evidente. Così, conclude
Âa§kara, “ogniqualvolta il Brahman viene realizzato come l’in-
timo åtman dei contenuti mentali, allora Qello è conosciuto,
vale a dire che si ha la perfeta consapevolezza di Qello. Non
vi è alcun altro accesso che conduca alla conoscenza dell’å-
tman”, cioè alla realizzazione del Brahman.
L’atingimento della Unità assoluta che sotostà alla mol-
teplicità relativa e contradditoria degli stati di coscienza ci
afranca dalla soggezione alla identifcazione con i contenuti
di quelli e, su un altro piano, dal rapporto con le condizioni
relative del divenire nel suo complesso universale; per usare
ancora le parole di Âa§kara, è “la presa di coscienza che risol-
ve ogni forma di diferenza”.
Colui che svela questo Brahman inconcepibile e indefni-
bile come Coscienza pura accede alla Verità, che può manife-
starsi, aferma l’Upani≤ad, in varie forme; ma chi non riesce a
Presentazione 21

coglierlo va verso una “grande rovina”, qual è la catena di na-


scite e morti. Qesta prima parte si conclude con la medesima
asserzione di conquista dell’immortalità da parte dei saggi ri-
soluti già pronunciata all’inizio.
Poiché il Brahman è “Uno senza-secondo” e si rifete in
ogni essere come åtman, va da sé che la sua conoscenza o rea-
lizzazione non è l’acquisizione di qualcosa di nuovo o di e-
straneo al soggeto conoscitore, come lo è la conoscenza di un
oggeto, ma il pieno e consapevole svelamento della sua stes-
sa autentica natura infnita, sempre presente e atuale, prima
velata dalla måyå-avidyå. Così non si trata della semplice
concetualizzazione, né della visualizzazione mistica né di una
proiezione immaginativa, ma dell’atualizzazione di una iden-
tità a livello coscienziale e non solo mentale, cioè della perfet-
ta presa di coscienza. Realizzare il Brahman è essere il Brah-
man, come sanciscono diverse Upani≤ad: «Certamente, colui
il quale, invero, conosce quel supremo Brahman, diviene il
Brahman stesso» (Mu. 3.2.9).
Mentre i primi due Kha~ƒa tratano del Brahman nirgu~a,
il quale è l’Essere assoluto e privo di secondo al di là della
causa-Essere universale e dell’efeto-universo, i due Kha~ƒa
successivi espongono la conoscenza relativa al Brahman sa-
gu~a, il grande Ente, qui denominato Yak≤a, da cui procede e
in cui si riassorbe la manifestazione. La narrazione si presenta
soto forma di episodio mitologico e intende esprimere un
elogio nei confronti della conoscenza del Brahman.
I vari deva, per primo Agni, poi Våyu, quindi Indra, igno-
rando la vera essenza di Yak≤a, vi si accostano ognuno pro-
spetando la propria natura e le proprie qualità per le quali è
noto e venerato. Ma al cospeto del Brahman soto la parven-
za di Yak≤a nessuno di loro riesce a esprimere autonomamen-
te le proprie potenzialità né a riconoscere la natura di Yak≤a.
Solo Indra, il capo dei deva, non torna indietro e, alla sua
presenza, il Brahman-Yak≤a dispare alla vista. Al suo posto si
22 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

manifesta, soto le sembianze di “una donna sommamente in-


cantevole” , Umå Haimavatı, la personifcazione divina della
Conoscenza. Ella espone a Indra il vero motivo della vitoria
dei deva sugli asura – episodio ben noto e ricorrente nella
Âruti – rivelando la grandezza e la gloria del Brahman: Qello
è anche Yak≤a, l’Essere universale che atraverso il divino po-
tere yogico di måyå proieta l’universo e ogni condizione di
esistenza. Così Indra, al solo udire la verità, riconosce in Ya-
k≤a il Brahman che andava ricercando.
Il signifcato è chiaro: i princìpi secondari, per quanto eser-
citino il loro potere nelle rispetive sfere, sono comunque sot-
tomessi a un Principio primario, appunto Yak≤a, dal quale at-
tingono le loro capacità; tale Principio è la Causa prima a cui
si deve ricondurre la totalità, l’Unità iniziale in cui emerge e si
risolve la molteplicità che, altrimenti, non avrebbe una suf-
ciente propria ragion d’essere. Gli altri enti, quelli via via infe-
riori, sono solo ulteriori efeti, derivazioni, rifessi e, in defni-
tiva, sovrapposizioni, sopratuto allorché la loro percezione
vela la Realtà sotostante impedendo di coglierla diretamente.
Identifcandosi con le sovrapposizioni, con il mondo di no-
me-forma, l’essere si allontana dalla propria natura e si soto-
mete alle leggi delle condizioni relative, cioè al non-essere.
Ma quando, sopraggiunta la maturità spirituale e grazie al
possesso delle giuste qualifcazioni, riconosce il condiziona-
mento saµsårico e matura una esigenza di afrancamento,
concepisce allora una istanza di conoscenza del Brahman e
così, operando una sintesi, riconosce l’intera esistenza come
possibilità e la reintegra in Sé stesso, cioè nell’åtman realiz-
zando nella Unità-senza-secondo la sua natura di Brahman e
liberandosi dal divenire-non-essere.
In pratica si autorisolve nell’Essere, infnito, immortale,
senza principio e senza fne, la Causa incausata al di là dello
stesso Principio cosmologico, la pura Non-dualità cosciente
quale Pienezza o perfeta Compiutezza autoesistente.
Presentazione 23

Del Brahman, come noto, non può darsi una immagine di-
reta, ma solo indicazioni per similitudine, rafgurazioni, allu-
sioni indirete. L’istruzione viene allora impartita atraverso
un “preceto”, cioè un’analogia che si avvale di simboli o di
immagini note. Anche qui, in relazione alla sfera divina, viene
paragonato, per la luce e l’istantaneità della conoscenza libe-
ratrice che concede, al balenare di una folgore che d’improv-
viso illumina tuto, o al repentino aprirsi e chiudersi degli oc-
chi grazie a cui si riconosce perfetamente ciò che ci atornia.
Nella sfera individuale il Brahman è Qello, indefnibile e
inconcepibile, verso cui si protende la mente del discepolo
nella contemplazione, Qello che con la mente egli ricorda e
l’oggeto del suo costante pensiero meditativo.
All’ultima richiesta del discepolo il Maestro risponde: “In-
vero a te ho enunciato la conoscenza segreta (upani≤ad) con-
cernente il Brahman”; i suoi ausilii sono la disciplina ascetica,
l’autodominio, l’atività rituale e i Veda, ma la sua dimora è la
Verità, e così conclude: “colui il quale realizza questa [cono-
scenza segreta] così, avendo rimosso l’errore, resta ferma-
mente stabilito nell’infnito mondo che è il cielo, nel Supre-
mo”, cioè si risolve nel Brahman e non ricade più nel divenire
esistenziale trasmigratorio perché questo, come ogni prodoto
d i måyå, si è dileguato per sempre nella Coscienza priva di
secondo: “.l’immortalità viene conseguita atraverso la cono-
scenza”.
Come accennato, Âa§kara ha steso due commenti alla Ke-
na, per quanto non tuti gli studiosi concordino nel ritenere
con certezza anche il secondo opera del Maestro. Nel primo il
grande Advaitin esamina, come di consueto, le singole parole
degli Ÿloka (padabhå≤ya); nell’altro prende in considerazione
le intere sentenze (våkyabhå≤ya) dilucidando le varie impli-
canze che racchiudono. I due bhå≤ya sono indipendenti ma,
analizzando il testo soto angolazioni diverse, risultano in un
certo senso complementari, laddove il secondo costituisce una
24 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

una sorta di integrazione e approfondimento flosofco del


primo. Talora i versi della Upani≤ad compaiono in maniera leg-
germente diversa nelle due spiegazioni e Âa§kara sviluppa le
conseguenze che le diferenti versioni comportano.
L’Upani≤ad presenta ulteriori glosse a opera di eminenti
Commentatori posteriori, fra cui Ånandagiri, del quale sono
riportate alcune osservazioni nelle note.
Rendendo omaggio alla Conoscenza e alla continuità della
Tradizione, formuliamo l’auspicio che la meditazione di que-
sta concisa e densa Upani≤ad possa imprimere un vigoroso
slancio alla intuizione del ricercatore afnché, infranta la in-
consistente compagine veicolare, sveli il proprio åtman in o-
gni stato di coscienza come il Brahman non-duale. Om
KENA UPANI≥AD

con il Commento di Âa§kara

alle Parole [degli Ÿloka]

(kenopani≤acchå§karapadabhå≤yopetå)
Invocazione augurale

Possa [Qello] proteggerci entrambi (Maestro e discepolo)!


Possa nutrirci entrambi!
Che noi due possiamo acquisire insieme il vigore [spirituale]!
Che lo studio da parte di noi due sia luminoso!
Che tra noi due non si debba mai disputare!

oµ Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢

Possano le mie membra e la parola, l’energia vitale,


la vista e l’udito e anche la forza
e tuti gli organi prosperare!
Tuto è il Brahman rivelato dalle Upani≤ad.
Che io non rinneghi mai il Brahman!
Che il Brahman non rinneghi mai me!
Mai vi sia rifuto [del Brahman da parte mia]!
Mai vi sia rifuto di me [da parte del Brahman]!
Qelle virtù [descrite] nelle Upani≤ad,
che esse siano in me che riposo nell’åtman!
Che esse siano in me!

oµ Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢


Introduzione di Âa§kara

Si procede ora a spiegare la Upani≤ad che comincia con [le


parole]: «Da chi [è] sollecitata.» (Ke. 1.1), la quale ha per og-
geto il supremo Brahman; a tale scopo prende inizio il nono
Capitolo [del Bråhma~a appartenente alla sezione Talavakåra
del Såma Veda]. Prima di questo sono stati esaurientemente
tratati i riti (karman), sono state menzionate sia le meditazio-
ni sul prå~a, come costituente la base dell’intero rituale, sia
quelle aventi per oggeto i [diversi canti denominati] såman
che formano parte complementare dei riti; subito dopo di ciò
è stata enunciata la conoscenza (meditazione) concernente il
Gåyatrasåman, terminante con la [esposizione della] succes-
sione [di maestri e discepoli]: [tuto questo concerne quello
che] è il risultato [dell’azione]. Qalora tuto ciò [che è stato
elencato], comprendente l’atività rituale e la meditazione,
venga praticato corretamente così come è stato esposto, colui
il quale, avendo trasceso il desiderio, aspira [solo] alla libera-
zione raggiunge l’obietivo della purifcazione mentale (sa-
tvaŸuddhi) [necessaria per la realizzazione della conoscenza].
Invece, per colui che alimenta il desiderio e non ha [anco-
ra] raggiunto la conoscenza, i soli riti [benché] appresi dalla
Âruti o dalla Smÿti, producono [soltanto l’esito] di imboccare
il sentiero meridionale comportando quindi un nuovo ritorno
[all’esistenza individuata su questo piano], mentre atraverso
l’azione [impulsata da qualsiasi tendenza] connaturata e con-
traria alle Scriture si avrà la degradazione [della propria for-
ma di esistenza] fno a quegli [esseri] che cominciano con gli
animali e terminano con gli enti inerti: «Poi, quelli, i quali
30 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole

non [procedono lungo] nessuna di queste due vie, questi stes-


si diventano piccoli esseri che trasmigrano in continuazione
[soto il divino comando]: ‘[ora] nasci! [ora] muori!’. Qesta
è la terza condizione» (Chå. 5.10.8). [Ciò si comprende anche]
dalla specifca asserzione del mantra: «Certamente tre [specie
di] creature deviarono dal corso.» (Ai. Å. 2.1.1.4).1 Ma [solo]
nel caso di colui il quale, grazie all’emergere di particolari
qualifcazioni [dovute alle meritorie azioni] efetuate qui [in
questa esistenza] o prodote in precedenti [esistenze], ha pu-
rifcato l’intelleto, ha trasceso il desiderio, si è astrato dal
rapporto con mezzi e fni esteriori e impermanenti, sorge l’i-
stanza di conoscenza (jijñåså) concernente l’intimo åtman.
Qesto stesso argomento viene mostrato dalla Âruti soto for-
ma di domande e risposte nel testo che comincia con le paro-
le: «Da chi [è] sollecitata.» (Ke. 1.1). Anche nella Kå†haka (la
Ka†ha Upani≤ad) viene deto: «L’Autoesistente rese gli accessi
esterni incapaci [di coglierlo]: per questo [l’essere individua-
to] vede [solo] le cose all’esterno e non l’intimo åtman. Qal-
che saggio, aspirando all’immortalità, divenuto uno che ha ri-
volto all’indietro la vista [esteriore], vide l’intimo åtman»,
ecc. (Ka. 2.1.1), mentre nell’Atharva [Veda si legge]: «Un brå-
hma~a, avendo riconosciuto che i diversi mondi non sono al-
tro che il risultato del compimento dei riti prescriti nei Veda,
non può che rimaner loro afato indiferente, avendo com-
preso che nulla di ciò che può essere acquisito per mezzo di
tali atività rituali è eterno. Qindi, con il combustibile in
mano, deve recarsi presso un Saggio versato nei Veda e real-
mente stabilito in Brahman allo scopo di realizzare egli stesso
la conoscenza di Qello» (Mu. 1.2.12). Invero [solo] in questo
modo può essere ammessa, per colui che ha operato il distac-
co, la [acquisizione della] qualifcazione per ascoltare, rifete-
re e meditare sulla conoscenza dell’intimo åtman e non altri-
menti mentre, da tale realizzazione del Brahman come intimo
åtman, l’ignoranza, che è il seme del divenire ciclico e colei
Introduzione di Âa√kara 31

che produce l’insorgenza del desiderio e della [conseguente]


atività, si estingue in maniera incondizionata, come si com-
prende dai seguenti mantra e da altri passi della Âruti: «.colà
qual turbamento, quale afizione per colui che riconosce l’u-
nità [dell’åtman]?» (Ù. 7), «.il conoscitore dell’åtman si porta
al di là della soferenza» (Chå. 7.1.3), «Il nodo del cuore è reci-
so, tuti i dubbi vengono dissipati, tuti gli efeti delle azioni
vengono per lui distruti quando Qello, che è supremo e
non-supremo, è stato realizzato» (Mu. 2.2.8).

Obiezione: Si può obietare che [tale fruto] potrebbe esse-


re conseguito anche tramite la conoscenza (vidyå) combinata
con l’atività rituale.2

Risposta: No, perché nel Våjasaneyaka [Bråhma~a, la Bÿ-


hadåra~yakopani≤ad] si aferma che tale [combinazione] pro-
duce un diferente [risultato]. Dopo aver menzionato: «Che io
abbia moglie.» (Bÿ. 1.4.17), nel Våjasaneyaka si aferma che
[l’atività rituale combinata con la meditazione sulle forme di-
vine] è causa [dell’otenimento] del triplice mondo, che è al-
tro dall’åtman: questo mondo, «(Il mondo degli uomini) lo si
consegue solo con la progenie e con nessun altro rito, il mon-
do dei Padri [lo si consegue] con il rito, il mondo degli Dei [lo
si consegue] con la conoscenza» (Bÿ. 1.5.16); e lì stesso viene
espressa la motivazione in riferimento alla ingiunzione con-
cernente lo stato di monaco itinerante (pårivråjya): «.cosa
oterremmo da una progenie, noi che abbiamo realizzato l’å-
tman e possediamo questo mondo?» (Bÿ. 4.4.22). A tale ri-
guardo, il signifcato di questa motivazione è il seguente: che
cosa dovremmo fare, noi, con la progenie, con l’atività ritua-
le e con la meditazione [sulle Forme divine] associata con tali
[efeti dell’agire], che sono mezzi per otenere il triplice
mondo degli uomini, dei Padri e degli Dei, e sono quindi cau-
sa dell’otenimento di condizioni di esistenza che non sono
32 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole

l’åtman? Né è desiderabile, per noi, il triplice mondo, imper-


manente e otenibile atraverso tali mezzi, per noi, cioè, che
aspiriamo a quello stato che è per sua natura «.non-nato,
non soggeto a decadimento, immortale, senza paura» (Bÿ. 4.4.
25) e che «.non è accresciuto né è sminuito da alcuna azio-
ne» (Bÿ. 4.4.23) ed è eterno. Così, a motivo della sua natura di
eternità, [lo stato di identità con il Brahman] non può essere
realizzato con alcun altro mezzo a eccezione della estinzione
della ignoranza.
Pertanto si deve assolutamente operare la rinuncia verso
ogni forma di volizione individuale una volta che sia atuata
la presa di coscienza del Brahman quale intimo åtman [di
ogni essere], anche perché la conoscenza-realizzazione del
Brahman quale intimo åtman esclude qualsiasi [possibilità di]
coesistenza con l’azione rituale. Infati non si può a ragione
ammetere che la presa di coscienza che risolve ogni forma di
diferenza, cioè avente per oggeto l’identità dell’intimo å-
tman con il Brahman, possa coesistere con l’atività rituale
che presuppone la nozione della distinzione tra agente e frut-
to: la realizzazione del Brahman non dipende da alcun fatore
di ordine umano, data la preminenza dello stesso oggeto [in
relazione alla conoscenza, ecc.].3
Perciò, per colui, il quale si è distaccato dal [fruto] visibi-
le e dal non-visibile4 otenibili atraverso mezzi esteriori, la
Âruti espone questa istanza di conoscenza del Brahman, con-
cernente l’intimo åtman, nel testo che comincia con: “Da chi
[è] sollecitata.?”, ecc. Ma poiché l’oggeto [della investiga-
zione] ha natura [estremamente] sotile, la esposizione soto
forma di domande e risposte da parte [rispetivamente] del
discepolo e del maestro diviene un mezzo per agevolare la
comprensione, mentre appare evidente che [lo stesso oggeto,
cioè il Brahman] non può essere raggiunto atraverso la sola
ragione dialetica, anche per quanto aferma il passo della
Âruti: «Qesta convinzione [che concerne l’åtman] non può
Introduzione di Âa√kara 33

essere acquisita con il ragionamento.» (Ka. 1.2.9) e in virtù


della diretiva [di trovare un maestro] ingiunta sia nella Smÿti
sia nella Âruti: «.l’uomo che ha un maestro realizzerà certa-
mente la Conoscenza.» (Chå. 6.14.2), «.soltanto la cono-
scenza ricevuta da un maestro conduce al sommo bene!»
(Chå. 4.9.3) e «Sappilo: prosternandoti.» (Bha. Gı. 4.34). Così
si può immaginare che qualcuno, non trovando altro rifugio
all’infuori dell’intimo åtman e aspirando a Qello che è al di
là della paura, eterno, benefco e inamovibile, dopo avere av-
vicinato nella dovuta, prescrita modalità un guru fermamen-
te stabilito in Brahman, può ben avere formulato la interroga-
zione [iniziale].
Primo Kha~ƒa

1.1. Da chi [è] sollecitata la mente, quando cade [sul proprio


oggeto], essendo direta verso [quello stesso]? Da chi [è stimo-
lata] l’energia vitale quando, per prima, perdura nell’essere
congiunta [con le sue funzioni]? Da chi [è] controllata questa
parola, che [gli uomini] pronunciano? Qal è, dunque, il deva
che regola la vista e l’udito?

“Da chi [è] sollecitata.?”. Essendo “sollecitata” (i≤ita), da


quale agente [è] impulsata, indirizzata “la mente, quando ca-
de”, procede, si porta verso il proprio oggeto [essendo direta
verso quello stesso]? Tale è il nesso [da cogliere]. Poiché è
impossibile che qui si intenda un ripetuto signifcato di anda-
re [verso] tramite la radice ‘sollecitare’ (i≤), si comprende che
questa forma esprime solo il senso di una istanza (icchå, da i≤:
desiderare). Il modo in cui tale radice si presenta nella forma:
“sollecitata” (i≤itam) costituisce una licenza vedica [la forma
correta essendo: e≤itam]; la voce “[essendo] direta verso.”
(pre≤itam) è [una costruzione] di quella stessa [radice verbale
i≤] preceduta dal prefsso pra (=verso) impiegata con valore di
controllo.
A tale riguardo, qualora fosse stata pronunciata solo la vo-
ce: “essendo direta verso”, potrebbe sorgere un dubbio con-
cernente sia colui che [la] dirige verso [l’oggeto], sia la dire-
zione, nei termini: da quale particolare agente diretore? e in
quale direzione? Ma poiché compare la specifcazione: “solle-
citata”, ambedue [gli interrogativi] cessano di porsi in quanto
si accerta lo specifco signifcato [espresso tramite la voce]
36 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.1

“essendo direta verso.” [sotintendendo:] dalla sola volontà


di chi (kasyecchå)?5

Obiezione: Se questo è il senso suggerito, allora esso ri-


sulterebbe già espresso compiutamente dalla sola menzione:
“Da chi [è] sollecitata.?”, mentre, in tal caso, la voce: “essen-
do direta verso” non dovrebbe essere proferita. Inoltre, poi-
ché è giusto che dall’aggiunta di un termine derivi un com-
pletamento del senso, appare ragionevole comprendere [altri]
particolari signifcati come: da quale volontà, azione o parola
[la mente] è direta verso [l’oggeto]?

Risposta: No, per via della congruenza (såmarthya) della


domanda. Dalla congruenza [del quesito posto] appare logico
che colui che formula la domanda è distaccato dall’azione e
dal suo efeto, che sono impermanenti come l’aggregato cor-
poreo, ecc., ed è quindi esclusivamente rivolto verso la ricerca
di Qello che, afato distinto da ciò, costituisce una realtà im-
mutabile ed eterna. Altrimenti, poiché la natura della volontà,
della parola e dell’azione come agente diretore nei confronti
dell’aggregato corporeo, ecc. è ben nota, la domanda stessa
sarebbe priva di senso.

Obiezione: Anche così, tutavia, il signifcato della espressio-


ne: “essendo direta verso” non risulta spiegato chiaramente.

Risposta: No, perché conformemente a ragione si ammete


che l’espressione: “essendo direta verso” possiede un signif-
cato particolare, essendo, questa, una domanda posta da colui
che è assillato dal dubbio. La duplice specifcazione [espressa
dai termini “sollecitata” (i≤ita) e “direta” (pre≤ita) nella frase]:
“Da chi [è] sollecitata la mente, quando cade [sul proprio og-
geto], essendo direta verso [quello stesso]?” può essere ra-
gionevolmente ammessa [in quanto lascia intendere la que-
1.2 Primo Kha~ƒa 37

stione]: ‘la capacità di dirigere [la mente, ecc.] è propria sol-


tanto dell’aggregato corporeo sensoriale, così come sembra
comunemente evidente, oppure tale capacità di dirigere [la
mente, ecc.] solo tramite una volontà è propria di un [altro
ente] distinto dall’aggregato e indipendente?’.

Obiezione: Comunque è risaputo che la mente è indipen-


dente [nella sua atività] e si proieta da sé verso il proprio
oggeto. Come si può a ragione ammetere una disputa in me-
rito a ciò?

Risposta: Si dice: se la mente fosse indipendente nell’espli-


care la sua atività verso un oggeto o nel ritirarsi [da quello],
allora non vi sarebbe per nessuno il pensiero del non-deside-
rabile; al contrario, pur consapevole [delle conseguenze, cia-
scuno nella propria mente] concepisce l’errore e, nonostante
che ne venga distolta, la mente si immerge lo stesso in un’at-
tività il cui efeto è talora estremamente deleterio. Perciò la
domanda: “Da chi [è] sollecitata.?” appare pienamente legit-
tima.
“Da chi [è stimolata] l’energia vitale quando. perdura
nell’essere congiunta [con le sue funzioni]?”, cioè allorché ri-
sulta anch’essa controllata, direta, per cui procede verso le
sue specifche atività? La specifcazione: “per prima”, deve
essere riferita alla energia vitale, perché le atività di tuti gli
organi sono precedute [sempre da quella del prå~a].
“Da chi [è] controllata [nel suo venire articolata] questa
parola”, consistente di suoni, “che” gli uomini “pronunciano?”
Similmente, “qual è, dunque, il deva”, l’essere risplendente
“che regola”, controlla, dirige “la vista e l’udito” verso il pro-
prio rispetivo oggeto?

1.2. Qello, dunque, è l’udito dell’udito, la mente della men-


te, in quanto è certamente la parola della parola, il prå~a del
38 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.2

prå~a, la vista della vista. Essendosi totalmente afrancati [dal-


la identifcazione con l’aggregato corporeo sensoriale], i saggi
risoluti, andandosene da questo mondo, divengono immortali.

A colui [il discepolo che il guru riconosce essere] idoneo


per lo yoga, il quale aveva domandato così, il guru rispose:
ascolta ciò che tu domandi [nei termini] ‘qual è il deva che di-
rige l’insieme della mente, ecc. e degli organi [ciascuno] verso
il proprio rispetivo oggeto, ovvero in che modo li dirige?’.
“.è l’udito dell’udito”. L’udito (Ÿrotra) è ciò per mezzo del
quale si ascolta, lo strumento organico (kara~a) preposto alla
percezione uditiva del suono, l’organo dell’udito che rende
manifeste le parole. Qello, in merito al quale tu hai doman-
dato: «Qal è, dunque, il deva che regola la vista e l’udito?»
(Ke. 1.1), “.è l’udito” di tale [udito].

Obiezione: Comunque, qualora si asserisca: ‘Qello, così


caraterizzato, controlla l’udito e gli altri [organi]’, la risposta:
“.è l’udito dell’udito”, appare incoerente.

Risposta: Ciò non costituisce un difeto, perché la sua spe-


cifca natura non può essere compresa diversamente. Infati,
qualora si intendesse che colui che controlla l’udito, ecc. è ca-
raterizzato da una propria atività specifca indipendente-
mente dalle atività specifche [di facoltà veicolari come quel-
la] dell’udito, ecc., come nel caso di uno che fa uso di una fal-
ce, ecc., allora tale risposta sarebbe incoerente. Ma qui non si
comprende che colui che impiega l’udito, ecc. è caraterizzato
da una propria atività specifca, come [invece è] nel caso di
uno che sta falciando, ecc.6 Invece, proprio dalla specifca ati-
vità esplicata da parte di enti compositi come l’udito e le altre
[funzioni organiche], consistente nella presa in considerazio-
ne, nella concetualizzazione e nella determinazione, cioè dal-
la necessaria conclusione relativamente al loro esito [che va a
1.2 Primo Kha~ƒa 39

benefcio di un ente da loro distinto], si comprende [che tale


ente è indipendente dalle varie funzioni]. Infati deve esistere
un [ente] non-composito [e distinto] dall’udito e dagli altri
[strumenti sensoriali] per lo scopo del quale risulta ativato
l’insieme dell’udito e degli altri [organi], come avviene per
una casa [che viene costruita a benefcio di un abitante il qua-
le è un ente distinto da quella]. Perciò, poiché gli enti compo-
siti [come gli strumenti sensoriali] esistono per lo scopo di un
altro [che è il loro possessore ed è un ente distinto da loro], si
comprende che vi è un ente che rende ativi l’udito [e le altre
funzioni].7 Pertanto questa risposta: “.è l’udito dell’udito” è
perfetamente appropriata.

Obiezione: Ancora in relazione a ciò, quale altro signifcato


possono avere le parole [della frase]: “.è l’udito dell’udito”?
A tale riguardo, infati, per l’udito non è necessario un altro
udito [per poter ascoltare], come una fonte di luce [non ne-
cessita] di un’altra fonte di luce [per illuminare o essere rive-
lata].

Risposta: Qesto non costituisce difeto. Qi il signifcato


della frase è questo: l’udito, innanzituto, viene constatato es-
sere [di per sé] in grado di rivelare il proprio oggeto [cioè il
suono], e tale capacità dell’udito di rivelare il proprio oggeto
si esprime, invero, quando è presente la luce dell’åtman, cioè
la Coscienza eterna, senza parti e interna a tuto, ma non in
sua assenza. Qindi [l’afermazione]: “.è l’udito dell’udito” è
pienamente plausibile. Con analogo signifcato vi sono anche
diversi passi della Âruti come i seguenti e altri: «È proprio
grazie alla luce che è l’åtman che egli sta.» (Bÿ. 4.3.6), «.tut-
to questo risplende dello splendore di Qello» (Ka. 2.2.15, Âve.
6.14, Mu. 2.2.10), «.acceso dalla cui luce il sole rifulge» (Tai.
Brå. 3.12.9.7), e anche nella [Bhagavad] Gıtå: «Lo splendore
che, promanante dal sole, illumina l’universo intero.» (Bha.
40 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.2

Gı. 15.12), «.così, o Bhårata, illumina il campo intero il Si-


gnore del campo» (Bha. Gı. 13.33). Anche nella Ka†ha [Upani-
≤ad si legge]: «È l’eterno tra i non-eterni, il consapevole tra i
consapevoli.» (Ka. 2.2.13).
Ora si respinge l’opinione corrente secondo cui l’udito e le
altre [funzioni] costituiscono certamente l’åtman della totali-
tà e sono [di per sé] consapevoli. Ciò viene qui confutato.8
Deve assolutamente esistere, dato che è realizzabile dalla in-
tuizione dei saggi, un ente il quale è il più interno a tuto, è im-
mutabile, non soggeto a decadimento, immortale, libero dalla
paura e privo di nascita e il quale è l’udito [cioè la consapevo-
lezza] dello stesso udito e delle altre [funzioni sensoriali], ossia
la causa della loro propria capacità. Così sia la risposta sia il si-
gnifcato delle parole appaiono del tuto legitimi.
In maniera simile, è “la mente della mente”, cioè [la consa-
pevolezza] dell’organo interno. Infati l’organo interno non
sarebbe in grado di svolgere la propria funzione, consistente
nel concetualizzare, nel determinare, ecc., qualora non fosse
illuminato dalla luce della coscienza. Per questo è anche “la
mente della mente”. Qi, avendoli assimilati, sia l’intelleto
(buddhi) sia la mente empirica (manas) vengono designati [con
una medesima parola] come “mente”.9
“.in quanto è certamente la parola della parola”. Il termi-
ne yat (=il quale) è impiegato nel senso [causale] di: “in quan-
to” e va connesso [anche] con l’udito e tute le [altre funzioni
in questo modo]: in quanto è l’udito dell’udito, in quanto è la
mente della mente, e così via. Nella frase: “è certamente la pa-
rola della parola” (våco ha våcam), il secondo caso (l’accusa-
tivo, våcam) si deve volgere al primo (il nominativo, våk), vi-
sta l’espressione [seguente]: “il prå~a del prå~a”.

Obiezione: Considerando questa [espressione]: “.è certa-


mente la parola della parola” (våco ha våcam) [in cui “la paro-
la” compare all’accusativo], per quale motivo non si dovrebbe
1.2 Primo Kha~ƒa 41

volgere all’accusativo [anche il termine prå~a nella successi-


va espressione] “il prå~a del prå~a” (prå~asya prå~am)?

Risposta: No, perché è ragionevole tenere in considerazio-


ne ciò che prevale. Considerando le due parole [nella frase]:
“Qello, dunque, è. il prå~a del prå~a” [dove “Qello” è il
soggeto e “il prå~a”, per concordanza logica e grammaticale,
compare al nominativo], si dovrebbe dire senz’altro våk (“la
parola”, al nominativo) in luogo di våcam (all’accusativo): in
questo modo, infati, verrebbe rispetata una coerente aderen-
za con ciò che è prevalente. Inoltre, è ragionevole che l’og-
geto, in merito al quale è stata formulata la domanda, debba
essere indicato al primo caso (il nominativo).
[Così] Qello, del quale tu hai chiesto, “è il prå~a del prå-
~a”, cioè di quella speciale funzione denominata prå~a per-
ché, invero, la capacità vitale del prå~a è indota da Qello.
Infati non si può ammetere la [azione vivifcante della]
energia vitale in un ente in cui non sia stabilito l’åtman, come
si apprende dai seguenti e altri passi della Âruti: «Chi mai, in-
vero, potrebbe inalare e chi potrebbe esalare se nello spazio
[del cuore] non vi fosse questa beatitudine?» (Tai. 2.7.1),
«[Qello che] sospinge in alto il prå~a e atira nella direzione
opposta l’apåna.» (Ka. 2.2.3). Inoltre, anche qui verrà deto:
«Qello che non si respira con il prå~a (qui è l’organo del-
l’olfato) ma dal quale il prå~a è stimolato a respirare, Qello
stesso tu conoscilo come il Brahman.» (Ke. 1.8).

Obiezione: Comunque, non sarebbe logico intendere [an-


che qui] il prå~a [non come energia vitale ma] come l’organo
dell’olfato (ghrå~a), in questo contesto in cui si celebrano gli
organi sensoriali come l’udito e gli altri?10

Risposta: Qesto è vero. Ma la Âruti ritiene che, atraverso


la sola menzione del prå~a [quale energia vitale], si fa com-
42 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.2

prendere il prå~a anche come organo dell’olfato. Il senso che


si intende esprimere nel contesto è: Qello, allo scopo del
quale si verifca l’atività dell’intero insieme di organi, è il
Brahman.
Nello stesso modo è [anche] “la vista della vista”, cioè la
capacità di percepire le forme [degli oggeti] propria del-
l’occhio, che è ciò che rivela la forma [delle cose] quando
[nella sua funzione] è presieduto dalla coscienza dell’åtman
[e non altrimenti]. Per questo è “la vista della vista”.
Poiché da parte di colui che ha espresso la richiesta vi è il
desiderio di conoscere l’oggeto di cui ha domandato, si deve
aggiungere, alla già pronunziata frase: “l’udito dell’udito”, ecc.,
[la specifcazione] “avendo realizzato il Brahman” [come l’u-
dito, ecc.], perché il fruto espresso dalla Âruti è: [avendo rea-
lizzato il Brahman come l’udito dell’udito, ecc., i saggi risolu-
ti, andandosene.] “.divengono immortali” (Ke. 1.2, 2.5). In-
fati l’immortalità viene conseguita atraverso la conoscenza.
Dalla prerogativa di liberarsi totalmente [solo] grazie alla
realizzazione della conoscenza, si ha che [l’immortalità viene
conseguita] rimuovendo [la identifcazione con] l’insieme di
strumenti sensoriali come l’udito e gli altri. Infati, operando
l’identifcazione di sé con l’udito e le altre funzioni [del veico-
lo individuato] e divenendo così condizionato da tali sovrap-
posizioni limitanti (upådhi), atraverso tale åtman [ftizio,
l’uomo] nasce, muore e trasmigra. Viceversa, realizzando co-
me il proprio åtman il Brahman caraterizzato come “l’udito
dell’udito”, ecc. ed “essendosi totalmente afrancati” (atimu-
cya) dalla identifcazione con l’udito e le altre funzioni senso-
riali [del veicolo individuato], cioè avendola completamente
deposta [si diviene immortali, identici al Brahman].
I “saggi risoluti” (dhırås) sono coloro i quali, dotati di sag-
gezza, depongono totalmente l’identifcazione con l’udito e le
altre [funzioni del veicolo individuato, quindi l’aggregato cor-
poreo sensoriale]: infati, a meno che non si sia qualifcati da
1.3 Primo Kha~ƒa 43

una grande saggezza, non si è in grado di abbandonare l’iden-


tifcazione con l’udito, ecc.11
“.andandosene”, separandosi “da questo mondo” contrad-
distinto da rapporti di ordine empirico come [quelli espressi
dalle nozioni di] ‘io’ e ‘mio’ relativamente a fgli, amici, mo-
glie e parenti, vale a dire: essendosi distaccati da ogni volizio-
ne individuale, “divengono immortali”, non più asserviti alla
mortalità, come [si apprende] dai seguenti e altri passi della
Âruti: «Non è stato né per le azioni né per la discendenza o la
ricchezza, ma per il distacco-rinuncia che alcuni hanno riavu-
to l’immortalità» (Kai. 2), «(L’Autoesistente) rese gli accessi
esterni incapaci [di coglierlo]. (Qalche saggio) aspirando
all’immortalità, divenuto uno che ha rivolto all’indietro la vi-
sta [esteriore] (vide l’intimo åtman)» (Ka. 2.1.1), «Qando
tuti (i desideri che sono fssati nel suo cuore) decadono (allo-
ra il mortale diviene immortale) e in questa [esistenza] conse-
gue il Brahman» (Ka. 2.3.14).
Oppure [si può interpretare in questo altro modo]: poiché
è ben noto che con questa stessa espressione: “essendosi to-
talmente afrancati” (atimucya), [si intende] il distacco dalla
volizione individuale, [allora la frase] “andandosene da que-
sto mondo” (pretyåsmållokåt) [signifcherebbe]: dipartendosi
da questo corpo, cioè morendo.12

1.3. Colà non giunge la vista, non giunge la parola, né la


mente. Non conosciamo [il Brahman così espresso]. Non abbia-
mo cognizione di come questo [Brahman] debba essere insegna-
to. ‘Qello è afato altro dal conosciuto ed è anche al di là del
non-conosciuto’: così udimmo dagli antichi [maestri] i quali ce
lo illustrarono.

Poiché il Brahman, essendo «.l’udito dell’udito» (Ke. 1. 2)


e anche [delle altre funzioni], costituisce l’åtman [di tuto e
quindi anche del conoscitore], ne consegue che “colà”, in quel
44 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.3

Brahman, “non giunge la vista”, perché è impossibile che [un


ente] possa procedere andando dentro se stesso. Similmente,
[nel Brahman] “non giunge la parola”. Infati, quando la paro-
la, cioè un termine, allorché viene pronunziato, rivela l’og-
geto che è deputato a indicare, allora si dice che la parola va
verso l’oggeto che designa. Ora il Brahman è l’åtman di quel-
la parola e anche dell’organo che la emete, per cui [colà, nel
Brahman] “non giunge la parola”. Come il fuoco, essendo sia
ciò che brucia sia ciò che illumina, invero non può illuminare
né bruciare se stesso, tale e quale [è il caso in esame]. “.né la
mente”: la mente, essendo colei che rifete e determina altro
[da lei stessa], non può rifetere né determinare se stessa,
perché il Brahman è l’åtman anche di essa.
Invero, è tramite i sensi e la mente [insieme] che si ha la
cognizione di un oggeto; ma poiché non rientra nella loro
sfera, “non conosciamo” [il Brahman nei termini come]: ‘il
Brahman ha tale natura’. Di conseguenza, “non abbiamo co-
gnizione di come”, del modo in cui questo Brahman “debba
essere insegnato”, [di come] debba costituire oggeto di istru-
zione per un discepolo. Tale è il senso. Infati, ciò che rientra
nella portata degli strumenti sensoriali può essere insegnato a
un altro grazie alle specifche qualifcazioni di classe, atributi
e atività. Ma il Brahman non possiede tali qualifcazioni di
classe, ecc., perciò è arduo comunicarne la conoscenza atra-
verso l’istruzione conferita a un discepolo, e [la stessa Âruti,
asserendo] “non conosciamo.”, ecc., fa comprendere che si
deve sostenere uno sforzo estremamente intenso sia nell’im-
partire l’istruzione che nel recepirne il signifcato.
Assunto che, in relazione alla istruzione [del Brahman], si
esclude categoricamente qualsiasi mezzo [basato su qualifca-
zioni], in questa [successiva parte dello Ÿloka] si esprime una
[parziale] eccezione a ciò.
Che non sia possibile comunicare la conoscenza del Su-
premo [Brahman] atraverso mezzi di conoscenza [comune-
1.3 Primo Kha~ƒa 45

mente ritenuti] validi come la percezione sensoriale e gli altri,


ciò è senz’altro vero; infati tale conoscenza può essere confe-
rita unicamente atraverso l’autorità scriturale (ågama). Così
[la stessa Upani≤ad] adduce l’autorità scriturale onde imparti-
re l’istruzione su Qello: “Qello è afato altro dal conosciuto
ed è anche al di là del non-conosciuto (così udimmo.)”.
“Qello”, [il Brahman] del quale è in corso la disamina e il
quale è stato esposto come «l’udito, ecc. dell’udito» (Ke. 1.2) e
delle altre [funzioni], non è oggeto di tali [funzioni sensoria-
li], ma “è afato altro”, è assolutamente distinto [da loro].
“Qello è afato altro dal conosciuto”; invero è [defnito] “co-
nosciuto” (vidita) ciò che viene perfetamente acquisito atra-
verso l’ato del conoscere, ciò che rappresenta oggeto per la
radice verbale: ‘conoscere’ (vid).
La stessa totalità manifesta [consistente nei piani grosso-
lano e sotile] costituisce dunque il conosciuto, in quanto vie-
ne evidentemente conosciuta in qualche condizione, in qual-
che parte e da qualcuno.
Il signifcato è che Qello è altro da ciò. Allora il “non-co-
nosciuto” (avidita) è ciò che non è [ancora] conosciuto (ajñå-
ta) [in quanto non ancora manifestato ma esistente potenzial-
mente come oggeto]. Assunto ciò, [l’Upani≤ad] aggiunge:
“(ed è anche al di là) del non-conosciuto”, cioè [è altro e di-
stinto] dal non-manifestato, che è opposto al conosciuto, con-
siste nell’ignoranza e costituisce il seme del manifestato (cioè
il piano causale). [L’espressione] “al di là” (adhi), nel senso di
“oltre”, assume per implicazione il signifcato di: ‘altro da’. In-
fati è ben noto che ciò che è al di là e oltre rispeto a qualco-
sa è altro da quello.
Ciò che è conosciuto è limitato, transitorio, associato alla
soferenza e per questo deve essere rigetato. Perciò, quando
si aferma che il Brahman è altro dal conosciuto, ciò dovrebbe
essere [inteso] come se si dicesse che non deve essere rigeta-
to [come un qualunque oggeto]. In maniera simile, aferman-
46 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.3

do che è al di là del non-conosciuto, ciò dovrebbe essere [in-


teso] come se si asserisse che non può essere acquisito [come
un oggeto, una condizione, ecc.]. Infati, uno acquisisce qual-
cosa di distinto [da lui stesso] come causa per otenerne un
efeto; ma, proprio per tale motivo, non vi è altro [da sé stes-
si] che possa costituire oggeto di acquisizione allo scopo di
soddisfare la fnalità di un ente distinto dal conoscitore stesso
[cioè da sé, quindi dall’åtman]. Così [in virtù dell’afermazio-
ne secondo cui il Brahman] è altro dal conosciuto e dal non-
conosciuto, [pronunciata] atraverso la esclusione [della pos-
sibilità] sia di rigetarlo sia di acquisirlo [come un oggeto re-
lativo e distinto], l’istanza di conoscenza del Brahman come
altro [da sé ossia come oggeto] esplicata da parte del disce-
polo si autorisolve, in quanto [il Brahman] non è distinto dal
proprio åtman. Invero, la distinzione dal conosciuto e dal non-
conosciuto non può aversi per nessun altro ente diverso dal
proprio åtman, per cui ‘il Brahman è l’åtman’; tale è il signif-
cato della sentenza. Qesto si apprende dai seguenti e altri
passi della Âruti: «Qesto åtman. è il Brahman» (Må. 2; Bÿ.
2.5.19, 4.4.5), «L’åtman, il quale non è contaminato dall’erro-
re.» (Chå. 8.7.1), «(.parlami) del Brahman, quello che è di-
reto e immediato, colui il quale è l’åtman interno a tuto.»
(Bÿ. 3.4.1). In tal modo [l’Upani≤ad], allorché aferma: “così u-
dimmo.”, ecc., sancisce quanto stabilito dalla sentenza in
merito alla istruzione [impartita da parte] dei maestri atra-
verso una linea ininterrota dall’uno all’altro, ossia che il Bra-
hman è l’åtman della totalità, afato distinto da qualsiasi qua-
lifcazione e consistente nella luce della Coscienza assoluta.
E, così, il Brahman può essere compreso soltanto grazie al-
la continuità di trasmissione dell’insegnamento da parte dei
maestri, ma non atraverso il ragionamento, né tramite la sua
esposizione [da parte di altri], né con la sola intelligenza, né
con il pur molto ascolto [delle Scriture], né, infne, con l’au-
sterità o con i sacrifci.
1.4 Primo Kha~ƒa 47

“.così udimmo”, in questo modo noi ascoltammo la espo-


sizione [del Brahman] “dagli antichi” maestri, quei maestri “i
quali ce lo illustrarono”, prospetarono, proferirono a noi il
Brahman chiaramente. Tale è il signifcato.13

1.4. Qello, che non è espresso atraverso la parola, ma at-


traverso cui la parola è espressa, Qello soltanto tu devi cono-
scere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o
questo altro deva].

Obiezione: Mostrato che il Brahman è l’åtman con la sen-


tenza: «Qello è afato altro dal conosciuto ed è anche al di
là del non-conosciuto» (Ke. 1.3), in colui che ascolta potrebbe
insinuarsi un dubbio: in che modo, invero, il Brahman potreb-
be essere l’åtman?
Infati l’åtman [nel suo rifesso jıva] è colui che per defni-
zione è qualifcato sia per l’atività rituale sia per la medita-
zione [sulle Forme divine, ecc.]: questi, essendo un essere tra-
smigrante, intende raggiungere divinità come Brahmå e le al-
tre oppure il paradiso ponendo in ato quei mezzi che sono
l’atività rituale o la meditazione. Perciò enti degni di venera-
zione da lui stesso distinti , come Vi≤~u, ÙŸvara e Indra, o il
prå~a (quest’ultimo quale energia vitale universale, cioè Hira-
~yagarbha quale totalità della energia a livello sottile) posso-
no ben essere il Brahman, ma non l’åtman, perché ciò sarebbe
contrario al senso comune.
Come alcuni logici considerano che l’åtman è diferente
da ÙŸvara, così i ritualisti venerano divinità afato distinte [da
loro stessi obbedendo a ingiunzioni come]: ‘sacrifca a questo
[deva]! sacrifca a questo [altro deva]!’. Pertanto è ragionevo-
le che quello [ÙŸvara, ecc.] sia il Brahman, il quale è conosciu-
to ed è degno di venerazione, e, quindi, che il meditante sia
distinto [dal Brahman stesso].14
48 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.4

Risposta: Riscontrando questo stesso dubbio nelle conclu-


sioni del discepolo o nelle sue afermazioni, [il maestro] disse:
non dubitare in questo modo! “Qello”, la cui essenza è la pu-
ra Coscienza, “il quale (non è pronunciato) atraverso la paro-
la.”. La ‘parola’ (våk) è lo strumento che, associandosi con le
oto sedi [di emissione dei suoni] a cominciare dalla radice
della lingua15 e presieduto [dal deva rappresentato] dal Fuoco
(agni), rende manifeste le letere (var~a). Inoltre le letere, es-
sendo limitate [nella quantità e nella specie] e venendo pro-
nunciate secondo un preciso ordine [sia nell’alfabeto sia per
dar luogo ai singoli termini] in accordo con il loro signifcato,
sono [anch’esse denominate] ‘parola’; ugualmente è denomi-
nato ‘parola’ anche il suono esprimibile tramite loro, che ne
costituisce la base (pada, cioè il supporto sonoro del rispetivo
senso).16 Anche dalla Âruti [si apprende]: «La letera a rac-
chiude l’intera [possibilità che può essere espressa tramite la]
parola. Manifestandosi atraverso i suoni di contato (sparŸa),
quelli intermedi (anta¢stha) e quelli di atrito (u≤ma, cioè le
sibilanti), diviene molteplice e multiforme» (Ai. Å. 2.3.7.13).17
“(Qello, il quale) non è espresso”, non è rivelato, non è
pronunciato “atraverso la parola”, cioè da quella [potenzialità
di espressione] che costituisce la base [della manifestazione di
un signifcato], che presenta tali modifcazioni e appare ora
come regolata [in versi, come nel Ígveda], ora come non-rego-
lata [cioè in prosa, come nello Yajurveda], talora come musica-
le [come i canti såman del Såmaveda], e infne che è veridica o
afato mendace e dalla quale l’organo specifco è delimitato
[nella sua funzione, potendo emetere solo letere quali suoni
semplici o composti], “ma atraverso cui”, cioè dal Brahman, “la
parola è espressa”, è rivelata grazie alla luce della Coscienza,
cioè viene impiegata [nella sua funzione] unitamente al suo or-
gano e nel signifcato che si intende comunicare.
Qello, che è stato esposto come: «Qello. in quanto è
certamente la parola della parola» (Ke. 1.2), e nella Bÿhadåra-
1.4 Primo Kha~ƒa 49

~yaka [Upani≤ad nei termini]: «.quando parla, è la parola»


(Bÿ. 1.4.7), «Colui il quale. governa la parola dall’interno»
(Bÿ. 3.7.17), ecc., e in merito al quale, formulata la domanda:
“Qella [capacità che è la] parola, che è negli esseri umani, si
fonda nei suoni. Qalche bråhma~a la conosce.”, viene data
risposta nei termini: “Qella, atraverso cui ci si esprime nel
sogno, è la parola.”; cioè: l’eterno ‘potere della parola’ (vakti)
che possiede colui che parla è la ‘parola’ (våk) che, nella sua
intrinseca natura, è la luce della Coscienza. Dalla Âruti si ap-
prende: «Infati non vi è cessazione per l’espressione di colui
che parla.» (Bÿ. 4.3.26).
“Qello soltanto”, quel Brahman che è la vera natura del-
l’åtman (åtmasvar¥pa), “tu devi conoscere”, devi realizzare
come il Brahman, il quale è senza superiore ed è denominato
Bh¥man (l’Essere per eccellenza, o l’Essere infnito) per via
della sua immensità.18
[Ovvero] ‘Realizza soltanto l’åtman come il Brahman privo
di qualifcazione.’ – [cioè quello espresso come]: «Qello,
dunque, è l’udito dell’udito, la mente della mente, in quanto è
certamente la parola della parola. la vista della vista.» (Ke.
1.2), e si presenta [nel suo rifesso jıva] come l’agente, il frui-
tore, il conoscitore, [oppure come] il regolatore e il reggente,
«Il Brahman, il quale è conoscenza e beatitudine.» (Bÿ. 3.9.
28.7) e così via – ‘.dopo aver rimosso tali sovrapposizioni li-
mitanti, quali la parola e le altre, a causa di cui emergono [ap-
parentemente] relazioni empiriche nel Brahman [supremo]
che è al di là di qualsiasi rapporto, che è privo di qualifcazio-
ni, supremo e sempre identico a se stesso’ – tale è il signifca-
to del termine “soltanto” (eva) [nella espressione: “soltanto
l’åtman”] – “.e non ciò” che è qualifcato dalle distinzioni in-
dote dalle sovrapposizioni limitanti, cioè quel Brahman [non-
supremo] “che adorano”, che venerano “come questo” ÙŸvara
o altri [deva coloro che non sono conoscitori] e che è distinto
dall’åtman.
50 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.4

Sebbene, quando viene deto: “Qello soltanto tu devi co-


noscere come il Brahman.”, si afermi che il non-åtman (os-
sia ciò che è distinto dal proprio åtman) non è il Brahman, al-
lo scopo di fornire una regola (niyama) [che non lasci adito a
dubbi] si dice ancora: ‘.e non questo Brahman’ [che adorano
come ÙŸvara o altro ed è distinto dall’åtman]; oppure [tale spe-
cifcazione] intende escludere (parisaµkhyå) qualsiasi conceto
del Brahman come altro [dall’åtman o diverso dal Brahman
esposto dalle Upani≤ad].19

1.5. Qello, che non si pensa tramite la mente, ma tramite il


quale dicono che la mente viene pensata, Qello soltanto tu devi
conoscere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo
[o questo altro deva].

“Qello, che non si pensa tramite la mente.”. La mente


(manas) è l’organo interno (anta¢kara~a) che riassume sia
l’intelleto (buddhi) sia la mente empirica sensoriale (manas).
La mente, che è ciò con cui si pensa, è comune a tuti gli [al-
tri] organi, perché pervade tuti i loro oggeti.20
Secondo il passo della Âruti: «Il desiderio, la conclusione,
il dubbio, la fede e la mancanza di fede, la fermezza e l’insta-
bilità, il riserbo, la saggezza e la paura: tuto questo è solo la
mente» (Bÿ. 1.5.3) la mente esplica la propria atività nel desi-
derio, ecc.
Da parte sua “Qello” (il Brahman), cioè la luce della Co-
scienza che è colei che illumina la mente, “che non si pensa
tramite la mente”, non lo si concepisce e neppure si accerta
per mezzo di quella, poiché è Colui che, illuminando la mente,
ne è il regolatore. L’organo interno non può esplicare ativi-
tà nei confronti del proprio åtman, in quanto [l’åtman] è af-
fato interno relativamente a qualsiasi ente; la capacità di
pensare [esplicata] da parte della mente [si verifca] in quanto
viene illuminata internamente dalla luce della Coscienza.
1.7 Primo Kha~ƒa 51

“.ma tramite il quale” i bråhma~a, cioè i conoscitori del


Brahman “dicono”, afermano “che la mente viene pensata”,
cioè resa oggeto di conoscenza in quanto ne è pervasa. Per-
ciò “Qello soltanto”, l’åtman della mente, Colui che conferi-
sce consapevolezza dall’interno, “(tu) devi conoscere come il
Brahman, “e non (ciò che adorano come) questo”, ecc., [tale
frase va interpretata] come in precedenza.

1.6. Qello, che non si vede con l’occhio, ma atraverso il


quale si vedono gli occhi, Qello soltanto tu devi conoscere come
il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o questo altro
deva].

“Qello che non si vede con l’occhio”, anche quando [que-


sto] è congiunto con la funzione dell’organo interno, cioè che
non si rende oggeto di conoscenza [per la visione], “ma at-
traverso il quale” nel mondo “si vedono gli occhi”, cioè si per-
vadono con la luce della Coscienza le funzioni svolte dalla vi-
sta separate tramite la distinzione delle funzioni della mente,
“Qello soltanto.”, ecc. [ciò va inteso] come in precedenza.

1.7. Qello, che non si ascolta con l’udito, ma atraverso il


quale questo udito viene ascoltato, Qello soltanto tu devi cono-
scere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o
questo altro deva].

“Qello, che non si ascolta con l’udito”, anche se [questo]


è congiunto con la funzione della mente, [udito] su cui presie-
de la divinità delle direzioni spaziali ed è un efeto dello spa-
zio, cioè che nel mondo non si rende oggeto di conoscenza,
“ma atraverso il quale questo udito”, che è ben noto, “viene
ascoltato” in quanto reso oggeto di conoscenza dalla luce del-
la Coscienza, “Qello soltanto.”, ecc. [ciò va inteso] come in
precedenza.
52 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 1.8

1.8. Qello che non si respira con il prå~a, ma dal quale il


prå~a è stimolato a respirare, Qello soltanto tu devi conoscere
come il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o questo
altro deva].

“Qello, che non si respira con il prå~a”, cioè con l’organo


olfativo che ha la natura della terra [quale elemento], risiede
all’interno delle cavità nasali ed è sostenuto dalle due funzio-
ni dell’organo interno e del prå~a [quale sofo vitale], cioè
che [nel mondo] non si rende oggeto di conoscenza al pari di
un profumo, “ma dal quale il prå~a è stimolato a respirare”,
[cioè l’organo olfativo che si manifesta come naso e come
tale svolge la sua funzione di inalare, ecc.] volgendosi verso il
proprio oggeto (ossia l’aria, gli efuvi, ecc.) essendo illumi-
nato dalla luce della Coscienza, “Qello soltanto.”, ecc.: tuto
ciò è identico [a prima].

Fine del Primo Kha~ƒa


Secondo Kha~ƒa

2.1. [Maestro:] ‘Se pensi: ben conosco [il Brahman], allora tu


conosci del Brahman solo quello che è il suo aspeto come picco-
lo spazio o quello che è il suo [aspeto] tra i deva. Dunque deve
essere ancora meditato da te’. [Discepolo:] ‘Ritengo che [il Bra-
hman] sia [da me] ben conosciuto’.

Temendo che il discepolo, al quale era stata conferita la


conoscenza in questo modo: ‘tu sei l’åtman, il quale è opposto
a ciò che va evitato e a ciò che si cerca di acquisire ed è il
Brahman’, potesse comprendere [erroneamente l’istruzione
ritenendo]: ‘io stesso sono il Brahman, io che conosco assai
bene me stesso’, il maestro, allo scopo di rimuovere tale
[eventuale errata] convinzione del discepolo, disse: “se (pen-
si.)”, ecc.

Obiezione: In ogni caso, una ferma convinzione come: ‘ben


conosco (me stesso come il Brahman.)’ parrebbe assai auspi-
cabile.

Risposta: Una ferma convinzione è certamente auspicabile,


ma non quella [espressa nei termini]: io “ben conosco.”. In-
fati, si può conoscere perfetamente [come oggeto solo] un
ente conoscibile e allorché diviene [efetivamente] oggeto di
conoscenza [entrando nella sfera sensoriale della cognizione
percetiva, ecc. e non la natura del conoscitore, il quale è colui
che conosce], allo stesso modo in cui [soltanto] ciò che è
combustibile può essere bruciato dal fuoco, ma non la natura
54 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.1

stessa del fuoco, che è colui che brucia. Invero, il signifcato


ben accertato di tuto il Vedånta è che l’åtman proprio di ogni
conoscitore è il Brahman, e qui ciò stesso è stato stabilito for-
nendo la risposta alle domande nel passo che inizia con:
«(Qello, dunque) è l’udito dell’udito.», ecc. (Ke. 1.2), e con-
fermato chiaramente nel passo: «Qello, che non è espresso
attraverso la parola.» (Ke. 1.5). Inoltre, la conclusione e-
spressa da parte dei conoscitori del Brahman è stata enunciata
così: «Qello è afato altro dal conosciuto ed è anche al di là
del non-conosciuto» (Ke. 1.3), mentre si riassumerà asseren-
do: «È non-conosciuto da parte di coloro i quali [afermano
che lo] conoscono, è conosciuto da parte di coloro i quali [af-
fermano che] non [lo] conoscono» (Ke. 2.3). Infati, il conosci-
tore non può essere conosciuto [come oggeto] dal conoscito-
re stesso [che è il soggeto che conosce], come il fuoco [non
può] venire bruciato dal fuoco che è quello che brucia.
Inoltre non esiste alcun conoscitore distinto dal Brahman,
per il quale il Brahman sia un ente separato e conoscibile [co-
me oggeto]. Un conoscitore separato viene esplicitamente
negato [dalla Âruti nel passo]: «.non vi è un altro conoscito-
re distinto da lui» (Bÿ. 3.8.11). Perciò la cognizione [del disce-
polo]: ‘io conosco perfetamente il Brahman’ è afato erro-
nea, ed è quindi ragionevole che il maestro dica: “Se (pensi:
ben conosco [il Brahman], allora conosci solo.)”.
“Se”, qualora “tu pensi: ben conosco [il Brahman]”, cioè: io
conosco perfetamente il Brahman.: [tale frase è proferita dal
maestro perché] sebbene [il Brahman] sia assai difcile a co-
noscersi così come lo si apprende dalla Âruti, tutavia talvolta
qualcuno, che sia privo di difeti e dotato di grande saggezza,
lo realizza, mentre altri no. Così egli (il maestro), senza esita-
zione, dice: “se (pensi.)”, ecc., mentre si deve osservare che,
quando fu deto [da Prajåpati a Indra e a Virocana]: «‘Qesto
puru≤a, che viene percepito nell’occhio, questo stesso è l’å-
tman’.
2.1 Secondo Kha~ƒa 55

Qindi aggiunse: ‘Qesto è immortale e libero dalla paura.


Qesto è il Brahman’» (Chå. 8.7.4), Virocana, sebbene appar-
tenesse alla discendenza di Prajåpati, fosse erudito e fosse il
sovrano degli asura, a causa dei suoi connaturati difeti com-
prese un signifcato del tuto opposto [a quello vero], cioè [in-
tese] che l’åtman è il corpo fsico, nonostante che [tale signi-
fcato erroneo] non gli venisse insegnato. Similmente Indra,
re dei deva, il quale non aveva compreso [il signifcato auten-
tico dell’insegnamento] impartitogli una, due, tre volte, inf-
ne, quando ebbe eliminato i difeti a lui connaturati, alla quar-
ta ripetizione comprese il Brahman che gli era stato enunciato
sin dalla prima volta.21
Anche nel mondo ordinario, tra coloro che ascoltano [l’in-
segnamento] da un medesimo e unico istrutore, qualcuno lo
comprende così come è, qualcuno diversamente da come è,
qualcuno in modo del tuto opposto mentre qualcun altro non
lo comprende afato. Che dire, dunque, della reale natura del-
l’åtman, il quale è al di là dei sensi?
Invero, in merito a questa [conoscenza dell’åtman] tuti i
razionalisti, sia che credano nell’esistenza sia nella non-esi-
stenza, sostengono tesi contradditorie. Perciò, nonostante
che [l’afermazione del discepolo]: ‘il Brahman è [perfeta-
mente] conosciuto’, sia [proferita] con assoluta convinzione,
l’espressione priva di esitazione del maestro: “se (tu) pensi.”,
ecc., è perfetamente legitima, essendo motivata dalla [ap-
prensione per una] inesata comprensione [da parte del disce-
polo].
“.allora tu conosci”, hai realizzato “del Brahman solo
quello che è il suo aspeto come ‘piccolo spazio’ (dahara)”, il
minuscolo [infnitesimo rifesso di Qello come jıva].22

Obiezione: Forse vi sono diversi aspeti del Brahman, gran-


di e piccoli, per cui [il maestro] dice: “.solo. come piccolo
spazio.”, ecc.?
56 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.1

Risposta: Atenzione: gli aspeti del Brahman dovuti alle


sovrapposizioni limitanti di nome e forma sono molteplici,
ma non [esistono] di per sé. Infati, tali aspeti [qualifcati del
Brahman] qualora [siano considerati] autoesistenti, vengono
esplicitamente respinti insieme con le loro denominazioni,
ecc. [nel passo]: «(Realizzando Qello) che è senza suono,
senza contato, senza forma, non soggeto a decadimento e,
similmente, senza sapore, eterno e senza odore.» (Ka. 1.3.15,
Nÿ. 9, Mukti. 2.72).

Obiezione: Comunque proprio quell’atributo in base al


quale viene defnita la carateristica sostanziale [di un dato
ente], quello stesso stabilisce la sua vera natura; così anche
quella qualifcazione, atraverso cui viene espressa la intrinse-
ca proprietà del Brahman, quella stessa deve costituire la sua
[reale] natura. Pertanto si dice: la coscienza (caitanya) non
può essere una proprietà intrinseca di alcun [elemento] come
la terra e gli altri, né di tuti loro trasformati [nel corpo fsico,
ecc.]; similmente non può essere una proprietà intrinseca del-
l’udito e degli altri [sensi] e nemmeno dell’organo interno;
pertanto [la qualità consistente nella coscienza] è la natura
del Brahman. Perciò si aferma che la natura del Brahman è
defnita atraverso la [qualità applicata della] coscienza. E in
tal senso è stato deto: «Il Brahman, il quale è conoscenza e
beatitudine.» (Bÿ. 3.9.28.7), «.consiste proprio in una unità
assoluta di pura conoscenza» (Bÿ. 2.4.12), «Il Brahman è veri-
tà, conoscenza, infnito.» (Tai. 2.1.3), «Il Brahman è pura co-
scienza» (Ai. 5.3), e in questi passi della Âruti viene stabilita la
natura del Brahman.23

Risposta: Ciò è senz’altro vero. Tutavia anche [conside-


rando] in questo modo, [la coscienza] viene indicata con de-
nominazioni come ‘conoscenza’ (vijñåna), ecc. proprio atra-
verso la sua sovrapposizione all’organo interno, al corpo e ai
2.1 Secondo Kha~ƒa 57

sensi, in virtù del suo conformarsi a tali [enti] allorché vi


sono la crescita, il declino e la perdita [di membra] per il cor-
po, ecc. e [per il suo apparente conformarsi] alla distruzione,
ma non di per sé (cioè come coscienza assoluta). Invece [se ci
si riferisce alla coscienza assoluta] di per sé, allora sarà [ap-
propriata l’asserzione]: «È non-conosciuto da parte di coloro i
quali [afermano che lo] conoscono, è conosciuto da parte di
coloro i quali [afermano che] non [lo] conoscono» (Ke. 2.3).
[Le parole:] “quello che è il suo.” (yadasya) vanno con-
nesse con la parte precedente: “del Brahman. (il suo) aspet-
to.”. Non soltanto “del Brahman tu conosci (quello che è) il
suo aspeto” piccolo, delimitato dalle sovrapposizioni limitan-
ti proprie della sfera individuale-corporea (adhyåtma), ma del
Brahman tu conosci anche “quello che è il suo” aspeto “tra i
deva”, cioè defnito dalle sovrapposizioni limitanti peculiari
della sfera divina-universale (adhidaivatå): certamente anche
tale [altro aspeto], che tu conosci, è afato piccolo. Ciò è
quanto io penso.
Ora, sia quella che è la [forma condizionata dalla] sfera in-
dividuale-corporea, sia quella che è la [forma condizionata
dalla] sfera divina-universale relativa ai princìpi-deva, essen-
do anch’essa delimitata dalle sovrapposizioni, nessuna [delle
due] si sotrae a una natura insignifcante [rispeto a quella
sua autentica di infnito, ecc.]. Invece Qello, che è isolato da
qualsiasi qualifcazione dovuta alle sovrapposizioni limitanti
[di qualsiasi specie], che è perfetamente pacifcato, infnito,
uno-senza-secondo, che è denominato Bh¥man ed è eterno,
cioè il Brahman, non può costituire oggeto di conoscenza
[nel senso ordinario]. Tale è il senso.
Poiché è così, “dunque”, per via di ciò, ritengo che anche
adesso il Brahman “deve essere ancora meditato da te”, deve
[ancora] costituire per te oggeto di ricerca.
Il discepolo, a cui il maestro aveva parlato così, ritirandosi
a sedere in un posto solitario e con la mente raccolta, investi-
58 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.1

gando sul signifcato della Scritura così come gli era stata
esposta dal maestro, avendone accertato il senso con il ragio-
namento e, infne, dopo aver realizzato la sua propria espe-
rienza, fece ritorno presso il maestro e disse: io “ritengo che”
il Brahman “sia” anche ora [da me] ben conosciuto”.

Risposta: In che modo?

Obiezione: Ascoltate.

2.2. ‘Io non penso: ben conosco [il Brahman]; né [afermo


che] non [lo] conosco, e [neppure che lo] conosco. Colui tra noi
il quale conosce ciò, né [può afermare che] non [lo] conosce, e
[neppure che lo] conosce’.

(Continua l’Obiezione del discepolo) “Io non penso: ben


conosco.”, cioè: io non ritengo afato: ben conosco il Brah-
man. Essendogli stato deto [dal maestro]: ‘allora il Brahman
non è afato conosciuto da te’, [il discepolo] disse: “né [afer-
mo che] non [lo] conosco, e [neppure che lo] conosco”. [Nella
frase]: “.e [neppure che lo] conosco” (veda ca), dal termine
“e” (ca) [si arguisce che il senso è]: e neppure [afermo] che
[lo] conosco (na veda ca).

Risposta: Comunque, è contradditorio [afermare]: “Io


non penso: ben conosco [il Brahman]; né [afermo che] non
[lo] conosco, e [neppure che lo] conosco”. Se non pensi: ‘ben
conosco [il Brahman]’, in che modo puoi pensare: ‘[lo] cono-
sco’? E ancora, se pensi davvero: ‘[lo] conosco’, perché non
pensi: ‘ben conosco [il Brahman]’?
Tralasciando quelli che sono il dubbio e la conoscenza er-
ronea, appare del tuto contradditorio [asserire] che un unico
oggeto è ben conosciuto da qualcuno e che, nello stesso tem-
po, quel medesimo oggeto non è ben conosciuto da quegli
2.2 Secondo Kha~ƒa 59

stesso; né si può detare una norma restritiva in base a cui il


Brahman possa costituire oggeto di conoscenza dubbia o di
conoscenza erronea: infati in ogni caso sia il dubbio sia la fal-
sa conoscenza sono ben noti in quanto fatori di detrimento.
Così, sebbene il discepolo venisse scosso dal maestro, non
si distolse [dalla propria idea]. Inoltre, palesando se stesso
nella sua propria ferma convinzione relativa alla conoscenza
del Brahman, esclamò con protervia, sostenuto dalla forza
scaturiente dalla [presunta conoscenza acquisita conforme-
mente alla] tradizione delle Scriture così come gli era stata
enunciata dal maestro nel passo: «Qello è afato altro dal
conosciuto ed è anche al di là del non-conosciuto» (Ke 1.3), e
dalla forza del ragionamento e della sua esperienza direta.
In che modo si espresse?

Obiezione: Si dice: “Colui tra noi”, chiunque egli sia di noi,


cioè tra [noi che siamo] i brahmacårin, “il quale conosce” nel-
la sua intrinseca essenza “ciò”, ossia l’afermazione [da me]
pronunciata, costui conosce Qello, il Brahman.24

Risposta: Qal è, dunque, tale afermazione?

Obiezione: A ciò [il discepolo] rispose: “né [può afermare


che non [lo] conosce, e [neppure che lo] conosce”. Così, con
l’intento di esprimere accordo con l’idea del maestro e di ri-
muovere la [errata] comprensione da parte delle persone dal-
l’intelleto limitato, [il discepolo] proferì, soto forma di un’al-
tra sentenza, cioè [nei termini]: “né [può afermare che] non
[lo] conosce, e [neppure che lo] conosce”, ciò stesso che era
stato espresso [nel passo]: «Qello è afato altro dal cono-
sciuto ed è anche al di là del non-conosciuto» (Ke 1.3), unen-
do in tale circostanza l’inferenza e la propria esperienza diret-
ta. E così quanto [da lui] esclamato con protervia come: “Co-
60 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.2

lui tra noi il quale conosce ciò.”, appare pienamente legit-


timo.

2.3. Per colui, per il quale è ignoto, per quegli è noto. Colui
per il quale è noto, quegli non [lo] conosce. È non-conosciuto da
parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono, è conosciu-
to da parte di coloro i quali [afermano che] non [lo] conoscono.

Chiudendo la discussione tra il maestro e il discepolo, la


Âruti, nella sua peculiare espressione, atraverso le parole:
“per colui, per il quale è ignoto.”, ecc., rivela lo stesso signif-
cato riassuntivo dell’intero dialogo.
“Per colui”, per il conoscitore del Brahman “per il quale” il
Brahman “è ignoto” (amata), ossia colui la cui opinione, la cui
certezza è: ‘il Brahman è non-conosciuto, non-realizzato [da
me]’, “per quegli è noto”, vale a dire che il Brahman gli è per-
fetamente conosciuto. E ancora, “colui per il quale è noto”,
ossia colui la cui convinzione è: il Brahman è conosciuto, è
realizzato da me, “quegli non [lo] conosce” afato, egli non
conosce il Brahman.
Ora [l’Upani≤ad] conferma i due punti di vista, quello del
conoscitore e quello del non-conoscitore, così come sono stati
esposti [asserendo]: “è non-conosciuto”, ossia il Brahman è
ignoto, è afato non-realizzato “da parte di coloro i quali [af-
fermano che lo] conoscono”, cioè [i quali sostengono che] lo
hanno perfetamente realizzato, mentre “è conosciuto”, ossia
il Brahman è realizzato “da parte di coloro i quali [afermano
che] non [lo] conoscono”, da coloro i quali non posseggono
una perfeta visione, vale a dire coloro i quali concepiscono
l’åtman solo come [identifcato con] i sensi, la mente e l’in-
telleto, ma non da parte di coloro il cui intelleto non è asso-
lutamente sviluppato: infati per questi [ultimi] non può aver-
si nemmeno una cognizione come: ‘noi conosciamo il Bra-
hman’.
2.4 Secondo Kha~ƒa 61

Invece, per coloro i quali concepiscono l’åtman come


[identifcato con] le sovrapposizioni limitanti costituite dai
sensi, dalla mente e dall’intelleto, a causa della mancata per-
cezione della discriminazione tra il Brahman e tali sovrappo-
sizioni limitanti e per via della consapevolezza dovuta alla so-
vrapposizione di [veicoli individuati come l’] intelleto, ecc. è
ragionevole che si verifchi la concezione erronea: ‘il Brah-
man ci è conosciuto’. Qindi, laddove si dice: “è conosciuto
da parte di coloro i quali non [lo] conoscono”, si intende de-
stituire la imperfeta conoscenza atraverso il punto di vista
precedente. Oppure la seconda metà [del passo]: “è non-cono-
sciuto.”, ecc. funge da motivazione [per la prima metà].25

2.4. [Qando è] realizzato in ogni stato di coscienza, [allora


il Brahman] è conosciuto; infati [tramite ciò] si consegue l’im-
mortalità. Con [il realizzare] l’åtman si consegue il vigore spiri-
tuale, tramite la conoscenza si consegue l’immortalità.

È stato accertato che [il Brahman] «È non-conosciuto da


parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono.» (Ke.
2.3). Se il Brahman fosse assolutamente non-conosciuto, allo-
ra non vi sarebbe distinzione tra le persone ordinarie e i co-
noscitori del Brahman. Inoltre, l’asserzione: «È non-conosciu-
to da parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono.»
(Ke. 2.3) appare come una contraddizione in termini.
In che modo, dunque, quel Brahman può essere correta-
mente realizzato?
A questo scopo [l’Upani≤ad] dice: “[Qando è] realizzato
in ogni stato di coscienza.” (pratibodhaviditam), cioè realiz-
zato in ciascun singolo stato di coscienza. Con l’espressione
“stato di coscienza” (bodha) vengono defniti [gli stati che
hanno] i contenuti relativi all’intelleto.26 L’åtman, per il qua-
le tuti i contenuti (pratyaya) divengono oggeto di conoscen-
za, è percepito invece come [identifcato in] tuti quegli stessi
62 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.4

stati di coscienza. Esso è il Veggente di tuti i contenuti e la


capacità insita nella pura Coscienza è l’unico potere inerente
alla sua reale natura, per cui viene intuito (lak≤yate) nei con-
tenuti mentali non separatamente [da loro]. Non vi è alcun
altro accesso che conduca alla conoscenza dell’åtman. Ogni-
qualvolta il Brahman viene realizzato come l’intimo åtman
dei contenuti mentali, allora Qello “è conosciuto”, vale a dire
che si ha la perfeta consapevolezza di Qello.
Inoltre, essendo il testimone di tuti i contenuti mentali,
viene stabilita per Qello la vera natura come testimone del
tuto indipendente da sviluppo e declino, la natura eterna,
l’essere perfetamente puro, il costituire l’åtman [di ogni
creatura] e l’essere privo di qualifcazioni e unico in tuti gli
esseri, al pari dello spazio, in virtù dell’assenza di distinzione
dovuta alle carateristiche di recipienti, montagne, caverne,
ecc.27
[Con ciò] il signifcato della sentenza scriturale che afer-
ma che ‘il Brahman è altro dal conosciuto e dal non-conosciu-
to’ (Ke. 1.3), che è stato così completamente chiarito, trova f-
nalmente la sua sintesi. Infati [a conferma di questo] vi è an-
che un altro passo della Âruti che aferma che [il Brahman] è
‘il veggente della vista, l’ascoltatore dell’udito, il pensatore
della mente, il conoscitore della conoscenza’. 28
[L’espressione] “[Qando è] realizzato in ogni stato di co-
scienza” può essere spiegata anche così: qualora, poi, [l’å-
tman venisse considerato] come l’agente (kartÿ) dell’ato (kri-
yå) consistente nella conoscenza, allora lo si potrebbe ricono-
scere come agente atraverso l’atributo carateristico (lak≤a-
~a) dell’atività del conoscere, per cui risulterebbe realizzato
proprio attraverso lo stesso atributo carateristico che è pe-
culiare della conoscenza [ordinaria]. Come il vento è ciò che
agita i rami di un albero (per cui dal movimento di questi si
inferisce la presenza del vento), tale e quale [parrebbe, per i
logici (tårkika), il caso in esame].29
2.4 Secondo Kha~ƒa 63

In tal caso l’åtman sarebbe una sostanza (dravya) dotata


del potere estrinsecato nell’atività del conoscere, mentre la
sua reale natura non consisterebbe afato nella pura cono-
scenza.
[Ma vi è da fare una considerazione sostanziale:] invero,
la conoscenza [relativa a un dato stato di coscienza] si genera
e si distrugge: quando si manifesta la conoscenza [per esem-
pio quella relativa a un oggeto], allora [l’åtman] appare co-
me se fosse qualifcato dalle qualità della conoscenza; quando
tale conoscenza si distrugge, allora [l’åtman], la cui conoscen-
za è andata distruta, perde ogni qualifcazione e sembra dive-
nire una semplice sostanza [inerte].
A tale riguardo, se così stanno le cose [secondo il punto di
vista razionalista], non si possono negare per l’åtman tali di-
feti come: l’essere soggeto a modifcazione, l’essere compo-
sto di parti, il non essere eterno, l’essere impuro e così via.
Per quanto riguarda i seguaci di Ka~åda [i VaiŸe≤ika, que-
sti afermano]: ‘la conoscenza sorge dal contato dell’åtman
con la mente, per cui inerisce all’åtman. Qindi la facoltà di
conoscitore sussiste nell’åtman, mentre l’åtman stesso non è
suscetibile di modifcazione. Invero Esso è solo una sostanza,
come un vaso a cui appartiene un dato colore’; orbene anche
secondo questo punto di vista il Brahman sarebbe una mera
sostanza priva di consapevolezza, [ma da tale tesi] sarebbero
confutati passi della Âruti come il seguente e altri: «Il Bra-
hman, il quale è conoscenza e beatitudine.» (Bÿ. 3.9.28.7).
Ora, sia per la natura priva di parti dell’åtman, e quindi
per l’assenza di una sede defnita [all’interno dell’åtman stes-
so], sia per la condizione di costante congiunzione della men-
te con l’åtman, ne consegue che non si può evitare la insor-
montabile difcoltà di stabilire una qualsiasi regola che sanci-
sca la origine della memoria.30 Inoltre, [per spiegare la forma-
zione e la persistenza della memoria] si dovrebbe immaginare
che l’åtman possegga una natura soggeta al venire in contat-
64 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.4

to [con altri enti], ma ciò contraddice sia la Âruti, sia la Smÿti


che la logica, come si comprende dai due passi, l’uno della
Âruti e l’altro della Smÿti: «.privo di contato perché in verità
non è toccato da nulla.» (Bÿ. 3.9.26), «.[pur essendo] non-at-
taccato [a nulla], è il sostegno stesso della totalità.» (Bha. Gı.
13.14). In aggiunta a ciò, la logica aferma che un ente dotato
di atributi può entrare in contato con un altro ente anch’es-
so dotato di atributi, purché [questo] non appartenga a una
classe del tuto diferente; quindi, che [l’åtman], il quale è pri-
vo di atributi, senza qualifcazioni e afato distinto da tuto,
possa entrare in contato con qualche [altro] ente addiritura
appartenente a una classe diferente, orbene ciò appare sen-
z’altro contrario alla ragione. Di conseguenza viene defniti-
vamente stabilito questo signifcato: l’åtman, il quale è quella
luce la cui natura è consapevolezza eterna e inestinguibile, è il
Brahman, per cui l’åtman ha la natura del conoscitore di tute
le conoscenze [e quindi di tuti gli stati di coscienza e della
mente stessa nel suo complesso di funzioni], e non altrimen-
ti.31 Pertanto il signifcato della espressione: “[Qando è] rea-
lizzato in ogni stato di coscienza, [allora il Brahman] è cono-
sciuto”, è proprio come lo abbiamo spiegato noi.
E ancora, qualora il signifcato di questa espressione:
“[Qando è] realizzato in ogni stato di coscienza.” venisse
interpretato nel senso che [il Brahman] è conoscibile da parte
di sé stessi [come oggeto], a tale riguardo [si dice che] ciò sa-
rebbe possibile nel caso in cui l’åtman fosse per natura dotato
di sovrapposizioni limitanti. Immaginando una distinzione
nella propria reale natura dovuta a sovrapposizioni come l’in-
telleto e le altre, si ha allora [la parvenza di] un’atività di or-
dine relativo-empirico come [quella esprimibile nei termini]:
‘[uno] conosce l’åtman atraverso l’åtman’ [come si apprende
dai passi]: «.costui conosce certamente l’åtman nel proprio
corpo» (Bÿ. 4.4.23), «(Da Te soltanto), atraverso Te stesso, Tu
conosci Te stesso, o Puru≤otama.» (Bha. Gı. 10.15).32
2.4 Secondo Kha~ƒa 65

Invece, stante la natura di unità dell’åtman privo di so-


vrapposizioni limitanti, non sono possibili né la conoscibilità
da parte di se stesso (svasaµvedyatå), né la conoscibilità da
parte di un altro (parasaµvedyatå); del resto, poiché la sua
natura è pura Consapevolezza (saµvedana), non è possibile
[per l’åtman] alcuna dipendenza da un’altra consapevolezza:
come per una fonte luminosa non vi è dipendenza [onde esse-
re rivelata] da un’altra fonte luminosa, tale e quale [è il caso
presente].33
Invece, nella concezione buddhista della conoscibilità da
parte di sé stessi la consapevolezza assume una condizione di
momentaneità (k≤a~a) e la conoscenza viene a essere privata
di un åtman che la consustanzia. Ma in tal caso subirebbero
contraddizione passi della Âruti come i seguenti e altri: «Infat-
ti non vi è cessazione per la conoscenza del conoscitore, es-
sendo indistrutibile.» (Bÿ. 4.3.30), «.è eterno, onniperva-
dente e onnipresente.» (Mu. 1.1.6), «Invero Qello è il gran-
de åtman non-nato, non soggeto a decadimento, non destina-
to a distruzione, immortale, senza paura.» (Bÿ. 4.4.25), ecc.
Taluni, poi, nella espressione “in ogni stato di coscienza”
(pratibodha) sogliono concepire il signifcato di una conoscen-
za come consapevolezza [di qualcosa] priva di causa [oggeti-
va], come per uno che sia addormentato, mentre altri inter-
pretano il termine pratibodha come la consapevolezza che si
manifesta immediatamente.34
[A tuti costoro noi replichiamo questo:] tanto che sia
[una conoscenza] priva di causa [oggetiva], tanto che abbia
una causa [oggetiva], sia che si trati di una [consapevolezza]
immediata o si trati di una [consapevolezza] non-immediata,
invero, si trata pur sempre di una presa di consapevolezza
(pratibodha) [che determina un risveglio totale e defnitivo].
Poiché “infati [tramite ciò]”, ossia grazie alla suddeta
presa di coscienza, esprimibile nei termini: “[Qando è] rea-
lizzato in ogni stato di coscienza”, “si consegue”, si otiene
66 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.4

“l’immortalità”, cioè la condizione di non asservimento alla


mortalità, che è la liberazione (mok≤a) quale stato di essere [in
costante identità] nell’åtman, pertanto il senso è che soltanto
“[Qando è] realizzato in ogni stato di coscienza, [allora il
Brahman] è conosciuto”. Infati l’intimo åtman è il contenuto
intrinseco della coscienza e la sua presa di coscienza [atuale
e totale] concede l’immortalità.
Invero, l’immortalità [non è un efeto della causa-åtman,
quindi] non consiste in una trasformazione dell’åtman [libero
dal rapporto causa-efeto] nel non-åtman (cioè nell’oggeto
ordinario legato al rapporto causale), perché l’immortalità, ap-
partenendo di per sé all’åtman [come la natura propria eterna
e immutabile], è certamente priva di causa.
Così la natura mortale non è altro che la [errata] percezio-
ne, atraverso la ignoranza, dell’åtman come se fosse il non-å-
tman.
In che modo, dunque, si consegue l’immortalità atraverso
la suddeta conoscenza dell’åtman?
A ciò [l’Upani≤ad] risponde: “con [il realizzare] l’åtman”
nella sua reale natura “si consegue”, si acquisisce “il vigore
spirituale” (vırya), la forza [intelletuale], il potere [di trascen-
dere il divenire-relativo]. Il vigore prodoto dalla ricchezza
[atraverso i riti sacrifcali], dai seguaci, dai mantra, dalle er-
be, dalle austerità e dallo Yoga non può soprafare la morte,
essendo un derivato di ciò che è impermanente; ma il vigore
spirituale determinato dalla conoscenza dell’åtman lo si con-
segue solo atraverso l’åtman e non per mezzo di altro. Qin-
di, non essendo un mezzo otenibile tramite altro, quello stes-
so vigore spirituale che è la forza scaturiente dalla realiz-
zazione dell’åtman può ben soverchiare la morte. Dato che è
così, cioè poiché il vigore spirituale prodoto dalla realizza-
zione dell’åtman lo si consegue solo tramite l’åtman [che è
eterno], pertanto “tramite la conoscenza” avente per oggeto
l’åtman “si consegue l’immortalità”.35
2.5 Secondo Kha~ƒa 67

Nell’Atharva [Veda si legge]: «Qesto åtman non può es-


sere realizzato da colui che non possiede energia [spiritua-
le].» (Mu. 3.2.4). Pertanto [l’affermazione di una ragione nei
termini] “infati [tramite ciò] si consegue l’immortalità”, si ri-
vela perfetamente legitima.

2.5. Se qui [un essere umano lo] ha realizzato, allora [per


lui] vi è la verità; se qui non [lo] ha realizzato, [per lui] vi è
grande rovina. Avendo riconosciuto [il Brahman] in ogni essere,
i saggi risoluti, andandosene da questo mondo, divengono im-
mortali.

Certamente miserevole è la soggezione a nascita, vecchia-


ia, morte, malatia, ecc. dovuta all’ignoranza, [la venuta in
esistenza] tra le moltitudini di creature viventi come esseri di-
vini, esseri umani, animali e spiriti impuri, ecc. per i quali vi è
grande soferenza imputabile al divenire ciclico: quindi, “se
qui” stesso l’uomo, che sia qualifcato e capace, “ha realiz-
zato” l’åtman dalla natura propria così come è stata enuncia-
ta, cioè lo ha realizzato nel modo descrito, “allora”, pertanto
“[per lui] vi è la verità”, cioè in questa [sua stessa] nascita [in
forma] umana sarà presente la verità come assenza di distru-
zione, acquisizione di beni, o come elevata statura spirituale,
oppure come la [direta espressione della] Realtà suprema.36
Viceversa, “se qui non [lo] ha realizzato.”. Ma “se qui”, men-
tre è ancora in vita, un essere qualifcato “non [lo] ha realiz-
zato”, non ha realizzato [l’åtman come descrito], allora [per
lui] “vi è grande rovina”, vi sarà una interminabile, infnita di-
struzione, cioè la permanenza nel divenire ciclico consistente
in una incessante concatenazione di nascita, vecchiaia, morte,
e così via.
Perciò, “avendo riconosciuto”, cioè avendo conosciuto, a-
vendo realizzato diretamente il Brahman “in ogni essere”, os-
sia come la realtà dell’åtman unico in tuti gli esseri, mobili e
68 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 2.5

immobili, “i saggi risoluti”, gli uomini di conoscenza, cioè i


bråhma~a, i quali così conoscono le due nature, “andandose-
ne”, ossia separandosi “da questo mondo” contraddistinto dal-
l’ignoranza e caraterizzato dalle nozioni di ‘io’ e ‘mio’, cioè
ritirandosi [da questa illusoria identifcazione], in quanto han-
no conseguito la non-dualità che è lo stato proprio dell’åtman
unico della totalità, “divengono immortali”, vale a dire si ri-
solvono nel Brahman stesso, come si apprende anche dalla
Âruti: «Certamente, colui il quale, invero, conosce quel supre-
mo Brahman, diviene il Brahman stesso» (Mu. 3.2.9).37

Fine del Secondo Kha~ƒa


Terzo Kha~ƒa

3.1. Il Brahman, certamente, otenne il trionfo per i deva.


Nel trionfo, che chiaramente spetava a quel Brahman, i deva
esultarono. Essi considerarono: ‘Nostro soltanto, invero, è questo
trionfo. Nostra soltanto, invero, è questa gloria’.

“Il Brahman, certamente, otenne il trionfo per i deva.”.


Dall’ascolto del passo: «È non-conosciuto da parte di coloro i
quali [afermano che lo] conoscono, è conosciuto da parte di
coloro i quali [afermano che] non [lo] conoscono», ecc. (Ke.
2.3), si constata questo [eventuale errore flosofco]: ciò che
esiste è conosciuto atraverso i mezzi validi di conoscenza, ciò
che non esiste non è conosciuto, posto che esso è solo un pro-
doto dell’immaginazione assolutamente non-esistente, come
le corna di una lepre.
Similmente, questo Brahman, essendo non-conosciuto, de-
ve essere afato non-reale. Così, allo scopo di evitare l’insor-
gere di tale conclusione errata da parte di coloro che hanno
l’intelleto limitato, prende inizio questa narrazione in forma
di episodio.
Invero questo stesso Brahman, il quale è Colui che gover-
na in qualsiasi condizione, il supremo Deva anche per i deva,
il Signore-ÙŸvara anche nei confronti degli [altri] ıŸvara, il
quale è difcile a conoscersi, è la causa della vitoria dei deva
e la causa della sconfta degli asura: orbene, come potrebbe,
Qello, essere non-esistente?
Si può notare che i successivi versi convergono verso que-
sto signifcato.
70 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 3.1

Oppure si trata di un elogio nei confronti della conoscen-


za del Brahman.
Perché?
Perché è proprio grazie alla conoscenza del Brahman che
Agni e gli altri deva otennero la supremazia nei confronti dei
deva [inferiori] e Indra, altresì, otenne la preminenza [su tut-
ti i deva].
Oppure, ancora, [atraverso la seguente descrizione] si
mostra questo, che il Brahman è assai difcile a realizzarsi, in
quanto Agni e gli altri [deva], pur dotati di enorme potere,
realizzarono il Brahman solo con grande difcoltà, e ugual-
mente [fu per] Indra, sebbene fosse il Signore dei deva. O, al-
tresì, tuto [il testo scriturale] ha lo scopo di prescrivere l’in-
segnamento segreto [concernente la meditazione sul Brahman
qualifcato] che sarà oggeto di esposizione [più avanti, in 4.4-7].
Oppure, infne, la narrazione in forma di episodio mitolo-
gico ha lo scopo di mostrare questo: a eccezione della cono-
scenza del Brahman, qualsiasi nozione come quella inerente
alla funzione di agente, ecc. posseduta da parte delle creature
viventi, è meramente illusoria, come la [presunta] identifca-
zione da parte dei deva con la vitoria [sugli asura, ecc.]; tale e
quale [è il caso in esame].38
“Il Brahman” come è stato descrito, cioè il Supremo, “cer-
tamente”, sicuramente, “otenne il trionfo”, guadagnò la vito-
ria “per i deva”, cioè a loro benefcio. Nella sfda tra i deva e
gli asura, sconfti gli asura i quali sono i nemici del mondo
che contravvengono alle divine norme, ai deva conferì la vit-
toria e il suo fruto garantendo così l’equilibrio dell’universo.
“Nel trionfo, che chiaramente”, evidentemente “spetava a
quel Brahman, i deva”, come Agni e gli altri “esultarono”, as-
saporarono la gloria. Allora, ignorando che questa vitoria e
la gloria appartenevano al Signore (ÙŸvara-Brahman) che risie-
de in sé stessi come intimo åtman ed è onnisciente, conferisce
i fruti di tute le azioni delle creature, è onnipotente e perse-
3.3 Terzo Kha~ƒa 71

gue la determinazione di mantenere stabile l’universo, “essi”,


i deva, “considerarono”, fecero una rifessione: “Nostro soltan-
to, invero, è questo trionfo” otenuto identifcandoci con na-
ture limitate come quella di Agni, ecc.; “nostra soltanto, inve-
ro, è questa gloria” consistente nella natura di Agni, Våyu, In-
dra, ecc., cioè [tale gloria, ecc.] viene da noi sperimentata
come costituente il fruto della vitoria [sugli asura] e non è
afato otenuta dal Signore (il Brahman) quale nostro intimo
åtman.

3.2. Tale loro [falsa idea] certamente [il Brahman] la intuì e


si manifestò chiaramente a quelli. [Ma] essi non riconobbero
che cosa fosse questo Yak≤a.

“Tale loro [falsa idea]”, di coloro (i deva) che così nutriva-


no l’idea di una illusoria identifcazione, “certamente”, di si-
curo il Brahman “la intuì”, la venne a conoscere. Infati, es-
sendo Colui che governa gli organi di tuti gli esseri, è consa-
pevole di tuto (sarvek≤itÿ) e, avendo percepito la falsa cogni-
zione dei deva e immaginando: ‘afnché i deva non abbiano a
perdersi, come gli asura, a causa della loro illusoria identifca-
zione, dovrò favorire i deva rimuovendo ed eliminando la loro
illusoria identifcazione’, “si manifestò chiaramente”, in ma-
niera evidente, “a quelli”, ai deva: per mezzo della assunzione
di una forma, assolutamente prodigiosa e capace di suscitare
meraviglia, creata con la grandezza del proprio Yoga (=måyå),
si manifestò [come oggeto] dentro alla sfera dei sensi dei
deva.39 “[Ma] essi non riconobbero” Qello, il Brahman così
manifestatosi, i deva non realizzarono afato “che cosa fosse
questo Yak≤a”, il grande Essere degno di venerazione.40

3.3. Essi dissero ad Agni: ‘o Jåtavedas, devi conoscere questo:


che cosa sia questo Yak≤a!’. [Agni rispose:] ‘[Sia] così’.
72 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 3.3

“Essi” , i deva i quali non conoscevano Qello e avevano


intenzione di conoscerlo ma dentro di loro nutrivano timore,
“dissero” , chiesero “ad Agni”, il quale procedeva a capo [di
tuti loro] ed era [denominato] Jåtavedas (Colui che conosce
[tuto] ciò che è stato generato): Oh! “Jåtavedas”, tu che sei
dotato di [grande] potere, “devi conoscere” per noi “questo”
Yak≤a che si trova al nostro cospeto, devi comprendere chia-
ramente “che cosa sia questo Yak≤a!”.
[Agni rispose:] sia “così”.41

3.4. [Agni] si precipitò da Qello, [il quale] a lui chiese: ‘Chi


sei?’. [Agni] rispose: ‘Invero, io sono Agni. Invero, io sono Jåta-
vedas’.

Agni “si precipitò da Qello”, corse verso Qello. E “a lui”,


che era giunto al suo cospeto con il desiderio di porre una
domanda ma era divenuto silenzioso a motivo dell’assenza di
superbia, Qello, Yak≤a, “chiese”, domandò ad Agni: “Chi
sei?”. Così interrogato dal Brahman, Agni “rispose: invero, io
sono” ben noto con il nome di “Agni” e [anche come] “.Jåta-
vedas”, ostentando orgoglio per l’essere conosciuto con due
nomi.

3.5. [Il Brahman-Yak≤a domandò:] ‘Qale potere è in te, che


sei tale?’. [Agni rispose:] ‘Potrei bruciare tuto questo [universo]
e ciò che sta sulla terra’.

A quegli che aveva parlato così, il Brahman [soto l’a-


speto di Yak≤a] domandò: “quale potere”, [quale] capacità, “è
in te che sei tale”, che sei così dotato di nome e atributi ben
noti? [Agni rispose:] “Potrei bruciare”, potrei ridurre in cene-
re “tuto questo” universo “e ciò che sta sulla terra”, sia mobi-
le che immobile. [L’espressione] “sulla terra” (pÿthivyåm) è
intesa a includere anche ciò che dimora nello spazio interme-
3.9 Terzo Kha~ƒa 73

dio (antarik≤a), perché certamente anch’esso può venire con-


sumato dal Fuoco.42

3.6. A lui [Yak≤a] porse una pagliuzza [e gli disse]: ‘Brucia


questa!’. Avvicinatosi a quella con la massima prontezza, non
riuscì a bruciarla e si accomiatò da Qello stesso. [Tornato pres-
so gli altri deva disse loro:] ‘Non ho potuto conoscerlo, questi
che è Yak≤a!’.

“A lui”, dinanzi ad Agni, il quale nutriva sifata presun-


zione, il Brahman [Yak≤a] “porse una pagliuzza”. Come dap-
prima tratenuto dal Brahman [dal quale] gli era stato deto:
“Brucia questa” semplice pagliuzza davanti a me! Se non sei
capace di arderla, lìberati dalla presunzione di essere in grado
di bruciare [le cose] dappertuto!, egli, “avvicinatosi a quella”
pagliuzza, avanzando verso la pagliuzza “con la massima
prontezza”, con quell’impeto che scaturisce dal [presumere di
possedere un] grande potere, “non riuscì a bruciarla”, non fu
in grado [di arderla]. Jåtavedas, incapace di bruciare la pa-
gliuzza e vergognoso per non aver potuto mantenere la pro-
messa, “si accomiatò” silenziosamente “da Qello stesso”, da
Yak≤a stesso, e tornò indietro, fece ritorno presso i deva [di-
cendo loro]: io “non ho potuto conoscerlo” distintamente,
Yak≤a, “questi che è Yak≤a”, non ne sono stato in grado.

3.7. Poi [i deva] dissero a Våyu: ‘Oh Våyu, devi conoscere


questo: che cosa sia questo Yak≤a!’. [Våyu rispose:] ‘[Sia] così’.

3.8. [Våyu] si precipitò da Qello, [il quale] a lui chiese:


‘Chi sei?’. [Våyu] rispose: ‘Invero, io sono Våyu. Invero, io sono
MåtariŸvan’.

3.9. [Il Brahman domandò:] ‘Qale potere è in te, che sei


tale?’. [Våyu rispose:] ‘Potrei portare via tuto questo [universo]
e ciò che sta sulla terra’.
74 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 3.10

3.10. A lui [Yak≤a] porse una pagliuzza [e gli disse]: ‘Porta


via questa!’. Avvicinatosi a quella con la massima prontezza,
non riuscì a portarla via e si accomiatò da Qello stesso. [Tor-
nato presso gli altri deva disse loro:] ‘Non ho potuto conoscerlo,
questi che è Yak≤a!’.

“Poi [i deva] (dissero) a Våyu.”. Subito dopo [il ritorno di


Agni presso i deva, questi] “.dissero a Våyu: oh! Våyu, devi
conoscere questo.”, ecc. con il medesimo signifcato [visto]
in precedenza. Våyu [è così denominato] per via del suo sof-
fare, del suo dirigersi, o per il suo recare gli odori. Mentre è
[deto] MåtariŸvan in quanto si gonfa (Ÿvayati) nell’atmosfera
(måtari), cioè nello spazio intermedio. [Per quanto riguarda la
frase:] “Potrei portare via”, potrei ghermire anche “tuto que-
sto [universo] e ciò che sta sulla terra.”, ecc., [la spiegazio-
ne] è esatamente uguale [a prima].

3.11. Allora [i deva] dissero a Indra: ‘Oh Maghavan, devi co-


noscere questo: che cosa sia questo Yak≤a!’. [Indra rispose:]
‘[Sia] così’. [Indra] si precipitò da Qello, ma da lui [Yak≤a] di-
sparve’.

“Allora [i deva] (dissero) a Indra.”. [Per la frase] “Allora


[ i deva] dissero a Indra: ‘Oh Maghavan, devi conoscere que-
sto.”, ecc. [la spiegazione] è come in precedenza. Indra è il
più alto ıŸvara (cioè il capo dei deva) ed è [denominato] Ma-
ghavan per via della sua potenza.
“[Egli rispose: sia] così. [Indra] si precipitò da Qello, ma
da lui”, da Indra che era giunto al suo cospeto, Qello, il
Brahman, “disparve” , scomparve alla vista di Indra. Così la
presunzione di essere Indra (il supremo Signore dei deva) do-
vete dissolversi completamente, ed è questo il motivo per cui
il Brahman non accordò alcuna possibilità di dialogo a Indra.
3.12 Terzo Kha~ƒa 75

3.12. In quello stesso spazio egli avvicinò una donna som-


mamente risplendente: Umå Haimavatı. Allora a lei disse: ‘che
cosa è questo Yak≤a?’.

Qello spazio, o quella porzione dello spazio, in cui, dopo


essersi mostrato, Yak≤a disparve, cioè lo spazio in cui Indra si
trovava al tempo della scomparsa del Brahman, “In quello
stesso spazio egli”, Indra, si tratenne pensando: ‘che cosa è
quello Yak≤a?’. Egli non tornò indietro come [invece fecero]
Agni e l’altro (Våyu).
Riconosciuta la devozione di lui, di Indra, nei confronti di
Yak≤a, la Conoscenza (vidyå) si manifestò soto forma di don-
na, nelle sembianze di Umå.
“Egli” , Indra, “(.avvicinò una donna) sommamente ri-
splendente”, colei che è [chiamata] “Umå.”. Infati la Cono-
scenza risplende più di tute le cose che risplendono ed è per
questo che la specifcazione: “sommamente risplendente” (ba-
huŸobhanå) appare perfetamente appropriata. [È denomina-
ta] “.Haimavatı” perché si presenta nell’ato di indossare or-
namenti fati d’oro, vale a dire: ‘assai rifulgente’; oppure la
stessa Umå è [denominata] Haivamatı essendo fglia di Hima-
vat (il deva padrone e signore del perenne (alaya) freddo (hi-
ma) che si presenta nella forma delle sacre montagne dello
Himålaya).
Avendo considerato che Essa sussiste afato eternamente
in unione con il Signore onnisciente e che possiede di per sé
la capacità di conoscere, [Indra] le si accostò. “Allora” Indra
“a lei”, a Umå, “disse” chiaramente, domandò: dimmi, “che co-
sa è questo Yak≤a”, che dopo essersi mostrato è scomparso?

Fine del Terzo Kha~ƒa


Qarto Kha~ƒa

4.1. Allora ella disse: ‘È il Brahman. Invero, nel trionfo del


Brahman così avete esultato’. Allora, solo da tale [rivelazione,
Indra] realizzò [Yak≤a come] il Brahman.

“Allora ella disse: è il Brahman. (Invero)”, certo, sicura-


mente “nel trionfo del Brahman”, cioè di ÙŸvara stesso. Gli
asura vennero sconfti solamente da ÙŸvara e voi [deva] siete
stati, in tale circostanza, soltanto uno strumento. “.nel trion-
fo”, che è di Qello soltanto, voi “.avete esultato”, avete spe-
rimentato la gloria.
[Il termine] “così” (etad) ha valore avverbiale [da collegar-
si alla voce verbale: ‘così avete esultato’]. Ma [quando dice-
ste]: «Nostro soltanto, invero, è questo trionfo. Nostra soltan-
to, invero, è questa gloria» (Ke. 3.1), [questa] è solo una vo-
stra convinzione fallace.
“Allora, solo da tale”, [soltanto] da quella rivelazione pro-
nunciata da Umå, [Indra] “realizzò il Brahman”. La restrizione
[espressa nella forma]: “allora, solo da tale.” (tato haiva) [in-
tende signifcare che Indra realizzò che si tratava del Brah-
man] proprio grazie a quella [afermazione] e non in maniera
indipendente.

4.2. Perciò, invero, questi deva superarono enormemente gli


altri deva perché essi, che sono Agni, Våyu e Indra, lo contata-
rono il più da vicino e perché essi lo realizzarono per primi
come il Brahman.
78 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 4.2

Poiché “questi deva”, quali “.Agni, Våyu e Indra”, oten-


nero di trovarsi al cospeto del Brahman per mezzo del dialo-
go, della vista, ecc., “perciò (invero) questi” stessi “deva supe-
rarono enormemente”, grazie alle loro qualità divine, ossia
tramite la loro grande abbondanza di atributi come il potere,
ecc., “gli altri deva”, cioè li oltrepassarono di gran lunga – la
parola “come” (iva, in: atitaråmiva) non ha un particolare si-
gnifcato, oppure intende esprimere enfasi.
“.perché”, per il motivo che “essi”, i deva “che sono Agni,
Våyu e Indra lo contatarono il più da vicino”, ebbero contato
con il Brahman nel modo più prossimo, nella maniera più in-
tima, atraverso le suddete modalità del dialogo, ecc. con il
Brahman, “e perché”, per la [ulteriore] ragione che “essi per
primi” – [la forma correta] essendo: prathamå¢ [al plurale, in
luogo di prathama¢, che è singolare, come compare nel testo],
cioè essendo preminenti [rispeto agli altri deva], “lo realizza-
rono”, [cioè riconobbero] questo [Yak≤a, come il] Brahman.

4.3. Perciò, invero, Indra superò enormemente gli altri deva,


perché egli lo contatò il più da vicino e perché egli per primo lo
realizzò come il Brahman.

Poiché anche Agni e Våyu conobbero [il Brahman] soltan-


to dall’afermazione di Indra, e poiché da parte di Indra fu
ascoltato [da lui] per primo, dall’afermazione di Umå, che
[Yak≤a] è il Brahman, “perciò, invero”, di conseguenza “Indra
superò enormemente”, oltrepassò di gran lunga “gli altri deva,
perché egli lo contatò il più da vicino, e perché egli per pri-
mo lo realizzò [questo Yak≤a] come il Brahman”. Il signifcato
della sentenza è già stato esposto.

4.4. Di Qello, questo è il preceto, questo che balenò dalla


folgore (cioè come il rifulgere della folgore) – è così – [ovvero] è
4.4 Quarto Kha~ƒa 79

proprio così come quando si siano aperti e chiusi istantanea-


mente gli occhi. Così è per quanto riguarda la sfera divina.

“Di Qello”, del Brahman in corso di disamina, “questo è il


preceto”, cioè l’istruzione impartita per comparazione (upa-
mopadeŸa). Si dice “preceto” (ådeŸa) quella che è una istruzio-
ne, in merito al Brahman il quale non ha termini di paragone,
impartita atraverso una similitudine.
Qal è Qello?
È “.questo”, ben noto nel mondo ordinario, “che balenò
dalla folgore” (vidyuto vyadyutat), come se il suo bagliore ne
venisse prodoto. Ma ciò sarebbe inammissibile secondo ra-
gione [in quanto il Brahman non deve trarre il proprio splen-
dore da nulla], così si deve interpretare come: “il rifulgere
della folgore” (vidyuto vidyotanam).
La particella å [nella espressione: vidyuto vyadyutad å3,
nella consueta formula di enfasi o esclamazione ripetuta (3), è
impiegata] con valore comparativo, per cui il signifcato di-
venta: “è come il rifulgere della folgore”. [È così] anche per
via di quanto si constata in un altro passo della Âruti: «.come
folgore improvvisa» (Bÿ. 2.3.6). Infati il Brahman, dopo aver
manifestato Se stesso ai deva improvvisamente al pari di una
folgore, disparve [dalla loro vista].
Oppure alla espressione: “della folgore” (vidyutas) si deve
aggiungere [la parola]: il bagliore (tejas), nel senso di: “bale-
nò”, risplendete. La particella å ha [ancora] valore di: “come”
(iva). Il senso è dunque: “è come il bagliore della folgore che
risplendete improvvisamente.43
La parola iti (così) ha lo scopo di richiamare [la parola]:
“preceto”, in modo da avere: “.è così”, questo è il preceto
(ossia l’analogia fornita in merito al Brahman). La particella
id [in itınnyamımi≤at, ossia: iti+id+nyamımi≤at] ha valore di
collegamento [in modo da intendersi]: e questo è un altro
preceto [ossia un’altra analogia] in merito a Qello.
80 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 4.4

Qal è tale [altra analogia]?


È come quando “.si siano aperti e chiusi istantaneamente
gli occhi” (nyamımi≤at), cioè simile alla repentina apertura e
chiusura degli occhi, [rapida] come il batere delle palpebre. Il
prefsso ni mantiene [la voce verbale] nel suo proprio senso,
mentre la sillaba å [con identica esclamazione ripetuta, come
prima] ha ancora valore comparativo, per cui il signifcato è:
[il risplendere del Brahman] è come l’illuminarsi e lo scompa-
rire della visione nei confronti di un oggeto (cioè la subita-
nea percezione e improvvisa cessazione della visione di un
oggeto al repentino aprirsi e chiudersi degli occhi, istantaneo
come un batito di palpebre).
“Così è per quanto riguarda la sfera divina”, ossia la pro-
spetazione di un’analogia concernente il Brahman in relazio-
ne alla sfera divina (universale).

4.5. Poi [si enuncia il preceto concernente] la sfera indivi-


duale. [Il Brahman] è questo verso il quale è come se la mente
procedesse, quando tramite tale [mente il sådhaka] rammemora
questo [Brahman] ripetutamente, e il pensiero [stesso del Bra-
hman].

“Poi”, subito dopo, si enuncia il preceto concernente “la


sfera individuale”, avente per oggeto l’intimo åtman. “[Il Bra-
hman] è questo verso il quale è come se la mente procedesse”,
come se si dirigesse verso questo Brahman, come se lo ren-
desse oggeto [di conoscenza]; [poi] “quando tramite tale”
mente il sådhaka44 “rammemora questo” Brahman, lo evoca
intimamente, “ripetutamente” e intensamente, “e il pensiero”,
da parte della mente, avente per oggeto il Brahman. Infati,
poiché ha la mente come sovrapposizione limitante, il Bra-
hman sembra essere rivelato proprio dai contenuti mentali re-
lativi al pensiero, alla rammemorazione, ecc. come se [da tali
contenuti] venisse reso oggeto [di conoscenza].
4.6 Quarto Kha~ƒa 81

Pertanto questo stesso è un preceto relativo al Brahman


considerato in relazione alla sfera individuale.
Mentre in relazione alla sfera divina [il preceto concer-
nente] il Brahman è stato enunciato come la folgore e il bati-
to di palpebre, in quanto possiede la proprietà di rivelarsi im-
mediatamente, in relazione alla sfera individuale Esso espri-
me la proprietà di manifestarsi in simultaneità con in conte-
nuti della mente. Qesto è il preceto.45
Infati in questo modo, cioè quando il Brahman viene inse-
gnato atraverso un preceto [fornendo analogie facilmente
intuibili], fa sì che divenga comprensibile anche da parte di
coloro il cui intelleto è limitato.
Per questo l’istruzione concernente il Brahman viene im-
partita atraverso un preceto. In efeti il Brahman, il quale è
afato privo di qualsiasi sovrapposizione limitante, non po-
trebbe [altrimenti] essere fssato da coloro i quali hanno l’in-
telleto limitato.

4.6. Qello, certamente, è denominato: ‘da lui venerato’


(tadvanam), e come tadvanam deve essere meditato. Colui il
quale conosce questo [Brahman] così, certamente tuti gli esseri
lo invocano.

E inoltre “Qello”, il Brahman, “certamente”, sicuramente


“è denominato: ‘Da lui (= da ognuno) venerato’ (tadvanam)”.
[Ha nome] ‘Da ognuno venerato’ perché [da lui, tat-, cioè] ‘da
parte di lui’ (tasya) ossia da parte di ognuno] vi è ‘venerazio-
ne’ (vana); cioè è degno di essere venerato (vananıya), adora-
to da parte di ogni creatura vivente essendo il suo (tasya) inti-
mo åtman. Per questo il Brahman è celebrato con il nome:
tadvanam.46
Poiché è tadvanam, “come tadvanam”, cioè atraverso quel-
la denominazione che ne esprime la natura, “deve essere me-
ditato”, deve essere contemplato.
82 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 4.6

[Ora l’Upani≤ad] enuncia il fruto che speta a colui che


medita [sul Brahman] per mezzo di tale nome. “Colui”, chiun-
que egli sia, “il quale conosce questo Brahman” come è stato
espresso “così”, cioè dotato della qualità nel modo in cui viene
espressa [dal nome tadvanam], ossia vi medita [in tal modo],
“certamente tuti gli esseri lo invocano”, di sicuro lo implora-
no proprio come [se fosse] il Brahman stesso.

4.7. ‘Signore, esponete la conoscenza segreta!’. ‘La conoscen-


za segreta ti è stata esposta. Invero a te ho enunciato la cono-
scenza segreta concernente il Brahman’.

Essendo stato così istruito, il discepolo disse al maestro:


“Signore”, venerabile, “esponete la conoscenza segreta (upani-
≤ad)”, la segreta dotrina su cui si deve meditare. Al discepolo
che aveva parlato così il maestro rispose: “la conoscenza se-
greta ti è stata esposta”, è stata a te prospetata.
Qal è, dunque, tale [conoscenza segreta]?
[Il maestro] aggiunse: “Invero”, certamente “a te ho enun-
ciato la conoscenza segreta concernente il Brahman”, cioè
quella relativa al Brahman ovvero al supremo åtman, dato che
la conoscenza che è già stata [prospetata in precedenza] ha
per oggeto il supremo åtman. [Il maestro] allo scopo di con-
fermare [il signifcato della sua afermazione, precisa:] ‘la co-
noscenza segreta che ti ho enunciato è proprio la stessa cono-
scenza del supremo åtman che ti è [già] stata esposta’.

Obiezione: Che senso avrebbe, per il discepolo che ha a-


scoltato la conoscenza segreta avente per oggeto il supremo
åtman, esprimere una richiesta come: “Signore, esponete la
conoscenza segreta”?
Innanzituto, se la richiesta è stata avanzata con riferi-
mento a un signifcato già ascoltato, allora la domanda stessa
sarebbe inutile, come il pestare ciò che è già stato macinato.
4.7 Quarto Kha~ƒa 83

D’altra parte, se l’insegnamento segreto fosse stato esposto in


modo incompleto, allora non sarebbe appropriato concludere
riassumendone il fruto nei termini: «.andandosene da que-
sto mondo, divengono immortali» (Ke. 2.5).
Pertanto la richiesta parrebbe del tuto illogica anche se
riferita a una sola parte dell’insegnamento segreto preceden-
temente esposto, dato che non vi è alcuna restante porzione
[ancora da esporre].
Qal è, allora, lo scopo della domanda?

Risposta: Si dice: la conoscenza segreta che è stata prece-


dentemente espressa abbisogna di qualche altro mezzo com-
plementare che ne sia parte integrante? oppure ne è afato
indipendente?
Se [tale insegnamento] necessita [di altri fatori comple-
mentari], allora esponete la conoscenza segreta concernente
tali [altri] fatori necessari [al suo completamento]. Viceversa,
qualora non necessiti [di altro], allora puoi afermare, come
Pippalåda: «(Qesto è proprio tuto ciò che io conosco del
Brahman supremo:) non vi è nulla che Lo trascende» (Pra.
6.7). Qesto è il senso. Così l’afermazione conclusiva da parte
del maestro: “La conoscenza segreta ti è stata esposta” è per-
fetamente legitima.

Obiezione: Comunque questa potrebbe anche non costitui-


re un’afermazione conclusiva perché vi è ancora altro da
dire. Infati [il maestro] aggiunse: «Di quella [conoscenza se-
greta] la disciplina ascetica, l’autodominio, ecc. (sono il fon-
damento)» (Ke. 4.8).

Risposta: È vero che il maestro ha ancora [qualcosa] da


dire, ma ciò [che verrà esposto] non ha lo scopo di [addurre]
altri fatori che sono complementari a quella [conoscenza se-
greta] o ne costituiscono parte integrante, bensì ha l’intento
84 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 4.7

di presentare taluni mezzi per il conseguimento della cono-


scenza del Brahman: infati la disciplina ascetica (tapas) e le
pratiche conseguenti vengono in quel passo assimilate ai Ve-
da e alle [loro] scienze ausiliarie (a§ga), mentre, d’altra parte,
né i Veda [da soli] né le loro scienze ausiliarie come la [scien-
za della] pronuncia, ecc. costituiscono [una necessaria] parte
integrante della realizzazione direta del Brahman e neppure
ne sono mezzi complementari.47

Obiezione: Si potrebbe efetuare una distribuzione anche


delle cose menzionate insieme [nel medesimo passo, Ke. 4.8],
ripartendole secondo il loro normale utilizzo. Per esempio,
come i mantra ripetuti a conclusione di un inno vedico ven-
gono ripartiti a seconda delle divinità verso cui sono rivolti,
ugualmente si può supporre che la disciplina ascetica, l’auto-
dominio, l’atività rituale e la veridicità, ecc. costituiscano par-
te integrante della conoscenza del Brahman o rappresentino
mezzi complementari a quella. Da parte loro, per la loro ca-
pacità di rivelare il [proprio] signifcato, i Veda e le loro
scienze ausiliarie costituiscono un mezzo sia in relazione al-
l’atività rituale sia in relazione alla conoscenza dell’åtman.
Così, invero, si potrebbe ritenere che questa ripartizione è del
tuto legitima in virtù della capacità [di tali mezzi] in relazio-
ne al [descrivere chiaramente il] signifcato, al rapporto [con
l’oggeto in esame] e alla ragione.

Risposta: No, [ciò] è illogico, perché questa ripartizione


non concorda con gli intenti. Infati non sarebbe appropriato
[pensare che] che la conoscenza del Brahman, la quale respin-
ge qualsiasi nozione di diferenziazione concernente azione,
agente e fruto, debba dipendere da qualche parte integrante
o avere un rapporto con mezzi complementari ad essa. Ciò
anche perché la conoscenza del Brahman, unitamente al suo
fruto che è il Bene supremo (cioè quella che è la vera e def-
4.8 Quarto Kha~ƒa 85

nitiva liberazione, mok≤a), si fonda unicamente sull’intimo åt-


man il quale è prosciolto da qualsiasi entità oggetiva.
[Così si sintetizza la dotrina esposta dalla Âruti:] ‘Aspi-
rando alla liberazione ci si deve distaccare defnitivamente
dall’azione [rituale o fnalizzata] unitamente ai suoi mezzi.
Qello può essere realizzato solo da colui che ha operato la
totale rinuncia (tyåga). Il supremo Stato (cioè la liberazione
che consegue alla realizzazione del Brahman, ovvero alla at-
tuazione della identità con Qello) è l’intimo [stato, cioè l’in-
timo åtman] del rinunciatario’. Perciò non si può ragionevol-
mente ammetere che la conoscenza includa le atività rituali
come fatore complementare né l’azione come parte integran-
te. Qindi la [ipotesi della] ripartizione [della disciplina asce-
tica con le altre cose elencate nello Ÿloka successivo], efetua-
bile in funzione del loro impiego e in analogia con le ripeti-
zioni [dei mantra] conclusive di un inno vedico, è assoluta-
mente priva di fondamento.
Da ciò si deve ammetere che la richiesta e la relativa ri-
sposta hanno soltanto lo scopo di confermare [quanto già
espresso]: la conoscenza segreta è proprio questa che è stata
esposta; essa conduce all’immortalità senza dipendere da al-
cun altro [fatore].

4.8. [Il maestro aggiunse:] ‘Di quella [conoscenza segreta] la


disciplina ascetica, l’autodominio e l’atività rituale e così [via]
sono il fondamento; i Veda sono tute le membra; la Verità è la
dimora’.

La disciplina ascetica e le altre cose costituiscono mezzi


per il conseguimento “di quella” (tasyai) – laddove [la forma
correta] è tasyå¢ – conoscenza segreta che è stata esposta
cioè questa conoscenza segreta del Brahman che ti ho enun-
ciato all’inizio. La “disciplina ascetica” (tapas) consiste nella
costante compostezza di corpo, sensi e mente; l’“autodomi-
86 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 4.8

nio” (dama) segue alla pacifcazione [di corpo, sensi e mente];


l’“atività rituale” (karma) concerne l’Agnihotra e gli altri [ri-
ti]. Infati, per colui che si è purifcato per mezzo di questi
[fatori], si constata il sorgere della conoscenza della Realtà
atraverso la purifcazione della mente (satvaŸuddhi). Vice-
versa, è oggeto di comune constatazione che, sebbene il Bra-
hman [gli] sia stato esposto, colui che non ha eliminato le im-
purità mostra [solo] assenza di comprensione o una com-
prensione opposta, come nel caso di Indra e Virocana, ecc.48
Perciò la conoscenza si svela in colui la cui mente è stata
purifcata atraverso la disciplina ascetica e le altre [pratiche]
sia qui (in questa esistenza) che in innumerevoli altre [pre-
cedenti] nascite, come si apprende dalla Âruti nella esplicita
asserzione del mantra: «A colui, il quale ha una suprema de-
vozione verso il Deva e [anche] verso il guru [considerato]
come un Deva, invero, questi argomenti che sono stati espo-
sti, vengono rivelati come a colui dalla grande anima» (Âve.
6.23). Mentre dalla Smÿti [si apprende]: «Nell’uomo la cono-
scenza sorge grazie alla distruzione dell’ato erroneo» (Ma.
Bhå. Âå. 204.8).
L’espressione “e così [via]” (iti) ha lo scopo di rivelare
qualcosa di implicito; “.e così [via]”, nel senso di “e così [co-
me questi vi sono anche altri fatori], ecc.”, per cui viene la-
sciato intendere anche qualche altro fatore [che si rivela uti-
le] per il sorgere della conoscenza [come si legge nella Bha-
gavadgıtå]: «Umiltà, innocenza.», ecc. (Bha. Gı. 13.7).49
Il “fondamento” (prati≤†hå) signifca i due piedi, [perché
tali fatori] sono per quella [conoscenza] come i piedi [per
l’uomo]: infati, quando essi sono presenti, la conoscenza del
Brahman sussiste saldamente fondata, come un uomo [lo è]
sui suoi due piedi. Inoltre i quatro “Veda sono tute le mem-
bra”, come le sei [scienze ausiliarie] quali la [scienza della]
pronuncia e le altre,50 perché rivelano sia l’atività rituale [da
compiere] sia la conoscenza e perché hanno lo scopo di pro-
4.9 Quarto Kha~ƒa 87

teggere i Veda: tale è la natura di fondamento che posseggono


le scienze ausiliarie [dei Veda].
Oppure, poiché il termine “fondamento” è concepito con
lo scopo di esprimere i piedi [della conoscenza], allora i Veda
ne sono tute le altre membra, a cominciare dal capo in poi.
Soto questa prospetiva si deve comprendere che nello stesso
[termine] Veda sono state incluse la scienza della pronuncia e
le altre [scienze ausiliarie]: quando è menzionato il fatore
principale, anche i fatori secondari vengono inclusi [automa-
ticamente], dal momento che tali fatori secondari hanno la
loro sede in quello.
“La verità (satya) è la dimora (åyatana)” dove riposa la
dotrina segreta (upani≤ad), la sua sede. La verità è l’assenza
di inganno, la mancanza di falsità nella parola, nella mente e
nel corpo: infati la conoscenza dimora in coloro i quali sono
privi di inganno e virtuosi e non in quelli che hanno natura
asurica e sono ipocriti, come si apprende dalla Âruti: «(Per
loro è questo mondo del Brahman privo di maculazione) per
quelli nei quali non vi è simulazione, falsità o ipocrisia» (Pra.
1.16). Per questo la verità è concepita come la sua dimora.
[Sebbene] la verità sia stata già acquisita come fondamen-
to in relazione alla disciplina ascetica e alle altre cose [elenca-
te], tutavia [ora] se ne fa ulteriore menzione come dimora
[della conoscenza suprema] allo scopo di mostrare che, in
rapporto al sorgere della conoscenza, rappresenta il mezzo as-
solutamente più efcace, come si apprende dalla Smÿti: «Un
migliaio di [riti sacrifcali complessi come quello chiamato]
AŸvamedha e la verità vengono posti in equilibrio [su una bi-
lancia], ma la verità, benché una, prevale anche su mille A-
Ÿvamedha» (Vi. Smÿ. 8).

4.9. [E così concluse:] ‘Invero colui, il quale realizza questa [co-


noscenza] così, avendo rimosso l’errore resta fermamente stabilito
nell’infnito mondo che è il cielo, nel Supremo; vi resta stabilito’.
88 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Parole 4.9

“Colui il quale realizza questa” conoscenza del Brahman


“così” – cioè nel modo in cui è stata esposta a partire dal pas-
so: «Da chi [è] sollecitata (la mente.)», ecc. (Ke. 1.1), che è
stata fata oggeto di elogio nel passo: «Il Brahman, certamen-
te, otenne il trionfo per i deva» (Ke. 3.1) e «.che è il fonda-
mento di ogni conoscenza» (Mu. 1.1.1), anche se il fruto della
conoscenza del Brahman viene stabilito alla fne, dove è stato
deto: «.infati [tramite ciò] si consegue l’immortalità» (Ke.
2.4) – “.avendo rimosso”, avendo disperso “l’errore”, che con-
siste nell’ignoranza, nel desiderio e nell’azione ed è il seme
del divenire ciclico, “resta fermamente stabilito nell’infnito”,
nell’illimitato “mondo che è il cielo”, cioè nel Brahman consu-
stanziato di beatitudine. Poiché compare la specifcazione:
“nell’infnito” (anante), [l’espressione: “nell’infnito mondo che
è il cielo” (anante svarge loke)] non signifca: nel paradiso [di
Indra, cioè l’Essere universale, il Brahman qualifcato (sagu-
~a)]. Anche qualora il termine “infnito” abbia un senso se-
condario [non diretamente riferito al Brahman nirgu~a], tut-
tavia [l’Upani≤ad] precisa: “nel Supremo” (jyeye), cioè nell’En-
te sublime, [l’Ente che è] il più elevato, il più grande di tuti;
dunque, nel proprio åtman, il quale soltanto [è tale, cioè inf-
nito, ecc.] in senso primario; vale a dire che egli otiene di
non tornare più nel divenire ciclico.

Fine del Qarto Kha~ƒa

Fine della Kena Upani≤ad


con il Commento di Âa§kara
alle Parole [degli Ÿloka]

*
KENA UPANI≥AD

con il Commento di Âa§kara

alle Sentenze [degli Ÿloka]

(kenopani≤acchå§karavåkyabhå≤yopetå)
Invocazione augurale

Possa [Qello] proteggerci entrambi (Maestro e discepolo)!


Possa nutrirci entrambi!
Che noi due possiamo acquisire insieme il vigore [spirituale]!
Che lo studio da parte di noi due sia luminoso!
Che tra noi due non si debba mai disputare!

oµ Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢

Possano le mie membra e la parola, l’energia vitale,


la vista e l’udito e anche la forza
e tuti gli organi prosperare!
Tuto è il Brahman rivelato dalle Upani≤ad.
Che io non rinneghi mai il Brahman!
Che il Brahman non rinneghi mai me!
Mai vi sia rifuto [del Brahman da parte mia]!
Mai vi sia rifuto di me [da parte del Brahman]!
Qelle virtù [descrite] nelle Upani≤ad,
che esse siano in me che riposo nell’åtman!
Che esse siano in me!

oµ Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢


Primo Kha~ƒa

1.1. Om. Da chi [è] sollecitata la mente, quando cade [sul


proprio oggeto], essendo direta verso [quello stesso]? Da chi [è
stimolata] l’energia vitale quando, per prima, perdura nell’es-
sere congiunta [con le sue funzioni]? Da chi [è] controllata que-
sta parola, che [gli uomini] pronunciano? Qal è, dunque, il de-
va che regola la vista e l’udito?

[La esposizione avente per oggeto] la meditazione con-


cernente l’atività rituale, l’åtman, gli elementi e l’energia vi-
tale e la molteplice modalità operativa si è conclusa. Dalla
esperienza della combinazione delle due alternative si hanno,
secondo il [corso] meridionale e il setentrionale menzionati
nella Smÿti, [rispetivamente] il ritorno e il non-ritorno [alla
esistenza individuata su questo piano]. 51 Da qui in poi, una
volta portata a compimento la pratica della combinazione di
meditazione e atività rituale [efetuata] senza riguardo al
fruto, per colui il quale, postosi totalmente al di là di [tuto]
ciò che è oggeto di percezione distintiva, scorge il difeto in-
sito nella dualità e per il quale l’impedimento alla conoscenza
dell’åtman è stato eliminato in quanto ha operato la propria
purifcazione, [essendo ora egli] decisamente intenzionato a
estirpare l’ignoranza che è il seme del divenire ciclico (saµså-
ra), per costui, dunque, il quale ha concepito una istanza di
conoscenza riguardo all’intimo åtman [e la esprime] così [con
le parole]: “Da chi [è] sollecitata.?”, prende inizio il [Primo]
Kha~ƒa in relazione alla chiara conoscenza della realtà qual è
la propria natura di åtman, [conoscenza] grazie a cui la condi-
94 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.1

zione di [soggezione a nascita] morte [ecc.], che [in fondo] è


l’ignoranza, viene certamente estirpata, dato che il divenire
ciclico dipende da essa.
Poiché [normalmente] l’åtman non risulta conosciuto, è
logico che l’istanza di conoscenza (jijñåså) concerna Qello
allo scopo di conoscerlo, mentre non vi è [nelle Scriture nes-
suna] menzione in riferimento all’atività rituale, essendo in
contraddizione con ciò. [Viceversa] di questa reale natura del-
l’åtman, che deve divenire oggeto di una potente istanza di
conoscenza, non vi è menzione [nella sezione] riguardante
l’atività rituale.

Obiezione: Perché?

Risposta: Perché la conoscenza dell’åtman qual è in realtà


è in contrasto con l’atività rituale. Infati l’åtman, che si in-
tende rendere oggeto di una istanza di conoscenza, ha la
[medesima] natura intrinseca del Brahman senza superiore,
come [si apprende] dalla Âruti: «(Qello, che non è espresso
atraverso la parola, ma atraverso cui la parola è espressa),
Qello soltanto tu devi conoscere come il Brahman, e non ciò
che adorano come questo [o questo altro deva]» (Ke. 1.4), ecc.
Del resto nessuno, che abbia realizzato la [propria] natura di
Brahman e [pertanto] sia pervaso di autoradianza, può [più]
concepire [come individuo] il desiderio di pronunciare: ‘[Io]
sono Brahman’ [quale contenuto di meditazione formale]. Il
completo risvegliato (sabuddha) non può [più neanche] com-
piere atività [fnalizzata] perché, identifcatosi con l’åtman,
cioè il Brahman, dunque avendo conseguito il [proprio supre-
mo] fne, non vede [più alcuna] utilità nelle [varie forme di]
azione e, quando l’agire [in sé] è privo di esito, l’atività rap-
presenta una vera e propria incoerenza se rapportata [in pari
tempo] alla conoscenza. Per questo [nella sezione dedicata
alla conoscenza] non vi è menzione in riferimento all’atività
1.1 Primo Kha~ƒa 95

[rituale]. Così [si deve concludere che] l’istanza di conoscen-


za concerne specifcatamente solo la conoscenza [dell’åtman],
dato che l’assenza di desiderio ha per scopo la purifcazione
[della mente].

Obiezione: Si potrebbe obietare che se, in efeti, atraver-


so la chiara conoscenza dell’åtman l’atività [rituale] dovesse
essere fata oggeto di totale abbandono, non riferendosi alla
conoscenza dell’åtman, allora [come recita la norma corren-
te]: ‘Invero, il mancato contato [con ciò che è impuro] è pre-
feribile alla miglior purifcazione con l’argilla’, sarebbe meglio
non intraprendere afato [l’azione], per via della limitatezza
del [suo] fruto a fronte del ripetuto impegno profuso, dato
che il conseguimento del Bene [per eccellenza, la liberazione]
si ha soltanto dalla conoscenza della Realtà (tatvajñåna).

Risposta: Qesto è vero. Per colui che nutre il desiderio, la


natura della schiavitù, al pari di difeti come la limitatezza del
fruto dell’azione, ecc., resta contenuta nella sfera dell’igno-
ranza, come [si apprende] dai seguenti e altri passi della Âruti:
«Colui il quale brama gli oggeti di desiderio.» (Mu. 3.2.2),
«Qello stesso, nutrendo l’ataccamento.» (Bÿ. 4.4.6). [Al con-
trario] non è [così] per colui che non ha [più] desiderio: inve-
ro, per costui le azioni diventano solo mezzi di purifcazione
connessi con ciò atraverso cui sono eseguite, con le sedi [in
cui vengono efetuate], con le energie vitali [interessate] e
con la cognizione [inerente].
Nella [Saµhitå chiamata] Våjasaneyaka, dopo aver esordi-
to [con la domanda]: «È migliore colui che venera i deva o co-
lui che venera l’åtman?», [a cui si risponde]: «Invero colui,
che agisce sacrifcando all’åtman, a mio avviso purifca con
tale [azione] questo veicolo individuale», [si comprende che
per costui] le azioni rappresentano solo strumenti di purifca-
zione; anche dalla Smÿti [si apprende]: «L’individuo raggiun-
96 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.1

ge la santità sia con i ‘grandi sacrifci’ che con i sacrifci [ordi-


nari]», «Il sacrifcio, la donazione e la stessa ascesi sono i pu-
rifcatori degli avveduti» (Bha. Gı. 18.5), ecc.
La meditazione sul prå~a, ecc., sia da sola che associata al-
l’atività rituale, è, per colui che nutre il desiderio, fnalizzata
soltanto al conseguimento della propria identità con il prå~a
mentre, per colui che è privo di desiderio, è [fnalizzata] alla
completa eliminazione di tuto ciò che impedisce la conoscen-
za dell’åtman, al pari dello strofnare la superfcie di uno spec-
chio. Invero, da parte di colui per il quale la conoscenza del-
l’åtman si è manifestata, si ha il mancato impegnarsi nell’at-
tività rituale, perché [riconosciuta] priva di risultato.
[Qesto si apprende] sia da passi della Âruti come i se-
guenti: «L’essere nato [in forma corporea] viene reso schiavo
dall’azione e liberato dalla Conoscenza: per questo, i saggi
che hanno la più alta conoscenza 52 non si impegnano nell’at-
tività rituale» (Ma. Bhå. Âå. 12.241.7, Bra. Pu. 237.7), «Tanto la
stessa via dell’azione rituale, quanto il distacco che precede
[l’atività sacrale]: solo la completa rinuncia è superiore ri-
speto a entrambi», «(Né con l’azione né con la progenie o la
ricchezza), [ma solo] con il [supremo] distacco alcuni oten-
nero l’immortalità.» (Tai. Å. 4.12.3, Kai. 2.3), «.non esiste
alcun’altra via.» (Âve. 3.8) e altri, che anche atraverso la ra-
gione.
Invero le atività rituali costituiscono mezzi per la cono-
scenza grazie alla [loro funzione di] purifcazione, ma il con-
seguimento dell’immortalità si ha [solo] atraverso la cono-
scenza, come [si apprende] da passi della Âruti come: «.in-
fati [tramite ciò] si consegue l’immortalità. tramite la cono-
scenza si consegue l’immortalità» (Ke. 2.4), ecc. e [da simili
passi] della Smÿti. Invero, colui che intende raggiungere l’al-
tra riva di un fume non lascia la barca fn quando è presente
in lui l’intenzione di portarsi verso il luogo prescelto; infati
una cosa che non è di per sé acquisita, deve essere otenuta
1.1 Primo Kha~ƒa 97

atraverso i mezzi appropriati. Ora, l’åtman è per sua stessa


natura [eternamente] realizzato (svabhåvasiddha), per cui non
può essere otenuto [come un oggeto distinto o raggiunto
come un luogo lontano] perché, essendo la natura di sé stessi,
è eternamente conseguito; e non deve nemmeno subire un
processo di trasformazione perché, appunto, essendo la natu-
ra di sé stessi, costituisce una natura eterna, una natura non
soggeta a modifcazione e una natura priva di forma. 53 Anche
dalla Âruti [si apprende]: «.non è accresciuto (né sminuito)
da alcuna azione.», ecc. (Bÿ. 4.4. 23), e anche dalla Smÿti:
«.questo [åtman] viene deto immodifcabile» (Bha. Gı. 2.25).
Inoltre [l’åtman] non può nemmeno essere oggeto di una
istanza di purifcazione, perché dalla Âruti [si apprende que-
sto]: «.puro e non leso dall’errore.», ecc. (Ù. 8). Ancora, per
via della [sua] natura di non-distinzione [da tuto, cioè non
essendovi altro dall’åtman],54 come potrebbe, l’uno, essere pu-
rifcato dall’altro? Non esiste nemmeno un ato che possa es-
sere [considerato come] altro dall’åtman, né si potrebbe voler
purifcare il proprio åtman atraverso lo stesso proprio åtman;
né, ancora, si può postulare un distinto ente per [purifcare]
l’altro ente [pena una regressione senza fne] e neanche un
processo di acquisizione [dell’åtman] che si svolga continua-
tivamente e indefnitamente [perché contradditorio]; d’altra
parte si vuole che la liberazione abbia natura eterna (per cui è
sempre realizzata). Pertanto l’intraprendere una [qualsiasi]
atività, da parte di colui per il quale la conoscenza si è mani-
festata, è logicamente inammissibile.
Dunque, per [realizzare] la conoscenza dell’åtman da par-
te di un intelleto (buddhi) che sia stato distolto dalla esterio-
rità [oggetuale], prende inizio [il Primo Kha~ƒa che esordisce
con le parole]: “Da chi [è] sollecitata.?”.
Una specifca domanda [determinata] dalla peculiarità del-
l’atività efetiva [della mente] è ragionevolmente ammissibi-
le. Infati un’atività efetiva viene constatata solo per carri o
98 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.1

altri [oggeti di per sé inanimati] che siano condoti da enti


consapevoli, ma non per [carri, ecc. cioè] enti [non consape-
voli] non condoti [da alcuno]; una funzione ativa si constata
anche per la mente e gli altri [veicoli], che sono [di per sé]
privi di consapevolezza.
Ora tale peculiarità [qual è la capacità di governare un
ente privo di consapevolezza] appartiene [solo] a colui che
governa, il quale è [un ente] consapevole, mentre organi co-
me la mente e gli altri [essendo semplici strumenti] sono resi
ativi [solo] dal dominio [esercitato da parte di enti consape-
voli]; tale [condizione ativa] non si può ammetere logica-
mente se colui che governa, che è dotato di consapevolezza, è
assente.
Ora, poiché non vi è una [chiara] comprensione in rela-
zione a tale distinzione, mentre, nello stesso tempo, si ricono-
sce l’uguaglianza di colui che è dotato di consapevolezza (cioè
l’invariabilità nelle diverse condizioni), si ammete secondo
ragione una domanda circa ciò che determina la distinzione.
Così [la domanda]: “Da chi [è] sollecitata”, da chi è direta,
ossia in virtù della sola volontà di chi “la mente cade”, cioè si
porta sul proprio oggeto essendo impegnata [in ciò] per via
del controllo [da parte di un ente distinto e conscio]? [si rive-
la pienamente legitima]. Tale è il senso.
La mente (manas), cioè l’organo interno [nella sua inte-
gralità] ha per fondamento la consapevolezza: è grazie a essa
che si pensa. Il senso [di quanto aferma il verso] è un para-
gone (upamå), cioè: ‘è come se [la mente] fosse direta [da un
altro ente]’; qui invece non si possono ammetere i signifcati
leterali delle due parole: ‘sollecitata’ (i≤ita) e ‘direta’ (pre≤i-
ta): infati l’åtman [nel suo aspeto-rifesso individuato] non
‘dirige’ la mente e gli altri [organi] come se fossero discepoli
[che obbediscono a un maestro]. Invero, la fondatezza [della
mente sulla coscienza] si ha solo atraverso la natura propria
[dell’åtman] quale Coscienza assoluta ed eterna, al pari di co-
1.2 Primo Kha~ƒa 99

lui che sovrintende a una [data] atività solo mediante [la pre-
senza in cui esplica] una costante atenzione.
A seguire, il prå~a è [identifcato con] il naso, per via della
sua tratazione (prakara~a): la natura di primarietà appartiene
alla funzione del movimento [ascendente e discendente, ossia
di inalazione ed esalazione] in quanto è la causa del prå~a
[quale energia vitale].55
La funzione specifca degli organi di per sé consiste unica-
mente nella manifestazione del proprio oggeto; invero, tra
[tuti gli organi come] la mente e gli altri, la funzione espli-
cantesi in un movimento [alterno] appartiene solo al prå~a,
per cui la primarietà [nello svolgere la propria funzione speci-
fca] speta all’energia vitale. Essa [agisce per prima] in quan-
to “perdura nell’essere congiunta [con le sue funzioni]”, cioè
si muove perfetamente unita [a loro].
La “parola” (våg) è l’ato del pronunciare; su che cosa si
fonda? [E poi] qual è il deva che controlla totalmente la vista
e l’udito? Il signifcato è: in che modo viene specifcato Colui
il quale, dotato di consapevolezza, sovrintende agli organi [in
tute le loro funzioni]?

1.2. Qello, dunque, è l’udito dell’udito, la mente della men-


te, in quanto è certamente la parola della parola, il prå~a del
prå~a, la vista della vista. Essendosi afrancati [dalla identifca-
zione con l’aggregato corporeo sensoriale], i saggi risoluti, an-
dandosene da questo mondo, divengono immortali.

La risposta [nei termini]: “(Qello, dunque) è l’udito del-


l’udito.” ha lo scopo di stabilire la natura di Qello che è pri-
vo di [qualsiasi] qualifcazione come fondamento [delle fun-
zioni di tuti gli organi]. La natura di causa fondante (nimita-
tva) in relazione alla funzione specifca della mente e degli al-
tri [organi] appartiene all’åtman il quale è esente da [tute
quelle che sono] qualifcazioni, come l’atività modifcante,
100 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.2

ecc.56 Qesto è il signifcato della risposta [data nei termini]:


“.è l’udito dell’udito.”. [Ciò si comprende] da quanto segue,
perché le espressioni che compaiono dopo sono [da intender-
si] qui in questo signifcato.
In che senso?
[Un essere] ascolta tramite ciò; tale è l’udito (Ÿrotra), lad-
dove la funzione dell’udito è per costui ciò che rivela il suono.
La funzione di rivelare (avabhåsakatva) si ha in riferimento
alla capacità di percepire (consapevolmente) il suono e non
[appartiene all’organo dell’udito] di per sé, perché il suono non
possiede natura di consapevolezza e perché [solo] l’åtman ha
natura di consapevolezza (cidr¥patva).
Qella che è la natura di Colui che rivela, con l’essere la
[consapevolezza della] percezione del suono, quella viene det-
ta “l’udito dell’udito”, dato che essa è fondata sull’åtman, co-
me la funzione dello k≤atriya [si fonda] sulla natura di k≤atra
o come il calore dell’acqua ha causa nel fuoco. Allo stesso
modo anche il fuoco, nei confronti dell’acqua [una volta che
sia divenuta] calda, è deto ‘colui che conferisce calore’ e, da
parte sua, anche l’acqua, invero, per via del suo contato con
il fuoco, viene deta [per il calore che possiede, essere simile
al] ‘fuoco’; tal quale [è il caso in questione].
La funzione di soggeto percipiente (upalabdhÿtva), essen-
do dovuta al contato con ciò [che viene percepito], laddove
l’udito e le altre [facoltà sensoriali] ne sono il fatore, è transi-
toria come per l’acqua la capacità di riscaldare è passeggera
[in quanto dovuta all’eventuale contato con il fuoco e fn
quando mantiene sufciente calore]; in efeti [anche] in rela-
zione a ciò è così.57
Invece, laddove la funzione di soggeto percipiente è per-
manente, come lo è la natura di calore in relazione al fuoco,
quello viene deto il Soggeto percipiente [per eccellenza],
come [il fuoco è l’ente che riscalda per natura], in virtù della
sua natura propria di eterna percezione (consapevolezza). 58
1.2 Primo Kha~ƒa 101

La percezione concernente la funzione dell’udito e le altre


in relazione all’udito e alle altre [facoltà sensoriali] è imper-
manente mentre in relazione all’åtman è permanente, così, in
virtù del signifcato delle espressioni che seguono, si ammete
secondo ragione che [l’åtman] è “l’udito dell’udito”, ecc.; per-
ciò la natura di causa fondante della funzione specifca della
mente e degli altri [organi] appartiene [solo] all’åtman, il
quale per propria natura è Coscienza priva di qualifcazione
(nirviŸe≤a). [Anche] in riferimento alla mente, ecc. è così come
è stato deto.59
[Laddove si aferma:] “.è certamente la parola della paro-
la, il prå~a del prå~a.”, si deve ravvisare dappertuto una du-
plice distinzione.
In che modo?
Poiché è stata formulata una [specifca] domanda, [nel te-
sto] si ha in primo luogo la descrizione (nirdeŸa), cioè l’indi-
cazione della natura propria [dell’åtman], proprio come pri-
ma [specifcazione], e quindi, poiché Qello deve essere cono-
sciuto, anche la [enunciazione della] sua natura come [Colui
che sollecita la] funzione ativa, come seconda [specifcazio-
ne]: per questo [viene deto]: “.è certamente la parola della
parola, il prå~a del prå~a.”. Da ciò [è evidente che] dovun-
que [viene espresso il soggeto della rispetiva funzione sen-
soriale, si deve intendere] proprio la duplice distinzione [pro-
spetata].60
Dunque, conoscendo l’essenza che è l’åtman, afato priva
di qualifcazione, la cui natura propria è [la coscienza nella]
percezione, che è specifcata essere “l’udito dell’udito”, ecc. in
quanto è la causa fondante della percezione [sensoriale espli-
cata da parte] dell’udito e delle altre [facoltà sensoriali], “es-
sendosi afrancati” dal divenire ciclico (saµsåra) consistente
nell’intelleto e negli altri [veicoli, che erano stati] sovrappo-
sti [all’åtman] per via di una mancata comprensione [della
vera natura dell’åtman], dunque avendo così conseguito la li-
102 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.2

berazione, “i saggi risoluti”, cioè coloro dotati di intelleto [di-


scriminante], “andandosene da questo mondo”, cioè diparten-
dosi, distaccandosi defnitivamente dal corpo, non essendovi
più [per loro] una causa in relazione a un’altra rinascita, “di-
vengono immortali”; infati si rinasce in un altro corpo fn
quando persiste l’ignoranza [della propria natura di åtman].
Viceversa, quando vi è la comprensione dell’åtman, poi-
ché le [risultanze delle] azioni sono state arse dal fuoco della
conoscenza, la quale è totalmente opposta all’ignoranza che è
la causa dell’impegnarsi in qualsiasi atività, in mancanza di
un agire [identifcato che tratiene nel divenire, i saggi] “di-
vengono immortali”.
[In realtà, essi] sono immortali anche prima del distacco
dalla [falsa natura assoggetata alla] morte, la quale è sovrap-
posta [alla natura immortale] atraverso la connessione con la
rinascita, ecc. in una serie ininterrota di corpi, ecc.; pertanto
[si dice che] essi ‘divengono immortali’ (amÿtå bhavanti) in
quanto [realizzano la piena e immediata presa di coscienza
del fato che] hanno la [medesima] natura propria dell’åtman
eterno. Qesto è ciò che si intende implicitamente.

1.3. Colà non giunge la vista, non giunge la parola, né la


mente. Non conosciamo [il Brahman così espresso]. Non abbia-
mo cognizione di come questo [Brahman] debba essere insegna-
to. ‘Qello è afato altro dal conosciuto ed è anche al di là del
non-conosciuto’: così udimmo dagli antichi [maestri] i quali ce
lo illustrarono.

Nel verso: “Colà non giunge la vista.”, si enuncia la ra-


gione del mancato accertamento [dell’åtman] nella serie di
domande.
Nonostante sia stato deto: «.è l’udito dell’udito.», ecc.
(Ke. 1.2), poiché in relazione alla [investigazione sulla] essen-
za dell’åtman non risulta accertato l’oggeto a causa della
1.3 Primo Kha~ƒa 103

[sua] natura [infnitamente] sotile, [il testo] pronuncia la


motivazione della istanza espressa dalla serie di ripetuti que-
siti [dicendo]: “Colà non giunge la vista.”.
“Colà” (tatra), ossia in Qello che è l’åtman dell’udito, ecc.
– qui parola e udito si riferiscono a tuti gli organi sensoriali
– lo stesso udito e le altre [funzioni sensoriali] non determi-
nano [come tali] il sorgere della chiara conoscenza e, poiché
[potrebbe sorgere il dubbio che Qello] può essere còlto at-
traverso la mente, al pari della felicità, ecc., pertanto [il testo]
aggiunge: “.né la mente”, cioè: Qello non è oggeto [di co-
noscenza distintiva neanche] per la mente, come [invece lo è]
la felicità, ecc., in quanto non costituisce oggeto [nel senso
ordinario] per gli organi.61
“Non conosciamo, non abbiamo cognizione” atraverso
l’organo interno (la mente nel suo complesso) “di come que-
sto” Brahman, presentato come il fatore che impulsa la men-
te, ecc., “debba essere insegnato”, cioè [del modo in cui] si
debba fornirne una istruzione determinata dalla [sua specif-
ca] azione;62 così, poiché non ha natura oggetiva, “non cono-
sciamo, non abbiamo cognizione” [di ciò].
Oppure, dopo che è stato deto: mostrando specifcata-
mente che il Brahman costituisce ‘l’udito, ecc. dell’udito, ecc.’,
il maestro aferma: non è possibile mostrare la ragione per cui
‘colà non giunge la vista’, ecc., [laddove il resto] è tuto come
prima, mentre qui vi è la specifcazione: “(non abbiamo cogni-
zione) di come questo [Brahman] debba essere insegnato”,
[dove la frase:] ‘come questo debba essere insegnato’ [impli-
ca: come] possa essere realizzato; il senso è che anche un al-
tro [argomento che riguarda il Brahman], che debba costitui-
re oggeto di istruzione, non può essere acquisito con un di-
verso metodo. Qanto deto [signifca]: in qualsiasi modo si
faccia conoscere il Brahman, il maestro aggiunge: “Qello è
afato altro dal conosciuto ed è anche al di là del non-cono-
sciuto”: così [atesta] la tradizione scriturale (ågama).
104 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.3

[Qella del Brahman] è una natura distinta sia dal cono-


sciuto che dal non-conosciuto. Poiché, infati, colui, il quale è
il conoscitore (jñåtÿ), quegli, in quanto åtman della totalità, è
Qello stesso, pertanto il conoscitore, il quale è l’åtman di
tuto, ha innanzituto una natura distinta dal conosciuto (vi-
dita) per via della non-esistenza di un [qualsiasi] altro cono-
scitore, come [è asserito] dal mantra: «Egli conosce [tuto] ciò
che è conoscibile, ma non vi è alcuno che possa conoscere
Lui» (Âve. 3.19), e [di ciò che si legge] nel Våjasaneyaka [Brå-
hma~a]: «Per mezzo di che cosa, mia cara, si potrà conoscere
il conoscitore?» (Bÿ. 2.4.14); inoltre il conosciuto è anche il
manifestato (vyakta), per cui il senso è che [il Brahman] è al-
tro [anche] rispeto a quello.

Obiezione: Ciò che è manifesto è conosciuto perché è og-


geto [di conoscenza distintiva] per un altro (il soggeto cono-
scente). Ciò implica una contraddizione perché [essendo og-
geto], è delimitato e, di conseguenza, non-eterno: perciò stes-
so, essendo di natura frammentaria, è impuro e, sempre per lo
stesso motivo, [poiché da parte Vostra si sostiene che il Bra-
hman è puro, eterno, ecc.] si conclude che il Brahman è afat-
to distinto da ciò (dal conosciuto); allora deve essere [sempre]
non-conosciuto.

Risposta: No, per via dell’assenza [nel Brahman stesso] di


una relazione [duale] con la conoscenza. Infati, se fosse non-
conosciuto (avidita), Qello avrebbe comunque una relazione
[duale] con la conoscenza, perché la prassi ordinaria è quella
di volgersi a conoscere ciò che non è conosciuto.
Ma da che cosa si avrebbe questa relazione [duale] con la
conoscenza, se la conoscenza è la sua natura propria?
Infati ciò, a cui una [data] natura propria appartiene spe-
cifcamente, non dipende, per quella, da altro; né vi è dipen-
denza da sé stesso, perché è assodato che [per quanto riguar-
1.3 Primo Kha~ƒa 105

da l’espressione di tale natura] è privo di relazione [con chec-


chessia]: una lampada, in riferimento al [potere di] rivelare
[gli oggeti], che è la sua propria natura, non dipende da al-
cun’altra fonte luminosa né da sé stessa. Infati è stabilito che
ciò, che non ha relazione [con altro], [dipende] solo da sé
stesso: sarebbe privo di senso se [una lampada], pur avendo
natura di ciò che illumina, [per rivelare le cose] dipendesse da
una [diversa] lampada, perché nell’illuminare non vi è distin-
zione.63
In riferimento alla natura propria di una lampada, che è
appunto quella di rivelare [gli oggeti], il potere di illuminare
[esplicato da parte] della lampada ha una sua propria valenza
e così, anche per quanto riguarda l’åtman, non vi è una dife-
rente conoscenza dalla quale debba dipendere in relazione al-
la conoscenza della propria natura.

Obiezione: Si potrebbe obietare che vi è una contraddi-


zione.64
Risposta: No, perché [il caso dell’åtman] è altro [dal-
l’esempio della lampada]: poiché la sua stessa natura è cono-
scenza, in relazione alla conoscenza della propria natura non
dipende da una ulteriore conoscenza.

Obiezione: Ciò non è esato. Infati in relazione all’åtman


si constata [la presenza simultanea di] una conoscenza difor-
me e una conoscenza autentica [quando si dice]: ‘non conosco
l’åtman’. E dalla [stessa] Âruti [si apprende]: «Tu sei Qello»
(Chå. 6.8.7), «Qello conobbe soltanto sé stesso» (Bÿ. 1.4.10),
«Invero, conoscendo questo stesso åtman.» (Bÿ. 3.5.1); inol-
tre, dovunque nella Âruti si osserva che, in riferimento alla co-
noscenza dell’åtman, vi è il ricorso a una ulteriore conoscen-
za; in base a ciò si dovrebbe concludere che nella Âruti vi è
una contraddizione.65
106 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.3

Risposta: No. Perché? Perché l’åtman [nel suo aspeto-ri-


fesso] caraterizzato da una serie ininterrota di identifcazio-
ni con l’aggregato composto da corpo e sensi a cominciare
dall’intelleto – [il jıva, cioè l’åtman individuato] consustan-
ziato di non-discriminazione e nel quale predomina la mani-
festazione della mente, [dunque il rifesso dell’åtman correla-
to ai veicoli] nel quale la conoscenza si manifesta [come se
fosse] non-eterna sebbene la sua intima essenza sia una natu-
ra propria di eterna coscienza – è altro [dall’åtman reale].66
Inoltre [tale åtman nel suo aspeto individuato] si manife-
sta anche come se fosse totalmente diferente, cioè come se,
essendo consustanziato dell’apparire e del trasformarsi dei
contenuti mentali, avesse realmente la natura di tale [veico-
lo]. [Viceversa il vero åtman] è anche ‘la mente della mente’,
cioè [il Testimone cosciente, eterno e invariabile] dell’organo
interno, in quanto pervade la mente [illuminandola] dall’in-
terno, come [si apprende] da qualsiasi passo della Âruti.
L’åtman [individuato] che è [identifcato con] la mente è
esteriore rispeto all’åtman [reale], il quale è immobile come
lo spazio e dimora all’interno del centro [dell’autocoscienza]
avendolo pervaso mediante la sua natura propria di eterna
conoscenza; [e tale åtman individuato] è totalmente diferente
da quello [reale e supremo] come il fuoco lo è dalla pura luce.
Qesto åtman [identifcato con il veicolo individuale in gene-
rale e con quello mentale in particolare, cioè il jıva], che è co-
noscenza non-eterna, atraverso le forme assunte dalle mani-
festazioni della conoscenza caraterizzate da contenuti che
appaiono e si trasformano, viene assimilato dagli esseri ordi-
nari a [sé stessi quali individualità soggete a condizioni con-
tingenti a causa delle quali lo si considera] un [essere ora] fe-
lice, [ora] infelice [ecc.]; quindi [tale jıvåtman identifcato con
la mente e con i suoi contenuti] è altro e distinto dall’åtman
[reale] la cui natura propria è eterna conoscenza. Riguardo ad
esso, invero, può ben ammetersi a ragione una relazione [di
1.3 Primo Kha~ƒa 107

dipendenza] con la conoscenza distintiva (vijñåna) e una na-


tura di conoscenza diforme (viparıtajñåna), ma non già in ri-
ferimento alla conoscenza eterna (nityavijñåna) [che appar-
tiene per natura solo al vero åtman].67

Obiezione: Si potrebbe obietare che l’istruzione fnalizzata


al risveglio (bodhopadeŸa) nei termini: «Tu sei Qello» (Chå.
6.8.7) non può essere logicamente accetata come, allo stesso
modo, [frasi del tipo]: «.conobbe soltanto sé stesso» (Bÿ. 1.4.
10), perché la natura di Qello è eterna consapevolezza (ni-
tyabodha): infati il sole non splende grazie ad altro. Pertanto
l’istruzione fnalizzata al risveglio e basata su tale signifcato
non ha alcun senso.

Risposta: No, perché ha lo scopo di eliminare la sovrappo-


sizione del mondo [empirico, oggetuale, ecc. all’åtman]. In-
fati a causa della mancata discriminazione dell’åtman, pro-
prietà non-eterne come l’intelleto e gli altri [veicoli] sono so-
vrapposte dagli esseri ordinari all’åtman di tuto, che è eterna
conoscenza. L’istruzione concernente l’åtman che è coscienza
(bodhåtman), fnalizzata al risveglio (cioè alla sua presa di
consapevolezza), ha lo scopo di eliminare tali [sovrapposizio-
ni]. A tale riguardo, inoltre, [afermazioni concernenti] la pre-
sa di consapevolezza e la mancanza di consapevolezza [dell’å-
tman] sono entrambe appropriate, al pari del [conceto di] ca-
lore nell’acqua, [calore] che, essendo dovuto ad altro, [le] è
dato dal fuoco, o come il giorno e la note ordinari, che sono
dovuti al [movimento rotatorio della terra rispeto al] sole,
laddove il calore del fuoco e lo splendore del sole, che pure
sono eterni [in quanto connaturati a loro], vengono descriti
fguratamente come non-eterni a causa della loro presenza o
assenza nelle diverse condizioni.68
Così, come il fuoco brucerà [sempre] e il sole splenderà
[sempre], tale e quale [è il caso in questione]. Ugualmente,
108 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.3

anche la sovrapposizione di felicità e infelicità, di schiavitù e


di liberazione è [proietata da parte] dell’essere ordinario: è
rivolgendosi ad esso che i passi della Âruti sono fnalizzati u-
nicamente a eliminare la sovrapposizione [del non-åtman al-
l’åtman] atraverso una istruzione concernente la realizzazio-
ne dell’åtman [conferita] con sentenze come: «Tu sei Qello»
(Chå. 6.8.7), «.conobbe soltanto sé stesso» (Bÿ. 1.4.10) [e mol-
te altre simili].
Come il sole lassù rivela sé stesso, tal quale [è l’åtman] e
la natura di soggeto sia della consapevolezza sia della non-
consapevolezza è [sempre e soltanto] nell’åtman eterno. Per
questo [si aferma]: “è anche al di là del non-conosciuto”, lad-
dove l’espressione: “al di là” (adhi) possiede un ulteriore si-
gnifcato, ovvero: [anche considerando] tuto ciò che esiste,
Qello è al di sopra di ciò, è altro e distinto da ciò in virtù del
[proprio connaturato] potere, come lo è un sovrano nei con-
fronti dei ministri, ecc. Lo stesso Immanifesto (avyakta) è
[come tale facente parte del] non-conosciuto: [Qello] è altro
anche da ciò. Così è il signifcato. Dunque il conosciuto e il
non-conosciuto, cioè il manifesto e l’Immanifesto, sono con-
cepiti [rispetivamente] come efeto e causa: il Brahman, la
cui natura propria è conoscenza ed è totalmente esente da
qualsiasi qualifcazione, è altro e distinto da entrambi. Qesto
è il senso complessivo.69
Perciò stesso, essendo l’åtman [di ognuno, il Brahman]
non può essere né rifutato né accetato; infati un dato [ente]
può essere accetato o rifutato [solo] da un altro e distinto
[ente]: da sé stesso esso non [può porsi come] un dato [ente
distinto] per il quale possa divenire oggeto di accetazione o
rifuto. Infne l’åtman è il Brahman che, essendo l’åtman in-
terno a tuto, non è oggeto [di conoscenza per nessun altro
ente], per cui non può essere accetato o rifutato nemmeno
da un altro [ente], anche per via della non-esistenza di un
[qualsiasi] altro [ente].70
1.4 Primo Kha~ƒa 109

“Così udimmo dagli antichi [maestri]” – tale è l’istruzione


relativa alla tradizione scriturale – “i quali ce lo illustrarono”
[così] per prevenire qualsiasi dubbio che potesse sorgere al ri-
guardo; cioè essi non espressero mai congeture scaturienti
dal proprio intelleto [come opinione personale], ma enuncia-
rono il Brahman, cioè spiegarono la stessa eterna tradizione
scriturale che conduce alla realizzazione del Brahman. Così,
tessendo un elogio nei confronti della conoscenza, [il testo]
mostra la ininterrota successione [dell’insegnamento da
maestro a discepolo] relativa alla tradizione scriturale. Vice-
versa, una [qualsiasi altra] congetura è incerta ed erronea.

1.4. Qello, che non è espresso atraverso la parola, ma at-


traverso cui la parola è espressa, Qello soltanto tu devi cono-
scere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o
questo altro deva].

“Qello che (non è espresso) atraverso la parola.”: [si ha


così] la continuazione del mantra come una necessaria conse-
guenza [di quanto appena esposto]. Il signifcato scriturale
enunciato dal bråhma~a è questo: «Qello è afato altro dal
conosciuto.» (Ke. 1.3); per corroborare questo stesso [signif-
cato] si recitano i mantra seguenti che cominciano con [la
frase]: “Qello che (non è espresso) atraverso la parola.”.
“Qello”, il Brahman, “che non è espresso atraverso la pa-
rola”, che non è pronunciato, cioè non è rivelato dal suono,
“ma atraverso cui la parola è espressa.”: è l’asserzione della
natura di causa che rivela la parola. [Così il mantra signifca:]
‘.dal quale la parola è rivelata’, laddove si aferma che la
causa fondante di ciò che la parola esprime, ossia di ciò che
rivela quello che viene pronunciato [e dunque defnito] è il
Brahman.71
È stato anche deto: «Da chi è controllata questa parola,
che [gli uomini] pronunciano?» (Ke. 1.1) e: «.è certamente la
110 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 1.4

parola della parola» (Ke. 1.2): “Qello soltanto tu devi cono-


scere come il Brahman”: così la tradizione scriturale intende
confermare che il Brahman è in sé stesso privo di qualsiasi
oggetività.
[Con l’afermare]: “Qello che non è espresso atraverso
la parola” ed è la causa fondante del rivelarsi della parola, una
volta respinta l’istanza di cogliere un’altra realtà in virtù della
natura non-oggetiva del Brahman, la tradizione scriturale
intende confermare [la natura di Brahman] esatamente in re-
lazione al proprio åtman [dicendo]: “Qello soltanto tu devi
conoscere come il Brahman” – e qui, anche per prevenire che
un [qualsiasi altro] ente possa essere preso come oggeto di
adorazione, si interrompe bruscamente – “non (ciò che adora-
no come) questo [o questo altro deva]”.

1.5. Qello, che non si pensa tramite la mente, ma tramite il


quale dicono che la mente sia pensata, Qello soltanto tu devi
conoscere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo
[o questo altro deva].

1.6. Qello, che non si vede con l’occhio, ma atraverso il


quale si vedono gli occhi, Qello soltanto tu devi conoscere come
il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o questo altro
deva].

1.7. Qello, che non si ascolta con l’udito, ma atraverso il


quale questo udito viene ascoltato, Qello soltanto tu devi cono-
scere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo [o
questo altro deva].

1.8. Qello che non si respira con il prå~a, ma atraverso il


quale il prå~a è stimolato a respirare, Qello soltanto tu devi
conoscere come il Brahman, e non ciò che adorano come questo
[o questo altro deva].
1.8 Primo Kha~ƒa 111

[Il signifcato del passo:] “Qello che (non si pensa) con la


mente.” e degli altri è lo stesso. [Per quanto riguarda la fra-
se] “(.ma tramite il quale dicono che) la mente sia pensata.”
[si deve intendere]: ‘tramite il quale Brahman, in virtù della
sua natura propria di eterna coscienza, anche la mente è resa
oggeto’.
[Qello], dal quale essi, unitamente alle loro specifche
funzioni e insieme con i loro specifci oggeti, sono resi mani-
festi in virtù del suo essere Colui che rende manifesto [tuto]
atraverso la sua natura propria di eterna coscienza, non è og-
geto per [nessuno di] tuti gli organi [compresa la mente].
Tale è il signifcato dello Ÿloka. [A conferma di ciò vi sono an-
che passi come:] «.illumina il campo intero il Signore del
campo» (Bha. Gı. 13.33), così [si apprende] dalla Smÿti, men-
tre in una [Upani≤ad] dell’Atharva [Veda si legge]: «.tuto
questo risplende dello splendore di Qello» (Âve. 6.14).
[Con la frase:] “.atraverso il quale il prå~a (è stimolato a
respirare.)” [si comprende che Qello] costituisce anche il
potere di esplicare atività funzionali, cioè [anche il prå~a] ha
la [propria] causa fondante nella coscienza dell’åtman.

Fine del Primo Kha~ƒa


Secondo Kha~ƒa

2.1. [Maestro:] ‘Se pensi: ben conosco [il Brahman], allora tu


in verità conosci del Brahman solo quello che è il suo aspeto
come piccolo spazio o quello che è il suo [aspeto] tra i deva.
Dunque deve essere ancora afato meditato da te’. [Discepolo:]
‘Ritengo che [il Brahman] sia [da me ben] conosciuto’.

[Con le parole del verso che comincia con] “Se pensi: ben
conosco [il Brahman]”, viene [momentaneamente] bloccato il
processo di apprendimento del discepolo, al fne di fssare
quanto aferrato. Respinto il conosciuto e il non-conosciuto,
fato tornare su se stesso l’intelleto del discepolo [con il co-
mando]: «Qello soltanto tu devi conoscere come il Brahman.»
(Ke. 1.4-8), immergendosi nella propria grandezza tramite la
esclusione di ciò che potrebbe essere oggeto di adorazione
[distinto dal Brahman, il maestro] blocca il suo apprendimen-
to [con il monito]: “Se” tu “pensi”: io “ben conosco” il Brahman,
“allora tu in verità conosci del Brahman solo quello che è un
suo aspeto” limitato: questo senza dubbio ritiene il maestro.
Qale scopo ha, dunque, tale arresto?
Si dice: [è fato] per fssare la comprensione [del discepo-
lo] sull’oggeto aferrato in precedenza. Invero colui, il quale
pensi: io ben conosco [il Brahman in quello che è il suo aspet-
to] anche in relazione ai deva, in verità conosce del Brahman
solo il suo aspeto come ‘piccolo spazio’ (dahara).72
Perché?
Perché il Brahman [supremo] non è oggeto [di conoscen-
za] per alcuno.
114 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.1

Oppure il nesso è: [tu in verità conosci] del Brahman solo


quello che è un aspeto limitato, cioè [l’aspeto] individuale in
relazione agli esseri umani e [quello] divino in relazione ai
deva.73
[Con le parole] “Dunque. ancora.” (atha nu) si motiva la
[successiva] investigazione [sul Brahman]. Poiché è ben co-
nosciuto solo l’aspeto del Brahman quale ‘piccolo spazio’, es-
sendo stato deto: «Qello è afato altro dal conosciuto.»
(Ke. 1.2), e dato che tu pensi: “Ben conosco [il Brahman]” e,
quindi, poiché tu conosci del Brahman solo un aspeto limita-
to, perciò, “Dunque.”, il Brahman “deve essere ancora afato
meditato da te”, [quindi] deve costituire per te oggeto di in-
vestigazione ancora adesso, cioè fn quando non vi sarà [da
parte tua] la presa di consapevolezza del signifcato scritura-
le della esclusione del conosciuto e del non-conosciuto. Tale è
il senso. [Inoltre] la immediata replica del discepolo circa la
investigazione [che avrebbe dovuto ancora svolgere, nei ter-
mini]: “Ritengo che [il Brahman] sia [da me] ben conosciuto”
scaturisce dalla domanda concernente una triplice nozione. 74
È stato anche deto: “.deve essere (ancora) afato medita-
to da te”, [con cui] il discepolo viene bloccato dal maestro allo
scopo di accertare l’autentica realtà. Così, dopo che [il disce-
polo] si fosse raccolto in un luogo solitario e fosse pervenuto
a una conclusione certa per aver investigato su quanto enun-
ciato, il maestro, atenendosi alla tradizione scriturale, avreb-
be espresso il signifcato della domanda concernente la tripli-
ce nozione relativa alla esperienza direta dell’åtman come
avente un unico oggeto: così, infati, la conoscenza, unita-
mente al [suo] fruto, sarebbe divenuta del tuto ben stabilita
e non più oggeto di incertezza: il ragionamento è evidente. 75
L’ammissione di una conoscenza compiutamente stabilita e li-
bera dal dubbio, nei termini: “Ritengo che [il Brahman] sia
[da me ben] conosciuto”, [si desume] dalla frase che ne espri-
me la ragione [nel verso seguente].
2.2 Secondo Kha~ƒa 115

2.2. [Discepolo:] ‘Certamente76 non penso: ben conosco [il


Brahman]. Né [penso che] non [lo] conosco, e [neppure che lo]
conosco. Colui tra noi il quale conosce ciò, né [può afermare
che] non [lo] conosce, e [neppure che lo] conosce’.

[Il discepolo] sostiene che la [sua] conoscenza [dell’å-


tman], unitamente al fruto, è compiutamente stabilita, per
[dimostrare] l’equivalenza [della sua tesi] con le due convin-
zioni sull’åtman [espresse] da parte del maestro,77 dal mo-
mento che ha espresso la ragione nei termini: “Certamente
non penso: ben conosco [il Brahman]”.
“Certamente (aha).”: questa particella ha lo scopo di de-
terminare esatamente [quanto deto prima], cioè: ‘non penso
afato (che conosco il Brahman)’. Fin quando la conoscenza
non sia compiutamente stabilita, fno ad allora [per il discepo-
lo sussiste la errata nozione]: ‘io ben conosco’ (suveda), cioè
conosco esatamente (su≤†hu veda) il Brahman’, ossia: per me
vi era una falsa certezza.
[Ma poi], quegli per il quale da parte Vostra vi era stato il
blocco a causa della contradditorietà [della propria idea] ri-
speto all’autentica cognizione, cioè quella consistente nella
presa di consapevolezza della natura del Brahman come il
proprio åtman, la quale costituisce il fruto della investigazio-
ne quale è stata enunciata, riconobbe [la falsità della propria
convinzione], per cui [disse]: “io non penso: ben conosco [il
Brahman]”.78
E poiché [il discepolo aggiunge] “Né” penso che.. – [tale
voce sotintesa] segue [per logica dalla parte precedente del
verso] – “.non conosco” Qello stesso, a motivo della esclu-
sione del Brahman quale non-conosciuto,.
‘In che modo, allora, pensi?’ – così sarebbe stato interro-
gato – al che rispose: “.e [neppure che lo] conosco” (veda
ca). In virtù della congiunzione “e” (ca), il senso è: ‘[né penso
che lo] conosco e [neanche che] non [lo] conosco’. Poiché il
116 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.2

Brahman è altro sia dal conosciuto che dal non-conosciuto,


perciò ritengo che il Brahman sia da me conosciuto [come di-
stinto dall’uno e dall’altro]. Tale è il signifcato della sentenza.
Oppure [la parte] “e [neppure che lo] conosco” (veda ca)
[è pronunciata] in virtù della natura propria del Brahman
quale eterna conoscenza, mentre [l’intera espressione]: “Né
[penso che] non [lo] conosco, e [neppure che lo] conosco” af-
fato [sarebbe stata deta] a causa dell’assenza di qualsiasi at-
tività modifcante [nell’oggeto di conoscenza, cioè] in rela-
zione alla natura propria [del Brahman].79
Una conoscenza distintiva relativa a una qualifcazione
sussiste in funzione di altro e non già di per sé; così [il disce-
polo dovrebbe piutosto afermare]: ‘e non [lo] conosco dalla
prospetiva della realtà suprema’.
“Colui tra noi il quale conosce ciò” (yo nastadveda) – dove
l’espressione: ‘conosce ciò’ (tadveda) ha lo scopo di rimuovere
una [qualsiasi] diferente tesi in quanto segue dal signifcato
di ciò che è stato espresso nella Scritura – dunque: “colui tra
noi”, in mezzo a noi, il quale [lo] conosce come: ‘Io’ (yathå-
haµ veda), quegli soltanto conosce il Brahman, e nessun al-
tro.80 Poiché per un altro [che sostenga un diverso punto di
vista, costui] sarebbe un conoscitore del Brahman quale og-
geto di meditazione, [la frase] “e [neppure che lo] conosco”
(veda ca) rimuove la natura di conoscitore del Brahman se-
condo una diferente tesi.
In base a che cosa viene stabilito questo signifcato?
Si dice: dalla conferma di quanto enunciato. Infati [la e-
spressione] “Né [penso che] non [lo] conosco, e [neppure che
lo] conosco”, conferma quanto già enunciato.81

2.3. Per colui, per il quale è ignoto, per quegli è noto. Colui
per il quale è noto, quegli non [lo] conosce. È non-conosciuto da
parte di coloro i quali [afermano che lo] conoscono, è conosciu-
to da parte di coloro i quali [afermano che] non [lo] conoscono.
2.3 Secondo Kha~ƒa 117

[Il verso] “Per colui, per il quale è ignoto.” intende rias-


sumere il signifcato della breve esposizione in accordo con le
Scriture. Il senso della concisa enunciazione, che costituisce
la replica del maestro al discepolo, è stato stabilito grazie alla
evidenza dell’argomentazione conoscitiva; esso viene [qui nuo-
vamente] pronunciato in forma sintetica atraverso una espres-
sione conforme alla Âruti ed essenzialmente coerente con la
tradizione come ciò che riassume la [intera] argomentazione.
Per quanto riguarda ciò che è stato deto [nei termini]:
‘poiché [il Brahman] esula dalla portata della parola (defni-
zione verbale), ecc., è altro dal conosciuto’, il Brahman deve
essere [ancora] investigato e Qello stesso deve essere cono-
sciuto atraverso l’esperienza direta (meditazione) e l’eviden-
za dimostrativa.
Perché?
[Perché] “Per colui, per il quale è ignoto.”, per colui, cioè
per il discepolo impegnato nel perseguire appieno una volon-
tà di conoscenza (vividi≤å), per il quale il Brahman è ignoto
(amata), non conosciuto (avidita), cioè non è oggeto di con-
sapevolezza (avijñåta), [per lui dunque] è assente la volontà
di conoscere atraverso una presa di consapevolezza di quel
fruto che risulta dall’accertamento della reale natura dell’å-
tman. Qesto è il senso.
[A ciò il testo aggiunge:] “.per quegli è noto”, è conosciu-
to: cioè il Brahman risulta conosciuto da parte di colui per il
quale è evidente in quanto contenuto di consapevolezza quale
åtman privo di natura oggetiva. Così è il signifcato. È un au-
tentico conoscitore quegli per il quale vi è realmente una im-
mediata consapevolezza della identità dell’åtman (individua-
to, il jıva) con il Brahman (il supremo åtman), in quanto ha
stabilito che in nessuna condizione esiste veramente qualcosa
che debba essere compiuto.
[Invece] quegli che ha una conoscenza illusoria (mithyå-
jñåna) si pone in modo opposto.
118 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.3

Come?
“Colui per il quale è noto”, è conosciuto, [per il quale] vi è
la consapevolezza: ‘io ho realizzato il Brahman’, quegli è uno
la cui conoscenza è erronea (viparıtavijñåna), un falso cono-
scitore: poiché il Brahman è altro dal conosciuto, “quegli non
[lo] conosce”, non ne ha consapevolezza. E con questo è pro-
vata anche la erroneità di una conoscenza che sia diforme
dalla tradizione vedica.
Essendo stata disapprovata in quanto non ha come ogget-
to il Brahman, così anche per quanto convenuto da parte di
Kapila, Ka~abhug e altri,82 si ha la natura fallace anche per la
mancata cessazione della volontà di conoscere, in quanto è
generata da un ragionamento non stabilito, dal momento che
concerne un Brahman [immaginato come avente natura di og-
geto] conosciuto. [Ciò si apprende] anche dalla Smÿti: «Qel-
le Smÿti che sono estranee ai Veda e tute quelle [altre] non
ortodosse, invero tute quelle Smÿti vengono dichiarate essere
prive di fruto e fondate nell’oscurità», dato che non distrug-
gono né la conoscenza opposta né quella diforme o erronea.
Data la mancanza di signifcato della ripetizione [in gene-
re], la pronunzia dell’argomento precedente [nei termini]: “È
non-conosciuto da parte di coloro i quali [afermano che lo]
conoscono, è conosciuto da parte di coloro i quali [afermano
che] non [lo] conoscono” sarebbe una espressione priva di si-
gnifcato [se valutata] solo in relazione alla ripetizione; que-
sto si aferma in virtù del fato che l’argomento costituito da
conoscenza e non-conoscenza, quali sono state precedente-
mente enunciate [con le parole]: “Per colui, per il quale è i-
gnoto.”, mantiene un [preciso] signifcato.
Poiché il Brahman “È non-conosciuto”, non è realizzato
come [il proprio] åtman “da parte di coloro i quali [afermano
che lo] conoscono” in quanto non è oggeto [di conoscenza
nel senso ordinario e duale del termine], perciò quello stesso
Brahman, il quale costituisce la loro [stessa] conoscenza (co-
2.4 Secondo Kha~ƒa 119

scienza), “è conosciuto”, è realizzato, è afato evidente in


quanto sostrato dell’intelleto, ecc. “da parte di coloro i quali
[afermano che] non [lo] conoscono”, [quello stesso Brahman
che] è totalmente diferente dal conosciuto e dal non-cono-
sciuto, che costituisce l’åtman, la cui natura propria è eterna
consapevolezza, che è stabilito in Sé stesso, è esente da qual-
siasi atività modifcante, immortale, non soggeto a invec-
chiamento, libero dalla paura in quanto non vi è un altro
[ente distinto da Lui] e non possiede natura di oggeto: così è
per coloro che [afermano che] non [lo] conoscono.
Il Brahman è in eterno perfetamente realizzato proprio in
quanto è l’åtman per il quale l’intelleto e gli altri [veicoli con
i loro contenuti] costituiscono un semplice oggeto. Perciò,
poiché, a causa della sovrapposizione di proprietà quali l’es-
sere conosciuto o l’essere non-conosciuto, l’essere manifesto
e l’essere non-manifesto, cioè a motivo di una identifcazione
[fallace] con ciò che è causa ed efeto, 83 è [invece] erronea-
mente [considerato] oggeto, per cui risulta [di natura] mol-
teplicemente diferente (savikalpa), per costoro si ha una co-
noscenza fallace analogamente alla cognizione dovuta alla so-
vrapposizione [della idea] dell’argento o di altre cose sulla
madreperla o su altri [oggeti].

2.4. [Qando è] realizzato in ogni stato di coscienza, [allora


il Brahman] è conosciuto; infati [tramite ciò] si consegue l’im-
mortalità. Con [il realizzare] l’åtman si consegue il vigore spiri-
tuale, tramite la conoscenza si consegue l’immortalità.

“[Qando è] realizzato in ogni stato di coscienza (pratibo-


dhavidita), [allora il Brahman] è conosciuto”: [con tale frase si
intende] la totale saturazione dei contenuti mentali da parte
della consapevolezza dell’åtman; la totale saturazione (vıpså)
in ogni stato di coscienza (bodhaµ prati) signifca la pervasio-
ne di tuti i contenuti mentali (sarvapratyaya). Infati tuti i
120 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.4

contenuti relativi all’intelleto (mente), con l’essere pervasi


dall’åtman, la cui natura propria è eterna consapevolezza, ap-
paiono come aventi natura propria di consapevolezza analo-
gamente a un metallo arroventato e l’åtman, il cui splendore è
altro da loro, viene percepito come il fuoco che [sebbene ab-
bia reso incandescente il metallo] è totalmente diferente da
quello; grazie a ciò essi diventano i mezzi (dvårin) in relazione
alla percezione dell’åtman.84
Perciò quel Brahman che è conosciuto come intimo åtman
grazie al manifestarsi in ogni stato di coscienza, quello stesso
“è conosciuto”, e quello stesso è l’autentica conoscenza (sa-
myagjñåna), qual è la Coscienza [propria] dell’intimo åtman,
e non una conoscenza concernente un oggeto. Anche nella
Ka†ha [Upani≤ad si legge]: «.vide l’intimo åtman» (Ka. 2.1.1)
con l’essere l’åtman [stesso, cioè: come sé stesso]: “infati [tra-
mite ciò] si consegue l’immortalità”; tale è la enunciazione
dell’argomento, in opposizione alla [apparente e sovrapposta
natura di] soggezione alla morte. Infati la [soggezione alla]
morte si verifca [in concomitanza] con la cognizione dell’å-
tman come oggeto (corpo, ecc.), per cui è ragionevole che la
causa dell’immortalità sia la realizzazione consapevole dell’å-
tman. Così [la frase]: “infati [tramite ciò] si consegue l’im-
mortalità” costituisce l’asserzione della ragione [per la quale
si deve realizzare l’åtman].

Obiezione: L’immortalità è dunque prodota dalla cono-


scenza dell’åtman?

Risposta: No.

Obiezione: In che modo, allora [si consegue]?

Risposta: [La] si consegue atraverso l’åtman, cioè: l’im-


mortalità si consegue grazie alla [presa di coscienza della]
2.4 Secondo Kha~ƒa 121

propria stessa intrinseca natura di eterno åtman, [mentre es-


sa] non è originata da un [diverso] fatore. [La voce verbale]
‘si consegue’ (vindate) si riferisce diretamente alla conoscen-
za-consapevolezza dell’åtman.85 Infati, qualora l’immortalità
venisse prodota dalla conoscenza [come il fruto di una azio-
ne], in tal caso sarebbe non eterna al pari del risultato del-
l’azione. Qindi non è prodota dalla conoscenza.

Obiezione: E se l’immortalità si consegue solo atraverso


l’åtman, perché, dunque, si [dice che essa si] realizza per mez-
zo della conoscenza?

Risposta: Si dice: essa (la conoscenza) è ciò che elimina la


cognizione del non-åtman; così si considera [indiretamente]
che grazie alla sua naturale capacità di estinguere [la falsa co-
noscenza] è la causa [dello svelarsi] della connaturata immor-
talità. Poiché [la frase successiva può essere leta anche se-
condo un diferente ordine delle parole, cioè] “.il vigore spi-
rituale si consegue con la conoscenza” (vıryaµ vidyayå vi-
ndate), [in questa letura] il ‘vigore spirituale’, ossia la capa-
cità (såmarthya), la forza caraterizzata dal non venire so-
prafata dal destino di cessazione e dalla oscurità della måyå
sovrapposti come non-åtman, si consegue mediante la cono-
scenza.

Obiezione: E perché tale [vigore spirituale] viene menzio-


nato specifcatamente?

Risposta: Ciò che è immortale è non soggeto a distruzio-


ne, mentre il vigore che nasce dalla non-conoscenza è desti-
nato a distruzione, perché l’ignoranza (avidyå) viene soppres-
sa dalla conoscenza (vidyå) mentre per la conoscenza non esi-
ste nulla che possa eliminarla: per questo il vigore spirituale
che nasce dalla conoscenza è immortale. Per tale ragione la
122 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.4

conoscenza si pone come causa efetiva in relazione alla im-


mortalità. Anche in una [Upani≤ad] appartenente all’Atharva
[Veda si legge]: «Qesto åtman non è realizzato da chi possie-
de scarso vigore.» (Mu. 3.2.4) e pure nella comune esperien-
za [si osserva che] la sola forza nata dalla conoscenza è supe-
riore, non è come la forza corporea, ecc. di un elefante o di al-
tri [possenti animali].
Oppure [l’espressione] “[Qando è] realizzato in ogni sta-
to di coscienza, [allora il Brahman] è conosciuto” (pratibodha-
viditaµ matam) [può essere interpretata così]: ‘quello stesso
[Brahman], che è realizzato come al totale risveglio dal sogno
(svapnapratibodhavat),86 grazie alla purifcazione che elimina
interamente qualsiasi contenuto di opposta natura, si rivela
conosciuto afato immediatamente in quanto Conoscenza.
Oppure il [termine] ‘risveglio totale’ (pratibodha) si riferi-
sce alla istruzione del maestro, mediante la quale viene cono-
sciuto, cioè realizzato: così si ha l’impiego del [medesimo]
termine: ‘risveglio totale’ (pratibodha) in entrambi i signifca-
ti,87 vale a dire: ‘viene risvegliato totalmente dal sonno [della
non-conoscenza] in quanto reso perfetamente consapevole
dal maestro’, e ciò, in efeti, è in accordo con il vero signifca-
to di quanto espresso in precedenza.

2.5. Se qui [un essere umano lo] ha realizzato, allora vi è la


verità; se qui non [lo] ha realizzato, vi è grande rovina. Avendo
riconosciuto [il Brahman] in ogni essere, i saggi risoluti, andan-
dosene da questo mondo, divengono immortali.

“Se qui [un essere umano lo] ha realizzato.”: tale è l’as-


serzione secondo cui [l’åtman] deve essere necessariamente
realizzato, perché, in caso contrario, la Âruti preannuncia una
grande distruzione; e l’åtman deve essere necessariamente
realizzato “.qui” (iha) ‘nel corso della esistenza in forma u-
mana’: questo prescrive [la Âruti].
2.5 Secondo Kha~ƒa 123

Obiezione: Che cosa [avviene] “Se qui [un essere umano


lo] ha realizzato”, [lo] ha conosciuto?

Risposta: “.allora vi è la verità”, cioè la suprema realtà è


conseguita, vale a dire che per lui [questa] nascita possiede
un fruto; [questo si ha] perché [in caso contrario, cioè] “se
qui non [lo] ha realizzato”, non [lo] ha conosciuto, la [sua]
nascita è del tuto inutile e, inoltre, “vi è grande rovina”, si
avrà [per lui] una grande distruzione consistente nella inin-
terrota connessione con nascita e morte; perciò l’åtman deve
essere imprescindibilmente conosciuto [proprio] per inter-
rompere tale [soggezione al divenire ciclico].

Obiezione: Ma atraverso quale conoscenza si avrà [tale in-


terruzione]?

Risposta: Si dice: “Avendo riconosciuto [il Brahman] in


ogni essere”, cioè [realizzando il Brahman] in tuti [gli esseri]
mobili e immobili (senzienti e insenzienti), recuperandolo una
volta per tute, vale a dire realizzando consapevolmente, con
l’essere l’åtman stesso, l’essenza unica dell’åtman in quanto
priva di contato con [tute quelle che sono] le proprietà del
divenire ciclico. Così è il senso.
Dato che le radici verbali posseggono un signifcato mol-
teplice [potrebbe sorgere il dubbio che la voce verbale: ‘aven-
do riconosciuto’ (vicitya) esprima implicitamente una perce-
zione ripetuta o varia, quale sarebbe data dal prefsso vi-
(vi+cit: percepire nuovamente, variamente o ripetutamente,
ecc.), ma] per via della contraddizione [che ciò implica, tale
voce verbale] non può essere interpretata nel senso di: ‘perce-
pendolo reiteratamente’ (punaŸcitvå).88
“.i saggi risoluti” (dhıra), coloro che sono dotati di intelli-
genza e che discriminano, i cui desideri verso l’oggetività
esteriore sono stati del tuto estinti, allorché muoiono, “an-
124 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 2.5

dandosene da questo mondo” consistente in ciò che non è l’å-


tman, come la corporeità fsica, ecc., essendo prosciolti dalla
[nozione di] possessività e dal senso dell’io, “divengono im-
mortali”, [divengono pienamente consapevoli di essere] dota-
ti di una natura non soggeta alla mortalità, cioè [realizzano
appieno] che per propria natura sono realmente l’immortalità
della eterna coscienza.

Fine del Secondo Kha~ƒa


Terzo Kha~ƒa

3.1. Il Brahman, in quel tempo, otenne il trionfo per i deva.


Nel trionfo, che chiaramente apparteneva a quel Brahman, i
deva esultarono. Essi considerarono: ‘È nostro soltanto, invero,
questo trionfo. È nostra soltanto, invero, questa gloria’.

“Il Brahman, certamente, (otenne il trionfo) per i deva.”:


la dichiarazione della difcoltà di realizzare il Brahman inten-
de manifestare uno sforzo soverchio. La [esposizione della]
conoscenza del Brahman (brahmavidyå) è conclusa; [essa] è il
fne umano [per eccellenza] che deve essere conseguito [so-
pra ogni cosa]. Qindi, dopo di ciò, atraverso un’asserzione
di conferma [di quanto deto], si enuncia la difcoltà di realiz-
zare il Brahman.
Così, in relazione alla conoscenza di Qello, si defnisce in
che modo, ancora, si compirà uno sforzo superiore; oppure la
tradizione scriturale si riferisce alla calma e alle altre [virtù
mentali], a causa del [loro] potere di distruggere la [falsa]
identifcazione [con ciò che non è l’åtman].89 Infati la calma e
le altre [virtù mentali] vengono ingiunte come mezzo per la
[realizzazione della] conoscenza del Brahman: a tal uopo si ha
questa asserzione di conferma da parte della tradizione scrit-
turale.
In efeti, colui che è privo di mezzi quali la calma e le al-
tre [virtù mentali] ed è congiunto con una [ftizia] associa-
zione con atrazione, repulsione, ecc., non ha [alcuna] possi-
bilità di realizzare il Brahman, dato che il Brahman può essere
compreso [solo] quando sono stati annullati i falsi contenuti
126 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

esteriorizzanti. E poiché [come si vedrà, il Brahman] distrug-


ge la [presunta] identifcazione di Agni e degli altri [deva] con
la vitoria, pertanto [il testo] mostra che la conoscenza del
Brahman può realizzarsi [solo] quando è stata risolta la [fal-
sa] identifcazione. Per tale motivo questa asserzione di con-
ferma ha lo scopo di ingiungere la calma e le altre [virtù men-
tali] come mezzi [realizzativi indireti]: così viene stabilito.
Oppure intende [prescrivere] la meditazione sul [Bra-
hman] sagu~a (il Brahman con atributi, l’Essere qualifcato
universale), essendo stato escluso esplicitamente [il Brahman
supremo].90
In alternativa a ciò, il signifcato potrebbe anche essere
questo. [Laddove si aferma]: «(Qello soltanto tu devi cono-
scere come il Brahman, e) non ciò che adorano come questo
[o questo altro deva]» (Ke. 1.4-8), si esclude che il Brahman
[supremo e privo di atributi] possa costituire oggeto di me-
ditazione. Posto che [il Brahman] non può costituire [direta-
mente] oggeto di meditazione, a causa della [suddeta] esclu-
sione, viene prescrita la meditazione formale (upåsana) di
quello stesso Brahman, ma soto l’aspeto caraterizzato dal
possesso di atributi (sagu~a), relativamente alla sfera divina
(adhidaiva) e alla sfera individuale (adhyåtma). Infati [l’Upa-
ni≤ad] afermerà: «Così è per quanto riguarda la sfera divina»
(Ke. 4.4) e «.come tadvanam deve essere meditato» (Ke. 4.6).
[Invece, laddove viene espresso] il ‘supremo’ (para), per
evidenza logica si comprende tratarsi del supremo Brahman.
Infati, a prescindere dal supremo Signore (il Brahman), che è
eterno e onnisciente, avendo [Egli] soprafato Agni e gli altri,
non esiste potere [come quello] di incenerire la pagliuzza,
ecc.; [viceversa] dalla prova che [Agni] non poté incenerirla,
è stabilito che il termine: ‘Signore’ (ÙŸvara) si riferisce al Bra-
hman [supremo]. Diversamente, infati, Agni non avrebbe po-
tuto bruciare la pagliuzza, né Våyu portare via [tuto l’uni-
verso].
3.1 Terzo Kha~ƒa 127

Così si ammete secondo ragione anche che la pagliuzza


avrebbe potuto essere arsa [solo] per volontà del Signore. La
dimostrazione di ciò [si ha] dall’atività di regolazione [opera-
ta da parte del Brahman nel suo aspeto sagu~a, cioè ÙŸvara]
nei confronti dell’universo.
Sebbene sia stato stabilito dalle argomentazioni di Âruti e
Smÿti che nel Signore (Brahman),91 il quale è l’åtman della to-
talità, dimora l’eterna onniscienza, [ciò] viene enunciato [an-
cora] per accertare con precisione il signifcato delle Scriture.

Obiezione: Da che cosa risulta stabilito che il Signore ha


natura di [puro] Essere (sadbhåva)?
Qesto universo consistente di deva, gandharva, yak≤a,
rak≤as, pitÿ, piŸåca e altri [esseri], che è il [risultato del] multi-
forme, prodigioso potere [esercitato da ÙŸvara] nel mantenere
insieme il cielo, lo spazio e la terra, il sole e la luna, [univer-
so] che è connesso con i mezzi e le condizioni appropriate per
l’esperienza di molteplici esseri viventi, che è difcile da con-
cepire persino per ingegni straordinariamente capaci [e dove]
lo svolgersi ordinato delle atività è regolato in quanto soto-
posto a spazio, tempo e causa, deve [necessariamente] deriva-
re da un intenso sforzo [prodoto da parte] di un essere co-
sciente per la ripartizione delle atività del fruitore. [Ciò deve
essere ammesso] perché [l’universo nella sua totalità compo-
sita], consistendo in quanto enunciato, possiede natura di
prodoto. Come nel caso della posizione, ecc. assunta nel dor-
mire su un comodo giaciglio dentro casa o su un carro vi è un
divario, così è nel caso dell’åtman, ecc. Perciò si può supporre
che [tale potere di manifestare] deve appartenere proprio al-
l’azione.92

Risposta: No, perché ciò che dipende da un altro [ente]


rappresenta solo un mezzo.93 Qanto a questa varietà nella
esperienza degli esseri viventi, unitamente alla varietà dei ri-
128 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

spetivi mezzi, essa è la [conseguenza della] alternanza di ati-


vità e astensione dall’atività regolate dal conformarsi a spa-
zio, tempo e causa ma non inerisce diretamente a un sogget-
to agente qual è l’eterno Conoscitore di tuto.
A che cosa [inerisce], allora?
Inerisce solo all’azione, perché tale [universo] trae origine
da Qello che non è oggeto di rappresentazione concetuale
e perché da tuti [Qello] è compreso essere la causa [indiret-
ta] del risultato.94

Obiezione: Nel caso in cui l’azione è la causa del fruto, per


quale motivo [l’universo dovrebbe essere creato] da un supe-
riore ato del Signore? Inoltre si può supporre che la natura di
causa del fruto non appartiene all’eterno Signore per via del
[suo] potere di eterno onnisciente.

Risposta: No, in quanto si ammete una varietà, ecc. di


esperienza solo per l’azione.
Perché?
Perché l’azione dipende da un agente. In efeti l’azione è
compiuta con un preciso sforzo da un ente consapevole. Poi-
ché [l’azione] cessa alla cessazione di tale preciso sforzo, non
è ragionevole che per l’agente il fruto verrà a prodursi in di-
pendenza di una specifca causa determinantesi in un altro
spazio o in un altro tempo: a prescindere da sé stesso, il frui-
tore non deve dipendere da altro.95

Obiezione: Si può supporre che lo stesso agente divenga il


fruitore al tempo del fruto [per cui agirebbe pensando]: ‘Tu
(ato) sei da me compiuto e ti eseguirò per il fruto, laddove il
fruto sarà conforme a quella che è la [tua] natura’. 96

Risposta: No, perché non vi è la conoscenza specifca [della


condizione] di spazio, tempo e causa [in relazione alla produ-
3.1 Terzo Kha~ƒa 129

zione del fruto]. Infati, se l’agente fosse a conoscenza dello


specifco spazio [nel quale si produrrà il fruto], fsserebbe l’a-
gire mediante la propria autonomia, per cui non sarebbe [mai]
sperimentatore di un fruto indesiderato. Né colui che è inti-
mamente unito all’åtman, dunque senza una causa e in assen-
za di una volizione [individuale] in merito a ciò, trasforma
l’azione come [si fa con] una pelle; né ciò che è prodoto del-
l’åtman, intimamente connesso con ciò che non è soggeto
agente, diviene [agente immobile] come una calamita che e-
strae frammenti di ferro magnetizzato [dalla terra], perché
l’azione è intimamente legata al soggeto materiale.

Obiezione: Si può supporre che [il fruto dell’azione] abbia


sede negli elementi (bh¥ta).

Risposta: No, perché [anche l’insieme dei costituenti di


Prakÿti] è un mezzo. Gli elementi, che costituiscono un mezzo
per l’atività del soggeto agente, le cui atività specifche
sono percepite al tempo dell’azione e alla [sua] conclusione,
vengono completamente deposti dal soggeto agente al pari di
un aratro [da parte del contadino], per cui non possono [da
soli] produrre un fruto in un successivo tempo. Infati l’ara-
tro non porta i chicchi di riso dal campo nella casa; inoltre, a
causa dell’assenza di consapevolezza nell’ente [strumentale] e
nell’azione, non è ragionevole ammetere che la [sua] funzio-
ne si svolga autonomamente.

Obiezione: Potrebbe essere come nel caso del vento.

Risposta: No, perché [ciò] non è provato. Infati, per il


vento, che non possiede consapevolezza, non è dimostrata
[nessuna] atività in maniera autonoma, come non la si con-
stata in enti come carri, ecc.
130 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

Obiezione: Si può supporre che provenga proprio dall’a-


zione, in virtù [di quanto è asserito da parte] della Scritura.
In efeti la Scritura asserisce che il fruto viene otenuto dal-
l’atività: «Colui che aspira al paradiso sacrifchi, ma non per
il Signore.», ecc.; né è ragionevole una mancanza di signif-
cato, dato che [la testimonianza scriturale] è accetata come
mezzo autorevole di conoscenza (pramå~a), né, infne, in rife-
rimento alla esistenza [assoluta] del Signore vi è una ulteriore
evidenza conoscitiva.

Risposta: Se [si obieta] in questo modo, [la risposta è] no,


perché non è ammissibile la refutazione di un argomento lo-
gico efetivamente constatato. Infati l’atività è molteplice-
mente suddivisa in quella dal fruto visibile e in quella dal
fruto invisibile. A sua volta quella dal fruto visibile è varia-
mente suddivisa in quella il cui fruto è immediato e quella il
cui fruto è diferito nel tempo. Qella dal fruto immediato
comporta un profto consistente nel favorire il corso [della
atuale esistenza], mentre quella il cui fruto si ha in un suc-
cessivo tempo consiste per esempio in cose come la coltiva-
zione della terra, ecc. Tra loro quella dal fruto immediato si
esaurisce proprio nel [momento in cui si produce il] fruto (in
concomitanza con l’ato), mentre quella dal fruto [producen-
tesi] in un tempo successivo si esaurisce quando si concretiz-
za il suo efeto [e lo si sperimenta].
Invero, poiché il fruto di [atività come il] coltivare la ter-
ra, ecc. dipende dalla propria applicazione, ecc. né l’azione è
autonoma a prescindere da entrambi i fatori causali (soggeto
e mezzo), pertanto il fruto è certamente visibile 97 e così, dato
che il fruto dell’azione viene concretamente otenuto, non si
può accetare la refutazione di un argomento efetivamente
constatato.
Perciò, quando un rito sacrifcale, ecc. è giunto a termine,
è ragionevole ammetere che colui che conferisce il fruto
3.1 Terzo Kha~ƒa 131

adeguato ai sacrifci, ecc. [compiuti] analogamente al [fruto


vario che discende dal] coltivare [la terra], ecc. è l’eterno Si-
gnore, al quale [soltanto] appartiene la competenza in merito
alla distribuzione del fruto dell’azione all’agente. Ed Esso,
che costituisce l’åtman della totalità, è il testimone di quei
contenuti che sono i fruti di tute le atività, è per propria na-
tura eterna consapevolezza ed è privo di contato con qualsia-
si proprietà inerente al divenire ciclico.98
Anche dalla Âruti [si apprende]: «.non è afeto dal dolo-
re del mondo, perché è trascendente» (Ka. 2.2.11), «.oltre-
passa la vecchiaia e la morte», «.non è soggeto a invecchia-
mento, è al di là della morte.» (Chå. 8.7.1), «.possiede veri
desideri e vere deliberazioni» (Chå. 8.7.3), «.questo [åtman]
– il Signore della totalità – fa compiere la reta azione.»
(Kau. 3.8), «.l’altro, senza gustarne [alcuno], osserva distac-
cato» (Âve. 4.6), «Invero, (soto il dominio) di Colui il quale è
l’Ak≤ara.» (Bÿ. 3.8.9). Qesti e altri passi della Âruti concor-
dano nel provare che l’åtman unico, al di là del divenire cicli-
co, è eternamente libero.
[Con lo stesso signifcato] si trovano anche migliaia di al-
tri passi della Smÿti. Essi non possono considerarsi asserzioni
di conferma, non essendo correlati ad [alcun] altro passo, per
cui sono [da intendersi unicamente come] fatori in grado di
far sorgere la conoscenza. D’altra parte, una conoscenza che
sia sorta non può venire annullata, anche perché non vi è
[possibilità di] confutazione (prati≤edha). Inoltre, non può a-
versi nemmeno una negazione come [quella nei termini]: ‘il
Signore non esiste’.

Obiezione: Si potrebbe supporre [l’inesistenza del Signore,


ecc.] in base alla impossibilità di conseguirlo.

Risposta: No, perché [ciò] è stato già discusso.


132 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

Obiezione: Si potrebbe supporre che, come nel caso [della


ingiunzione]: ‘non si deve nuocere [ad altri esseri]’, la confu-
tazione non viene pronunciata esplicitamente proprio perché
non Lo si può conseguire oggetivamente.

Risposta: No, perché l’argomentazione relativa alla natura


di realtà del Signore è già stata espressa. Oppure [si dice]:
‘perché non vi è [possibilità di] confutazione’ [nel senso che]
non vi è confutazione riguardo al conferimento del fruto del-
l’azione da parte del Signore in tempi [successivi], ecc., né è
constatato il conferimento di un fruto pertinente solo al-
l’agente e indipendente da un’altra causa; d’altra parte un sa-
crifcio, per quanto completamente esaurito, non diviene [es-
so stesso] il conferitore del fruto in un successivo tempo.
Viceversa, quando la conoscenza relativa al Signore onni-
sciente è stata purifcata con riti sacrifcali, ecc. da colui che
ofre (sevaka), al pari della conoscenza di ciò che viene oferto
(sevyabuddhi), anche se l’ato rituale è completamente esauri-
to, per l’agente è ragionevole [pensare] che il fruto proviene
dal Signore come [se provenisse] da ciò che viene oferto. Del
resto, i signifcati delle parole non perdono la loro rispetiva,
intrinseca valenza in un diferente spazio o in un diferente
tempo nemmeno per via di centinaia di asserzioni scriturali
[contrarie]; neanche il fuoco, infati, diviene privo di calore in
diferenti spazi e tempi. Così anche per l’azione [ordinaria co-
me quella di coltivare il terreno] si constata, in un successivo
tempo, un fruto che è ancora di due specie: il fruto che com-
pete a un agente privo di cognizione circa la preparazione e il
mantenimento di un campo da semina e il fruto che compete
a colui che ha cognizione dell’aratura, ecc. e che proviene dal
possesso della conoscenza di ciò che deve essere posto in ato
come efetiva pratica, ecc.99
Allo stesso modo, qualora non si ammeta che a un agente
caraterizzato da ignoranza [circa l’azione che svolge] compe-
3.1 Terzo Kha~ƒa 133

te un fruto, tratandosi di un fruto [che si produce] in un


successivo tempo, per un’azione come il sacrifcio, ecc. il frut-
to deve provenire dalla purifcazione della conoscenza relati-
va a Colui (ÙŸvara) che possiede la sapienza circa la distribu-
zione del fruto dell’azione maturato quanto a spazio, tempo e
causa, cioè di Colui che [solo] ha cognizione del fruto speci-
fco di atività sacrali come l’adorare, ecc., come avviene per il
fruto [di un ato preceduto] dalla purifcazione della cono-
scenza relativa a quello che viene fato oggeto di adorazione
[proprio per otenerne gli specifci vantaggi].
Con ciò è stabilito che il Signore onnisciente, testimone
della varia assegnazione del fruto dell’atività e della cono-
scenza per tuti gli esseri umani, è l’åtman interno a tuti gli
esseri.100
Così [si apprende] dalla Âruti, e Qello stesso è qui (nei se-
guenti passi) [mostrato come] l’åtman degli esseri umani [e di
ogni altro essere]: «Non vi è altro veggente distinto da Lui,
(non vi è altro) ascoltatore. pensatore. conoscitore.» (Bÿ.
3.7.23), «.non vi è un altro conoscitore distinto da Lui» (Bÿ.
3.8.11); da questi e altri passi della Âruti si ha la confutazione
[della esistenza] di un altro åtman, anche per via della istru-
zione concernente la natura di åtman [dei jıva espressa nel
celebre mahåvåkya]: «Tu sei Qello» (Chå. 6.8.7). Infati non
si insegna che una zolla di terra abbia in qualche modo natura
di åtman [cioè sia dotata di consapevolezza].101
Obiezione: La distinzione in merito all’åtman potrebbe de-
rivare dalla distinzione relativamente a conoscenza, potere e
azione (jñånaŸaktikarma), ciò che deve essere onorato e colui
che onora, ciò che è puro e ciò che è impuro, ciò che è libero e
ciò che non è libero.

Risposta: No, per via della rimozione della percezione di


distinzione [operata dalle Scriture, ecc.].
134 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

Obiezione: Ciò che è stato espresso nei termini: ‘gli esseri


trasmigranti (saµsårin) non sono distinti dal Signore’, non è
[ammissibile].

Risposta: Qal è, allora, la distinzione degli åtman trasmi-


granti? Da che cosa deriva?

Obiezione: Dalla distinzione caraterizzante (lak≤a~abhe-


da), come per un cavallo nei confronti di un bufalo.

Risposta: In che senso [si parla di] una distinzione carate-


rizzante?

Obiezione: Si dice: la conoscenza eterna del Signore, che


ha per oggeto la totalità, è come lo splendore del sole [che il-
lumina tuto con la sola presenza]; opposta a quella è [la co-
noscenza] degli esseri trasmigranti, come [lo sono gli specchi
d’acqua, ecc.] per il sole.
Analogamente è anche per quanto riguarda la distinzione
circa il potere. Eterno e concernente la totalità è il potere del
Signore, [il potere] dell’altro (il jıva) è opposto. [Uguale] è an-
che l’ato del Signore, che si fonda sulla mera esistenza (satå-
måtra) la cui propria natura è la coscienza, come l’ato di bru-
ciare [si fonda] sulla mera esistenza della sostanza la cui pro-
pria natura è il calore, come [avviene per] la gloria di un so-
vrano e l’azione di una calamita, [dei quali] la natura propria
è di per sé priva di azione [direta]. Per l’altro (il jıva) è l’oppo-
sto. Dalla dichiarazione: «.si mediti.» (Bÿ. 4.1.4-8), [si com-
prende] che l’istrutore deve essere oggeto di sacro rispeto
come un sovrano, mentre l’altro, colui che porta venerazione,
il discepolo, è come un ministro. Dall’ascolto di [dichiarazioni
come]: ‘è afrancato dall’errore’ (Bÿ. 4.3.21, ecc.) e altre, [si
comprende che] il Signore è eternamente puro, mentre da di-
chiarazioni come: «(Si diviene, in verità) virtuosi atraverso il
3.1 Terzo Kha~ƒa 135

giusto agire.» (Bÿ. 3.2.13) che l’altro (il jıva) è del tuto oppo-
sto. Perciò stesso [si conclude che] soltanto il Signore è afat-
to eternamente libero, in virtù della unione con la eterna pu-
rezza, mentre l’altro è un essere trasmigrante. E inoltre, lad-
dove vi è una diferenza che caraterizza la conoscenza e le al-
tre [proprietà], là la distinzione è efetivamente constatata.
Come per un cavallo e un bufalo, così si può supporre che vi è
una distinzione degli åtman [individuati] dal Signore in virtù
della distinzione che caraterizza la conoscenza, ecc.

Risposta: No.

Obiezione: Perché?

Risposta: Perché la percezione di distinzione viene respin-


ta [in passi come i seguenti e altri simili]: «(Dunque, colui
che. pensi) ‘altro è Qello e altro sono io’, costui non cono-
sce davvero» (Bÿ. 1.4.10), «.appartengono a mondi destinati
a distruggersi.» (Chå. 7.25.2), «Va di morte in morte (colui
che qui vede solo molteplicità)» (Bÿ. 4.4.19).102 E vi sono mi-
gliaia di [altri] passi della Âruti che dimostrano l’unità [del jı-
va e dell’åtman].
Riguardo a quanto è stato deto, e cioè che [la distinzione
degli åtman trasmigranti rispeto a ÙŸvara-Brahman] deriva
‘dalla distinzione caraterizzante’ in merito alla conoscenza,
ecc., a ciò si replica: no, perché non può essere ammesso.
Gli åtman [individuati] non esistono in quanto separati e
totalmente diferenti dalla conoscenza, ecc., cioè caraterizzati
da una distinzione dal Signore. Al contrario, si ammete che
ÙŸvara (Brahman) è Uno soltanto [senza secondo] ed è l’å-
tman di tuti gli esseri eternamente libero e si ammete altresì
che la percezione esteriore [rispeto all’åtman]103 – [percezio-
ne-esperienza] consistente in una ininterrota concatenazione
di contenuti opposti [all’åtman], come il fatore egoico, il sen-
136 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

so di possessività, ecc. [formanti] una serie continua di aggre-


gati [costituiti] dall’intelleto, ecc. [e quindi consistente in
una molteplicità] – è contenuta in embrione in ÙŸvara (il Bra-
hman): Qello, la cui essenza è la [pura e non-duale] Cono-
scenza, che è eterno, puro, autoconsapevole e libero e si svela
quale eterna Consapevolezza, tutavia [a causa della ignoran-
za] viene immaginato come avente natura di pensiero e con-
sistente nell’anima individuale, nel seme e in colui che porta
il seme, cioè come [identifcato con] una conoscenza non-eter-
na del tuto opposta a quella che defnisce il Signore;104 l’espe-
rienza del divenire ciclico (saµsåra) si ha fn quando tale
[concatenazione] non si interrompe, mentre quando si veri-
fca la [sua] interruzione, si realizza la liberazione (mok≤a).
Né, ancora, si può ammetere una diversa [tesi], cioè che
la particolare moltitudine di esseri [che forma il mondo dive-
niente] consistente di deva, antenati, uomini, ecc., costituisce
una parte distinta, caraterizzata, appunto, dall’essere separa-
ta dal Signore, in quanto [alla realizzazione, ovvero alla solu-
zione del processo proietivo-velante di måyå] si ha il venir
meno della [sua] percezione, al pari dell’aderire della terra [a
un oggeto quando questo viene deterso].105
Invece, per quanto riguarda una [presunta] relazione di
dipendenza [dei jıva dal Brahman, ovvero la loro collocazione
in Esso], la [sua eventuale] causa non può venire stabilita at-
traverso il signifcato di una esclusione dell’åtman immagi-
nato come l’intelleto, ecc., cioè [come derivante] dalla distin-
zione caraterizzante, per via della non-esistenza di un åtman
che sia altro (distinto) da ÙŸvara (Brahman).
Se [si obieta che] non è logico che lo stesso ÙŸvara sia ca-
raterizzato da ciò che è di natura opposta, da cui [si avrebbe]
il contato con felicità, soferenza, ecc., [si risponde]: no, per-
ché, essendo [ÙŸvara] la causa fondante, ciò sarebbe dovuto
alla sovrapposizione di una errata percezione, come per il
sole.
3.1 Terzo Kha~ƒa 137

Infati come il sole, avendo natura di eterno splendore, in


riferimento al costituire la causa del rivelarsi e del non-rive-
larsi del mondo, relativamente a un’alterna percezione ordi-
naria, diviene il fatore di separazione [delle due condizioni]
atraverso la sovrapposizione della funzione di colui che crea
il giorno e la note, ecc. mediante il suo sorgere e tramontare,
così in relazione a ÙŸvara, la cui natura è la capacità relativa a
una eterna conoscenza, pur essendo la causa della rimozione
della conoscenza ordinaria concernente felicità, dolore, ricor-
do, ecc., una defnizione di natura opposta, come felicità, sof-
ferenza, ecc., è sovrapposta atraverso una errata nozione or-
dinaria e non da sé, anche perché la sovrapposizione confor-
ma [a sé] la propria percezione.106
Come quando una massa compata, ecc. è dispersa nel cie-
lo [come polvere], tale che proprio per sua causa la luce del
sole non viene percepita, essa si sostituisce [alla vera visione]
conformando [ad essa] la propria percezione, per cui [si pen-
sa]: ‘qui il sole non splende’, proprio in quanto la [sua] luce è
[percepita] diversamente per via di una falsa cognizione, così
in questo caso si ammete che il contato con felicità, sofe-
renza, ecc. è sovrapposto atraverso una falsa nozione che
confonde il sorgere e il prevalere delle modifcazioni relative
all’intelleto, ecc. [con la natura della eterna coscienza dell’å-
tman], e ciò è tratato anche dalla Smÿti. Proprio in riferimen-
to a quello stesso ÙŸvara vi è il passo della Smÿti: «.da Me [pro-
vengono] la memoria, la conoscenza e la [loro stessa] perdita»
(Bha. Gı. 15.15), «Non assume l’errore di alcuno.» (Bha. Gı. 5.15),
e così via.
Qindi la natura di essere trasmigrante è sovrapposta al
Signore, eternamente libero e unico, atraverso una conoscen-
za ordinaria come [si sovrappone la mancanza di luce] al sole
mentre la natura di ente non soggeto al divenire ciclico viene
accolta anche in base all’autorevolezza delle Scriture, ecc.,
per cui non vi è contraddizione.
138 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.1

Con ciò è stata data risposta ad una ad una alle obiezioni


[che potrebbero essere] sollevate in merito alla distinzione in
seno alla conoscenza, ecc.
[Ciò segue] anche dalla non-esistenza di una causa di dif-
ferenziazione in seno all’Inqualifcato,107 la cui natura è [inf-
nita] sotigliezza, [pura] coscienza, onnipresenza, ecc. e anche
perché ciò che è soggeto a modifcazione non può avere una
natura eterna; questo sia perché non si può ammetere nessu-
na qualifcazione in relazione alla liberazione sia perché, nel
caso [la] si ammeta, ne deriverebbe il difeto di una natura
non-eterna. E poiché la distinzione è oggeto di percezione
[solo] per colui che è afeto da ignoranza, non si può [più]
ammeterla conformemente a ragione quando quella è stata
annullata. Così è stabilita la natura di unità assoluta [dell’å-
tman].
Perciò, a causa della connessione con il fatore egoico del-
la serie continua di percezioni relative agli oggeti di corpo,
sensi e mente, il cui seme è l’ignoranza e che è [a sua volta]
causa di una conoscenza diversa da quella eterna, alla cessa-
zione [di tale falsa conoscenza] in virtù della presa di consa-
pevolezza della reale natura dell’åtman qual essa è, cioè alla
estinzione del seme dell’ignoranza, si defnisce la liberazione
o, in caso contrario, si defnisce la schiavitù, [ma sempre] in
relazione a sé stessi, perché entrambe sono riferite alla pro-
pria natura.108
Per quanto riguarda [il passo]: “Il Brahman, in quel tem-
po.”, questo [che si va a esporre] è il signifcato della tradi-
zione. In passato, certamente, in quella che fu la lota tra deva
e asura nell’aspirazione a preservare la conservazione del
mondo, “(Il Brahman.) otenne il trionfo per i deva”, per fa-
vorire coloro i quali intendevano raggiungere un risultato e
aderivano all’insegnamento sull’åtman, in quanto sconfsse
gli asura; vale a dire che il trionfo dei deva si verifcò per vo-
lere del Brahman.
3.2 Terzo Kha~ƒa 139

“Nel trionfo, che chiaramente apparteneva a quel Bra-


hman, i deva esultarono”, cioè: allorquando gli asura, che in-
tendevano impossessarsi dell’esistenza del mondo, vennero
sconfti dagli altri, i deva acquisirono prosperità, cioè diven-
nero degni di venerazione.

3.2. Tale loro [falsa idea] certamente [il Brahman] la intuì e


si manifestò chiaramente a quelli. [Ma] essi non riconobbero
che cosa fosse questo Yak≤a.

«Essi considerarono.» (Ke. 3.1): [qui] la tradizione inten-


de esprimere la natura di ciò che deve essere respinto in
quanto è un contenuto mentale fallace.
In relazione al trionfo dovuto al Signore, essi lo atribuiro-
no [solo] alla [loro] propria intrinseca abilità [asserendo]: «È
nostro soltanto, invero, questo trionfo. È nostra soltanto, in-
vero, questa gloria» (Ke. 3.1), falsa nozione che [i deva] con-
cepirono in quanto erano identifcati con la mera individuali-
tà e non avevano preso consapevolezza di ÙŸvara stesso (Bra-
hman), il quale è l’åtman di tuto stabilito come åtman [su-
premo] nell’åtman [individuato] ed è la dimora di ogni felici-
tà, al quale [soltanto] fu dovuta la loro superiorità nella vit-
toria, ecc. [sugli asura].
La esposizione scriturale che comincia con: “Tale loro
[falsa idea] certamente.”, ha lo scopo di rendere evidente la
necessità di abbandonare tale [errata concezione] per mezzo
del risveglio alla consapevolezza di ÙŸvara (Brahman) qual Es-
so è realmente, cioè quale åtman della totalità, [a partire] dal-
la falsa nozione [preesistente] in quanto [questa] concerne la
sola individualità.
“Tale loro [falsa idea] certamente”, sicuramente il Bra-
hman “la intuì”, riconobbe chiaramente il pensiero dei deva a-
vente forma di un illusorio ‘senso dell’io’ e, avendo [così] co-
nosciuto, con l’intenzione di sostenerli abbatendo la [loro]
140 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.2

falsa identifcazione, “si manifestò chiaramente” ai deva, cioè


non al di fuori della portata dei loro stessi sensi, per [fargli
raggiungere] il loro scopo.
[Pur] manifestatosi chiaramente [emergendo] dall’assolu-
to (dal non-manifesto) come essere indubbiamente dotato di
qualche specifca forma assunta in virtù del potere di måyå
che è proprio del grande Signore, i deva, sebbene lo percepis-
sero, “non riconobbero che cosa fosse questo Yak≤a” che è
[così infnitamente] degno di venerazione.

3.3. Essi dissero ad Agni: ‘o Jåtavedas, devi conoscere questo:


che cosa sia questo Yak≤a!’. [Agni rispose] ‘[Sia] così’.

3.4. [Agni] si precipitò da Qello, [il quale] a lui chiese: ‘Chi


sei?’. [Agni] rispose: ‘Invero, io sono Agni. Invero, io sono Jåta-
vedas’.

3.5. [Il Brahman domandò:] ‘Qale potere è in te, che sei


tale?’. [Agni rispose:] ‘Potrei bruciare tuto questo [universo] e
ciò che sta sulla terra’.

3.6. A lui [Yak≤a] porse una pagliuzza [e gli disse]: ‘Brucia


questa!’. Avvicinatosi a quella con la massima prontezza, non
riuscì a bruciarla e si accomiatò da Qello stesso. [Tornato pres-
so gli altri deva disse loro:] ‘Non ho potuto conoscerlo, questi
che è Yak≤a!’.

3.7. Poi [i deva] dissero a Våyu: ‘Oh Våyu, devi conoscere


questo: che cosa sia questo Yak≤a!’. [Våyu rispose:] ‘[Sia] così’.

3.8. [Våyu] si precipitò da Qello, [il quale] a lui chiese:


‘Chi sei?’. [Våyu] rispose: ‘Invero, io sono Våyu. Invero, io sono
MåtariŸvan’.
3.11 Terzo Kha~ƒa 141

3.9. [Il Brahman domandò:] ‘Qale potere è in te, che sei


tale?’. [Våyu rispose:] ‘Potrei portare via tuto questo [universo]
e ciò che sta sulla terra’.

3.10. A lui [Yak≤a] porse una pagliuzza [e gli disse]: ‘Porta


via questa!’. Avvicinatosi a quella con la massima prontezza,
non riuscì a portarla via e si accomiatò da Qello stesso. [Tor-
nato presso gli altri deva disse loro:] ‘Non ho potuto conoscerlo,
questi che è Yak≤a!’.

3.11. Allora [i deva] dissero a Indra: ‘Oh Maghavan, devi co-


noscere questo: che cosa sia questo Yak≤a!’. [Indra rispose:]
‘[Sia] così’. Indra si precipitò da Qello, ma da lui [Yak≤a] di-
sparve’.

[Gli altri deva] per conoscere chiaramente Qello, “.dis-


sero ad Agni.”; questo è il senso, in riferimento all’ato di
porgere [loro] la pagliuzza [da parte di Yak≤a]. Per l’inca-
pacità di bruciare e di portar via [la pagliuzza rispetivamen-
te] da parte di Agni e Maruta (Våyu), che pure godevano di
una stima oltremodo elevata, la [loro] considerazione di sé
venne di colpo ad annullarsi.
Inoltre [qui] Indra è Åditya (il Sole), ovvero Vajrabhÿt (Co-
lui che brandisce la folgore), perché non vi è contraddizione.
All’avvicinarsi di Indra, il Brahman “disparve”: in merito a
ciò il signifcato è questo. ‘Io sono Indra’: tale era la sua auto-
considerazione sommamente elevata. Sicuramente [la nozio-
ne]: ‘io sono costui’ è acquisita [anche] da Agni come dagli
altri [deva, palesandosi] quale mera espressione verbale.

Obiezione: In che senso, allora, [Indra] non dovrebbe tra-


scurare la cognizione: ‘non sono stato incontrato da lui’? 109

Risposta: Fu proprio per favorirlo, infati, che il Brahman


si rese invisibile.
142 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 3.12

3.12. In quello stesso spazio egli avvicinò una donna som-


mamente risplendente: Umå Haimavatı. Allora a lei disse: ‘Che
cosa è questo Yak≤a?’.

“.egli”, Indra, con la considerazione [verso di sé] oramai


spenta e fermamente deciso a conoscere chiaramente il Bra-
hman, “avvicinò una donna” estremamente incantevole “In
quello stesso spazio” nel quale si erano verifcate la chiara
manifestazione e la scomparsa del Brahman: [era] la Cono-
scenza (vidyå).
Qella, che era la stessa Conoscenza rifulgente, [gli era
apparsa] come Umå Haimavatı, la consorte di Rudra (Âiva),
quale causa del risveglio alla consapevolezza del senso [del-
l’evento]. Anche colui che possiede la conoscenza, [essendo]
multiforme, risplende alquanto.

Fine del Terzo Kha~ƒa


Qarto Kha~ƒa

4.1. Allora ella disse: ‘È il Brahman. Invero, nel trionfo del


Brahman avete così esultato’. Allora, solo da tale [rivelazione,
Indra] realizzò il Brahman.

4.2. Perciò, invero, questi deva superarono enormemente gli


altri deva perché essi, che sono Agni, Våyu e Indra, lo contata-
rono il più da vicino, e perché essi lo realizzarono per primi
come il Brahman.

4.3. Perciò, invero, Indra superò enormemente gli altri deva,


perché egli lo contatò il più da vicino, e perché egli per primo lo
realizzò come il Brahman.

E quindi, avendola interrogata, “solo” dalla sua aferma-


zione “realizzò.”, conobbe [il Brahman]. Qindi Umå, per In-
dra, è assimilata alla conoscenza, in quanto fu causa della pre-
sa di consapevolezza [del Brahman]. Anche la Smÿti [dice]:
«ÙŸvara si accompagnò con la conoscenza».
Poiché, dopo la conoscenza [acquisita da parte] di Indra,
«.essi, che sono Agni, Våyu e Indra, lo contatarono più da
vicino.» (Ke. 4.2), cioè: poiché, avendo conseguito il Brahman
atraverso la conoscenza del Brahman, vi entrarono in contat-
to in modo estremamente ravvicinato, «.perché essi (lo) rea-
lizzarono per primi»110 [rispeto agli altri deva, perciò «questi
deva superarono enormemente gli altri deva» (4.2)], [proprio]
in quanto lo conobbero per primi [rispeto agli altri].
144 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 4.3

[Poiché solo Indra comprese il senso della sparizione di


Yak≤a] «Perciò. (Indra) superò enormemente gli altri deva»,
cioè, superati gli altri [deva, ossia Våyu ed Agni, che pure] ri-
splendono in modo smisurato, Indra risplende in modo straor-
dinario anche rispeto a loro, in virtù della conoscenza del
Brahman [che per primo realizzò] in principio.

4.4. Di Qello, questo è il preceto, questo che balenò dalla


folgore (cioè come il rifulgere della folgore) – è così – [ovvero] è
proprio così come quando si siano aperti e chiusi istantanea-
mente gli occhi. Così è per quanto riguarda la sfera divina.

“Di Qello”, di quel Brahman, “questo è il preceto”, que-


sto che verrà enunciato è il preceto, l’istruzione concernente
la meditazione. Tale è il signifcato.
Poiché il Brahman si manifestò chiaramente ai deva afato
all’improvviso, come [il balenare di] una folgore, cioè fulgido
[come un improvviso lampo], perciò “questo” Brahman “che
balenò” come illuminato “dalla folgore”, cioè risplendete co-
me un rifulgere [improvviso]. – “è così [è così, è così!]”, è
proprio in questo modo: la particella å (‘è così’, ripetuta tre
volte) intende evidenziare un senso di similitudine [con il ba-
lenare improvviso e rischiarante della folgore].
Come la folgore [rifulgendo improvvisamente e quindi]
disperdendo tuta l’oscurità, illumina istantaneamente dap-
pertuto, così in principio quel Brahman divenne manifesto
come splendore dappertuto: quindi è come se avesse balena-
to; così deve essere meditato – anche nel Våjasaneyaka [si
legge]: «.come folgore improvvisa» (Bÿ. 2.3.6) – anche per-
ché all’avvicinarsi di Indra [per lui fu] “come quando si siano
aperti e chiusi istantaneamente gli occhi”, cioè come quando
qualcuno bate fulmineamente le palpebre. – le due particel-
le: “è proprio” (id) e “così” (iti) non rivestono un [particolare]
signifcato – .[e quindi quel Brahman manifestatosi come
4.5 Quarto Kha~ƒa 145

folgore improvvisa] scomparve come [scompare la visione


esteriore] quando si siano chiuse le palpebre.
“Così”, in questo modo “è per quanto riguarda la sfera di-
vina”, dove la ‘sfera divina’ (adhidaivata) è la concezione con-
cernente la natura divina (devatå).

4.5. Poi [si enuncia il preceto concernente] la sfera indivi-


duale. [Il Brahman] è questo verso il quale è come se la mente
procedesse, quando tramite tale [mente il sådhaka] rammemora
questo [Brahman] continuamente, e il pensiero [stesso del Bra-
hman].

“Poi”, subito dopo, “[si enuncia il preceto concernente] la


sfera individuale”; la continuazione della sentenza espone la
sfera individuale (adhyåtma) dell’åtman.
Il Brahman, quale è stato descrito, “è questo verso il quale
è come se (la mente) procedesse”, come se [lo] raggiungesse,
vale a dire come se [lo] rendesse oggeto [di conoscenza].
In realtà non [lo] rende oggeto [di conoscenza], dato che
il Brahman non costituisce oggeto per la mente; quindi la
mente non procede [realmente verso Qello].
È stato anche deto: «.tramite il quale dicono che la men-
te sia pensata» (Ke. 1.5). Dunque, è “come se (la mente) proce-
desse” (gacchatıva), perché, invero, anche la mente ha. natu-
ra di mente.111
E poiché, dato che il Brahman costituisce lo stesso åtman
[individuato], in sua presenza “la mente” svolge la propria
funzione “quando tramite tale” mente stessa il conoscitore
“rammemora” quel Brahman, pertanto si dice che ‘è come se
[la mente] procedesse verso il Brahman’, “continuamente”,
cioè ripetutamente; [e, ancora, il Brahman è] “il pensiero
[stesso del Brahman]” da parte della mente che verso il Bra-
hman è stata direta. Qindi il Brahman deve essere meditato
tramite carateristiche quali la rammemorazione, il pensiero,
146 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 4.5

ecc. in quanto costituisce la sfera individuale come mente.


Tale è il senso.112

4.6. Qello, certamente, è denominato: ‘da lui venerato’ (ta-


dvanam), e come tadvanam deve essere meditato. Colui il quale
conosce questo [Brahman] così, certamente tuti gli esseri lo in-
vocano.

Ora, per quanto riguarda la sua sfera individuale, viene


espressa una qualifcazione in merito alla meditazione: “Qel-
lo, certamente, è (denominato): ‘da lui venerato’ (tadvanam).
Qesto stesso Brahman è sia tad (Qello, il supremo), sia ta-
dvanam (il non-supremo) quale oggeto di venerazione, cioè
Colui che è altamente degno di essere venerato, in quanto di-
stinto da Qello.113
Per via della sua azione, [che consiste, appunto, nel fato
che ogni essere cosciente lo] venera, da ciò si ha la denomina-
zione: tadvanam. Invero questo (tadvanam) è il nome del Bra-
hman caraterizzato da atributi (il Brahman sagu~a, o non-
supremo), per cui atraverso tale qualità, cioè “.come tadva-
nam deve essere meditato”. “Colui”, chiunque sia, “il quale co-
nosce”, ossia medita su “questo” Brahman quale è stato enun-
ciato, “così”, ossia in quanto indicato da tale carateristico no-
me quale è stato espresso, cioè: ‘vanam’, questo che [ora] vie-
ne enunciato è il fruto che speta a costui: “(certamente) tuti
gli esseri” qui (in questo mondo) “lo invocano”, sicuramente
implorano tale meditante, lo onorano, tale è il signifcato, per-
ché, quale la carateristica della meditazione, [tale ne] è il
fruto.

4.7. ‘Signore, esponete la conoscenza segreta!’. ‘La conoscen-


za segreta ti è stata esposta. Invero a te ho enunciato la cono-
scenza segreta concernente il Brahman’.
4.9 Quarto Kha~ƒa 147

Sebbene la conoscenza segreta [gli] fosse stata [appena]


esposta, il discepolo disse: “Signore, esponete la conoscenza
segreta!”, al che il maestro rispose: “La conoscenza segreta ti
è stata esposta”, è stata enunciata a te, e anche la meditazione
sull’åtman. Adesso “Invero a te ho enunciato la conoscenza
segreta concernente il Brahman”, cioè [la] esporrò a te che
hai indole di bråhma~a. Infati la esporrà, in quanto quella
concernente il Brahman non è stata [ancora] esposta, mentre
è stata esposta la conoscenza segreta concernente l’åtman.
Perciò questa voce verbale: ‘ho enunciato’ (abr¥ma) non si ri-
ferisce al passato.

4.8. [Il maestro aggiunse:] ‘Di quella [conoscenza segreta] la


disciplina ascetica, l’autodominio e l’atività rituale e così [via]
sono il fondamento; i Veda sono tute le membra; la Verità è la
dimora’.

“Di quella” conoscenza segreta che sta per essere esposta


“la disciplina ascetica” (tapas), come il brahmacarya e le altre
cose, “l’autodominio” (dama), come la pacifcazione mentale
(upaŸama) [ecc.] “e l’atività rituale” (karman) come l’Agniho-
tra e altri [riti], questi “sono il fondamento”, la dimora [d’ele-
zione]. Infati la conoscenza segreta concernente il Brahman
diviene stabilmente fondata [solo] quando questi sono pre-
senti. Inoltre i quatro “Veda sono tute le membra”. [Tuto
questo] è il fondamento: ciò segue [per logica]. Infati la co-
noscenza è la dimora del Brahman. “.la Verità”, l’afermazio-
ne concorde al Vero, “è la dimora” che [una volta raggiunta]
afranca dal travaglio [esistenziale], la sede defnitiva: infati,
tuto ciò così come è stato enunciato ha per sede la verità (sa-
tyavastu), essendo stabilito [in essa] come in una dimora.

4.9. [E così concluse:] ‘Invero, colui il quale realizza questa


[conoscenza] così, avendo rimosso l’errore, resta fermamente
148 Kena Upani≤ad con il Commento di Âa√kara alle Sentenze 4.9

stabilito nell’infnito mondo che è il cielo, nel Supremo; vi resta


stabilito’.

“(Invero) colui il quale realizza”, consegue, porta a compi-


mento “questa” stessa conoscenza segreta concernente il Bra-
hman, che ha per fondamento membra quali la disciplina
ascetica e le altre [cose elencate], unitamente alla [sua] sede
[che è la Verità] e costituisce la causa della conoscenza dell’å-
tman, “così”, qual essa è. – per costui questo è il fruto che
[il testo] annuncia – “.avendo rimosso l’errore.”, vale a dire
avendo eliminato sia il merito che il demerito, 114 “resta ferma-
mente stabilito nell’infnito mondo che è il cielo”, difcile da
raggiungere e dai confni inesistenti, ridondante di beatitudi-
ne, cioè nel supremo Brahman che è l’åtman libero dalla sof-
ferenza, ossia “nel Supremo” (jyeya), nel Grande che è più
grande di tuto, avendo realizzato il Brahman conoscibile [so-
lo] grazie all’intero Vedånta come [il proprio] åtman; vale a
dire che consegue quello stesso Brahman.

Fine del Qarto Kha~ƒa

Fine della Kena Upani≤ad


con il Commento di Âa§kara
alle Sentenze [degli Ÿloka]

*
NOTE

1
Accennando alle due Vie, Âa§kara si riferisce ai corsi postumi
denominati Sentiero setentrionale (utaramårga) e Sentiero meri-
dionale (dak≤i~amårga).
Il primo, che corrisponde alla Via degli dèi (devayåna), è imboc-
cato da coloro i quali, avendo trasceso l’individualità e compiuto le
prescrite meditazioni sulle Forme divine, al momento del trapasso
si elevano verso sfere di esistenza superiori, dalle quali non faranno
ritorno alla condizione umana terrena.
Nel secondo, che è la Via degli antenati (pitÿyåna), entrano co-
loro i quali, non avendo ancora trasceso l’individualità ma, alimen-
tando il desiderio e praticando solo l’atività rituale, alla dipartita si
portano verso sfere di esistenza commisurate al proprio fardello
karmico e accedono a condizioni paritetiche o inferiori dalle quali,
al completamento della esperienza del fruto karmico, faranno ri-
torno all’esistenza terrena.
La terza condizione citata è caraterizzata da una grande limita-
zione e da una immensa difcoltà a rinascere in forma umana, per
cui l’essere che vi cade permane in tale stato mantenendolo o reite-
randolo per tempi indefniti. Le prime due vie corrispondono ri-
spetivamente a stati di supercoscienza (deva) e di subcoscienza
(pitÿ) a livello universale.

2
Il termine vidyå viene impiegato per indicare sia la conoscen-
za che la meditazione in generale o sulle Forme divine (devatå) in
particolare. È evidente che solo in questa accezione la meditazione
può essere praticata in combinazione con l’atività rituale e non se
indicante la conoscenza, dato che la conoscenza metafsica – preci-
puamente designata dal termine jñåna – risolve ogni dualismo e
annulla qualsiasi distinzione, anche quella tra divino e umano.
150 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

3
Nel piano relativo un oggeto suscita desiderio e quindi impul-
sa alla corrispondente azione onde aquisirlo, ma nel caso del Bra-
hman, essendo privo di secondo, non può manifestarsi alcuna dua-
lità, quindi nemmeno un soggeto che concepisca un desiderio ac-
quisitivo sfociante nell’azione. Pertanto, secondo il commentatore
Ånandagiri, può costituire oggeto di ingiunzione solo ciò che è su-
scetibile di venire acquisito a seguito di un ato, deliberatamente
concepito e compiuto, che risulta imposto atraverso una prescri-
zione, ma non una natura sempre esistente e libera dal rapporto
soggeto-oggeto. Qindi il Brahman, la cui natura è pura Cono-
scenza, può essere svelato solo atraverso la rimozione dell’igno-
ranza, essendo l’ignoranza una sovrapposizione alla conoscenza.

4
Il non-visibile (adÿ≤†a) è il fruto dell’azione che può essere ap-
preso solo dalla Âruti ed è otenibile in esistenze future o in condi-
zioni diverse da quella umana. Visibile e non-visibile, per quanto di
specie diferente, costituiscono entrambi risultato dell’azione e per-
tanto sono ambedue relativi e limitati.

5
La mera volontà (icchå) – come spiega Ånandagiri – non im-
plica un agire efetivo, simile cioè all’agire individuato, che neces-
sita del contato, del rapporto direto con l’oggeto, ecc. ma lascia
intendere la sola presenza. Come il sole determina le stagioni, la
vita, ecc. solo grazie alla sua presenza, in quanto irradia di per sé
luce e calore vitali senza un intervento ativo di ordine materiale e
caraterizzato dal contato, così l’åtman non necessita di una rela-
zione direta con la mente, ecc. onde dirigerla, ecc.

6
Un contadino nell’ato di falciare si pone come soggeto agen-
te il quale si serve di uno strumento che in quel momento esplica,
posto in atività da lui, un’azione specifca. Deposto lo strumento-
falce, il contadino può essere agente in altre funzioni sue proprie o
non-agente, mentre lo strumento è comunque non-agente. Nel caso
degli strumenti organici, le loro funzioni-atività sono impulsate
dal prå~a, l’energia vitale, e questa è posta in azione dalla coscienza
dell’åtman.
Note 151

Inoltre, come si vedrà in seguito, tali funzioni si svolgono ati-


vamente solo se in associazione con l’atività della mente. A pre-
scindere dalla presenza illuminante dell’åtman, nessuna atività è
possibile, né per la mente né per gli organi. D’altra parte l’åtman
stesso non conferisce atività alla mente o agli organi per contato
– l’åtman, essendo non-duale ed essendo pura Coscienza, è privo di
forma e di parti – ma con la sola presenza onnipervasiva, illumi-
nando i veicoli dal loro interno. Così “Colui che sollecita la mente e
pone in atività le funzioni organiche” non deve necessariamente
possedere natura agente, perché tale è la qualità naturale di quegli
enti-veicoli che è resa manifesta dalla presenza vivifcante, ma non-
agente, dell’åtman.

7
Dal manifestarsi e riassorbirsi delle varie funzioni si inferisce
l’ente che le impulsa. Ånandagiri commenta così: “L’udito e le altre
funzioni risultano complementari in rapporto a un ente afato di-
stinto da loro, perché esse sono entità composite, come una casa,
ecc. Atraverso questa inferenza si comprende Colui che è realmen-
te il possessore di funzioni come l’udito e le altre. Se, invece, fosse
egli stesso parte integrante della combinazione, allora sarebbe pri-
vo di consapevolezza propria, come un elemento di una casa, ecc.
Pertanto dovremmo immaginare qualche altro ente che se ne serve
[come strumento] e così via (nel caso si ponga nuovamente il pro-
blema dell’appartenenza alla natura composita), un terzo ente, ecc.
In tal modo si genera una regressione senza fne, per evitare la qua-
le si deve porre una Coscienza [autoesistente] che non sia parte di
tale combinazione”.

8
L’essere umano ordinario si identifca al veicolo individuale e
alle sue peculiarità organiche, per cui considera åtman quelli che
ne sono solo lontani rifessi veicolari. A seconda del grado di iden-
tifcazione, ritiene l’åtman, cioè se stesso, essere il corpo fsico, il
complesso emozionale, il mentale, ecc. o l’insieme di questi.

9
Il termine “mente” (manas), cioè l’ “organo interno” (anta¢ka-
ra~a), riassume le quatro funzioni di: intelleto puro o intuizione
152 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

superconscia (buddhi), senso dell’io (ahaµkåra), memoria (cita) e


mente empirica razionale correlata alle funzioni sensorie (manas).
Ovviamente ciascuna di queste necessita della presenza della Co-
scienza dell’åtman per ativarsi.

10
Il termine prå~a possiede molti signifcati a seconda del con-
testo. Il più consueto è certamente quello di energia vitale nella sua
interezza, ma può anche indicare la sola funzione respiratoria esa-
lante, come anche il naso, atraverso cui, appunto, si esala, quale
organo dell’olfato, e, persino, come in alcuni passi della Âruti, an-
che il Brahman. Cfr. Ke. 1.8.

11
Il termine dhıra designa sia l’uomo di intelligenza (dhı), sia
l’uomo determinato, fermo nell’aderire alla sua deliberazione. Così
dhıra è il saggio che, avendo compreso la natura della condizione
individuata e del divenire in cui è necessariamente costreta, se ne
astrae in maniera risoluta e defnitiva.

12
Cfr. anche: Bÿ. 2.4.11 e 4.4.18, Chå. 8.12.4, Mai. 6.31 e Kau. 3.4.

13
Cfr. anche: Ka. 6.12 e Mu. 3.1.8. Lo Ÿloka in questione ricorda
anche Ù. 10.

14
Se il Brahman è al di là di tuto, cioè del manifestato (forma-
le-efetuale) e del non-manifestato (informale-causale), come può,
ci si potrebbe chiedere, essere l’intimo åtman di ciascuno? Inoltre,
se il Brahman è l’oggeto della istanza realizzativa del jıva, come
può questo essere già Qello? Qalsiasi ato rituale o di meditazio-
ne presuppone una diferenza tra l’agente e il fruto. In aggiunta a
ciò, l’ipotetico avversario, aderendo al senso comune, identifca
l’åtman con il jıva, l’essere vivente, il quale è solo il rifesso indivi-
duato di quello.

15
I grammatici distinguono oto sedi di emissione del suono,
che caraterizzano la natura e la specie delle singole letere che vi
vengono emesse (aspirazione pura, consonanti, vocali, semivocali,
Note 153

sibilanti, risonanza pura). Tali sedi sono: il profondo del peto (aspi-
razione pura), la parte interna della gola o radice della lingua (gut-
turali), il palato posteriore (palatali), il palato superiore (cerebrali),
la zona dentale (dentali), la regione labiale (labiali), la regione del
contato della lingua con alcune zone precedenti quali il palato po-
steriore, il superiore e i denti (sibilanti) e la regione che si estende
dalla radice del naso alla sommità del capo (nasali, risonanza o suo-
no puro). Talvolta le sedi sono descrite diversamente. Si veda an-
che la nota 17.
16
Si allude allo spho†a secondo la tesi dei grammatici fautori
della dotrina omonima. Lo spho†a è il suono eterno, non-udibile e
posseduto virtualmente delle singole letere – di cui le letere e i ri-
spetivi suoni udibili sono la manifestazione concreta – che conferi-
sce sonorità percepibile e signifcato primario sia alle letere stesse
sia alle parole in cui esse sono raggruppate. Il termine deriva dalla
radice verbale sphu† e ha il senso di ‘ciò che è manifestato, rivelato
dalle letere’. Lo spho†a potremmo defnirlo il suono sotile, il tono
potenziale delle singole letere connaturato a loro, la loro contro-
parte virtuale, immanifesta e duratura come l’universo. Per quanto
concerne l’ordine o la sequenza (krama) la scuola Mımåµsaka so-
stiene che, nella formazione di una parola, la successione delle sin-
gole letere, ciascuna dotata di un suo particolare e inseparabile
spho†a, fssa il signifcato del termine risultante. Medesime letere
diversamente disposte, pur mantenendo i propri singoli spho†a,
danno luogo a termini aventi signifcati diversi. Su tale dotrina è
fondata la scienza etimologica tradizionale (nirukta), e quindi la
stessa comprensione del signifcato delle Scriture e alcune forme di
meditazione.
17
Secondo il commentatore Ånandagiri, la letera a, la prima
dell’alfabeto sanscrito, costituendo anche la prima “misura” (måtra)
del monosillabo om (a, u, m), comprende la intera possibilità espri-
mibile tramite il suono, in quanto racchiude tuti gli altri suoni del-
l’alfabeto e le loro combinazioni. Infati, il suo spho†a si manifesta
sia nella veste delle altre vocali, qualora sia conferita una diversa
conformazione all’organo vocale, sia come i suoni nascenti come
154 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

consonanti dal contato delle parti, sia come i suoni intermedi co-
stituenti le semivocali (y, r, l, v), sia, infne, come quelli prodoti dal
sibilare dell’aria forzata a uscire da aperture serrate e producenti
atrito (le sibilanti: Ÿ palatale, ≤ cerebrale, s dentale). Così si genera
l’intero alfabeto e si hanno tute le possibilità di combinazione dei
suoni. Si torni alla nota 15.

18
Cfr. Chå. 7.23.1.

19
Le espressioni niyama (regola) e parisaµkhyå (asserzione e-
saustiva) appartengono alla dotrina Mımåµså. Corrispondono a
due precise prescrizioni: la prima (niyamavidhi) stabilisce una nor-
ma di scelta quando si presentano diverse possibilità; la seconda
(parisaµkhyåvidhi) decreta una tesi escludendo qualsiasi alternati-
va. Âa§kara riporta tali espressioni perché, laddove il Brahman po-
trebbe essere erroneamente identifcato anche con ciò che non è il
Brahman – come avviene per i ritualisti, ecc. – si deve operare la
giusta discriminazione della sua natura tra le diverse tesi e quindi
escludere categoricamente la cognizione erronea per poterlo com-
prendere e realizzare come il proprio åtman.

20
La percezione sensoriale è resa possibile dalla atività della
mente unita alla funzione del particolare organo di senso, per cui
l’oggeto con cui questo entra in contato viene pervaso e ricono-
sciuto tramite la mente. Qando la mente è inativa, come nel son-
no profondo, i sensi, ancorché funzionanti e in contato con i loro
oggeti, non esplicano la facoltà percetiva, per cui i rispetivi og-
geti restano non-conosciuti.

21
Cfr. Chå. 8.7-12.
22
Cfr. Chå. 8.1.1 e segg.
23
L’ipotetico interlocutore considera la coscienza un semplice
atributo applicato che, defnendo il Brahman, ne esprime indireta-
mente la natura. Per lui ‘il Brahman è coscienza in quanto carate-
Note 155

rizzato dall’atributo della coscienza’. In sostanza idenifca la natu-


ra con un atributo. Ma un atributo, sappiamo, è qualcosa di estra-
neo all’ente cui si riferisce, dal quale può anche essere separato.
Inoltre, venendo la sua natura determinata da un atributo applica-
bile o meno, il Brahman stesso risulterebbe simile a un oggeto, a
una sostanza inerte, in pratica sullo stesso piano di qualsiasi altro
ente di ordine relativo.

24
Il termine brahmacårin deriva da brahmacarya e defnisce sia
lo stadio di vita (åŸrama) dello studentato, dell’apprendimento delle
Scriture vivendo al servizio di un Maestro, sia colui che, dedicatosi
alla conoscenza-realizzazione del Brahman, conduce una esistenza
adeguata alla natura del Brahman, o meglio alla sua consapevolez-
za, cioè osserva una “condota brahmanica” (brahmacåra).

25
A tale proposito, così si esprime Ånandagiri: “Proprio come
nella comune esperienza è ben noto che a coloro, che sono consci
della natura della madreperla, l’argento [erroneamente] sovrappo-
sto su quella resta non-conosciuto, mentre l’argento sovrapposto è
considerato [reale] solo dall’ignorante, similmente, poiché [si con-
sidera che] la conoscibilità è un atributo relativo sovrapposto al
Brahman [come una qualità che caraterizza un oggeto], i conosci-
tori ritengono che il Brahman non possa essere conosciuto [come
oggeto]”. Per quanto concerne l’asserzione di Âa§kara: “.è realiz-
zato. da coloro i quali non posseggono una perfeta visione, vale a
dire coloro che concepiscono l’åtman solo come [identifcato con] i
sensi, ecc.”, il suo signifcato apparirà chiaro nello Ÿloka seguente e
nel relativo commento.

26
Come si vedrà più avanti, il termine composto pratibodha vie-
ne interpretato in più modi. La parola bodha, dalla radice verbale
budh (conoscere, svegliarsi) indica genericamente la conoscenza, la
coscienza, la consapevolezza; l’aggiunta della particella prati (verso,
vicino) le conferisce un valore distributivo: “ogni conoscenza”,
“ogni stato di coscienza”. Tradizionalmente il medesimo termine
viene poi impiegato anche per designare una conoscenza defnitiva
156 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

che risplende istantaneamente e una volta per tute, come l’acquisi-


zione della consapevolezza di qualcosa tale che, dopo il suo verif-
carsi, non lascia più adito ad alcun dubbio in relazione alla natura
dell’oggeto. Pertanto il termine pratibodha esprime anche una im-
mediata e totale “presa di coscienza”, simile al balenare di un lam-
po, grazie a cui si atua un riconoscimento pieno e incontrovertibi-
le. Dice la Bÿhadåra~yaka Upani≤ad: «.come folgore improvvisa.
In verità, per colui che così conosce, certamente la prosperità giun-
ge istantanea come un lampo; dunque, dopo di ciò, vi è la descrizio-
ne [del Brahman] come: ‘non è questo, non è questo’» (Bÿ. 2.3.6).
I “contenuti relativi all’intelleto” (bauddhå¢ pratyayå¢) desi-
gnano i ben noti stati di coscienza contemplati nella dotrina Vedå-
nta: veglia, sogno e sonno profondo con il Qarto, Turıya, come lo-
ro Sostrato permanente che è l’åtman stesso, approfonditamente
tratati in diverse Scriture.
27
Come lo spazio sembra diferenziato in virtù della presenza di
recipienti, di montagne, di cavità, ecc., mentre, escludendo questi
enti, si rivela essere unico e privo di distinzioni, così l’åtman sem-
bra essere diferente nei vari corpi, jıva, Forme divine, ecc. Come
spiegava Råma~a Mahar≤i, il grande advaitin contemporaneo, il
corpo, come ogni forma, vivente o meno, è immerso nell’åtman
unico e infnito, che risplende in esso come principio di autoco-
scienza. Il contenuto sembra indurre una distinzione nel contenen-
te, laddove questo è il suo sostrato necessario e indipendente da
qualsiasi sovrapposizione.
28
Cfr.: Bÿ. 3.4.2.
29
Il contenente rivela il contenuto, la sovrapposizione il sostra-
to. Ma, mentre per il Vedånta Advaita contenuto e sovrapposizione
sono modifcazioni (vÿti) dell’Ente a cui si appoggiano, il quale è
“Uno senza secondo”, per i logici tali entità sono di per sé esistenti
e si pongono quindi in rapporto dualistico con Qello; tesi, questa,
che, come vedremo, porta a una serie di incongruenze.
30
La memoria (smÿti) in generale, come la rammemorazione
(smara~a) di un dato, quindi il contenuto mentale inerente a ciò,
implica una sede in cui collocarsi tale che, anche in assenza del-
Note 157

l’ato del conoscere esplicato dalla mente quando entra in contato


con l’åtman, permanga stabilmente e non subisca la modifcazione
che, secondo la teoria appena citata, subirebbe la sostanza-åtman.
D’altra parte, vi sono condizioni, come quella di sonno profon-
do, in cui l’atività mentale, e quindi la mente stessa, è del tuto as-
sente, mentre al risveglio taluni contenuti mentali mnemonici riaf-
forano perfetamente conservati. Se si esclude una natura compo-
sita e modifcabile per l’åtman – sostengono i logici – e non si am-
mete una spazialità diversifcata al suo interno tale da conservare
sifati contenuti, il manifestarsi della rappresentazione di un dato
sulla base della memoria si rivela un problema insolubile.
Il Vedånta Advaita considera invece la rappresentazione mne-
monica, la memoria, ecc., una modifcazione del sostrato coscien-
ziale che, essendo privo di forma e di dualità, non ha rapporto con
nulla. La spazialità diversifcata compete invece alla mente – sono
note le sue quatro funzioni – che dell’åtman è anch’essa una modi-
fcazione, come dimostra il suo emergere e riassorbirsi a seconda
dello stato (veglia, sonno, meditazione, ecc.).
Inoltre, l’origine di un dato in memoria, per i logici, comporta
una trasformazione dell’åtman nella sua interezza, il che porta al-
l’assurdo che ogni dato annullerebbe il precedente e così via e, nel
caso di un åtman unico, qualsiasi contenuto sarebbe comune a tuti
gli esseri.

31
Essendo pura Coscienza, l’åtman è il sostrato di ogni stato
(veglia, ecc.) e del suo eventuale contenuto, quindi anche di ogni
modifcazione (vÿti), comprese le diverse funzioni mentali. Per la
stessa ragione è il Testimone della totalità (sarvadarŸin), il quale
trascende non solo la distinzione individuale e persino quella uni-
versale, ma anche la stessa måyå quale sua immensa possibilità. Per
le quatro funzioni della mente si torni alla nota 9.

32
Il testo di riferimento della Bÿhadåra~yaka Upani≤ad riporta:
åtmanyevå ’’tmånaµ paŸyati, ma vi è anche un’altra redazione che
si presenta come: åtmanaivå ’’tmånaµ paŸyati.
Âa§kara, in questo suo Commento alla Kena, fa riferimento a
quest’ultima letura, il cui senso è: “costui vede l’åtman atraverso il
158 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

proprio åtman”. In ogni caso il signifcato ultimo che si evidenzia


non cambia: da questi passi sembra che sia la Âruti sia la Smÿti la-
scino intendere una distinzione in seno all’åtman, una sorta di divi-
sione in soggeto, oggeto e strumento. Ma tale diversifcazione,
come risulta chiaro dalla spiegazione di Âa§kara, è solo apparente e
dovuta alle sovrapposizioni limitanti: nel caso del primo passo si ri-
ferisce al veicolo corporeo, nel secondo all’intero universo di enti
consci.
In ogni caso, dire che l’åtman vede l’åtman atraverso se stesso,
cioè tramite l’åtman, non implica necessariamente una diferenzia-
zione di ruoli in seno all’åtman unico, ma esprime la natura stessa
dell’åtman in quanto pura Coscienza, sede, pertanto, di ogni possi-
bilità di conoscenza, sia di Sé stesso in quanto tale – la Coscienza
non può non conoscere ed essere al tempo stesso – sia della sua
eventuale espressione nel campo della måyå a livello veicolare od
oggetuale.

33
La “conoscibilità da parte di se stesso” (svasaµvedyatå) impli-
ca la scissione dell’åtman, per natura unico, in soggeto e oggeto,
la conoscibilità da parte di un altro (parasaµvedyatå) presuppone la
presenza di un secondo laddove la Âruti aferma che l’åtman è “Uno
senza secondo” (Chå. 6.2.1). Pertanto nessuna delle due ipotesi è ac-
cetabile.
Nella UpadeŸasåhasrı Âa§kara aferma: «Come non si richiede una
ulteriore fonte luminosa al fne di rivelare una lampada accesa, nes-
sun’altra conoscenza è necessaria onde realizzare l’autentica natura
dell’åtman che è pura Consapevolezza» (UpadeŸasåhasrı: 2.17.41).

34
L’espressione “consapevolezza priva di una causa oggetiva”
(nirnimito bodha¢) è come la percezione dell’immagine di sogno,
che trae dalle impressioni mentali il proprio contenuto e l’impulso
a proietarsi. Peraltro, il termine pratibodha corrisponde a un risve-
glio spontaneo che determina un riconoscimento pieno ed efetivo
in maniera autonoma e indipendente da qualsiasi causa esterna.
Così si esprime Ånandagiri: “Una volta che l’åtman è realizzato,
non può più aversi alcuna funzione di [ulteriore] conoscitore e, per
conseguenza, nessuna possibilità di ulteriore conoscenza. Per que-
Note 159

sto la conoscenza che riluce istantaneamente una sola volta e divie-


ne causa di liberazione è chiamata pratibodha”.
35
L’espressione: “tramite la conoscenza avente per oggeto l’åt-
man” (vidyayå ’’tmavi≤ayayå) non intende defnire l’åtman come il
contenuto oggetivo di una conoscenza nel senso ordinario del ter-
mine, ossia come un oggeto conosciuto da un soggeto ed espri-
mente quindi un rapporto dualistico, ma asserire la realizzazione di
quella conoscenza il cui unico contenuto è l’åtman, quella consape-
volezza priva di qualsiasi emergenza soggetiva e oggetiva, vale a
dire in cui non si manifesta alcuna dualità. Tale conoscenza è iden-
tica alla stessa Coscienza assoluta, pura e priva di modifcazioni che
è il sostrato di ogni stato relativo di coscienza e del suo eventuale
contenuto; dunque, identica all’åtman stesso.
36
Anche lo Ÿloka iniziale della ÙŸa Upani≤ad sintetizza tale inse-
gnamento: «Dal Signore (cioè dalla consapevolezza dell’åtman) de-
ve essere pervaso tuto questo e ciò che si muove nell’universale
movimento.» (Ù. 1). Qando tuto è stato permeato dalla Coscienza
unica, quale diferenza o contrapposizione può manifestarsi? quale
trasformazione può aver luogo? quale cessazione può interrompere
una continuità senza limitazioni? Più che di una separazione dal
mondo empirico, si trata, per il conoscitore, del dissolversi della
immagine di quello come entità molteplice e contrapposta e del suo
risolversi nella consapevolezza non-duale del Brahman. Cfr. Bÿ.
4.4.14.
37
Ånandagiri precisa che: “La realizzazione dell’åtman come il
Brahman, che è concepita per coloro che sono i più qualifcati e
non è un oggeto di conoscenza, è stata spiegata prima [nei due
Kha~ƒa precedenti]. Da qui in poi viene esposta la meditazione sul
Brahman qualifcato, che è rivolta a coloro i quali posseggono una
qualifcazione spirituale inferiore [ai primi]. I seguenti passi pre-
sentano tale meditazione perché l’ingiunzione concernente possa
venire chiaramente compresa. Il vero signifcato sta proprio in que-
sto. Le altre interpretazioni [proposte da Âa§kara] sono enunciate
come possibilità”.
160 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

38
Per quanto concerne la lota tra deva e asura cfr.: Bÿ. 1.3.1-7.
39
Ånandagiri specifca che “.lo Yoga è la combinazione dei tre
atributi (gu~a) : satva, rajas e tamas.”. Poiché tali atributi sono
anche i costituenti principiali dell’universo e, quindi, della måyå, lo
Yoga del Signore “.è la måyå stessa”: atraverso il suo potere di
måyå il Brahman manifesta l’universo restando Esso stesso non-
manifestato. Altrove nelle Scriture si dice che il Signore manifesta
l’universo atraverso l’ascesi yoga, il tapas. Così, poiché la manife-
stazione fnale comporta una molteplicità ed è costituita nel suo
complesso dal divenire di ciò che ha forma – la trasformazione è
l’essenza della forma – questa è la ragione per cui l’essere, sia divi-
no sia umano, non può riconoscere diretamente il Brahman che sta
dietro l’apparenza fenomenica.
40
Il termine Yak≤a designa l’Essere supremo, immortale, infni-
to che si manifesta come Essere universale, seme dell’intero dispie-
gamento cosmico comprensivo di tuti i piani dell’esistenza e di tut-
te le possibilità, divine e non. I deva non compresero come il Bra-
hman potesse apparire soto forma di Yak≤a. Si trata di un simboli-
smo che sintetizza il mistero della måyå, o del vivartavåda, la dot-
trina della modifcazione apparente. È il fulcro dell’Advaita: il Bra-
hman non-duale, infnito, eterno e immutabile, si manifesta, atra-
verso il suo stesso potere di måyå – la illimitata possibilità espres-
siva – come l’universo molteplice pur rimanendo identico a se stes-
so e sempre presente come Sostrato cosciente in ogni essere.
41
Agni è deto “Colui che procede a capo” (agragåmin), in rela-
zione a tute le altre divinità, perché è il primo deva a ricevere le
oblazioni nei sacrifci. Jåtavedas è un epiteto per Agni e signifca:
‘Colui che conosce (veda) tuto ciò che è stato generato (jåta)’, e
quindi onnisciente in relazione alla manifestazione.
42
Tradizionalmente si considera la triplice divisione del mondo
in: terra (pÿthivı), spazio intermedio (antarik≤a) e cielo (dyau). Le
tre sfere sono anche in relazione con le tre vyåhÿti o ‘esclamazioni
mistiche’ (bh¥r, bhuvas, svar). La regione intermedia è il regno delle
Note 161

potenzialità espresse dei deva, dimoranti nella sfera superiore (sva-


rga) e, come tale, appartiene anch’essa alla manifestazione univer-
sale transitoria e suscetibile di essere consumata dal Fuoco celeste.

43
Il saetare improvviso (sakÿd) della folgore è sufciente, con il
suo bagliore, a illuminare tuto intorno consentendo di riconoscere
il luogo, anche se ciò si verifca una sola volta. Così l’intuizione del
Brahman è in grado di dissolvere l’oscurità di måyå anche se il suo
lampo subitaneo riluce per un solo istante. L’istantaneità – o me-
glio, l’atemporalità – della presa di coscienza del Brahman viene ri-
marcata da diversi Testi perché è un riconoscimento che, come tale,
non può non essere immediato, totale e defnitivo, sempreché siano
presenti le giuste condizioni di qualifcazione spirituale. Cfr. anche
Bÿ. 5.7.1 e Mai. 7.11. Si noti che la forma vidyutas corrisponde sia
all’ablativo sia al genitivo.

44
Il sådhaka è l’aspirante alla conoscenza che segue una parti-
colare sådhanå o disciplina spirituale articolantesi in vari tipi di
pratica di meditazione, visualizzazione, ecc.

45
Ånandagiri spiega che “.il suo atributo (del Brahman quali-
fcato) nel contesto divino è la capacità di agire in maniera infnita-
mente rapida riguardo alla creazione, ecc. in quanto è assente qual-
siasi impedimento, come il balenare della folgore illumina tuto al-
l’istante”. La sua volontà è ato, senza interposizione di alcun tem-
po o modo. Così continua: “.il Brahman è per natura splendore il-
limitato e compie la manifestazione della totalità in maniera imme-
diata”. Mentre il Brahman inqualifcato (nirgu~a) tratato nei primi
due Kha~ƒa è il Sostrato di qualsiasi contenuto o modifcazione in
quanto pura Coscienza, il Brahman qualifcato (sagu~a) rappresenta
una apparente modifcazione o sovrapposizione a Qello, per cui si
manifesta proprio nella sovrapposizione mentale. Per questo moti-
vo Âa§kara dice: “.poiché ha la mente come sovrapposizione limi-
tante (upådhi), il Brahman sembra essere rivelato proprio dai conte-
nuti mentali” e conclude asserendo: “Esso esprime la proprietà di
manifestarsi in simultaneità con i contenuti della mente”. Si tenga
presente che l’assenza di contenuto relativa al sonno profondo non
162 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

implica l’inesistenza del contenente, ma la mancanza di qualsiasi


sovrapposizione, per cui l’åtman non si manifesta in quanto non si
rifete su alcun oggeto-modifcazione.

46
La denominazione tadvanam rappresenta un uso particolare
del composto nominale che la grammatica esemplifca nella locu-
zione: tatpuru≤a, ‘l’uomo di quello’, ‘il suo uomo’. Così le parole tat
(quello, lui) e vana (venerazione, devozione, adorazione, ecc.) for-
mano: tadvanam, al neutro, che signifca: ‘che ha l’adorazione di
quello’, quindi ‘da lui venerato’, cioè ‘da ognuno venerato’, ossia
caro a ogni essere vivente in quanto åtman proprio di ciascuno. Si
veda anche la nota 113.

47
Un mezzo o fatore complementare (sahakåri) è un elemento
non facente parte integrante e necessaria di una cosa, ma susceti-
bile di essere combinato con quella allo scopo di perfezionarne o
completarne il risultato; una parte integrante (Ÿe≤a) rappresenta in-
vece qualcosa di necessariamente appartenente per natura all’og-
geto in esame e quindi non separabile da quello.
48
Cfr. Chå. 8.7-12. Tradizionalmente si considera che i costi-
tuenti del composto individuato sono modifcazioni (vÿti) degli at-
tributi-qualità principiali (gu~a). Così il corpo fsico è associato al
tamas, la sfera energetica al rajas e quella mentale al satva. L’indi-
vidualità veicolare nel suo complesso è il ritultato di una commi-
stione-interazione dei tre che riposa nella pura Coscienza (åtman)
di cui quelli sono una successiva apparente modifcazione.
49
Così si esprime il Signore Kÿ≤~a nell’intero passo: «Umiltà,
innocenza, inofensività, tolleranza, retitudine, rispeto per l’Istrut-
tore, purezza, costanza, totale controllo di sé, distacco nei confronti
degli oggeti sensoriali e assenza dello stesso senso dell’io, conside-
razione del male insito in nascita, morte, vecchiaia, malatia e sofe-
renza; non-aderenza, assenza di ataccamento morboso verso il f-
glio, il coniuge, la casa, ecc., e una costante equanimità mentale ne-
gli eventi desiderati e non desiderati e verso di Me, grazie allo yoga
Note 163

della non-alterità, una devozione non soggeta a distrazione, unio-


ne esclusiva, la ricerca di luoghi perfetamente isolati, il disgusto
verso il consesso degli uomini, costanza nella conoscenza dell’a-
dhyåtman e visione dello scopo della conoscenza della essenza:
[tuto] ciò è proclamato conoscenza, [mentre viene deto] ignoran-
za ciò che rispeto a essa è opposto» (Bha. Gı. 13.7-11).
50
Le sei scienze ausiliarie, o membra secondarie dei Veda (vedå-
§ga), sono: la scienza della pronuncia (Ÿık≤å), quella dei metri poeti-
ci (chandas), quella della etimologia (nirukta), la grammatica (vyå-
kara~a), l’astronomia (jyoti≤a) e la scienza del cerimoniale (kalpa).
51
Âa§kara dà inizio al secondo Bhå≤ya riassumendo la condizio-
ne corrispondente a meditazione formale e atività rituale. Si torni
alla nota 1.
52
L’espressione: påradarŸinas può essere intesa anche come:
‘coloro che guardano all’altra sponda’, cioè quella della liberazione,
o della realtà al di là del mondo fenomenico.
53
Una natura è sempre e non cambia mai, quindi è anche al di
là della forma perché questa è soggeta a nascita, mutamento e di-
struzione. Si può pensare la forma come un aspeto istantaneo, li-
mitato e causalmente condizionato della essenza costante, immuta-
bile e incausata. Cfr. Må. 3.21.
54
Il termine: ananyatva, let. ‘non-alterità’, implica la non-di-
stinzione e, quindi, a monte di questa, la non-dualità (advaita), cioè
l’assenza di un qualsiasi secondo – un altro (anya) – in relazione al-
l’åtman.
55
Si torni alla nota 10.
56
Un’atività efetivamente esplicata comporta sempre una
modifcazione nello stato del soggeto; anche il solo agire rende
questo agente, mentre torna a essere non-agente cessata l’azione.
164 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

Poiché, inoltre, un’azione necessita di un soggeto che segue una


volizione, cioè porta in ato una tensione pregeneratasi, poi di un
mezzo e quindi di un fruto allo scopo del quale l’azione viene com-
piuta, in sostanza della dualità, si parla genericamente di ‘atività
modifcante’ (vikriyå) per qualsiasi ato a qualsiasi piano. L’åtman,
che è senza-dualità ed è pura Coscienza, non ha rapporto con alcu-
na atività modifcante.
57
Si allude al soggeto percipiente individuato, l’‘io empirico’
sensoriale. È uno degli aspeti della mente, quello che si presenta
come ‘fatore egoico’ (ahaµkåra), per cui fa sempre parte degli or-
gani – la mente è l’organo interno (anta¢kara~a) – ed è quindi, un
veicolo-strumento. Poiché nel sonno profondo, nella meditazione o
in altri stati esso scompare venendo riassorbito, la sua esistenza
non è costante e rappresenta quindi un semplice dato relativo.
58
Si trata qui del Testimone (såk≤in) della mente nella sua inte-
gralità come anche degli altri veicoli e delle loro funzioni e perce-
zioni, dunque dell’åtman il quale è sempre presente come pura Co-
scienza. La percezione (upalabdhi), intesa in senso lato e non solo a
livello sensorio, è la capacità di percepire che appartiene a Colui
che percepisce (upalabdhÿtva) e si identifca con una natura di Con-
sapevolezza (cit, caitanya). Diversamente si avrebbe una regressio-
ne senza fne e la necessità di postulare comunque un Soggeto
avulso dalla mera strumentalità percetiva e testimone della regres-
sione stessa. La ‘percezione’ è ‘consapevolezza’ in quanto capacità
di percepire.
59
La Coscienza dell’åtman è per la mente ciò che è il calore del
fuoco per l’acqua.
60
La duplice specifcazione concerne la natura intrinseca del-
l’åtman quale Coscienza immobile e immutabile e la sua funzione
di ativatore della mente e degli altri organi. L’una segue all’altra,
cosicché l’åtman appare ativo pur essendo privo di atività.
61
Si ricorda che la mente è l’‘organo interno’ ed è quindi un
veicolo-strumento al pari degli altri. Si torni alla nota 9.
Note 165

62
La ‘funzione’ (pravÿti) in questo caso è quella di sollecitare e
dirigere la mente rimanendone al di là.
63
Si avrebbe anche una regressione senza fne.
64
Per l’avversario la contraddizione è rivelata dalla condizione
di non-conoscenza dell’åtman: se l’åtman è conoscenza, come è pos-
sibile che sia non-conosciuto?
65
Un ipotetico oppositore, basandosi su passi come: «Qello
conobbe soltanto sé stesso» (Bÿ. 1.4.10), potrebbe sostenere che l’å-
tman è presentato dalla stessa Âruti sia come soggeto che come og-
geto di conoscenza, per cui o si conclude che la Âruti è in autocon-
traddizione, o si deve immaginare una natura composita, e quindi
impermanente, nell’åtman.
Il ‘non conoscere’ l’åtman implica la coesistenza di una cono-
scenza autentica – quella del soggeto-åtman – e di una conoscenza
diforme – quella che non arriva a conoscerlo – e se le due si mani-
festano in contemporaneità nell’åtman, ciò rappresenta una con-
traddizione in termini.
66
Si allude al rifesso infnitesimo e puntiforme dell’åtman, cioè
al suo rifesso incarnato come essere vivente, il jıva, deto anche jı-
våtman, il sé vivente, il quale, a causa del proprio fardello karmico
sostenuto da una condizione di assoggetamento all’avidyå, si iden-
tifca con la propria condizione di autoindividuazione e con i veico-
li che ha atrato e condensato atorno al proprio centro di autoco-
scienza.
67
È bene precisare che tra åtman reale e åtman identifcato con
la mente, ecc. – cioè il jıva o jıvåtman – non c’è contrapposizione,
né diferenza, né dualità: nell’åtman, che è non-duale, non c’è real-
mente nessun ‘altro’ åtman. È il medesimo e unico åtman che ap-
pare, per virtù di måyå, soto l’aspeto rifesso di molti åtman che si
identifcano ai veicoli; va comunque ricordato che la soggezione a
tale condizione sovrapposta pertiene solo a colui che è immerso
nella ignoranza della propria natura.
166 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

68
Va considerato che tali ‘diverse condizioni’ ineriscono al sog-
geto percipiente individuato, quello appunto identifcato con l’io
empirico, e non sono reali né possono porsi sul medesimo piano
degli enti (fuoco, sole, ecc.) di cui velano di volta in volta la natura.
69
Il conosciuto defnisce la sfera oggetuale relativa al piano
esteriore-empirico e quindi l’esperienza-percezione nello stato di
veglia e quella relativa al piano interiore-onirico e quindi l’espe-
rienza-percezione nello stato di sogno, cioè il manifestato (vyakta)
o il formale (m¥rta); il non-conosciuto defnisce il piano causale in-
diferenziato nel quale non si ha alcuna esperienza-percezione in
quanto è assente il conoscibile ma non il conoscitore, per cui corri-
sponde allo stato di sonno profondo, cioè l’Immanifesto (avyakta) o
il Non-formale (am¥rta).
Da un altro punto di vista il conosciuto corrisponde alla dualità
e il non-conosciuto all’unità indistinta e, come spiega Âa§kara, ri-
spetivamente all’efeto e alla causa nell’ordine individuale e anche
in quello universale. Poiché il Brahman-åtman è non-duale, Qello
è al di là di entrambi, del causato (mondo) e del Causante (Signore,
ÙŸvara). È in questo senso che l’åtman è il Testimone sia della cono-
scenza (dualità) che della non-conoscenza (unità).
70
Il Brahman non può essere oggeto di accetazione né di rifu-
to perché non costituisce un oggeto ma la natura stessa di colui
che acceta o rifuta. Essendo non-duale (advaya), non vi è alcun
‘secondo’ distinto da Qello. Inoltre non può nemmeno scindersi in
soggeto e oggeto pena il contravvenire alla natura non-duale e la
conseguente natura fnita dell’uno e dell’altro, dato che due infniti
non possono coesistere. Per lo stesso motivo non può nemmeno di-
venire oggeto per un altro ente.
71
Il Brahman-åtman è la causa fondante della parola, ossia della
defnizione. Se la molteplicità formale è efeto della proiezione del
nome (cfr. Chå. 6.1.4), tale sovrapposizione necessita di un Sostrato
libero da nome e forma, essenziato di non-diferenziazione, conti-
nuità e acausalità, nonché privo di qualifcazione: in sostanza, non-
duale.
Note 167

72
L’espressione: ‘piccolo spazio’ (dahara) designa simbolica-
mente lo ‘spazio all’interno’, il nucleo di autocoscienza che è il cuo-
re spirituale dell’essere, vale a dire il rifesso infnitesimo dell’å-
tman come jıva.

73
Cioè il suo rifesso come jıva e il suo aspeto qualifcato come
Brahman sagu~a, cioè l’Essere qualifcato universale, causa prima
dell’universo-efeto.

74
La triplice nozione (pratyayatraya) è l’argomento della prima
domanda (1.1), in cui si cerca di stabilire il soggeto cosciente e
avulso dal movimento mentale a cui è imputabile il triplice fato di:
‘sollecitare’ la mente, ‘dirigere’ la mente verso un dato oggeto e
causare il ‘cadere’ della mente sull’oggeto. In altre parole si vuole
svelare quella Coscienza che vitalizza la sostanza mentale, la im-
pulsa al moto verso un oggeto e la proieta su quello facendole as-
sumerne la forma.

75
Il triplice ato compiuto sulla mente: formarsi, dirigersi verso
un oggeto e conformarsi ad esso, è dovuto a una causa impulsante
unica. Riconosciuta questa, si comprende l’intero processo forman-
te, direzionante e identifcante della mente.

76
La parola aha (certamente) che compare qui è confermata dal
commento alle sentenze. Più avanti nel corso del commento e nel
testo della versione corredata dal commento alle parole (padabhå-
≤ya) è riportata come: aham (io). Si trata di una possibilità inter-
pretativa tradizionale evidenziata da Âa§kara.

77
La prima è che il discepolo conosce solo un aspeto limitato
dell’åtman-Brahman, cioè il jıva o il Brahman sagu~a; la seconda è
che, pertanto, deve ancora meditare su Qello.

78
Qi nel testo del commento compare nuovamente la forma
aham (io).
168 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

79
L’oggeto della conoscenza ordinaria, poiché esiste in manife-
stazione, è sotoposto a nascita, mutamento e cessazione. Qeste
fasi determinano la sua conoscibilità. Ciò che non nasce, non muta
e non cessa non può costituire oggeto mancando qualsiasi relazio-
nabilità, variazione e defnibilità. L’atività modifcante (vikriyå) è
ciò che rende conoscibile come ‘entità’ quello che si presenta come
‘variazione’ e questa, come confermano le Scriture, è solo il risul-
tato di un ato della mente che opera proietando una separazione
distintiva. Si torni alla nota 69.

80
Cfr. L’opera di Âa§kara Pañcıkara~am: 6.

81
Lo conferma anche la frase: “.né [può afermare che] non
[lo] conosce, e [neppure che lo] conosce”.

82
Kapila è il codifcatore del darŸana Såµkhya; Ka~abhug
(Ka~åda) il codifcatore del darŸana VaiŸe≤ika. Entrambi pongono la
realtà al di là del piano meramente fenomenico, sia pur con le do-
vute diferenze. Nel Såµkhya la realtà è assimilata al Puru≤a, lo Spi-
rito cosciente universale, contrapposto alla natura sostanziale deta
Prakÿti. Nel VaiŸe≤ika le categorie (padårtha) da cui deriva la quali-
fcazione (viŸe≤a) della entità singola formano una rete che impri-
giona l’essere. In entrambi i darŸana, come negli altri, l’insegna-
mento è vòlto a liberare la coscienza dell’essere individuato dal
condizionamento del piano relativo.

83
Poiché la conoscenza erronea o diforme si basa sulla igno-
ranza o non-conoscenza, si dice che questa è la causa di quella. Si-
milmente il manifestato è efeto di quella causa che è il non-mani-
festato, nel quale è racchiuso come possibilità. Poiché il Brahman è
al di là di causa ed efeto, quindi del manifestato e del non-manife-
stato, qualsiasi assimilazione di Qello a ciò che appartiene a questi
piani è dovuto a una errata sovrapposizione fondata sulla ignoran-
za della sua natura. Si torni alla nota 69.
Note 169

84
Ciò che è sovrapposizione non è altro dal sostrato, perché so-
stanziato di quello. L’onda, modifcazione sovrapposta al mare, è
acqua. Così il riconoscere qualsiasi contenuto mentale come una
proiezione sostanziata di coscienza e sullo sfondo della pura Co-
scienza da un lato annulla ogni possibilità di movimento ativo e
reativo e di identifcazione con loro, dall’altro ristabilisce il sogget-
to nel proprio naturale stato di åtman, il Testimone per eccellenza.
In altre parole, l’immagine nella mente non è altro che la coscienza
stessa dell’åtman che ha apparentemente assunto quella forma.
Tale presa di consapevolezza, estesa a tuti i contenuti e a tuti i
veicoli insieme con le loro condizioni, costituisce un potente mezzo
realizzativo, un vero e proprio strumento con cui varcare (dvårin)
la soglia della non-conoscenza.

85
L’immortalità è la natura stessa dell’åtman, per cui il suo con-
seguimento va di pari passo con lo svelarsi della conoscenza del-
l’åtman. La radice verbale vid, da cui la voce: vindate, ha anche il
senso di ‘recuperare’. Conseguire l’immortalità è recuperare la pie-
na consapevolezza della propria natura immortale, che è sempre
presente e atuale.

86
L’espressione: svapnapratibodhavadyadviditam può anche es-
sere interpretata nel senso: ‘che è realizzato in quanto conosciuto
come nel sogno’, cioè in modo confuso e indeterminato.

87
‘Risveglio totale’ e ‘perfeta consapevolezza’, da cui la perva-
sione di ogni stato di coscienza. Si torni anche alla nota 26.

88
La percezione ripetuta, reiterata o varia può concernere un
oggeto o uno stato relativo, ma la realizzazione dell’åtman implica
lo svelamento di una identità. Ciò comporta un riconoscere che di-
sperde istantaneamente e defnitivamente ogni errata conoscenza
al riguardo e anche la non-conoscenza. È la presa di consapevolez-
za che risolve il dubbio e l’ignoranza in quanto svela la propria na-
tura di åtman.
170 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

89
La calma e le altre virtù mentali costituiscono un necessario
requisito per la realizzazione. Esse sono: calma mentale (Ÿama), au-
todominio (dama), propensione al raccoglimento (uparati), pazien-
za perseverante (titik≤å), fede nell’insegnamento, nelle Scriture e
nel Maestro (Ÿraddhå) e stabilità mentale nella contemplazione (sa-
mådhåna). Oltre a queste si richiedono: la discriminazione (viveka)
tra reale e non-reale, la spassionatezza (vairågya) nell’agire fnaliz-
zato a un fruto e la ferma volontà di emanciparsi dal divenire (mu-
muk≤utå). Cfr. l’opera di Âa§kara Vivekac¥ƒåma~i.

90
Âa§kara accenna alla scomparsa del Brahman-Yak≤a dalla vi-
sta di Indra quale si legge in 3.11.

91
Come sempre nei suoi commentari, Âa§kara si riferisce al
Brahman con il termine: ‘Signore’ (ÙŸvara), né traccia esplicitamen-
te una distinzione tra Brahman supremo e non-supremo perché
dalla sua visuale non-dualista quest’ultimo è solo un aspeto di
Qello, con il quale è identifcato a livello di realtà-essenza. L’a-
speto da considerarsi di volta in volta concerne il piano di espe-
rienza e, quindi, il grado o la capacità di comprensione di colui che
medita su Qello.

92
Un ipotetico oppositore potrebbe sostenere la tesi secondo
cui, se il Brahman è puro Essere, quindi non-agente diretamente,
l’universo composito deve essere prodoto da qualche altra entità e,
poiché nessun altro ente esiste all’infuori di Qello, ne consegue
che l’universo deriverebbe solo dall’azione. Qesta tesi è sostenuta
da scuole non-ortodosse dedite a un ritualismo dogmatico che pre-
clude ogni possibilità di trascendenza.

93
L’azione dipende dall’agente, dallo strumento, dalla sostanza
e dalla condizione: sono tuti fatori coefcienti e, quindi, semplici
mezzi singolarmente incapaci di dar luogo a un risultato compiuto.
94
La varietà di condizioni, mezzi, ecc. è determinata dall’azione
e questa dalle istanze preesistenti. La concatenazione è indefnita e
Note 171

commensurata alle dimensionalità spazio-tempo-causali in cui l’en-


te svolge la propria atività-esperienza. Molteplici gli enti, moltepli-
ci le azioni e i risultati; ma l’ato generale che coinvolge l’universo
non è un’azione nel senso ordinario del termine, quanto una proie-
zione da parte del Signore che, pertanto, non si pone come il sog-
geto agente individuato (jıva). In altre parole il Signore è la Causa
incausata e causante del mondo, mentre il jıva agisce tra causa ed
efeto.

95
È la legge del determinismo causale o, per dirla con le Upa-
ni≤ad, del karman. Ogni ato identifcato, cioè compiuto nella iden-
tifcazione al ruolo di soggeto che esplica una data volizione, è ef-
feto e causa a sua volta di un altro e successivo ato, e così via in
una concatenazione senza fne. Qale la volontà, tale l’azione – re-
cita una Upani≤ad – e quale l’ato, tale il fruto. L’agente è egli stes-
so causa del proprio assoggetamento al divenire e l’assegnazione
dei fruti atribuita al Signore esprime solo la necessità di un efeto
qualora ne sia stata promossa la causa tenendo conto della sfera di
esistenza dell’ente individuato. D’altronde nessun ente, in quanto
parte integrante di un tuto-intero, può sotrarsi alla legge di equili-
brio-armonia in cui si esprime la coesività propria dell’unità tra-
scendente. In altre parole, l’essere individuato – anche nell’ordine
universale – si muove coscienzialmente tra causa ed efeto fn
quando non sono risolti entrambi.

96
L’ipotetico oppositore vuole dimostrare che la natura del
fruto dipende esclusivamente dalla natura dell’ato.

97
Operando nel visibile, il risultato sarà parimenti visibile. Si è
deto che quale la natura dell’ato, tale quella del fruto. Viceversa,
l’ato sacrifcale, ecc., proietandosi al di là di spazio e tempo, porta
un fruto non necessariamente percepibile diretamente nella me-
desima condizione di esistenza in cui è stato compiuto.

98
Il Brahman, anche nel suo aspeto sagu~a, non è diretamente
il conferitore del fruto dell’azione, ma Colui che, costituendo l’U-
172 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

nità sotostante alla molteplicità del divenire, rappresenta un Prin-


cipio di coesione-armonia che si esplica nella legge del determini-
smo causale. Il ruolo di assegnatore dei fruti dell’operato gli viene
sovrapposto dalla visuale individuale e afeta da måyå, perché
Qello, si è deto, è oltre qualsiasi rapporto.

99
Condizioni coscienziali diverse determinano, pur nella mede-
sima modalità di azione, fruti anch’essi diferenti.

100
Dunque il Brahman nel suo aspeto sagu~a, ossia come ÙŸva-
ra, viene considerato il conferitore del fruto dell’azione, mentre
nella sua vera natura di nirgu~a è solo il Testimone. ÙŸvara rappre-
senta così il Principio causale, da cui discende il rapporto causa-ef-
feto che si sviluppa nel mondo manifesto; invece il Brahman, avul-
so da qualsiasi relazionabilità e defnizione, è Qello sul quale si
staglia la infnita possibilità di essere sia dell’efeto (universo) sia
della causa (Ù©vara).

101
Il fruto che il contadino raccoglie non dipende dalla sola
terra ma principalmente dalla sua azione consapevole. Così la Pra-
kÿti in cui si svolge l’agire umano, e quindi la måyå nella sua inte-
gralità diveniente, non è la causa direta del fruto, ma il terreno
esistenziale nel quale l’ente conscio agisce e raccoglie il fruto del
proprio agire.

102
Anche un’altra Upani≤ad dice: «Otiene [solo di passare] da
morte a morte colui il quale qui vede come se vi fosse molteplicità»
(Ka. 2.1.10).

103
Si intende la conoscenza duale fondata sul rapporto sogget-
to-oggeto, di cui la percezione sensoriale, come la proiezione men-
tale, ecc. è un aspeto.

104
Conoscenza, capacità e azione del jıva, che si presentano
molteplicemente in funzione dei singoli esseri, sono un rifesso inf-
nitesimo di jñåna-Ÿakti-karman propri di ÙŸvara e, rappresentando
Note 173

la molteplicità potenzialmente contenuta nell’Unità, esprimono un


aspeto fnito della stessa terna universale. Tale frammentazione,
però, non è reale ma sovrapposta, per ignoranza, al Sostrato. Rea-
lizzata la Conoscenza, questa molteplicità diferenziante si risolve
cessando di manifestarsi e il Brahman si svela nella sua natura di
Non-dualità, riassorbendo, quindi, lo stesso ÙŸvara quale unità-pos-
sibilità universale.

105
Una ipotetica natura del mondo separata rispeto al Signore
non è ammissibile perché, quando la måyå-avidyå viene risolta dal-
la conoscenza, tale dualismo scompare. Qesta visione risponde
alla concezione dei dualisti (Såµkhya e altri), per i quali la dualità
Puru≤a-Prakÿti è reale ed eterna. L’Advaita sostiene invece che, non
essendovi una causa per la dualità – in quanto la causa stessa por-
rebbe un rapporto duale con l’efeto – questa è apparente in quan-
to fruto di proiezione su un substrato di ignoranza che poi è an-
ch’essa sovrapposta alla pura e reale Conoscenza non-duale.

106
A Qello che è privo di qualità si sovrappongono qualità pro-
venienti dalla percezione e dalla esperienza ordinarie e non create
dal nulla. Qale lo stato di coscienza, tale il grado di comprensione
e, inversamente, di sovrapposizione del non-reale al reale.

107
Ciò si comprende dalla dotrina advaita racchiusa nell’ajåti-
våda di Gauƒapåda che, in sintesi, può esprimersi come: ‘poiché la
dualità non ha ragione di essere, la sola realtà è la Non-dualità’. Cfr.
Må~ƒ¥kya Upani≤ad, con Kårikå di Gauƒapåda e Bhå≤ya di Âa§kara.

108
Nell’åtman non vi è né schiavitù né liberazione perché è pri-
vo di secondo; così i conceti di schiavitù e liberazione si riferisco-
no al jıva, cioè al rifesso individuato dell’åtman, che ignora la pro-
pria vera natura pensandosi individuo legato ai veicoli e alle loro
condizioni.

109
Benché in un primo momento Indra rimanesse perplesso allo
scomparire del Brahman alla sua vista, poi, proprio grazie a tale
174 Kena Upani≤ad con i due Commenti di Âa√kara

evento, egli dovete riconoscere in Yak≤a l’Essere supremo e non-


qualifcato: il mancato incontro sul piano della percezione ha una
importanza decisiva nello stimolare al riconoscimento della Realtà
priva di atributi e dotata di infnita possibilità, Qello che dà la
possibilità di essere all’Uno (ÙŸvara) e al tuto (universo).
110
Per la forma prathama¢ (singolare) in luogo di prathamå¢
(plurale) cfr. il Padabhå≤ya di Âa§kara al medesimo verso.
111
La mente, quale modifcazione di coscienza (citavÿti), è un
semplice veicolo che, a prescindere da una coscienza che la vivifca
e impulsa al moto proietivo, non possiede di per sé capacità di
azione, movimento, proiezione, percezione, ecc. Proprio tale sua
natura suscita la serie dei quesiti posti in 1.1.
112
Ovviamente non si intende che il Brahman è la mente o che
la mente è il Brahman: la mente come tale non può comprendere il
Brahman perché è uno degli indefniti stati della coscienza brahma-
nica, precisamente uno stato caraterizzato da un insieme di modi-
fcazioni (vÿti) della sostanza mentale (cita). Qesta, a sua volta,
esprime un grado di cristallizzazione – propriamente espresso dal
sufsso -ta – della Coscienza (cit), la quale, soltanto, è, nella sua na-
tura assoluta e non-duale, il Brahman. Qi si dice che ‘il Brahman è
il pensiero stesso del Brahman’ nel senso che anche una modifca-
zione mentale, qual è, appunto, il pensiero proietato del Brahman,
non si distingue in natura dalla brahmanica Coscienza priva di dua-
lità e, pertanto, può fungere da tramite per realizzare Qello.
113
Si torni al Commento allo stesso verso nel Padabhå≤ya di
Âa§kara e alla nota 46. L’appellativo tadvanam può anche essere in-
terpretato, più genericamente, come: ‘Qello [degno di] venera-
zione’, ‘Colui al quale si deve portare venerazione’.
114
Merito e demerito sono entrambi considerati ‘errore’ in
quanto, essendo causa di ataccamento o distacco, favoriscono la
identifcazione della coscienza (jıva) al soggeto che ne sperimenta i
fruti.
TESTO SANSCRITO
såmavedıyatalavakåraŸåkhıyå

kenopani≤at

Ÿå§karapadabhå≤yopetå

om | saha nåvavatu | saha nau bhunaktu | saha vıryaµ


karavåvahai | tejasvinåvadhıtamastu | må vidvi≤åvahai ||

oµ Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢

åpyåyantu mamå§gåni våkprå~aŸcak≤u¢ Ÿrotramatho ba-


lamindriyå~i ca sarvå~i | sarvaµ brahmopani≤adaµ må
’haµ brahma niråkuryåµ må må brahma niråkarodanirå-
kara~amastvaniråkaraµ me ’stu | tadåtmani nirate ya u-
pani≤atsu dharmåste mayi santu te mayi santu |•

om Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢


atha ©å√karopodghåta¢

kene≤itamityådyopani≤atparabrahmavi≤ayå vaktavyeti navama-


syådhyåyasyå ’’rambha¢ | prågetasmåtkarmå~yaŸe≤ata¢ parisamå-
pitåni samastakarmåŸrayabh¥tasya ca prå~asyopåsanånyuktåni ka-
rmå§gasåmavi≤ayå~i ca | anantaraµ ca gåyatrasåmavi≤ayaµ darŸa-
naµ vaµŸåntamuktaµ kåryaµ sarvametadyathoktaµ karma ca
jñånaµ ca samyaganu≤†hitaµ ni≤kåmasya mumuk≤o¢ satvaŸu-
ddhyarthaµ ca bhavati | sakåmasya tu jñånarahitasya kevalåni
Ÿrautåni smårtåni ca karmå~i dak≤i~amårgapratipataye punaråvÿ-
taye ca bhavanti | svåbhåvikyå tvaŸåstrıyayå pravÿtyå paŸvådi-
sthåvaråntå ’dhogati¢ syåt | “athaitayo¢ pathorna katare~acana tå-
nımåni k≤udrå~yasakÿdåvartıni bh¥tåni bhavanti | jayasva mriya-
svetyetatÿtıyaµ sthånam” iti | “prajå ha tisro atyåyamıyu¢” iti ma-
ntravar~ådviŸuddhasatvasya tu ni≤kåmasyaiva båhyådanityåtså-
dhyasådhanasambandhådiha kÿtåtp¥rvakÿtådvå saµskåraviŸe≤o-
dbhavådviraktasya pratyagåtmavi≤ayå jijñåså pravartate | tadeta-
dvastu praŸnaprativacanalak≤a~ayå Ÿrutyå pradarŸyate kene≤itami-
tyådyayå | kå†hake coktam – “paråñci khåni vyatÿ~atsvayambh¥ta-
stasmåtparå§paŸyati nåntaråtman | kaŸciddhıra¢ pratyagåtmåna-
maik≤adåvÿtacak≤uramÿtatvamicchan” ityådi | “parık≤yalokånka-
rmacitånbråhma~o nirvedamåyånnåstyakÿta¢ kÿtena | tadvijñånå-
rthaµ sa gurumevåbhigacchetsamitpå~i¢ Ÿrotriyaµ brahmani-
≤†ham” ityådyatharva~e ca | evaµ hi viraktasya pratyagåtmavi≤a-
yaµ vijñånaµ Ÿrotuµ mantuµ vijñåtuµ ca såmarthyamupapadya-
te nånyathå | etasmåcca pratyagåtmabrahmavijñånåtsaµsårabıja-
majñånaµ kåmakarmapravÿtikåra~amaŸe≤ato nivartate | “tatra ko
moha¢ ka¢ Ÿoka ekatvamanupaŸyata¢” iti mantravar~åt | “tarati
Ÿokamåtmavit” iti | “bhidyate hÿdayagranthiŸchidyantesarvasaµŸa-
yå¢ | k≤ıyante cåsya karmå~i tasmindÿ≤†e paråvare” (mu. 2.2.8) i-
tyådiŸrutibhyaŸca || karmasahitådapi jñånådetatsidhyatıti cenna |
våjasaneyake tasyånyakåra~atvavacanåt | “jåyå me syåt” iti prastu-
180 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå

tya “putre~åyaµ loko jayyo nånyena karma~å | karma~å pitÿloko


vidyayå devaloka¢” ityåtmano ’nyasya lokatrayasya kåra~atvamu-
ktaµ våjasaneyake | tatraiva ca pårivråjyavidhåne heturukta¢ –
“kiµ prajayå kari≤yåmo ye≤åµ no ’yamåtmå ’yaµ loka¢” iti | tatrå-
yaµ hetvartha¢ – prajåkarmatatsaµyuktavidyåbhirmanu≤yapitÿde-
valokatrayasådhanairanåtmalokapratipatikåra~ai¢ kiµ kari≤yå-
mo na cåsmåkaµ lokatrayamanityaµ sådhanasådhyami≤†aµ ye≤å-
masmåkaµ svåbhåviko ’jo ’jaro ’mÿto ’bhayo na vardhate karma~å
no kanıyånnityaŸca loka i≤†a¢ | sa ca nityatvånnåvidyånivÿtivyati-
reke~ånyasådhanani≤pådya¢ | tasmåtpratyagåtmabrahmavijñåna-
p¥rvaka¢ sarvai≤a~åsaµnyåsa eva kartavya iti | karmasahabhåvi-
tvavirodhåcca pratyagåtmabrahmavijñånasya | na hyupåtakåraka-
phalabhedavijñånena karma~å pratyastamitasarvabhedadarŸanasya
pratyagåtmabrahmavi≤ayasya sahabhåvitvamupapadyate | vastuprå-
dhånye satyapuru≤atantratvådbrahmavijñånasya || tasmåddÿ≤†ådÿ-
≤†ebhyo båhyasådhanasådhyebhyo viraktasya pratyagåtmavi≤ayå
brahmajijñåseyaµ kene≤itamityådiŸrutyå pradarŸyate | Ÿi≤yåcårya-
praŸnaprativacanar¥pe~a kathanaµ tu s¥k≤mavastuvi≤ayatvåtsu-
khapratipatikåra~aµ bhavati | kevalatarkågamyatvaµ ca darŸi-
taµ bhavati | “nai≤å tarke~a matiråpaneyå” iti ŸruteŸca | “åcåryavå-
npuru≤o veda” “åcåryåddhaiva vidyåviditå sådhi≤†haµ prapat” iti |
“tadviddhi prå~ipatena” ityådiŸrutismÿtiniyamåcca | kaŸcidguruµ
brahmani≤†haµ vidhivadupetya pratyagåtmavi≤ayådanyatra Ÿara-
~amapaŸyannabhayaµ nityaµ Ÿivamacalamicchanpapraccheti ka-
lpyate ||

iti ©å√karopodghåta¢
atha prathama¢ kha~ƒa¢

oµ kene≤itaµ patati pre≤itaµ mana¢ kena prå~a¢ prathama¢


praiti yukta¢ | kene≤itåµ våcamimåµ vadanti cak≤u¢ Ÿrotraµ ka u
devo yunakti || 1.1 ||

kene≤itamiti kena kartre≤itami≤†amabhipretaµ sanmana¢ pata-


ti gacchati svavi≤ayaµ pratıti sambadhyate | i≤eråbhık≤~yårthasya
gatyarthasya cehasambhavådicchårthasyaivaitadr¥pamiti gamyate |
i≤itamitı†prayogastu cchåndasa¢ tasyaiva prap¥rvasya niyogårthe
pre≤itamityetat | tatra pre≤itamityevokte pre≤ayitÿpre≤a~aviŸe≤avi-
≤ayåkå§k≤å syåt | kena pre≤ayitÿviŸe≤e~a kıdÿŸaµ vå pre≤a~amiti |
i≤itamiti tu viŸe≤a~e sati tadubhayaµ nivartate kasyecchåmåtre~a
pre≤itamityarthaviŸe≤anirdhåra~åt | yadye≤o ’rtho ’bhipreta¢ syå-
tkene≤itamityetåvataiva siddhatvåtpre≤itamiti na vaktavyam | api
ca Ÿabdådhikyådarthådhikyaµ yuktamitıcchayå karma~å våcå vå
kena pre≤itamityarthaviŸe≤o ’vagantuµ yukta¢ | na | praŸnasåma-
rthyåt | dehådisa§ghåtådanityåtkarmakåryådvirakto ’to ’nyatk¥†a-
sthaµ nityaµ vastu bubhutsamåna¢ pÿcchatıti såmarthyådupapa-
dyate | itarathecchåvåkkarmabhirdehådisa§ghåtasya prerayitÿtvaµ
prasiddhamiti praŸno ’narthaka eva syåt | evamapi pre≤itaŸabda-
syårtho na pradarŸita eva | na | saµŸayavato ’yaµ praŸna iti pre≤i-
taŸabdasyårthaviŸe≤a upapadyate | kiµ yathåprasiddhameva kårya-
kara~asa§ghåtasya pre≤ayitÿtvaµ kiµ vå sa§ghåtavyatiriktasya
svatantrasyecchåmåtre~aiva manaådipre≤ayitÿtvamityasyårthasya
pradarŸanårthaµ kene≤itaµ patati pre≤itaµ mana iti viŸe≤a~adva-
yamupapadyate | nanu svatantraµ mana¢ svavi≤aye svayaµ pata-
tıti prasiddham | tatra kathaµ praŸna upapadyata iti | ucyate | ya-
di svatantraµ mana¢ pravÿtinivÿtivi≤aye syåtarhi sarvasyåni≤†a-
cintanaµ na syådanarthaµ ca jånansa§kalpayati | atyugradu¢khe
ca kårye våryamå~amapi pravartata eva manastasmådyukta eva
kene≤itamityådipraŸna¢ | kena prå~o yukto niyukta¢ prerita¢ sa-
182 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 1.1

npraiti gacchati svavyåpåraµ prati | prathama iti prå~aviŸe≤a~aµ


syåtatp¥rvakatvåtsarvendriyapravÿtınåm | kene≤itåµ våcamimåµ
Ÿabdalak≤a~åµ vadanti laukikå¢ | tathå cak≤u¢ Ÿrotraµ ca sve sve
vi≤aye ka u devo dyotanavånyunakti niyu§kte prerayati ||

Ÿrotrasya Ÿrotraµ manaso mano yadvåco ha våcaµ sa u prå~a-


sya prå~aŸcak≤u≤aŸcak≤u¢ | atimucya dhırå¢ pretyåsmållokådamÿtå
bhavanti || 1.2 ||

evaµ pÿ≤†avate yogyåyå ’’ha guru¢ – Ÿÿ~u tvaµ yatpÿcchasi


manaådikara~ajåtasya ko deva¢ svavi≤ayaµ prati prerayitå ka-
thåµ vå prerayatıti | Ÿrotrasya Ÿrotraµ Ÿÿ~otyaneneti Ÿrotraµ Ÿra-
va~aµ Ÿabdasya prati kara~aµ Ÿabdåbhivyañjakaµ Ÿrotramindri-
yaµ tasya Ÿrotraµ sa yastvayå pÿ≤†aŸcak≤u¢ Ÿrotraµ ka u devo yu-
naktıti | asåvevaµviŸi≤†a¢ Ÿrotrådıni niyu§kta iti vaktavye nanve-
tadananur¥paµ prativacanaµ Ÿrotrasya Ÿrotramiti | nai≤a do≤a¢ |
tasyånyathå viŸe≤ånavagamåt | yadi hi Ÿrotrådivyåpåravyatirikte-
na svavyåpåre~a viŸi≤†a¢ Ÿrotrådiniyoktå ’vagamyeta dåtrådiprayo-
ktÿvatadedamananur¥paµ prativacanaµ syåt | na tviha Ÿrotrådı-
nåµ prayoktå svavyåpåraviŸi≤†o lavitrådivadadhigamyate – Ÿrotrå-
dınåmeva tu saµhatånåµ vyåpåre~å ’’locanasa§kalpådhyavasåya-
lak≤a~ena phalåvasånali§genåvagamyate – asti hi Ÿrotrådibhira-
saµhato yatprayojanaprayukta¢ Ÿrotrådikalåpo gÿhådivaditi saµ-
hatånåµ parårthatvådavagamyate Ÿrotrådınåµ prayoktå | tasmåda-
nur¥pamevedaµ prativacanaµ Ÿrotrasya Ÿrotramityådi | ka¢ puna-
ratra padårtha¢ Ÿrotrasya Ÿrotramityåde¢ | na hyatra Ÿrotrasya Ÿro-
tråntare~årtha¢ | yathå prakåŸasya prakåŸåntare~a | nai≤a do≤a¢ |
ayamatra padårtha¢ – Ÿrotraµ tåvatsvavi≤ayavyañjanasamarthaµ
dÿ≤†am | tacca svavi≤ayavyañjanasåmarthyaµ Ÿrotrasya caitanye
hyåtmajyoti≤i nitye ’saµhate sarvåntare sati bhavati nåsatıtyata¢
Ÿrotrasya Ÿrotramityådyupapadyate | tathå ca Ÿrutyantarå~i – “å-
tmanaivåyaµ jyoti≤å ’’ste” “tasya bhåså sarvamidaµ vibhåti” “ye-
na s¥ryastapati tejaseddha¢” ityådıni | “yadådityagataµ tejo jaga-
dbhåsayate ’khilam” (bha. gı. 15.12) | “k≤etraµ k≤etrı tathå kÿtsnaµ
prakåŸayati bhårata” (bha. gı. 13. 33) ityådi gıtåsu | kå†hake ca –
“nityo ’nityånåµ cetanaŸcetanånåm” iti || Ÿrotrådyeva sarvasyå
’’tmabh¥taµ cetanamiti prasiddhaµ tadiha nivartyate | asti kima-
1.2 prathama¢ kha~ƒa¢ 183

pi vidvadbuddhigamyaµ sarvåntaratamaµ k¥†asthamajaramamÿta-


mabhayamajaµ Ÿrotråderapi Ÿrotrådi tatsåmarthyanimitamiti pra-
tivacanaµ ŸabdårthaŸcopapadyata eva | tathå manaso ’nta¢kara~a-
sya mana¢ | na hyanta¢kara~amantare~a caitanyajyoti≤å dıpitaµ
svavi≤ayasa§kalpådhyavasåyådisamarthaµ syåt | tasmånmanaso
’pi mana iti | iha buddhimanası ekıkÿtya nirdeŸo manasa iti | ya-
dvåco ha våcaµ yacchabdo yasmådarthe Ÿrotrådibhi¢ sarvai¢ sa-
mbadhyate | yasmåcchrotrasya Ÿrotram | yanmånaso mana ityevam |
våco ha våcamiti dvitıyå prathamåtvena vipari~amyate | prå~asya
prå~a iti darŸanåt | våco ha våcamityetadanurodhena prå~åsya prå-
~amiti kasmåddvitıyaiva na kriyate | na | bah¥nåmanurodhasya
yuktatvådvåcamityasya vågityetåvadvaktavyaµ sa u prå~asya prå-
~a iti Ÿabdadvayånurodhena | evaµ hi bah¥nåmanurodho yukta¢
kÿta¢ syåt | pÿ≤†aµ ca vastu prathamaiva nirde≤†uµ yuktam || sa
yastvayå pÿ≤†a¢ prå~asya prå~åkhyavÿtiviŸe≤asya prå~astatkÿtaµ
hi pra~asya prå~asåmarthyam | na hyåtmanå ’nadhi≤†hitasya prå-
~amupapadyate | “ko hyevånyåtka¢ prå~yådyade≤a åkåŸa ånando
na syåt” “¥rdhvaµ prå~amunnayatyapånaµ pratyagasyati” ityådi-
Ÿrutibhya¢ | ihåpi ca vak≤yati – “yena prå~a¢ pra~ıyate tadeva bra-
hma tvaµ viddhi” iti | Ÿrotrådındriyapraståve ghrå~aprå~asya na-
nu yuktaµ graha~am | satyamevaµ prå~agraha~enaiva tu ghrå~a-
prå~asya graha~aµ kÿtameva manyate Ÿruti¢ | sarvasyaiva kara~a-
kalåpasya yadarthaprayuktå pravÿtistadbrahmeti prakara~årtho
vivak≤ita¢ | tathå cak≤u≤aŸcak≤¥ r¥paprakåŸakasya cak≤u≤o yadr¥-
pagraha~asåmarthyaµ tadåtmacaitanyådhi≤†hitasyaivåtaŸcåk≤u≤a-
Ÿcak≤u¢ | pra≤†u¢ pÿ≤†asyårthasya jñåtumi≤†atvåcchrotrade¢ Ÿrotrå-
dilak≤a~aµ yathoktaµ brahma jñåtvetyadhyåhriyate | amÿtå bha-
vantıti phalaŸruteŸca | jñånåddhyamÿtatvaµ pråpyate | jñåtvå ’ti-
mucyeti såmarthyåcchrotrådikara~akalåpamujjhitvå | Ÿrotrådau hyå-
tmabhåvaµ kÿtvå tadupådhi¢ saµstadåtmanå jåyate mriyate saµ-
sarati ca | ata¢ Ÿrotråde¢ Ÿrotrådilak≤a~aµ brahmå ’’tmeti viditvå
’timucya Ÿrotrådyåtmabhåvaµ parityajya ye Ÿrotrådyåtmabhåvaµ
parityajanti te dhırå dhımanta¢ | nahi viŸi≤†adhımatvamantare~a
Ÿrotrådyåtmabhåva¢ Ÿakya¢ parityaktum | pretya vyåvÿtyåsmållo-
kåtputramitrakalatrabandhu≤u mamåhaµbhåvasaµvyavahåralak≤a-
~åtyaktasarvai≤a~å bh¥tvetyartha¢ | amÿtå amara~adharmå~o
bhavanti | “na karma~å na prajayå dhanena tyågenaike amÿtatva-
184 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 1.2

månaŸu¢” “paråñci khåni vyatÿ~at. åvÿtacak≤uramÿtatvamicchan”


“yadå sarve pramucyante. atra brahma samaŸnute” ityådiŸruti-
bhya¢ | atha vå ’timucyetyanenaivai≤a~åtyågasya siddhatvådasmå-
llokåtpretyåsmåccharıråtpretya mÿtvetyartha¢ ||

na tatra cak≤urgacchati na våggacchati no mana¢ | na vidmo na


vijånımo yathaitadanuŸi≤yåt | anyadeva tadviditådatho ’viditåda-
dhi | iti ŸuŸruma p¥rve≤åµ ye nastadvyåcacak≤ire || 1.3 ||

yasmåcchrotråderapi Ÿrotrådyåtmabh¥taµ brahmåto na tatra


tasminbrahma~i cak≤urgacchati | svåtmani gamanåsambhavåt | ta-
thå na våggacchati | våcå hi Ÿabda uccåryamå~o ’bhidheyaµ prakå-
Ÿayati yadå tadå ’bhidheyaµ prati våggacchatıtyucyate | tasya ca
Ÿabdasya tannirvartakasya ca kara~asyå ’’tmå brahmåto na vågga-
cchati | yathå ’gnirdåhaka¢ prakåŸaŸcåpi sanna hyåtmånaµ prakå-
Ÿayati dahati ca tadvat | no mano manaŸcånyasya sa§kalpayitra-
dhyavasåyitÿ ca sannåtmånaµ sa§kalpayatyadhyavasayati ca ta-
syåpi brahmå ’’tmeti | indriyamanobhyåµ hi vastuno vijñånaµ ta-
dagocaratvånna vidmastadbrahmedÿŸamityato na vijånımo yathå
yena prakåre~aitadbrahmånuŸi≤yådupadiŸecchi≤yåyetyabhipråya¢ |
yaddhi kara~agocaraµ tadanyasmå upade≤†uµ Ÿakyaµ jåtigu~a-
kriyåviŸe≤a~ai¢ | na tajjåtyådiviŸe≤a~avadbrahma | tasmådvi≤amaµ
Ÿi≤yånupadeŸena pratyåyayitumiti upadeŸe tadarthagraha~e ca ya-
tnåtiŸayakartavyatåµ darŸayati – na vidmo ityådi | atyantamevo-
padeŸaprakårapratyåkhyåne pråpte tadapavådo ’yamucyate | satya-
mevaµ pratyak≤ådibhi¢ pramå~airna para¢ pratyåyayituµ Ÿakya¢ |
ågamena tu Ÿakyata eva pratyåyayitum | tadupadeŸårthamågama-
namåha – anyadeva tadviditådatho aviditådadhıti | anyadeva pÿ-
thageva tadyatprakÿtaµ Ÿrotrådınåµ Ÿrotrådıtyuktamavi≤ayaµ ca
te≤åm | tadviditådanyadeva hi viditaµ yadvidikriyayå ’tiŸayenå
’’ptaµ tadvidikriyåkarmabh¥tam | kvacitkiñcitkasyacidviditaµ
syåditi sarvameva vyåkÿtaµ viditameva tatasmådanyadityartha¢ |
aviditamajñåtaµ tarhıti pråpta åha – aviditådviditaviparıtådavyå-
kÿtådavidyålak≤a~ådvyåkÿtabıj å t | adhıtyuparyarthe l ak≤a~åyå
’nyadityartha¢ | yaddhi yasmådadhyupari bhavati tatasmådanya-
diti prasiddhaµ yadviditaµ tadalpaµ martyaµ du¢khåtmakaµ ce-
ti heyam | tasmådviditådanyadbrahmetyukte tvaheyatvamuktaµ
1.4 prathama¢ kha~ƒa¢ 185

syåt | tathå ’viditådadhıtyukte ’nupådeyatvamuktaµ syåt | kåryå-


rthaµ hi kåra~amanyadanyenopadıyate ’taŸca na vedituranyasmai
prayojanåyånyadupådeyaµ bhavatıtyevaµ viditåviditåbhyåmanya-
diti heyopådeyaprati≤edhena svåtmano ’nanyatvådanyabrahmavi-
≤ayå jijñåså Ÿi≤yasya nivartitå syåt | na hyanyasya svåtmano viditå-
viditåbhyåmanyatvaµ vastuna¢ sambhavatıtyåtmå brahmetye≤a
våkyårtha¢ | “ayamåtmå brahma” “ya åtmå ’pahatapåpmå” “yatså-
k≤ådaparok≤ådbrahma ya åtmå sarvåntara¢” ityådiŸrutyantarebhya-
Ÿceti | evaµ sarvåtmana¢ sarvaviŸe≤arahitasya cinmåtrajyoti≤o bra-
hmatvapratipådakasya våkyasyå ’’cåryopadeŸaparamparayå prå-
ptatvamåha – iti ŸuŸrumetyådi | brahma caivamåcåryopadeŸapara-
mparayaivådhigantavyaµ na tarkata¢ pravacanamedhåbahuŸruta-
tapoyajñådibhyaŸcetyevaµ ŸuŸruma Ÿrutavanto vayaµ p¥rve≤åmå-
cåryå~åµ vacanam | ya åcåryå no ’smabhyaµ tadbrahma vyåcaca-
k≤ire vyåkhyåtavanto vispa≤†aµ kathitavantaste≤åmityartha¢ ||

yadvåcå ’nabhyuditaµ yena vågabhyudyate | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.4 ||

anyadeva tadviditådatho aviditådadhıtyanena våkyenå ’’tmå


brahmeti pratipådite ŸroturåŸa§kå jåtå tatkathaµ tvåtmå brahma |
åtmå hi nåmådhikÿta¢ karma~yupåsane sa såµsårı karmopåsanaµ
vå sådhanamanu≤†håya brahmådidevånsvargaµ vå pråptumiccha-
ti | tatasmådanya upåsyo vi≤~urıŸvara indraŸca prå~o vå brahma
bhavitumarhati na tvåtmå | lokapratyayavirodhåt | yathå ’nye tå-
rkikå ıŸvarådanya åtmetyåcak≤ate | tathå karmi~a¢ “amuµ jayå-
muµ jaya” ityanyå eva devatå upåsate | tasmådyuktaµ yadvidita-
mupåsyaµ tadbrahma bhavet | tato ’nya upåsaka iti tåmetåmåŸa-
§kåµ Ÿi≤yali§genopalak≤ya tadvåkyådvå ’’ha – maivaµ Ÿa§ki≤†hå¢ |
yaccaitanyamåtrasatåkaµ våcå vågiti jihvåm¥lådi≤va≤†asu sthåne-
≤u vi≤aktamågneyaµ var~ånåmabhivyañjakaµ kara~aµ var~åŸcå-
rthasa§ketaparicchinnå etåvanta evaµkramaprayuktå ityevaµ ta-
dabhivya§gyaŸabda¢ padaµ vågityucyate | “akåro vai sarvå våksai-
≤å sparŸåntastho≤mabhirvyajyamånå bahvı nånår¥på bhavati” iti
Ÿrute¢ | mitamamitaµ svara¢ satyånÿte eva vikåro yasyåstayå vå-
cå padatvena paricchinnayå kara~agu~avatyå ’nabhyuditamapra-
kåŸitamanabhyuktaµ yena brahma~å vivak≤ite ’rthe sakara~å vå-
186 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 1.4

gabhyudyate caitanyajyoti≤å prakåŸyate prayujyata ityetat | yadvå-


co ha vågityuktaµ “vadanvåk” “yo våcamantaro yamayati” ityådi
ca våjasaneyake | “yå våkpuru≤e≤u så gho≤e≤u prati≤†hitå kaŸci-
tåµ veda bråhma~a¢” iti praŸnamutpådya “prativacanamuktaµ
såvågyayå svapne bhå≤ate” iti | så hi vakturvaktirnityå våkcaitanya-
jyoti¢svar¥på | “na hi vakturvakterviparilopo vidyate” iti Ÿrute¢ |
tadevå ’’tmasvar¥paµ brahma niratiŸayaµ bh¥måkhyaµ bahutvå-
dbrahmeti viddhi vijånıhi tvamyairvågådyupådhibhirvåco ha vå-
kcak≤u≤aŸcak≤u¢ Ÿrotrasya Ÿrotraµ manaso mana¢ kartå bhoktå vi-
jñåtå niyantå praŸåsitå vijñånamånandaµ brahmetyevamådaya¢
saµvyavahårå asaµvyavahårye nirviŸe≤e pare såmye brahma~i
pravartante tånvyudasyå ’’tmånameva nirviŸe≤aµ brahma viddhı-
tyevaŸabdårtha¢ | nedaµ brahma yadidamityupådhibhedaviŸi≤†a-
manåtmeŸvarådyupåsate dhyåyanti | tadeva brahma tvaµ viddhı-
tyukte ’pi nedaµ brahmetyanåtmano ’brahmatvaµ punarucyate
niyamårthamanyabrahmabuddhiparisa§khyånårthaµ vå ||

yanmanaså na manute yenå ’’hurmano matam | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.5 ||

yanmanaså na manute | mana ityanta¢kara~aµ buddhimana-


sorekatvena gÿhyate | manute ’neneti mana¢ sarvakara~asådhåra-
~am | sarvavi≤ayavyåpakatvåt | “kåma¢ sa§kalpo vicikitså Ÿraddhå
’Ÿraddhå dhÿtiradhÿtirhrıdhırbhırityetatsarvaµ mana eva” iti Ÿrute¢
kåmådivÿtimanmanastena manaså yaccaitanyajyotirmanaso ’va-
bhåsakaµ na manute na sa§kalpayati nåpi niŸcinoti | manaso ’va-
bhåsakatvena niyantÿtvåt | sarvavi≤ayaµ prati pratyageveti svå-
tmani na pravartate ’nta¢kara~am | anta¢sthena hi caitanyajyoti-
≤å ’vabhåsitasya manaso mananasåmarthyaµ tena savÿtikaµ ma-
no yena brahma~å mataµ vi≤ayıkÿtaµ vyåptamåhu¢ kathayanti
brahmavida¢ | tasmåtadeva manasa åtmånaµ pratyakcetayitåraµ
brahma viddhi | nedamityådi p¥rvavat ||

yaccak≤u≤å na paŸyati yena cak≤¥µ≤i paŸyati | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.6 ||

yaccak≤u≤å na paŸyati na vi≤ayı karotyanta¢kara~avÿtisaµyu-


ktena | yena cak≤¥µsyanta¢kara~avÿtibhedabhinnåŸcak≤urvÿtı¢
1.8 prathama¢ kha~ƒa¢ 187

paŸyati lokaŸcaitanyåtmajyoti≤å vi≤ayıkaroti vyåpnoti | tadevetyådi


p¥rvavat ||

yacchrotre~a na Ÿÿ~oti yena Ÿrotramidaµ Ÿrutam | tadeva bra-


hma tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.7 ||

yacchrotre~å na Ÿÿ~oti digdevatådhi≤†hitenå ’’kåŸakårye~a ma-


novÿtisaµyuktena na vi≤ayıkaroti loko yena Ÿrotramidaµ Ÿrutaµ
yatprasiddhaµ caitanyåtmajyoti≤å vi≤ayıkÿtaµ tadevetyådi p¥rva-
vat ||

yatprå~ena na prå~iti yena prå~a¢ prå~ıyate | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.8 ||

yatprå~ena ghrå~ena pårthivena nåsikåpu†åntaravasthitenånta


¢kara~aprå~avÿtibhyåµ sahitena yanna prå~iti gandhavanna vi≤a-
yıkaroti yena caitanyåtmajyoti≤å ’vabhåsyatvena svavi≤ayaµ prati
prå~a¢ pra~ıyate | tadevetyådi sarvaµ samånam ||

iti prathama¢ kha~ƒa¢


atha dvitıya¢ kha~ƒa¢

yadi manyase suvedeti daharamevåpi n¥naµ tvaµ vetha bra-


hma~o r¥paµ | yadasya tvaµ yadasya deve≤vatha nu mımåµsya-
meva te manye viditam || 2.1 ||

evaµ heyopådeyaviparıtastvamåtmå brahmeti pratyåyita¢ Ÿi-


≤yo ’hameva brahmeti su≤†hu vedåhaµ måmiti gÿh~ıyådityåŸa-
§kyå ’’cårya¢ Ÿi≤yabuddhivicalanårthaµ yadıtyåha | nanvi≤†aiva
suvedåhamiti niŸcitå pratipati¢ satyami≤†å niŸcitå pratipatirna hi
suvedåhamiti | yaddhi vedyaµ vastu vi≤ayıbhavati tatsu≤†hu vedi-
tuµ Ÿakyaµ dåhyamiva dagdhumagnerdagdhurna tvagne¢ svar¥-
pameva | sarvasya hi veditu¢ svåtmå brahmeti sarvavedåntånåµ
suniŸcito ’rtha¢ | iha ca tadeva pratipåditaµ praŸnaprativacano-
ktyå Ÿrotrasya Ÿrotramityådyayå | yadvåcå ’nabhyuditamiti viŸe≤a-
to ’vadhåritam | brahmavitsampradåyaniŸcayaŸcokto ’nyadeva ta-
divitådatho ’viditådadhıti | upanyastamupasaµhari≤yati cåvijñå-
taµ vijånatåµ vijñåtamavijånatåmiti | tasmådyuktameva Ÿi≤yasya
suvedeti buddhiµ niråkartum | na hi veditå vediturvedituµ Ÿakyo
’gniriva dagdhumagne¢ dagdhu¢ | na cånyo veditå brahma~o ’sti
yasya vedyamanyatsyådbrahma | “nånyadato ’sti vijñåtÿ” ityanyo
vijñåtå prati≤idhyate | tasmåtsu≤†hu vedåhaµ brahmeti pratipati-
rmithyaiva | tasmådyuktamevå ’’cåryo yadıtyådi || yadi kadåci-
nmanyase suvedeti su≤†hu vedåhaµ brahmeti | kadåcidyathåŸru-
taµ durvijñeyamapi k≤ı~ado≤a¢ sumedhå¢ kaŸcitpratipadyate ka-
Ÿcinneti såŸa§kamåha – yadıtyådi | dÿ≤†aµ ca “ya e≤o ’k≤i~i puru-
≤o dÿŸyata eva åtmeti hovåcaitadamÿtamabhayametadbrahma” i-
tyukte pråjåpatya¢ pa~ƒito ’pyasuraråƒvirocana¢ svabhåvado≤avå-
Ÿådanupapadyamånamapi viparıtamarthaµ Ÿarıramåtmeti pratipa-
nna¢ | tathendro devarå†sakÿddvistriruktaµ cåpratipadyamåna¢
svabhåvado≤ak≤ayamapek≤ya caturthe paryåye prathamoktameva
brahma pratipannavån | loke ’pyekasmådguro¢ Ÿÿ~vatåµ kaŸcidya-
190 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 2.1

thåvatpratipadyate kaŸcidayathåvatkaŸcidviparıtaµ kaŸcinna prati-


padyate kimu vaktavyamatındriyamåtmatatvam | atra hi viprati-
pannå¢ sadasadvådinastårkikå¢ sarve | tasmådviditaµ brahmeti
suniŸcitoktamapi vi≤amapratipatitvådyadi manyasa ityådi såŸa-
§kaµ vacanaµ yuktamevå ’’cåryasya | daharamalpamevåpi n¥-
nåµ tvaµ vetha jånı≤e brahma~o r¥pam | kimanekåni brahma~o
r¥på~i mahåntyarbhakå~i ca yenå ’’ha daharamevetyådi | båƒham |
anekåni nåmar¥popådhikÿtåni brahma~o r¥på~i na svata¢ | svata-
stu “aŸabdamasparŸamar¥pamavyayaµ tathå ’rasaµ nityamaga-
ndhavacca yat” iti Ÿabdådibhi¢ saha r¥på~i prati≤idhyante || nanu
yenaiva dharme~a yadr¥pyate tadeva tasya svar¥pamiti brahma~o
’pi yena viŸe≤e~a nir¥pa~aµ tadeva tasya r¥paµ syådata ucyate |
caitanyaµ pÿthivyådınåmanyatamasya sarve≤åµ vipari~atånåµ
vå dharmo na bhavati | tathå Ÿrotrådınåmanta¢kara~asya ca dha-
rmo na bhavatıti brahma~o r¥pamiti | brahma r¥pyate caitanyena |
tathå coktam – “vijñånamånandaµ brahma” “vijñånaghanameva”
“satyaµ jñånamanantam” “prajñånaµ brahma” iti ca brahma~o r¥-
paµ nirdi≤†am Ÿruti≤u | satyamevaµ tathåpi tadanta¢kara~adehe-
ndriyopådhidvåre~aiva vijñånådiŸabdairnirdiŸyate tadanukåritvå-
ddehadivÿddhisa§kocacchedådi≤u nåŸe≤u ca na svata¢ | svatastva-
vijñåtaµ vijånatåµ vijñåtamavijånatåmiti sthitaµ bhavi≤yati | ya-
dasya brahma~o r¥pamiti p¥rve~a sambandha¢ | na kevalama-
dhyåtmopådhiparichinnasyåsya brahma~o r¥paµ tvamalpaµ ve-
tha yadapyadhidaivatopådhiparicchinnasyåsya brahma~o r¥paµ
deve≤u vetha tvaµ tadapi n¥naµ daharameva vetheti manye
’ham | yadadhyåtmaµ yadadhidaivaµ tadapi ca deve≤¥pådhipari-
cchinnatvåddaharatvånna nivartate | yatu vidhvastasarvopådhivi-
Ÿe≤aµ Ÿåntamanantamekamadvaitaµ bh¥måkhyaµ nityaµ bra-
hma na tatsuvedyamityabhipråya¢ | yata evamatha nu tasmånma-
nye ’dyåpi mımåµsyaµ vicåryameva te tava brahma | evamåcåryo-
kta¢ Ÿi≤ya ekånta upavi≤†a¢ samåhita¢ sanyathoktamåcårye~å ’’ga-
mamarthato vicårya tarkataŸca nirdhårya svånubhavaµ kÿtvå ’’cå-
ryasakåŸamupagamyovåca – manye ’hamathedånıµ viditaµ bra-
hmeti | kathamiti | Ÿÿ~uta ||

nåhaµ manye suvedeti no na vedeti veda ca | yo nastadveda no


na vedeti veda ca || 2.2 ||
2.3 dvitıya¢ kha~ƒa¢ 191

nåhaµ manye suvedeti naivåhaµ manye suveda brahmeti |


naiva tarhi viditaµ tvayå brahmetyukta åha – no na vedeti veda
ca | veda ceti caŸabdånna veda ca | nanu viprati≤iddhaµ nåhaµ
manye suvedeti no na vedeti veda ceti | yadi na manyase suvedeti
kathaµ manyase veda ceti | atha manyase vedaiveti | kathaµ na
manyase suvedeti | ekaµ vastu yena jñåyate tenaiva tadeva vastu
na suvijñåyata iti viprati≤iddhaµ saµŸayaviparyayau varjayitvå |
na ca brahma saµŸayitatvena jñeyaµ viparıtatvena veti niyantuµ
Ÿakyam | saµŸayaviparyayau hi sarvatrånarthakaratvenaiva prasi-
ddhau | evamåcarye~a vicålyamåno ’pi Ÿi≤yo na vicacåla | “anyade-
va tadviditådatho ’viditådadhi” ityåcåryoktågamasampradåyabalå-
dupapatyanubhavabalåcca jagarja ca brahmavidyåyåµ dÿƒhaniŸci-
tåyåµ darŸayannåtmana¢ | kathamityucyate | yo ya¢ kaŸcinno
’småkaµ sabrahmacåri~åµ madhye taduktaµ vacanaµ tatvato
veda sa tadbrahma veda | kiµ punastadvacanamityata åha – no na
vedeti veda ceti | yadevånyadeva tadviditådatho ’viditådadhıtyu-
ktaµ vastvanumånånubhavhåbhyåµ saµyojya niŸcitaµ våkyånta-
re~a no na vedeti veda cetyavocadåcåryabuddhisaµvådårthaµ ca
mandabuddhigraha~avyapohårthaµ ca | tathå ca garjitamupapa-
nnaµ bhavati yo nastadvedeti ||

yasyåmataµ tasya mataµ mataµ yasya na veda sa¢ | avijñå-


taµ vijånatåµ vijñåtamavijånatåm || 2.3 ||

Ÿi≤yåcåryasaµvådåtpratinivÿtya svena r¥pe~a Ÿruti¢ samasta-


saµvådanirvÿtamarthameva bodhayati – yasyåmatamityådinå |
yasya brahmavido ’matamavijñåtamaviditaµ brahmeti matamabhi-
pråyo niŸcaya¢ tasya mataµ jñåtaµ samyagbrahmetyabhipråya¢ |
yasya punarmataµ jnåtaµ viditaµ mayå brahmeti niŸcayo na ve-
daiva sa na brahma vijånåti sa¢ | vidvadavidu≤oryathoktau pak≤å-
vavadhårayati – avijñåtamamatamaviditameva brahma vijånatåµ
samyagviditavatåmityetat | vijñåtaµ viditaµ brahmåvijånatåmasa-
myagdarŸinåmindriyamanobuddhi≤vevå ’’tmadarŸinåmityartha¢ |
na tvatyantamevåvyutpannabuddhınåm | na hi te≤åµ vijñåtama-
småbhirbrahmeti matirbhavati | indriyamanobuddhyupådhi≤våtma-
darŸinåµ tu brahmapådhivivekånupalambhådbuddhyådyupådheŸca
vijñåtatvådviditaµ brahmetyupapadyate bhråntirityato ’samyagda-
192 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 2.3

rŸanap¥rvapak≤atvenopanyasyate vijñåtamavijånatåmiti | athavå


hetvartha utarårdho ’vijñåtamityådi¢ ||

pratibodhaviditaµ matamamÿtatvaµ hi vindate | åtmanå vinda-


te vıryaµ vidyayå vindate ’mÿtam || 2.4 ||

avijñåtaµ vijånatåmityavadhÿtam | yadi brahmåtyantamevåvi-


jñåtaµ laukikånåµ brahmavidåµ cåviŸe≤a¢ pråpti¢ | avijñåtaµ vi-
jånatåmiti ca parasparaviruddham | kathaµ nu tadbrahmasamya-
gviditaµ bhavatıtyevamarthamåha – pratibodhaviditaµ bodhaµ
bodhaµ prati viditam | bodhaŸabdena bauddhå¢ pratyayå ucyante |
sarve pratyayå vi≤ayıbhavanti yasya sa åtmå sarvabodhånpratibu-
dhyate sarvapratyayadarŸı cicchaktisvar¥pamåtra¢ pratyaye≤vavi-
Ÿi≤†atayå lak≤yate nånyaddvåramåtmano vijñånåyåta¢ pratyaya-
pratyagåtmatayå viditaµ brahma yadå yadå tanmataµ tadå tatsa-
myagdarŸanamityartha¢ | sarvapratyayadarŸitve copajanåpåyava-
rjitadÿksvar¥patå nityatvaµ viŸuddhasvar¥patvamåtmatvaµ nirvi-
Ÿe≤ataikatve ca sarvabh¥te≤u siddhaµ bhavet | lak≤a~abhedåbhåvå-
dvyomna iva gha†agiriguhådi≤u | viditåviditåbhyåmanyadbrahme-
tyågamavåkyårtha¢ evaµ pariŸuddha evopasaµhÿto bhavati | dÿ-
≤†erdra≤†å Ÿrute¢ Ÿrotå matermantå vijñåtervijñåteti hi Ÿrutyanta-
ram || yadå punarbodhakriyåkarteti bodhakriyålak≤a~ena tatkartå-
raµ vijånåtıti bodhalak≤a~ena viditaµ pratibodhaviditamiti vyå-
khyåyate | yathå yo vÿk≤aŸåkhåŸcålayati sa våyuriti tadvat | tadå
bodhakriyåŸåktimånåtmå dravyaµ na bodhasvar¥pa eva | bodha-
stu jåyate vinaŸyati ca | yadå bodho jåyate tadå bodhakriyayå savi-
Ÿe≤a¢ | yadå bodho naŸyati tadå na≤†abodho dravyamåtraµ nirviŸe-
≤a¢ | tatraivaµ sati vikriyåtmaka¢ såvayavo ’nityo ’Ÿuddha ityåda-
yo do≤å na parihartuµ Ÿakyante | yadapi kå~ådånåmåtmamana¢-
saµyogajo bodha åtmani samavaiti | ata åtmani boddhÿtvaµ natu
vikriyåtmaka åtmå | dråvyamåtrastu bhavati gha†a iva rågasamavå-
yı | asminpak≤e ’pyacetanaµ dravyamåtraµ brahmeti “vijñånamå-
nandaµ brahma” ityådyå¢ Ÿrutayo bådhitå¢ syu¢ | åtmano nirava-
yatvena pradeŸåbhåvånnityasaµyuktatvåcca manasa¢ smÿtyutpa-
tiniyamånupapatiraparihåryå syåt | saµsargadharmitvaµ cå ’’tma-
na¢ Ÿrutismÿtinyåyaviruddhaµ kalpitaµ syåt | “asa§go na hi sajja-
2.4 dvitıya¢ kha~ƒa¢ 193

te” “asaktaµ sarvabhÿt” iti Ÿrutismÿtı dve | nyåyaŸca gu~avadgu~a-


vatå saµsÿjyate nåtulyajåtıyam | ato nirgu~aµ nirviŸe≤aµ sarvavi-
lak≤a~aµ kenacidapyatulyajåtıyena saµsÿjyata ityetannyåyaviru-
ddhaµ bhavet | tasmånnityåluptavijñånasvar¥pajyotiråtmå bra-
hmetyayamartha¢ sarvabodhaboddhÿtva åtmana¢ sidhyati nånya-
thå | tasmåtpratibodhaviditaµ matamiti yathåvyåkhyåta evårtho
’småbhi¢ || yatpuna¢ svasaµvedyatå pratibodhaviditamityasya vå-
kyårtho var~yate | tatra bhavati sopådhikatvamåtmana¢ | bu-
ddhyupådhisvar¥patvena bhedaµ parikalpyå ’’tmanå ’’tmånaµ ve-
tıti saµvyavahåra¢ | “åtmanyevå ’’tmånaµ paŸyati” “svayamevå
’’tmanå ’’tmånaµ vetha tvaµ puru≤otama” iti | na tu nirupådhi-
kasyå ’’tmana ekatve svasaµvedyatå parasaµvedyatå vå sambha-
vati | saµvedanasvar¥patvåtsaµvedanåntaråpek≤å ca na sambha-
vati yathå prakåŸasya prakåŸåntaråpek≤åyå na sambhavastadvat |
bauddhapak≤e svasaµvedyatåyåµ tu k≤a~abha§guratvaµ niråtma-
katvaµ ca vijñånasya syåt | “na hi vijñåturvijñåterviparilopo vi-
dyate ’vinåŸitvåt” “nityaµ vibhuµ sarvagatam” “sa vå e≤a mahåna-
ja åtmå ’jaro ’maro ’mÿto ’bhaya¢” ityådyå¢ Ÿrutayo bådhyeran |
yatpuna¢ pratibodhaŸabdena nirnimito bodha¢ pratibodho yathå
suptasyetyarthaµ parikalpayanti | sakÿdvijñånaµ pratibodha itya-
pare | nirnimita¢ sanimita¢ sakÿdvå ’sakÿdvå pratibodha eva hi
sa¢ | amÿtatvamamara~abhåvaµ svåtmanyavasthånaµ mok≤aµ hi
yasmådvindate labhate yathoktåtpratibodhåtpratibodhaviditåtma-
kåtasmåtpratibodhaviditameva matamityabhipråya¢ | bodhasya
hi pratyagåtmå ’’tmavi≤ayaµ ca matamamÿtatve hetu¢ | na hyå-
tmano ’nåtmatvamamÿtatvaµ bhavatyåtmatvådåtmano ’mÿtatvaµ
nirnimitameva | evaµ martyatvamåtmano yadavidyayå ’nåtma-
tvapratipati¢ || kathaµ punaryathoktayå ’’tmavidyayå ’mÿtatvaµ
vindata ityata åha – åtmanå svena svar¥pe~a vindate labhate vı-
ryaµ balaµ såmarthyaµ dhanasahåyamantrau≤adhitapoyogakÿtaµ
vıryaµ mÿtyuµ na Ÿaknotyabhibhavitumanityavastukÿtatvåt | å-
tmavidyåkÿtaµ tu vıryamåtmanaiva vindate nånyenetyato ’nanya-
sådhanatvådåtmavidyåvıryasya tadeva vıryaµ mÿtyuµ Ÿaknotya-
bhibhavitum | yata evamåtmavidyåkÿtaµ vıryamåtmanaiva vinda-
te ’to vidyayå ’’tmavi≤ayayå vindate ’mÿtam “nåyamåtmå balahıne-
na labhya¢” ityåtharva~e | ata¢ samartho hetu¢ | amÿtatvaµ hi vi-
ndata iti ||
194 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 2.5

iha cedavedıdatha satyamasti na cedihåvedınmahatı vina≤†i¢ |


bh¥te≤u bh¥te≤u vicitya dhırå¢ pretyåsmållokådamÿtå bhavanti || 2.5 ||

ka≤†å khalu suranaratiryakpretådi≤u saµsåradu¢khabahule≤u prå-


~inikåye≤u janmajaråmara~arogådisampråptirajñånådata ihaiva ce-
nmanu≤yo ’dhikÿta¢ samartha¢ sanyadyavedıdåtmånaµ yathokta-
lak≤a~aµ viditavånyathoktena prakåre~a | atha tadå ’sti satyaµ
manu≤yajanmanyasminnavinåŸo ’rthavatå vå sadbhåvo paramå-
rthatå vå satyaµ vidyate | na cedihåvedıditi | na cediha jıvaµŸce-
dadhikÿto ’vedınna viditavåµstadå mahatı dırghå ’nantå vina≤†irvi-
nåŸanaµ janmajaråmara~ådiprabandhåvicchedalak≤a~å saµsåra-
gatistasmådevaµ gu~ado≤au vijånanto bråhma~å bh¥te≤u bh¥te≤u
sarvabh¥te≤u sthåvare≤u care≤u caikamåtmatatvaµ brahma vici-
tya vijñåya såk≤åtkÿtya dhırå dhımanta¢ pretya vyåvÿtya mamå-
haµbhåvalak≤a~ådavidyår¥pådasmållokåduparamya sarvåtmaika-
tvabhåvamadvaitamåpannå¢ santo ’mÿtå bhavanti brahmaiva bha-
vantıtyartha¢ | “sa yo ha vai tatparamaµ brahma veda brahmaiva
bhavati” iti Ÿrute¢ ||

iti dvitıya¢ kha~ƒa¢


atha tÿtıya¢ kha~ƒa¢

brahma ha devebhyo vijigye yasya ha brahma~o vijaye devå a-


mahıyanta | ta aik≤antåsmåkamevåyaµ vijayo ’småkamevåyaµ ma-
himeti || 3.1 ||

brahma ha devebhyo vijigye | “avijñåtaµ vijånatåµ vijñåtama-


vijånatåm” ityådiŸrava~ådyadasti tadvijñåtaµ pramå~airyannåsti
tadavijñåtaµ ŸaŸavi≤a~akalpamatyantamevåsaddÿ≤†am | tathedaµ
brahmåvijñåtatvådasadeveti mandabuddhınåµ vyåmoho må bh¥di-
ti tadartheyamåkhyåyikå ’’rabhyate | tadeva hi brahma sarvaprakå-
re~a praŸåstÿ devånåmapi paro deva ıŸvarå~åmapıŸvaro durvijñe-
yo devånåµ jayaheturasurå~åµ paråjayahetustatkathaµ nåstıtye-
tasyårthasyånuk¥låni hyutarå~i vacåµsi dÿŸyante | athavå bra-
hmavidyåyå¢ stutaye | katham | brahmavijñånåddhyagnyådayo de-
vå devånåµ Ÿre≤†hatvaµ jagmustato ’pyatitaråmindra iti | athavå
durvijñeyaµ brahmetyetatpradarŸyate | yenågnyådayo ’titejaso ’pi
kleŸenaiva brahma viditavantastathendro devånåmıŸvaro ’pi sanni-
ti | vak≤yamå~opani≤advidhiparaµ vå sarvam | brahmavidyåvyati-
reke~a prå~inåµ kartÿtvådyabhimåno mithyetyetaddarŸanårthaµ
vå ’’khyåyikå | yathå devånåµ jayådyabhimånastadvaditi | bra-
hma yathoktalak≤a~aµ paraµ ha kila devebhyo ’rthåya vijigye ja-
yaµ labdhavaddevånåmasurå~åµ ca sa§gråme ’suråñjitvå jagada-
råtınıŸvarasetubhet™ndevebhyo jayaµ tatphalaµ ca pråyacchajja-
gata¢ sthemne | tasya ha kila brahma~o vijaye devå agnyådayo
’mahıyanta mahimånaµ pråpnuvantastadå ’’tmasaµsthasya pra-
tyagåtmana ıŸvarasya sarvajñasya sarvakriyåphalasaµyojayitu¢
prå~inåµ sarvaŸakterjagata¢ sthitiµ cikır≤orayaµ jayo mahimå ce-
tyajånantaste devå aik≤antek≤itavanto ’gnyådisvar¥paparicchinnå-
tmakÿto ’småkamevåyaµ vijayo ’småkamevåyaµ mahimå ’gnivå-
yvindratvådilak≤a~o jayaphalabh¥to ’småbhiranubh¥yate nåsma-
tpratyagåtmabh¥teŸvarakÿta iti ||
196 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 3.2

taddhai≤åµ vijajñau tebhyo ha prådurbabh¥va tanna vyåjånata


kimidaµ yak≤amiti || 3.2 ||

evaµ mithyåbhimånek≤a~avatåµ taddha kilai≤åµ mithyek≤a-


~aµ vijajñau vijñåtavadbrahma | sarvek≤itÿ hi tatsarvabh¥takara-
~aprayoktÿtvåddevånåµ ca mithyåjñånamupalabhya maivåsurava-
ddevå mithyåbhimånåtparåbhaveyuriti tadanukampayå devånmi-
thyåbhimånåpanodanenånugÿh~ıyåmiti tebhyo devebhyo ha kilå-
rthåya prådurbabh¥va svayogamåhåtmyanirmitenåtyadbh¥tena vi-
småpanıyena r¥pe~a devånåmindriyagocare prådurbabh¥va | ta-
tprådurbh¥taµ brahma na vyajånata naiva vijñånavanto devå¢ |
kimidaµ yak≤aµ p¥jyaµ mahadbh¥tamiti ||

te ’gnimabruvañjåtaveda etadvijånıhi kimetadyak≤amiti tatheti


|| 3.3 ||

te tadajånanto devå¢ såntarbhayåstadvijijñåsavo ’gnimagragå-


mi~aµ jåtavedaµ sarvajñakalpamabruvannuktavanto he jåtaveda
etadasmadgocarasthaµ yak≤aµ vijånıhi viŸe≤ato budhyasva tvaµ
nastejasvı kimetadyak≤amiti | tathå ’stviti ||

tadabhyadravatamabhyavadatko ’sıtyagnirvå ’hamasmıtyabra-


vıjjåtavedå vå ’hamasmıti || 3.4 ||

tadyak≤amabhyadravatatprati gatavånagni¢ | taµ ca gatava-


ntaµ pipÿcchi≤uµ tatsamıpe ’pragalbhatvåt¥≤~ıµbh¥taµ tadya-
k≤amabhyavadadagniµ pratyabhå≤ata ko ’såviti | evaµ brahma~å
pÿ≤†o ’gnirabravıdagnirvå agninåmå ’haµ prasiddho jåtavedå iti ca
nåmadvayena prasiddhatayå ’’tmånaµ Ÿlåghayan ||

tasmiµstvayi kiµ vıryamityapıdaµ sarvaµ daheyaµ yadidaµ


pÿthivyåmiti || 3.5 ||

ityevamuktavantaµ brahmåvocatasminnevaµ prasiddhagu~a-


nåmavati tvayi kiµ vıryaµ såmarthyamiti | so ’bravıdidaµ jagatsa-
rvaµ daheyaµ bhasmıkuryåm | yadidaµ sthåvarådi pÿthivyåmiti |
pÿthivyåmityupalak≤a~årthaµ yato ’ntarik≤asthamapi dahyata evå-
gninå ||
3.11 t®tıya¢ kha~ƒa¢ 197

tasmai tÿ~aµ nidadhåvetaddaheti tadupapreyåya sarvajavena


tanna ŸaŸåka dagdhuµ sa tata eva nivavÿte naitadaŸakaµ vijñåtuµ
yadetadyak≤amiti || 3.6 ||

tasmå evamabhimånavate brahma tÿ~aµ nidadhau puro ’gne¢


sthåpitavadbrahmaitatÿ~amåtraµ mamågrato daha na cedasya da-
gdhuµ samartho muñca dagdhÿtvåbhimånaµ sarvatretyuktastatÿ-
~amupapreyåya tÿ~asamıpaµ gatavånsarvajavena sarvotsåhakÿte-
na vegena gatvå na ŸaŸåka nåŸakaddagdhuµ sa jåtavedåstÿ~aµ da-
gdhumaŸakto vrı~ito hatapratijñastata eva yak≤ådeva t¥≤~ıµ devå-
nprati nivavÿte nivÿta¢ pratigatavån | naitadyak≤amaŸakaµ Ÿakta-
vånahaµ vijñåtuµ viŸe≤ato yadetadyak≤amiti ||

atha våyumabruvanvåyavetadvijånıhi kimetadyak≤amiti tatheti


|| 3.7 ||

tadabhyadravatamabhyavadatko ’sıti våyurvå ’hamasmıtyabra-


vınmåtariŸvå vå ’hamasmıti || 3.8 ||

tasmiµstvayi kiµ vıryamityapıdaµ sarvamådadıya yadidaµ pÿ-


thivyåmiti || 3.9 ||

tasmai tÿ~aµ nidadhåvetadådatsveti tadupapreyåya sarvajave-


na tanna ŸaŸåkå ’’dåtuµ sa tata eva nivavÿte naitadaŸakaµ vijñå-
tuµ yadetadyak≤amiti || 3.10 ||

atha våyumiti | athånantaraµ våyumabruvanhe våyavetadvijå-


nıhıtyådi samånårthaµ p¥rve~a | vånådgamanådgandhanådvå vå-
yu¢ | måtaryantarik≤e Ÿvayatıti måtariŸvå | idaµ sarvamapyådadı-
ya gÿh~ıyåm | yadidaµ pÿthivyåmityådi samånameva ||

athendramabruvanmaghavannetadvijånıhi kimetadyak≤amiti ta-


theti tadabhyadravatasmåtirodadhe || 3.11 ||

athendramiti | athendramabruvanmaghavannetadvijånıhıtyådi
p¥rvavat | indra¢ parameŸvaro maghavanbalavatvåt | tatheti tada-
bhyadravatasmådindrådåtmasamıpaµ gatåtadbrahma tirodadhe
198 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 3.12

tirobh¥tamindrasyendratvåbhimåno ’titaråµ niråkartavya ityata¢


saµvådamåtramapi nådådbrahmendråya ||

sa tasminnevå ’’kåŸe striyamåjagåma bahuŸobhamånåmumåµ


haimavatıµ | tåµ hovåca kimetadyak≤am || 3.12 ||

tadyak≤aµ yasminnåkåŸa åkåŸapradeŸa darŸayitvå tirobh¥ta-


mindraŸca brahma~astirodhånakåle yasminnåkåŸa åsıtsa indrasta-
sminnevå ’’kåŸe tatsthau kiµ tadyak≤amiti dhyåyanna nivavÿte
’gnyådivat | tasyendrasya yak≤e bhaktiµ buddhvå vidyomår¥pi~ı
prådurbh¥tstrır¥på | sa indraståmumåµ bahuŸobhamånåµ sarve-
≤åµ hi Ÿobhamånånåµ Ÿobhanatamåµ vidyåµ tadå bahuŸobhamå-
neti viŸe≤a~amupapannaµ bhavati | haimavatıµ hemakÿtåbhara~a-
vatımiva bahuŸobhamånåmityartha¢ | athavomaiva himavato duhi-
tå haimavatı nityameva sarvajñeneŸvare~a saha vartata iti jñåtuµ
samartheti kÿtvå tåmupajagåma | indraståµ homåµ kilovåca pa-
praccha br¥hi kimetaddarŸayitvå tirobh¥taµ yak≤amiti ||

iti tÿtıya¢ kha~ƒa¢


atha caturtha¢ kha~ƒa¢

så brahmeti hovåca brahma~o vå etadvijaye mahıyadhvamiti ta-


to haiva vidåñcakåra brahmeti || 4.1 ||

så brahmeti hovåca ha kila brahma~a ıŸvarasyaiva vijaye ıŸva-


re~aiva jitå asurå y¥yaµ tatra nimitamåtraµ tasyaiva vijaye y¥-
yaµ mahıyadhvaµ mahimånaµ pråpnutha | etaditi kriyaviŸe≤a~å-
rtham | mithyåbhimånastu yu≤måkamayamasmåkamevåyaµ vija-
yo ’småkamevåyaµ mahimeti | tatastasmådumåvåkyåddhaiva vidå-
ñcakåra brahmetındro ’vadhåra~åtato haiveti na svåtantrye~a ||

tasmådvå ete devå atitaråmivånyåndevånyadagnirvåyurindraste


hyenannedi≤†haµ paspÿŸuste hyenatprathamo vidåñcakåra brahme-
ti || 4.2 ||

yasmådagnivåyvindrå ete devå brahma~a¢ saµvådadarŸanådi-


nå såmıpyamupagatåstasmådaiŸvaryagu~airatitaråmiva Ÿaktigu~å-
dimahåbhågyairanyåndevånatitaråmatiŸayena Ÿerata ivaite devå¢ |
ivaŸabdo ’narthako ’vadhåra~årtho vå | yadagnirvåyurindraste hi
devå yasmådenadbrahma nedi≤†hamantikatamaµ priyatamaµ pa-
spÿŸu¢ spÿ≤†avanto yathoktairbrahma~a¢ saµvådådiprakåraiste hi
yasmåcca hetorenadbrahma prathama¢ prathamå¢ pradhånå¢ sa-
nta ityetat | vidåñcakrurityetadbrahmeti ||

tasmådvå indro ’titaråmivånyåndevånsa hyenannedi≤†haµ pa-


sparŸa sa hyenatprathamo vidåñcakåra brahmeti || 4.3 ||

yasmådagnivåy¥ apındravåkyådeva vidåñcakraturindre~a hyu-


måvåkyåtprathamaµ Ÿrutaµ brahmetyatastasmådvå indro ’titarå-
matiŸayena Ÿeta ivånyåndevånsa hyenannedi≤†haµ pasparŸa yasmå-
tsa hyenatprathamo vidåñcakåra brahmetyuktårthaµ våkyam ||
200 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 4.4

tasyai≤a ådeŸo yadetadvidyuto vyadyutadå3 itınnyamımi≤adå3 i-


tyadhidaivatam || 4.4 ||

tasya prakÿtasya brahma~a e≤a ådeŸo upamopadeŸo nirupama-


sya brahma~o yenopamånenopadeŸa¢ so ’yamådeŸa ityucyate |
kiµ tadyadetatprasiddhaµ loke vidyuto vyadyutadvidyotanaµ kÿ-
tavadityetadanupapannamiti vidyuto vidyotanamiti kalpyate | å i-
tyupamårthe | vidyuto vidyotanamivetyartha¢ | “yathå sakÿdvidyu-
tam” iti Ÿrutyantare ca darŸanådvidyudiva hi sakÿdåtmånaµ darŸa-
yitvå tirobh¥taµ brahma devebhya¢ | athavå vidyutasteja itya-
dhyåhåryam | vyadyutadvidyotitavat | å iva | vidyutasteja¢ sakÿ-
dvidyotitavadivetyabhipråya¢ | itiŸabda ådeŸapratinirdeŸårtha itya-
yamådeŸa iti | icchabda¢ samuccayårtha¢ | ayaµ cåparastasyå ’’de-
Ÿa¢ | ko ’sau | nyamımi≤at | yathå cak≤urnyamımi≤annime≤aµ kÿta-
vat | svårthe ~ic | upamårtha evå ’’kåra¢ | cak≤u≤o vi≤ayaµ prati
prakåŸatirobhåva iva cetyartha¢ | ityadhidaivataµ devatåvi≤ayaµ
brahma~a upamånadarŸanam ||

athådhyåtmaµ yadetadgacchatıva ca mano ’nena caitadupasma-


ratyabhık≤~aµ sa§kalpa¢ || 4.5 ||

athånantaramadhyåtmaµ pratyagåtmavi≤aya ådeŸa ucyate | ya-


detadgacchatıva ca mana etadbrahma ƒhaukata iva vi≤ayıkarotıva
yaccånena manasaitadbrahmopasmarati samıpata¢ smarati sådha-
ko ’bhık≤~aµ bhÿŸaµ sa§kalpaŸca manaso brahmavi≤aya¢ | ma-
naupådhikatvåddhi manasa¢ sa§kalpasmÿtyådipratyayairabhivya-
jyate brahma vi≤ayıkriyamå~amiva cåta¢ sa e≤a brahma~o ’dhyå-
tmamådeŸo vidyunnime≤a~avadadhidaivataµ drutaprakåŸanadha-
rmyadhyåtmaµ ca mana¢ pratyayasamakålåbhivyaktidharmıtye≤a
ådeŸa¢ | evamådiŸyamånaµ hi brahma mandabuddhigamyaµ bha-
vatıti brahma~a ådeŸopadeŸa¢ | nahi nirupådhikameva brahma ma-
ndabuddhibhiråkalayituµ Ÿakyam ||

taddha tadvanaµ nåma tadvanamityupåsitavyaµ sa ya etade-


vaµ vedåbhi hainaµ sarvå~i bh¥tåni saµvåñchanti || 4.6 ||

kiñca tadbrahma ha kila tadvanaµ nåma tasya vanaµ tadva-


naµ tasya prå~ijåtasya pratyagåtmabh¥tatvådvananıyaµ sambha-
4.7 caturtha¢ kha~ƒa¢ 201

janıyamatastadvanaµ nåma prakhyåtaµ brahma tadvanamiti yata-


stasmåtadvanamityanenaiva gu~abhidhånenopåsitavyaµ cintanı-
yamiti | anena nåmnopåsakasya phalamåha – sa ya¢ kaŸcidetadya-
thoktaµ brahmaivaµ yathoktagu~aµ vedopåste ’bhi hainamupa-
sakaµ sarvå~i bh¥tånyabhisaµvåñjanti ha prårthavanta eva yathå
brahma ||
upani≤adaµ bho br¥hıtyuktå ta upani≤adbråhmıµ våva ta upa-
ni≤adamabr¥meti || 4.7 ||
evamanuŸi≤†a¢ Ÿi≤ya åcåryamuvåca – upani≤adaµ rahasyaµ
yaccintyaµ bho bhagavanbr¥hıtyevamuktavati Ÿi≤ya åhå ’’cårya¢ –
uktå ’bhihitå te tavopani≤at | kå puna¢ setyåha – bråhmıµ brahma-
~a¢ paramåtmana iyaµ tåµ paramåtmavi≤ayatvådatıtavijñånasya |
våvaiva ta upani≤adamabr¥metyuktåmeva paramåtmavidyåmupa-
ni≤adamabr¥metyavadhårayatyutarårtham | paramåtmavi≤ayåmu-
pani≤adaµ Ÿrutavata upani≤adaµ bho br¥hıti pÿcchata¢ Ÿi≤yasya
ko ’bhipråya¢ | yadi tåvacchrutasyårthasya praŸna¢ kÿtastata¢ pi-
≤†ape≤a~avatpunarukto ’narthaka¢ praŸna¢ syåt | atha såvaŸe≤o-
ktopani≤atsyåtatastasyå¢ phalavacanenopasaµhåro na yukta¢ “pre-
tyåsmållokådamÿtå bhavanti” iti | tasmåduktopani≤acche≤avi≤ayo
’pi praŸno ’nupapanna evånavaŸe≤itatvåt | kastarhyabhipråya¢ pra-
≤†uriti | ucyate | kiµ p¥rvoktopani≤acche≤atayå tatsahakårisådha-
nåntaråpek≤å | atha nirapek≤yaiva | såpek≤å cedapek≤itavi≤ayåmu-
pani≤adaµ br¥hi | atha nirapek≤å cedavadhåraya pippalådavannå-
ta¢ paramastıtyevamabhipråya¢ | etadupapannamåcåryasyåvadhå-
ra~avacanamuktå ta upani≤aditi | nanu nåvadhåra~amidaµ yato
’nyadvaktavyamåha – tasyai tapo dama ityådi | satyaµ vaktavya-
mucyata åcårye~a nan¥ktopani≤acche≤atayå tatsahakårisådhanå-
ntaråbhipråye~a vå | kiµ tu brahmavidyåpråptyupåyåbhipråye~a
vedaistada§gaiŸca saha på†hena samıkara~åtapa¢prabhÿtınåm |
na hi vedånåµ Ÿik≤ådya§gånåµ ca såk≤ådbrahmavidyåŸe≤atvaµ ta-
tsahakårisådhanatvaµ vå | sahapa†hitånåmapi yathåyogyaµ vibha-
jya viniyoga¢ syåditi cet | yathå s¥ktavåkånumantra~amantrå~åµ
yathådaivataµ vibhågastathå tapodamakarmasatyådınåµ brahma-
vidyåŸe≤atvaµ tatsahakårisådhanatvaµ veti kalpyate | vedånåµ ta-
da§gånåµ cårthaprakåŸakatvena karmåtmajñånopåyatvamiti | e-
vaµ hyayaµ vibhågo yujyate ’rthasambandhopapatisåmarthyådi-
202 kenopani≤acchå√karapadabhå≤yopetå 4.7

ti cet | na | ayukta¢ | na hyayaµ vibhågo gha†anåµ pråñcati | na


hi sarvakriyåkårakaphalabhedabuddhitiraskåri~yå brahmavidyå-
yå¢ Ÿe≤åpek≤å sahakårisådhanasambandho vå yujyate | sarvavi≤a-
yavyåvÿtapratyagåtmati≤†hatvåcca brahmavidyåyåstatphalasya ca
ni¢Ÿreyasasya – “mok≤amicchansadå karma tyajedeva sasådhanam |
tyajataiva hi tajjñeyaµ tyaktu¢ pratyakparaµ padam” tasmåtka-
rmå~åµ sahakåritvaµ karmaŸe≤åpek≤å vå na jñånasyopapadyate |
tato ’sadeva s¥ktavåkånumantravadyathåyogaµ vibhåga iti | ta-
smådavadhåra~årthataiva praŸnaprativacanasyopapadyate | etåva-
tyeveyamupani≤aduktå ’nyanirapek≤å ’mÿtatvåya ||

tasyai tapo dama¢ karmeti prati≤†hå vedå¢ sarvå§gåni satyamå-


yatanam || 4.8 ||

yåmimåµ bråhmımupani≤adaµ tavågre ’br¥ma tasyai tasyå u-


ktåyå upani≤ada¢ pråptyupåyabh¥tåni tapaådıni | tapa¢ kayendri-
yamanasåµ samådhånam | dama upaŸama¢ | karmågnihotrådi | e-
tairhi saµskÿtasya satvaŸuddhidvårå tatvajñånotpatirdÿ≤†å | dÿ-
≤†å hyamÿditakalma≤asyokte ’pi brahma~yapratipatirviparıtaprati-
patiŸca yathendravirocanaprabhÿtınåm | tasmådiha vå ’tıte≤u vå
bahu≤u janmåntare≤u tapaådibhi¢ kÿtasatvaŸuddherjñånaµ samu-
tpadyate yathåŸrutam || “yasya deve parå bhaktiryathå deve tathå
gurau | tasyaite kathitå hyarthå¢ prakåŸante mahåtmana¢” (Ÿve.
6.23) iti mantravar~åt | “jñånamutpadyate puµsåµ k≤ayåtpåpasya
karma~a¢” iti smÿte¢ | itiŸabda upalak≤a~apradarŸanårtha¢ | itye-
vamådyanyadapi jñånotpaterupakårakamamånitvamadambhitvami-
tyådyupadarŸitaµ bhavati | prati≤†hå pådau pådåvivåsyå¢ | te≤u hi
satsu pratiti≤†hati brahmavidyå pravartate padbhyåmiva puru≤a¢ |
vedåŸcatvåra¢ sarvå~i cå§gåni Ÿik≤ådıni ≤a†karmajñånaprakåŸaka-
tvådvedånåµ tadrak≤a~årthatvåda§gånåµ prati≤†håtvam | athavå
prati≤†håŸabdasya pådar¥pakakalpanårthatvådvedåstvitarå~i sarvå-
§gåni Ÿiraådıni | asminpak≤e Ÿik≤ådınåµ vedagraha~enaiva graha-
~aµ kÿtaµ pratyetavyam | a§gini gÿhıte ’§gåni gÿhıtånyeva bhava-
nti | tadåyatanatvåda§gånåm | satyamåyatanaµ yatra ti≤†hatyupa-
ni≤atadåyatanaµ satyamityamåyitå ’kau†ilyaµ vå§mana¢kåyå-
nåµ te≤u hyåŸrayati vidyå ye ’måyåvina¢ sådhava¢ | nåsuraprakÿ-
ti≤u måyåvi≤u | “na ye≤u jihmamanÿtaµ na måyå ca” iti Ÿrute¢ | ta-
4.9 caturtha¢ kha~ƒa¢ 203

småtsatyamåyatanamiti kalpyate | tapaådi≤veva prati≤†håtvena prå-


ptasya satyasya punaråyatanatvena graha~aµ sådhanåtiŸayatva-
jñåpanårtham || “aŸvamedhasahasraµ ca satyaµ ca tulayå dhÿtam |
aŸvamedhasahasråcca satyamekaµ viŸi≤yate” iti smÿte¢ ||

yo vå etåmevaµ vedåpahatya påpmånamanante svarge loke jye-


ye pratiti≤†hati pratiti≤†hati || 4.9 ||

yo vå etåµ brahmavidyåµ kene≤itamityådinå yathoktåmevaµ


mahåbhågåµ brahma ha devebhya ityådistutåµ sarvavidyåprati-
≤†håµ vedå ’mÿtatvaµ hi vindata ityuktamapi brahmavidyåphala-
mante nigamayati – apahatya påpmånamavidyåkåmakarmalak≤a-
~aµ saµsårabıjaµ vidh¥yånante ’paryante svarge loke sukhåtma-
ke brahma~ıtyetat | ananta iti viŸe≤a~ånna trivi≤†ape | anantaŸa-
bda aupacåriko ’pi syådityata åha – jyeya iti – jyeye jyåyasi sarva-
mahatare svåtmani mukhya eva pratiti≤†hati | na puna¢ saµsåra-
måpadyata ityabhipråya¢ ||

iti caturtha¢ kha~ƒa¢

iti samåptå kenopani≤acchå§karapadabhå≤yopetå

*
såmavedıyatalavakåraŸåkhıyå

kenopani≤at

Ÿå§karavåkyabhå≤yopetå

om | saha nåvavatu | saha nau bhunaktu | saha vıryaµ


karavåvahai | tejasvinåvadhıtamastu | må vidvi≤åvahai ||

oµ Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢

åpyåyantu mamå§gåni våkprå~aŸcak≤u¢ Ÿrotramatho ba-


lamindriyå~i ca sarvå~i | sarvaµ brahmopani≤adaµ må
’haµ brahma niråkuryåµ må må brahma niråkarodanirå-
kara~amastvaniråkaraµ me ’stu | tadåtmani nirate ya u-
pani≤atsu dharmåste mayi santu te mayi santu |•

om Ÿånti¢ Ÿånti¢ Ÿånti¢


atha prathama¢ kha~ƒa¢

oµ kene≤itaµ patati pre≤itaµ mana¢ kena prå~a¢ prathama¢


praiti yukta¢ | kene≤itåµ våcamimåµ vadanti cak≤u¢ Ÿrotraµ ka u
devo yunakti || 1.1 ||

samåptaµ karmåtmabh¥taprå~avi≤ayaµ vijñånaµ karma cåne-


kaprakåram | yayorvikalpasamuccayånu≤†hånåddak≤i~otaråbhyåµ
smÿtibhyåmåvÿtyanåvÿtı bhavata¢ | ata ¥rdhvaµ phalanirapek≤a-
jñånakarmasamuccayånu≤†hånåtkÿtåtmasaµskårasyocchinnåtma-
jñånapratibandhakasya dvaitavi≤ayado≤adarŸino n irjñåtåŸe≤abå-
hyavi≤ayatvåtsaµsårabıjamajñånamuccicchitsata¢ pratyagåtmavi-
≤ayajijñåso¢ kene≤itamityåtmasvar¥patatvavijñånåyåmadhyåya å-
rabhyate | tena ca mÿtyupadamajñånamucchetavyaµ tatantro hi
saµsåro yata¢ | anadhigatatvådåtmano yuktå tadadhigamåya ta-
dvi≤ayå jijñåså | karmavi≤aye cånukti¢ | tadvirodhitvåt | asya viji-
jñåsitavyasyå ’’tmatatvasya karmavi≤aye ’vacanam | kasmåditice-
dåtmano hi yathåvadvijñånaµ karma~å virudhyate | niratiŸayabra-
hmasvar¥po hyåtmå vijijñåpayi≤ita¢ | “tadeva brahma tvaµ viddhi
nedaµ yadidam” ityådiŸrute¢ | nahi svåråjye ’bhi≤ikto brahma-
tvaµ gamita¢ kañcana namitumicchatyato brahmåsmıti sambu-
ddho na karma kårayituµ Ÿakyate | na hyåtmånamavåptårthaµ
brahma manyamåna¢ pravÿti≤u prayojanavartıµ paŸyati | na ca
ni≤prayojanå pravÿtirato virudhyata eva karma~å jñånam | ata¢
karmavi≤aye ’nuktirvijñånaviŸe≤avi≤ayaiva jijñåså | ni≤kåmasya
saµskårårthatvåt | yadi hyåtmavijñånenå ’’tmåvidyåvi≤ayatvåtpa-
ritityåjayi≤itaµ karma tata¢ “prak≤åla~åddhi pa§kasya d¥rådaspa-
rŸanaµ varam” ityanårambha eva karma~a¢ Ÿreyånalpaphalatvådå-
yåsabahulatvåtatvajñånådeva ca Ÿreya¢pråpteriti cet | satyametat |
avidyåvi≤ayaµ karmålpaphalatvådido≤avadbandhar¥paµ ca sakå-
masya | “kåmånya¢ kåmayate” “iti nu kåmayamåna¢” ityådiŸruti-
bhya¢ | na ni≤kåmasya | tasya tu saµskårårthånyeva karmå~i bha-
208 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 1.1

vanti tannirvartakåŸrayaprå~avijñånasahitåni | “devayåjı Ÿreyånå-


tmayåjı vå” ityupakramya “åtmayåjı tu karoti idaµ me ’nenå§gaµ
saµskriyate” iti saµskårårthånyeva karmå~ıti våjasaneyake || “ma-
håyajñaiŸca yajñaiŸca bråhmıyaµ kriyate tanu¢” | “yajno dånaµ
tapaŸcaiva påvanåni manı≤i~åm” ityådismÿteŸca | prå~ådivijñånaµ
ca kevalaµ karmasamuccitaµ vå sakåmasya prå~åtmapråptyartha-
meva bhavati | ni≤kåmasya tvåtmajñånapratibandhanirmår≤†yai
bhavati | ådarŸanirmarjanavat | utpannåtmavidyasya tvanårambho
nirarthakatvåt || “karma~å badhyate janturvidyayå ca vimucyate |
tasmåtkarma na kurvanti yataya¢ påradarŸina¢” iti | “kriyåpatha-
Ÿcaiva puraståtsaµnyåsaŸcaiva tayo¢ saµnyåsa evåtyarecayat” iti
“tyågenaike” “nånya¢ panthå vidyate” ityådiŸrutibhyåŸca nyåyå-
cca | upåyabh¥tåni hi karmå~i saµskåradvåre~ajñånasya jñånena
tvamÿtatvapråpti¢ | “amÿtatvaµ hi vindate . vidyayå vindate ’mÿ-
tatvam” ityådiŸrutismÿtibhyaŸca | nahi nadyå¢ pårago nåvaµ na
muñcati yathe≤†adeŸagamanaµ prati svåtantrye sati | nahi svabhå-
vasiddhaµ vastu si≤ådhayi≤ati sådhanai¢ svabhåcasiddhaŸcå ’’tmå
tathå nå ’’pipayi≤ita¢ | åtmatve sati nityåptatvåt | nåpi vicikårayi≤i-
ta¢ | åtmatve sati nityatvådavikåritvådam¥rtatvåcca | ŸruteŸca “na
vardhate karma~å” ityådi | smÿteŸca “avikåryo ’yamucyate” iti | na
ca sañcikır≤ita¢ | “Ÿuddhamapåpaviddham” ityådiŸrutibhya¢ | ana-
nyatvåcca | anyenånyatsaµskriyate ’pi | na cå ’’tmano ’nyabh¥tå
kriyå ’sti | na ca svenaivå ’’tmanå svamåtmånaµ sañcikır≤et | na
ca vastvantarådhånaµ nityapråptirvå vastvantarasya nityå | nitya-
tvaµ ce≤†aµ mok≤asya | ata utpannavidyasya karmårambho ’nupa-
panna¢ | ato vyåvÿtabåhyabuddheråtmavijñånåya kene≤itamityå-
dyårambha¢ || pravÿtili§gådviŸe≤årtha¢ praŸna upapanna¢ | rathå-
dınåµ hi cetanåvadadhi≤†hitånåµ pravÿtirdÿ≤†å nånadhi≤†hitånåm |
manaådınåµ cåcetanånåµ pravÿtirdÿŸyate | taddhi li§gaµ cetanå-
vato ’dhi≤†håturastitve | kara~åni hi manaådıni niyamena pravarta-
nte | tannåsati cetanåvatyadhi≤†håtryupapadyate | tadviŸe≤asya cå-
nadhigamåccetanåvatsåmånye cådhigate viŸe≤årtha¢ praŸna upapa-
dyate | kene≤itaµ kene≤†aµ kasyecchåmåtre~a mana¢ patati ga-
cchati svavi≤aye niyamena vyåpriyata ityartha¢ | manute ’neneti
vijñånanimitamanta¢kara~aµ mana¢ | pre≤itamivetyupamårtha¢ |
na tvi≤itapre≤itaŸabdayorarthåviha sambhavata¢ | na hi Ÿi≤yåniva
manaådıni pre≤ayatyåtmå | viviktanityacitsvar¥patayå tu nimita-
1.2 prathama¢ kha~ƒa¢ 209

måtraµ pravÿtau nityacikitsådhi≤†håtÿvat | prå~a iti nåsikåbhava¢ |


prakara~åt | prathamatvaµ calanakriyåyå¢ prå~animitatvåtsvato
vi≤ayåvabhåsamåtraµ kara~ånåµ pravÿti¢ | calikriyå tu prå~a-
syaiva manaådi≤u tasmåtpråthamyaµ prå~asya | praiti gacchati
yukta¢ prayukta ityetat | våco vadanaµ kinnimitaµ prå~inåµ ca-
k≤u¢ŸrotrayoŸca ko deva¢ prayoktå | kara~ånåmadhi≤†håtå cetanå-
vånya¢ sa kiµviŸe≤a~a ityartha¢ ||

Ÿrotrasya Ÿrotraµ manaso mano yadvåco ha våcaµ sa u prå~a-


sya prå~aŸcak≤u≤aŸcak≤u¢ | atimucya dhırå¢ pretyåsmållokådamÿtå
bhavanti || 1.2 ||

Ÿrotrasya Ÿrotramityådiprativacanaµ nirviŸe≤asya nimitatvå-


rtham | vikriyådiviŸe≤arahitasyå ’’tmano manaådipravÿtau nimita-
tvamityetacchrotrasya Ÿrotramityådiprativacanasyårtha¢ | anuga-
måt | tadanugatåni hyatråsminnarthe ’k≤arå~i | kathaµ | Ÿÿ~otya-
neneti Ÿrotraµ tasya Ÿabdåvabhåsakatvaµ Ÿrotratvam | Ÿabdopala-
bdhÿr¥patayå ’vabhåsakatvaµ na svata¢ Ÿrotrasyåcidr¥patvåt | å-
tmanaŸca cidr¥patvåt | yacchrotrasyopalabdhÿtvenåvabhåsakatvaµ
tadåtmanimitatvåcchrotrasya Ÿrotramityucyate | yathå k≤atrasya
k≤atraµ yathå vodakasyau≤~yamagninimitamiti dagdhurapyuda-
kasya dagdhå ’gnirucyate | udakamapi hyagnisaµyogådagnirucya-
te tadvat | anityaµ yatsaµyogådupalabdhÿtvaµ tatkara~aµ Ÿrotrå-
di | udakasyeva dagdhÿtvamanityaµ hi tatra tat | yatra tu nityamu-
palabdhÿtvamagnåvivåu≤~yaµ sa nityopalabdhisvar¥patvåddagdhe-
vopalabdhocyate | Ÿrotrådi≤u Ÿrotÿtvådyupalabdhiranityå nityå cå
’’tmanyata¢ Ÿrotrasya Ÿrotramityådyak≤arå~åmarthånugamådupa-
padyate nirviŸe≤asyopalabdhisvar¥pasyå ’’tmano manaådipravÿti-
nimitatvamiti || manaådi≤vevaµ yathoktam | våco ha våcaµ prå-
~åsya prå~aµ iti vibhaktidvayaµ sarvatraiva dra≤†avyam | katham |
pÿ≤†atvåtsvar¥panirdeŸa¢ prathamayaiva ca nirdeŸa¢ | tasya ca jñe-
yatvåtkarmatvamiti dvitıyå | ato våco ha våcaµ prå~asya prå~å i-
tyasmåtsarvatraiva vibhaktidvayam | yadetacchrotrådyupalabdhi-
nimitaµ Ÿrotrasya Ÿrotramityådilak≤a~aµ nityopalabdhisvar¥paµ
nirviŸe≤amåtmatatvaµ tadbuddhvå ’timucyånavabodhanimitådhyå-
ropitådbuddhyådilak≤a~åtsaµsårånmok≤a~aµ kÿtvå dhırå dhıma-
nta¢ pretyåsmållokåccharıråtpretya viyujyånyasminnapratisandhı-
210 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 1.2

yamåne nirnimitatvådamÿtå bhavanti | sati hyajñåne Ÿarırånta-


raµ pratisandadhåte | åtmåvabodhe tu sarvakarmårambhanimitå-
jñånaviparıtavidyågniviplu≤†atvåtkarma~åmityanårambhe ’mÿtå e-
va bhavanti | Ÿarırådisantånåvicchedapratisandhånådyapek≤ayå ’dhyå-
ropitamÿtyuviyogåtp¥rvamapyamÿtå¢ santo nityåtmasvar¥patvå-
damÿtå bhavantıtyupacaryate ||

na tatra cak≤urgacchati na våggacchati no mana¢ | na vidmo na


vijånımo yathaitadanuŸi≤yåt | anyadeva tadviditådatho aviditåda-
dhi | iti ŸuŸruma p¥rve≤åµ ye nastadvyåcacak≤ire || 1.3 ||

na tatra cak≤urgacchatıtyukte ’pi paryanuyoge heturapratipa-


te¢ | Ÿrotrasya Ÿrotramityevamådinokte ’pyåtmatatve ’pratipa-
nnatvåts¥k≤matvahetorvastuna¢ puna¢ puna¢ paryanuyuyuk≤åkå-
ra~amåha – na tatra cak≤urgacchatıti | tatra Ÿrotrådyåtmabh¥te ca-
k≤urådıni våkcak≤u≤o¢ sarvendriyopalak≤a~århatvånna vijñånamu-
tpådayanti | sukhådivatarhi gÿhyetånta¢kara~enåta¢ åha – no ma-
na¢ | na sukhådivanmanaso vi≤ayastat | indriyåvi≤ayatvåt | na vi-
dmo na vijånımo ’nta¢kara~ena yathaitadbrahma manaådikara~a-
jåtamanuŸi≤yådanuŸåsanaµ k uryåtpravÿtinimitaµ bhavetathå
’vi≤ayatvånna vidmo na vijånıma¢ | athavå Ÿrotrådınåµ Ÿrotrådila-
k≤a~aµ brahma viŸe≤e~a darŸayetyukta åcårya åha – na Ÿakyate
darŸayituµ kasmånna tatra cak≤urgacchatıtyådi p¥rvavatsarvam |
atra tu viŸe≤o yathaitadanuŸi≤yåditi | yathaitadanuŸi≤yåtpratipåda-
yet | anyo ’pi Ÿi≤yånito ’nyena vidhinetyabhipråya¢ || sarvathå ’pi
brahma bodhayetyukta åcårya åha | anyadeva tadviditådatho avidi-
tådadhıtyågamam | viditåviditåbhyåmanyatvam | yo hi jñåtå sa e-
va sa¢ | sarvåtmakatvåt | ata¢ sarvåtmano jñåturjñåtrantaråbhåvå-
dviditådanyatvam | “sa veti vedyaµ na ca tasyåsti vetå” iti ca ma-
ntravar~åt | “vijñåtåramare kena vijånıyåt” iti ca våjasaneyake | a-
pi ca vyaktameva viditaµ tasmådanyadityabhipråya¢ || yadvidi-
taµ vyaktaµ tadanyavi≤ayatvådalpaµ savirodhaµ tato ’nityamata
evånekatvådaŸuddhamata eva tadvilak≤a~aµ brahmeti siddham | a-
stu tarhyaviditam || na | vijñånånapek≤atvåt | yaddhyaviditaµ ta-
dvijñånåpek≤amaviditavijñånåya hi lokapravÿti¢ | idaµ tu vijñå-
nånapek≤aµ kasmådvijñånasvar¥patvåt | na hi yasya yatsvar¥paµ
tatenånyato ’pek≤yate | na ca svata evåpek≤å | anapek≤ameva si-
1.3 prathama¢ kha~ƒa¢ 211

ddhatvåt | pradıpa¢ svar¥påbhivyaktau na prakåŸåntaramanyato


’pek≤ate svato vå | yaddhyanapek≤aµ tatsvata eva siddhaµ prakå-
Ÿåtmakatvåtpradıpasyåpek≤ito ’pyanarthaka¢ syåt | prakåŸe viŸe≤å-
bhåvåt | na hi pradıpasya svar¥påbhivyaktau pradıpaprakåŸo ’rtha-
vån | na caivamåtmano ’nyatra vijñånamasti yena svar¥pavijñåne
’pyapek≤yate || virodha iti cennånyatvåt | svar¥pavijñåne vijñåna-
svar¥patvådvijñånåntaraµ nåpek≤ata ityetadasat | dÿŸyate hi vipa-
rıtajñånamåtmani samyagjñånaµ ca na jånåmyåtmånamiti | Ÿrute-
Ÿca “tatvamasi” “åtmånamevåvet” “etaµ vai tamåtmånaµ viditvå”
iti ca sarvatra Ÿruti≤våtmavijñåne vijñånåntaråpek≤atvaµ dÿŸyate ta-
småtpratyak≤aŸrutivirodha iti cenna | kasmåt | anyo hi sa åtmå bu-
ddhyådikåryakara~asa§ghåtåbhimånasantånåvicchedalak≤a~o ’vi-
vekåtmako buddhyavabhåsapradhånaŸcak≤urådikara~o nityacitsva-
r¥påtmånta¢såro yatrånityaµ vijñånamavabhåsate | bauddhapra-
tyayånåmåvirbhåvatirobhåvadharmakatvåtaddharmatayaiva vila-
k≤a~amapi cåvabhåsate | anta¢kara~asya manaso ’pi mana¢ mano
’ntargatatvåtsarvåntaraŸrute¢ | antargatena nityavijñånasvar¥pe-
~å ’’kåŸavadapracalitåtmanå ’ntargarbhabh¥tena båhyo buddhyå-
tmå tadvilak≤a~o ’rcirbhirivågni¢ pratyayairåvirbhåvatirobhåva-
dharmakairvijñånåbhåsar¥pairanityavijñån a åtmå sukhı du¢khı-
tyabhyupagato laukikairato ’nyo nityavijñånasvar¥pådåtmana¢ |
tatra hi vijñånåpek≤å viparıtajñånatvaµ copapadyate na punarni-
tyavijñåne | tatvamasıti bodhopadeŸo nopapadyata iti cedåtmåna-
mevåvedityevamådıni ca | nityabodhåtmakatvåt | na hyådityo ’nye-
na prakåŸyate ’tastadarthabodhopadeŸo ’narthaka iti cenna | lokå-
dhyåropåpohårthatvåt | sarvåtmani hi nityavijñåne buddhyådyani-
tyadharmå lokairadhyåropitå åtmåvivekatastadapohårtho bodho-
padeŸo bodhåtmana¢ | tatra ca bodhåbodhau samañjasau | anyani-
mitatvådudaka ivau≤~yamagninimitam | råtryahanı ivå ’’dityani-
mite loke nityåvau≤~yaprakåŸåvagnyådityayoranyatra bhåvåbhå-
vayornimitatvådanityåvivopacaryete | dhak≤yatyagni¢ prakåŸayi-
≤yati saviteti tadvat | evaµ ca sukhadu¢khabandhamok≤ådyadhyå-
ropo lokasya | tadapek≤ya tatvamasyåtmånamevåvedityåtmåvabo-
dhopadeŸena Ÿrutaya¢ kevalamadhyåropåpohårthå¢ | yathå savitå
’sau prakåŸayatyåtmånamiti tadvat | bodhåbodhakartÿtvaµ ca ni-
tyabodhåtmani | tasmådanyadaviditåt | adhiŸabdaŸcånyårthe | ya-
dvå yaddhi yasyådhi tatato ’nyatsåmarthyådyathå ’dhi bhÿtyådı-
212 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 1.3

nåµ råjå | avyaktamevåviditaµ tato ’nyadityartha¢ | viditamavidi-


taµ ca vyaktåvyakte kåryakåra~atvena vikalpite tåbhyåmanya-
dbrahma vijñånasvar¥paµ sarvaviŸe≤apratyastamitamityayaµ sa-
mudåyårtha¢ | ata evå ’’tmatvånna heya upådeyo vå | anyaddhya-
nyena heyamupådeyaµ vå | na tenaiva tadyasya kasyaciddheya-
mupådeyaµ vå bhavati | åtmå ca brahma sarvåntaråtmatvådavi≤a-
yamato ’nyasyåpi na heyamupådeyaµ vå | anyåbhåvåcca | iti Ÿu-
Ÿruma p¥rve≤åmityågamopadeŸa¢ | vyåcacak≤ire ityasvåtantryaµ
tarkaprati≤edhårtham | ye nastadbrahmoktavantaste nityamevå
’’gamaµ brahmapratipådakaµ vyåkhyåtavanto na puna¢ svabu-
ddhiprabhavena tarke~oktavanta ityågamapåramparyåvicchedaµ
darŸayati vidyåstutaye | tarkastvanavasthito bhrånto ’pi bhavatıti ||

yadvåcå ’nabhyuditaµ yena vågabhyudyate | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.4 ||

yadvåceti mantrånuvådo dÿƒhapratıte¢ | anyadeva tadviditådi-


ti yo ’yamågamårtho bråhma~okto ’syaiva draƒhimne mantrå ya-
dvåcetyådaya¢ pa†hyante | yadbrahma våcå Ÿabdenånabhyudita-
manabhyuktamaprakåŸitamityetat | yena vågabhyudyata iti vå-
kprakåŸahetutvokti¢ | yena prakåŸyata iti våco ’bhidhånasyåbhi-
dheyaprakåŸakatvasya hetutvamucyate brahma~a¢ | uktaµ ca ke-
ne≤itaµ våcamimåµ vadanti yadvåco ha våcamiti | tadeva brahma
tvaµ viddhıtyavi≤ayatvena brahma~a åtmanyavasthåpanårtha å-
mnåya¢ | yadvåcå ’nabhyuditaµ våkprakåŸanimitaµ ceti brahma-
~o ’vi≤ayatvena vastvantarajighÿk≤åµ nivartya svåtmanyevåva-
sthåpayatyåmnåyastadeva brahma tvaµ viddhıti yatnata uparama-
yati | nedamityupåsyaprati≤edhåcca ||

yanmanaså na manute yenå ’’hurmano matam | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.5 ||

yaccak≤u≤å na paŸyati yena cak≤¥µ≤i paŸyati | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.6 ||

yacchrotre~a na Ÿÿ~oti yena Ÿrotramidaµ Ÿrutam | tadeva bra-


hma tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.7 ||
1.8 prathama¢ kha~ƒa¢ 213

yatprå~ena na prå~iti yena prå~a¢ prå~ıyate | tadeva brahma


tvaµ viddhi nedaµ yadidamupåsate || 1.8 ||

yanmanasetyådi samånam | mano matamiti | yena brahma~å


mano ’pi vi≤ayıkÿtaµ nityavijñånasvar¥pe~etyetat | sarvakara~å-
nåmavi≤ayaµ tåni ca savyåpårå~i savi≤ayå~i nityavijñånasvar¥på-
vabhåsatayå yenåvabhåsyanta iti Ÿlokårtha¢ | “k≤etraµ k≤etrı ta-
thå kÿtsnaµ prakåŸayati” iti smÿte¢ | “tasya bhåså” iti cå ’’tharva-
~e | yena prå~a iti | kriyåŸaktirapyåtmavijñånanimitetyetat ||

iti prathama¢ kha~ƒa¢


atha dvitıya¢ kha~ƒa¢

yadi manyase suvedeti daharamevåpi n¥naµ tvaµ vetha bra-


hma~o r¥paµ | yadasya tvaµ yadasya deve≤vatha nu mımåµsya-
meva te manye viditam || 2.1 ||

yadi manyase suvedeti Ÿi≤yabuddhivicålanå gÿhıtasthiratåyai |


viditåviditåbhyåµ nivartya buddhiµ Ÿi≤yasya svåtmanyavasthå-
pya tadeva brahma tvaµ viddhıti svåråjye ’bhi≤icyopåsyaprati≤e-
dhenåthåsya buddhiµ vicålayati yadi manyase suvedåhaµ brahme-
ti tvaµ tato ’lpameva brahma~o r¥paµ vetha tvamiti n¥naµ niŸci-
taµ manyata ityåcårya¢ | så punarvicålanå kimarthetyucyate p¥-
rvagÿhıte vastuni buddhe¢ sthiratåyai | deve≤vapi suvedåhamiti ma-
nyate ya¢ so ’pyasya brahma~o r¥paµ daharameva veti n¥nam |
kasmåt | avi≤ayatvåtkasyacidbrahma~a¢ | athavå ’lpamevåsyå ’’dhyå-
tmikaµ manu≤ye≤u deve≤u ca ådhidaivikamasya brahma~o yadr¥-
pam taditi sambandha¢ | atha nviti heturmımåµsåyå¢ | yasmådda-
harameva suviditaµ brahma~o r¥pamanyadeva tadviditådityukta-
tvåtsuvedeti ca manyase ’to ’lpameva vetha tvaµ brahma~o r¥-
paµ yasmådatha nu tasmånmımåµsyamevådyåpi te tava brahma
vicåryameva yåvadviditåviditaprati≤edhågamårthånubhava itya-
rtha¢ | “manye viditam” iti Ÿi≤yasya mımåµsånantarokti¢ pratya-
yatrayasa§gate¢ | samyagvastuniŸcayåya vicålita¢ Ÿi≤ya åcårye~a
mımåµsyameva ta iti cokta ekånte samåhito bh¥två vicårya yatho-
ktaµ supariniŸcita¢ sannåhå ’’gamåcåryåtmånubhavapratyayatra-
yasyaikavi≤ayatvena sa§gatyartham | evaµ hi suparini≤†hitå vidyå
saphalå syånnåniŸciteti nyåya¢ pradarŸito bhavati | manye vidita-
miti parini≤†hitaniŸcitavijñånapratijñå het¥kte¢ ||

nåha manye suvedeti no na vedeti veda ca | yo nastadveda no na


vedeti veda ca || 2.2 ||
216 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 2.2

parini≤†hitaµ saphalaµ vijñånaµ pratijånıte åcåryåtmaniŸca-


yayostulyatåyai | yasmåddhetumåha nåha manye suvedeti | ahe-
tyavadhåra~årtho nipåto naiva manya ityetat | yåvadaparini≤†hi-
taµ vijñånaµ tåvatsuveda su≤†hu vedåhaµ brahmeti viparıto ma-
ma niŸcaya åsıt | sopajagåma bhavadbhirvicålitasya yathoktårtha-
mımåµsåphalabh¥tåtsvåtmabrahmatvaniŸcayar¥påtsamyakpratya-
yådviruddhatvåt | ato nåhaµ manye suvedeti | yasmåcca tannaiva
na vedeti manya ityanuvartate | aviditabrahmaprati≤edhåt | ka-
thaµ tarhi manyasa ityukta åha – veda ca | caŸabdådveda ca na ve-
da cetyabhipråya¢ | viditåviditåbhyåmanyatvådbrahma~astasmå-
nmayå viditaµ brahmeti manya iti våkyårtha¢ | athavå veda ceti
nityavijñånabrahmasvar¥patayå no na veda vedaiva cåhaµ svar¥-
pavikriyåbhåvåt | viŸe≤avijñånaµ ca parådhyastaµ na svata iti pa-
ramårthato na ca vedeti | yo nastadveda tadvedetipak≤åntaranirå-
sårthamåmnåya uktårthånuvådåt | yo no ’småkaµ madhye yathå
’haµ vedeti sa eva tadbrahmaveda nånya¢ | upåsyabrahmavitvå-
dato ’nyasya | veda ceti pak≤åntare brahmavitvaµ nirasyate | ku-
to ’yamartho ’vasıyata ityucyate | uktånuvådåt | uktaµ hyanuvada-
ti no na vedeti veda ceti ||

yasyåmataµ tasya mataµ mataµ yasya na veda sa¢ | avijñå-


taµ vijånatåµ vijñåtamavijånatåm || 2.3 ||

yasyåmatamiti Ÿrautamåkhyåyikårthopasaµhårårtham | Ÿi≤yå-


cåryoktipratyuktilak≤a~ayå ’nubhavayuktipradhånayå ’khyåyika-
yå yo ’rtha¢ siddha¢ sa Ÿrautena vacanenå ’’gamapradhånena niga-
manasthånıyena saµk≤epata ucyate | yaduktaµ viditådanyadvågå-
dınåmagocaratvåt | mımåµsitaµ cånubhavopapatibhyåµ brahma
tatathaiva jñåtavyam | kasmåt | yasyåmataµ yasya vividi≤åprayu-
ktapravÿtasya sådhakasyåmatamavijnåtamaviditaµ brahmetyåtma-
tatvaniŸcayaphalåvasånåvabodhatayå vividi≤å nivÿtetyabhipråya¢ |
tasya mataµ jñåtaµ tena viditaµ brahma yenåvi≤ayatvenå ’’tma-
tvena pratibuddhamityartha¢ | sa samyagdarŸı yasya vijñånånanta-
rameva brahmåtmabhåvasyåvasitatvåtsarvata¢ kåryåbhåva¢ | vi-
paryaye~a mithyåjñåno bhavati | katham | mataµ viditaµ jñåtaµ
mayå brahmeti yasya vijñånaµ sa mithyådarŸı viparıtavijnåno vi-
ditådanyatvådbrahma~o na veda sa na vijånåti | tataŸca siddhama-
2.4 dvitıya¢ kha~ƒa¢ 217

vaidikasya vijñånasya mithyåtvam | abrahmavi≤ayatayå ninditatvå-


tathå kapilaka~abhugådisamayasyåpi viditabrahmavi≤ayatvådana-
vasthitatarkajanyatvådvividi≤å ’nivÿteŸca mithyåtvamiti | smÿte-
Ÿca – “yå vedabåhyå¢ smÿtayo yåŸca kåŸca kudÿ≤†aya¢ | sarvåstå
ni≤phalå¢ proktåstamoni≤†hå hi tå¢ smÿt墔 iti viparıtamithyåjñå-
nayorana≤†atvåditi | avijñåtaµ vijånatåµ vijñåtamavijånatåmiti
p¥rvahet¥ktiranuvådasyå ’’narthakyåt | anuvådamåtre ’narthakaµ
vacanamiti p¥rvoktayoryasyåmatamityådinå jñånåjñånayorhetva-
rthatvenedamucyate | avijñåtamaviditamåtmatvenåvi≤ayatayå bra-
hma vijånatåµ yasmåtasmåtadeva jñånaµ yate≤åµ vijñåtaµ vi-
ditaµ vyaktameva buddhyådivi≤ayaµ brahmåvijånatåµ viditåvidi-
tavyåvÿtamåtmabh¥taµ nityavijñånasvar¥pamåtmasthamavikriya-
mamÿtamajaramabhayamananyatvådavi≤ayamityevamavijånatåm |
buddhyådivi≤ayåtmatayaiva nityaµ vijñåtaµ brahma | tasmådvidi-
tåviditavyaktåvyaktadharmådhyårope~a kåryakåra~abhåvena savi-
kalpamayathårthavi≤ayatvåt | Ÿuktikådau rajatådyadhyåropa~ajñå-
navanmithyåjñånaµ te≤åm ||

pratibodhaviditaµ matamamÿtatvaµ hi vindate | åtmanå vinda-


te vıryaµ vidyayå vindate ’mÿtam || 2.4 ||

pratibodhaviditaµ matamiti | vıpså pratyayånåmåtmåvabodha-


dvåratvåt | bodhaµ prati bodhaµ pratıti vıpså sarvapratyayavyå-
ptyarthå | bauddhå hi sarve pratyayåstaptalohavannityavijñånasva-
r¥påtmavyåptatvådvijñånasvar¥påvabhåsåstadanyåvabhåsaŸcå
’’tmå tadvilak≤a~o ’gnivadupalabhyata iti tena te dvårıbhavantyå-
tmopalabdhau | tasmåtpratibodhåvabhåsapratyagåtmatayå yadvidi-
taµ tadbrahma tadeva mataµ jñåtaµ tadeva samyagjñånaµ ya-
tpratyagåtmavijnånaµ na vi≤ayavijñånam | åtmatvena pratyagå-
tmånamaik≤aditi ca kå†hake | amÿtatvaµ hi vindata iti hetuvaca-
naµ viparyaye mÿtyupråpte¢ | vi≤ayåtmavijñåne hi mÿtyu¢ pråra-
bhata ityåtmavijñånamamÿtatvanimitamiti yuktaµ hetuvacanama-
mÿtatvaµ hi vindata iti | åtmajñånena kimamÿtatvamutpådyate |
na | kathaµ tarhi | åtmanå vindate svenaiva nityåtmasvabhåvenå-
mÿtatvaµ vindate | nå ’’lambanap¥rvakam | vindata ityåtmavijñå-
nåpek≤am | yadi hi vidyotpådyamamÿtatvaµ syådanityaµ bhave-
tkarmakåryavat | ato na vidyotpådyam | yadi cå ’’tmanaivåmÿta-
218 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 2.4

tvaµ vindate kiµ punarvidyayå kriyata ityucyate | anåtmavijñå-


naµ nivartayantı så tannivÿtyå svåbhåvikasyåmÿtatvasya nimita-
miti kalpyate | yata åha vıryaµ vidyayå vindate | vıryaµ såma-
rthyamanåtmådhyåropamåyåsvåntadhvåntånabhibhåvyalak≤a~aµ
balaµ vidyayå vindate | tacca kiµ viŸi≤†am | amÿtamavinåŸi | avi-
dyåjaµ hi vıryaµ vinåŸi | vidyayå ’vidyåyå bådhyatvåt | na tu vi-
dyåyå bådhako ’stıti vidyåjamamÿtaµ vıryam | ato vidyå ’mÿtatve
nimitamåtraµ bhavati | “nåyamåtmå balahınena labhya¢” iti cå
’’tharva~e | loke ’pi vidyåjameva balamabhibhavati na Ÿarırådiså-
marthyaµ yathå hastyåde¢ | athavå pratibodhaviditaµ matamiti
sakÿdevåŸe≤aviparıtanirastasaµskåre~a svapnapratibodhavadyadvi-
ditaµ tadeva mataµ jñånaµ bhavatıti | athavå gur¥padeŸa¢ prati-
bodhastena vå viditaµ matamityubhayatra pratibodhaŸabdaprayo-
go ’sti | suptapratibuddho guru~å pratibodhita iti | p¥rvaµ tu ya-
thårtham ||

iha cedavedıdatha satyamasti na cedihåvedınmahatı vina≤†i¢ |


bh¥te≤u bh¥te≤u vicitya dhırå¢ pretyåsmållokådamÿtå bhavanti || 2.5 ||

iha cedavedıdityavaŸyakartavyatoktirviparyaye vinåŸaŸrute¢ |


iha manu≤yajanmani satyavaŸyamåtmå veditavya ityetadvidhıya-
te | kathamiha cedavedıdviditavån | atha satyaµ paramårthatatva-
mastyavåptaµ tasya janma saphalamityabhipråya¢ | na cedihåve-
dınna viditavånvÿthaiva janma | api ca mahatı vina≤†irmahånvinå-
Ÿo janmamara~aprabandhåvicchedapråptilak≤a~a¢ syådyatastasmå-
davaŸyaµ tadvicchedåya jñeya åtmå | jñånena tu kiµ syådityucya-
te – bh¥te≤u bh¥te≤u | caråcare≤u sarve≤vityartha¢ | vicitya | pÿtha-
§ni≤kÿ≤yaikamåtmatatvaµ saµsåradharmairaspÿ≤†amåtmabhåve-
nopalabhyetyartha¢ | anekårthatvåddhåt¥nåm | na punaŸcitveti sa-
mbhavati virodhåt | dhırå dhımanto vivekino vinivÿtabåhyavi≤ayå-
bhilå≤å¢ | pretya mÿtvå ’smållokåccharırådyanåtmalak≤a~ådvyåvÿ-
tamamatvåhaµkårå¢ santa ityartha¢ | amÿtå amara~adharmå~o
nityavijñånåmÿtatvasvabhåvå eva bhavanti ||

iti dvitıya¢ kha~ƒa¢


atha tÿtıya¢ kha~ƒa¢

brahma ha devebhyo vijigye tasya ha brahma~o vijaye devå a-


mahıyanta | ta aik≤antåsmåkamevåyaµ vijayo ’småkamevåyaµ
mahimeti || 3.1 ||

brahma ha devebhya iti brahma~ o durvijñeyatoktiryatnådhi-


kyårthå | samåptå brahmavidyå yadadhiga¢ puru≤årtha¢ | ata ¥-
rdhvamarthavådena brahma~o durvijñeyatocyate | tadvijñåne ka-
thaµ nu nåma yatnamadhikaµ kuryåditi | Ÿamådyartho vå ’’mnå-
yo ’bhimånaŸåtanåt | Ÿamådi vå brahmavidyåsådhanaµ vidhitsi-
taµ tadartho ’yamarthavådåmnåya¢ | na hi Ÿamådisådhanarahita-
syåbhimånarågadve≤ådiyuktasya brahmavijñåne såmarthyamasti |
vyåvÿtabåhyamithyåpratyayagråhyatvådbrahma~a¢ | yasmåccå-
gnyådınåµ jayåbhimånaµ Ÿåtayati | tataŸca brahmavijñånaµ da-
rŸayatyabhimånopaŸame | tasmåcchamådisådhanavidhånårtho ’ya-
marthavåda ityavasıyate | sagu~opåsanårtho vå ’poditatvåt | ne-
daµ yadidamupåsata ityupåsyatvaµ brahma~o ’poditamapodita-
tvådanupåsyatve pråpte tasyaiva brahma~a¢ sagu~atvenådhidaiva-
madhyåtmaµ copåsanaµ vidhåtavyamityevamartho vå | ityadhi-
daivataµ tadvanamityupåsitavyamiti hi vak≤yati | brahmeti paro li-
§gåt | na hyanyatra parådıŸvarånnityasarvajñåtparibh¥yågnyådıµ-
stÿ~aµ vajrıkartuµ såmarthyamasti tanna ŸaŸåka dagdhumityådili-
§gådbrahmaŸabdavåcya ıŸvara ityavasıyate | na hyanyathå ’gnistÿ-
~aµ dagdhuµ notsahate våyurvå ’’dåtum | ıŸvarecchayå tÿ~amapi
vajrıbhavatıtyupapadyate || tatsiddhirjagato niyatapravÿte¢ | Ÿruti-
smÿtiprasiddhibhirnityasarvavijñåna ıŸvare sarvåtmani siddhe ’pi
ŸåstrårthaniŸcayårthamucyate | tasyeŸvarasya sadbhåvasiddhi¢ ku-
to bhavatıtyucyate | yadidaµ jagaddevagandharvayak≤arak≤a¢pitÿ-
piŸacådilak≤a~aµ dyuviyatpÿthivyådityacandragraha~ak≤atravici-
traµ vividhaprå~yupabhogayogyasthånasådhanasambandhi tada-
tyantakuŸalaŸilpibhirapi durnirmå~aµ deŸakålanimitånur¥paniya-
220 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 3.1

tapravÿtikramametadbhoktÿkarmavibhågajñaprayatnap¥rvakaµ
bhavitumarhati | kåryatve sati yathoktalak≤a~atvåt | gÿhapråsåda-
rathaŸayanåsanådivadvipak≤a åtmådivat | karma~a eveti cet | na |
paratantrasya nimitamåtratvåt | yadidamupabhogavaicitryaµ prå-
~inåµ tatsådhanavaicitryaµ ca deŸakålanimitånur¥paniyatapravÿ-
tinivÿtikramaµ ca tanna nityasarvajñakartÿkam | kiµ tarhi ka-
rma~a eva | tasyåcintyaprabhåvatvåtsarvaiŸca phalahetutvåbhyu-
pagamåt | sati karma~a¢ phalahetutve kimıŸvarådhikakalpanayeti
na nityasyeŸvarasya nityasarvajñaŸakte¢ phalahetutvaµ ceti cet |
na | karma~a evopabhogavaicitryådyupapadyate | kasmåt | kartÿta-
ntratvåtkarma~a¢ | citimatprayatnanirvÿtaµ hi karma tatpraya-
tnoparamåduparataµ saddeŸåntare kålåntare vå niyatanimitaviŸe-
≤åpek≤aµ kartu¢ phalaµ janayi≤yatıti na yuktamanapek≤yånyadå-
tmana¢ prayoktÿ | kartaiva phalakåle prayokteti cet | mayå nirva-
rtito ’si tvåµ prayok≤ye phalåya yadåtmånur¥paµ phalamiti || na |
deŸakålanimitaviŸe≤ånabhijñatvåt | yadi hi kartå deŸaviŸe≤åbhijña¢
sansvåtantrye~a karma niyuñjyåtato ’ni≤†aphalasyåprayoktå syåt |
na ca nirnimitaµ tadanicchayå ’’tmasamavetaµ saccarmavadvika-
roti karma | na cå ’’tmakÿtamakartÿsamavetamayaskåntama~ivadå-
kra≤†ÿbhavati | pradhånakartÿsamavetatvåtkarma~a¢ || bh¥tåŸraya-
miti cenna sådhanatvåt | kartÿkriyåyå¢ sådhanabh¥tåni bh¥tåni
kriyåkåle ’nubh¥tavyåpårå~i samåptau ca halådivatkartrå paritya-
ktåni na phalaµ kålåntare kartumutsahante | na hi halaµ k≤etrå-
dvrıhıngÿhaµ praveŸayati bh¥takarma~oŸcåcetanatvåtsvata¢pra-
vÿtyanupapati¢ | våyuvaditi cennåsiddhatvåt | na hi våyoraciti-
mata¢ svata¢pravÿti¢ siddhå rathådi≤vadarŸanåt | Ÿåstråtkarma~a
eveti cet | Ÿåstraµ hi kriyåta¢ phalasiddhimåha – neŸvaråde¢ sva-
rgakåmo yajetetyådi | na ca pramå~ådhigatatvådånarthakyaµ yu-
ktam | na ceŸvaråstitve pramå~åntaramastıti cet | na | dÿ≤†anyåya-
hånånupapate¢ | kriyå hi vividhå dÿ≤†aphalå ’dÿ≤†aphalå ca | dÿ≤†a-
phalå ’pi vividhå ’nantaraphalå ’’gåmiphalå ca | anantaraphalå ga-
tibhujilak≤a~å | kålåntaraphalå ca kÿ≤isevådilak≤a~å | tatrånantara-
phalå phalåpavargi~yeva kålåntaraphalå t¥tpannapradhvåµsinı |
åtmasevyådyadhınaµ hi kÿ≤isevåde¢ phalaµ yata¢ | na cobhaya-
nyåyavyatireke~a svatantraµ karma tato vå phalaµ dÿ≤†aµ | tathå
ca karmaphalapråptau na dÿ≤†anyåyahånamupapadyate | tasmå-
cchånte yågådikarma~i nitya¢ kartÿkarmaphalavibhågajña ıŸvara¢
3.1 t®tıya¢ kha~ƒa¢ 221

sevyådivadyågådyanur¥paphaladåtopapadyate | sa cå ’’tmabh¥ta¢
sarvasya sarvakriyåphalapratyayasåk≤ı nityavijñånasvabhåva¢ saµ-
såradharmairasaµspÿ≤†a¢ | ŸruteŸca “na lipyate lokadu¢khena bå-
hya¢” “jaråmÿtyumatyeti” “vijaro vimÿtyu¢” “satyakåma satyasa-
§kalpa¢” “e≤a sarveŸvara¢ pu~yaµ karma kårayati” “anaŸnanna-
nyo abhicåkaŸıti” “etasya vå ak≤arasya praŸåsane” ityådyå asaµså-
ri~a ekasyå ’’tmano nityamuktasya siddhau Ÿrutaya¢ || smÿtayaŸca
sahasraŸo vidyante | na cårthavådå¢ Ÿakyante kalpayitum | ana-
nyayogitve sati vijñånotpådakatvåt | na cotpannaµ vijñånaµ bå-
dhyate | aprati≤edhåcca | na ceŸvaro nåstıti ni≤edho ’sti | pråptya-
bhåvåditi cenna | uktatvåt | na hiµsyåditivatpråptyabhåvåtprati≤e-
dho nå ’’rabhyata iti cenna | ıŸvarasadbhåve nyåyasyoktatvåt | a-
thavå ’prati≤edhåditi karma~a¢ phaladåna ıŸvarakålådınåµ na pra-
ti≤edho ’sti | na ca nimitåntaranirapek≤aµ kevalena kartraiva pra-
yuktaµ phaladaµ dÿ≤†am | na ca vina≤†o ’pi yåga¢ kålåntare phala-
do bhavati | sevyabuddhivatsevakena sarvajñeŸvarabuddhau tu
saµskÿtåyåµ yågådikarma~å vina≤†e ’pi karma~i sevyådiveŸvarå-
tphalaµ karturbhavatıti yuktam | na tu puna¢ padårthå våkyaŸate-
nåpi deŸåntare kålåntare vå svaµ svaµ svabhåvaµ jahati | nahi de-
Ÿakålåntare≤u cågniranu≤~o bhavati | evaµ karma~o ’pi kålåntare
phalaµ dviprakåramevopalabhyate | bıjak≤etrasaµskåraparirak≤å-
vijñånavatkartrapek≤aphalaµ kÿ≤yådivijñånavatsevyabuddhisaµ-
skåråpek≤aphalaµ ca sevådi | yågåde¢ karma~astathå ’vijñånava-
tkartrapek≤aphalatvånupapatau kålåntaraphalatvåtkarmadeŸakåla-
nimitavipåkavibhågajñabuddhisaµskåråpek≤aµ phalaµ bhavitu-
marhati | sevådikarmånur¥paphalajñasevyabuddhisaµskåråpek≤a-
phalasyeva | tasmåtsiddha¢ sarvajña ıŸvara¢ sarvajantubuddhika-
rmaphalavibhågasåk≤ı sarvabh¥tåntaråtmå | iti Ÿrute¢ || sa eva cå-
trå ’’tmå jant¥nåm “nånyo ’to ’sti dra≤†å Ÿrotå mantå vijñåtå” “nå-
nyadato ’sti vijñåtÿ” ityådyåtmåntaraprati≤edhaŸrute¢ “tatvamasi”
iti cå ’’tmatvopadeŸåt | na hi mÿtpi~ƒa¢ kåñcanåtmatvenopadiŸya-
te | jñånaŸaktikarmopåsyopåsakaŸuddhåŸuddhamuktåmuktabhedå-
dåtmabheda eveti cenna | bhedadÿ≤†yapavådåt || yaduktaµ såµså-
ri~a ıŸvarådananyå iti | tanna kiµ tarhi bheda eva saµsåryåtma-
nåm | kasmåt | lak≤a~abhedådaŸvamahi≤avat | kathaµ lak≤a~abhe-
da ityucyate | ıŸvarasya tåvannityaµ sarvavi≤ayaµ jñånaµ savitÿ-
prakåŸavat | tadviparıtaµ saµsåri~åµ khadyotasyeva | tathaiva Ÿa-
222 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 3.1

ktibhedo ’pi | nityå sarvavi≤ayå ceŸvaraŸaktirviparıtetarasya | ka-


rma ca citsvar¥påtmasatåmåtranimitamıŸvarasya | au≤~yasvar¥-
padravyasatåmåtranimitadahanakarmavat | råjåyaskåntaprakåŸa-
karmavacca svåtmåvikriyår¥pam | viparıtamitarasya | upåsıtetiva-
canådupåsya ıŸvaro gururåjavat | upåsakaŸcetara¢ Ÿi≤yabhÿtyavat |
apahatapåpmådiŸrava~ånnityaŸuddha ıŸvara¢ | pu~yo vai pu~ye-
netivacanådviparıta itara¢ | ata eva nityamukta eveŸvaro nityaŸu-
ddhiyogåtsaµsårıtara¢ | api ca yatra jñånådilak≤a~abhedo ’sti ta-
tra bhedo dÿ≤†a¢ | yathå ’Ÿvamahi≤ayostathå jñånådilak≤a~abhedå-
dıŸvarådåtmanåµ bhedo ’stıti cet || na | kasmåt | “anyo ’såvanyo
’hamasmıti na sa veda” “k≤ayyalokå bhavanti” “mÿtyo¢ sa mÿtyu-
måpnoti” iti bhedadÿ≤†irhyapohyate | ekatvapratipådinyaŸca Ÿruta-
ya¢ sahasraŸo vidyante | yaduktaµ jñånådilak≤a~abhedåditi | atro-
cyate – na | anabhyupagamåt | buddhyådibhyo vyatiriktå vilak≤a-
~åŸceŸvarådbhinnalak≤a~å åtmåno na santi | eka eveŸvaraŸcå ’’tmå
sarvabh¥tånåµ nityamukto ’bhyupagamyate | båhyaŸcak≤urbu-
ddhyådisamåhårasantånåhaµkåramamatvådiviparıtapratyayapra-
bandhåvicchedalak≤a~o n ityaŸuddhabuddhamuktavijñånåtmeŸva-
ragarbho nityavijñånåvabhåsaŸcitaccaityabıjabıjisvabhåva¢ kalpi-
to ’nityavijñåna ıŸvaralak≤a~aviparıto ’bhyupagamyate | yasyåvi-
cchede saµsåravyavahåra¢ | vicchede ca mok≤avyavahåra¢ | anya-
Ÿca mÿtpralepavatpratyak≤apradhvaµso devapitÿmanu≤yådilak≤a-
~o bh¥taviŸe≤asamåhåro na punaŸcaturtho ’nyo bhinnalak≤a~a ı-
Ÿvarådabhyupagamyate | buddhyådikalpitåtmavyatirekåbhipråye-
~a tu lak≤a~abhedådityåŸrayåsiddho hetu¢ | ıŸvarådanyasyå ’’tma-
no ’satvåt | ıŸvarasyaiva viruddhalak≤a~atvamayuktamiti cetsu-
khadu¢khådiyogaŸca | na | nimitatve sati lokaviparyayådhyåropa-
~åtsavitÿvat | yathå hi savitå nityaprakåŸar¥patvållokåbhivyaktya-
nabhivyaktinimitatve sati lokadÿ≤†iviparyaye~odayåstamayåhorå-
trådikartÿtvådhyåropabhågbhavatyevamıŸvare nityavijñånaŸaktir¥-
pe lokajñånåpohasukhadu¢khasmÿtyådinimitatve sati lokaviparı-
tabuddhyå ’dhyåropitaµ viparıtalak≤a~atvaµ sukhadu¢khådaya-
Ÿca na svata¢ | åtmadÿ≤†yanur¥pådhyåropåcca | yatha ghanådivi-
prakır~e ’mbare yenaiva savitÿprakåŸo na dÿŸyate sa åtmadÿ≤†yanu-
r¥pamevådhyasyati savitedånımiha na prakåŸayatıti satyeva prakå-
Ÿe ’nyatra bhråntyå | evamiha bauddhådivÿtyudbhavåbhibhavåku-
labhråntyå ’dhyåropita¢ sukhadu¢khådiyoga upapadyate | tatsma-
3.2 t®tıya¢ kha~ƒa¢ 223

ra~åcca | tasyaiveŸvarasyaiva hi smara~am | “mata¢ smÿtirjñåna-


mapohanaµ ca” “nå ’’date kasyacitpåpam” ityådi | ato nityamu-
kta ekasminsavitarıva lokåvidyådhyåropitamıŸvare saµsåritvam |
Ÿåstrådipråmå~yådabhyupagatamasaµsåritvamityavirodha iti || e-
tena pratyekaµ jñånådibheda¢ pratyukta¢ | sauk≤myacaitanyasa-
rvagatvådyaviŸe≤e ca bhedahetvabhåvåt | vikriyåvatve cånityatvåt |
mok≤e ca viŸe≤ånabhyupagamådabhyupagame cånityatvaprasa§gåt |
avidyåvadupalabhyatvåcca bhedasya tatk≤aye ’nupapatiriti siddha-
mekatvam | tasmåccharırendriyamanovi≤ayavedanåsantånasyåhaµ-
kårasambandhådajñånabıjasya nityavijñånånyanimitasyå ’’tmata-
tvayåthåtmyavijñånådvinivÿtåvajñånabıjasya viccheda åtmano mo-
k≤asaµjñå viparyaye ca bandhasaµjñå | svar¥påpek≤atvådubhayo¢ ||
brahma ha ityaitihyårtha¢ | purå kila devåsurasa§gråme jagatsthi-
tiparipipålayi≤ayå ’’tmånuŸåsanånuvartibhyo devebhyo ’rthibhyo
’rthåya vijigye ’jai≤ıdasurånbrahma~a icchånimito vijayo devå-
nåµ babh¥vetyartha¢ | tasya ha brahma~o vijaye devå amahıya-
nta | yajñådilokasthityapahåri≤vasure≤u paråjite≤u devå vÿddhiµ
pujåµ vå pråptavanta¢ ||

taddhai≤åµ vijajñau tebhyo ha prådurbabh¥va tanna vyåjånata


kimidaµ yak≤amiti || 3.2 ||

ta aik≤anteti mithyåpratyayatvåddheyatvakhyåpanårthamåmnå-
ya¢ | ıŸvaranimite vijaye svasåmarthyanimito ’småkamevåyaµ
vijaye ’småkamevåyaµ mahimetyåtmano jayådiŸreyonimitaµ sa-
rvåtmånamåtmasthaµ sarvakalyå~åspadamıŸvaramevå ’’tmatvenå-
buddhvå pi~ƒamåtråbhimånå¢ santo yaµ mithyåpratyayaµ cakru-
stasya pi~ƒamåtravi≤ayatvena mithyåpratyayatvåtsarvåtmeŸvara-
yåthåtmyåvabodhena håtavyatåkhyåpanårthastaddhai≤åmityådyå-
khyåyikåmnåya¢ | tadbrahma ha kilai≤åµ devånåmabhipråyaµ mi-
thyåhaµkårar¥paµ vijajñau vijåtavan | jñåtvå ca mithyåbhimåna-
Ÿåtanena tadanujighÿk≤ayå devebhyo ’rthåya te≤åmevendriyagoca-
re nåtid¥re prådurbabh¥va | maheŸvaraŸaktimåyopåtenåtyantå-
dbh¥tena prådurbh¥taµ kila kenacidr¥paviŸe≤e~a | tatkilopalabha-
månå api devå na vyajånata na vijñåtavanta¢ | kimidaµ yadeta-
dyak≤aµ p¥jyamiti ||
224 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 3.3

te ’gnimabruvañjåtaveda etadvijånıhi kimetadyak≤amiti tatheti


|| 3.3 ||

tadabhyadravatamabhyavadatko ’sıtyagnirvå ahamasmıtyabra-


vıjjåtavedå vå ahamasmıti || 3.4 ||

tasmiµstvayi kiµ vıryamityapıdaµ sarvaµ daheyaµ yadidaµ


pÿthivyåmiti || 3.5 ||

tasmai tÿ~aµ nidadhåvetaddaheti tadupapreyåya sarvajavena


tanna ŸåŸåka dagdhuµ sa tata eva nivavÿte naitadaŸakaµ vijñåtuµ
yadetadyak≤amiti || 3.6 ||

atha våyumabruvanvåyavetadvijånıhi kimetadyak≤amiti tatheti


|| 3.7 ||

tadabhyadravatamabhyavadatko ’sıti våyurvå ahamasmıtya-


bravınmåtariŸvå vå ahamasmıti || 3.8 ||

tasmiµstvayi kiµ vıryamityapıdaµ sarvamådadıya yadidaµ pÿ-


thivyåmiti || 3.9 ||

tasmai tÿ~aµ nidadhåvetadådatsveti tadupapreyåya sarvajave-


na tanna ŸaŸåkå ’’dåtuµ sa tata eva nivavÿte naitadaŸakaµ vijñå-
tuµ yadetadyak≤amiti || 3.10 ||

athendramabruvanmaghavannetadvijånıhi kimetadyak≤amiti ta-


theti tadabhyadravatasmåtirodadhe || 3.11 ||

tadvijñånåyågnimabruvan | tÿ~anidhåne ’yamabhipråya¢ | a-


tyantasambhåvitayoragnimårutayostÿ~adahanådånåŸaktyå ’’tmasa-
mbhåvanå Ÿåtitå bhavediti | indra ådityo vajrabhÿdvå | avirodhåt |
indropasarpa~e brahma tirodadha ityatråyamabhipråya¢ – indro
’hamityadhikatamo ’bhimåno ’sya so ’hamagnyådibhi¢ pråptaµ vå-
ksambhå≤a~amåtramapyanena na pråpto ’smıtyabhimånaµ kathaµ
na nåma jahyåditi | tadanugrahåyaivåntarhitaµ tadbrahma babh¥-
va ||
3.12 t®tıya¢ kha~ƒa¢ 225

sa tasminnevå ’’kåŸe striyamåjagåma bahuŸobhamånåmumåµ


haimavatıµ | tåµ hovåca kimetadyak≤am || 3.12 ||

sa Ÿåntåbhimåna indro ’tyarthaµ brahma vijijñåsuryasminnå-


kåŸe brahma~a¢ prådurbhåva åsıtirodhånaµ ca tasminneva striya-
matir¥pi~ıµ vidyåmåjagåma | abhipråyodbodhahetutvådrudrapa-
tnyumå haimavatıva så Ÿobhamånå vidyaiva | vir¥po ’pi vidyåvå-
nbahu Ÿobhate ||

iti tÿtıya¢ kha~ƒa¢


atha caturtha¢ kha~ƒa¢

så brahmeti hovåca brahma~o vå etadvijaye mahıyadhvamiti ta-


to haiva vidåñcakåra brahmeti || 4.1 ||

tasmådvå ete devå atitaråmivånyåndevånyadagnirvåyurindra-


ste hyenannedi≤†haµ paspÿŸuste hyenatprathamo vidåñcakåra bra-
hmeti || 4.2 ||

tasmådvå indro ’titaråmivånyåndevånsa hyenannedi≤†haµ pa-


sparŸa sa hyenatprathamo vidåñcakåra brahmeti || 4.3 ||

tåµ ca pÿ≤†vå tasyå eva vacanådvidåñcakåra viditavån | ata i-


ndrasya bodhahetutvådvidyaivomå | “vidyåsahåyavånıŸvara” iti
smÿti¢ | yasmådindravijñånap¥rvakamagnivåyvindråste hyenanne-
di≤†hamatisamıpaµ brahmavidyayå brahma pråptå¢ santa¢ paspÿ-
Ÿu¢ spÿ≤†avanta¢ | te hi prathama¢ prathamaµ vidåñcakåra vidå-
ñcakrurityetat | tasmådatitaråmatıtyånyånatiŸayena dıpyante ’nyå-
ndevåµstato ’pındro ’titaråµ dıpyate | ådau brahmavijñånåt ||

tasyai≤a ådeŸo yadetadvidyuto vyadyutadå3 itınnyamımi≤adå3 i-


tyadhidaivatam || 4.4 ||

tasyai≤a ådeŸastasya brahma~a e≤a vak≤yamå~a ådeŸa upåsano-


padeŸa ityartha¢ | yasmåddevebhyo vidyudiva sahasaiva prådu-
rbh¥taµ brahma dyutimatasmådvidyuto vidyotanaµ yathå yade-
tadbrahma vyadyutadvidyotitavat | å ivetyupamårtha åŸabda¢ | ya-
thå ghanåndhakåraµ vidårya vidyutsarvata¢ prakåŸata evaµ ta-
dbrahma devånåµ purata¢ sarvata¢ prakåŸavadvyaktıbh¥tamato
vyadyutadivetyupåsyam | “yathå sakÿdvidyutam” iti ca våjasane-
yake | yasmåccendropasarpa~akåle nyamımi≤at | yathå kaŸcicca-
k≤urnime≤a~aµ kÿtavåniti | itıdityanarthakau nipåtau | nimi≤itava-
228 kenopani≤acchå√karavåkyabhå≤yopetå 4.4

diva tirobh¥tamityevamadhidaivataµ devatåyå adhiyaddarŸanama-


dhidaivataµ tat ||

athådhyåtmaµ yadetadgacchatıva ca mano ’nena caitadupasma-


ratyabhık≤~aµ sa§kalpa¢ || 4.5 ||

athånantaramadhyåtmamåtmano ’dhyåtmamucyata iti våkya-


Ÿe≤a¢ | yadetadyathoktalak≤a~aµ brahma gacchatıva pråpnotıva
vi≤ayıkarotıvetyartha¢ | na punarvi≤ayıkaroti manaso ’vi≤ayatvå-
dbrahma~o ’to mano na gacchati | “yenå ’’hurmano matam” iti hi
coktam | gacchatıveti tu manaso ’pi manastvåt | åtmabh¥tatvåcca
brahma~astatsamıpe mano vartate ityupasmaratyanena manasaiva
tadbrahma vidvånyasmåtasmådbrahma gacchatıvetyucyate | abhı-
k≤~aµ puna¢ punaŸca | sa§kalpo brahmapre≤itasya manasa¢ | ata
upasmara~asa§kalpådibhirli§gairbrahma mano ’dhyåtmabh¥tamu-
pasyamityabhipråya¢ ||

taddha tadvanaµ nåma tadvanamityupåsitavyaµ sa ya etade-


vaµ vedåbhi hainaµ sarvå~i bh¥tåni saµvåñchanti || 4.6 ||

tasya cådhyåtmamupåsane gu~o vidhıyate taddha tadvanaµ ta-


detadbrahma tacca tadvanaµ ca tatparok≤aµ vanaµ sambhajanı-
yam | vanatestatkarma~astasmåtadvanaµ nåma | brahma~o gau-
~aµ hıdaµ nåma | tasmådanena gu~ena tadvanamityupåsitavyam |
sa ya¢ kaŸcidetadyathoktamevaµ yathoktena gu~ena vanamitya-
nena nåmnå ’bhidheyaµ brahma vedopåste | tasyaitatphalamucya-
te | sarvå~i bh¥tånyenamupåsakamabhisaµvåñchåntıhåbhisambha-
jante sevante smetyartha¢ | yathågu~opåsanaµ hi phalam ||

upani≤adaµ bho br¥hıtyuktå ta upani≤adbråhmıµ våva ta upa-


ni≤adamabr¥meti || 4.7 ||

upani≤adaµ bho br¥hıtyuktåyåmapyupani≤adi Ÿi≤ye~okta åcå-


rya åha – uktå kathitå te tubhyåmupani≤adåtmopåsanaµ ca | adhu-
nå bråhmıµ våva te tubhyaµ brahma~o bråhma~ajåterupani≤ada-
mabr¥ma vak≤yåma ityartha¢ | vak≤yati hi | bråhmı noktå | uktå
tvåtmopani≤at | tasmånna bh¥tåbhipråyo ’br¥metyayaµ Ÿabda¢ ||
4.9 caturtha¢ kha~ƒa¢ 229

tasyai tapo dama¢ karmeti prati≤†hå vedå¢ sarvå§gåni satyamå-


yatanam || 4.8 ||

tasyå vak≤yamå~åyå upani≤adastapo brahmacaryådi dama upa-


Ÿama¢ karmågnihotrådıtyetåni prati≤†hå ’’Ÿraya¢ | ete≤u hi satsu
brahmopani≤atprati≤†hitå bhavati | vedåŸcatvåro ’§gåni ca sarvå~i |
prati≤†hetyanuvartate | brahmåŸrayå hi vidyå | satyaµ yathåbh¥ta-
vacanamapıƒåkaramåyatanaµ nivåsa¢ satyavastu hi sarvaµ yatho-
ktamåyatana ivåvasthitam ||

yo vå etåmevaµ vedåpahatya påpmånamanante svarge loke jye-


ye pratiti≤†hati pratiti≤†hati || 4.9 ||

tåmetåµ tapaådya§gåµ tatprati≤†håµ bråhmımupani≤adaµ så-


yatanåmåtmajñånahetubh¥tåmevaµ yathåvadyo veda anuvartate
’nuti≤†hati | tasyaitatphalamåha – apahatya påpmånam | apak≤a-
yya dharmådharmåvityartha¢ | anante ’påre ’vidyamånånte | sva-
rge loke sukhapråye nirdu¢khåtmani pare brahma~i | jyeye maha-
ti sarvamahatare pratiti≤†hati sarvavedåntavedyaµ brahmå ’’tma-
tvenåvagamya tadeva brahma pratipadyata ityartha¢ ||

iti caturtha¢ kha~ƒa¢

iti samåptå kenopani≤acchå§karavåkyabhå≤yopetå

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Finito di stampare nel mese di Novembre 2017 da LA TIPOGRAFICA ARTIGIANA
Via Poggio Mirteto, 4 – 02100 Rieti

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