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Nella religione romana, per esempio, vi era la credenza che i lemuri[2], spiriti
dei morti, ossia anime che non riuscivano a trovare riposo a causa della loro morte
violenta, tornassero sulla terra a tormentare i vivi, perseguitandoli fino a
portarli alla pazzia.[3].
Indice [nascondi]
1 Ippocrate
2 Celso
3 Seneca
4 Galeno
5 Le leggi
6 Note
7 Bibliografia
8 Voci correlate
Fu il greco Ippocrate (460 a.C.-377 a.C.) o qualcuno appartenente alla sua scuola
medica[4] che per la prima volta nell'opera De morbo sacro, dedicato alla cura
dell'epilessia, associò la malattia mentale all'azione del cervello,
«Gli uomini dovrebbero sapere che nient’altro che da là [dal cervello] vengono
gioie, delizie e divertimento; e per questo specialmente acquistiamo la vista e le
conoscenze e vediamo ed udiamo. E a causa dello stesso organo diveniamo folli e
deliranti e ci assalgono le paure e il terrore talvolta di notte e talvolta di
giorno...Tutte queste cose le sopportiamo dal cervello quando non è sano.[5]»
Un organo fisico alterato dunque, sul quale i riti dei sacerdoti e degli sciamani
non avevano alcuna effetto curativo:
«Circa il male cosiddetto sacro questa è la realtà. Per nulla – mi sembra – è più
divino delle altre malattie o più sacro, ma ha struttura naturale e cause
razionali: gli uomini tuttavia lo ritennero in qualche modo opera divina per
inesperienza e stupore, giacché per nessun verso somiglia alle altre. E tale
carattere divino viene confermato per la difficoltà che essi hanno a comprenderlo,
mentre poi risulta negato per la facilità del metodo terapeutico col quale curano,
poiché è con purificazioni e incantesimi che essi curano.[6]»
Ancora nel II secolo d.C. Svetonio (70 d.C.-130 d.C.)[7] riproponeva la tesi
dell'origine religiosa della follia ipotizzando che Lucrezio (94 a.C-50 a.C.) fosse
un pazzo colpito da epilessia sulla base dell'arcaica credenza che il poeta fosse
di per sé sempre un invasato secondo la tradizione per la quale gli epilettici
fossero sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle loro creazioni.
Questa ipotesi della follia di Lucrezio fu ripresa nel Chronicon di San Girolamo
(IV sec. d.C.) che probabilmente voleva screditare il poeta affermando che la sua
presunta morte per suicidio sarebbe stata l'esito di un modo di pensare perverso.
Nel I sec. d.C. il romano Celso (14 a.C. circa – 37 d.C. ca.), nei suoi otto volumi
del De Medicina approfondì il tema delle malattie mentali concepite come patologie
che colpivano il corpo nella sua interezza. Egli, usando una diversa terminologia
ancora oggi in uso, riprese le classificazioni dei disturbi mentali elaborate da
Ippocrate: mania, furore, frenesia, follia, delirio.
Celso, pur non essendo un medico di professione, intuì l'importanza del rapporto
medico-paziente e l'utilizzo di strumenti terapeutici come il gioco, il dialogo, la
lettura e la musica, abbandonando l'uso di costrizioni come le catene, le percosse
e le punizioni, usate solo per i più violenti; in qualsiasi caso, egli constatava
come la solitudine non facesse che aggravare le condizioni mentali del paziente.[8]
Accanto a questa visione filosofica della pazzia come malattia dell'anima, Seneca
identifica chiaramente anche una causa fisica sulla quale deve intervenire la cura
del medico poiché la follia «deriva da una malattia», «è effetto di debole salute»
causata «dall'umor nero» secondo la teoria umorale di Ippocrate[11].
«Nessuna via è più veloce dell’ira per arrivare alla pazzia. Perciò molti hanno
continuato sulla strada dell’ira, non riuscendo più a recuperare la ragione che
avevano perso: la pazzia condusse verso la morte Aiace, spinto alla follia
dall’ira. Gli iracondi invocano la morte per i propri figli, la povertà per sé
stessi, la rovina per la loro casa, e negano di essere adirati proprio come i pazzi
negano di essere fuori di senno[12]»
Una descrizione dai tono tragici e cruenti degli effetti della pazzia Seneca
presenta nel dramma Hercules furens dove Ercole, colpito da Giunone che ha
scatenato contro di lui le Furie guidate da Megera, diviene preda di allucinazioni
che lo portano ad uccidere i figli e la moglie.
Nell'età di Traiano (98-117 d.C.) visse a Roma il medico Celio Aureliano seguace
della scuola medica dei Metodici[13] fondata sulla dottrina epicurea. Celio
polemizzò nei confronti di quelli che per la cura delle malattie mentali adottavano
mezzi coercitivi sostenendo l'efficacia terapeutica dell'idroterapia[14]
«quando il cervello diventa troppo caldo o troppo umido, troppo freddo o troppo
secco, alterazioni causate dagli umori, l'uomo diventa alienato[15]»
Specifiche leggi poi furono promulgate per regolamentare la capacità del malato
mentale di sposarsi, di divorziare, di disporre della proprietà, di scrivere un
testamento e di testimoniare.
1.^ G. Zilboorg, G Henry, Storia della psichiatria, Feltrinelli editore, 1963, p.22
2.^ Dal latino "lemures", cioè "spiriti della notte", detti anche Larva[e], termine
equivalente a fantasma
3.^ Ovidio, Fasti V 419 sgg.
4.^ M.Focchi, La diagnosi di malattia mentale nella Grecia antica e a Roma, 2014
([1])
5.^ Ippocrate, Il morbo sacro, 1-2 (trad. M. Vegetti)
6.^ Ippocrate, op.cit.
7.^ Svetonio, De poetis
8.^ Celso, "De Medicina", Sansoni editore 1985 p. 156
9.^ Plinio il Vecchio, Storia naturale, Liber XXI. (Traduzione di A.M. Cotrozzi in
G.B. Conte, Gaio Plinio Secondo. Storia Naturale, vol. III, Botanica, Einaudi,
Torino 1984)
10.^ Seneca,Lettere a Lucilio, 39
11.^ Seneca, op.cit., 94
12.^ Seneca, De ira, 5
13.^ Storia filosofica antica della medicina di Giusto F. C. Hecker: 1, Successori
di G. Magheri, 1852 passim
14.^ Luciano Sterpellone, I grandi della medicina. Le scoperte che hanno cambiato
la qualità della vita, Donzelli Editore, 2004 p.48
15.^ Giuseppe Roccatagliata, Storia della psichiatria antica, U. Hoepli, 1973
16.^ Gian Maria Varanini, Deformità fisica e identità della persona tra medioevo ed
età moderna: atti del XIV Convegno di studi organizzato dal Centro di studi sulla
civiltà del tardo medioevo: san Miniato 21-23 settembre 2012, Firenze University
Press, 2016 p.51
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