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LA NAVE DEI FOLLI

«Perché si vede sorgere d'un tratto la sagoma della nave dei folli, e il suo equipaggio insensato che invade i
paesaggi più familiari? Perché, dalla vecchia alleanza dell'acqua con la follia, è nata un giorno, e proprio quel
giorno, questa barca?
[…]
La follia e il folle diventano personaggi importanti nella loro ambiguità: minaccia e derisione, vertiginosa
irragionevolezza del mondo, e meschino ridicolo degli uomini.»
( Michel Foucault, 'Storia della follia nell'età classica )

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Cosa succede se si decide di affrontare la malattia mentale con una “pazzia”? Beh, può capitare di ritrovarsi
in una barca a vela nel bel mezzo dell’oceano, in balia dei flutti e del vento ma con la ferrea volontà di
raggiungere le isole Caraibiche. Ex absurdo sequitur quodlibet: le categorie di realtà, nella dimensione
onirica e simbolica dell’oceano sono sospese. Così, su quella barca partita da Cadice il 10 novembre del
2006 non c’erano “utenti”, i loro genitori, uno psichiatra, due skipper e un documentarista ma dieci uomini
chiamati a fare di tutto: stare al timone, aiutare nelle manovre di vela, cucinare, pescare, pulire il ponte.

E’ la quintessenza della recovery come filosofia di approccio alla malattia mentale basata sul “fare
assieme”, su una relazione educativa come viaggio nel quale è responsabilità di tutti i soggetti coinvolti,
dalle persone con disagio mentale, ai loro famigliari, agli operatori, “navigare” verso un unico obiettivo
mettendo a disposizione, ciascuno, le proprie risorse specifiche.

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