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Trattato Italiano di Medicina Interna – Teodori 2004, VII ed. vol. 2, Cap.

115,

pp. 2669-2698, ROMA: Società Editrice Universo,

MALATTIE NEUROLOGICHE (S. Mazza, M. Mazza, O. Mazza)

• L’ESAME OBIETTIVO NEUROLOGICO

• METODI DIAGNOSTICI IN NEUROLOGIA

• CONVULSIONI ED EPILESSIA

• PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI

• PATOLOGIE NEOPLASTICHE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

• PATOLOGIE INFETTIVE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

• LA SCLEROSI MULTIPLA

• LE DEMENZE CEREBRALI E LA MALATTIA DI ALZHEIMER

• IL MORBO DI PARKINSON

• LE ATASSIE EREDITARIE

• LE MALATTIE DEL MOTONEURONE E LA SCLEROSI LATERALE

AMIOTROFICA

• LE AFASIE

• PATOLOGIE DEI NERVI CRANICI

• ENCEFALOPATIE METABOLICHE

• DISTURBI DEL SONNO E DEL RITMO CIRCADIANO

• PATOLOGIE DEL MIDOLLO SPINALE

• NEUROPATIE PERIFERICHE E SINDROME DI GUILLAIN-BARRE’

• MIOPATIE E DISTROFIA MUSCOLARE


• MIASTENIA GRAVIS

• LE CEFALEE

L’ESAME OBIETTIVO NEUROLOGICO

Il quadro dei segni e sintomi che derivano dall’alterazione di una funzione del sistema

nervoso è particolarmente complesso e multiforme. Solo un’attenta valutazione delle

caratteristiche dei sintomi, della loro durata ed evoluzione, delle descrizioni del paziente,

insieme con un esame neurologico accurato, permettono di giungere ad un’efficace diagnosi

differenziale. Solo sviluppando un metodo di indagine e di analisi finalizzato ad ottenere una

precisa diagnosi di sede del processo patologico e della sua causa più probabile, è possibile

progettare approcci validi ed efficaci per il trattamento della patologia in atto.

Le prime notizie utili sulla probabile sede anatomica dell’alterazione nervosa emergono con

l’anamnesi, che può indirizzare sull’esplorazione più dettagliata di una particolare regione del

sistema nervoso centrale o periferico. Soltanto dopo aver stabilito la diagnosi di sede si può

passare alla diagnosi di natura, vale a dire a focalizzarsi sulla natura dell’alterazione.

ANAMNESI NEUROLOGICA E’ assolutamente necessario inquadrare con la massima

precisione possibile ogni manifestazione sintomatologica, formulando una serie di domande

alle quali dare risposta attraverso l’esame clinico, come la regione più probabilmente

responsabile dei sintomi neurologici, la precisa insorgenza di questi sintomi e la loro

progressione nel tempo, la percezione soggettiva del paziente dei sintomi lamentati, la

presenza simultanea di patologie internistiche (in particolar modo malattie sistemiche alle

quali spesso si associano neuropatie periferiche), senza dimenticare la conferma

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dell’anamnesi e la raccolta di ulteriori informazioni da parte di familiari o altre persone vicine

al paziente.

Dopo aver ottenuto una completa anamnesi internistica e neurologica, il medico dovrebbe

avere elementi sicuri per decidere quali parti del sistema nervoso esaminare. Un esame

neurologico sistematico deve valutare con attenzione tutte le funzioni, dal cervello fino ai

nervi ed ai muscoli periferici.

ESAME DELLO STATO MENTALE Lo scopo dell’esame mentale è di valutare

l’attenzione, l’orientamento, la memoria, l’insight, la capacità di giudizio e di comprensione.

L’attenzione è valutata chiedendo al paziente di rispondere ad una lista di domande.

L’orientamento è valutato chiedendo al paziente il suo nome, il suo indirizzo, la data

corrente. La memoria a breve termine è valutata chiedendo al paziente di ripetere un elenco di

oggetti (dopo 5 e dopo 15 minuti). La memoria a lungo termine è valutata considerando la

capacità del paziente di fornire un racconto cronologicamente sequenziale della storia della

sua malattia e di eventi di vita personale. La valutazione della funzione di linguaggio

dovrebbe comprendere l’eloquio spontaneo, la ripetizione di nomi, la lettura, la scrittura e la

comprensione.

ESAME DEI NERVI CRANICI

I. Valutazione dell’olfatto da pare di ciascuna narice (sniff test).

II. Valutazione dell’acutezza visiva (mappa dei campi visivi, visione da vicino ed a

distanza, esame del fondo oculare).

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III-IV-VI. Descrizione della grandezza, forma e regolarità delle pupille,

della reazione pupillare alla luce ed alla convergenza. Valutazione dei movimenti saccadici e

della presenza di nistagmo.

V. Valutazione dei muscoli massetere e temporali nei movimenti masticatori.

VI. Valutazione della simmetria facciale a riposo e nelle espressioni emozionali (se,

risata). Valutazione della forza muscolare nella parte superiore ed inferiore della

faccia, test dei sapori (taste test).

VIII. Valutazione della capacità uditiva, esame della membrana timpanica.

IX-X. Valutazione dell’elevazione simmetrica di palato e uvula, sensibilità della lingua,

riflesso faringeo, esame diretto delle corde vocali.

XI. Valutazione della forza dei muscoli trapezio e sternocleidomastoideo contro

resistenza.

XII. Valutazione del volume e della forza della lingua, valutazione della presenza di

atrofia, deviazione mediale con protrusione, tremori, fascicolazioni o fibrillazioni.

ESAME DEL SISTEMA MOTORIO Misurazione della forza di ciascuno dei principali

gruppi muscolari, usando una scala riproducibile (es. da 0=nessun movimento a

5=movimento pieno, integrando con segni di + e – per le gradazioni), con valutazione del

tono durante i movimenti passivi, movimenti involontari, eventuali segni di spasticità,

rigidità, ipotonia, Valutazione di velocità e coordinazione degli arti.

ESAME DEI RIFLESSI Valutazione della risposta dei riflessi osteotendinei bicipitale,

brachioradiale, tricipitale, patellare, achilleo, usando una scala riproducibile (1=assente;

2=presente ma diminuito; 3=iperattivo; 4=iperattivo con cloni), valutazione di asimmetria

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destra/sinistra o tra arti superiori ed inferiori. Valutazione dei riflessi superficiali cutanei,

addominali, plantari.

ESAME DELLA SENSIBILITA’ Valutazione della sensibilità tattile, dolorifica,

pallestesica e propriocettiva alle estremità superiori ed inferiori.

ESAME DELLA COORDINAZIONE E DELLA DEAMBULAZIONE Esame indice-

naso, test di Romberg (capacità di stare in pedi ad occhi chiusi), test del tandem walk

(capacità di camminare lungo una linea immaginaria).

L’esperienza insegna che l’esame neurologico può risultare negativo in soggetti affetti da una

patologia neurologica grave con periodi intercritici di benessere (es. epilessia).

METODI DIAGNOSTICI IN NEUROLOGIA

Le tecniche cliniche neurofiosiologiche forniscono misure quantitative ed oggettive delle

funzioni del sistema nervoso centrale, periferico ed autonomo. Queste tecniche rappresentano

un’integrazione dell’esame clinico e sono molto importanti per la diagnosi, il trattamento e la

prognosi delle patologie neurologiche.

ELETTROENCEFALOGRAFIA (EEG) L’elettroencefalogramma registra l’attività

elettrica cerebrale da elettrodi multipli posizionati sullo scalpo. E’ usato soprattutto nelle

indagini e nella valutazione dei pazienti con epilessia, ma è utile anche nella valutazione di

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stati mentali alterati, coma, morte cerebrale. L’EEG può inoltre dimostrare caratteristiche

anomalie in alcuni disordini neurologici. In un paziente adulto sveglio ad occhi chiusi si

rileva normalmente ritmo alfa (8-12 Hz) sulle regioni posteriori. Può essere presente ritmo

beta (>13 Hz), che viene accentuato dalla sonnolenza e da alcuni farmaci. L’attività theta (4-7

Hz) è presente soprattutto sulle regioni temporali in caso di sonnolenza e sonno leggero.

Durante il sonno compare attività delta (<4 Hz).

POTENZIALI EVOCATI La registrazione non invasiva dei potenziali spinali o cerebrali

indotti dalla stimolazione di vie afferenti specifiche visive, uditive o somatosensoriali. Un

prolungamento nella latenza di questi potenziali riflette una lesione nella via che è stata

stimolata, ma non è specifica. Questi potenziali evocati sono così minuscoli rispetto

all’attività EEG di fondo che si deve registrare la risposta a numerosi stimoli e farne la media

computerizzata per poterli riconoscere e definire. Sono spesso utilizzati nella valutazione

della Sclerosi Multipla.

POTENZIALI EVOCATI VISIVI Vengono registrati da stimolazioni monoculari con

configurazione a scacchiera alternante dalla regione occipitale su entrambi i lati della testa.

Risulta importante da un punto di vista clinico la risposta P100, che rappresenta un picco

positivo con una latenza di circa 100 ms. Vengono misurate la latenza, l’ampiezza e la

simmetria della risposta. I potenziali evocati visivi sono solitamente alterati in caso di neurite

ottica e nelle altre lesioni a carico del nervo ottico.

POTENZIALI EVOCATI UDITIVI DEL TRONCO ENCEFALICO Vengono evocati

da stimolazioni monoaurali con suoni elementari ripetitivi e vengono registrati tra il vertice

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del capo ed il processo mastoideo o il lobo auricolare. Questi potenziali rappresentano, con la

registrazione di sette onde (I-VII) la successiva attivazione del nervo uditivo (I) e delle

strutture del tronco encefalico (nucleo cocleare, II; complesso olivare superiore, III; lemnisco

laterale, IV; collicolo inferiore, V; centri uditivi superiori, VI,VII). Lesioni ad uno di questi

livelli alterano o nascondono le onde. E’ questo lo screening più attendibile per la valutazione

del neurinoma acustico.

POTENZIALI EVOCATI SOMATOSENSORIALI Vengono registrati dal capo e dalla

colonna vertebrale in risposta alla stimolazione elettrica di un nervo periferico (misto o

cutaneo). Le risposte risultano alterate in caso di lesioni dei nervi sensitivi prossimali o della

colonna dorsale (Sclerosi Multipla con lesioni alla spina dorsale, deficit di vitamina B12,

AIDS, stenosi cervicale, malattia di Lyme).

POTENZIALI EVOCATI COGNITIVI Si tratta di componenti dei potenziali evocati che

dipendono dall’attenzione mentale del soggetto, anche conosciuti come potenziali “endogeni”

o “correlati all’evento”. Risulta importante da un punto di vista clinico la componente P300,

picco positivo con una latenza di circa 300-400 m/s, che può essere prolungata in corso di

demenza.

POTENZIALI EVOCATI MOTORI Sono potenziali elettrici registrati dal muscolo o dal

midollo spinale dopo stimolazione della corteccia motoria o delle vie motorie centrali. Sono

state descritte alterazioni nelle risposte in corso di Sclerosi Multipla o malattie del

motoneurone, ma l’utilità clinica di questa tecnica è ancora da confermare.

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ELETTROMIOGRAFIA (EMG) L’elettromiogramma., quadro di attività elettrica nel

muscolo, può essere registrato sia a riposo che in corso di attività tramite un elettrodo ad ago

inserito nel ventre muscolare. Esso valuta la funzionalità del sistema nervoso periferico

(motoneurone, ganglio della radice dorsale, nervi periferici, giunzione neuromuscolare,

muscolo). L’EMG permette di rilevare le alterazioni dell’unità motoria e di caratterizzarle in

senso neurogeno o miogeno. Può essere utilizzato per localizzare o escludere una lesione del

sistema nervoso periferico e di identificare le caratteristiche di queste lesioni allo scopo di

facilitare la diagnosi, il trattamento e la prognosi. Per esempio, le neuropatie possono essere

categorizzate come focali, multifocali o generalizzate; sensitive o motorie; assonali o

demielinizzanti. Inoltre l’EMG è utile per localizzare e caratterizzare neuropatie focali

(localizzazioni lungo il nervo, blocco assonale o di conduzione, completo o parziale).

STUDI SULLA CONDUZIONE DELLE FIBRE NERVOSE La stimolazione elettrica

dei nervi motori e sensitivi registrando la risposta lungo il muscolo e le fibre nervose

sensoriali, rispettivamente, permette di misurare la velocità di conduzione delle fibre nervose.

La latenza, la durata e la velocità di conduzione della risposta riflettono di solito l’integrità

della mielina, mentre l’ampiezza riflette l’integrità dell’assone. Negli adulti, la velocità di

conduzione a livello degli arti superiori è compresa di solito tra 50 e 70 m/s, agli arti inferiori

tra 40 e 60 m/s. Le risposte ritardate includono le onde F ed H, che forniscono informazioni

sulla conduzione prossimale nei nervi motori (onde F) o motori e sensitivi (onde H). Le onde

F sono particolarmente importanti nella diagnosi precoce delle neuropatie infiammatorie

come la sindrome di Guillain-Barrè.

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RISPOSTA MUSCOLARE ALLA STIMOLAZIONE RIPETITIVA DEL NERVO La

stimolazione ripetitiva delle fibre nervose motorie facilita e caratterizza i disordini della

giunzione neuromuscolare. Un treno di stimoli sovramassimali viene inviato al nervo

motorio, registrando sul muscolo a riposo e dopo un esercizio. Si osserva un decremento

dell’ampiezza della componente muscolare del potenziale d’azione nella miastenia gravis e

nella miastenia congenita, un incremento nella sindrome miasteniforme di Lambert-Eaton e

nel botulismo.

ELETTROMIOGRAFIA DI UNA SINGOLA FIBRA MUSCOLARE Si tratta di una

tecnica sensibile ma non specifica per valutare i disordini della giunzione neuromuscolare.

Uno speciale elettrodo ad ago viene posto nel ventre muscolare e posizionato in modo da

registrare i potenziali d’azione da due fibre muscolari appartenenti alla stessa unità motoria.

La variazione dell’intervallo temporale tra le due fibre è chiamata jitter neuromuscolare, la

scomparsa del potenziale d’azione della seconda fibra muscolare è chiamata blocking. Un

aumento del numero di jitter e/o blocking si osserva nelle alterazioni della giunzione

neuromuscolare.

PROVE DI FUNZIONALITA’ AUTONOMICA I test non invasivi di funzionalità

autonomica comprendono la determinazione della variazione della frequenza cardiaca con gli

atti respiratori, con la manovra di Valsalva o nel passaggio dalla posizione supina a quella

eretta, l’esame funzionale della sudorazione, l’aumento della pressione arteriosa in seguito a

stress emotivo. Questi test sono in grado di valutare obiettivamente un’insufficienza

autonomica (centrale o periferica) e misurare la funzione dei piccoli assoni periferici non

mielinizzati.

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PUNTURA LOMBARE La puntura lombare è utilizzata per ottenere misure pressorie e

campioni di liquor per esami chimici, immunologici e batteriologici per valutare ad esempio

processi infettivi cerebrali, neoplasie meningee, neuropatie infiammatorie, patologie acute

demielinizzanti, ipertensione intracranica benigna. E’ anche utilizzata per la

somministrazione di farmaci anestetici, antibiotici o antineoplastici e per iniettare mezzi di

contrasto per la mielografia. Il liquor deve essere esaminato valutando: pressione, colore,

quantità e tipo di elementi cellulari, concentrazione di proteine, glucidi ed altri indici

biochimici, reazioni sierologiche di precipitazione, immunoelettroforesi delle proteine,

colture batteriologiche ed isolamento di virus.

La puntura deve essere eseguita in condizioni sterili. Alcune controindicazioni relative

includono la trombocitopenia ed altri disordini della coagulazione, la presenza di infezioni

cutanee o dei tessuti molli lungo il decorso dell’ago e l’aumento della pressione intracranica.

La principale complicanza consiste in una cefalea causata dalla ridotta pressione liquorale,

che regredisce di solito in poche ore.

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CONVULSIONI ED EPILESSIA

Con il nome di epilessie s’indica un gruppo di malattie caratterizzate da alterazioni della

normale attività elettrica cerebrale responsabili di modificazioni croniche della funzione del

sistema nervoso centrale, che si manifestano con episodi ricorrenti e parossistici, definiti

crisi.

L’epilessia può essere secondaria ad una lesione traumatica cerebrale, può verificarsi

nell’ambito di una patologia sistemica, può anche presentarsi in forma idiopatica, vale a dire

senza alcun’alterazione patologica clinicamente dimostrabile.

Si parla di convulsioni quando gli accessi parossistici si accompagnano a manifestazioni

motorie, ma si possono avere alternativamente o contemporaneamente manifestazioni

sensitive, cognitive od emotive. Crisi convulsive possono presentarsi ad ogni età e per cause

disparate (sofferenza ipossico-ischemica, emorragie intracraniche, infezioni acute cerebrali

nei neonati; febbre elevata nei bambini; modificazioni ormonali, farmaci, alcool, disordini

metabolici, tumori cerebrali negli adulti): è estremamente importante sottolineare che

un’isolata crisi parossistica non può e non deve essere diagnosticata come epilessia.

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CRISI PARZIALI O FOCALI Sono provocati dall’attivazione di un’area localizzata della

corteccia. L’area della corteccia che è stata interessata dà luogo a manifestazioni

neurologiche specifiche. La lesione può derivare da sofferenza neonatale, neoplasia, infarto,

malformazione vascolare, o qualche anomalia strutturale. Viene fatta un’ulteriore distinzione

tra:

CRISI PARZIALI SEMPLICI Non si accompagnano a perdita della coscienza e di solito

si manifestano con sintomi motori, come contrazioni ricorrenti in un distretto muscolare (dita,

mano, braccio, faccia, ecc.) Ogni contrazione muscolare, provocata dalla scarica di neuroni

nell’area corrispondente della corteccia motoria del lato opposto, può rimanere confinata

all’area primitivamente interessata oppure propagarsi a distretti contigui dello stesso emisoma

(“marcia jacksoniana”). L’EEG mostra scariche marcate di punte a comparsa regolare sulla

corrispondente area corticale motoria.

CRISI PARZIALI COMPLESSE Si accompagnano a perdita della coscienza e sono

solitamente preceduti dal fenomeno dell’aura. Durante questi accessi vi può essere arresto

dell’attività ed esecuzione di movimenti minori non coscienti definiti automatismi

(schioccare le labbra, inghiottire, camminare) oppure di attività motorie complesse (guidare

una macchina). Dopo la crisi il soggetto non ricorda nulla. L’EEG mostra scariche di punte

unilaterali o bilaterali, onde rapide o lente sulle regioni temporali o frontotemporali (si parla

di accessi del lobo temporale).

Gli accessi parziali semplici o complessi possono diventare generalizzati.

CRISI GENERALIZZATE PRIMARIE

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CRISI TONICO-CLONICHE (GRANDE MALE) Si verifica un’improvvisa perdita di

coscienza, contrazione tonica dei muscoli, perdita del controllo posturale, un grido causato

dall’espirazione forzata dovuta alla contrazione dei muscoli respiratori: il paziente cade a

terra rigido ed immobile in atteggiamento di opistotono e vi rimane per alcuni secondi (fase

tonica). Quindi sopraggiungono contrazioni ritmiche dei quattro arti, fin quando i muscoli si

rilasciano (fase clonica). Nel corso della crisi si può avere perdita di feci e urine o

morsicatura della lingua; la ripresa della coscienza è graduale, con un breve periodo di

disorientamento ed amnesia dell’episodio accessuale. L’EEG mostra attività rapida di bassa

ampiezza in fase tonica, che si trasforma in ampie onde ripide e, durante la fase clonica,

parossismi di onde appuntite corrispondenti alle contrazioni muscolari.

CRISI TONICHE Si verifica un improvviso irrigidimento degli arti e del tronco, spesso con

deviazione laterale del capo e degli occhi. Non sono seguiti dalla fase clonica.

CRISI DI ASSENZA (PICCOLO MALE) Si verifica un’improvvisa interruzione

dell’attività cosciente, ma senza convulsioni o perdita del controllo posturale, della durata di

secondi o al massimo minuti. Il paziente recupera rapidamente coscienza dell’ambiente.

L’EEG nel periodo intercritico mostra brevi scariche di punte e onde, con frequenza di 3 Hz

e comparsa simultanea su tutte le derivazioni.

CRISI DI ASSENZA ATIPICA Si associano agli accessi tonici, mioclonici, atonici.

L’EEG mostra scariche di punte ed onde a 2-4 Hz.

CRISI MIOCLONICHE Si tratta di contrazioni muscolari improvvise, brevi, isolate o

ripetitive che interessano una sola parte del corpo o l’intero corpo. L’EEG mostra scariche di

polipunte-onde od onde rapide e lente.

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CRISI ATONICHE Si tratta di brevi perdite della coscienza e del tono posturale, senza

contrazioni muscolari associate. L’EEG mostra polipunte ed onde lente.

Quando gli accessi sono molto prolungati o si ripetono senza un periodo intervallare tra le

crisi si parla di stato epilettico. Questa condizione può verificarsi in tutte le forme di epilessia

e, se si tratta di accessi tonico-clonici, può costituire un pericolo per la vita del paziente. Lo

stato epilettico di crisi parziali viene chiamato epilessia parziale continua e può verificarsi

con accessi parziali motori, sensitivi o viscerali.

Spesso un’anamnesi accurata, un esame obiettivo e pochi esami di laboratorio possono

assicurare la diagnosi di epilessia.

L’EEG rappresenta uno strumento diagnostico fondamentale, soprattutto in rapporto alla

diagnosi differenziale dell’accesso, alla determinazione della causa ed alla corretta

classificazione.

La terapia farmacologica dell’epilessia rappresenta la parte fondamentale del trattamento ed

ha lo scopo di garantire al paziente la protezione dagli accessi ed il mantenimento delle

consuete funzioni cognitive. Esistono protocolli specifici per tutte le varianti di epilessia. I

farmaci antiepilettici vengono dosati nel plasma per stabilire se la sostanza usata si trova

nell’ambito terapeutico.

Lo stato di male epilettico, in particolare, costituisce un’emergenza medica grave e richiede

un trattamento immediato per il rischio di ipossia ed acidosi (da attività muscolare

prolungata) oppure ipossia ed alterata funzione respiratoria. Si provvede dunque alla pervietà

delle vie aeree, alla protezione della lingua e del capo, al posizionamento di una via di

accesso endovenosa (per la somministrazione di glucosio, fenitoina, benzodiazepine).

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Se la sintomatologia epilettica deriva da una lesione strutturale (tumore, cisti ce),

l’asportazione della massa e del tessuto cerebrale circostante leso riesce ad eliminare o

ridurre frequenza e violenza degli accessi. In alcuni casi di accessi parziali complessi a

partenza da uno o entrambi i lobi temporali, l’ablazione neurochirurgica ha permesso di

migliorare o addirittura risolvere la sintomatologia.

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Classificazione delle crisi e delle sindromi epilettiche

EPILESSIE E SINDROMI PARZIALI idiopatiche


sintomatiche
criptogenetiche

EPILESSIE E SINDROMI GENERALIZZATE idiopatiche


criptogenetiche
sintomatiche

EPILESSIE E SINDROMI NON DEFINITE SE FOCALI O GENERALIZZATE con crisi sia focali che generalizzate
senza chiare caratteristiche generalizzate o parziali

SINDROMI SPECIALI crisi legate a situazioni particolari

EPILESSIE INCLASSIFICABILI

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CRISI PARZIALI O FOCALI
clinica E.E.G. anatomia eziologia età
Insorgono localmente, possono aspetti critici Diverse regioni corticali e/o Per lo più dovute ad una Possibile in tutte le età
essere distinte in semplici o Scariche ritmiche di punte e/o sottocorticali corrispondenti vasta gamma di lesioni ma più frequenti con
complesse; variano a seconda onde più o meno lente, alla loro rappresentazione encefaliche localizzate. l'aumentare degli anni.
del focolaio di scarica, e possono localizzate su un emisfero o su funzionale in un emisfero. Possono essere importanti
generalizzarsi. Definite anche entrambi. fattori costituzionali.
focali o secondarie per le quali è aspetti intercritici
necessario identificare la Scariche focali intermittenti
localizzazione e la natura della localizzate in genere su un solo
lesione epilettogena. emisfero
CRISI PARZIALI SEMPLICI O ELEMENTARI
Non si associano a disurbo della aspetti critici In genere nell'area corticale Per lo più dovute ad una Possibile in tutte le età
coscienza se i sintomi motori, Scariche focali controlaterali a corrispondente alla vasta gamma di lesioni ma più frequenti con
sensoriali o psichici restano partenza dall'area di rappresentazione funzionale. encefaliche localizzate. l'aumentare degli anni.
confinati ad un solo lato. rappresentazione corticale Possono essere importanti i
corrispondente (non sempre fattori costituzionali.
registrabile dallo scalpo).
aspetti intercritici
scariche focali controlaterali
CRISI PARZIALI COMPLESSE
In genere con disturbo della aspetti critici
coscienza; a volte iniziano con Scariche (focus) uni- o bilaterale,
un arresto motorio, seguito diffuse o localizzate sulle aree
tipicamente da automatismi oro- temporali o fronto-temporali.
alimentari, seguiti aspetti intercritici
frequentemente da altri Scariche (focus) uni- o bilaterale,
automatismi. La durata è >1min. in genere asincrone; per lo più
Di solito si verifica confusione sulle regioni temporali.
postcritica. Le crisi sono seguite
da amnesia e la ripresa dalla
medesima è graduale.

CRISI PARZIALI SECONDARIAMENTE GENERALIZZATE


clinica E.E.G. anatomia eziologia età
Tutte le crisi parziali, a aspetti critici
sintomatologia semplice o Scariche (focus) uni- o bilaterali,
complessa, possono sfociare in diffuse o localizzate sulle aree
crisi generalizzate, talora così temporali o fronto-temporali, si
rapidamente da celare i segni generalizzano rapidamente. In
focali. Gli accessi generalizzati genere asincrone.
possono essere simmetrici od aspetti intercritici
asimmetrici, tonici o clonici, più non rilevati
frequentemente tonico-clonici.

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CRISI GENERALIZZATE
clinica E.E.G. anatomia eziologia età
Possono essere suddivise in due grande male non localizzabili Non si trovano fattori tutte le età
forme principali, una nota come successivamente alla crisi, si eziologici oppure:
grande male ( perdita di osserva un rallentamento del -lesioni bilaterali diffuse o
coscienza con contrazioni ritmo dell'E.E.G., ove si possono multiple;
muscolari) e l'altra, definita in notare altresì onde aguzze. -alterazioni tossiche e/o
origine piccolo male e piccolo male metaboliche;
attualmente crisi di assenza nel corso della crisi l'E.E.G. -fattori costituzionali, spesso
(consistente in brevi perdite di mostra una caratteristica genetici (predisposizione
coscienza). anomalia generalizzata a tipo epilettica).
punta-onda alla frequenza di
3Hz.

CRISI UNILATERALI
clinica E.E.G. anatomia eziologia età
Caratterizzate da convulsioni aspetti critici a) area corticale e/o vasta gamma di lesioni a) nella prima infanzia
cloniche, toniche o tonico- a) scariche focali che si subcorticale di un emisfero focali unilaterali, bilaterali o b) nella prima infanzia
cloniche, con o senza perdita di diffondono molto rapidamente ad b) senza localizzazione multiple ad eziologia diversa c) periodo neonatale
coscienza, localizzate soltanto o un solo emisfero (controlaterale c) area corticale di uno od o dismetabolica e/o disturbi
prevalentemente ad un rispetto alle manifestazioni entrambi gli emisferi, oppure tossici. Sono importanti
emisoma. Tali crisi possono cliniche) senza localizzazione fattori costituzionali (spesso
passare da un lato all'altro, ma b) scariche con esordio genetici) ed immaturità
non divengono quasi mai generalizzato in un emisfero con cerebrale
simmetriche. diffusione all'altro
c) scariche parziali con tendenza
a variare in tempi successivi
come morfologia e topografia (da
un'area all'altra di uno stesso
emisfero e, talora, da un lato
all'altro)
aspetti intercritici
a) scariche focali controlaterali.
b)(scariche bilaterali e sincrone,
simmetriche od asimmetriche, di
punte-onda e/o polipunte-onda.
c) scariche focali con tendenza a
mutare in tempi successivi come
morfologia e topografia.

CRISI NON CLASSIFICABILI


Comprendono tutte quelle crisi che non possono essere classificate per l'incompletezza o l'inadeguatezza dei dati anamnestici.

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CRISI PARZIALI SEMPLICI
CARATTERISTICHE CLINICHE LOCALIZZAZIONE

motorie somatiche
Jacksoniane (si osserva, nell'arco di alcuni Giro prerolandico
secondi, una diffusione ordinata, in "marcia",
di movimenti clonici dai muscoli interessati
per primi ad altri muscoli omolaterali).
Piuttosto rare
Masticatorie Nuclei dell'amigdala
Avversative semplici Frontale
Rotazione del capo e degli occhi associata a Corteccia motoria supplementare
movimenti delle braccia
Focali motorie (senza marcia) comprese le Giro prerolandico
mioclonie epilettiche circoscritte *1)

somatiche e sensoriali speciali (aure)


Somatosensoriali (focali o marcianti sono Postrolandica controlaterale
indizio di lesioni situate in prossimità o
all'interno del giro postcentrale
controlaterale)
Visive ( immagini, luci e figure non formate) Occipitale
Uditive Giri di Heschl (localizzati nella parte
superiore del lobo temporale di fronte alla
scissura laterale - area ricettiva primaria per
l'udito)
Vertiginose Temporale superiore *2)
Olfattive Temporale mesiale *2)
Gustative Opercolo parietale e/o rolandico
Viscerale: vegatative Corteccia fronto-orbito-insulare

CRISI PARZIALI COMPLESSE


Allucinazioni formate Neocorteccia temporale o complesso
amigdalo-ippocampico
Allucinosi /
Esperienze cognitive alterate (déjà vu, stati Temporale *2)
onirici, depersonalizzazione)
Stati affettivi (paura, depressione o Temporale *2)
eccitazione)
Automatismi (accessuali e postaccessuali) Temporale e frontale
Assenza Corteccia frontale, complesso amigdalo-
ippocampico, sistema reticolo-corticale
Mioclono epilettico bilaterale Reticolocorticale

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NOTE

*1) EPILESSIA ROLANDICA

E' una forma relativamente comune e benigna di epilessia motoria focale caratterizzata da una
notevole predisposizione ereditaria. Insorge tra il quinto e il nono anno di età manifestandosi
con contrazioni cloniche unilaterali del volto e del corpo con punte ad alto voltaggio nell'area
rolandica inferiore controlaterale. L'attività a punte è accentuata durante il sonno ad onde lente.
Le crisi tendono a scomparire durante l'adolescenza.

*2) LOCALIZZAZIONE TEMPORALE

Le scariche epilettiche che originano in questa zona, hanno caratteristiche uniche in quanto
l'evento iniziale nella crisi (l'aura) consiste di frequente in una allucinazione o in un'illusione
percettiva quali la sensazione di familiarità, estraneità, paura, sensazione viscerale ecc.. Se tali
esperienze soggettive costituiscono l'intero attacco, la crisi è classificata come parziale
semplice. Se l'aura è seguita da un periodo di non responsività e alterazioni comportamentali
(schioccare le labbra, movimenti di masticazione o deglutizione e andatura incerta, definiti
automatismi), le crisi sono classificate come parziali complesse o psicomotorie.

20
CRISI GENERALIZZATE
CARATTERISTICHE CLINICHE LOCALIZZAZIONE

Assenze non localizzabile


sono caratterizzate da una sospensione della
coscienza di breve durata ( 3-30 sec.)
a) assenze tipiche
hanno un'insorgenza e una scomparsa
improvvise e un corrispettivo E.E.G.
costituito da un'attività di punte-onda a 3 Hz,
bilaterali, sincrone e simmetriche. Possono
essere semplici o complesse. Le complesse
possono manifestarsi con mioclonie
palpebrali, con componente atonica, tonica,
con automatismi ecc.
b) assenze atipiche
hanno inizio e fine graduali, maggiore
durata, e sono accompagnate più spesso che
le forme tipiche a modificazione del tono
muscolare. Il corrispettivo E.E.G. è quello di
un'attività generalizzata di complessi punta-
onda lenti tra 1 e 2,5 Hz.

Crisi miocloniche non localizzabile


sono costituite da una contrazione muscolare
breve e involontaria, bilaterale e massiva,
non associata a un'alterazione visibile della
coscienza. Il corrispettivo E.E.G. è costituito
da polipunte-onda sincrone con le scosse,
bilaterali e simmetriche.

Crisi cloniche non localizzabile


sono costituite da movimenti ritmici bilaterali,
simmetrici o asimmetrici provocati dalla
contrazione di gruppi muscolari maggiori che
nelle crisi miocloniche.

Crisi toniche non localizzabile


sono costituite da una contrazione muscolare
persistente che dura da qualche secondo a
un minuto. Vengono differenziate in rapporto
ai gruppi muscolari coinvolti (del tronco, del
collo ecc.) Il correlato E.E.G. è quello di una
scarica reclutante di polipunte.

21
Crisi tonico-clonica non localizzabile
fase tonica: flessione degli arti superiori ed
estensione di quelli inferiori con arresto del
respiro; comparsa di manifestazioni
vegetative ed a volte morsicatura della
lingua. Il corrispettivo E.E.G. evidenzia un
ritmo reclutante di polipunte.
fase clonica: scosse progressivamente
meno frequenti della durata di c.a. 30 sec..Il
corrispettivo E.E.G. è costituito da un'attività
di polipunte-onda e punte-onda.
fase postcritica: ipotonia, abolizione della
coscienza, a volte incontinenza urinaria, può
durare da pochi minuti ad alcune ore. Il
corrispettivo E.E.G. è costituito da una
desincronizzazione dell'attività di fondo e
quindi da onde lente di voltaggio
progressivamente maggiore.

In un tempo successivo ripresa del respiro e


recupero progressivo della coscienza

Crisi atoniche non localizzabile


Si manifestano con un'improvvisa riduzione
o abolizione del tono muscolare e un
conseguente improvviso cedimento
posturale, limitato a un distretto somatico, o
generalizzato con caduta a terra. Il
corrispettivo E.E.G. manifesta un'attività di
punte-onda lente diffuse su i due emisferi.

22
PATOLOGIE CEREBROVASCOLARI

Le patologie cerebrovascolari sono la terza causa di morte nei paesi sviluppati, dopo le

patologie cardiovascolari e le neoplasie. Queste patologie originano da un’alterazione a

carico di uno o più vasi sanguigni cerebrali che può essere intrinseca al vaso stesso

(aterosclerosi, infiammazione, amilodosi, lipoialinosi, malformazioni, aneurismi dissecanti,

trombosi venose) o estrinseca (embolo di provenienza cardiaca o extracranica che occlude un

vaso intracranico), può derivare dalla rottura di un vaso nel tessuto cerebrale o nello spazio

subaracnoideo, può infine essere il risultato dell’aumento della viscosità sanguigna o della

diminuzione della pressione di perfusione in un vaso cerebrale.

PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE ISCHEMICA : SINDROME DA ATTACCHI

ISCHEMICI TRANSITORI (TIA) Esistono tre tipi principali di TIA distinti a seconda dei

meccanismi fisiopatologici responsabili. I TIA a carico dei grossi vasi a basso flusso durano

da pochi minuti a poche ore, sono ricorrenti e spesso si associano a lesioni aterosclerotiche a

livello della carotide interna. I TIA embolici (provocati da un embolo di natura cardiaca o

extracranica) durano alcune ore e sono isolati. I TIA dei vasi lacunari o dei piccoli vasi

penetranti sono causati dall’occlusione transitoria di questi piccoli vasi intracerebrali ad opera

di lesioni aterosclerotiche o fenomeni di lipoialinosi secondaria ad ipertensione e sono

tipicamente ricorrenti e stereotipati.

23
SINDROME DA ICTUS L’ictus può manifestarsi come infarto (80% dei casi) o come

emorragia cerebrale (20% dei casi). I meccanismi fisiopatologici responsabili possono essere

la trombosi dei grossi vasi a basso flusso, embolia di origine arteriosa, cardiaca o imprecisata,

occlusone dei piccoli vasi intracerebrali penetranti. L’area cerebrale infartuata, inizialmente

pallida, dopo alcune ore o giorni comincia ad assumere un aspetto iperemico a livello della

sostanza grigia, con congestione vasale e presenza di lesioni emorragiche petecchiali. Infine

si avrà la formazione di tessuto cicatriziale fibrogliale nella sede della lesione. I fattori di

rischio primari per l’ictus sono l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il fumo (rischio di

aterosclerosi); la fibrillazione atriale, l’infarto miocardico (rischio di embolia cardiogena);

l’ipertensione (rischio di emorragia intracerebrale primitiva e di lipoialinosi).

I segni ed i sintomi di un ictus ischemico dipendono dalla sede dell’occlusione e

dall’efficienza del flusso collaterale residuo. Per questo motivo è possibile distinguere diversi

tipi di sindromi occlusive.

ARTERIA CEREBRALE MEDIA (superficie laterale degli emisferi) Il quadro clinico

classico è rappresentato da emiplegia con emianestesia controlaterale. Se viene interessato

l’emisfero dominante si verifica afasia totale, se viene interessato l’emisfero non dominante

si aggiungono aprattognosia ed anosognosia. ARTERIA COROIDEA ANTERIORE

(capsula interna e sostanza bianca posterolaterale) Il quadro clinico comprende emiplegia

controlaterale, emianestesia ed emianopsia omonima. ARTERIA CAROTIDE INTERNA Il

quadro clinico è uguale a quello dell’occlusione della cerebrale media. Di solito la patologia

interessa anche il territorio dei rami corticali distali del tronco comune della cerebrale, con

perdita progressiva o transitoria della sensibilità a livello del bacino, delle spalle o delle

24
braccia. ARTERIA CAROTIDE COMUNE Il quadro clinico corrisponde a quello

dell’occlusione della carotide interna. Entrambe le carotidi comuni possono occludersi

all’origine con scomparsa dei polsi carotideo e radiale, svenimento al passaggio

all’ortostatismo, ripetute perdite della coscienza, dolore al collo, cefalea, cecità transitoria

unilaterale o bilaterale.

Per una valutazione strumentale è possibile effettuare delle indagini non invasive a livello

carotideo che individuano la presenza e l’entità di lesioni aterotrombotiche:

oftalmodinamometria, oculopletismografia e Doppler pulsato range-gatered dell’arteria

oftalmica forniscono una valutazione indiretta della pressione e del flusso nel tratto distale

della carotide interna. Ancora più utili sono l’esame diretto con tecnica Doppler della

biforcazione carotidea e l’esame con Doppler transcranico del flusso delle arterie cerebrali

media, anteriore e posteriore e dell’arteria vertebrale. Queste metodiche tuttavia non possono

distinguere tra un’occlusione carotidea incompleta ed una completa, perciò la metodica più

affidabile per la valutazione del sistema cerebrovascolare è rappresentata attualmente

dall’angiografia cerebrale, che è in grado di visualizzare stenosi, trombi, occlusioni

emboliche, lesioni aterosclerotiche e processi dissecanti, oltre che la funzionalità dei circoli

collaterali. Risultano inoltre fondamentali per la diagnosi le immagini di tomografia

computerizzata e di risonanza magnetica, che vengono eseguiti d’urgenza quando si sia

verificato un ictus, soprattutto per documentare la presenza di un’emorragia intracranica.

Una volta diagnosticato un TIA, l’obiettivo terapeutico è quello di prevenire la comparsa di

un ictus; se invece si è già verificato un ictus, si rende necessario impedire l’estensione del

danno. Si ricorre alla terapia anticoagulante (eparina, warfarin sodico), alla terapia

25
antiaggregante piastrinica (aspirina, dipiridamolo) oppure all’endoarteriectomia carotidea. La

terapia trombolitica con streptochinasi o attivatori del plasminogeno tissutale è in fase di

studio, così come gli antagonisti del recettore del glutammato, che sembrano essere

promettenti nel ridurre le dimensioni della lesione ischemica.

ARTERIA CEREBRALE POSTERIORE (cervelletto, bulbo, ponte, mesencefalo,

ipotalamo, talamo, ippocampo, parte mediale dei lobi temporali e occipitali) Da un punto di

vista clinico è possibile che si verifichi una Sindrome precomunicante prossimale, per

ostruzione del tronco della cerebrale posteriore a livello del segmento precomunicante e

manifestazioni mesoencefaliche, subtalamiche e talamiche (emiplegia, atassia controlaterale,

paralisi del terzo paio di nervi cranici, emiballismo controlaterale, paresi dello sguardo verso

l’alto, sonnolenza, sindrome talamica di Dejerine e Roussy) oppure una Sindrome

postcomunicante, per occlusione del segmento postcomunicante, con manifestazioni

corticotemporali ed occipitali (emianopsia omonima controlaterale, difetti mnesici, alessia,

agnosia visiva, allucinosi peduncolari, cecità corticale, sindrome di Balint). Fondamentali per

la documentazione sono TC e RM, angiografia RM e Doppler intracranico. Poiché l’infarto

cerebrale nel territorio delle cerebrali posteriori è generalmente secondario ad embolia, è

consigliabile una terapia anticoagulante per prevenire ulteriori eventi embolici.

ARTERIA VERTEBRALE E CEREBELLARE POSTEROINFERIORE I TIA del

sistema vertebrale si manifestano clinicamente con vertigini, stordimento, diplopia, disartria,

disfagia, raucedine, torpore alla metà della faccia ipsilaterale ed agli arti controlaterali.

L’ictus invece può dare luogo, a seconda della localizzazione a Sindrome bulbare mediale,

per occlusione della vertebrale o di una sua branca oppure occlusione della basilare

26
prossimale (paralisi ed atrofia linguale, paralisi di braccio e gamba controlaterali,

compromissione della sensibilità tattile e propriocettiva dell’emicorpo controlaterale);

Sindrome bulbare laterale, per occlusione della vertebrale, della cerebellare posteroinferiore,

o delle bulbari laterali (dolori, parestesie, ipoestesia emifacciale, atassia degli arti, nistagmo,

diplopia, vertigini, nausea, vomito, sindrome di Horner, disfagia, ageusia); Sindrome bulbare

unilaterale completa e Sindrome pontobulbare laterale, per occlusione della vertebrale;

Sindrome dell’arteria basilare, con manifestazioni corrispondenti ad un insieme delle varie

sindromi sovracitate

ARTERIA BASILARE Come già accennato, i segni e sintomi derivanti dalla sofferenza

ischemica del tronco encefalico interessano i tratti corticospinali, corticobulbari, i peduncoli

cerebellari medi ed inferiori, i tratti spinotalamici ed i nuclei dei nervi cranici. I TIA

provocano soprattutto vertigini transitorie, l’infarto dà luogo a paralisi dello sguardo ed

oftalmoplegia con emiparesi ipsilaterale.

ARTERIA CEREBELLARE SUPERIORE Il quadro clinico caratteristico comprende

atassia grave omolaterale, nausea, vomito, disartria, perdita della sensibilità termica e

dolorifica alle estremità controlaterali del tronco ed al volto.

ARTERIA CEREBELLARE ANTEROINFERIORE Il quadro clinico comprende sordità

omolaterale, ipostenia facciale, vertigini, nausea, vomito, nistagmo, acufeni, atassia,

sindrome di Horner, paresi dei movimenti coniugati di lateralità.

La diagnosi a tale livello si basa sulle tecniche di RM associate al Doppler transcranico.

S’interviene con terapia anticoagulante ed antiaggregante preventiva.

27
EMBOLIA CEREBRALE

L’embolia cerebrale è la causa più frequente di infarto ischemico. Nella stragrande

maggioranza dei casi l’embolo è a partenza cardiaca. Altre origini possono essere un embolo

ateroarterioso (da una lesione aterosclerotica a livello del sistema arterioso carotideo,

vertebrobasilare o aortico) oppure materiale trombotico di natura occasionale (emboli di

grasso o tumorali, trombosi della vena polmonare, complicanze di interventi chirurgici al

torace ed al collo). A volte non è possibile individuare una precisa causa eziologica (si parla

allora di embolia cerebrale di origine ignota; circa il 40% degli ictus ischemici).

Tra i disturbi del ritmo cardiaco, la fibrillazione atriale è più spesso causa dei trombi di

origine cardiaca: si verifica presumibilmente la formazione di un trombo nell’auricola

dell’atrio in fibrillazione, con successivo distacco dell’embolo. Altri fattori di rischio

cardiaco degni di nota sono l’infarto miocardico del ventricolo sinistro (formazione e

maturazione di trombi murali a partire dal tessuto necrotico), difetti congeniti del setto,

calcificazione dell’anello mitralico (legata di solito all’età avanzata), interventi chirurgici

sulle coronarie o sul cuore, vegetazioni dell’endocardite batterica (emboli settici), mixoma

atriale.

L’entità dell’infarto embolico dipende dalle dimensioni dell’embolo e dalla sede in cui si

arresta, che nell’80% dei casi è a livello dell’arteria cerebrale media o in uno dei suoi rami: se

il tronco vasale viene occluso completamente si verifica un infarto esteso, che coinvolge tutta

la sostanza grigia e bianca in profondità. Dopo la degradazione dell’embolo e con il ripristino

della circolazione sanguigna nel territorio infartuato si ha la formazione di un’area di

infarcimento emorragico. Il danno neurologico è improvviso e solitamente molto grave,

28
anche se può andare incontro a modificazioni successive. A volte dura pochi minuti oppure

ore e poi svanisce: si tratta in tal caso di un TIA embolico. Come è intuitivo, la natura e

l’entità del difetto funzionale variano in corrispondenza della corteccia cerebrale

vascolarizzata dall’arteria che è stata colpita. Le sindromi neurologiche che corrispondono al

danneggiamento del territorio irrorato dalla cerebrale media sono quattro: sindrome

dell’opercolo frontale, con paralisi facciale, afasia e disartria; sindrome di paresi o paralisi

del braccio o della mano; sindrome di Broca o Wernike, per interessamento dell’emisfero

dominante; Sindrome di emi-inattenzione visiva sinistra, per interessamento del lobo parietale

dell’emisfero non dominante. Dopo 12-18 mesi possono comparire crisi convulsive.

Le indagini strumentali si avvalgono della TC per escludere la presenza di emorragia, RM per

documentare sede ed estensione dell’infarto. Per la prevenzione di ulteriori ictus embolici è

consigliabile la terapia anticoagulante.

EMORRAGIA INTRACRANICA

La causa più frequente di emorragia intracerebrale è l’ipertensione, che rappresenta l’origine

di fenomeni di lipoialinosi a livello vasale. Il vaso interessato è solitamente una delle arterie

penetranti provenienti dalla cerebrale media, dalla basilare oppure un vaso appartenente al

circolo del Willis. L’emorragia da ipertensione si forma generalmente in pochi minuti,

origina come una piccola massa ovale che si estende progressivamente, comprimendo a mano

a mano il tessuto cerebrale adiacente ed infiltrandosi nel sistema ventricolare. Tipicamente

questo tipo di emorragia interessa il putamen e la capsula interna adiacente, il talamo, il ponte

oppure il cervelletto. In caso di emorragia putaminale i segni clinici sono deviazione

29
progressiva della faccia da un lato, parola impacciata, indebolimento graduale di un braccio

ed una gamba, deviazione degli occhi dal lato opposto rispetto all’emiparesi. La paralisi può

peggiorare fino a flaccidità e Babinski positivo degli arti colpiti. Nei casi più gravi il soggetto

cade in stato stuporoso e subentra il coma.

In caso di emorragia talamica si verifica emiplegia o emiparesi con prevalente difetto

sensitivo; possono aggiungersi afasia, aprattognosia, mutismo, disturbi oculari.

In caso di emorragia pontina compare coma profondo in pochi minuti ed il quadro clinico

comprende quadriplegia, rigidità decerebrata, miosi: entro poche ore è facile che sopravvenga

la morte.

In caso di emorragia cerebellare i segni neurologici possono essere scarsi. Caratteristici sono

cefalea occipitale e vertigini suscitate dalla marcia, alle quali possono accompagnarsi in

grado più o meno marcato nistagmo, deviazione forzata dei globi oculari, atassia degli arti,

disartria, disfagia.

Con la TC è possibile individuare tutti i tipi di emorragia. L’evacuazione chirurgica è di

solito indicata in caso di emorragia cerebellare acuta per evitare che si verifichi la

compressione del tronco encefalico. Il mannitolo ed altri agenti osmotici sono utili per ridurre

l’edema circostante. Si rende necessario il monitoraggio della pressione intracranica, evitando

che si abbia sia ipertensione sia ipotensione eccessiva.

Sono in notevole aumento i casi di emorragia intracranica lobare, che coinvolgono la

sostanza bianca sottocorticale al di fuori dei gangli della base e del talamo. Nella

eziopatogenesi sono chiamate in causa oltre all’ipertensione le malformazioni arterovenose,

le emorragie intratumorali, gli aneurismi del circolo di Willis, la diatesi emorragica. Questo

30
tipo di emorragia è di solito poco estesa e dà luogo a sindromi cliniche relativamente limitate

che si manifestano con cefalea, vomito, sonnolenza, emianopsia, afasia, stato confusionale,

emisindromi sensitive. Raro è il coma.

L’emorragia subaracnoidea riconosce come causa più frequente la rottura di un aneurisma

sacculare intracranico, di solito localizzato a livello delle giunzioni delle grandi arterie alla

base del cranio. Nell’85% dei casi viene interessato il circolo anteriore di Willis; gli

aneurismi sono multipli nel 10-30% dei casi; le lesioni sono bilaterali e simmetriche nel 10-

20% dei casi. Al momento della rottura dell’aneurisma si verifica generalmente perdita della

coscienza improvvisa e transitoria, a volte preceduta da cefalea violenta. Il coagulo

successivo alla rottura esercita un effetto di massa locale, ed a seconda delle localizzazioni

può provocare segni neurologici focali da compressione dei nervi cranici, forte cefalea,

emiparesi, afasia, anosognosia, amnesia, abulia.

Nella valutazione iniziale viene subito eseguita una TC, seguita da una rachicentesi per

stabilire l'eventuale presenza di sangue negli spazi subaracnoidei, ed infine da un’angiografia.

Il paziente dovrà essere monitorato riguardo la pressione di perfusione cerebrale, evitando un

rialzo eccessivo della pressione arteriosa media, prescrivendo in via preventiva fenitoina o

fenobarbital per evitare che si manifestino crisi convulsive, intervenendo chirurgicamente

laddove siano stati individuati altri aneurismi (più grandi di 7 mm). In seguito alla rottura di

un aneurisma intracranico i rischi successivi sono una nuova rottura (10-30% nelle prime tre

settimane successive), un vasospasmo cerebrale sintomatico, un idrocefalo acuto.

PATOLOGIE NEOPLASTICHE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

31
I tumori intracranici possono essere intraassiali (localizzati all’interno della sostanza

cerebrale) oppure extraassiali. Entrambi i tipi sono responsabili di una serie di deficit

neurologici conseguenti all’espansione ed infiltrazione della massa tumorale. I sintomi

dipendono strettamente dalla sede del tumore e dalla velocità di crescita: si tratta in genere di

cefalea, con o senza segni di ipertensione endocranica; apatia, letargia, deterioramento

progressivo delle capacità cognitive o alterazioni di funzioni complesse riguardanti il

linguaggio, la memoria, la marcia; insorgenza o peggioramento di crisi epilettiche; sintomi

neurologici focali da compressione dei nervi cranici; spesso alterazioni della personalità

simili a disturbi del pensiero di tipo psicotico.

Nella valutazione strumentale di una sospetta neoplasia, la RM rappresenta la procedura di

scelta, in quanto è in grado di evidenziare la maggior parte dei tumori sia primitivi che

metastatici. La TC può essere migliore nella definizione di meningiomi contenenti calcio,

oligodendrogliomi, tumori ipofisari. L’arteriografia transfemorale è utile in fase preoperatoria

per evidenziare la vascolarizzazione tumorale.

METASTASI CEREBRALI Sicuramente i più frequenti tumori del SNC sono metastatici,

vale a dire che si osservano in pazienti affetti da neoplasie in stadio avanzato (nella maggior

percentuale dei casi il tumore primitivo è il cancro polmonare nell’uomo, il carcinoma

mammario nella donna, anche se il tumore con maggiore tendenza alla diffusione nel SNC è

il melanoma). Dopo il trattamento dei sintomi neurologici acuti, sempre dipendenti dalla sede

e dalle dimensioni del tumore, i pazienti con metastasi cerebrali multiple o con una lesione

solitaria non suscettibile di resezione chirurgica vengono trattati con terapia radiante

(radioterapia stereotattica) o con chemioterapia sistemica (endovenosa o endoarteriosa).

32
TUMORI PRIMITIVI CEREBRALI:

ASTROCITOMA MALIGNO (GLIOBLASTOMA) Colpisce nel quinto decennio di vita;

l’eziologia è ancora incerta. Macroscopicamente il parenchima cerebrale risulta infiltrato da

tessuto giallastro contenente aree di necrosi, cisti ed emorragie. La localizzazione più comune

è la sostanza bianca degli emisferi cerebrali, ma può colpire tronco cerebrale, cervelletto,

midollo spinale. I pazienti manifestano deficit neurologici focali subacuti e progressivi ed

alterazione della personalità. Se non è possibile la chirurgia, si interviene con brachiterapia,

radioterapia iperfrazionata, chemioterapia.

ASTROCITOMA Negli adulti si localizza nella sostanza bianca sottocorticale, nei bambini

a livello del nervo ottico, del cervelletto, del tronco cerebrale. E’ un tumore avascolare, a

crescita lenta, che può progredire verso la trasformazione maligna, indicata dalla comparsa di

aree necrotiche. I pazienti manifestano deficit di campo visivo fino alla cecità (glioma del

nervo ottico), disfunzioni endocrine da compressione ipotalamica, progressiva

incoordinazione motoria ed atassia, crisi comiziali. E’ indicato ricorrere alla terapia radiante

alla progressione dei sintomi e segni o qualora la TC o la RM evidenzino un aumento delle

dimensioni.

OLIGODENDROGLIOMA Si tratta di un tumore raro, in forma sia benigna che maligna,

che colpisce nel terzo o quarto decennio di vita. Microscopicamente è formato da grosse

cellule rotonde dette a “uovo fritto”. La TC mostra la presenza di depositi di calcio.

Generalmente è localizzato a livello dei lobi frontali o nei ventricoli. Si interviene con radio-

chemioterapia.

33
MENINGIOMA Si tratta di un tumore spesso asintomatico, che colpisce più frequentemente

il sesso femminile tra il quinto o sesto decennio. Può svilupparsi sia a livello del cranio (falce

e solco laterale, solco olfattorio, tubercolo sellare) sia nel canale vertebrale. La neoplasia

deriva da cellule della pia-aracnoide e l’eziologia sembra correlata alla perdita di un gene

oncosoppressore nel cromosoma 22. Microscopicamente si distinguono il tipo sinciziale, di

transizione, fibroblastico, psammomatoso, microcistico, angioblastico. Il paziente manifesta

segni neurologici focali dovuti alla compressione dei nervi cranici, turbe dell’udito, crisi

comiziali, se il tumore raggiunge grosse dimensioni si può arrivare a paraparesi spastica ed

incontinenza sfinterica. Quando possibile si effettua l’escissione con tecnica di

microneurochirurgia.

PAPILLOMA DEL PLESSO COROIDEO Si tratta di un tumore raro che si localizza nei

bambini a livello dei ventricoli laterali, negli adulti a livello del quarto ventricolo. E’ di solito

di natura benigna e raramente va incontro a trasformazione maligna. L’intervento chirurgico

ha generalmente elevato successo.

LIPOMA Si localizza di solito nel corpo calloso, ma può sorgere sia nel parenchima

cerebrale sia nel midollo spinale. L’ipotesi più accreditata è che questa neoplasia abbia

origine da alterazioni dello sviluppo fetale ed embrionario. Si interviene con la resezione

chirurgica.

TUMORI DERMOIDI (COLESTEATOMI) ED EPIDERMOIDI Derivano

dall’inclusione di tessuto ectodermico subito prima o al momento della chiusura del solco

neurale durante lo sviluppo embrionale. Sono a lenta crescita e provocano sintomi da

compressione. Si interviene con l’escissione chirurgica.

34
LINFOMI PRIMITIVI DEL SNC Insorgono nei soggetti con deficit immunitari misti

umorali e cellulari (anomalie selettive delle Ig, AIDS, immunosoppressione terapeutica). Si

sviluppano a livello della sostanza bianca sottocorticale, della parete ventricolare o dello

spazio subaracnoideo. Il paziente manifesta deficit focali, cambiamento della personalità,

crisi epilettiche. E’ indicato il trattamento con dosi massicce di chemioterapia e radioterapia.

TUMORI DEL TERZO VENTRICOLO E DELLA REGIONE PINEALE (adenomi

ipofisari, craniofaringiomi, tumori delle cellule germinali, pineoblastoma, pineocitoma,

cisti colloidi) Generalmente si manifestano con deficit dello sguardo coniugato ed assenza

del riflesso fotomotore, anomalie neuroendocrine, cefalea da idrocefalo, fino al quadro

clinico dell’ernia centrale (alterazioni dello stato di coscienza e respiro di Cheyne-Stokes).

TUMORI DELLA FOSSA POSTERIORE (Schwannoma acustico, emangioblastoma,

ependimoma) I tumori a rapido accrescimento possono essere causa di idrocefalo ostruttivo e

provocare vomito, letargia, cefalea, dolori nucali e occipitali e papilledema. Gli altri segni e

sintomi neurologici dipendono strettamente dalla localizzazione della neoplasia: perdita

dell’udito unilaterale, debolezza, dolore o intorpidimento della faccia (angolo

pontocerebellare); atassia della marcia e deficit motori unilaterali (cervelletto); diplopia

progressiva, deficit dei nervi cranici, alterazione dei riflessi (tronco cerebrale).

TUMORI PRIMITIVI NEUROECTODERMICI (medulloblastoma, neuroblastoma) Si

tratta di neoplasie a diverse varietà istologiche aggregate: medulloblasti, astrociti,

oligodendrociti, ependima, cellule gangliari, cellule muscolari. In particolare il

medulloblastoma si localizza nei bambini a livello del verme cerebellare, negli adulti negli

35
emisferi cerebellari, manifestandosi con cefalea occipitale, vomito, atassia del tronco,

idrocefalo. Il neuroblastoma si manifesta con opsoclono (occhi “danzanti”).

TUMORI DELLA BASE CRANICA I tumori che si localizzano nella base cranica danno

luogo tipicamente a dolori della parte inferiore del volto, dell’orecchio e della nuca, con

deficit da interessamento di uno o più nervi cranici. In particolare i cordomi (nel 60% dei

casi a livello del clivus), derivanti da residui della notocorda, sono molto invasivi,

comprimono progressivamente i nervi cranici fino ad arrivare a volte al rinofaringe.

TUMORI SPINALI I tumori midollari vengono distinti in intramidollari, intradurali

(extramidollari) ed extradurali. Essi derivano dagli stessi tipi di cellule dei corrispondenti

tumori intracranici. La sede più frequente è il segmento toracico, presumibilmente per la

maggiore lunghezza. Queste neoplasie esercitano un’azione espansiva, con compressione

diretta del midollo spinale o delle radici nervose oppure con la conseguente alterazione

dell’apporto ematico. A seconda della velocità di accrescimento la comparsa dei sintomi

motori o sensitivi sarà più o meno precoce: inizialmente si osservano dolori focali alla

schiena e parestesie, poi progressivamente perdita di sensibilità, paresi, disfunzione

minzionale e fecale.

36
PATOLOGIE INFETTIVE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

MENINGITE BATTERICA ACUTA La meningite batterica rappresenta la risposta

infiammatoria ad un’infezione batterica della pia madre, dell’aracnoide, del liquor presente

nello spazio subaracnoideo. E’ una malattia frequente in tutto il mondo, soprattutto nei paesi

industrializzati. Gli agenti eziologici variano a seconda dell’età: Escherichia coli, bacilli

enterici, Pseudomonas, Listeria monocytogenes, Streptococchi di gruppo B nel periodo

neonatale; Haemophilus influenzae e Neisseria meningitidis nei primi anni di vita;

meningococchi e pneumococchi negli adulti. Lo sviluppo della malattia è in genere legato

alla presenza di un microorganismo virulento a livello del nasofaringe, con successiva

invasione sistemica, oppure può associarsi a focolai infettivi a distanza (polmonite, otite

media, mastoidite, sinusite, endocardite) o ancora può essere conseguente a trauma cranico,

interventi neurochirurgici, condizioni di immunodepressione. La patogenesi della meningite

consiste in una serie di tappe successive, a partire dalla colonizzazione nasofaringea,

invasione delle cellule dell’epitelio nasofaringeo, invasione del circolo ematico, batteriemia

con sopravvivenza intravascolare, superamento della barriera ematoencefalica e

interessamento del liquor, fino alla sopravvivenza e replicazione del batterio nello spazio

subaracnoideo. Segue un’infiammazione dello spazio subaracnoideo che si manifesta con

edema cerebrale, aumento delle resistenze al deflusso del liquor, vasculite, aumento della

pressione intracranica, diminuzione del flusso sanguigno cerebrale con ipossia corticale ed

acidosi liquorale.

I classici sintomi di esordio della meningite batterica sono cefalea, nausea, vomito,

sudorazione profusa, debolezza, mialgie, fotofobia, febbre e rigidità nucale (segni di Kernig e

37
Brudzinski). L’interessamento cerebrale si manifesta in un primo momento con confusione

mentale e delirium, fino ad arrivare ad intorpidimento e coma. Possono essere presenti deficit

neurologici focali da interessamento dei nervi cranici (soprattutto V, VI e VII paio). Rigidità

nucale e febbre sono spesso assenti nei neonati, che manifestano invece, apatia, pianto flebile,

irritabilità, inappetenza. La diagnosi si basa sull’esame del liquor (puntura lombare), che

presenta reperti caratteristici: aumento della pressione liquorale, pleiocitosi neutrofila,

iperproteinemia, ipoglicorrachia. TC e RM possono evidenziare complicanze o fonti di

infezione parameningea. Se si sospetta una meningite batterica, si interviene prontamente con

una terapia antibiotica empirica, tenendo conto dell’età del paziente e dell’agente eziologico

più probabile (nei neonati ampicillina e cefalosporine di terza generazione oppure un

aminoglicoside; nei bambini cefalosporine di terza generazione; negli adulti penicillina G o

ampicillina). Quando il microorganismo infettante è stato isolato in coltura, la terapia

antibiotica può essere indirizzata nella maniera migliore dai risultati dell’antibiogramma.

ASCESSO CEREBRALE L’ascesso cerebrale è un processo suppurativo focale del

parenchima cerebrale che riconosce come agenti eziologici i batteri anaerobi. Condizioni

predisponenti sono la presenza di un focolaio infettivo contiguo (otite, sinusite, infezione

dentaria), la diffusione per via ematogena da focolai infettivi distanti (spesso patologie

polmonari croniche piogeniche), un trauma cranico o interventi chirurgici. Le localizzazioni

più frequenti sono i lobi frontale, frontoparietale, parietale, cerebellare, occipitale. La lesione

ha origine con la cosiddetta cerebrite precoce (zona necrotica circondata da reazione

infiammatoria perivascolare ed edema massivo), seguita dalla cerebrite tardiva (estensione

del processo necrotico con comparsa di fibroblasti e neoformazioni vascolari), dalla fase

38
precoce di formazione della capsula (l’ascesso è circoscritto da uno strato definito di

fibroblasti), ed infine dalla fase tardiva di formazione della capsula (ispessimento della

capsula con presenza di abbondante collagene reattivo). Da un punto di vista clinico, solo una

minoranza dei pazienti presenta la triade sintomatologica classica: febbre, cefalea e segni

neurologici focali. E’ possibile osservare nausea, vomito, crisi epilettiche, rigidità nucale.

Fondamentali per la diagnosi sono la TC, in grado di localizzare esattamente la lesione e dare

importanti informazioni sulla estensione dell’edema e sulla presenza di idrocefalo, e la RM,

più sensibile nella fase della cerebrite. Il trattamento ottimale richiede sia la

somministrazione di antibiotici (penicillina e metronidazolo) sia l’esecuzione di un intervento

chirurgico (drenaggio o totale rimozione).

MENINGITE VIRALE Gli agenti eziologici più comunemente responsabili di meningite

virale sono gli enterovirus, gli arbovirus, il virus HIV, l’Herpes simplex tipo 2. La sindrome

clinica si manifesta con febbre, malessere, mialgie, anoressia, a volte nausea e vomito,

cefalea, segni di irritazione meningea, dolore addominale o diarrea. La cefalea è tipicamente

frontale o retro-orbitale, spesso accompagnata da fotofobia e dolore suscitato dai movimenti

oculari. Per la diagnosi è fondamentale l’esame del liquor, che tipicamente presenta

pleiocitosi linfocitaria, leggero aumento della concentrazione proteica, glucosio normale. Il

trattamento terapeutico è sintomatico e la prognosi eccellente nella maggior parte dei casi.

ENCEFALITE VIRALE Nell’encefalite il processo infettivo e la risposta infiammatoria si

estendono alle meningi ed al parenchima cerebrale. I virus più frequentemente responsabili di

encefalite sono l’arbovirus, l’enterovirus, l’Herpes simplex tipo 1, il virus della parotite. La

sindrome clinica si manifesta con febbre e segni di coinvolgimento meningeo, ai quali si

39
aggiungono una compromissione del livello di coscienza e sintomi neurologici focali (afasia,

atassia, emiparesi, deficit dei nervi cranici) e diffusi. Si può passare da una lieve sonnolenza

ad un progressivo intorpidimento, fino ad arrivare al coma profondo. Possono inoltre

verificarsi alterazioni dello stato mentale (agitazione psicomotoria, allucinazioni, alterazioni

della personalità) e nella metà dei casi crisi convulsive focali o generalizzate. La

compromissione dell’asse ipotalamo-ipofisario può essere responsabile di un’alterata

regolazione della temperatura corporea, diabete insipido, sindrome da inappropriata

secrezione di ormone antidiuretico. L’esame del liquor presenta caratteristiche indistinguibili

da quelle della meningite virale: pleiocitosi linfocitaria, livello proteico lievemente

aumentato, normale glicorrachia. Per il trattamento terapeutico va instaurata al più presto una

specifica terapia antivirale (acyclovir).

MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE DELL’HERPES ZOSTER L’Herpes zoster si

manifesta in pazienti precedentemente infettati dal virus della varicella, che rimane latente

nei gangli sensitivi. La riattivazione si manifesta con la replicazione virale nei gangli sensitivi

e la diffusione attraverso i nervi fino alla cute, dove si verifica un’eruzione vescicolare

dermatomerica. I pazienti presentano ipoalgesia ed ipoestesia a livello del dermatomero

coinvolto, ed in alcuni casi un’ipostenia motoria ed atrofia (paresi da zoster) nei miomeri

corrispondenti, oppure una nevralgia posterpetica, caratterizzata da persistenza del dolore per

più di 6 settimane dopo la scomparsa dell’eruzione cutanea.

MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE DELLA INFEZIONE DA HIV Tali

manifestazioni neurologiche differiscono nei diversi stadi della malattia. L’infezione

primitiva può associarsi ad una meningite asettica oppure ad un’encefalopatia acuta, o ancora

40
possono svilupparsi una sindrome di Guillain-Barrè, una polineuropatia demielinizzante

cronica infiammatoria (di solito una neuropatia sensitiva con dolore simmetrico distale), una

miopatia. In fase avanzata si verifica un aumento della incidenza di disturbi neuropsicologici,

con probabile sviluppo di encefalopatia e demenza da HIV, chiamata dementia complex. La

dementia complex si manifesta con segni di compromissione cognitiva (difficoltà di

concentrazione, perdita di memoria, apatia, depressione, alterazioni della personalità), segni e

sintomi di disfunzione motoria (paresi di un arto inferiore, atassia, tremore, difficoltà a

mantenere l’equilibrio) e segni piramidali (iperriflessia, estensione plantare). Non è

disponibile alcuna terapia risolutiva, anche se aziatropina e didanosina possono dar luogo ad

un miglioramento sintomatologico in alcuni pazienti.

LEUCOENCEFALOPATIA MULTIFOCALE PROGRESSIVA Questo processo

patologico progressivo è caratterizzato da vaste aree multifocali di demielinizzazione diffusi

a tutto il SNC, con alterazioni citologiche caratteristiche a carico degli astrociti e degli

oligodendrociti. I pazienti presentano deficit visivi (soprattutto emianopsia omonima),

disturbi mentali (demenza, confusione mentale, alterazione della personalità), ipostenia. Per

la diagnosi sono fondamentali TC e RM.

PANENCEFALITE SCLEROSANTE SUBACUTA Le lesioni caratteristiche sono

multifocali e colpiscono la sostanza bianca; sono presenti aree di atrofia corticale ed

ingrandimento dei ventricoli ex vacuo. La maggior parte dei pazienti affetti da questo

processo morboso a lenta progressione riferisce una storia di morbillo in età precoce.

L’esordio è solitamente tra i 5 ed i 15 anni, con alterazioni della personalità e scarso

rendimento scolastico. Seguono decadimento intellettivo, atassia, disturbi visivi, crisi

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convulsive focali e generalizzate, fino alla tetraparesi, spasticità, iperreflessia, risposta

plantare in estensione. Il liquor si presenta acellulare, con concentrazione proteica normale o

lievemente aumentata ed un livello molto elevato di gamma globuline.

MALATTIE DA PRIONI I prioni sono particelle infettive proteinacee (proteinaceous

infections particle) prive di acido nucleico che vengono codificate da un singolo gene

dell’ospite (gene PRNP) presente sul braccio corto del cromosoma 20. Sembra che all’origine

di queste malattie si verifichi una modificazione spontanea della sequenza amminoacidica dei

prioni cerebrali, con conseguente formazione di una isoforma patologica che si accumula

causando la degenerazione neuronale. KURU In passato questa malattia era endemica presso

le tribù di lingua Fore della Papua Nuova Guinea, probabilmente per l’ingestione di materiale

cerebrale infetto durante riti di cannibalismo. Le caratteristiche principali sono una grave

atassia cerebellare associata a movimenti involontari di coreoatetosi, mioclonie e tremori, con

progressivo decadimento mentale. MALATTIA DI CREUTZFELDT-JAKOB Esistono

regioni (Libia, Nordafrica, Slovacchia) ad alta incidenza di questa malattia. Sembra che la

diffusione interumana si possa verificare dopo trapianto di cornea o innesti durali con tessuti

infetti o per inadeguata sterilizzazione di strumenti neurochirurgici. Clinicamente si

manifesta come una demenza rapidamente progressiva associata ad importanti mioclonie,

tremori, coreoatetosi. I pazienti sviluppano col passare del tempo una sindrome piramidale

parkinsoniana con ipocinesia e rigidità. TC e RM evidenziano atrofia corticale generalizzata.

E’ una malattia sempre fatale e non è disponibile alcuna terapia specifica.

42
LA SCLEROSI MULTIPLA

La sclerosi multipla è una malattia caratterizzata da infiammazione cronica,

demielinizzazione e gliosi. Colpisce tipicamente la popolazione giovane adulta ed adulta (con

maggiore frequenza il sesso femminile), con manifestazioni variabili da una forma benigna

fino ad una varietà maligna invalidante, con lesioni disseminate e progressive, con

complicanze che possono colpire diversi distretti corporei. Nella eziopatogenesi di questa

malattia si ipotizzano fattori genetici (maggiore frequenza all’interno delle stesse famiglie,

probabilmente legata al complesso MHC sul cromosoma 6), autoimmunitari (possibili

reazioni dei linfociti T contro proteine mieliniche, presenza di elevati livelli di Ig nel SNC) e

virali (nessun virus specifico è stato identificato, ma dati epidemiologici suggeriscono un

ruolo importante della esposizione ambientale).

Le lesioni caratteristiche della sclerosi multipla sono le placche, aree sclerotiche grigie o

rosee ben demarcate, di dimensioni variabili tra 1-2 mm fino a parecchi cm, visibili

macroscopicamente e facilmente distinguibili dalla sostanza bianca circostante. In acuto si

verifica la formazione di un manicotto perivenulare, infiltrazione tessutale di cellule

mononucleate e demielinizzazione: gli infiltrati infiammatori sembrano essere responsabili

della perdita della guaina mielinica che circonda i cilindri assonali. Le aree demielinizzate

vanno incontro a proliferazione astrocitaria (gliosi in senso cicatrizzante). E’ tipica della

malattia la demielinizzazione selettiva con risparmio dei cilindrassi. Benchè occasionalmente

sono possibili tentativi di rimielinizzazione parziale, questa è assente nella maggior parte

delle lesioni. Esiste inoltre una scarsa correlazione tra numero e dimensioni delle placche ed

entità dei sintomi clinici.

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Generalmente i sintomi di esordio sono rappresentati da debolezza di uno o più arti (che può

accompagnarsi ad ipertono muscolare, iperriflessia, risposta plantare in estensione ed altri

segni che indicano una lesione del tratto piramidale), annebbiamento della vista da neurite

ottica (spesso fino a perdita del visus), disturbi della sensibilità (dolore, parestesie o

ipoestesie che tipicamente hanno origine a livello dell’alluce e risalgono nel giro di qualche

ora o giorno lungo la gamba), diplopia (da oftalmoplegia internucleare o da paralisi

dell’abducente), atassia della marcia e degli arti (da coinvolgimento cerebellare).

La interruzione della innervazione motoria del volto può determinare paralisi facciale,

contrazioni cloniche della muscolatura facciale o, più raramente, emispasmo facciale.

Nella maggior parte dei pazienti si manifestano inoltre vertigini (con instabilità della marcia e

spesso con vomito), tenesmo vescicale ed incontinenza urinaria, deficit cognitivo (perdita

della memoria, alterazioni della capacità di giudizio, episodi di riso o pianto incontrollabili),

depressione dell’umore.

A seconda del decorso della malattia col passare del tempo si distinguono una forma

recidivante, con poussée di disfunzioni neurologiche e successivo recupero completo,

parziale o nullo; una forma cronica progressiva, con un peggioramento graduale e

progressivo senza periodi di remissione; una forma inattiva (di solito successiva alla forma

recidivante), con deficit neurologici costanti di diversa gravità. Una prognosi favorevole

prevede generalmente un esordio precoce, un decorso recidivante ed una invalidità residua

lieve dopo circa 5 anni di malattia, una prognosi sfavorevole prevede un esordio in età

avanzata ed un decorso progressivo.

44
Nella valutazione diagnostica della sclerosi multipla rivestono particolare importanza l’esame

del liquor (pleiocitosi cellulare mononucleare, aumento dei livelli totali di Ig, presenza di

bande oligoclonali di Ig, presenza di metaboliti derivati dalla distruzione della mielina), i

potenziali evocati (conduzione rallentata o anomala nelle vie visive, uditive, somatosensitive

o motorie), la TC e la RM. La terapia di elezione è rappresentata da farmaci

immunosoppressori, in particolare ACTH e glucocorticoidi, secondo schemi di dosaggio

predefiniti. Sono state proposte varianti terapeutiche, ma la loro efficacia non è ancora del

tutto dimostrata (ad esempio interferone β). In aggiunta si ricorre alla terapia sintomatica:

baclofen o diazepam per gli spasmi muscolari e le clonie, carbamazepina per le nevralgie, le

disestesie dolorose, anticolinergici per la iperriflessia vescicale.

45
LE DEMENZE CEREBRALI E LA MALATTIA DI ALZHEIMER

Le cosiddette malattie degenerative sono un gruppo di processi patologici caratterizzati da

progressiva degenerazione e morte dei neuroni, di origine ancora sconosciuta. Tipicamente

queste malattie esordiscono in maniera insidiosa ed hanno un decorso lento e graduale, con

segni e sintomi neurologici solitamente a distribuzione bilaterale e simmetrica (anche se

l’esordio può essere asimmetrico). L’identificazione di tali patologie dipende dall’esclusione

di possibili eziologie infettive, tossiche e dismetaboliche.

Il morbo di Alzheimer è fra tutte le malattie degenerative la più frequente e la più grave,

rappresentando la più comune causa di demenza nell’anziano. Il fattore predisponente più

importante è l’età avanzata (frequenza superiore al 47% nei soggetti che hanno superato gli

85 anni); esistono forme familiari a trasmissione autosomica dominante (presenza di linkage

sui cromosomi 21 e 19); la sindrome di Down (trisomia 21) rappresenta una delle poche

eccezioni ad insorgenza precoce (dopo i 40 aa.).

Da un punto di vista anatomopatologico si osserva una estesa atrofia delle circonvoluzioni

(soprattutto nelle regioni frontale, parietale e temporale mediale), con morte e scomparsa dei

neuroni della corteccia cerebrale ed allargamento del sistema ventricolare. Sono evidenziabili

due lesioni microscopiche caratteristiche della malattia: i grovigli neurofibrillari, accumuli

all’interno del citoplasma neuronale di materiale filamentoso in forma di anelli, spirali o

masserelle, abbondanti soprattutto nell’ippocampo e nelle parti adiacenti del lobo temporale

(strutture di importanza fondamentale per le funzioni mnesiche) e le placche neuritiche,

processi neuronali addensati e raggruppati di tipo sia assonale che dendritico in forma di

anelli irregolari che circondano un deposito sferico di fibrille amiloidi.

46
L’inizio della sintomatologia è alquanto insidioso, con lacune nella memoria a breve termine

ed alterazioni di alcuni aspetti della attività intellettiva. In questo periodo possono essere

presenti anche depressione, ansia, episodiche ed imprevedibili bizzarrie del comportamento,

visioni, allucinazioni. A volte possono essere presenti afasia, aprassia, alterata percezione

dello spazio. Il paziente perde progressivamente il contatto con l’esterno, arriva a non

riconoscere più i familiari, fino a diventare praticamente decorticato, con la perdita di

qualsiasi capacità di percezione, pensiero, espressione o movimento. Alla fine il paziente

arriva al decesso per malattie intercorrenti, in uno stato di totale mancanza di autosufficienza.

L’EEG può mostrare rallentamento diffuso nelle fasi avanzate, TC e RM mostrano

ingrandimento del sistema ventricolare e degli spazi subaracnoidei, ma non hanno valore

decisivo per porre diagnosi, poiché questi risultati si sovrappongono a quelli di soggetti

normali in età avanzata. Un test di screening molto utile è il mini-mental status (positivo per

un punteggio inferiore a 24 su 30).

L’evidenza del fatto che nel morbo di Alzheimer è presente una compromissione della

innervazione colinergica ha suggerito il tentativo di correggere farmacologicamente questa

carenza. Tra i tentativi più recenti è bene ricordare la tetraidroaminoacridina, inibitore

dell’acetilcolinesterasi, che sembra produrre un certo miglioramento nei test cognitivi, ma ha

una importante tossicità epatica.

MORBO DI PICK (ATROFIA LOBARE) Questa malattia degenerativa è caratterizzata da

una forma di atrofia cerebrale delimitata (parti anteriori dei lobi frontali e temporali), con

maggiore prevalenza nel sesso femminile e trasmissione ereditaria (autosomica dominante).

Modificazioni atrofiche colpiscono anche strutture sottocorticali: nucleo caudato, putamen,

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talamo, sostanza nera, fibre discendenti frontopontine. Le cellule nervose presentano depositi

fibrillari endocitoplasmatici, con masse di fibrille rettilinee diverse morfologicamente ma

molto simili da un punto di vista biochimico ed antigenico a quelle dell’Alzheimer. La

malattia si manifesta con una precoce compromissione delle funzioni intellettive,

modificazioni del comportamento, alterazione della capacità di giudizio, disturbi del

linguaggio e, in fase avanzata, perdita della memoria di ritenzione, compromissione di tutte le

funzioni del linguaggio, presenza dei riflessi di prensione forzata e di suzione.

MORBO DI HUNTINGTON Questa malattia esordisce all’inizio dell’età adulta (35-40

anni) e viene trasmessa con ereditarietà autosomica dominante (gene individuato sul

cromosoma 4). E’ caratterizzata da una combinazione di movimenti coreoatetosici con una

demenza progressiva. Da un punto di vista anatomopatologico è presente atrofia a carico del

nucleo caudato e di alcune strutture dei gangli della base (putamen e pallido). Il grado di

atrofia è direttamente proporzionale alla entità ed alla durata della patologia. L’atrofia è

dovuta a perdita neuronale, ma non si evidenziano alterazioni citopatologiche caratteristiche.

I movimenti involontari consistono in disartria, irregolarità respiratorie, smorfie bizzarre,

movimenti irregolari ed aritmici degli arti. La demenza può apparire prima o dopo rispetto

alla corea ed ha di solito un andamento parallelo a quello dei disturbi motori. I pazienti

possono essere colpiti da depressione, disordini emotivi e disturbi del comportamento. Il

decorso è lento e progressivo e l’exitus si verifica in media 15-20 anni dopo l’esordio.

Frequenti i casi di suicidio.

ATROFIA MULTISISTEMICA E’ una malattia degenerativa che colpisce in età avanzata,

a trasmissione genetica, caratterizzata dalla compromissione multipla di diversi sistemi

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neuronali. La demenza progressiva si combina con vari gradi di atassia, disartria, discinesia,

alterazioni del sistema nervoso autonomo.

MALATTIA DA CORPI DI LEWY DIFFUSI Si tratta di una patologia rara,

progressivamente ingravescente, che si manifesta con demenza o psicosi, agitazione

psicomotoria, disturbi affettivi, allucinazioni. Sono inoltre presenti mioclono, quadriparesi,

tremori. I corpi di Lewy sono diffusi nel tronco cerebrale, nell’encefalo, nel nucleo

ipotalamico, nella neocorteccia.

MALATTIA DI HALLERVORDEN-SPATZ E’ una rara patologia che si trasmette

secondo una ereditarietà di tipo autosomico recessivo. Si manifesta con demenza progressiva,

movimenti involontari di tipo coreoatetosico, alterazioni della postura e del tono muscolare.

Da un punto di vista anatomopatologico sono presenti alterazioni caratteristiche dei gangli

della base che suggeriscono un disturbo localizzato di tipo metabolico.

MIOCLONOEPILESSIA PROGRESSIVA FAMILIARE Esistono forme di malattie

ereditarie degenerative, come la Malattia di Lafora, la Malattia di Unverricht-Lundborg ed

altre varietà, tutte caratterizzate da trasmissione ereditaria di tipo autosomico recessivo,

fenomeni mioclonici, crisi convulsive e demenza più o meno grave.

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IL MORBO DI PARKINSON

Il morbo di Parkinson è una malattia a decorso prolungato che colpisce tipicamente l’età

media ed avanzata, a presentazione per lo più sporadica, anche se sono stati osservati casi

familiari (1-2%). Da un punto di vista strettamente anatomopatologico si osserva, a livello

della sostanza nera e del locus coeruleus, un impoverimento di grado variabile dei neuroni a

contenuto melaninico accompagnato da gliosi reattiva e la presenza di inclusioni

citoplasmatiche eosinofile (corpi di Lewy). Molto probabilmente il morbo di Parkinson

rappresenta una patologia confinata ad un unico sistema neuronale, il sistema dopaminergico

nigrostriatale, come sottolineato dalla diminuzione di dopamina esclusivamente a livello del

nucleo caudato e del putamen. L’eziologia è ancora sconosciuta: si sospetta che all’origine

della patologia intervengano meccanismi responsabili di deficit mitocondriale ed eccessiva

formazione di radicali liberi.

L’aspetto tipico del paziente nella forma completa del Parkinson è la postura inclinata, la

rigidità e lentezza dei movimenti, la facies ipomimica, il tremore ritmico degli arti,

tipicamente involontario. L’esordio del quadro clinico può essere asimmetrico, ma tende con

il tempo ad interessare entrambi gli arti. Il tremore è di solito accentuato a livello delle mani,

ma può interessare le gambe, il tronco, la lingua, i muscoli del collo, le palpebre: inizialmente

il paziente è in grado di controllarlo con il rilassamento o con il movimento, ma tende a

divenire sempre più accentuato. A causa delle anomalie posturali, il paziente a poco a poco

assume una caratteristica deambulazione festinante, a piccoli passi e trascinando i piedi.

Nonostante l’indebolimento ed il rallentamento dei movimenti, non si verifica una vera e

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propria paralisi, i riflessi osteotendinei ed il riflesso plantare non sono alterati, non sono

presenti disturbi della sensibilità, ma la rigidità ed il tremore sono destinati ad un progressivo

peggioramento, fino ad inabilitare completamente il paziente. La gravità dei sintomi sembra

essere notevolmente influenzata da fattori di natura emotiva e, solitamente, nelle fasi

avanzate compaiono disturbi di tipo demenziale.

Nel trattamento del paziente assumono un ruolo molto importante il supporto emotivo

nell’affrontare lo stress causato dalla malattia, accanto ad una indispensabile pianificazione di

programmi di fisioterapia che garantiscano il mantenimento dell’efficienza neuromuscolare.

La terapia farmacologica si basa sull’uso della levodopa, precursore della dopamina, in

combinazione con il carbidopa, un inibitore della dopa decarbossilasi che impedisce la

distruzione della levodopa nel circolo ematico e nei tessuti periferici ma non oltrepassa la

barriera ematoencefalica. Questa combinazione permette il raggiungimento di effetti ottimali

con una dose di levodopa inferiore di quella che sarebbe altrimenti necessaria, riducendo così

fastidiosi effetti collaterali, come la nausea ed il vomito. La terapia con levodopa può essere

associata ad agonisti recettoriali dopaminergici (bromocriptina, pergolide) oppure ad

anticolinergici (triexifenidile, benzotropina, prociclidina) o amantidina.

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LE ATASSIE EREDITARIE

Le atassie sono condizioni patologiche caratterizzate dalla progressiva perdita della capacità

di mantenere la stazione eretta e di deambulare, insieme ad incoordinazione degli arti.

Possono raramente verificarsi casi sporadici di atassia, ma di regola tali patologie sono a

trasmissione ereditaria, e vengono infatti denominate eredoatassie.

DEGENERAZIONE CORTICALE CEREBELLARE Questa patologia è caratterizzata

dalla perdita delle cellule di Pukinje a livello della corteccia cerebellare (soprattutto a livello

del verme superiore e nelle parti di corteccia cerebellare adiacenti). L’esordio della malattia si

verifica solitamente nella tarda età adulta e la trasmissione è di tipo autosomico dominante.

L’atrofia della corteccia cerebellare può essere agevolmente riconosciuta dalla TC e dalla

RM. Le manifestazioni cliniche principali sono mancanza di coordinazione soprattutto agli

arti inferiori, deambulazione ondeggiante e barcollante (atassia cerebellare), disturbi della

stazione eretta. Se l'atrofia è particolarmente estesa si aggiungono atassia degli arti superiori,

disturbi dell’articolazione e del ritmo del linguaggio, nistagmo. Tardivamente tende a

comparire una lieve demenza.

ATROFIA OLIVOPONTOCEREBELLARE Con questo termine si è soliti indicare un

gruppo di patologie atassiche caratterizzate dalla combinazione di degenerazione cerebellare

corticale, atrofia secondaria del nucleo olivare inferiore e degenerazione dei neuroni dei

nuclei pontini e delle fibre che decorrono nella base del ponte e nei peduncoli cerebellari

medi. La trasmissione segue una ereditarietà di tipo autosomico dominante. I quadri clinici

sono estremamente variabili, da casi di atassia cerebellare pura fino a commistioni di

parkinsonismo, spasticità, coreoatetosi, degenerazione retinica, mielopatia e neuropatia

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periferica, e spesso con la sovrapposizione di una demenza a carattere progressivo.

DEGENERAZIONE SPINOCEREBELLARE (ATASSIA DI FRIEDREICH) Con

questo termine si è soliti indicare un gruppo di patologie atassiche caratterizzate dalla

degenerazione dei sistemi di fibre lunghe ascendenti e discendenti nel midollo spinale,

comprese le vie spinocerebellari, con contemporanea degenerazione degli assoni periferici e

delle guaine mieliniche (neuronopatia periferica cronica). La forma classica di atassia

ereditaria spinocerebellare è la malattia di Friedreich, solitamente ereditata come carattere

autosomico recessivo (associazione con braccio lungo del cromosoma 9), anche se in alcune

famiglie è stata osservata una ereditarietà di tipo autosomico dominante. Tutte le

degenerazioni spinocerebellari presentano alterazioni neuropatologiche e manifestazioni

cliniche in larga parte sovrapponibili alla atrofia olivopontocerebellare, tuttavia nel primo

caso si verifica un relativo risparmio della funzione del tronco cerebrale. L’esordio della

malattia di Friedreich è nella infanzia avanzata, con progressivi disturbi della stazione eretta

ed alterazioni nella deambulazione. A poco a poco compaiono tremore di tipo cerebellare alle

mani ed alle braccia, disartria, ipostenia, nistagmo, deformità scheletriche (cifoscoliosi, piede

cavo), contratture muscolari diffuse. Tipicamente si evidenzia assenza di riflessi

osteotendinei e segno di Babinski positivo. Si aggiungono alterazioni della sensibilità

vibratoria, tattile e termodolorifica delle estremità, mentre le facoltà intellettive sono in

genere conservate. E’ rara la sopravvivenza oltre l’inizio dell’età adulta, essendo spesso la

morte causata dalla cardiopatia associata.

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LE MALATTIE DEL MOTONEURONE E LA SCLEROSI LATERALE

AMIOTROFICA

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) rappresenta la forma più comune di malattia

progressiva dei motoneuroni. In generale le malattie degenerative dei motoneuroni possono

colpire il secondo motoneurone (cellula delle corna anteriori del midollo spinale oppure il suo

omologo nel tronco encefalico) o il primo motoneurone (il quale origina dal quinto strato

della corteccia motoria, discende nella via corticospinale e corticobulbare fino ad entrare in

sinapsi con il secondo motoneurone, in maniera diretta oppure indiretta per mezzo degli

interneuroni). Nella SLA tipica si verifica la perdita di entrambi i motoneuroni, almeno nelle

fasi avanzate. Da un punto di vista anatomopatologico le cellule interessate vanno incontro a

raggrinzimento, accumulo eccessivo di pigmento lipidico ed infine scomparsa. Si osserva

spesso un ingrandimento focale sferoidale degli assoni motori a livello prossimale, dovuto

all’accumulo di neurofilamenti. La morte cellulare del secondo motoneurone nel tronco

cefalico e nel midollo spinale conduce inevitabilmente alla denervazione e conseguente

atrofia delle fibre muscolari corrispondenti (amiotrofia); la morte cellulare del primo

motoneurone corticale conduce inoltre alla scomparsa dell’assone e della guaina mielinica

nelle vie corticospinali e corticobulbari, con conseguente fenomeno di sclerosi del midollo

spinale (sclerosi laterale). La notevole selettività della morte neuronale implica il

coinvolgimento di specifiche componenti motorie, mentre vengono completamente

risparmiate le componenti sensitive, i sistemi che controllano la coordinazione dei movimenti

e le funzioni cognitive.

54
Da un punto di vista clinico al scomparsa del secondo motoneurone si manifesta con una

insidiosa ipostenia localizzata prevalentemente nella parte distale di un arto e destinata ad

evolvere rapidamente, che si accompagna a crampi mattutini, progressiva atrofia muscolare,

comparsa di fascicolazioni. Il coinvolgimento del primo motoneurone si manifesta con

iperattività dei riflessi osteotendinei, ipertonia spastica, rigidità muscolare, disartria, pianto o

riso involontari (affettività pseudobulbare). All'esordio qualsiasi gruppo muscolare può essere

coinvolto, ma poi sempre più muscoli vengono interessati con una distribuzione simmetrica.

La malattia è inesorabilmente progressiva e porta generalmente alla morte per paralisi

respiratoria.

Esiste una forma di SLA familiare (10% circa dei casi), ereditata come carattere autosomico

dominante e clinicamente indistinguibile dalla SLA sporadica.

MALATTIE DEL SECONDO MOTONEURONE

AMIOTROFIA SPINOBULBARE LEGATA AL CROMOSOMA X (MALATTIA DI

KENNEDY) Questa forma è associata a mancanza di sensibilità agli androgeni, che si

manifesta con ginecomastia e ridotta fertilità. Clinicamente, a differenza della SLA, mancano

i segni di iperreflessia o spasticità.

AMIOTROFIA SPINALE (AMS) Si tratta di un gruppo di alterazioni ereditarie trasmesse

come caratteri autosomico dominanti ad esordio precoce. Esistono una forma infantile (AMS

I), una forma cronica infantile (AMS II), una forma giovanile (AMS III).

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MALATTIE DEL PRIMO MOTONEURONE

SCLEROSI LATERALE PRIMARIA (SLP) Si tratta di una malattia molto rara, che si

manifesta nella tarda età con disartria e disfagia spastiche, seguite da una paresi spastica

progressiva degli arti.

PARAPLEGIA SPASTICA EREDITARIA (PSE) Si tratta di una malattia trasmessa con

ereditarietà di tipo autosomico recessiva, che si manifesta nella terza o quarta decade con

ipostenia spastica progressiva delle parti distali degli arti inferiori dovuta alla degenerazione

delle vie corticospinali. Il decorso è lento e progressivo.

56
LE AFASIE

Le afasie sono disturbi della parola e del linguaggio causati da lesioni a carico del sistema

nervoso centrale. Secondo una classificazione che prende in considerazione la gravità

dell’impedimento alla produzione ed al flusso della parola si distingue tra afasie non fluenti

(parole e frasi articolate lentamente ed in maniera scorretta), per lo più da lesioni del lobo

frontale dominante ed afasie fluenti (emissione rapida di parole ben articolate, con ritmo e

flusso normali, ma carenti di linguaggio significativo), generalmente da lesioni nel lobo

parietale o temporale.

Altre classificazioni sono basate invece sulle presunte basi fisiologiche o psicologiche,

oppure sulla base della localizzazione anatomica e delle manifestazioni cliniche.

AFASIA COMPLETA (GLOBALE) In questo tipo di afasia la lesione è localizzata nella

regione silviana di sinistra, con un esteso danno delle aree del linguaggio e scarse possibilità

di miglioramento. I pazienti riescono a pronunciare solo poche parole semplici e stereotipate,

non sono in grado di scrivere o leggere, comprendono soltanto pochi vocaboli pronunciati

dagli altri. Si associano emiplegia destra, emianestesia, emianopsia omonima. Tra le

principali cause di afasia globale si possono annoverare una imponente emorragia o una

estesa neoplasia cerebrale oppure un infarto da occlusione della arteria cerebrale media.

AFASIA DI BROCA (AFASIA MOTORIA MAGGIORE) L’afasia di Broca rappresenta

un quadro sindromico complesso caratterizzato da una grave compromissione del linguaggio

e della scrittura, che risultano estremamente semplificati (agrammatismo) ed una minore

compromissione nella comprensione del linguaggio parlato. E’ presente una estesa lesione

57
della corteccia e delle strutture sottocorticali della regione silviana anteriore e dell’insula,

compresa l’area di Broca (circonvoluzione frontale inferiore). In fase acuta il paziente è

muto, incapace di parlare o capire qualunque parola, poi, nel giro di settimane o anni, si ha un

miglioramento soprattutto della comprensione e della comunicazione scritta rispetto a quella

verbale. Quando comincia a verificarsi un certo miglioramento, il paziente pronuncia le

parole lentamente e con difficoltà (afasia non fluente), con notevole alterazione del ritmo del

linguaggio (prosodia). Tra le principali cause di afasia di Broca ricordiamo l’occlusione

embolica dei rami prossimali dell’arteria cerebrale media di sinistra, emorragie ipertensive

del putamen, ascessi o tumori del lobo frontale.

AFASIA MOTORIA MINORE Questo tipo di afasia deriva da lesioni focali circoscritte

all’opercolo silviano anteriore e superiore e all’insula, con effetti modesti sulle capacità di

linguaggio parlato o scritto e con notevoli probabilità di un recupero pressoché completo da

parte del paziente. Le cause più frequenti di afasia motoria minore sono l’infarto dell’area di

Broca (corteccia premotoria), l’infarto rolandico (corteccia sensitivo-motoria), l’infarto

parietale anteriore postcentrale: si tratta di sindromi causate da ictus, di solito da embolia in

una singola diramazione vascolare. La maggior parte di queste condizioni recede nell’arco di

settimane o mesi, ed il disturbo del linguaggio può associarsi a paresi facciale, linguale e

brachiale ed aprassia ideomotoria della faccia e degli arti non dominanti.

AFASIA DI WERNIKE (CENTRALE MAGGIORE O AFASIA SENSORIALE) Il

termine di afasia sensoriale viene utilizzato per indicare una serie di sindromi che originano

da lesioni delle strutture perisilviane posteriori o delle regioni temporali posteriori, parietali

ed occipitali irrorate dalla branca inferiore dell’arteria cerebrale media. L’interessamento del

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lobo temporale si traduce nella compromissione della comprensione della parola udita,

l’interessamento più esteso dei lobi parietale ed occipitale comporta il deficit della

comprensione del linguaggio letto. L’afasia di Wernicke è una afasia di tipo fluente, inoltre

alla compromissione della comunicazione verbale e scritta si associa la compromissione della

comprensione uditiva e visiva: da qui il termine di afasia centrale. Nelle forme più gravi il

paziente emette una serie di sillabe incomprensibili o scrive segni illegibili e non è

assolutamente in grado di comunicare; nelle forme più lievi si manifestano alcuni errori di

comprensione e scelta dei vocaboli ed il paziente può apparire normale in brevi

conversazioni.

59
PATOLOGIE DEI NERVI CRANICI

NERVO OLFATTORIO

Un deficit olfattivo neurale si può verificare come conseguenza di traumi cerebrali, in corso

di morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer, psicosi di Korsakoff e carenza di vitamina B12,

per neoplasie localizzate nella fossa cranica anteriore, in seguito ad interventi

neurochirurgici, assunzione o somministrazione di sostanze neurotossiche (etanolo,

amfetamine, cocaina, tetracicline ecc) ed infine in alcuni disturbi congeniti come la sindrome

di Kallmann.

I disturbi dell’odorato possono essere distinti in anosmia totale (incapacità di rilevare

qualunque tipo di stimolo olfattivo), anosmia parziale (capacità di rilevare solo alcune

modalità olfattive), anosmia specifica (perdita della capacità di rilevare uno o solo pochi

stimoli olfattivi), iposmia totale (diminuita sensibilità a tutti gli odori), iposmia parziale

(diminuita sensibilità solo ad alcuni odori), disosmia (distorsione della percezione degli

odori), iperosmia totale (aumento della sensibilità a tutti gli odori), iperosmia parziale

(aumento della sensibilità solo ad alcuni odori), agnosia (incapacità di riconoscere o

paragonare sensazioni odorose).

NERVO OTTICO

CECITA’ MONOLATERALE TRANSITORIA (AMAUROSI FUGACE) Di solito

l’amaurosi fugace rappresenta la manifestazione clinica di una ischemia retinica temporanea

da stenosi della carotide interna omolaterale oppure da embolia delle arterie retiniche. La

perdita della vista evolve progressivamente in circa 10-15 secondi, cominciando come

60
un’ombra che cala sul campo visivo, fino alla cecità completa, della durata di pochi secondi o

minuti. La vista ritorna dalla direzione opposta a quella da cui è scomparsa.

NEUROPATIA OTTICA RETROBULBARE Questa sindrome può derivare da una

demielinizzazione acuta delle fibre del nervo ottico, sclerosi multipla, encefalopatia

postinfettiva o disseminata, uveite posteriore, lesioni vascolari del nervo ottico (neuropatia

anteriore ischemica, occlusione dell’arteria centrale della retina). Il disturbo del visus si

raggiunge nel corso di ore o giorni, mono o bilateralmente, come se entrambi gli occhi

oppure uno dopo l’altro fossero oscurati da un velo o da una nebbia. Non si raggiunge quasi

mai la cecità completa.

NEUROPATIA OTTICA TOSSICO-NUTRIZIONALE Questa neuropatia può essere

provocata da una intossicazione da alcool metilico o più raramente da cloramfenicolo,

etambutolo, isoniazide, sulfamidici, digitale, metalli pesanti. Si verifica un interessamento

contemporaneo del visus bilaterale, con scotoma centrale o centrocecale, che si sviluppa nel

corso di giorni o settimane.

SINDROME DI EMIANOPSIA BITEMPORALE Questa sindrome può essere provocata

da un adenoma dell’ipofisi invadente gli spazi soprasellari, da craniofaringioma, aneurisma

sacculare del circolo di Willis, carcinoma metastatico.

NERVO TRIGEMINO

NEVRALGIA TRIGEMINALE (SINDROME DI DOLORE FACCIALE

PAROSSISTICO) La patologia più caratteristica che coinvolge il nervo trigemino è il tic

doloroso, consistente in parossismi di dolore lancinante a livello delle labbra, delle guance,

del mento, della durata di pochi secondi o minuti. Il dolore può essere caratteristicamente

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evocato dalla stimolazione di zone di innesco sulla faccia, sulle labbra o sulla lingua. Gli

accessi si ripetono spesso, sia di giorno che di notte, ogni volta per diverse settimane di

seguito. La malattia si verifica quasi esclusivamente in soggetti maturi o anziani, e può

originare da una placca di demielinizzazione nel punto di ingresso della radice del quinto paio

di nervi cranici, in corso di neoplasia o di herpes zoster, da un vaso arterioso allungato o

tortuoso in fossa posteriore, con lesione irritativa del nervo o della sua radice. Solitamente

aneurismi, neurofibromi o meningiomi a carico del tronco nervoso provocano una perdita

sensitiva, con anestesia al volto o difetto di forza dei muscoli della mandibola (neuropatia

trigeminale).

NERVO FACCIALE

PARALISI FACCIALE E SPASMO FACCIALE La interruzione completa del nervo

facciale a livello del forame stilomastoideo provoca la paralisi di tutti i muscoli mimici della

faccia: l’angolo della bocca è abbassato, le pieghe cutanee laterali scompaiono, la fronte

appare priva di rughe, le palpebre superiori ed inferiori non possono essere chiuse, e le

lacrime scendono lungo la guancia. Nel tentativo di chiudere le palpebre, il globo oculare

ipsilaterale alla paralisi tende a ruotare verso l’alto (fenomeno di Bell). Con il passare del

tempo la contrattura prolungata dei muscoli mimici sospinge la faccia e la punta del naso

verso il lato sano.

Una forma frequente di spasmo facciale è quella idiopatica, da causa sconosciuta; la forma

secondaria può essere dovuta ad una lesione irritativa del nervo facciale da parte di un

neurinoma acustico o di un aneurisma dell’arteria basilare. Questo disturbo può inoltre

rappresentare una sequela transitoria o permanente di una paralisi facciale di Bell.

62
PARALISI DI BELL Si tratta della più frequente paralisi facciale idiopatica, ad esordio

rapido (entro 48 ore) e solitamente recupero completo nel giro di settimane o mesi. La

paralisi può essere preceduta un paio di giorni prima da dolore retroauricolare, e può essere

associata ad ageusia unilaterale ed iperacusia.

NERVO VESTIBOLARE

SINDROME DI MENIERE Si tratta di una sindrome caratterizzata da crisi vertiginose

ricorrenti, accompagnate da acufeni e sordità progressiva. La sindrome si manifesta più

frequentemente nella quinta decade, ed anatomopatologicamente consiste in una dilatazione

del sistema endolinfatico con degenerazione delle cellule ciliate.

VERTIGINE POSIZIONALE BENIGNA (VERTIGINE DI BARANY) Si tratta di un

disturbo labirintico caratterizzato dalla comparsa di vertigini parossistiche e nistagmo quando

la testa assume certe posizioni particolari.

NERVO GLOSSOFARINGEO

NEVRALGIA GLOSSOFARINGEA Il dolore della nevralgia glossofaringea è intenso e

parossistico: origina a livello della fossa tonsillare, ma può localizzarsi o estendersi

all’orecchio per interessamento della branca timpanica del nervo glossofaringeo. Le crisi

dolorose possono essere evocate dalla deglutizione.

NERVO VAGO

SINDROME DI DISFAGIA E DISFONIA Per interruzione completa della porzione

intracranica del nervo vago si verifica una paralisi caratterizzata da abbassamento del palato

molle omolaterale con impedimento della normale fonazione, voce rauca, paralisi delle corde

vocali, ipoestesia del meato acustico esterno, disfagia. Il nervo vago può essere coinvolto a

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livello delle meningi da processi neoplastici o infettivi e a livello del bulbo da lesioni

vascolari, tumorali o malattie dei motoneuroni.

NERVO IPOGLOSSO Il nervo ipoglosso può essere coinvolto da lesioni intramidollari

come tumori, poliomielite, malattie dei motoneuroni o può essere compresso lungo il suo

decorso da lesioni meningee oppure ossee. A distanza di settimane o mesi dalla lesione si

sviluppano atrofia e fascicolazione della lingua.

64
ENCEFALOPATIE METABOLICHE

Le malattie del sistema nervoso di tipo nutrizionale e metabolico possono essere acquisite, ed

allora si incontrano essenzialmente nell’età adulta, oppure ereditarie, tipiche invece

dell’infanzia e dell’adolescenza, anche se in alcuni casi esordiscono tardivamente.

ENCEFALOPATIA DI WERNICKE Si tratta di una sindrome causata da carenza

nutrizionale del cofattore enzimatico tiamina, con conseguente riduzione dell’utilizzo di

glucosio a livello cerebrale e neurotossicità, presumibilmente per accumulo di acido

glutammico. La malattia insorge acutamente ed è caratterizzata da alterazioni dello stato

mentale (stato confusionale globale apatico, con profonda indifferenza per l’ambiente,

mancanza di attenzione e disorientamento; amnesia; sintomi di astinenza da alcol), paralisi

dei movimenti oculari (paresi o paralisi dell’abduzione bilaterale, nistagmo) e atassia della

marcia (a volte così marcata da rendere impossibile lo stato eretto e la deambulazione). La

prognosi è variabile: circa il 20% dei pazienti muore per insufficienza epatica o complicanze

infettive, meno del 20% vanno incontro a remissione graduale dei sintomi fino a guarigione

completa, la maggioranza dei pazienti sviluppa una condizione di “demenza alcolica”,

caratterizzata da confusione mentale e gravi lacune mnesiche. La sindrome di Wernicke

rappresenta una emergenza medica e la sua individuazione comporta la somministrazione

immediata di tiamina e.v. o i.m.

PELLAGRA Il deficit di niacina si traduce in una patologia medica che si manifesta

soprattutto come una encefalopatia, anche se si possono verificare interessamento del midollo

e dei nervi periferici. I primi sintomi sono di tipo psichico: insonnia, nervosismo, ansia,

irritabilità, depressione, seguiti da progressivo rallentamento delle facoltà mentali,

65
rallentamento psicomotorio, alterazioni delle funzioni mnesiche. Altri sintomi neurologici

sono tremore, rigidità extrapiramidale, paresi spastica a carico degli arti inferiori, ambliopia,

neuropatia periferica.

AMBLIOPIA CARENZIALE Una frequente complicanza delle malattie carenziali e

l’ambliopia, un particolare disturbo visivo da compromissione del nervo ottico, che si

manifesta con diminuzione o annebbiamento del visus per oggetti vicini e lontani, difficoltà

nella visione dei colori, scotomi centrali o centrocecali bilaterali. Tale condizione si aggrava

nel giro di settimane o mesi e , se non trattata, evolve verso un’atrofia ottica irreversibile. La

forma più frequente è l’ambliopia alcol-tabagica, da deficit di vitamina B12 e riboflavina.

DEGENERAZIONE COMBINATA SUBACUTA DEL MIDOLLO SPINALE Questa

patologia è causata da una carenza di vitamina B12 e si manifesta con una serie di sintomi

neurologici: inizialmente il paziente avverte debolezza generale e parestesie, soprattutto

fomicolii, a carico della parte distale degli arti, poi subentrano dolore ingravescente,

deambulazione instabile, movimenti degli arti sempre più rigidi ed impacciati. In fase

conclamata l’esame neurologico rivela una disfunzione delle colonne laterali e posteriori del

midollo, alterazione dei riflessi osteotendinei, clonie, paresi e spasticità degli arti inferiori,

pronunciata perdita della sensibilità vibratoria. Tutte le disfunzioni hanno distribuzione

tipicamente simmetrica. Se la malattia non viene trattata si può sviluppare una paraplegia

atassica insieme a vari gradi di spasticità e contrattura. Accanto a questi sintomi sono

frequenti segni di alterazione mentale, in particolare irritabilità, apatia, sonnolenza, instabilità

emotiva, fino ad un vero e proprio decadimento intellettivo. Il trattamento consiste nella

somministrazione di cobalamina i.m. ad alte dosi.

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ENCEFALOPATIA ISCHEMICA ANOSSICA Questa condizione è provocata da una

riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello, derivante a sua volta da ipotensione,

insufficienza respiratoria, o entrambe (insufficienza cardiorespiratoria). Le cause più comuni

sono infarto miocardico, arresto cardiaco, emorragie massive, condizioni di shock,

soffocamento, paralisi dei muscoli respiratori, intossicazione da CO. Una anossia grave

conduce alla perdita di coscienza e, se dura oltre i 5 minuti circa, il cervello risulta

danneggiato in modo grave e permanente. Le sindromi postipossiche più frequentemente

osservate sono il coma persistente, la demenza, l’agnosia visiva, una sindrome parkinsoniana,

la coreoatetosi, l’atassia cerebellare, il mioclono intenzionale, l’amnesia tipo Korsakoff.

ENCEFALOPATIA IPERCAPNICA Questa condizione può essere causata da enfisema

cronico, fibrosi polmonare cronica o da un malfunzionamento del centro respiratorio, con

conseguente acidosi respiratoria cronica, aumento della PCO2 e riduzione della PO2 arteriosa.

Sintomatologicamente si manifesta con cefalea generalizzata, frontale oppure occipitale

intensa e persistente per ore, papilledema, stato confusionale fino a stupor e coma, tremore

intenzionale con mioclono generalizzato che coinvolge tutti i muscoli, sonnolenza

intermittente, rallentamento psicomotorio, amnesia.

ENCEFALOPATIA IPOGLICEMICA Questa condizione è causata più frequentemente da

sovradosaggio di insulina o di un ipoglicemizzante orale, tumore pancreatico insulino-

secernente, più raramente intossicazione cronica da etanolo, sindrome di Reye (encefalopatia

epatica acuta non itterica dell’infanzia). Quando la glicemia scende a valori di circa 30 mg/dl

compaiono i primi sintomi, dovuti al rilascio in circolo di noradrenalina: nervosismo, cefalea,

senso di fame, ansia, sudorazione, tremori, palpitazioni. A poco a poco subentrano segni

67
cerebrali di deficit glucidico, come stato confusionale, sonnolenza, segni neurologici focali,

poi progressivamente comparsa dei riflessi di suzione e di prensione forzata, irrefrenabilità

motoria, spasmi muscolari, scosse miocloniche, convulsioni ed infine rigidità decerebrata. Se

si arriva a livelli glicemici di circa 10 mg/dl compare la cosiddetta fase bulbare (coma

profondo, pupille dilatate, pallore, respirazione superficiale, bradicardia, ipotono muscolare

agli arti), a partire dalla quale risulta difficile e lenta la remissione del quadro clinico.

ENCEFALOPATIA EPATICA Questa condizione può originare da una insufficienza

epatica cronica con derivazione porta-cava (encefalopatia portosistemica) o da sindromi

ereditarie dell’infanzia con iperammoniemia. Sembra infatti che l’ammonio e/o le altre

ammine raggiungano la circolazione sistemica ed interferiscano in qualche modo con il

metabolismo cerebrale. In acuto questa encefalopatia si manifesta come uno stato

confusionale che si può accompagnare ad eccitazione o rallentamento psicomotorio, a cui fa

seguito sonnolenza progressivamente più grave, stupor ed infine coma. I pazienti che

sopravvivono ad uno o più episodi di coma epatico riportano postumi neurologici: tremori,

disartria, atassia della marcia, movimenti coreici agli arti, compromissione ingravescente

delle funzioni intellettive. Tale quadro sintomatologico è noto come encefalopatia epatica

cronica o degenerazione epatocerebrale acquisita.

ENCEFALOPATIA UREMICA Tutte le forme gravi di patologia renale possono condurre

a sintomatologia neurologica (episodi confusionali, stupor, polineuropatia cronica). In fase

acuta uremica si osservano apatia, svogliatezza, irritabilità, che evolvono con la comparsa di

allucinazioni, stato confusionale e stupor, associati a scosse miocloniche, fascicolazioni

muscolari ed a volte convulsioni. In corso di emodialisi o dialisi peritoneale possono invece

68
manifestarsi una sindrome da squilibrio (cefalea, nausea, crampi muscolari, irritabilità,

agitazione, sonnolenza, convulsioni ed ipertensione endocrina) oppure più raramente la

encefalopatia dialitica (afasia, mioclono facciale e generalizzato, crisi convulsive, episodi

psicotici, decadimento intellettivo).

ENCEFALOPATIE DA DISTURBI ELETTROLITICI ED ENDOCRINI L’acidosi

metabolica (diabete mellito, insufficienza renale, acidosi lattica) produce una sindrome

caratterizzata da sonnolenza, stupor e coma, cute secca e respiro di Kussmaul. In condizioni

di grave iperosmolarità del sangue (diabete mellito, disidratazione ipernatremica grave) si

verifica la comparsa di tremori, convulsioni e coma. Anche l’iponatremia, associata

solitamente ad intossicazione da acqua, è causa di coma ad andamento episodico soprattutto

nell’infanzia (tra le cause risulta particolarmente importante la sindrome da secrezione

inappropriata di ormone antidiuretico), mentre nei bambini una diarrea molto grave può

essere seguita da encefalopatia, con cefalea, crisi convulsive, stupor e coma nel giro di pochi

giorni. Infine, in corso di alterazioni endocrine possono manifestarsi disturbi delle funzioni

cerebrali superiori in forma di agitazione, allucinazioni, deliri oppure rallentamento e

depressione, e l’andamento temporale di tale sintomatologia può ricoprire lo spazio di

settimane o addirittura mesi. Tali condizioni possono verificarsi in corso di sindrome di

Cushing, tireotiossicosi, ipoparatiroidismo, ipeparartiroidismo, insufficienza surrenalica.

69
DISTURBI DEL SONNO E DEL RITMO CIRCADIANO

Il ciclo sonno- veglia è governato da due sistemi neurobiologici: uno genera attivamente il

sonno ed i processi correlati al sonno, l’altro regola temporalmente il sonno nelle 24 ore.

Alterazioni intrinseche a questi sistemi oppure disturbi esterni (farmaci, malattie, variazioni

ambientali) possono essere responsabili dell’insorgenza di disturbi del sonno o del ritmo

circadiano. La maggior parte degli adulti dorme dalle 7 alle 8 ore per notte, con ampie

variazioni soggettive della collocazione temporale, della durata e della struttura interna del

sonno. Gli stati e gli stadi del sonno vengono definiti in base alle configurazioni

caratteristiche di tre parametri elettrofisiologici: l’elettroencefalogramma (EEG),

l’elettrooculogramma (EOG) e l’elettromiogramma di superficie (EMG). La rilevazione

continua di questo set di parametri elettrofisiologici è detto polisonnografia. In base ai profili

polisonnografici è possibile definire due stati di sonno: sonno con rapidi movimenti degli

occhi (rapid-eye-movement o REM), detto anche sonno paradosso, desincronizzato o sonno

D, e sonno senza movimenti rapidi degli occhi (non-rapid-eye-movement o NREM), detto

anche sonno ortodosso, sincronizzato o sonno S.

Il sonno REM è caratterizzato da un EEG di bassa ampiezza, a frequenza mista, e presenta la

sovrapposizione di gruppi (bursts) di attività compresa tra i 3 ed i 5 Hz, con rapide deflessioni

negative. In questo stadio l’EOG è sovrapponibile a quello osservato durante la veglia ad

occhi aperti ed è presente inoltre paralisi muscolare motoria, con conseguente assenza

dell’attività elettromiografica.

Il sonno NREM è a sua volta suddiviso in quattro stadi: stadio 1, che rappresenta la fase di

transizione dalla veglia ed è caratterizzato dalla scomparsa del ritmo alfa regolare e dalla

70
insorgenza di un ritmo di bassa ampiezza e frequenza mista (da 2 a 7 Hz), prevalentemente

del tipo theta; stadio 2, caratterizzato dal presentarsi di complessi K (scariche lente di grande

ampiezza negative seguite da una deflessione positiva) e fusi del sonno (scariche di alta

frequenza e di durata compresa tra 0,5 e 2 secondi ad ampiezza crescente-calante) sovrapposti

ad una attività di fondo simile a quella dello stadio 1; stadio 3 e 4, caratterizzati da una quota

compresa tra il 20 ed il 50 % di attività delta (da 0,5 a 2 Hz), assenza di movimento oculare

ed attività elettromiografica presente ad un livello ridotto. Gli ultimi due stadi sono

considerati collettivamente come sonno ad onde lente o profondo.

Il normale sonno notturno mostra una organizzazione costante. Dopo l’addormentamento, si

verifica la successione dagli stadi 1 a 4 del sonno NREM in un tempo compreso tra i 45 ed i

60 minuti. Dopo il primo episodio di sonno ad onde lente, si inverte la progressione dei cicli

NREM; il primo sonno REM si presenta generalmente non prima di 80 minuti dall’inizio del

sonno. Le fasi REM e NREM si alternano durante la notte con un ciclo medio compreso tra i

90 ed i 110 minuti (ciclo ultradiano): complessivamente il sonno REM occupa una

percentuale compresa tra il 20 ed il 25% del sonno totale, mentre gli stadi NREM vanno dal

50 al 60 %, aumentando nei soggetti più anziani.

L'età influenza largamente l’organizzazione del sonno umano. Il sonno ad onde lente è più

consistente durante l’infanzia e tende a diminuire rapidamente nel corso della pubertà,

presentando un declino consistente dopo il terzo decennio di vita. Negli anziani sani il sonno

ad onde lente può essere completamente assente. Per quanto riguarda invece il sonno REM,

questo è massimo nei neonati e può comprendere fino al 50% del tempo di sonno

71
complessivo nella prima infanzia, con una percentuale inversamente proporzionale all'età

dello sviluppo.

Il ciclo sonno-veglia è il più evidente fra i molti ritmi di 24 ore presenti nell’uomo. Le

variazioni giornaliere di tale ciclo possono dipendere sia da componenti ritmiche evocate

passivamente da cambiamenti ambientali e comportamentali periodici (ad es. l’aumento della

pressione arteriosa e della frequenza cardiaca in seguito all’assunzione della posizione rertta)

sia da componenti ritmiche determinate attivamente da un processo oscillatorio endogeno (ad

es. la variazione circadiana del cortisolo plasmatico e le sue modificazioni conseguenti alle

mutazioni delle condizioni ambientali e comportamentali). Nei mammiferi il sistema

temporale circadiano è controllato dai nuclei soprachiasmatici dell’ipotalamo: il periodo e la

fase del ritmo circadiano endogeno sono normalmente sincronizzate al periodo di 24 ore del

ciclo ambientale luce-buio.

La classificazione internazionale dei disturbi del sonno distingue tre grosse categorie di

alterazioni: le dissonnie (disturbi intrinseci del sonno, tra cui soprattutto insonnia ed

ipersonnia; disturbi estrinseci del sonno; disturbi del ritmo circadiano), le parasonnie

(disturbi del risveglio, disturbi nel passaggio tra sonno e veglia, bruxismo, enuresi), i disturbi

del sonno associati a disturbi medico-psichiatrici.

Le modificazioni o i disturbi del sonno notturno si accompagnano inevitabilmente ad un calo

della vigilanza e delle prestazioni cognitive e psicomotorie del soggetto durante il giorno, e

ciò rappresenta un motivo di grande preoccupazione per il paziente. Si rende pertanto

necessario raccogliere una anamnesi accurata che valuti la durata, gravità e riproducibilità

72
delle manifestazioni, le conseguenze del disturbo sulle attività diurne, le abitudini di vita,

inclusi l’assunzione di alcool, caffeina e farmaci.

INSONNIA L’insonnia consiste nella sensazione di riposo insufficiente riferita dal paziente.

La durata dell’insonnia risulta un fattore importante per determinare la natura del disturbo e

definire il trattamento più appropriato. In particolare, l’insonnia che dura da una o più notti

viene definita insonnia transitoria, e tipicamente rappresenta la conseguenza di uno stress

situazionale, del cambiamento ambientale dovuto ad un viaggio o di una variazione dei ritmi

di lavoro. L’insonnia che si prolunga da pochi giorni fino a tre settimane viene definita

insonnia passeggera, di solito legata ad episodi di stress protratto nel tempo, ad esempio per

una malattia acuta o nella convalescenza da un intervento chirurgico. L’insonnia cronica dura

per mesi o anni, ed è spesso uno dei sintomi di patologie psichiatriche, malattie internistiche

croniche oppure è dovuta all’assunzione di farmaci. E’ importante notare che i pazienti

spesso non sono in grado di valutare la durata reale del loro sonno, pertanto si rende

necessario valutare una obiettiva registrazione polisonnografica.

NARCOLESSIA Questo disturbo è caratterizzato dalla presenza di una eccessiva sonnolenza

diurna accanto ad involontari episodi di sonno nel corso del giorno, sonno notturno disturbato

e cataplessia (debolezza improvvisa o perdita di tono muscolare, spesso scatenate da fattori

emozionali). Spesso i pazienti riferiscono esperienze di paralisi muscolare (paralisi ipnica) o

immagini allucinatorie (allucinazioni ipnagogene) al momento dell’addormentamento o del

risveglio. Esiste notevole variazione della gravità e frequenza degli attacchi cataplettici. I

sintomi si manifestano tipicamente nella seconda decade ed alcuni studi sembrano suggerire

un tipo di ereditarietà autosomica recessiva. La sintomatologia della narcolessia sembra

73
essere la manifestazione di una anomala regolazione del sonno REM. Il trattamento è

sintomatico (farmaci stimolanti contro la sonnolenza, soprattutto metilfenidato e pemolina;

antidepressivi contro cataplessia, allucinazioni ipnagogene e paralisi da sonno).

SINDROMI DA APNEA DURANTE IL SONNO Una importante causa di eccessiva

sonnolenza durante il giorno possono essere varie disfunzioni respiratorie, che comportano il

verificarsi di arresti respiratori dovuti ad occlusione delle vie aeree (apnea del sonno

ostruttiva), ad assenza del lavoro respiratorio (apnea del sonno centrale) o ad una

combinazione di questi fattori (apnea del sonno mista). Queste sindromi sono frequenti

soprattutto nei soggetti obesi e negli anziani, spesso associate ad ipertensione, e, se non

vengono opportunamente trattate, possono dare luogo a gravi complicanze cardiocircolatorie

ed aumento della mortalità.

DISSONNIA ASSOCIATA A MOVIMENTI DEGLI ARTI La cosiddetta sindrome delle

gambe senza riposo, caratterizzata appunto da un irresistibile bisogno di muovere le gambe

quando il paziente è steso nel letto e sta per addormentarsi comporta naturalmente notevoli

difficoltà nell’addormentamento. L’intensità di questo disturbo cronico ed idiopatico può

aumentare o diminuire nel tempo, ed è di solito accentuata dalla assunzione di caffeina, dalla

carenza di ferro, dall’insufficienza renale o da una gravidanza.

Il mioclono notturno, disturbo con movimento periodico degli arti, si presenta in una larga

varietà di alterazioni del sonno ed è associato a frequenti risvegli e ad aumento del numero di

transizione degli stadi del sonno. L’incidenza aumenta con l’età.

Per quanto riguarda la scelta terapeutica, la risposta è soggettiva: i farmaci più usati sono

levodopa, carbidopa, clonazepam.

74
PARASONNIE Vengono indicati con questo termine alcuni disturbi del comportamento

durante il sonno associati a brevi o parziali risvegli, ma senza marcate interruzioni del sonno

o diminuita vigilanza notturna. Tra le parasonnie più frequenti ricordiamo il sonnambulismo,

il pavor nocturnus, il bruxismo, l’enuresi notturna, la jactatio capitis. Questi disturbi sono più

frequenti nei bambini, ma possono persistere fino all’età adulta, quando la loro

manifestazione può avere maggiori significati patologici.

75
PATOLOGIE DEL MIDOLLO SPINALE

Le malattie del midollo spinale possono condurre a lesioni di grossa entità e danni

neurologici permanenti, poiché nel midollo spinale si concentrano quasi l’intero sistema

motorio efferente ed il sistema sensitivo afferente. Il midollo spinale innerva gli arti ed il

tronco in maniera segmentaria attraverso 31 paia di nervi spinali, con una organizzazione

somatotopica uniforme che si estende per tutta la sua lunghezza, e ciò permette una agevole

identificazione delle sindromi cliniche. I segni clinici principali di una lesione midollare sono

la perdita della sensibilità (di solito parestesie che dagli arti inferiori tendono a spostarsi verso

l’alto) e la perdita di forza alle estremità innervate dalle fibre corticospinali discendenti. Le

lesioni che distruggono i tratti corticospinali o bulbospinali discendenti causano una

paraplegia o tetraplegia con aumento del tono muscolare, accentuazione dei riflessi tendinei

profondi e segno di Babinski positivo. In seguito ad una grave lesione trasversa acuta del

midollo spinale può comparire in una prima fase flaccidità degli arti invece che spasticità, a

causa del cosiddetto shock spinale, così come la paralisi degli arti può essere preceduta da

movimenti clonici o mioclonici rapidi. Un segno importante di lesione spinale trasversa è

l’alterazione del sistema nervoso autonomo, soprattutto ritenzione urinaria, che dovrebbe

sempre far sospettare una malattia del midollo spinale. Infine alcuni aspetti semeiologici

indicativi permettono una approssimativa distinzione tra lesione intramidollare (dolore

radicolare, sindrome di Brown-Séquard, segni precoci di interessamento corticospinale, grave

deficit sensoriale a livello sacrale, alterazioni precoci del liquor) e lesione extramidollare

(dolore scarsamente localizzato, risparmio della sensibilità alivello sacrale e perineale, segni

76
di interessamento corticospinale ad insorgenza tardiva e minore entità e liquor normale o

poco alterato).

Con il termine di Sindrome di Brown-Séquard si indica una ideale sindrome da emisezione

del midollo spinale che si presenta con emiplegia o monoplegia ipsilaterale, perdita della

sensibilità di posizione articolare e della sensibilità vibratoria, assenza controlaterale della

sensibilità dolorifica e termica.

COMPRESSIONI DEL MIDOLLO SPINALE Le sindromi compressive possono

originare da tumori, ascessi epidurali, emorragie epidurali, protrusioni discali acute. I tumori

del midollo spinale possono essere primitivi o metastatici e vengono classificati come

extradurali (epidurali) oppure intradurali (questi ultimi in intramidollari ed extramidollari).

La maggior parte dei tumori sono epidurali ed originano da metastasi alla colonna vertebrale

adiacente (più frequentemente da neoplasie che originano nella prostata, nelle mammelle e

nei polmoni). Il sintomo iniziale nelle compressioni epidurali consiste di solito in un dolore

locale al dorso che tende a peggiorare in posizione sdraiata e si esacerba con il passare del

tempo, accompagnato da progressivo deficit di forza. Si interviene con dosi elevate di

glucocorticoidi e con dosi radioterapiche frazionate. I tumori extramidollari intradurali, di

solito meningiomi e neurofibromi, rappresentano più raramente una causa di compressione

spinale.

Gli ascessi epidurali originano da una osteomielite spinale successiva a foruncolosi del dorso

e dello scalpo, setticemia, traumi minori del dorso, complicazione di un intervento chirurgico

locale o di una puntura lombare. I primi sintomi sono febbre e scarsa dolorabilità alla colonna

vertebrale, seguiti da dolore radicolare. Si rende necessaria una rapida decompressione

77
mediante laminectomia e drenaggio dell’ascesso, seguiti da una appropriata somministrazione

di antibiotici.

Le emorragie nel midollo spinale (ematomielie) e nello spazio epidurale possono originare da

una malformazione arterovenosa, da una emorragia intratumorale o in seguito a terapia

anticoagulante, ma sono spesso spontanee.

MIELOPATIE NEOPLASTICHE NON COMPRESSIVE Quando la indagine radiologica

non riesce a dimostrare la presenza di una compressione, è spesso difficile distinguere tra

processi patologici poco comuni, come metastasi intramidollari, mielopatie

paracarcinomatose e mielopatie da raggi. In tali casi è molto utile riferirsi alla storia

anamnestica del paziente.

MIELOPATIE INFIAMMATORIE La mielite acuta, la mielite trasversa e la mielopatia

necrotica sono caratterizzate da un processo infiammatorio intrinseco del midollo spinale e

da una sindrome clinica che evolve in un periodo variabile da alcuni giorni a 2 o 3 settimane,

con dolore dorsale, paraparesi progressiva e parestesie asimmetriche ascendenti agli arti

inferiori. Nei casi più gravi si arriva ad una panmielopatia necrotica, con interessamento

dell’intero midollo. La maggior parte di queste patologie si presentano dopo una infezione

virale. La mielopatia infettiva può essere causata da vari virus neurotrofici, come l’herpes

zoster ed i retrovirus umani HTLV-1 e HIV, oppure può essere successiva ad infezioni

sistemiche da batteri o micobatteri. L’aracnoidite, produzione cicatriziale con ispessimento

fibroso dell’aracnoide, è di solito secondaria a complicazioni postoperatorie o deriva dalla

instillazione negli spazi subaracnoidei di mezzi di contrasto o antibiotici.

78
INFARTO MIDOLLARE La maggior parte degli infarti midollari deriva da ischemia

secondaria ad occlusione vasale a distanza delle arterie spinali anteriori e posteriori, oppure

da ipotensione grave, da trombosi o dissezione aortica o più raramente successivamente ad un

trauma.

MALFORMAZIONI VASCOLARI DEL MIDOLLO SPINALE Le malformazioni

arterovenose del midollo spinale sono rare ma estremamente difficili da diagnosticare perché

presentano grande variabilità clinica e caratteristiche sintomatologiche sovrapponibili ad altre

sindromi neurologiche. Frequentemente le malformazioni arterovenose sono localizzate nella

regione dorsale caudale o nel midollo lombare e danno luogo ad una mielopatia non flogistica

ma gliosica e talora necrotizzante.

MIELOPATIE CRONICHE Il termine di spondilosi indica un insieme di alterazioni

degenerative della colonna vertebrale che esercitano azione compressiva sul midollo

cervicale e sulle radici spinali adiacenti. La spondilosi cervicale colpisce in particolare la

popolazione anziana di sesso maschile e si manifesta con dolore e rigidità al collo ed alle

spalle, seguiti dall’instaurarsi di una paraparesi spastica lentamente progressiva, con frequenti

parestesie ai piedi ed alle mani. Successivamente compaiono deficit di forza e deficit

sensitivi. Sono presenti segni radicolari e mielopatici in un quadro sintomatologico

combinato. Sebbene gli aspetti radiografici della spondilosi siano comuni nell’età senile, solo

alcuni pazienti sviluppano una mielopatia o radicolopatia, che spesso dipendono da un canale

vertebrale congenitamente stretto.

79
NEUROPATIE PERIFERICHE E SINDROME DI GUILLAIN-BARRE’

Il termine di neuropatia periferica è molto generico, in quanto indica una patologia del nervo

periferico di qualsiasi natura, caratterizzata da una serie di manifestazioni sintomatologiche

estremamente complessa. Il tipico quadro di una polineuropatia si realizza nelle patologie

neuropatiche acquisite tossiche o metaboliche. Le prime manifestazioni sintomatologiche

consistono in alterazioni della sensibilità (formicolii, bruciori, sensazione di punture di spilli,

disestesie) a distribuzione tipicamente simmetrica e distale. Con il progredire del processo

patologico, i segni sensitivi tendono ad aggravarsi (perdita di tutte le sensibilità ai piedi con

graduale distribuzione “a calza”, assenza dei riflessi achillei, deficit della dorsiflessione delle

dita dei piedi) e compaiono i segni motori (difficoltà nella deambulazione, debolezza ed

atrofia muscolare progressiva). Nei casi più gravi la capacità ventilatoria e la capacità

sfinterica possono essere compromesse.

Nella valutazione del paziente neuropatico, oltre a raccogliere l’anamnesi ed effettuare

l’esame neurologico è necessario eseguire l’esame elettrodiagnostico.

POLINEUROPATIA Le polineuropatie possono essere distinte tra loro in base alla varietà

del decorso, alla gravità, alla diversa combinazione di disturbi sensitivi e motori.

POLINEUROPATIA ASSONALE ACUTA Questa polineuropatia è relativamente rara: si

verifica in corso di intossicazioni gravi ed evolve in pochi giorni, accompagnata da gravi

complicanze epatiche e renali. Il recupero richiede alcuni mesi.

POLINEUROPATIA ASSONALE SUBACUTA Evolve nell’arco di alcune settimane ed è

caratteristica di molte forme tossiche e metaboliche.

80
POLINEUROPATIA ASSONALE CRONICA Il termine cronico comprende neuropatie

con evoluzione variabile da meno di 6 mesi a più di 60 anni. Nella maggior parte dei casi si

tratta di una neuropatia su base genetica, ed è caratterizzata dalla lenta progressione,

dall’assenza di segni oggettivi (soprattutto di deficit motori) e dall’assenza di disturbi

sistemici.

POLINEUROPATIA DEMIELINIZZANTE ACUTA (SINDROME DI GUILLAIN-

BARRE’) Si tratta di una forma spesso grave e fulminante, preceduta nei due terzi circa dei

casi da una infezione, di solito virale (herpes, citomegalovirus, virus di Epstein-Barr),

risalente alle 2 o 3 settimane che precedono l’esordio dei sintomi. Spesso si manifesta in

pazienti affetti da linfoma e da lupus eritematoso sistemico. Diversi dati sembrano suggerire

che questa sindrome sia immunomediata, ma la patogenesi è ancora sconosciuta.

Clinicamente si manifesta come una paralisi motoria ariflessica accompagnata da lievi

disturbi sensitivi.I dati di laboratorio mostrano una dissociazione tra proteine totali e cellule

nel liquor dopo la prima settimana di sintomi. La prognosi è piuttosto buona, e si interviene

con trattamento sintomatico, associato spesso a plasmaferesi e somministrazione per via

endovenosa di immunoglobuline.

POLINEUROPATIA DEMIELINIZZANTE SUBACUTA Si traata di forme

polineuropatie di origine eterogenea, tutte acquisite e caratterizzate da un andamento

remittente e recidivante.

POLINEUROPATIA DEMIELINIZZANTE CRONICA Questo gruppo di affezioni

include diverse neuropatie ereditarie, infiammatorie ed acquisite associate al diabete mellito,

alle disproteinemie e ad alcune intossicazioni croniche.

81
NEUROPATIE EREDITARIE Si tratta di un gruppo eterogeneo di neuropatie trasmesse

secondo una ereditarietà di tipo dominante, recessivo o legato al cromosoma X. L’esordio del

deficit neuropatico è insidioso e la progressione è torpida nel corso di anni o decenni. La

maggior parte di queste malattie è abbastanza rara ad eccezione della atrofia muscolare

peroneale con ereditarietà dominante.

NEUROPATIE DEMIELINIZZANTI ACQUISITE Queste neuropatie vengono suddivise

in due gruppi principali, la forma acuta, rappresentata dalla sindrome di Guillain-Barrè, e le

forme croniche, di solito definite come poliradicoloneuropatie demielinizzanti infiammatorie

croniche.

NEUROPATIE DIABETICHE Le neuropatie diabetiche tendono a manifestarsi nel corso

di una iperglicemia che perdura da decenni, che può essere o non essere insulino-dipendente.

Di solito si distingue tra forme simmetriche ed asimmetriche, tuttavia la maggior parte dei

pazienti non rientra in un singolo gruppo, ma presenta la sovrapposizione di diversi quadri

sindromici. La presentazione più frequente è una polineuropatia sensitiva ed autonomica,

cronica e ad evoluzione torpida.

NEUROPATIE CON DISPROTEINEMIA Molto spesso la polineuropatia si associa a

mieloma multiplo o macroglobulinemia. Queste neuropatie sono generalmente

sensitivomotorie, tendenzialmente gravi e non regrediscono con i successi terapeutici sul

mieloma.

MONONEUROPATIA MULTIPLA (NEUROPATIA MULTIFOCALE) Si indica con

questo termine un interessamento simultaneo o sequenziale di singoli tronchi nervosi non

contigui. Il processo patologico evolve nel giro di giorni o addirittura anni, e con il

82
peggioramento il deficit neurologico tende a divenire meno irregolare e multifocale e più

simmetrico e localizzato. E’ quindi necessario stabilire con attenzione la corretta diagnosi

facendo riferimento ai sintomi precoci.

MONONEUROPATIA Il termine di mononeuropatia indica un interessamento focale di un

singolo tronco nervoso, spesso causato da un trauma diretto, da una compressione oppure un

intrappolamento. I riscontri clinici più frequenti sono le neuropatie del nervo ulnare dovute a

lesioni nel solco ulnare o nella fossa cubitale e la neuropatia del nervo mediano dovuta a

compressione nel tunnel carpale. Altre neuropatie focali sono causate dalla presenza di

tumori dei nervi periferici (soprattutto neurinomi e neurofibromi), per lo più benigni, che

possono originare a livello di ogni tronco o ramo nervoso e sono spesso a localizzazione

sottocutanea. Sono inoltre causa di neuropatia l’infiammazione acuta di una o più radici

dorsali dovuta ad infezione del virus varicella-zoster e la neurite lepromatosa da invasione

delle cellule di Schwann dei rami nervosi cutanei ad opera del Mycobacterium leprae.

83
MIOPATIE E DISTROFIA MUSCOLARE

MIOPATIE EREDITARIE Con il termine di distrofia muscolare si indica un gruppo di

malattie ereditarie progressive che si manifestano con ipostenia muscolare acuta, subacuta o

cronica, spesso accompagnata o sostituita da dolore muscolare. Ciascun tipo di distrofia

muscolare presenta particolari caratteristiche genetiche e fenotipiche.

DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE Detta anche distofia muscolare

pseudoipertrofica, si manifesta con una incidenza di circa 30 nati maschi su 100000 nati vivi.

Questa patologia, trasmessa come carattere recessivo legato al cromosoma X, è causata da

una mutazione del gene responsabile della sintesi della distrofina (localizzato nel braccio

corto del cromosoma X, nel sito Xp21). Sebbene la distrofia sia presente già alla nascita, le

prime manifestazioni cliniche risalgono ai 3-5 anni: i bambini cadono frequentemente, non

riescono a correre o saltellare, nel rialzarsi dal pavimento sono costretti ad aiutarsi con le

braccia (manovra di Gowers). I muscoli dei polpacci possono apparire di consistenza

aumentata e gommosi, poiché il muscolo viene rimpiazzato da tessuto adiposo e connettivo

(pseudoipertrofia). A poco a poco l’ipostenia si rende più evidente, la deambulazione si

associa ad una postura lordotica, il deficit di forza muscolare si estende ai muscoli prossimali

degli arti e flessori del collo. All’età di 12 anni circa la maggior parte dei pazienti è costretta

ad usare la sedia a rotelle. In aggiunta, le deformazioni toraciche associate alla scoliosi

rendono difficoltosa la normale funzione respiratoria, già compromessa dalla debolezza

muscolare: a 16-18 anni i pazienti sono predisposti all’insorgenza di gravi infezioni

polmonari, spesso fatali. Altre cause di morte sono l’aspirazione di cibo nelle vie aeree, la

distensione gastrica acuta e più raramente l’insufficienza cardiaca congestizia. Spesso in

84
questi soggetti si apprezza una compromissione delle funzioni cognitive, in particolare per

quanto riguarda le prove verbali.

Le indagini di laboratorio mostrano livelli sierici di creatinchinasi (CK) da 20 a 100 volte più

elevati di quelli normali (soprattutto alla nascita, poiché in seguito si riducono per l’inattività

e la perdita di tessuto muscolare), mentre l’elettromiografia (EMG) evidenzia aspetti tipici di

sofferenza muscolare primitiva. Il dosaggio della distrofina nel tessuto muscolare ottenuto

mediante biopsia rappresenta un accurato metodo diagnostico. Per quanto riguarda i tentativi

terapeutici, la somministrazione di prednisone (0,75 mg/kg/die) ha dimostrato di modificare

sensibilmente il corso della distrofia per un periodo fino a 3 anni. Tuttavia i pazienti non

sempre riescono a tollerare una terapia così prolungata con glicocorticoidi, soprattutto a causa

dell’incremento di peso, quindi la terapia va aggiustata caso per caso.

DISTROFIA MUSCOLARE DI BECKER Si tratta di una forma meno grave di distrofia

muscolare, recessiva, legata al cromosoma X (origina da un difetto allelico dello stesso gene

coinvolto nella distrofia di Duchenne) e si manifesta con una incidenza di 3 casi su 100000.

Gli aspetti clinici sono simili a quelli descritti per la distrofia di Duchenne: l’ipostenia

muscolare interessa prevalentemente i muscoli prossimali degli arti inferiori, e tende ad

estendersi progressivamente ad altri distretti. E’ caratteristicamente presente ipertrofia dei

polpacci, mentre l’interessamento del cuore può causare insufficienza cardiaca. L’esordio dei

disturbi risale solitamente tra i 5 ed i 15 anni, ma può avvenire nella quarta o quinta decade o

anche più tardi. I pazienti riescono a deambulare oltre i 15 anni di età e la maggior parte vive

fino alla quarta o quinta decade. I livelli sierici di CK, i reperti dell’EMG e gli aspetti

anatomopatologici sono molto simili a quelli della distrofia di Duchenne.

85
DISTROFIA MIOTONICA Rappresenta la più frequente forma di distrofia muscolare

nell’adulto, con una incidenza di 13,5 su 100000 nati vivi e con uguale frequenza nei maschi

e nelle femmine. Si tratta di un disordine autosomico dominante, trasmesso attraverso un

gene mutante localizzato sul braccio lungo del cromosoma 19. Recenti studi dimostrano che i

soggetti affetti possiedono una regione di DNA instabile (19q13.3) caratterizzata da un

elevato numero di ripetizioni del trinucleotide CTG: l’aumento della gravità del fenotipo

clinico in generazioni successive (anticipazione) si associa all’aumento del numero di

ripetizioni del trinucleotide. La proteina codificata dal gene della distrofia miotonica ha una

composizione in aminoacidi omologa a quella di una proteinchinasi (miotonina

proteinchinasi). I pazienti presentano una caratteristica “facies miopatica” a causa

dell’ipotrofia ed ipostenia dei muscoli temporale, massetere e facciali, dei muscoli del collo e

della rarefazione dei capelli. I muscoli distali degli arti vengono colpiti precocemente,

compromettendo la funzionalità di mani e dita e causando spesso la caduta dei piedi.

L’interessamento del palato, della faringe e della lingua è responsabile di un eloquio

disartrico, con voce nasale e disturbi della deglutizione. L’ipostenia dei muscoli intercostali e

del diaframma può causare insufficienza respiratoria. La miotonia è responsabile di un lento

rilasciamento muscolare, che si verifica a carico dei muscoli estensori delle dita, quando la

mano viene stretta a pugno per una decina di secondi: lo spasmo miotonico postumo dipende

dalla durata della contrazione volontaria. E’ possibile dimostrare la miotonia mediante la

percussione dell’eminenza tenar, della lingua e dei muscoli estensori del polso, tenendo conto

del fatto che l’ipotrofia muscolare avanzata rende la miotonia di più difficile evidenziazione.

Sono presenti nella maggior parte dei pazienti affetti da questo tipo di distrofia disturbi

86
cardiaci (blocchi di primo grado, prolasso mitralico, insufficienza cardiaca congestizia) ed a

volte si associano alla malattia deficit intellettivo, ipersonnia, atrofia delle gonadi, resistenza

all’insulina.

La distrofia miotonica congenita è una forma più grave di malattia, che si manifesta nel 25%

dei neonati di madri affette, ed è caratterizzata da grave ipostenia dei muscoli facciali e dei

muscoli innervati dai nuclei bulbari, associata ad insufficienza respiratoria neonatale e deficit

intellettivo.

La diagnosi di distrofia miotonica di solito può essere formulata esclusivamente in base al

quadro clinico. I livelli sierici delle CK possono essere normali o lievemente aumentata e la

presenza della miotonia viene facilmente evidenziata con l’esame elettromiografico. Di solito

la miotonia non richiede trattamento: si somministra a volte fenitoina, ma si evitano altri

farmaci che potrebbero compromettere ulteriormente la funzionalità cardiaca.

DISTROFIA MUSCOLARE FACIO-SCAPOLO-OMERALE Questa forma esordisce

tipicamente nell’infanzia ed in età giovane-adulta con grave ipotonia facciale, che si esprime

con l’incapacità di sorridere, fischiare e chiudere completamente la rima palpebrale, seguita

solitamente da ipostenia del cingolo scapolare, che rende difficile l’elevazione delle braccia.

La malattia viene trasmessa secondo una modalità di tipo autosomico dominante,ed il gene

della distrofia facio-scapolo-omerale si trova sul braccio lungo del cromosoma 4.

DISTROFIA OCULO-FARINGEA Questa forma di distrofia rientra nelle oftalmoplegie

esterne progressive, un gruppo di disordini caratterizzati da ptosi palpebrale e limitazione

dell’oculomozione lentamente ingravescenti. La distrofia oculo-faringea presenta un tipo di

trasmissione autosomico dominante a penetranza completa. Di solito si manifesta con ptosi

87
palpebrale e disfagia che fanno la loro comparsa nella quarta-sesta decade; le difficoltà di

deglutizione possono provocare un aumento delle secrezioni, ripetuti episodi di aspirazione di

cibo nelle vie aeree e soprattutto un deperimento organico potenzialmente letale.

DISTROFIA MUSCOLARE CONGENITA Con questo termine si è soliti indicare più

forme congenite, che da un punto di vista clinico possono essere suddivise in due grosse

categorie: forme con interessamento associato del sistema nervoso centrale (tra cui la

distrofia muscolare congenita di Fukujama, con convulsioni generalizzate tonico-cloniche,

ritardo mentale e microcefalia e la distrofia muscolare con displasia cerebro-oculare, con

anomalie corneali, cataratta bilaterale, displasia retinica ed ipoplasia del nervo ottico) e forme

con esclusiva sofferenza del muscolo scheletrico.

MIOPATIE CONGENITE Queste patologie sono piuttosto rare e vengono distinte dalle

distrofie muscolari per la presenza nel tessuto muscolare di specifiche anomalie istochimiche

e strutturali.

MIOPATIA CENTRAL CORE Per questa forma è tipica la trasmissione autosomica

dominante, ed il gene specifico è stato localizzato sul braccio lungo del cromosoma 19. I

soggetti affetti possono presentare ridotti movimenti fetali e presentazione podalica al parto,

poi lieve ipostenia facciale, dei muscoli flessori del capo e dei muscoli prossimali degli arti.

Le anomalie scheletriche comprendono lussazione congenita dell’anca, scoliosi, piede cavo

ed è presente marcata difficoltà deambulatoria. L’esame istopatologico sul materiale bioptico

assume valore diagnostico, dimostrando la presenza di fibre con aree distinte (cores) singole

o multiple, in sede centrale o eccentrica.

88
MIOPATIA NEMALINICA Il termine nemalina deriva dal greco “nema”(=filo), in l’esame

bioptico muscolare dimostra la presenza di caratteristici agglomerati a bastoncello o spirale

costituiti da strutture filamentose. La trasmissione di questa miopatia è di tipo autosomico

dominante. L’aspetto fisico è caratteristico: capo stretto ed allungato, ampio arco palatino,

prognatismo, anomalie scheletriche, ipotonia muscolare generalizzata.

MIOPATIA CENTRONUCLEARE In questa forma di miopatia l’esame morfologico

evidenzia catene di nuclei centrali, spesso circondati da un alone; l’esame EMG è

diagnostico, in quanto evidenzia onde appuntite positive e potenziali di fibrillazione, scariche

ripetitive complesse e scariche miotoniche. Si distinguono una forma neonatale, caratterizzata

da grave ipotonia ed ipostenia muscolare alla nascita, con gravi difficoltà nella deglutizione e

nella respirazione; una forma della tarda infanzia o prima adolescenza, caratterizzata da

marcato ritardo dello sviluppo motorio, ptosi palpebrale ed oftalmoplegia, aspetto

marfanoide; una forma rara dell’età adulta, caratterizzata da una ipostenia muscolare lieve e

non ingravescente a carico degli arti, in assenza di anomalie scheletriche.

DISTURBI DEL METABOLISMO ENERGETICO DEL MUSCOLO Il muscolo

scheletrico utilizza come principali fonti di energia gli acidi grassi ed il glucosio. Le anomalie

nella utilizzazione di tali fonti energetiche conducono a caratteristiche manifestazioni

cliniche, di entità variabile da una sindrome dolorosa acuta con rabdomiolisi e mioglobinuria

ad un quadro di ipostenia muscolare cronica ed ingravescente, che simula una forma di

distrofia muscolare. Con il termine di glicogenosi si suole indicare quattro forme di

alterazione del metabolismo del glicogeno (tipo II, III, IV,V) e quattro forme di deficit della

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glicolisi (tipo VII, IX, X, XI) associate ad importanti manifestazioni cliniche a carico del

muscolo scheletrico.

ALTERAZIONI DEL METABOLISMO LIPIDICO DEL MUSCOLO Per penetrare nei

mitocondri, gli acidi grassi devono essere convertiti in acil-CoA, il quale a sua volta deve

essere legato alla carnitina dall’enzima carnitina palmitoiltransferasi I (CPT I). La deficienza

miopatica di carnitina si manifesta con debolezza muscolare generalizzata, che esordisce

solitamente nell’infanzia. L’ipostenia muscolare non si associa a dolore, presenta decorso

ingravescente e distribuzione prevalentemente prossimale e può accompagnarsi ad una grave

miocardiopatia. Nella maggior parte dei casi tale alterazione è sporadica, ma si ritiene che

segua una trasmissione autosomica recessiva. Alcuni pazienti rispondono alla

somministrazione orale di carnitina, altri invece alla somministrazione di prednisone,

riboflavina o propanololo. La deficienza di CPT I rappresenta la causa più comune di

mioglobinuria ricorrente, che si manifesta accompagnata da dolori muscolari dopo esercizio

fisico intenso. La forza muscolare è tipicamente normale nell’intervallo tra gli attacchi. Per la

diagnosi è necessario il dosaggio diretto della CPT nel tessuto muscolare.

MIOPATIE MITOCONDRIALI Le miopatie mitocondriali sono un gruppo di patologie

caratterizzate dalla presenza di fibre muscolari anomale, definite “ragged red” (rosse

stracciate) a causa del particolare aspetto che assume il tessuto muscolare fresco conservato

in congelatore. Le fibre ragged red contengono accumuli di mitocondri anomali, che

appaiono di dimensioni aumentate e forme bizzarre al microscopio elettronico.

90
Le caratteristiche genetiche delle malattie mitocondriali sono diverse da quelle delle

patologie cromosomiche, in quanto i geni mitocondriali derivano quasi esclusivamente dalla

madre, perciò queste malattie seguono una trasmissione per via materna.

SINDROMI DA OFTALMOPLEGIA ESTERNA PROGRESSIVA (OEP) CON FIBRE

RAGGED RED Si tratta di sindromi caratterizzate dalla presenza di ptosi palpebrale ed

oftalmoplegia a decorso ingravescente associate a miopatia mitocondriale. Tra queste la

sindrome di Kearns-Sayre, con esordio prima dei 20 anni di età, presenta una triade

particolare di segni clinici: OEP, degenerazione pigmentaria della retina e blocco della

conduzione cardiaca. La sindrome da OEP familiare presenta manifestazioni cliniche limitate

ai muscoli, senza interessamento di altri organi o apparati.

EPILESSIA MIOCLONICA CON FIBRE RAGGED RED Questo disturbo, definito

anche sindrome MERRF, si manifesta con miopatia mitocondriale, mioclono, convulsioni

generalizzate, deterioramento cognitivo, atassia ed ipoacusia.

DEFICIENZA DI CITOCROMO C OSSIDASI Questo disturbo presenta due forme

neonatali, delle quali una benigna ed una maligna con insufficienza respiratoria ed

aminoaciduria, ed una forma che colpisce prevalentemente il tessuto cerebrale (malattia di

Leigh o encefalomielopatia necrotizzante subacuta).

MIOPATIE ENDOCRINE E METABOLICHE Molte malattie endocrine causano

debolezza muscolare, intesa come maggiore affaticabilità piuttosto che ipostenia vera e

propria. La causa di tale debolezza non è stata ancora ben definita, anche perché il dosaggio

sierico della CK è spesso normale e l’istologia muscolare mostra atrofia ma non distruzione

delle fibre muscolari. Ad esempio in pazienti con ipotiroidismo compaiono spesso crampi,

91
mialgie e rigidità muscolare, mentre i pazienti con tireotossicosi possono mostrare deficit di

forza in sede prossimale ed ipotrofia muscolare con riflessi osteotendinei integri o accentuati.

Un deficit di forza muscolare fa parte del quadro clinico dell’iperparatiroidismo sia primario

che secondario, così come condizioni caratterizzate da eccesso di glucocorticoidi sono causa

di miopatia. Una miopatia può anche comparire come parte del quadro clinico di una

ipovitaminosi, e la carenza di vitamina D ne è l’esempio più classico.

Infine importanti patologie sistemiche, quali l’insufficienza respiratoria cronica,

l’insufficienza cardiaca e l’insufficienza renale cronica, sono spesso associate a marcato

deficit di forza e di trofismo muscolare.

MIOPATIE TOSSICHE Farmaci e sostanze chimiche possono causare danni focali o

generalizzati sul muscolo scheletrico. Gli analgesici narcotici (soprattutto pentazocina,

meperidina ed eroina) possono determinare una grave reazione fibrotica del muscolo, con la

formazione di ascessi, ulcere cutanee, e addirittura gravi retrazioni articolari. I farmaci

ipocolesterolemizzanti (clofibrato, lovastatina, gemfibrozil, niacina) sono tutti considerati una

possibile causa di miopatia, così come una miopatia farmaco-indotta con ipostenia prossimale

si manifesa durante il trattamento con corticosteroidi. L’alcol può causare ipostenia

muscolare acuta con rabdomiolisi e mioglobinuria. Infine in individui predisposti

l’esposizione ad alcuni anestetici generali e miorilassanti depolarizzanti (alotano, etilene,

metossiflurano, lidocaina) può dare luogo ad una grave condizione farmaco-indotta,

l’ipertermia maligna.

92
MIASTENIA GRAVIS

La miastenia gravis è una malattia neuromuscolare che può interessare soggetti di qualunque

età, anche se ci sono picchi di incidenza in donne tra i 20 ed i 30 anni e gli uomini tra i 50 ed

i 60. Le donne sono interessate più frequentemente degli uomini (rapporto di 3:2). La

patologia è dovuta ad una diminuzione del numero dei recettori dell’acetilcolina (AchR)

presenti a livello della giunzione neuromuscolare (membrana postsinptica), dovuta ad una

aggressione autoimmune mediata da anticorpi specifici anti-AChR. Questa modificazione

provoca una diminuita efficienza della trasmissione neuromuscolare, e di conseguenza una

contrazione muscolare debole. Come abbia inizio e sia mantenuta la risposta autoimmune

all’origine della malattia non è completamente chiaro, anche se sembra che cellule simil-

muscolari all’interno di un timo anormale (il 65% dei pazienti presenta un timo iperplastico,

il 10% presenta timomi) possano funzionare come fonti di autoantigeni.

Le caratteristiche cliniche essenziali della miastenia gravis sono l’affaticabilità dei muscoli e

l’ipostenia. L’ipostenia aumenta durante l’uso ripetuto della muscolatura e può migliorarae

con il riposo o il sonno, inoltre la distribuzione ha una modalità caratteristica: palpebre e

muscoli extraoculari sono coinvolti precocemente, dando luogo a diplopia e ptosi. Il paziente

assume una espressione “ringhiante” quando cerca di sorridere a causa della ipostenia

facciale, non riesce a masticare a lungo, ha difficoltà nella deglutizione ed è spesso disartrico.

Il decorso della patologia è variabile: si possono verificare esacerbazioni e remissioni,

soprattutto nei primi anni dopo l’insorgenza. Nella maggior parte dei casi l’ipostenia diventa

generalizzata, interessando gli arti, soprattutto a livello prossimale e con distribuzione spesso

asimmetrica. I riflessi osteotendinei sono preservati.

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Se l’ipostenia della muscolatura respiratoria o dei muscoli della deglutizione diventa così

grave da richiedere l’assistenza respiratoria o l’intubazione, si parla di crisi miastenica.

La diagnosi, che si basa sull’evidenza clinica, deve essere confermata mediante il test

all’anticolinesterasi (farmaci come l’edrofonio che inibiscono l’enzima acetilcolinesterasi

producono un miglioramento della forza dei muscoli miastenici), esami elettrodiagnostici

(stimolazione ripetitiva del nervo) e l’evidenza di anticorpi anti-AchR nel siero. Spesso la

miastenia gravis si associa ad altre patologie che vanno opportunamente ricercate: oltre alle

già citate anomalie timiche, aumenta l’incidenza di ipertiroidismo e di altri disturbi

autoimmuni.

La prognosi della malattia è decisamente migliorata grazie ai progressi effettuati nella terapia,

tanto che i pazienti miastenici trattati adeguatamente possono ottenere una soddisfacente

qualità di vita. I farmaci più usati sono gli anticolinesterasici (piridostigmina) e gli agenti

immunosoppressori (glucocorticoidi, da soli o associati ad azatioprina e ciclosporina).

Sempre più spesso si ricorre alla timectomia, che offre la possibilità di un beneficio a lungo

termine, in alcuni casi diminuendo o eliminando il bisogno di continuare la terapia medica.

Come espediente temporaneo nei pazienti gravi o prima dell’intervento di timectomia può

essere utile la plasmaferesi, che trova giustificazione nella patogenesi mediata da anticorpi.

La causa più comune di crisi miastenica è una infezione intercorrente, che andrebbe trattata

immediatamente perché le difese meccaniche ed immunologiche del paziente possono

risultare compromesse. Una terapia antibiotica precoce, l’assistenza respiratoria e la

fisioterapia polmonare sono elementi essenziali del programma terapeutico.

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LE CEFALEE

Con il termine cefalea si suole indicare una sensazione caratterizzata da sgradevolezza

accompagnata da una forte partecipazione psichica ed affettiva, provocata dalla stimolazione

ed alterazione di un sistema recettoriale specifico. Il dolore tipico della cefalea va distinto dal

dolore delle nevralgie (dolore localizzato nel settore innervato dai tronchi nervosi interessati),

in quanto presenta una localizzazione prevalentemente neurocranica: l’estensione topografica

non corrisponde al territorio di distribuzione dei singoli tronchi nervosi.

Nell’ambito delle molteplici varietà cliniche di cefalea è necessario operare una prima

grossolana distinzione tra forme “primarie” o “idiopatiche”, che rappresentano allo stesso

tempo sintomo e malattia (90% di tutte le cefalee) e forme “secondarie”, sintomo di altre

malattie. La classificazione più rigorosa ed accurata delle cefalee risale al 1988 ad opera

dell’International Headache Society (IHS).

Nell’ambito della valutazione clinico-diagnostica delle cefalee risulta fondamentale una

accurata anamnesi, volta ad identificare con la massima precisione possibile l’andamento

temporale dei sintomi, l’epoca di insorgenza e la eventuale periodicità degli attacchi, la

presenza di deficit neurologici di accompagnamento, l’unilateralità o meno del dolore,

l’intervento di particolari meccanismi di scatenamento, associata ad un esame obiettivo

preciso e completo.

EMICRANIA L’emicrania viene definita come un disordine familiare caratterizzato da

attacchi ricorrenti di cefalea, molto variabili per intensità, frequenza, durata. Il dolore, di

solito unilaterale ed a carattere pulsante, si associa a disturbi sensori-motori, vegetativi,

dell’umore e del comportamento. La familiarità è stata dimostrata in un 60-70% dei casi di

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emicrania (soprattutto per quanto riguarda la forma senza aura), ma recenti studi tendono a

sottolineare il concetto che l’incidenza familiare non implica necessariamente l’ereditarietà,

considerando che la famiglia non rappresenta solo una fonte di geni, ma anche una

circostanza ambientale di importanza non trascurabile.

EMICRANIA SENZA AURA (“comune”, “semplice”) Si tratta di un disordine idiopatico

che si manifesta con attacchi ricorrenti della durata di 4-72 ore. Caratteristiche tipiche di

questa forma di cefalea sono l’unilateralità, l’intensità media o severa, la pulsatilità

(chiaramente avvertita e riferita dal paziente), l’aggravamento provocato dalla normale

attività fisica, l’associazione con nausea (a volte vomito), fonofobia, fotofobia (a volte il

sonno interrompe la sequenza del dolore). Fattori scatenanti sono lo stress, l’alcol, il digiuno

oppure al contrario l’ingestione di alcuni cibi, l’esposizione prolungata al sole, le alterazioni

del sonno, il flusso mestruale nelle donne.

EMICRANIA CON AURA (“classica”, “oftalmica”, accompagnata”, “complicata”) E’

meno frequente della precedente. Si tratta di un disturbo idiopatico, ricorrente, caratterizzato

da attacchi unilaterali con presenza di sintomi neurologici di disfunzione focale emisferica

e/o troncoencefalica, che usualmente si sviluppano nel giro di 5-20 minuti e perduranp non

più di 60 minuti. I sintomi neurologici di disfunzione focale (disturbi visivi come scotomi

scintillanti e spettri di fortificazione,fotofobia, emiparesi, emiparestesie, afasia, tremori ecc)

vengono definiti “aura”. Questa forma di cefalea si distingue da quella senza aura proprio per

la presenza dei sintomi tipici dell’aura che possono precedere l’attacco emicranico anche di

un’ora, per la maggiore rapidità con la quale si instaura e per la durata spesso inferiore.

Nell’ambito delle emicranie con aura si distinguono forme caratterizzate dalla presenza dei

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sintomi neurologici focali esclusivamente nella fase prodromica (emicrania con aura tipica),

forme con sintomi prodromici che persistono per più di 60 minuti, ma con recupero completo

nell’arco di una settimana (emicrania con aura protratta), forme con interessamento del

tronco encefalico o di entrambi i lati occipitali (emicrania basilare). Altre forme particolari

sono l’emicrania oftalmoplegica (attacchi ripetuti di cefalea accompagnati da paresi di uno o

più nervi cranici oculomotori in assenza di lesioni intracraniche dimostrabili) e l’emicrania

retinica (ripetuti attacchi di scotoma o cecità monoculare di durata inferiore ai 60 minuti

associati a cefalea. A volte l’aura non è seguita dalla fase algica, ed allora si parla di “aura

emicranica senza cefalea”.

Tra le più importanti complicanze dell’emicrania, dovute di solito al perdurare

dell’alterazione circolatoria cerebrale, è bene annoverare lo stato di male emicranico,

caratterizzato da attacchi di emicrania con cefalea che dura oltre le 72 ore, indipendentemente

dall’instaurazione di un trattamento adeguato, oppure da attacchi di emicrania subentrante

con intervalli liberi inferiori alle 4 ore, e l’infarto emicranico (o emicrania complicata), che

si instaura quando uno o più sintomi neurologici dell’aura perdurano per una settimana o

anche oltre (per il perdurare della fase costrittiva dell’emicrania con conseguente

ipoirrorazione dei vasi cerebrali) e possono diventare irreversibili, provocando un danno

ischemico a tutti gli effetti, ben evidenziabile alla TC.

Nei pazienti che presentano una sintomatologia riconducibile ad una affezione emicranica si

rende necessario eseguire una serie di esami di base volti ad escludere la presenza di altre

patologie, come il dosaggio della creatinfosfochinasi e dell’acido lattico (per escludere alcune

miopatie, soprattutto mitocondriali, che possono presentare all’esordio sintomi simili a quelli

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di una cefalea vasogenica), l’ecosonordoppler transcranico e dei vasi epiaortici (per escludere

la presenza di malformazioni a carico delle arterie cerebrale anteriore, media e basilare), gli

esami neuroradiologici (RM e TC), eventuali consulenze oculistiche (glaucoma),

odontoiatriche (alterazioni dell’articolazione temporo-mandibolare), otorinolaringoiatriche

(malformazioni delle lamine etmoidali).

Il trattamento terapeutico dell’emicrania è sintomatico, prevedendo l’uso di antiemetici,

sedativi, FANS. Attualmente si tende ad evitare l’uso dell’ergotamina, a causa della scarsa

tollerabilità e della potenziale tossicità. Il trattamento profilattico (calcioantagonisti,

betabloccanti, inibitori della ricaptazione della serotonina) è previsto nei soggetti che

lamentano più di due attacchi al mese oppure attacchi particolarmente dolorosi e prolungati.

Il primo tentativo di spiegare l’eziopatogenesi dell’emicrania risale alla cosiddetta teoria

“vascolare” di Wolff, che ipotizzava che l’aura consistesse in una vasocostrizione delle

diramazioni intracraniche della carotide esterna responsabile di ipossia cerebrale, e che il

dolore della cefalea derivasse dalla vasodilatazione reattiva dei rami della carotide esterna.

Tale teoria, che non chiariva l’origine delle crisi algiche indipendenti dal coinvolgimento del

circolo extradurale, è stata successivamente soppiantata dalla cosiddetta teoria “biochimica”:

i vasi durali andrebbero incontro a vasodilatazione paralitica (per un imprecisato calo

dell’effetto inibitorio esercitato dalle endorfine sui neuroni del locus coeruleus), con

conseguente edema ed aumento della permeabilità vasale. Il risultato finale di questo

processo a catena sarebbe la liberazione massiva di sostanze come la serotonina, la

bradichinina e l’istamina, tutte dotate di attività algogena, microvasoattiva e neurotropa.

Un’altra recente ed interessante teoria è quella cosiddetta “centrale”, che suggerisce che

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all’origine degli attacchi emicranici esista un difetto nel controllo del meccanismo di

modulazione e trasmissione del dolore a livello cosciente, il quale si tradurrebbe in un

abbassamento della soglia di percezione dolorifica.

CEFALEE TENSIVE Si indicano con questo termine quelle forme di cefalea ad andamento

continuo o subcontinuo che non soddisfano i criteri diagnostici dell’emicrania o della cefalea

a grappolo.

CEFALEA DI TIPO TENSIVO EPISODICA Consiste in episodi ricorrenti di cefalea che

durano da minuti a giorni. Il dolore è di tipo compressivo-costrittivo (non pulsante), di

intensità lieve o moderata, con localizzazione bilaterale. Non peggiora con la normale attività

fisica. E’ assente nausea, ma può accompagnarsi a fonofobia o fotofobia. La cefalea è

presente per meno di quindici giorni al mese. La componente psicologica è molto importante

in questo tipo di cefalea, in quanto può amplificare la frequenza, intensità e durata degli

attacchi: nella maggior parte dei casi è sostenuta da episodi particolarmente stressanti. Un

segno semeiologico caratteristico consiste nel fatto che premendo con un dito sul muscolo

temporale del paziente, quest’ultimo tende ad allontanarsi anche se in quel momento non ha

dolore. Spesso questo tipo di cefalea si associa ad una disfunzione dell’articolazione

temporo-mandibolare.

CEFALEA DI TIPO TENSIVO CRONICA Consiste in una cefalea che dura per più di 15

giorni al mese per almeno 6 mesi. E’ tipicamente presente al mattino (“cefalea del cuscino”).

Il dolore è bilaterale, di tipo gravativo-costrittivo, di intensità lieve-moderata, non peggiorato

dall’attività fisica. Può essere accompagnata da nausea, fonofobia o fotofobia. Si distinguono

due forme, una “associata” ed una “non associata” ad alterazioni dei muscoli pericraniali. La

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terapia di scelta è l’amitriptilina, un antidepressivo triciclico, alla dose di 50-70 mg/die: per

queste forme su base prevalentemente psicogena gli psicofarmaci offrono risposte molto

positive in quanto agiscono alleviando lo stress psicologico del paziente.

CEFALEA A GRAPPOLO Consiste in attacchi dolorosi unilaterali, di elevatissima

intensità, localizzati in sede orbitaria, sovraorbitaria e/o temporale, di durata variabile da un

minimo di venti minuti (nella maggior parte dei casi) ad un massimo di circa tre ore. Colpisce

prevalentemente il sesso maschile intorno alla seconda-terza decade, e si distinguono una

forma episodica ed un forma cronica. Solitamente la frequenza varia da un attacco ogni due

giorni fino a 8 attacchi al giorno. E’ importante distinguere la cefalea a grappolo dalla

nevralgia essenziale del trigemino, localizzata secondo le branche nervose colpite.

Gli attacchi caratteristici di questa forma di cefalea vengono definiti “a grappolo” perché

sono raggruppati in periodi limitati di settimane o mesi, intervallati da periodi di remissione

che durano mesi oppure anni. Durante i “grappoli” le crisi algiche tendono a sopraggiungere

quotidianamente in orari abbastanza stereotipati, e sono accompagnati solitamente da uno o

più segni omolaterali al dolore: iniezione congiuntivale, lacrimazione, ostruzione nasale,

rinorrea, iperidrosi della fronte e della faccia, miosi, ptosi ed edema palpebrale. Durante gli

attacchi il paziente appare in condizioni di sofferenza estrema: l’emiviso coinvolto presenta

arteria temporale turgida, pulsante e dolente, ptosi e miosi della palpebra, lacrimazione ed

intenso arrossamento congiuntivale. La cefalea a grappolo risponde bene ad ergotamina ed

indometacina (a somministrazione endovenosa, data la brevità e violenza degli attacchi).

Sono state avanzate due teorie patogenetiche per tentare di spiegare l’origine del dolore tipico

di questa forma di cefalea: ipotesi simpatica (ipofunzione simpatica dovuta a lesione del

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plesso simpatico nella avventizia della carotide esterna con irritazione ed edema vasale) ed

ipotesi parasimpatica (iperattività parasimpatica mediata dal V e III paio di nervi cranici).

Tuttavia nessuna delle due è in grado di spiegare esaurientemente l’intero corso

sintomatologico dell’affezione.

EMICRANIA CRONICA PAROSSISTICA Si tratta di una forma rara di cefalea che si

presenta con le stesse caratteristiche del dolore e gli stessi fenomeni neurovegetativi che

accompagnano la cefalea a grappolo, ma differisce da questa per la predominanza nel sesso

femminile, la maggiore frequenza (più di 5 al giorno) e la minore durata (2-45 minuti) degli

attacchi e per l’elettiva risposta positiva alla somministrazione di endometacina (circa 150

mg/die).

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Mayo Clinic and Mayo Foundation for Medical Education and Research
Clinical Examinations in Neurology
Sounders, Philadelphia

Adams RD, Victor M, Ropper A


Principi di neurologia
Mc Graw-Hill, Milano

Samuels MA, Feske S


Office Practice of Neurology
Churchill Livingstone

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