volume XLIII
(xXII della iii serie)
fascicolo ii
Condirettori
Giovanna Frosini e Luigi Matt
Redazione
Daniele Baglioni, Maria Rita Fadda, Lucilla Pizzoli, Alessio Ricci
Comitato scientifico
Giancarlo Breschi (Firenze), Paola Manni (Firenze),
Aldo Menichetti (Firenze), Michael Metzeltin (Vienna),
Giuseppe Patota (Roma), Max Pfister (Saarbrücken),
Edgar Radtke (Heidelberg), Pietro Trifone (Roma)
1. In una tra le più belle pagine della letteratura del Novecento, un prigionie-
ro del Lager di Monowitz presso Auschwitz, mentre va a prendere il rancio per
il suo reparto con un compagno, gli recita e spiega il « canto di Ulisse », ossia
il xxvi dell’Inferno dantesco, cogliendone lui stesso aspetti sino ad allora, forse,
non pienamente compresi: la lezione culmina in un messaggio di umanità e
salvezza, in quel luogo di abbrutimento e sterminio (« Fatti non foste a viver
come bruti »), ma si chiude col tema dei sommersi (« Infin che il mar fu sopra noi
richiuso »).1 I due non sono nella stessa posizione gerarchica. Chi recita è Primo,
un ebreo italiano laureato in chimica, semplice detenuto (Häftling) del « Kom-
mando Chimico », ossia un reparto specializzato al servizio della fabbrica di
gomma Buna; l’altro, un ebreo alsaziano arrestato quand’era studente, ha inve-
ce, all’interno del Kommando, una « carica » di cui si indicano in dettaglio attribu-
zioni, incombenze e vantaggi:
Non era il Vorarbeiter, era solo Jean, il Pikolo del nostro Kommando. Jean era uno stu-
dente alsaziano; benché avesse già ventiquattr’anni, era il più giovane Häftling del Kom-
mando Chimico. Era perciò toccata a lui la carica di Pikolo, vale a dire di fattorino-scrit
turale, addetto alla pulizia della baracca, alle consegne degli attrezzi, alla lavatura delle
gamelle, alla contabilità delle ore di lavoro del Kommando.
Jean parlava correntemente francese e tedesco: appena si riconobbero le sue scarpe
sul gradino più alto della scaletta, tutti smisero di raschiare:
« Also, Pikolo, was gibt es Neues? »
« Qu’est-ce qu’il-y-a comme soupe aujourd’hui? »
[…] Jean era molto benvoluto al Kommando. Bisogna sapere che la carica di Pikolo
costituisce un gradino già assai elevato nella gerarchia delle Prominenze: il Pikolo (che
di solito non ha più di diciassette anni) non lavora manualmente, ha mano libera sui
fondi della marmitta del rancio e può stare tutto il giorno vicino alla stufa: « perciò » ha
diritto a mezza razione supplementare, ed ha buone probabilità di divenire amico e
confidente del Kapo, dal quale riceve ufficialmente gli abiti e le scarpe smesse. Ora, Jean
era un Pikolo eccezionale […], non trascurava di mantenere rapporti umani coi compa-
gni meno privilegiati; d’altra parte, era stato tanto abile e perseverante da affermarsi
nella fiducia di Alex, il Kapo.
1. Cfr. Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, De Silva, 1947, ora in Id., Opere complete, a
cura di Marco Belpoliti, 2 voll., Torino, Einaudi, 2016, vol. i pp. 81-86 (Il canto di Ulisse). Tra le
variazioni nello stesso capitolo dell’ed. Torino, Einaudi, 1958 (cfr. Opere complete, cit., vol. ii pp.
224-29) ricordo in particolare rinchiuso invece di richiuso, su cui vd. Giovanni Tesio, Su alcune
giunte e varianti di ‘Se questo è un uomo’, « Studi piemontesi », vi 1977, 2 pp. 270-78 (p. 277), e, più
ampiamente, Alberto Cavaglion nell’ed. da lui commentata di Primo Levi, Se questo è un uomo,
Torino, Einaudi, 2012, pp. 222-23. Ringrazio qui Marco Belpoliti, Alberto Cavaglion, Martina
Mengoni e Domenico Scarpa per gli stimoli e i suggerimenti ricevuti.
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note e discussioni
[…] Per quanto Jean non abusasse della sua posizione, già avevamo potuto constatare
che una sua parola, detta nel tono giusto e al momento giusto, aveva grande potere; già
più volte era valsa a salvare qualcuno di noi dalla frusta o dalla denunzia alle SS.2
Dopo una seconda lettera del 6 aprile 1946, il successivo 24 maggio Primo scrive
ancora, da Torino:
je t’envoie trois poésies et l’un des contes que j’ai écrit, en échantillon de moi-même. Ce
n’est pas des meilleurs, mais je t’envoie celui-ci parce que il y est question de toi. Je l’ai
2. Levi, Opere complete, cit., vol. i pp. 81-82 (riproduce l’ed. del 1947; senza variazioni nell’ed.
1958: cfr. ivi, pp. 224-25).
3. Per questa ricerca di notizie vd. ora Domenico Scarpa, Notes on the Texts, in The Complete
Works of Primo Levi, 3 voll., ed. by Ann Goldstein, New York, Liveright, 2015, vol. iii pp. 2815-81
(p. 2818); Album Primo Levi, a cura di Roberta Mori e Domenico Scarpa, Torino, Einaudi, 2017,
p. 110.
4. Cfr. Jean Samuel - Jean-Marc Dreyfus, Il m’appelait Pikolo. Un compagnon de Primo Levi
raconte, Paris, Robert Laffont, 2007, p. 70 (trad. it. Mi chiamava Pikolo, Milano, Frassinelli, 2008,
p. 59): nell’inserto fotografico dell’ed. francese (tra le pp. 112 e 113) e di quella italiana (tra le pp.
118 e 119), sono riprodotte la prima facciata di questa lettera [c. 3v] e, senza esplicita indicazio-
ne, il finale di un’altra, datata in apertura 24 aprile 1946 e firmata Picolo (ivi, pp. 90-94; trad. it.,
pp. 78-82).
5. Vd. la lettera a Levi del 16 giugno 1958, ivi, p. 163 (trad. it., p. 150).
6. Ivi, p. 152 (trad. it., p. 139), Jean menziona un proprio telegramma firmato appunto Picco-
lo e inviato nel dicembre 1945, prima della ripresa di contatti con Levi, all’altro ex detenuto di
Monowitz Henri Kirstenstein detto Kiki.
7. Ivi, pp. 80-88 (p. 87; trad. it., pp. 69-76, a p. 75); parziale riproduzione dell’originale fran-
cese nell’inserto fotografico, [c. 1r].
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piccolo/pikolo in primo levi
écrit quand j’étais bien loin de soupçonner que tu étais en vie et que tu aurais eu occasion
de le lire et je t’assure que je n’y ai changé mot: je te demande pardon des inexactitudes
et de tout ce qui pourrait, de quelque façon, te choquer. J’espère que tu comprendras
mon italien.8
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note e discussioni
invia una ancora precedente, datata 14 febbraio 1946, alla cugina Anna Foa, spo-
satasi con Davide Jona ed emigrata negli Stati Uniti (ove il cognome diventa
Yona); qui si legge, con qualche variante non priva di interesse (e ovviamente
senza la nota per Jean):
Non era il Vorarbeiter, era solo Jean detto il Piccolo.
Jean era un ebreo di Strasburgo, di 24 anni; era laureato in fisica, piuttosto ben conser-
vato, portava gli abiti del campo con una certa ricercatezza. Lo chiamavano Piccolo,
all’italiana, perchè era quello che si incaricava dei servizi interni del nostro Kommando:
pulizia della baracca, lavatura delle gamelle, contabilità delle ore di lavoro; ed era il posto
ordinariamente occupato dal più giovane di ogni squadra, spesso da ragazzi sotto i 15
anni.
Parlava correntemente francese e tedesco: appena si riconobbero le sue scarpe sul
gradino più alto della scaletta, tutti smisero di raschiare: « Also, Piccolo, was gibt es
Neues? » – « Qu’est qu’il y a comme soupe a[ujourd’hui? lacuna dopo a; brani tra virgolette
scritti a mano con matita rossa]
[…] Jean era molto benvoluto al commando [c pare ribattuto su K]. Era uno dei rari “pic-
colo” che si curassero di mantenere rapporti umani coi compagni non privilegiati; inol-
tre era stato abile e perseverante, da affermarsi nella fiducia di Alex, il Kapo.
[…] Piccolo, come Giuseppe in Egitto, era riuscito a rendersi necessa[rio; lacuna] sul
cervello rudimentale di Alex, una sua parola, detta nel tono giusto e al momento giusto,
aveva grande potere e già più volte aveva valso a salvare qualcuno di noi dalla frusta o
dalla denunzia alle SS.10
10. Riproduzione digitale in Primo Levi manuscript collection 1946-1947, United States Holo-
caust Memorial Museum collection, gift of Eva Yona Deykin and Manuela Yona Paul, 2016,
nel sito https://collections.ushmm.org/search/catalog/irn538193#?c=0&m=0&s=0&cv=0&x
ywh=210%2C45%2C1050%2C888, Il canto di Ulisse, ds. con varianti e integrazioni a mano, da-
tato alla fine 14 febbraio 1946, pp. 4 numerate (p. 1). Il testo è parzialmente citato già da Marco
Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Milano, Guanda, 2015, pp. 58-59, e Id., Note ai testi, in
Levi, Opere complete, cit., vol. i pp. 1469-71 (ove si menziona pure « una scrittura a mano, su un
quaderno precedente di cui non disponiamo) ».
11. Cfr. Jean Samuel, Témoignage sur Primo Levi, « Narrativa », iii 1993, pp. 103-14 (p. 106), ove
si rinvia all’ed. Einaudi 1958. Dopo la prima e inadeguata traduzione francese di Valentina
Montel e Michèle Causse ( J’étais un homme, Paris, Buchet-Chastel, 1961), era già allora dispo-
nibile quella di Martine Schruoffeneger, Si c’est un homme, Paris, Julliard, 1987 (quindi Paris,
Robert Laffont, 1996, cit. in Samuel-Dreyfus, Il m’appelait Pikolo, cit., p. 15 e passim).
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piccolo/pikolo in primo levi
ne, inoltre, non riguarda solo la grafia (piccolo, Piccolo, Pikolo) ma lo statuto gram-
maticale della forma, che nei dattiloscritti di Levi non risulta una « carica », come
poi nel libro, ma un soprannome, basato su un nome comune e legato alla sfera
« italiana » (mentre nelle lettere di Jean, ormai, è quasi un suo nuovo nome).
2. Nel memoriale di Jean, steso molti anni dopo lo scambio epistolare con
Levi e, materialmente, dal coautore Dreyfus,12 si sottolinea sin dall’inizio che
« Pikolo » – “petit” en italien – n’était pas seulement un nom. C’était un poste dans l’or-
ganisation du camp […]. Le terme de Pikolo ne fait pas partie du vocabulaire ordinaire
du camp; c’est une invention de Primo Levi. Il lui est venu comme ça, tout de suite, et il
est resté;13
12. Cfr. Mario Barenghi, Perché crediamo a Primo Levi? / Why do we believe Primo Levi? (Lezio-
ni Primo Levi. 4), Torino, Einaudi, 2013, p. 11 n. 5.
13. Samuel-Dreyfus, Il m’appelait Pikolo, cit., p. 16 (trad. it., p. 6).
14. Cfr. ivi, p. 37 (trad. it., p. 26).
15. Philippe Mesnard, Primo Levi. Le passage d’un témoin, Paris, Fayard, 2011, p. 151.
16. Bruno Piazza, Perché gli altri dimenticano, Milano, Feltrinelli, 19603, pp. 63-65, scrive: « do-
po il capoblocco [= Kapo] veniva lo scrivano, lo Schreiber, il quale doveva registrare il nome e
il numero di coloro che erano assegnati alla sua baracca […], procedeva alla sveglia […], ripar-
tiva le razioni dei viveri […]. Dopo gli scrivani venivano gli assistenti, i Pfleger […], giovani
robustissimi e maneschi, incaricati di scodellare la zuppa, di portare ordini dall’una all’altra
baracca […]. Accanto agli assistenti c’erano i corrieri, Läufer, ragazzi che si davano grandi arie
e giravano il campo con piccoli incarichi di fiducia [ricevuti da]i capi blocco ». Come si vede
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note e discussioni
spesso in rapporti omosessuali erano indicati col termine Piepel o Pipel, usato da
tedeschi (con percepibile allusione sessuale),17 polacchi ed ebrei dell’Europa
orientale,18 francesi come lo stesso Samuel19 e italiani,20 che pure potevano asso-
ciarlo a proprie voci gergali e dialettali.21
Ma dobbiamo davvero credere all’idea di Jean Samuel, secondo cui il termine
che in qualche modo l’ha reso famoso era « une invention de Primo Levi » venu-
tagli lì per lì (« il lui est venu comme ça, tout de suite »)? In realtà questa voce, in
grafie con -cc- o -c- o anche -kk- e con un significato basilarmente analogo, ma
senza accezioni “peggiorative”, aveva già una storia abbastanza lunga in Italia
settentrionale, Austria e Germania.
Agli inizi dell’Ottocento il Cherubini registra per il milanese piccol, con la
dichiarazione « dicesi per antonomasia il fattorino più piccolo della bottega »,22
queste mansioni in parte coincidono con quelle attribuite da Se questo è un uomo al « fattorino-
scritturale » indicato come Pikolo.
17. Cfr. Heinz Küpper, Wörterbuch der deutschen Umgangsprache, vol. vi. Jugenddeutsch von A bis
Z, Hamburg, Claassen Verlag, 1970, s.v. Piepel ‘Junge’, « wohl wegen der Gleichung “Piepel” =
penis » (‘giovane, in base all’equazione “Piepel” = pene’), e vd. Id., Wörterbuch, cit., vol. iv. Be-
rufsschelten und Verwandtes, ivi, id., 19722, s.v. Piep ‘Rekrut, sehr jugendlicher Soldat’ (‘recluta,
soldato molto giovane’).
18. Cfr. Ka-tzetnik 135633 [Yehiel Finer, nato a Sosnowiec in Polonia nel 1909, prigioniero
ad Auschwitz e divenuto Y. De-Nur in Israele], Kar’u lo Pipl, Tel Aviv, ‘Am ha-sefer, 1961 (trad.
it. Piepel, Milano, Mondadori, 1963); Tadeusz Borowski, Dzień na Harmenzach (trad. it. Una
giornata a Harmenze, in Id., Da questa parte, per il gas, a cura di Giovanna Tomassucci, Roma-Na
poli, L’ancora, 2009, pp. 95-127, alle pp. 102, 113, ecc.), e vd. il glossario pubblicato nel 1946 dallo
stesso Borowski, già detenuto ad Auschwitz, s.v. piepel ‘giovane detenuto al servizio del kapò
o di altri capi nelle carceri o nei lager’ (ivi, p. 244); Elie Wiesel, La nuit [1958], Paris, Les Éditions
de Minuit, 2007, p. 122: « L’Oberkapo du 52e kommando des câbles […] avait à son service un
jeune garçon, un pipel comme on les appellait. […] À Buna on haïssait les pipel: ils se mon
traient souvent plus cruels que les adultes ».
19. Vd. anche Samuel-Dreyfus, Il m’appelait Pikolo, cit., p. 52: « un Kapo […] coupable d’a-
voir tué son Pipel, son favori » (trad. it., p. 41, ove Piepel).
20. Vd. la testimonianza dell’alessandrino Luciano Cacciabue, già detenuto a Flossenbürg:
« Il pipel era l’amante del capoblocco. Cosa facevano ’sti capiblocco? Adocchiavano i giovani
che più o meno gli andavano, li proteggevano, gli davano da mangiare bene, li vestivano bene,
gli davano anche autorità, e poi alla notte se ne servivano », in La vita offesa. Storia e memoria dei
Lager nazisti nei racconti di duecento sopravvissuti, a cura di Anna Bravo e Daniele Jalla, Milano,
Franco Angeli, 20012, pp. 170-71 e p. 180 n. 63.
21. Cfr., a prescindere da questioni etimologiche, il romanesco pipelletto ‘ragazzetto’ e i
gergali pipella o pipella del togo ‘ragazza, amante’ (cfr. Ernesto Ferrero, Dizionario storico dei gerghi
italiani. Dal Quattrocento a oggi, Milano, Mondadori, 1991, s.v. pipa), nonché pivo ‘giovane cine-
do’ nel Burchiello (av. 1449: « la gola. e ’ dadi, il pivo e la puttana »), piva « pour le membre viril »
presso Oudin, pivastro in testi gergali del sec. XVI, pivello in italiano e, con varianti fonetiche,
nei dialetti settentrionali (cfr. Angelico Prati, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi, studiate nell’o-
rigine e nella storia, Pisa, Cursi, 1940, s.v. pivo; DELI, s.v. pivello).
22. Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, to. ii, Milano, Stamperia Reale, 1814,
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piccolo/pikolo in primo levi
e con lo stesso senso picol o picolo è dato dal Tiraboschi per il bergamasco,23 men-
tre a Cremona piccol vale all’epoca ‘camerierino’.24 Analogamente il Boerio dà
per Venezia « el picolo de botega, Il Fattorino, il garzoncello di bottega », con a
fianco el picolo de magazén;25 nella Trieste del secondo Ottocento picolo vale anche
‘garzone di birreria o di caffè’ 26 e il termine sembra essersi esteso, per ‘mozzo’,
al lessico marinaresco del Quarnaro.27 « Picol […] per antonomasia il fattorino
minore d’una bottega o d’un’osteria » è noto anche in Piemonte, ove è registrato
a metà Ottocento come « voce dell’uso », distinta evidentemente da quella dia-
lettale p’cit ‘piccolo, bambino’.28
A cavallo tra Otto e Novecento la voce circola in scrittori come il lombardo
Ghislanzoni (« uno dei cosiddetti “piccoli” dell’albergo »)29 e il romagnolo Mo-
retti (« un “piccolo”, un servitorello, un fattorino e nient’altro »).30 Al principio
s.v.; nell’ed. di Milano, Imp. Regia Stamperia, 1841, vol. iii, la voce è lievemente ampliata:
« Piccol, s. m. Dicesi per antonomasia il Fattorino minore della bottega o dell’osteria ». Si noti
che per ‘piccino, ragazzo, fanciullo’ la voce dialettale è « Piscinìn che i contadini dicon Penìn,
Pinì, Pinìn » (ivi, s.v.).
23. Antonio Tiraboschi, Vocabolario dei dialetti bergamaschi antichi e moderni, Bergamo, Fratelli
Bolis, 18732: « Picol e Picolo - Fattorino. Dicesi per antonomasia il fattorino più piccolo della
bottega ».
24. Angelo Peri, Vocabolario cremonese-italiano, Cremona, Tip. Vescovile di Giuseppe Fera-
boli, 1847: « piccol […] piccolo. Nelle osterie quel giovincello che assiste i camerieri. Camerieri-
no ».
25. Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Giovanni Cecchini, 18562, s.v.
picolo.
26. Ernesto Kosovitz, Dizionario-vocabolario del dialetto triestino e della lingua italiana, ed.
emendata ed accresciuta, Trieste, Tip. Figli di C. Amati, 1889, s.v. picolo, anche coi comuni si-
gnificati di ‘piccino, piccolo’, agg., e ‘bambino, fanciulletto’.
27. Cfr., anche per certe analogie contenutistiche col testo di Levi, Nini Rossi, Cherso. An-
tiche tradizioni del mare e dei monti, Chioggia, Centro Cultura Adriatica, [2000], p. 12 (in rife
rimento agli inizi del XX secolo): « il mozzo o muleto [dim. di mulo ‘ragazzo’] o anche mali
[‘piccolo’, in croato] era sempre lui che doveva fare il servo a tutti e specialmente ai vecchi ma
rinai […]. Le sue mansioni principali erano tenere sempre a posto la gabina del Padrone [il
Paron o ‘capitano’], farli il letto, portarli il caffè quando lo chiedeva, poi cucinare pranzo e cena
per tutti. Il suo lavoro comprendeva pulire e riempire di petrolio i fanali che servivano per la
segnaletica in mare ».
28. Vittorio di Sant’Albino, Gran dizionario piemontese-italiano, Torino, L’Unione Tipogra
fico-editrice, 1859, s.v., e vd. anche s.v. p’cit. Nei dizionari dialettali del Novecento il termine,
in questa accezione, tende a scomparire, o perché sentito come italianizzante o perché di uso
più raro.
29. Antonio Ghislanzoni, Un viaggio d’istruzione. Le acque minerali di S. R., Milano, Sonzogno,
1889, p. 139 (cit. in GDLI, s.v., § 49).
30. Marino Moretti, Il paggio, in Id., Tutte le novelle [1907-1958], Milano, Mondadori, 1959, pp.
31-43 (p. 31).
273
note e discussioni
del XX secolo Alfredo Panzini ne indica la diffusione non solo in Italia setten-
trionale ma anche nelle aree germanofone:
Piccolo: così è chiamato negli alberghi e ne’ caffè dell’Alta Italia il garzoncello che fa il suo
tirocinio aiutando e servendo il cameriere. Questo vocabolo piccolo, in tale senso, è usato
anche nelle terre tedesche (Vienna).31
Una raccolta di forestierismi nel tedesco, comparsa negli stessi anni non in sede
accademica ma in una collana di discreta diffusione (Sammlung Göschen), dà
infatti per i caffè e ristoranti di Vienna, e quindi anche di Berlino,
Piccolo, der kleine Kellner, der Kellnerjunge, italienisch und wienerisch. Aus Wien stam-
men die meisten Berliner Caféwirte und Cafékellner [‘Piccolo, il piccolo cameriere, il
garzone del cameriere, termine italiano e viennese. Da Vienna provengono per lo più i
gestori e i camerieri dei caffè di Berlino’].32
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piccolo/pikolo in primo levi
in vari ambiti (botteghe, alberghi e caffè, velieri e piroscafi, vita militare), assiste
e serve un qualche suo principale rendono però questa spiegazione poco proba-
bile.
Il fatto che Pikkolo dall’ambiente dei caffè di Vienna e Berlino sia passato al
gergo militare tedesco, col significato di ‘attendente, ragazzo dell’ufficiale’, apri-
rebbe la via alla diversa ipotesi che questa voce, come altre, si sia estesa dalle
caserme ai Lager, assumendovi il corrispondente senso di ‘attendente, ragazzo
del Kapo’. Tuttavia Samuel nega ripetutamente che Levi abbia ripreso il termi-
ne dal preesistente gergo di Auschwitz35 e soprattutto, rispetto alla larga docu-
mentazione di Piepel, in quest’altra direzione manca qualche solido riscontro.
Tale non pare, infatti, l’attestazione di « Pikolo: jeune détenu préposé au service
personnel d’un Kapo » in un glossario del Langage des champs de concentration a
cura del Cercle d’étude de la Déportation et de la Shoah, ove il lemma dipende
da Levi e Samuel e quindi non ha valore autonomo.36
Resta dunque la terza ipotesi, che allo stato sembra preferibile. Primo doveva
conoscere già a Torino, per averlo sentito o letto, se non usato, il regionalismo
settentrionale piccolo (in dialetto picol) per ‘garzone del cameriere’, « fattorino
minore d’una bottega o d’un’osteria » (Vittorio di Sant’Albino), « un servitorello,
un fattorino » (Marino Moretti), ecc., e tali definizioni possono persino motiva-
re quella del suo testo a stampa (« Pikolo, vale a dire […] fattorino-scritturale »),
che ha suscitato qualche perplessità.37 Egli applica dunque questo termine al suo
amico alsaziano e al suo ruolo di « garzoncello » del Kapo nei primi incontri con
Jean, tanto che questo nomignolo si diffonde tra i detenuti di Monowitz ed è
riusato da Samuel già nel dicembre 1945, nella forma Piccolo. Questa trafila (ma
eventualmente anche quella ipotizzata in precedenza) è leggibile, come in fili-
35. Mesnard, Primo Levi, cit., p. 15, citando un’intervista fatta a Jean nel 2006, ribadisce che
« jamais il n’avait été appelé ainsi [Pikolo] durant sa détention », prima s’intende del suo incon-
tro con Primo. Tuttavia, in uno scritto precedente a Il m’appelait Pikolo, Jean aveva affermato
che, « étant le plus jeune du Kommando 98, on m’avait surnommé le Pikolo », senza precisare
da chi e quando avesse ricevuto tale soprannome (Samuel, Témoignage sur Primo Levi, cit., p.
106).
36. Cfr. www.cercleshoah.org., ove, oltre al glossario, si trova la pagina Jean Samuel, le Piko-
lo, et Primo Levi, dedicata a un intervento di Jean al liceo « Edgar Quinet » (11 ottobre 2001) e ag-
giornata dopo la morte del testimone (5 settembre 2010). Qui si legge: « Jean Samuel raconte
sa rencontre avec Primo Levi […]. Pikolo, le plus petit, le plus jeune. Jean Samuel a été nommé
Pikolo par Alex, un Kapo horrible »; quest’ultima asserzione però, più che da ricordi di Samuel,
sembra discendere dal testo di Levi, ove il Kapo si chiama Alex e non, come in realtà, Oskar
(vd. Samuel-Dreyfus, Il m’appelait Pikolo, cit., p. 39 n., e la lettera di Levi a Jean e a sua moglie
Claude del 31 luglio 1961, con « Oskar, le Kapo, décrit comme “Alex” dans mon livre », ivi, p.
168; trad. it., p. 154).
37. Vd. Cavaglion, commento a Levi, Se questo è un uomo, cit., pp. 214-15 n. 2, e Barenghi,
Perché crediamo a Primo Levi?, cit., p. 13: « la descrizione del ruolo [di Jean] come “fatturino-
scritturale” è impropria ».
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note e discussioni
grana, nelle versioni dattiloscritte: qui troviamo infatti il sostantivo piccolo, con
l’iniziale minuscola e il particolare senso di ‘garzone, assistente’ del Kapo, evi-
denziato dalle virgolette (« era uno dei rari “piccolo” che si curassero di mante-
nere rapporti umani coi compagni non privilegiati »); il nome comune diviene
il soprannome dell’alsaziano (« Jean detto il Piccolo » nel testo per Anna Yona,
« Jean detto Piccolo » in quello per Jean, « lo chiamavano Piccolo » in entrambi)
e compare nel discorso diretto dei compagni (per di più in contesto tedesco:
« Also, Piccolo, was gibt es Neues? »), in quello di Levi personaggio (« Ecco, at-
tento Piccolo, apri bene gli orecchi »)38 e nella narrazione, sempre con iniziale
maiuscola.
Questa scelta di Piccolo dev’essere sembrata a Primo più amichevole o più
espressiva, e in ogni caso gli permetteva di evitare quel Piepel dal suono offensi-
vo, in quanto avrebbe implicato rapporti carnali con Oskar-Alex. Che Levi sia
partito dall’uso italiano sembra confermato dal fatto che, passando dalle prime
redazioni dattiloscritte del Canto di Ulisse a quella finale e sentendo la necessità
di germanizzare la voce, egli non adotta la forma Pikkolo, già diffusa negli am-
bienti mondani e militari tedeschi, bensì quella Pikolo che, questa sì, pare una
sua coniazione.39
4. Sorge qui, però, un ulteriore problema. Perché, nella redazione del Canto
di Ulisse destinata alla stampa come capitolo di Se questo è un uomo, Levi sente la
necessità di tedeschizzare la voce?
Piccolo – non certo « Pikolo, con la k », come in modo contraddittorio so
stengono Samuel e Dreyfus – in quanto « vocabolo italiano leggero e affettuo-
so » poteva davvero essere « una sorta di sberleffo all’universo del lager ».40 Non
si dimentichi poi un aspetto significativo delle redazioni del febbraio-maggio
1946, soppresso nel testo a stampa:41 « Piccolo, come già il giovane Giuseppe in
38. Ds. Yona, cit., p. 3, senza virgolette, qui come poi nel testo a stampa, in quanto pensiero
e non discorso diretto effettivamente pronunziato.
39. Infatti il traduttore Heinz Riedt, per restituire pienamente l’ambiente germanofono
del Lager (cfr. oltre, n. 45), inserisce la comune forma con -kk-, la prima volta in corsivo (« Jean,
der Pikkolo unseres Kommandos ») e poi in tondo: « das Amt des Pikkolo », « Na, Pikkolo, was
gibt’s Neues? » (per « Also, Pikolo, was gibt es Neues? » dell’autore), ecc.: cfr. Primo Levi, Ist
das ein Mensch?, Frankfurt am Main, Fischer, 1961, pp. 114-20. Pikolo è invece mantenuto nella
traduzione inglese di Stuart Woolf (If This is a Man, New York, Orion Press, 1959), in quelle
francesi (cit. sopra, n. 11) e generalmente nelle altre successive.
40. In Samuel-Dreyfus, Il m’appelait Pikolo, cit., p. 34, si legge: « un Italien inconnu qui par-
lait le français et pas l’allemand m’a donné mon nouveau nom, ma nouvelle identité: Pikolo.
Avec un k, comme un pied de nez à l’univers concentrationnaire qui n’a pas eu raison de nous.
Comme pour germaniser et alourdir un terme italien léger et affectueux ». La citazione nel
testo è dalla trad. it., cit., p. 23.
41. Evidenzia il valore di questo passo Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 59, e Id.,
Note ai testi, in Levi, Opere complete, cit., vol. i p. 1470.
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piccolo/pikolo in primo levi
Egitto, era riuscito a rendersi necessario » e « una sua parola, detta nel tono giusto
e al momento giusto » alle autorità, poteva « salvare qualcuno di noi », sempre in
analogia col Giuseppe biblico che, divenuto il braccio destro di Faraone, si era
guadagnato il titolo egiziano di Salvatorem mundi o Largitore della vita (Gn, 41 37-
45, nelle nostre più comuni traduzioni).
Ma possono esistere, nell’universo del Lager come concepito e rappresentato
in Se questo è un uomo, una tale figura e una tale parola, portatrici di levità e di sal
vezza? Nel capitolo Ottobre 1944, scritto o almeno messo a punto dopo Il canto di
Ulisse, a giudicare dalla data 5-8 aprile 1946 che chiude la copia per Anna Yona,42
si legge:
Noi diciamo “fame”, diciamo “stanchezza”, “paura”, e “dolore”, diciamo “inverno”, e
sono altre cose. Sono parole libere, create ed usate da uomini liberi che vivevano, goden-
do e soffrendo, nelle loro case. Se i Lager fossero durati più a lungo, un nuovo aspro
linguaggio sarebbe nato.43
Nel momento in cui appare chiaro all’autore il senso generale del libro e si de-
finisce il ferreo, folle e infernale ordine del Lager, la figura del novello Giuseppe
scompare per lasciare il posto a una « carica », a un « gradino già assai elevato
nella gerarchia delle Prominenze », tutti termini non a caso assenti nel testo in-
viato nel 1946 ad Anna Yona e a Jean Samuel. A sua volta il « vocabolo italiano
leggero e affettuoso » piccolo, legato per di più alla dolce vita dei caffè e dei risto-
ranti, è risucchiato nel mondo delle « altre cose ». Per poter dire l’inferno del
Lager ci vuole « un nuovo aspro linguaggio »,44 fatto appunto, come avrebbe più
tardi scritto Levi, « di quelle asprezze, di quelle violenze » che si era « sforzato
42. In Primo Levi manuscript collection 1946-1947, cit., ds. di pp. 5 numerate, datato alla fine 5-8
aprile 1946; cfr. Belpoliti, Note ai testi, in Levi, Opere complete, cit., vol. i p. 1455.
43. Ds. cit., p. 1, senza variazioni in Levi, Se questo è un uomo, ed. 1947 (cfr. Id., Opere complete,
cit., vol. i p. 93) e, con una lieve modifica grafica, nell’ed. 1958 (cfr. ivi, p. 236).
44. Il riecheggiamento di Inf., xxxii 1-9, è indicato da Cavaglion, commento a Levi, Se
questo è un uomo, cit., pp. 225-26. Su tale brano e su quello analogo compreso in Sul fondo (« la
nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo »), cfr.
Cesare Segre, Lettura di ‘Se questo è un uomo’, in Letteratura italiana. Le opere, dir. da Alberto Asor
Rosa, vol. iv to. 2. Il Novecento, Torino, Einaudi, 1996, pp. 493-507, quindi in Primo Levi: un’anto-
logia della critica, a cura di Ernesto Ferrero, ivi, id., 1997, pp. 55-75 (pp. 74-75). Sul tema si possono
inoltre vedere Giovanna Massariello Merzagora, Il Lager come babele: il plurilinguismo nei KZ, in
Il lager: il ritorno della memoria. Atti del Convegno internazionale di Verona, 6-7 aprile 1995, a cura
di Gian Paolo Marchi e della stessa, Trieste, Lint, 19972, pp. 127-44 (pp. 134-35); Giuliano Mori,
« Morte e vita sono in potere della lingua ». Primo Levi e la ricerca della lingua di Adamo, in Ricercare le
radici. Primo Levi lettore-Lettori di Primo Levi. Nuovi studi su Primo Levi. Atti del Convegno di
Ferrara, 4-5 aprile 2013, a cura di Raniero Speelman, Elisabetta Tonello e Silvia Gaiga, Utrecht,
Igitur, 2014, pp. 63-77 (p. 70); Daniela Accadia, La lingua nei campi nazisti della morte, « I sentieri
della ricerca », 9-10 2009, pp. 13-68.
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note e discussioni
45. Cfr. Primo Levi, I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986, ora in Id., Opere complete, cit.,
vol. ii pp. 1143-276 (p. 1257), in riferimento alla traduzione tedesca del libro, ad opera di Heinz
Riedt, che nell’idea dell’autore doveva essere « una restitutio in pristinum, una retroversione alla
lingua in cui le cose erano avvenute ed a cui esse competevano ». Su questa pagina, in rappor-
to con « l’acustica di Auschwitz », vd. Domenico Scarpa, Leggere in italiano, ricopiare in inglese, in
Ann Goldstein-Domenico Scarpa, In un’altra lingua / In another Language, Torino, Einaudi, 2015,
pp. 37-151 (pp. 58-83); ivi, p. 81, anche l’osservazione che « Pikolo […] è la voce dell’italiano cor
tese imbarbarita dalla fonetica di Auschwitz », consonante con le conclusioni del presente ar-
ticolo.
46. Cfr. Livio Petrucci, Ancora qualche osservazione sull’uso del kappa “politico” in Italia, « Lingua
nostra », xxxviii 1977, pp. 114-17; Luca Serianni, Prima lezione di storia della lingua italiana, Roma-
Bari, Laterza, 2015, pp. 55-56.
47. Ne tratterò più organicamente in un lavoro dal titolo Capo Kapo Kapò nelle testimonianze
italiane ed europee della Shoah. Il complesso di queste e altre scelte grafiche o grammaticali indi-
ca, già « in sede di prima stesura, nel 1946-47 », quell’istanza di « precisione linguistica » che ac-
compagnerà il confronto tra Levi e il traduttore tedesco di Se questo è un uomo: vd. Martina
Mengoni, Primo Levi e i tedeschi / Primo Levi and the Germans, Torino, Einaudi, 2017, p. 25.
48. Anche sotto questo profilo Samuel ha accettato la parte assegnatagli da Levi « fino a
esserne sopraffatto »: cfr. Alberto Cavaglion, In ricordo di Jean Samuel, in Centro Internaziona
le di Studi Primo Levi, http://www.primolevi.it/Web/Italiano/Contenuti/Auschwitz/140_
In_ricordo_di_Jean_Samuel.
49. Di un altro cambiamento grafico conviene qui render conto. Mentre nel ds. per Anna
Yona, p. 3, si legge « “Mare aperto”. “Mare aperto”. So che rima con “Diserto”: “… quella com-
pagna picciola [o ribattuto su ò], dalla qual non fui diserto” », l’ed. 1947 ha « “Mare aperto”.
“Mare aperto”. So che rima con “diserto”: “… quella compagna Picciola, dalla qual non fui
diserto” » (Levi, Opere complete, cit., vol. i p. 84, e così l’ed. 1958: ivi, p. 227). La più semplice
spiegazione è che, nel ds. e nel libro, Levi normalmente scrive con la maiuscola le iniziali dei
versi danteschi, in accordo con varie edizioni otto e novecentesche, e questo uso, nella versio-
ne finale del Canto di Ulisse, è stato esteso anche a picciola in apertura di Inf., xxvi 102 (vd. Cava-
glion, commento a Levi, Se questo è un uomo, cit., pp. 217-18, con tutte le varianti rispetto al testo
della Divina Commedia col commento di Giovanni Andrea Scartazzini-Giuseppe Vandelli,
Milano, Hoepli, 19299; per la maiuscola iniziale nei versi di Levi stesso cfr. Domenico Scarpa,
Chiaro / Oscuro, in Primo Levi, a cura di Marco Belpoliti, num. mon. di « Riga », 13 1997, pp. 230-
53, alle pp. 237-38). Tuttavia qui non c’è, come nella generalità dei casi, un a capo (né altri dia-
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piccolo/pikolo in primo levi
Fabrizio Franceschini
Università di Pisa
fabrizio.franceschini@unipi.it
Le versioni dattiloscritte (1946) e a stampa del Canto di Ulisse (Se questo è un uomo, 1947)
presentano, riferita a un compagno di prigionia di Levi, una forma che varia nella grafia
(piccolo, Piccolo vs. Pikolo) e nello statuto grammaticale. L’articolo censisce le attestazioni
otto e novecentesche, in ambito norditaliano, austriaco e tedesco, di piccolo, Piccolo, Pikko-
lo, riferite a ragazzi che in botteghe, alberghi, caffè o nella vita militare assistono un loro
principale. Su questa base si discute se la voce sia passata nei Lager, col senso di ‘attenden-
te del Kapo’, da ambienti civili o militari tedeschi, o se sia stato Levi ad applicare il regio-
nalismo piccolo all’amico. Si esaminano infine, in rapporto al significato profondo di Se
questo è un uomo, le ragioni della scelta di Pikolo con k.
The typewritten (1946) and printed (1947) versions of the Canto di Ulisse from Se questo è
un uomo show a different form of the name of a Levi’s prison mate both in the spelling and in its
grammatical function (piccolo, Piccolo vs. Pikolo). The paper surveys the 19th- and 20th-century
occurrences of piccolo, Piccolo, Pikkolo in Northern Italian, Austrian and German areas, when
referring to errand boys in shops, hotels, cafes and military environments. On this basis, the author
wonders whether the word – meaning ‘Kapo’s assistant’ – came in the Lagers from German civilian
or military environments, or Levi himself applied the regionalism piccolo to his friend. The reasons
behind the choice of this word, in relationship with the deep meaning of Se questo è un uomo, are
eventually examined.
critici quali / indicanti confine di verso), sicché l’aggettivo con iniziale maiuscola si trova a
immediato contatto col sostantivo compagna cui si riferisce. La « compagna Picciola » alla quale
Ulisse rivolge la sua orazion picciola acquista così, sul piano grafico (e Levi può averci pensato),
un rapporto ancora più stretto col compagno Pikolo che, come si legge poco prima, « ha viag-
giato per mare e sa cosa vuol dire [l’alto mare aperto] ».
50. Oggi 11 settembre 2017, digitando su Google pikolo primo levi, si ottengono circa 10.900
risultati e digitando jean samuel pikolo se ne ottengono 14.900; digitando il semplice pikolo (che
richiama anche altri italianismi nel mondo per lo strumento musicale, il caffè espresso, ecc., e
nomi di locali di gusto italiano) se ne ottengono circa 556.000; tra fine agosto e oggi l’incremen-
to è stato costante in termini di centinaia o, per il lemma pikolo, di decine di migliaia di citazioni.
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