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LE ORIGINI DEL MONDO ATTUALE:

L’ETÀ DELLA GUERRA FREDDA


IL CONFRONTO EST-OVEST 1945-1991. IL CROLLO DEL
COMUNISMO RUSSO E LA FINE DEL BIPOLARISMO. LA NASCITA
DELL'ECONOMIA GLOBALE NEOLIBERISTA

di Federico Repetto

[Manifesto de “Il dottor Stranamore”, il film più famoso sul rischio di guerra nucleare ]

VI SARÒ GRATO SE MI SEGNALERETE ERRORI E FRASI POCO COMPRENSIBILI:


potete scrivere a f.repetto.info@gmail.com
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A CHE SERVE UN LIBRO DI STORIA CONTEMPORANEA OGGI?


Il mondo di oggi non offre un panorama incoraggiante agli adolescenti – sarebbe
da vigliacchi negarlo. La crisi economica riduce le prospettive di lavoro e di
autorealizzazione, e riduce in modo duro e ingiusto anche tutte le prospettive di
consumo dei ceti popolari, proprio mentre avremmo bisogno invece di diminuire
razionalmente e in modo equo e mirato i nostri consumi inquinanti (moltissimi,
diciamo la verità). Ma il problema gravissimo del cambiamento climatico sembra
diventare meno urgente di fronte a una serie di guerre che provocano molte centinaia
di migliaia di morti e milioni di profughi.
Eppure i problemi sono connessi: quasi tutte le guerre odierne sono combattuto in
aree in cui si trovano fonti di energia non rinnovabile (o nella loro prossimità, segno
che le grandi potenze (e anche molte di quelle piccole) puntano ad accaparrarsele in
vista del loro progressivo esaurimento. In pratica privilegiano le spese militari per
controllare le aree che possono produrre idrocarburi rispetto alle spese per la ricerca
nelle energie rinnovabili.
Ma è vero? La Libia, l’Irak e la Nigeria sono casi ovvi. Ma che c’entra p.es.
l’Afghanistan con il petrolio? C’entra eccome. Prima dell’invasione americana del
2001, motivata con le Torri Gemelle, esisteva un piano tra alcune grandi
multinazionali petrolifere per la costruzione di un oleodotto-gasdotto per trasportare
gli idrocarburi del Turkmenistan attraverso l’Afghanistan e il Pakistan fino all’Oceano
Indiano. L’oleodotto oggi non appare più possibile, e nemmeno la pacificazione
dell’area. La Siria, oltre a trovarsi impegolata nei conflitti legati all’Irak per ovvie
questioni di vicinanza geografica e affinità politica, ha anche lei, nel suo piccolo,
discrete riserve di petrolio (proprio nelle zone a suo tempo occupate dall’Isis).
Un’altra grande questione, nota a chi studia la storia contemporanea e la
geografia economica, è quella dei profughi climatici. Il cambiamento climatico
aumenta l’aridità di vaste aree subsahariane, già inaridite dalle monoculture agricole
promosse dalle multinazionali. E gli abitanti di queste zone migrano a causa della
miseria, e la loro prima prova è l’attraversamento del Sahara... Anche le migrazioni
dei latinos verso gli Stati Uniti (contro cui già ben prima di Trump gli americani hanno
cominciato a costruire un muro) hanno in parte come causa il clima, la crisi
economica e la sovrappopolazione.
Il libro che leggerete vi darà un’idea delle cause di alcuni di questi grandi fenomeni
(soprattutto nell’ultima parte). Chissà se riuscirò a scrivere un capitolo sui fatti del
periodo 2000-2019?
Quello di essere informati sul mondo è un problema per chi studia in un paese in
cui a scuola quasi non esistono la geografia e la storia contemporanea, e in cui i
media si occupano solo di ciò che gira (o che si suppone giri) intorno all’ombelico
degli italiani. Sono semplicemente disgustato dall’ossessiva ripetizione in tv della
parola “italiani”, quando qualunque persona ragionevole nella società della
globalizzazione sa che i destini di tutti i popoli sono sempre più intrecciati. E quando
molti dei telespettatori sono italiani (o meglio anche-italiani, come tutti i figli degli
immigrati), ma privi di cittadinanza.

Questo libro è stato scritto per un lettore attivo e curioso, pronto ad usarlo come
trampolino per andare più in là, disposto ad agire collettivamente con gli altri in difesa
del bene comune. Per capire meglio la narrazione servirebbe un minimo di
conoscenza della storia contemporanea, come quella che dovrebbe avere uno
studente di quinta superiore che ha terminato il programma di storia. Ma quello che
conta è provare testardamente a capire.

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A Renato Solmi
Allo straordinario amico, coltissimo e
immune da qualunque presunzione, che
credeva davvero negli studenti e nella
divulgazione democratica, senza i cui
stimoli e consigli non avrei pubblicato ed
aggiornato questo libro

AVVERTENZA
L'Introduzione ("Dalla lotta triangolare comunismo-fascismo-capitalismo al duello
fascismo-antifascismo”) non ha la pretesa di raccontare la storia del periodo dell'esplosione
del totalitarismo e della seconda guerra mondiale, ma fornisce solo una riflessione sui
concetti chiave che si useranno esponendo il periodo 1945-1991.
Il corpo del testo (Cap. 1-5) cerca di narrare i fatti più rilevanti di questo periodo mettendo
in gioco questi concetti chiave. La narrazione storica riguarda i rapporti internazionali e lo
sviluppo economico, sociale e politico degli Stati Uniti, dell'Unione Sovietica e dell'Europa
(con particolare riferimento all'Italia), mentre del resto del mondo si parla solo quando il
discorso complessivo lo richiede. In particolare si sono trascurati la decolonizzazione, la cui
comprensione sarebbe necessaria per la comprensione del mondo attuale, e i tentativi di
costruire economie nazionali non dominate dagli interessi economici dei paesi occidentali (su
ciò spero di tornare in una prossima edizione).
La Conclusione (sugli anni novanta), come l’Introduzione, non è un racconto sistematico
dei fatti storici, ma cerca di esporre i nuovi grandi problemi che si delineano in seguito alla
scomparsa del bipolarismo e alla globalizzazione dell’economia .

La comprensione del presente libro diventa più piena se si consulta in parallelo qualche
tavola cronologica dei fatti narrati e se si tiene sott'occhio un atlante storico (per questi
strumenti integrativi si veda la Bibliografia finale).

Questo testo non è stato scritto da uno storico di mestiere, e non è fondato su di un'ampia e dettagliata analisi
dei documenti originali e delle statistiche, ma è il risultato della lettura di opere storiografiche soprattutto di
carattere generale (anche per queste si veda la Bibliografia). L'autore ha cercato solo di rielaborare ed esporre
nel modo più semplice e chiaro possibile tali opere, nel quadro di un’esplicita presa di posizione a favore della
democrazia parlamentare, dello sviluppo delle libertà civili, politiche e sociali, della creazione di pari opportunità
per tutti, della soluzione dei conflitti con mezzi pacifici e della difesa dell'ambiente.

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[Scritto a Torino nel dicembre 2000 e modificato e ampliato nel marzo 2015]

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INDICE
Introduzione. Dalla lotta triangolare comunismo-fascismo-capitalismo al
duello fascismo-antifascismo
p.10
IL COMUNISMO RUSSO
FASCISMO E NAZISMO
LE DEMOCRAZIE LIBERALI CAPITALISTICHE
LA FEDE NELLA DEMOCRAZIA E IL MITO DEL PROGRESSO
LA GUERRA TOTALE
LA LOTTA CONTRO LA BARBARIE NAZIFASCISTA (UNIONE ANTIFASCISTA DELLE FORZE DELLE
DEMOCRAZIE CAPITALISTICHE E DELL'UNIONE SOVIETICA)
LA LOTTA DEGLI ALLEATI CONTRO IL NAZISMO: L'ETA' DELLA SPERANZA
LA SPARTIZIONE DELL'EUROPA

Cap. 1. La guerra fredda: gli anni del gelo


p.29
LA CRISI DEI RAPPORTI EST-OVEST E LA "DOTTRINA TRUMAN"
LOTTA IDEOLOGICA E POLITICA DI POTENZA
CACCIA ALLE STREGHE E GUERRA DI RELIGIONE: MACCARTISMO E ZDANOVISMO
LA RIVOLUZIONE CINESE E LA GUERRA DI COREA
AL DI SOPRA O FUORI DEI BLOCCHI: LA FUNZIONE DELL'O.N.U., LA DECOLONIZZAZIONE E IL NON
ALLINEAMENTO
IL GRANDE BOOM DEL 50-73: LO SVILUPPO ECONOMICO OCCIDENTALE
IL GRANDE BOOM DEL 50-73: LO SVILUPPO ECONOMICO DEL BLOCCO SOVIETICO
IL SOTTOSVILUPPO
L'ITALIA DALLA RESISTENZA AL PREDOMINIO DEMOCRISTIANO
IL BIPARTITISMO PERFETTO ANGLOSASSONE E BIPARTITISMO IMPERFETTO ITALIANO
L'ALIBI DELL'EGEMONIA AMERICANA
L'ITALIA DEL BOOM ECONOMICO

Cap.2. Il disgelo: sviluppo economico e coesistenza pacifica


p.55
LA DESTALINIZZAZIONE, LA DISTENSIONE E LA CONVIVENZA PACIFICA
LA POLITICA ESTERA DI KRUSCIOV
LA REPRESSIONE DELLA RIVOLTA UNGHERESE E LA CRISI DI SUEZ
LA CORSA AGLI ARMAMENTI E L'EQUILIBRIO DEL TERRORE
KENNEDY E LA SUA POLITICA SOCIALE. L'"ETA' DELL'ORO" DELLO WELFARE
LA FINE DELLA CROCIATA CATTOLICA E IL CONCILIO VATICANO II. IL CENTRO SINISTRA
LA GUERRA D'ALGERIA E L'AVVENTO DI DE GAULLE
LA FRANCIA E LA CINA FUORI DAI DUE GRANDI BLOCCHI. E LA COMUNITA' EUROPEA?
LA COSTITUZIONE DELLA QUINTA REPUBBLICA FRANCESE: IL BIPARTITISMO ARTIFICIALE
IL SISTEMA POLITICO TEDESCO E L'ECONOMIA TEDESCA

Cap.3. La contestazione globale del sistema bipolare


p.71
LA GUERRA DEL VIETNAM, LA CONTESTAZIONE UNIVERSITARIA E LA RADICALIZZAZIONE DEL
MOVIMENTO DEI NERI
IL 68 COME STATO D'ANIMO GLOBALE
IL 68 ITALIANO E L'AUTUNNO CALDO DEL 69
LA RISPOSTA AL 68: RIFORME E STRATEGIA DELLA TENSIONE
L'EVOLUZIONE DEI PAESI DELL'EST FINO AL 1975: IL TENTATIVO SOVIETICO DI RIFORMARE IL
SISTEMA DELLA PIANIFICAZIONE
L'EVOLUZIONE DEI PAESI DELL'EST FINO AL 1975: GLI ACCORDI DI HELSINKI E L'INDEBITAMENTO
CON L'OCCIDENTE
LA CRISI PETROLIFERA E L'INFLAZIONE MONDIALE

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LA POLITICA MULTIPOLARE DI KISSINGER E LA CONFERENZA DI HELSINKI. LA "SINDROME DEL


VIETNAM" E IL DECLINO DELLA LEADERSHIP AMERICANA
LA CRISI PETROLIFERA E LA GUERRA DEL KIPPUR. LA QUESTIONE PALESTINESE
LA RIVINCITA DELL'UNIONE SOVIETICA. IL VIETNAM CONTRO IL REGIME DI POL POT
LA VITTORIA DELLE SINISTRE NELLE REGIONALI IN ITALIA E L'EUROCOMUNISMO
IL TERRORISMO ROSSO IN ITALIA. I GOVERNI DI SOLIDARIETA' NAZIONALE

Cap.4. Una nuova fase di tensione est-ovest


p.95
LA CORSA AGLI ARMAMENTI NUCLEARI E LA NUOVA FASE ACUTA DELLA GUERRA FREDDA
UNA NUOVA CONTESTAZIONE DEL BIPOLARISMO: LA RIVOLUZIONE ISLAMICA IN IRAN
L'INVASIONE DELL'AFGHANISTAN E GLI ALTRI FATTORI DELLA CRISI INTERNA DELL'UNIONE
SOVIETICA
L'U.R.S.S. E IL PROBLEMA POLACCO. IL PAPA POLACCO E IL MONDO MODERNO
LA SVOLTA NEOCONSERVATRICE NEGLI U.S.A. E NEL MONDO
LA SVOLTA NEOCONSERVATRICE NEI PAESI AVANZATI E LA SVOLTA A SINISTRA -
CONTROCORRENTE - DELLA FRANCIA DI MITTERAND
IL PENTAPARTITO E I GOVERNI CRAXI: LA SITUAZIONE ECONOMICA ITALIANA
POLITICA, TRAME OCCULTE E MASS MEDIA AI TEMPI DEL PENTAPARTITO

Cap.5. Il crollo del muro di Berlino e la fine del bipolarismo


p.112
GORBACIOV: LA PERESTROIKA
IL CROLLO DEL MURO DI BERLINO. LA FINE DEL BIPOLARISMO E LA SPERANZA DI UN MONDO
MENO VIOLENTO
DA GORBACIOV A ELTSIN: LA DISSOLUZIONE DELL'UNIONE SOVIETICA
LA DISGREGAZIONE DEGLI STATI MULTIETNICI E LA RIPRESA GENERALIZZATA DEI CONFLITTI TRA
ETNIE
I CONFLITTI TRA ETNIE E TRA CIVILTA' SONO LA REGOLA NEL NUOVO MONDO POST-BIPOLARE?
LE DIFFICOLTA' DELLO STATO-NAZIONE ITALIANO: LA LEGA E L'"IDENTITA'" SETTENTRIONALE",
TANGENTOPOLI E LO SFASCIO DEI PARTITI
UN PROCESSO DI AGGREGAZIONE: LO SVILUPPO DELL'UNIONE EUROPEA

Conclusione. L’economia globale neoliberista: accelerazione e crisi


p.131
LA SPERANZA DI UN "NUOVO ORDINE MONDIALE" E LA 1a GUERRA DEL GOLFO
IL POLO UNICO
POLO UNICO, PENSIERO UNICO E CAPITALE GLOBALE
LA POLITICA DALL'IDEOLOGIA ALL'IMMAGINE
MEDIA E POTERE NEL MONDO
L'ITALIA DELLA COSIDDETTA SECONDA REPUBBLICA
DALLA GUERRA FREDDA AI CONFLITTI TRA CIVILTA' E TRA ETNIE
LA PRETESA DELL’OCCIDENTE D’ESSERE ARBITRO SOPRA LE PARTI: LA “GUERRA UMANITARIA”
CONTRO LA SERBIA DEL 1999
L’EGEMONIA DEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA
UNA MOBILITAZIONE DEMOCRATICA DELL’EUROPA POTREBBE CONTRASTARE L’EGEMONIA DEL
CAPITALISMO NEOLIBERISTA
INTERNET, RISORSA DEL “TURBOCAPITALISMO” O CHANCE PER LA DEMOCRAZIA?

UNA SINTESI DEI PROBLEMI CHE ABBIAMO EREDITATO E QUALCHE RIFLESSIONE FINALE

Suggerimenti sitografici e bibliografici


p.171
FILMOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA

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CARTE DELL’EUROPA DELLA GUERRA FREDDA

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Introduzione
Dalla lotta triangolare comunismo-
fascismo-capitalismo al duello fascismo-
antifascismo
LE ORIGINI DELLA GUERRA FREDDA
NELLA GUERRA FREDDA -CONFLITTO SENZA SCONTRI ARMATI-
L'AVVERSARIO È PERÒ CONSIDERATO NEMICO IRRIDUCIBILE
"Guerra fredda" significa stato di allarme politico e ideologico, guerra senza scontri
armati - in cui tuttavia l'avversario resta un nemico irriducibile, sempre potenzialmente
pericoloso. Con questa espressione si indica quel clima minaccioso di tensione che pesò sul
mondo per quasi cinquant'anni - tra la fine della seconda guerra mondiale e la
autosoppressione dell'U.R.S.S. nel 1991; esso fu caratterizzato dall'ostilità tra due grandi
blocchi, quello orientale comunista e quello occidentale capitalista (che ad un certo punto
inglobavano gran parte del pianeta), egemonizzati dalle due superpotenze nucleari, gli Stati
Uniti e la stessa U.R.S.S. Nonostante le divergenze che le contrapponevano, le due
superpotenze non giunsero mai allo scontro diretto, alla terza guerra mondiale: ne furono
distolti dal ricordo della seconda guerra mondiale (calda quanto altre mai) e soprattutto dalla
nuova prospettiva di un annullamento totale di sé, del nemico e dell'intera umanità attraverso
la guerra atomica. Ci si "limitò" dunque ai conflitti locali, che sono costati comunque al cune
decine di milioni di morti.
IL BIPOLARISMO: NOI CONTRO LORO, IL BENE CONTRO IL MALE
Il bipolarismo, la contrapposizione tra due blocchi, era, pur nel conflitto, una situazione chiara e definita: Noi contro
Loro, il Bene contro il Male (e questo era, beninteso, il modo di pensare di entrambe le parti). Questo modo di pensare
dogmatico e semplificato, che porta alla demonizzazione del nemico, si è consolidato ed è durato quasi mezzo secolo, ma
aveva avuto le sue origini da un lungo periodo di caos e di lotta generalizzata, in cui i fronti cambiavano continuamente. Si tratta
di quella serie di conflitti che sono stati chiamati le nuove "guerre di religione" o la " guerra civile europea", dalla prima guerra
mondiale -1914/1918 - e dalla rivoluzione russa -1917- alla seconda guerra mondiale -1939-1945, passando attraverso una
serie di altri conflitti e rivoluzioni, tra cui la rivoluzione comunista e la controrivoluzione in Ungheria -1919/1920-, l'instaurazione
del fascismo in Italia -1922/1925- e del nazismo in Germania -1933-, la guerra civile spagnola -1936/1939-, le aggressioni
naziste all'Austria, alla Cecoslovacchia e alla Polonia -1938/1939 (vedi--> SCHEDA. IL CONCETTO DI “GUERRA CIVILE
EUROPEA”)
LOTTA TRIANGOLARE TRA COMUNISMO, FASCISMO E
DEMOCRAZIA
E' bene quindi chiarire per prima cosa quali sono state le principali parti (partiti,
movimenti, ideologie, regimi) in conflitto nelle cosiddette "guerre di religione", cioè
nei grandi conflitti tra sistemi ideologico - sociali, che hanno insanguinato l'Europa
prima della guerra fredda. Semplificando, possono essere ridotte a tre campi
principali: 1)il comunismo sovietico, 2)il fascismo e il nazismo e 3)il liberalismo
democratico.

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Essi si combattono in una lotta triangolare, e a volte due di essi si alleano contro il
terzo, cambiando anche di periodo in periodo le alleanze.

1) Il comunismo bolscevico sovietico


Il regime comunista sovietico russo nacque da una grande rivoluzione popolare originata
dalle stragi e dai patimenti della prima guerra mondiale.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE, CONFLITTO TRA LE GRANDI
POTENZE IMPERIALISTICHE EUROPEE
In effetti, i grandi conflitti ideologici del nostro secolo traggono inizio dalla prima guerra
mondiale, che, almeno a prima vista, fu soprattutto un conflitto tra le grandi potenze
imperialistiche europee per l'egemonia nei Balcani e nella stessa Europa, e per la
ridistribuzione delle colonie. Ma il coinvolgimento delle grandi masse popolari nella interminabile
guerra di trincea aveva reso indispensabile presentarlo - nella propaganda dei diversi
contendenti - come un conflitto di civiltà, per cui il paese nemico (interlocutore diplomatico,
partner commerciale o ordinaria meta di viaggi fino al giorno dello scoppio della guerra) era ora
stigmatizzato come barbaro e spietato.
Il comunismo sovietico si contrappone a tutte le grandi potenze, considerandole
tutte responsabili della guerra, fa uscire in tempi brevi la Russia dal conflitto, e fa
appello alla classe operaia mondiale e ai popoli delle colonie perché insorgano contro
il capitalismo imperialistico. Al conflitto imperialistico, fatto combattere ai popoli, esso
vuole sostituire il conflitto rivoluzionario delle classi oppresse contro la classe
dominante.
LA RIVOLUZIONE RUSSA SOSTITUISCE AL CONFLITTO
IMPERIALISTICO IL CONFLITTO RIVOLUZIONARIO DELLE CLASSI
OPPRESSE CONTRO LA CLASSE DOMINANTE
La sua ideologia, schematicamente, si colloca all'interno della grande tradizione socialista
del movimento operaio e del marxismo, che ha come scopo dichiarato quello di liberare i
lavoratori salariati dallo sfruttamento degli imprenditori capitalisti. Vediamone però le
differenze specifiche.
CARATTERISTICHE DEL COMUNISMO RUSSO: ECONOMIA
STATALIZZATA
In primo luogo, la rivoluzione comunista russa del 1917 e i suoi sviluppi nei decenni
successivi sono caratterizzati da una scelta economica di tipo statalista
(nazionalizzazione delle industrie private e, ai tempi di Stalin, a partire dal 1930,
collettivizzazione forzata delle aziende agricole). Viceversa, altre correnti socialiste avevano
proposto il lavoro cooperativo e l'autogestione operaia, e altre ancora volevano distribuire la
terra alle singole famiglie contadine, senza gestione collettiva.
DITTATURA DEL PARTITO COMUNISTA OPERAIO
In secondo luogo, il regime politico sovietico è caratterizzato dalla dittatura del partito

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comunista operaio - in realtà formato da rivoluzionari di professione diventati ben presto


"burocrati", detentori esclusivi del potere. La Russia era in realtà un paese in cui gli operai di
fabbrica costituivano una piccola minoranza, e le città erano isole industriali avanzate in un
mare di contadini analfabeti. Il partito comunista, formato da una minoranza urbana
relativamente istruita, mise fuori legge gli altri partiti e diventò in pochi anni partito unico,
identificandosi in pratica con lo Stato.
Viceversa nella grande tradizione socialista del movimento dei lavoratori per giungere alla
liberazione dallo sfruttamento erano stati proposti metodi politici anche molto diversi: la
democrazia liberale parlamentare (socialdemocrazia), l'anarchia (abolizione dello Stato e del
capitale) e infine la democrazia rivoluzionaria marxista dei consigli operai: secondo
quest'ultima dottrina il potere politico ed economico spetta esclusivamente alle assemblee
dei lavoratori salariati delle singole fabbriche e ai loro delegati ad un congresso centrale. Si
noti che anche i comunisti bolscevichi, che perseguitarono i marxisti consiliari e sottoposero
ben presto i consigli operai russi alla ferrea dittatura del partito, osavano definire, nella loro
ideologia, il loro regime come un regime consiliare, in cui in ultima analisi tutto il potere
derivava dai soviet - "soviet" in russo significa proprio "consiglio". In effetti, quando questa
corrente comunista conquistò la maggioranza nel Consiglio Panrusso (nazionale) degli
Operai nel 1917, dei Contadini e dei soldati, tolse gradualmente ogni potere ai partiti e alle
correnti di minoranza e poi li mise fuori legge.
FEDE NEL PROGRESSO, INTERNAZIONALISMO, UMANISMO,
ATEISMO
In terzo luogo, sul piano culturale, il comunismo sovietico è caratterizzato da
un'esaltazione del progresso scientifico e tecnico, dall'internazionalismo,
dall'aspirazione all'unificazione del genere umano e dall'ateismo. Esso aspira pur
sempre a collocarsi dentro la grande tradizione socialista del movimento operaio e intende
inoltre portare a termine la Rivoluzione Francese, che aveva proclamato l'eguaglianza degli
uomini, ma non l'aveva mai realizzata. Però esso reinterpreta sia l'una che l'altra in modo
molto particolare, pretendendo di essere la fase suprema dello sviluppo moderno del
progresso.
Nonostante che lo statalismo, la dittatura del partito o l'ateismo potessero essere
estranei e contrari alla loro tradizione, molte correnti socialiste e sindacali in Europa e in
America e molti movimenti indipendentisti nelle colonie sottoposte ai paesi europei
guardavano con simpatia alla rivoluzione russa: essa era stata la più grande sollevazione di
lavoratori fino allora mai avvenuta (a parte la rivoluzione socialista messicana) e costituiva
inoltre una reazione contro l'"inutile strage" della prima guerra mondiale. In effetti i comunisti
avevano lottato contro il dispotico e arretrato impero dello zar - che si era gettato
irresponsabilmente nel conflitto tra le grandi potenze industriali imperialistiche - e, giunti al
potere, avevano fatto cessare la guerra in poco tempo, rinunciando per questo perfino a

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molti territori russi sul confine occidentale, che furono poi annessi dalla Polonia.
LA SPERANZA DI UN MONDO NUOVO
Infine, nonostante la professione di ateismo, il comunismo sovietico si presentava in
fondo come una sorta di fede laica: come la redenzione dal male radicale del capitalismo
imperialista, come il nuovo regno della giustizia uscito dall'apocalisse della prima guerra
mondiale. Esso diffondeva il verbo della rivoluzione comunista mondiale e incarnava
materialmente la speranza di un mondo radicalmente nuovo. Tutto questo poteva far sperare
a molti che l'Unione Sovietica, dopo la prima fase radicale, avrebbe superato la durezza
rivoluzionaria e contribuito allo sviluppo di un mondo migliore e di una società più equa. La
Russia era stata il battistrada: altri paesi più ricchi e industrializzati e con una più forte
tradizione operaia e democratica avrebbero potuto imboccare la via del socialismo e dare ad
esso un nuovo orientamento.

2) Fascismo e nazismo
La diffusione del comunismo filosovietico fuori della Russia e le simpatie per esso di
socialisti di diverse correnti costituiva, almeno in teoria, un pericolo permanente di ulteriori
rivoluzioni e, comunque, un incoraggiamento a scioperi, proteste e rivendicazioni dei
lavoratori salariati, tanto più in un periodo in cui la guerra aveva lasciato dietro di sé
disoccupati, invalidi e disadattati di ogni tipo. Mesi o anni di trincea avevano abituato
un'intera generazione alla violenza, mentre la riconversione dall'industria bellica alla
produzione di pace faceva strage di posti di lavoro e l'inflazione di minuiva spietatamente i redditi
reali.
I NAZIONALISTI CONTRO LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
Ma la guerra non aveva colpito e coinvolto solo la classe operaia: anche ampi strati
piccolo borghesi, specialmente di ex-combattenti, avanzavano le loro rivendicazioni contro lo
Stato nei paesi europei precedentemente coinvolti nella prima guerra mondiale. A volte gli
operai, con la loro forza sindacale, riuscivano a ottenere benefici più consistenti dei loro,
causandone la gelosia. Inoltre il pacifismo e l'internazionalismo dei comunisti e dei socialisti
contrastavano con il nazionalismo di molti ex-combattenti. Costoro anzi si opponevano
alla democrazia parlamentare perché non faceva valere con sufficiente energia gli interessi
della nazione. In particolare lo Stato italiano e la sua classe dirigente liberale erano accusati
dai nazionalisti e dai fascisti di aver ottenuto troppo poco dal trattato di pace (la cosiddetta
"vittoria mutilata"). Tra gli sconfitti, in Germania invece le destre militariste e i nazisti
accusavano i governanti socialdemocratici di aver firmato un trattato di pace assolutamente
iniquo e inaccettabile (tra l'altro il pagamento degli indennizzi ai vincitori pesò come un
macigno sull'economia tedesca dal 1919 in poi, e fu solo con il regime nazista nel 1933 che
si decise di troncarlo).
Dunque i movimenti e partiti piccolo borghesi e popolari di destra detestavano

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l'internazionalismo e il pacifismo della sinistra, guardavano con gelosia alle conquiste


sindacali e vedevano nei partiti comunisti e nell'Unione Sovietica, atea e collettivista, le forze
maligne che avrebbero distrutto ogni tradizione religiosa e nazionale ed espropriato anche
la loro modesta proprietà privata. Come i comunisti avevano demonizzato il capitalismo
imperialistico e la democrazia parlamentare dei regimi capitalistici, così le nuove
destre rivoluzionarie demonizzarono il comunismo, e addirittura l'intera tradizione
socialista, e le stesse istituzioni liberali parlamentari che tolleravano le agitazioni, gli
scioperi e la propaganda di sinistra.
IL NAZIFASCISMO CONTRO IL DEMONIO COMUNISTA E CONTRO
L’IMBELLE DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
Ben presto questa ideologia (o questa fede) trovò un potente incoraggiamento nei
finanziamenti versati dal capitalismo agrario e da certe grandi industrie. In effetti alcune
forze capitalistiche vedevano nelle destre un utile antidoto contro il comunismo
rivoluzionario, ma soprattutto contro le rivendicazioni sindacali e contro il pericolo che i
riformatori liberali e socialdemocratici elevassero troppo le tasse per la spesa sociale. I
partiti comunisti filosovietici - che ben si prestavano a diventare il bersaglio della propaganda
di destra - nell'Italia e nella Germania liberaldemocratiche del dopoguerra non avevano però
neanche lontanamente l'influenza che aveva avuto il partito comunista bolscevico nella
Russia oppressa dall'inefficiente autoritarismo zarista e dilaniata e affamata dalla prima
guerra mondiale. Ma costituivano un utile spauracchio, una giustificazione per una
repressione generalizzata dei movimenti rivendicativi operai e socialisti. Tanto più che gli alti
gradi dell'esercito, l'alta burocrazia statale, i grandi proprietari terrieri, gli ambienti
aristocratici e clericali e, in Italia, gli ambienti di corte, guardavano con ostilità non solo al
comunismo e al socialismo, ma all'emancipazione delle classi popolari e alla
modernizzazione dello stile di vita, che corrodevano il prestigio dell'autorità e della
tradizione.
FASCISMO E NAZISMO CONTRO L’EGUAGLIANZA DEGLI UOMINI
E LA NEUTRALITÀ SCIENTIFICA MODERNA
I partiti fascisti e i nazisti furono pronti ad approfittare dell'appoggio delle forze
conservatrici (che procurarono loro non solo finanziamenti ma anche complicità da parte
degli organi dello Stato) pur continuando a godere dell'adesione di ampi settori della piccola
borghesia urbana e rurale e, in Germania dopo la terribile crisi del 29, anche di molti operai
disoccupati. Furono i capi carismatici Mussolini e Hitler, con la loro straordinaria capacità sia
di affascinare le masse sia di accordarsi con i potenti, che permisero ai rispettivi partiti di
tenere insieme gruppi sociali e mentalità tanto eterogenei. Il risultato fu, tra l'altro, un
notevole successo elettorale.
In Italia il "listone", che comprendeva fascisti, liberali conservatori, cattolici clericali e altre
forze coalizzate, ottenne nelle elezioni dell'aprile 1924 il 60%. Questo risultato non è facile da
valutare per quanto riguarda i consensi dati propriamente al fascismo, perché le forze che lo

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appoggiarono con la loro presenza avrebbero dovuto garantire il suo carattere inoffensivo.
Sono forse ancora più chiari e significativi i risultati raggiunti dal partito nazista tedesco da
solo nel novembre 1932 (37%) e nel marzo 1933 (44%), tanto più se si pensa che erano
rappresentate in parlamento anche altre formazioni di destra.
Non c'è alcun dubbio che questi dati sono falsati dal fatto che ci fu una sistematica
intimidazione (o addirittura persecuzione) degli avversari politici, per cui molti potenziali
elettori antifascisti non osarono o non poterono andare a votare. Inoltre Mussolini e Hitler,
che nel 1924 e nel 1933 erano già alla guida di governi di coalizione, avevano ai loro ordini,
oltre alle loro squadre d'azione, lo stesso ministero degli interni e la polizia. Questi fatti ben
noti non devono far dimenticare che masse immense di elettori di due grandi paesi
occidentali hanno coscientemente dato la loro preferenza al totalitarismo. La democrazia
può autoaffondarsi e trasformarsi nel suo opposto.
Inoltre queste forze politiche erano in grado di far uso non solo della democrazia, ma
anche di tutte le risorse della modernità. I nazisti e i fascisti, giunti al potere con l'appoggio di
molte forze conservatrici, come abbiamo visto, si rivelarono, a loro modo, una potente forza
modernizzatrice: l'uso abilissimo dei mass media ai fini della propaganda, l'organizzazione
del tempo libero delle masse e della cultura di massa, lo sviluppo della tecnologia militare e
l'esaltazione ideologica del progresso tecnico ne sono chiare testimonianze. Tuttavia il
fascismo e soprattutto il nazismo rinnegano alcune delle idee principali della modernità e
del progressismo: all'eguaglianza universale degli uomini contrappongono il diverso
valore delle nazioni e delle razze, alla razionalità scientifica il mito e la forza vitale.
In particolare i nazisti, che fanno appello agli istinti irrazionali e alle forze vitali, più di
qualunque altro movimento fanatico del nostro secolo sono alla costante ricerca di un
nemico da distruggere e, oltre a forze reali, possono contrapporsi anche a nemici del tutto
immaginari: gli ebrei - un popolo inoffensivo, addirittura inerme - sono identificati come il
Male Supremo, da eliminare. E, come tutti sanno, saranno metodicamente eliminati.

3) Le democrazie liberali
Il regime comunista sovietico russo e i regimi fascista e nazista costituirono i poli
ideologici opposti, le "città sante" delle successive "guerre di religione". La loro "guerra
santa" assumerà a un certo punto la forma di conflitto tra Stati (l'esempio più chiaro sarà
l'invasione della Russia da parte dei nazifascisti durante la seconda guerra mondiale). Ma
subito si manifesterà, all'interno di molti Stati, come conflitto tra partiti: nel regime
democratico parlamentare francese per esempio, saranno presenti sia un significativo partito
comunista sia diversi gruppi estremistici di destra. Oppure come guerra civile tra fazioni - è
il caso della guerra civile spagnola del 1936-1939, scontro tra il governo parlamentare di

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repubblicani, socialisti e comunisti, appoggiati cautamente dall'U.R.S.S., e le truppe


ammutinate del generale Franco, ultraconservatore, nazionalista, clericale e fautore degli
interessi dei grandi proprietari fondiari, fortemente aiutato dall'Italia e dalla Germania con
l'invio di truppe e di aerei.
Quale è invece la posizione dei regimi democratici parlamentari in questo cozzo tra
opposte fedi, di cui una si ispira - legittimamente o no - alle grandi tradizioni universalistiche
e umanistiche della Rivoluzione Francese e del socialismo, mentre l'altra al contrario le
condanna apertamente e si ispira ai principi particolaristici della superiorità nazionale e
razziale? Tali regimi (l'Inghilterra, la Francia, il Belgio, l'Olanda, gli Stati scandinavi, gli
U.S.A., ecc.) inizialmente non rivendicano per sé nessuna particolare "santità" o fede, tale da
costituire un polo, un blocco ideologico: la loro azione era semplicemente coordinata dalle
rispettive diplomazie e avveniva nella cornice della Società delle Nazioni (fondata nel 1919),
un organismo internazionale privo di esercito e di qualunque altro mezzo efficace di coercizione, una semplice
tribuna di discussione. Viceversa i regimi fascisti, insieme al Giappone autoritario e guerrafondaio, diedero vita
negli anni trenta a ostentate alleanze militari, mentre il regime staliniano aveva nell'Internazionale Comunista,
l'organizzazione che coordinava l'azione di tutti i partiti filosovietici, un formidabile strumento di propaganda.
PER I LIBERALDEMOCRATICI TOLLERANTI, ANCHE GLI ALTRI
POTREBBERO AVER RAGIONE; NON CI SONO NEMICI RADICALI
L'ideale liberaldemocratico della tolleranza e dell'eguale dignità delle idee parte dal
presupposto che anche gli altri potrebbero aver ragione, che qualunque ideologia o fede
potrebbe celare un ideale razionalmente valido. Nella dialettica politica interna si deve
lasciare a tutti la libertà politica e la facoltà di presentarsi alle elezioni: nel dialogo tra le
diverse rappresentanze parlamentari si troverà sempre il modo, con l'arte del compromesso,
di comporre le diverse opinioni e i diversi interessi; la pratica delle libere elezioni e delle
discussioni parlamentari renderà pian piano democratici anche quelli che oggi in teoria si
dichiarano antidemocratici. Anche in politica estera non ci sono nemici radicali, ma con
tutti si può scendere a patti. Se nessun uomo, gruppo di uomini, Stato o istituzione ha
ragione a priori o è infallibile, nessuno è però irrecuperabile per principio: l'umanità è per
sua natura imperfetta, ma sempre perfettibile.
L’UMANITÀ È IMPERFETTA, MA PUO’ SEMPRE MIGLIORARE
Questo atteggiamento è in gran parte l'eredità del razionalismo moderno, che si è
affermato nella cultura occidentale dopo le guerre di religione del Seicento con l'affermazione
della rivoluzione scientifica e dell'illuminismo, in quel periodo storico che è stato anche
chiamato "età della ragione" (dalla seconda metà del Seicento alla Rivoluzione Francese).
Ma il rischio di questo modo di pensare distaccato e freddo, opposto al fanatismo, è quello di
non saper suscitare entusiasmi e di non saper dare speranze che diano senso alla vita
collettiva, che inducano i cittadini ad agire e a mobilitarsi in difesa delle istituzioni
liberaldemocratiche.

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I GOVERNI DEMOCRATICI SI RIFIUTANO DI INTERVENIRE LELLA


GUERRA CIVILE SPAGNOLA. I NAZIFASCISTI INTERVENGONO
Durante la guerra civile spagnola i governi di tutti i paesi a democrazia parlamentare si
rifiutano decisamente di intervenire in difesa del governo legittimo spagnolo. Questo rifiuto è
fatto in nome di un principio liberale, quello del non intervento nelle faccende degli altri Stati.
Ma la violazione massiccia dello stesso principio da parte dei regimi nazista e fascista non
provoca da parte democratica una reazione effettiva. Rimane inapplicato così un altro
grande principio liberale, che dice che non bisogna tollerare gli intolleranti.
In realtà alcune forze di governo dei paesi democratici non volevano intervenire
principalmente per diffidenza nei confronti dei comunisti e degli stessi socialisti e
repubblicani spagnoli, e vedevano con simpatia i nazifascisti perché anticomunisti e fautori
della conservazione sociale e difensori della proprietà privata capitalistica. Molti settori
dell'opinione pubblica poi volevano evitare semplicemente il coinvolgimento del proprio
paese in una nuova guerra. In particolare, in Francia era al governo una coalizione formata
da socialisti, sinistra moderata e comunisti - il Fronte Popolare - che non oserà intervenire a
favore dei compagni spagnoli; esso voleva infatti evitare un coinvolgimento bellico, aveva
paura della destra interna e intendeva rispettare le regole del comportamento internazionale
proprie dei regimi liberaldemocratici.
Tuttavia numerose forze politiche di opposizione e numerosi intellettuali mandano aiuti
economici e organizzano l'afflusso di volontari. Dalla parte dei repubblicani troviamo grandi
nomi come Heminguay e Orwell, come Picasso e Garcia Lorca. Così, ad opera di uomini
lungimiranti e realmente decisi a battersi per i propri valori, ha il suo battesimo del fuoco
quel Fronte Popolare antifascista tra liberaldemocratici, socialisti di varie tendenze e
comunisti, che anticipa i movimenti della Resistenza contro i nazi-fascisti che nasceranno
durante la seconda guerra mondiale in Francia, in Italia e in molti altri paesi.

LA FEDE NELLA DEMOCRAZIA E IL MITO DEL PROGRESSO


Si è detto che i regimi liberaldemocratici parlamentari non sembravano capaci di suscitare
l'entusiasmo e la virtù civica nel cittadino che dovrebbe amare e difendere le istituzioni.
Questa incapacità di mobilitazione diventa un forte handicap in un periodo storico
surriscaldato, in cui le grandi fedi politiche sono capaci di muovere folle sterminate. Inoltre i
paesi liberaldemocratici dell'occidente sono tutti a economia capitalistica e, benché non
rischino nulla di simile alla rivoluzione russa, sono attraversati da agitazioni, da scioperi e da
rivendicazioni sociali spesso insoddisfatte; dopo il crollo di Wall Street del 1929 e la Grande
Depressione, che diffonde in tutti i ceti miseria e disoccupazione, la fedeltà delle masse al
sistema capitalistico e all'ordine politico parlamentare diminuisce notevolmente. Democrazia
liberale e capitalismo sembravano infatti fortemente collegati, anche perché i governi dei
principali regimi democratici, incluso il governo tedesco pre-nazista a guida

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socialdemocratica, avevano scommesso sulla capacità del libero mercato e dell'imprenditoria


privata di garantire un tasso decente di occupazione e un minimo di benessere ai cittadini.
IL LIBERALISMO TENDE A IDENTIFICARE SVILUPPO
CAPITALISTICO E PROGRESSO POLITICO-MORALE
Proprio questo ci sembra uno degli aspetti dogmatici del pensiero liberale, per il resto
così problematico: l'identificazione tra sviluppo capitalistico, tecnico ed economico, e
progresso sociale, politico e morale. Il liberalismo capitalistico ha contribuito a diffondere
un mito radicato nell'occidente moderno, secondo cui tutti i problemi umani verranno risolti -
o diventeranno più facili da risolvere - grazie alla crescente disponibilità di risorse materiali e
di conoscenze tecnico scientifiche. Certo, la miseria, la fame, il bisogno disperato e
l'ignoranza delle società agricole preindustriali sovrappopolate sono il focolaio
dell'autoritarismo e del militarismo. Ma lo sono anche l'ineguaglianza sociale e lo spreco di
una minoranza ricca di fronte alla disoccupazione e all'indigenza delle masse lavoratrici,
fenomeni strettamente legati con lo sviluppo tecnico ed economico capitalistico. Società
relativamente arretrate hanno avuto per periodi lunghi concordia civile, stabilità e sicurezza,
mentre nel secolo XX nel mondo occidentale - l'apice della ricchezza e dello sviluppo
dell'umanità intera - si è raggiunto anche l'apice della distruzione bellica, dello sterminio di
massa e della paura per il futuro.
IL PROGRESSO TECNICO, RIMEDIO DI TUTTI I MALI
Le ricche società capitalistiche del mondo moderno occidentale hanno posto al centro
della loro cultura l'individualismo consumistico e la ricerca dell'appagamento immediato;
contando sul progresso futuro come rimedio universale, hanno trascurato le virtù civiche, la
solidarietà e il senso di responsabilità dei più avvantaggiati nei confronti dei più svantaggiati,
e delle generazioni presenti nei confronti di quelle future (con le conseguenze ambientali che
oggi constatiamo).
Dunque quando la crisi del 29 e la depressione economica generalizzata del mondo
industriale hanno messo in difficoltà la convivenza sociale stessa, sono mancate quasi
dappertutto nelle democrazie liberali le risorse morali per affrontarla, e le risposte più forti e
più comprensibili per le masse sono venute dalle ideologie totalitarie.
STALIN SACRIFICA I KULAKI IN NOME DEL PROGRESSO DELLE
FORZE PRODUTTIVE
Ma anche tali ideologie fanno appello a loro modo al mito del progresso, che non è una
specificità del pensiero liberale, ma è una grande costante della cultura moderna. Stalin,
che quasi in tutto ha stravolto e parodiato il pensiero di Marx, gli è fedele almeno nell'idea
che la crescita delle forze produttive della società sia un fattore storicamente positivo. E in
nome della crescita di tali forze produttive può giustificare lo sterminio di una decina di milioni
di contadini russi, soprattutto kulaki (piccoli proprietari). In effetti questo gruppo sociale era
visto dal regime come un ostacolo alla collettivazione e alla modernizzazione dell'agricoltura
russa, per cui, oltre ai kulaki passati per le armi o deportati perché accusati di opporsi alla
nuova politica agricola, furono lasciati morire di fame milioni di contadini nelle grandi carestie

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che seguirono il lancio del primo piano quinquennale (1928-1933). In considerazione del
fatto che l'Unione Sovietica stava allora esportando grandi quantità di grano per procurarsi i
mezzi per l'industrializzazione accelerata, si può parlare di uno stato artificiale di carestia.
La propaganda nazista invece accoppia in modo anomalo l'onnipotenza della tecnica con
la superiore intelligenza della razza ariana, la tecnologia militare e l'ardimento bellico. Fino
all'ultimo i soldati e le popolazioni dei regimi nazi-fascisti sono stati esortati a sperare in una
mitica "arma segreta" che li avrebbe potuti salvare dalla morsa del nemico.

LA GUERRA TOTALE
La debolezza politica e morale delle democrazie capitaliste si vede proprio nel momento
in cui le masse inglesi e francesi dovrebbero mobilitarsi per difendere la libertà dell'Europa
dall'aggressività di Hitler. Già subito dopo il suo avvento al potere nel 1933, il Führer aveva
violato, senza suscitare efficaci reazioni, i trattati di pace che obbligavano la Germania al
pagamento del debito di guerra e che gli vietavano un ampio armamento. Nel 38-39, dopo
essere intervenuto nella guerra civile spagnola, egli riduce una dopo l'altra sotto il suo
dominio l'Austria e la Cecoslovacchia. Le potenze liberaldemocratiche accettano il fatto
compiuto: si sommano il desiderio dell'opinione pubblica, anche di sinistra, di evitare
un'altra guerra e il calcolo delle forze conservatrici, presenti allora nei governi
francese e inglese, di utilizzare il nazifascismo come baluardo contro la sinistra e di
lasciare che la Germania metta in ginocchio l'Unione Sovietica.
HITLER SI RAFFORZA PERCHÉ I DEMOCRATICI PACIFISTI NON
VOGLIONO LA GUERRA E I CONSERVATORI SPERANO CHE EGLI
SI VOLGA SOLO CONTRO LA SINISTRA E CONTRO L’URSS
Ma Hitler capovolge le previsioni delle forze conservatrici e scende a patti con il suo
nemico principale, con il demonio sovietico - con il paese che per lui incarnava insieme la
peste della modernità politica e la lebbra della razza inferiore slava dei "subuomini". Nel patto
segreto Ribbentrop-Molotov, la Russia, che si sa impreparata ad una guerra con la
Germania, è ben contenta di garantirle la sua neutralità in cambio della possibilità di
recuperare una fetta della Polonia ed i paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), già
possesso dell'impero zarista. Hitler nel frattempo poteva invadere la restante Polonia e
affrontare il conflitto, ormai inevitabile, con Francia e Inghilterra.
HITLER CONTRO LA CONGIURA DEMO-PLUTO-GIUDEO-
MARXISTA
Anche questa guerra fu affrontata dal nazismo e dal fascismo con lo spirito di crociata che
caratterizzava il loro sistema di propaganda e di mobilitazione delle masse. Del resto,
secondo la visione paranoica di Hitler, tutte le potenze materiali e spirituali del mondo
stavano cospirando contro i gagliardi popoli dell'Asse tedesco-italiana: essi erano vittime di
una congiura internazionale democratica, plutocratica (cioè capitalistica), giudaica e
marxista. Per perseguire il suo obiettivo di una guerra totale per il dominio del mondo, il

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Führer si era costruito un nemico totale. Sulla base di questa visione sfidò le "corrotte"
democrazie capitalistiche di Francia ed Inghilterra, i cui popoli, sebbene secondo lui di razza
superiore, erano ormai "degenerati".
Ma poco tempo dopo, piegata e occupata la Francia, egli dovette rinunciare all'invasione
dell'Inghilterra per le immani difficoltà che ciò comportava, e, pur mantenendo il blocco
navale dell'isola, decise di rivolgersi di nuovo verso est: nel giugno del 1941 scatenò la
grande offensiva che avrebbe dovuto travolgere in breve tempo la parte europea dell'Unione
Sovietica. Nel dicembre del 1941 la Germania dichiara guerra agli Stati Uniti. Era veramente
la guerra totale.
***
IL NAZIFASCISMO TENDEVA ALLA GUERRA TOTALE
Non è nelle nostre intenzione trattare più a lungo del nazifascismo, di cui era
indispensabile parlare solo per capire l'origine della "guerra fredda" come confronto est -
ovest. Una delle peculiarità di esso, che ne fa un fenomeno assolutamente unico, è proprio
la sua tensione verso la guerra, e addirittura verso la guerra totale. Questo vale, in
sostanza, anche per la sua componente italiana, il fascismo, il cui duce, Mussolini, già nel
1914 -15, ben prima di giungere al potere, aveva lottato perché l'Italia entrasse nel primo
conflitto mondiale. Qualche anno fa, in un'intervista televisiva, lo storico inglese Dennis
McSmith dichiarò, con tragico umorismo, che Mussolini piaceva agli italiani soprattutto come
grande teatrante, che arringava le masse dal balcone: come all'opera, agli italiani piaceva la
musica, ma molti di essi non badavano alle parole. Mussolini però aveva promesso la guerra
imperialistica fin dal primo momento, anche se senza Hitler non si sarebbe potuto
avventurare in una guerra totale.
Tale guerra nasceva dal cuore stesso dell'ideologia nazista, dal razzismo ariano -
germanico, che esigeva lo sterminio sistematico degli ebrei (a cui collaborò anche il
fascismo), e la vittoria mondiale della razza eletta. La macchina che avrebbe dovuto fornire
le risorse per questa vittoria sarebbe stato il sistema industriale nazionale tedesco,
formalmente appartenente ai privati, ma programmato dallo Stato, in cui i tedeschi
occupavano i posti alti della gerarchia, mentre i popoli vinti costituivano la manodopera, più o
meno specializzata.
***
Dunque il programma nazifascista di guerra totale fu apertamente proclamato di fronte
alle masse e instillato ad esse attraverso una organizzazione propagandistica capillare e
modernissima. Su tale base si passò dai conflitti "freddi" (lo scontro politico tra le tre fazioni
all'interno di ciascun paese) e dai conflitti limitati (guerre di Spagna, di Cecoslovacchia,
d'Albania) alla guerra mondiale, in cui il blocco nazi-fascista si scontrò con gli altri due.
Ma sia il regime bolscevico (che era nato proprio come reazione alla prima guerra
mondiale), sia i regimi liberaldemocratici occidentali avevano sempre promesso la pace per

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mantenere il consenso al loro interno. Il nazismo dunque costrinse ad un colossale conflitto


armato le riluttanti potenze avversarie, e al tempo stesso costrinse ad allearsi due campi tra
di loro ostili. Questi si unirono in un'alleanza eccezionale, motivata proprio dal carattere
straordinario della minaccia che il nazismo costituiva per l'umanità. Perciò non era
inverosimile pensare che, quando questo conflitto fosse cessato, i due alleati antifascisti
sarebbero tornati al precedente atteggiamento di ostilità reciproca.
***
Riassumendo, abbiamo visto che nel giro di pochi anni gli schieramenti nella
"guerra civile europea" velocemente si formano e si disfano:
1) La rivoluzione russa dell'ottobre 1917 chiama i proletari di tutto il mondo
alla rivoluzione contro il dominante sistema capitalistico.
Noi = i lavoratori salariati. Loro (il nemico) = i proprietari capitalisti.

2) Il fascismo e il nazismo dalle loro origini (rispettivamente nel 1922 e nel


1933) si presentano subito, oltre che come rivoluzioni nazionaliste, come crociate
anticomuniste.
Noi = i popoli sani e le razze elette, fiere delle loro tradizioni e della loro forza vitale.

Loro = i comunisti senza patria, gli intellettuali corrotti da ideologie giudaiche cosmopolite.

3) In Spagna nel periodo 1936-1939 si forma un Fronte Popolare dei


liberaldemocratici, dei socialisti e dei comunisti contro l'aggressione fascista (ma
senza la partecipazione dei governi occidentali).
Noi = le forze politiche che si ispirano all'ideale dell'uguaglianza degli uomini (affermate

nelle due rivoluzioni ispirate dal pensiero universalistico e razionalistico occidentale, la

Rivoluzione Francese e quella Russa). Loro = le forze reazionarie, nazionaliste e razziste,

che considerano gli uomini per natura diseguali.

4) Con il patto Ribbentrop-Molotov (1939), la Germania e l'U.R.S.S. si impegnano


reciprocamente a non aggredirsi. A questo punto la guerra santa di Hitler può
rivolgersi senza indugio contro le sole potenze liberaldemocratiche.
5) Con l'aggressione alla Russia del giugno 1941 e la dichiarazione di guerra agli U.S.A.
in dicembre, la Germania ha costituito contro di sé il fronte unico delle potenze
comuniste e liberaldemocratiche. E' la guerra totale.
Noi = i popoli sani e le razze elette. Loro: la congiura demo-pluto-giudo-marxista.

Le forze democratiche dovranno ormai schierarsi,


chiarire la propria identità (il Noi) e identificare con
forza il nemico (il Loro)
SCHEDA. IL CONCETTO DI "GUERRA CIVILE EUROPEA"

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Ernst Nolte (Gli anni della violenza. Un secolo di guerra civile europea e mondiale. Rizzoli, Milano,
1995) ha fatto entrare nel dibattito sulla storia del sec. XX° il concetto di "guerra civile europea", guerra
ideologica piuttosto che guerra tra grandi potenze. Essa non è solo tra gli Stati, come la guerra tra le
monarchie del Settecento e dell’Ottocento, ma è contemporaneamente tra partiti dentro i diversi Stati
(p.es., nella guerra civile spagnola fascisti contro democratici, socialisti e comunisti) e tra Stati dominati
da ideologie diverse (p.es. Germania nazista contro Russia comunista). Nolte ne fa risalire l'origina alla
rivoluzione russa, che provoca come sua reazione il fascismo e il nazismo. Questa scelta tende a rendere
responsabile i comunisti bolscevichi dell’intero conflitto.
Noi, seguendo Hobsbawm e Guarracino, riteniamo che l'inizio della "guerra civile europea" sia piuttosto
la prima guerra mondiale, la prima guerra totale, che ha coinvolto masse enorme di soldati, in una
disumana guerra di trincea, e anche di civili (fame prolungata, navi civili silurate, lavoro obbligatorio,
perfino bombardamenti). Pensiamo anche che essa a sua volta abbia le sue radici nella grande
trasformazione della società ad opera delle forze del mercato capitalistico e delle grandi potenze
imperialistiche esposta in Karl Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974, a nostro avviso
uno dei più bei libri esistenti sul mondo contemporaneo.

LA LOTTA CONTRO LA BARBARIE NAZIFASCISTA (UNIONE


ANTIFASCISTA DELLE FORZE DELLE DEMOCRAZIE CAPITALISTICHE
E DELL'UNIONE SOVIETICA)
Le tre grandi potenze che condussero fino in fondo la lotta al nazismo erano così diverse
tra loro che si potrebbe dire che fossero soprattutto accomunate dal fatto di essere state tutte
e tre bersaglio dell'aggressività di Hitler. L'Inghilterra era stata sottoposta, nel 1940, dopo la
capitolazione della Francia, al più grande attacco aereo fino ad allora compiuto, che aveva
provocato grandi massacri tra la popolazione civile. La Russia era stata invasa nel giugno
del '41 e i suoi abitanti trattati come "subuomini", da destinare al lavoro forzato o da
sterminare. L'aggressione agli U.S.A. era stata invece essenzialmente simbolica: dopo
l'attacco giapponese alla principale base navale americana, a Pearl Arbour, nelle Haway,
compiuto di sorpresa e senza dichiarazione di guerra, Hitler con spirito cavalleresco - o
rodomontesco - aveva formalmente dichiarato guerra al colosso americano, che credeva già
fiaccato dall'attacco del suo alleato asiatico e comunque privo di spirito combattivo.
Tutte e tre le potenze non avevano avuto alcuna intenzione di entrare nel conflitto:
l'Inghilterra aveva lasciato che i nazisti compissero una lunga serie di violazioni dei trattati e
di aggressioni a danno di paesi indifesi prima di intervenire; la Russia di Stalin si sapeva del
tutto impreparata alla guerra ed era disponibile ad ogni compromesso per evitarla; l'opinione
pubblica e il Congresso degli Stati Uniti erano in gran parte isolazionisti e pacifisti, e
addirittura osteggiavano il presidente Roosevelt che aveva concesso prestiti ed aiuti militari
all'Inghilterra ormai allo stremo delle forze.

Era dunque stato proprio il Führer a mettere insieme l'alleanza di forze sterminate che
fatalmente l'avrebbe sconfitto. Le tre potenze U.S.A., Inghilterra e Unione Sovietica - fuori
dall'alleanza contro il comune nemico nazista - avevano pochi punti in comune e molti motivi
di attrito. L'America e la Gran Bretagna, democrazie capitalistiche, nel lontano 1918
avevano perfino mandato un corpo di spedizione ad aiutare l'esercito zarista reazionario
nella guerra civile contro il partito comunista bolscevico russo. L'Inghilterra aveva il più
grande impero coloniale del mondo, una straordinaria riserva per lo sfruttamento economico,

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e per questo era condannata non solo dall'Unione Sovietica, nemica naturale
dell'imperialismo capitalistico, ma anche dagli Stati Uniti. Quest'ultimo paese, già da tempo la
massima potenza capitalistica industriale, si diceva favorevole non solo
all'autodeterminazione dei popoli, ma anche all'apertura di tutte le frontiere in un libero
mercato mondiale, in cui sapeva di poter giocare un ruolo egemone.
Le grandi potenze costituivano dunque con ritardo qualcosa di analogo a quel Fronte
Popolare antifascista che era stato costituito nel '36 tra i vari partiti repubblicani spagnoli
e tra i volontari corsi in loro aiuto da molti paesi democratici. Ben presto nella Resistenza
contro l'occupazione tedesca in Francia, Italia e molti altri paesi le coalizioni dei partiti
antifascisti fecero uso proprio di questa formula politica.
GLI ALLEATI DEMOCRATICI E COMUNISTI CHIAMANO A UNA
LOTTA A MORTE CONTRO LA BARBARIE NAZIFASCISTA IN
NOME DELL’EGUAGLIANZA DEGLI UOMINI
La durissima lotta sia degli eserciti alleati sia dei partigiani contro le truppe di Hitler non
poteva fare a meno di quell'entusiasmo e di quella fede quasi religiosa che le due grandi
chiese ideologiche, il nazismo e il comunismo sovietico, avevano saputo suscitare. Sia la
propaganda alleata, occidentale e russa, sia la Resistenza fanno appello ai valori
profondi dell'universalità dell'uomo contro un nemico che per loro non è
semplicemente un nemico particolare, occasionale, ma il nemico giurato
dell'eguaglianza umana e dell'umanità stessa, la "barbarie nazifascista".
In tale periodo, l'Europa liberaldemocratica e gli Stati Uniti riscoprono infine il valore
fondamentale, o addirittura il carattere sacro delle proprie istituzioni, presidio della libertà
umana e della tolleranza, e molti sognano riforme sociali e una più equa distribuzione della
ricchezza. Questo sogno era stato incoraggiato dalle promesse di libertà e di sicurezza del
presidente americano Franklin Delano Roosevelt e dalla figura stessa di questo presidente,
riformatore e protettore dei lavoratori e dei ceti più deboli (capo dello Stato ininterrottamente
dal 1932, sempre riconfermato dall'elettorato popolare proprio per i suoi interventi contro la
disoccupazione). La presidenza Roosevelt in effetti aveva messo fine al periodo di
liberalismo puro che aveva dominato negli anni venti e aperto un periodo di liberalismo
aperto alle riforme sociali.
CONGIUNGERE I DIRITTI CIVILI E POLITICI CON QUELLI SOCIALI
PER REALIZZARE L’EFFETTIVA LIBERTÀ DEGLI INDIVIDUI
Dopo la Grande Depressione seguita al 1929, era più evidente che mai che i diritti
civili astratti difesi dal liberalismo conservatore da soli servono a consolidare i privilegi della
borghesia capitalistica e dei grandi proprietari. La libertà di pensiero e di stampa e la libertà
di disporre senza limiti della proprietà privata sono del tutto illusorie per gli analfabeti e i
proletari, come già aveva capito Marx a metà dell'Ottocento. Non solo i diritti politici del
liberalismo democratico (diritto di voto e di partecipazione alle decisioni di interesse
pubblico), ma anche i diritti sociali sono indispensabili per realizzare la libertà individuale:
essa infatti diventa realtà solo se si è anche liberi dal bisogno e in grado di partecipare

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dignitosamente alla vita sociale (diritto al lavoro, all'istruzione, all'assistenza). L'alleanza tra
Roosevelt e Stalin simboleggiava in un certo senso la necessità di congiungere i diritti civili e politici con
quelli sociali.
Approfondimento. L’OPPOSIZIONE AMICO-NEMICO: NOI CONTRO LORO.
Secondo Carl Schmitt, filosofo della politica compromesso col nazismo, l’essenza della politica è
l’identificazione di un “Noi”, di una comunità a cui si appartiene, e di un “Loro”, che sta all’esterno di essa,
e rappresenta il NEMICO. E lo Stato legittima la sua autorità proprio come difesa contro il Nemico.
Sono in effetti i vari totalitarismi che insistono sullo Stato come difensore di quelli che appartengono ad
una stessa comunità chiusa, considerati simili per natura, addirittura fratelli.
Le concezioni liberaldemocratiche e socialdemocratiche accettano invece l’idea che i membri dello
Stato, appartenenti ad una SOCIETÀ APERTA, siano tra loro diversi -e talora in disaccordo e in conflitto-
e che lo sviluppo delle DIVERSITÀ individuali e di modi di vita differenti sia un valore per tutta la società.
Perciò in questo libro abbiamo evidenziato l’opposizione Noi-Loro come contrassegno di gruppi o partiti
totalitari, o anche come manifestazione di una certa tendenza totalitaria in gruppi e partiti che non si
considerano tali. Purtroppo la storia che qui si racconta è anche storia di guerre e conflitti durissimi.
Fatalmente gruppi o partiti che aspirano a società aperte e pluralistiche saranno costretti, al momento
della lotta a morte, ad accettare la logica Noi-Loro dell’ESCLUSIONE. Nessuno può essere del tutto
immune dal virus del totalitarismo. Questo si vede anche nella Resistenza antifascista e nel lungo conflitto
Est-Ovest, ma l’attento lettore ne troverà tracce importanti fino al XXI° secolo.
Da un lato il torto e la ragione non possono essere assegnate come le fette di una torta (diceva
Manzoni), e le élite della società capitalistica liberista sono state per certi versi responsabili della nascita
dei totalitarismi del secolo XX°. Esse hanno contribuito a scatenare - o non hanno impedito - la prima
guerra mondiale, la crisi economica del 29 e il rafforzamento del nazismo. Dall’altro, nel momento della
lotta a morte, diventa necessario, come si è detto, insistere sull’”amicizia” all’interno della propria parte e
sui valori caldi della solidarietà, e infine sulla diversità del Nemico. Sola eccezione importante è stata la
lunga LOTTA NONVIOLENTA di Gandhi e dei suoi seguaci, in cui non c’è alcuna lotta a morte col
Nemico. Però in questa storia del conflitto Est-Ovest essa dovrà essere trattata solo marginalmente.

LA LOTTA DEGLI ALLEATI CONTRO IL NAZISMO: L'ETA' DELLA


SPERANZA
Le potenze liberaldemocratiche, dunque, s'erano lanciate in una crociata in
difesa della libertà e della dignità umana. Gli astratti valori della libertà, della
tolleranza e del dialogo erano stati integrati con i valori "caldi" della solidarietà e
dell'eguaglianza.
Inizia così un periodo breve ed intenso in cui molti immaginano per il genere umano
un destino di libertà, giustizia, pace e progresso materiale: non solo i comunisti o i socialisti
simpatizzanti per il comunismo, ma anche forze liberaldemocratiche che aspirano a grandi
riforme sociali vedono nel regime sovietico se non un modello, almeno un sicuro alleato
contro le forze fasciste e conservatrici, un "compagno di strada": nascono così le grandi
alleanze (Fronti Popolari) tra i diversi partiti antifascisti "progressisti", inclusi i comunisti
filosovietici, per realizzare, dopo la guerra, una società più equa.
IL DOPOGUERRA IN FRANCIA E GRAN BRETAGNA: LE RIFORME
SOCIALI DELLA SINISTRA
In Francia, per esempio, il progressista MRP (di ispirazione cattolica) accettò una
stretta alleanza con i socialisti (tra i quali c'erano correnti moderate ma anche radicali) e con
i comunisti filosovietici non solo durante la Resistenza, ma anche negli anni immediatamente
seguenti alla fine della guerra, conclusasi nel maggio 1945. Il governo di coalizione
antifascista francese nazionalizzò l'impresa Renault, il colosso automobilistico che aveva
collaborato con i nazisti, e tentò anche alcune riforme a favore dei lavoratori. Inoltre, nel

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1945 le prime elezioni inglesi del dopoguerra diedero al partito laburista la maggioranza
assoluta e esso cominciò immediatamente un grande piano di nazionalizzazioni e di riforme,
in particolare per l'assistenza previdenziale e medica dei lavoratori e per l'accesso dei loro
figli all'istruzione postelementare (vengono così poste le basi del Welfare State).
L'Italia era troppo povera, troppo instabile politicamente e aveva una classe
dominante troppo conservatrice per realizzare significative riforme. Anche qui al governo
dapprima erano i partiti che avevano lottato insieme contro il fascismo uniti nel Comitato di
Liberazione Nazionale: i comunisti, i socialisti (anche qui divisi in moderati socialdemocratici
e radicali filosovietici), la Democrazia Cristiana, partito cattolico tendenzialmente moderato, e
il Partito d'Azione, liberaldemocratico riformatore, i cui obiettivi sono ben chiariti dal nome
della formazione partigiana ad esso collegata, "Giustizia e Libertà". Tale formazione diede un
contributo importante alla lotta di liberazione, essendo seconda per numero e attività solo
alle "Brigate Garibaldi" dei comunisti. Il Partito d'Azione, formato soprattutto da intellettuali di
ispirazione laica, era fedele ai principi della democrazia parlamentare, ma animato dalla
convinzione che i diritti di libertà sono illusori per chi non accede a un minimo di istruzione, di
benessere e di sicurezza economica. Esso sperava di poter battere le forze conservatrici
interne e realizzare grandi riforme sociali, mantenendo però l'Italia fuori sia dall'orbita
sovietica che dal condizionamento degli alleati anglo-americani.
Esso, non meno del partito socialista e di quello comunista, sapeva infondere
speranze ai suoi militanti e offriva prospettive di ampio respiro. Sapeva cioè toccare le corde
dell'indignazione morale contro il fascismo e dell'entusiasmo per costruire una società più
giusta.
Toccò al leader di questo partito, Ferruccio Parri, di essere prima presidente del
Comitato Nazionale di Liberazione e poi presidente del governo provvisorio dell'Italia appena
riunificata tra il giugno e il novembre del 45. Ma l'azionismo si rivelò una forza elettorale
inconsistente alle elezioni del 1946 per l'Assemblea Costituente: per molti italiani era più
comprensibile il linguaggio rivoluzionario semplificato del partito socialista e del partito
comunista e la mitologia della Russia patria del socialismo, e inoltre tali partiti avevano
saputo meglio radicarsi nella realtà operaia e popolare e capirne i problemi.
Ma chi riportò la maggioranza relativa fu la Democrazia Cristiana, che godeva
dell'appoggio della Chiesa Cattolica e del Vaticano, il quale a sua volta aveva assunto contro
il comunismo - considerato il nemico diabolico del cristianesimo - una posizione
intransigente, da crociata. La D.C. tuttavia conteneva in sé forze di vario tipo: conservatori,
moderati e anche convinti riformatori che si ispiravano alla tradizione del cattolicesimo
sociale, come Dossetti e La Pira. Così essa continuò, sia pure con molte cautele e distinguo,
il governo con tutte le componenti politiche della Resistenza, inclusi i comunisti, fino alla
primavera del 1947.
PRIMAVERA 1947: FINE DELLA COLLABORAZIONE DI GOVERNO

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TRA PARTITI FILO-OCCIDENTALI E PARTITI COMUNISTI


Egualmente anche molti partiti dell'Europa orientale, e in particolare il grande partito
socialdemocratico ceco, avevano formato coalizioni riformatrici con i partiti comunisti
filosovietici. Ma nella primavera del 47 la situazione si evolve in tutt'altra direzione: i
comunisti vengono esclusi dalla coalizione di governo non solo in Italia, ma anche in Francia
e in Belgio. Ben peggiore sarà il destino dei partiti non comunisti delle coalizioni di governo
dell'Europa orientale (come vedremo). Con l'aperto dissidio tra U.S.A. e U.R.S.S. il periodo
della grande speranza sarà presto concluso.
Prima di passare alla narrazione di questo dissidio, dobbiamo segnalare alcune
circostanze che gettano una luce sinistra sui governi alleati. Le potenze liberaldemocratiche,
che s'erano lanciate in una crociata in difesa della libertà e della dignità umana, finiscono per
impiegare, in diversi casi, i metodi del nemico totalitario: in particolare, i bombardamenti
terroristici - convenzionali e atomici - che uccidono alcuni milioni di civili tedeschi e
giapponesi. La distruzione di popolosi quartieri residenziali, anche con bombe incendiarie,
mostra abbastanza chiaramente che l'obbiettivo principale non era quello - ufficiale - di
distruggere l'industria nemica, ma piuttosto quello di terrorizzare e demoralizzare la
popolazione civile - inerme - del nemico. E probabilmente anche di punirla.

LA SPARTIZIONE DELL'EUROPA
Il presidente americano Franklin D. Roosevelt, il primo ministro inglese Winston Churchill
e il dittatore sovietico Giuseppe Stalin si incontrarono a Teheran nel novembre1943 e a
Jalta, sulle sponde del Mar Nero, nel febbraio del 1945 per stabilire il futuro del mondo dopo
la loro imminente vittoria. Roosevelt si illuse, o finse di illudersi, che i Tre Grandi avrebbero
aiutato "i popoli degli Stati europei liberati … a dare vita a governi provvisori che comprendessero i
rappresentanti di tutte le correnti democratiche [questa espressione indica anche i comunisti] e a
impegnarsi a formare quanto prima con libere elezioni dei governi che siano espressione della volontà
dei popoli" (Dichiarazione sull'Europa Liberata).
Più realistico era stato l'atteggiamento di Churchill nel suo incontro a due con Stalin,
avvenuto a Mosca nell'ottobre 1944. Là si era stabilito che la Romania e la Bulgaria, alleate
dei nazisti e allora invase dai russi, sarebbero rimaste nella sfera di influenza dell'U.R.S.S.,
mentre la Grecia, in cui l'Inghilterra sosteneva a spada tratta le forze monarchiche
conservatrici, sarebbe rimasta nella sfera d'influenza inglese.
GLI ALLEATI RICONOSCONO AI RUSSI COME LORO SFERA DI
INFLUENZA GRAN PARTE DELL’EUROPA CENTRO ORIENTALE E
UNA ZONA DELLA GERMANIA
Beninteso, a Jalta non fu negata l'idea delle "sfere d'influenza": era evidente che si
riconosceva ai russi come zona d'influenza e come cintura di sicurezza contro ogni
nuova aggressione tutto ciò che il loro esercito avrebbe potuto occupare nei territori
già in mano ai tedeschi e ai loro alleati (praticamente, la maggior parte dei Balcani e

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l'Europa centrale) e che la Germania sarebbe stata divisa in zone d'occupazione tra i
vincitori. Tuttavia Roosevelt aveva affermato il principio che gli occupanti avrebbero
permesso il libero gioco democratico ai diversi popoli.
DECLINO DELLA POTENZA INGLESE
Roosevelt non farà in tempo ad essere deluso dall'alleato sovietico perché morirà
nell'aprile successivo. Churchill invece potrà ben presto constatare che la speranza di
conservare una sfera d'influenza inglese nel Mediterraneo orientale e di mantenere il vecchio
impero coloniale è una semplice illusione. Nel 1947 l'Inghilterra, ancora semidistrutta per la
guerra, dovrà riconoscere di non avere risorse sufficienti per aiutare i monarchici
conservatori greci contro i partigiani comunisti. Nello stesso anno l'Inghilterra perdeva
l'Impero Indiano. Le grandi potenze, alla fine della seconda guerra mondiale, in
sostanza non sono tre, ma due.
I russi, dunque, occupano, considerandola propria sfera di influenza, l'Europa
centrorientale e balcanica, con l'eccezione della Grecia, della Yugoslavia, che è stata
liberata, senza aiuto sovietico, dai partigiani comunisti di Tito, e dell'Albania, liberata dai
partigiani comunisti di Enver Hodja. Le truppe di Stalin arrivano ad occupare anche la parte
orientale della Germania fino all'Elba e un settore della città di Vienna (vedi cartine 1 e 2). Le
quattro potenze vincitrici (i "tre grandi" più la Francia, che, però, rimasta sotto l'occupazione
nazista fino a metà del '44, al momento versava in condizioni anche peggiori dell'Inghilterra)
si incontrarono nel luglio 1945 a Potsdam, sobborgo di Berlino, per definire i dettagli della
spartizione dell'Europa, e in particolare della Germania e dell'Austria. L'idea di fondo a
Teheran e a Jalta era stata quella di rendere inoffensiva la Germania smantellandone il
potenziale militare e imponendole un assetto e una costituzione graditi alle grandi potenze.
Ora invece i vincitori non riescono a trovare un accordo su tale assetto e la Germania rimane
divisa in quattro zone d'occupazione militare (ma le tre zone occidentali sono in piena
comunicazione tra loro) e anche Berlino, che si trova in mezzo alla zona d'occupazione
sovietica, viene divisa in quattro (vedi cartina n° 3).
CI SONO SOLO DUE SUPERPOTENZE, USA E URSS, MA GLI USA
SONO NETTAMENTE PIÙ FORTI
Stati Uniti e Russia erano incontestabilmente le due sole vere grandi potenze, ma è
bene ricordare che tra esse c'era - ed è rimasta nei periodi successivi, fino ad oggi - una
forte asimmetria. Anche prima delle distruzioni belliche l'Unione Sovietica era un paese
agricolo che aveva iniziato da poco un rapido processo di industrializzazione forzata, e che
rimaneva piuttosto arretrato, anche per il boicottaggio sistematico che aveva subito per
vent'anni da parte delle potenze capitaliste; la guerra nazista ne aveva devastato proprio le
zone più avanzate, e la crudeltà dell'occupante aveva causato all'incirca una ventina di
milioni di morti, soprattutto civili. Invece, gli Stati Uniti, prima potenza industriale mondiale,
non era stata neppure toccata dalla guerra sul suo territorio, e aveva appena sperimentato la
bomba atomica.

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L'impiego di quest'arma su Hiroshima e Nagasaki, quando la sconfitta giapponese era


inevitabile e il Giappone aveva già avviato contatti per trattare la resa, pareva manifestare la
determinazione americana ad usarla all'occorrenza anche con altri avversari, cioè contro la
stessa Unione Sovietica.
STALIN ASSOGGETTA I PAESI DELL’EST E NON RISPETTA LA
CLAUSOLA DELLE LIBERE ELEZIONI
Non sembra però che ci fosse davvero da temere che Stalin mettesse in questione la
spartizione di Jalta. Conscio della sua debolezza e cauto per natura, durante la guerra contro
la Germania Stalin aveva sciolto l'Internazionale Comunista e aveva concentrato la sua
propaganda non sulla rivoluzione proletaria ma sul tema dell'antifascismo. In effetti, gli aiuti
che i partigiani comunisti greci ricevevano provenivano dalla confinante Yugoslavia, che
manifestava già una chiara autonomia nei confronti di Mosca, e non dalla Russia. E Stalin si
guardava bene dall'incoraggiare i partiti comunisti dell'Europa occidentale alla rivoluzione.
Ma, se rispettava le sfere d'influenza, non per questo egli intendeva prendere sul serio
la clausola delle libere elezioni. Di elezioni naturalmente ce ne furono nei paesi occupati
militarmente dai russi, ma in condizioni decisamente sospette, e in un contesto di forte
violenza politica e di persecuzione di quanti si opponevano al potere sovietico.
Va comunque ricordato che Ungheria, Romania e Bulgaria erano state regimi
dittatoriali alleati del nazismo e la Polonia, che si era difesa strenuamente dall'attacco
tedesco, era stata non di meno un regime autoritario, e nessuno dei quattro Stati aveva
davvero conosciuto la democrazia liberale. L'unico paese occupato che avesse realmente
un'esperienza democratica era la Cecoslovacchia, e fu anche l'ultimo in cui i russi imposero
l'instaurazione della dittatura del partito comunista locale nel febbraio del 1948. In varie
forme, ciò era già successo in Polonia con le elezioni truccate del gennaio del 47, mentre in
Bulgaria, Ungheria e Romania i partiti non comunisti erano stati assoggettati o assorbiti dal
partito comunista locale oppure espulsi dalla coalizione di governo nel corso dello stesso 47.
Dopo questa serie di eventi, il dissidio tra le due superpotenze si fece aperto.
Quanto ai paesi dell'Europa orientale, essi presero il nome di democrazie popolari
(e non di "dittature del proletariato") che indicava uno stadio meno avanzato di socialismo
rispetto all'Unione Sovietica e alcuni di essi, come la Polonia, mantennero delle forme
truccate di multipartitismo (ma i partiti nominalmente non comunisti erano poco più che delle
succursali del partito comunista). Nazionalizzate tutte le industrie essenziali, fu lasciato però
qualche spazio alla proprietà contadina, in particolare in Polonia. Le nuove economie
pianificate erano naturalmente coordinate con i piani quinquennali di Mosca. La Russia
aveva disposto liberamente degli impianti industriali tedeschi su cui aveva potuto mettere le
mani, trasferendoli, quando ciò le era parso opportuno, sul suo territorio.

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Cap. 1. La guerra fredda: gli anni del gelo


LA CRISI DEI RAPPORTI EST-OVEST E LA "DOTTRINA TRUMAN"
LA DOTTRINA TRUMAN: AIUTARE I “POPOLI LIBERI” ANCHE
INTERVENENDO NEI LORO CONFLITTI INTERNI
Dopo le elezioni polacche e soprattutto dopo che gli inglesi avevano dichiarato di non
essere più in grado di esercitare la loro funzione di grande potenza nel Mediterraneo - in
relazione alla guerra civile greca - il nuovo presidente Truman nel marzo del 47 si rivolse al
Congresso con un discorso in cui contrapponeva i due modi di vita alternativi delle libere
istituzioni e del totalitarismo (sia nazista che comunista). La "dottrina Truman" in
sostanza impegnava gli Stati Uniti ad aiutare i "popoli liberi" minacciati dalla sovversione
comunista, intervenendo attivamente nei loro conflitti interni.
IL PIANO MARSHALL: L’AIUTO AMERICANO ALLA
RICOSTRUZIONE DELL’EUROPA
Si ricorderà che le potenze democratiche non avevano aiutato nel '36 il governo
legittimo spagnolo contro i nazifascisti sulla base del principio liberale del non-intervento. La
"dottrina Truman" divenne invece un principio generale contro i comunisti. Nel marzo del 47,
in particolare, servì per convincere il Congresso a concedere un ampio finanziamento per la
Grecia e per la Turchia e sarebbe servita ben presto a convincerlo ad approvare il piano
Marshall a favore dell'Europa occidentale, in cui si stava sviluppando un forte malessere
sociale. Si trattava di una generosissima serie pluriennale di prestiti ed aiuti materiali rivolti -
in linea di principio - a tutti gli Stati europei per la ricostruzione postbellica, che nel 47 era
ancora ad un punto morto. L'U.R.S.S. si autoescluse dagli aiuti e costrinse i suoi satelliti a
fare altrettanto perché temeva un'influenza americana nella sua propria sfera.
La generosità degli U.S.A. raggiunse nel corso di qualche tempo il suo scopo politico, che
era quello di rafforzare le correnti filoamericane e di attenuare le agitazioni sociali. Ottenne
poi un altro importante risultato, che fu quello di rilanciare anche l'economia americana, che
aveva subito un notevole rallentamento della produzione quando era cessata la grandiosa
produzione bellica per il conflitto mondiale. Inoltre, nel lungo periodo, con la ricostruzione
dell'economia dell'Europa occidentale gli Stati Uniti avrebbero ritrovato un importante partner
commerciale e un vasto mercato per le proprie merci.
LA NATO, ORGANIZZAZIONE MILITARE DEL BLOCCO
OCCIDENTALE
Contemporaneamente all'attuazione del piano Marshall, gli Stati Uniti formalizzarono
l'alleanza politico - militare che avrebbe rinsaldato il blocco occidentale. L'Alleanza Atlantica
(di cui la NATO è l'organizzazione militare) comprendeva nel 1949 tra i suoi firmatari tutti i
paesi dell'Europa Occidentale già liberati dagli angloamericani nella seconda guerra
mondiale (Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Norvegia, Danimarca, Italia e più tardi
Germania Occidentale), nonché Portogallo, Grecia, Turchia, Islanda e Canada, e
naturalmente Inghilterra e U.S.A.

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E' indubbia la differenza tra il destino di chi era capitato nella sfera d'influenza
sovietica e di chi era finito in quella americana, testimoniata dalle centinaia di migliaia di
fuggiaschi arrivati in occidente dai paesi dell'est (e soprattutto dalla Germania Orientale)
dopo la fine della guerra1. Tuttavia bisogna segnalare anche alcuni inconvenienti del mondo
libero. Essi sono in relazione sia con lo spirito di crociata della "dottrina Truman", sia con la
sproporzione tra la potenza americana e quella dei suoi alleati.
1) La sovranità degli Stati alleati è limitata in pratica dalla leadership militare indiscussa
degli U.S.A. - connessa anche alla strapotenza degli armamenti e del sistema logistico
americani - e dal fatto che tali Stati ospitano basi militare americane (l'Italia ne ospita tuttora
alcune, e in esse è presente anche armamento nucleare che sfugge al nostro controllo).
2) Fuori d'Europa gli interventi americani negli affari interni degli altri Stati furono anche di carattere
militare (vedremo tra poco il caso della guerra di Corea).
“LIBERE ISTITUZIONI” O SEMPLICEMENTE “GOVERNI
ANTICOMUNISTI”?
Con l'espressione "libere istituzioni" e "paesi liberi" gli Stati Uniti spesso intenderanno
semplicemente "governi anticomunisti". Perfino in Europa, tra gli alleati e i protetti degli
americani troviamo, nel dopoguerra e anche oltre, dei governi ultraconservatori o poco
rispettosi dei diritti civili (come la Grecia e la Turchia) o perfino regimi a partito unico ex-
alleati dei nazi-fascisti (Portogallo e Spagna).
In sostanza, nella nuova guerra di religione anticomunista, vale contro il "nemico
totale" l'alleanza di chiunque dia sufficienti prove di anticomunismo, di fedeltà politico -
militare agli Stati Uniti e di disponibilità al commercio capitalistico.

Scheda. LE DITTATURE NELLE AREE DI INFLUENZA OCCIDENTALE E NELLE EX-COLONIE


La presenza di diverse dittature fu tollerata e anche attivamente sostenuta dagli USA e dai loro alleati
occidentali nelle aree della loro influenza ai tempi del maccartismo e anche molto dopo. I regimi fascisti
in Portogallo e in Spagna poterono durare infatti fino alla metà degli anni settanta, integrati
nell’economia capitalistica e nella diplomazia occidentale. In Grecia, invece, la sconfitta della guerriglia
comunista non comportò l’instaurazione di un regime a partito unico, nonostante la pesante repressione;
tuttavia nel 1967 ci fu un colpo di Stato militare parafascista, che instaurò il cosiddetto “regime dei
colonnelli”, appoggiato dal governo americano e durato fino al 1974.
In estremo oriente, dove gli Usa estesero la loro influenza dopo la seconda guerra mondiale,
contrastando la rivoluzione comunista cinese, la Corea del Sud e il Vietnam del Sud filoamericani
furono a lungo regimi autoritari. Diverso è il caso del Giappone, la cui costituzione democratica fu in
sostanza redatta dal comando delle truppe americane di occupazione subito dopo la guerra. Peraltro negli
anni sessanta in Indonesia gli USA appoggiarono la feroce dittatura anticomunista di Suharto, che fece
massacrare più di un milione di persone.
In America Latina ai tempi del maccartismo essi favorirono ed aiutarono il colpo di Stato in
Guatemala contro il legittimo presidente socialdemocratico Jacobo Arbenz Guzmán, accusato di
comunismo perché aveva nazionalizzato le piantagioni della United Fruit Company – di cui tra l’altro il
segretario di Stato John Foster Dulles era socio. È noto poi l’appoggio dello spionaggio americano e dello
stesso Dipartimento di Stato al sanguinoso golpe del generale Pinochet in Cile del 1973 (vedi--> L'ALIBI
DELL'EGEMONIA AMERICANA). E questi sono solo due esempi delle molteplici interferenze economiche,
diplomatiche, spionistiche e perfino militari che gli Stati Uniti hanno compiuto in quest’area, considerata
da essi di loro influenza dall’Ottocento, dunque ben prima del confronto Est-Ovest. P.es. essi occuparono
Cuba dopo la guerra del 1898 contro la Spagna, ma in seguito preferirono lasciare l’isola a causa della

1
Qui si parla dei profughi fuggiti dal nuovo regime sociale impiantato dai russi. I nove milioni di tedeschi
fuggiti verso ovest già nelle ultime fasi del conflitto e subito dopo (vedi 2a parte) costituiscono un caso a sé,
dato che contro di loro fu attuata - e non solo dai russi - una sorta di rappresaglia nazionalistica, mentre gli
altri profughi sfuggivano prima di tutto al regime comunista.

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guerriglia (cercarono però sempre in qualche modo di controllarla, da ultimo attraverso la dittatura di
Fulgenzio Batista, durata fino alla rivoluzione di Fidel Castro del 1959; e vi conservano tuttora la base
militare di Guantanamo); essi poi intervennero nella rivoluzione messicana del 1910; anche il Nicaragua
fu occupato tra il 1912 e il 1933 dall’esercito statunitense, che lo avrebbe lasciato poi a causa della
guerriglia. Non è strano dunque che anche dopo la fine del confronto essi continuino a considerare
l’America Latina propria area di influenza, come si capisce ancora oggi da vari indizi.
Il continente africano e gran parte del continente asiatico erano invece zona d’influenza delle potenze
europee, che hanno cercato nell’immediato dopoguerra di mantenervi anche con la forza i propri regimi
coloniali. Dopo il crollo di questi ultimi ( vedi-->AL DI SOPRA O FUORI DEI BLOCCHI: LA FUNZIONE
DELL'O.N.U., LA DECOLONIZZAZIONE E IL NON ALLINEAMENTO ) essi hanno sostenuto in diversi casi regimi
autoritari favorevoli ai loro interessi economici (p. es. il Belgio, insieme agli USA, ha favorito nel 1960 il
golpe di Mobutu contro il primo ministro legittimo Lumumba, la cui politica economica di
nazionalizzazione delle risorse minerarie contrastava con gli interessi occidentali). In particolare,
l’occidente ha accettato per decenni il Sudafrica razzista come partner commerciale e alleato contro i
movimenti africani anticolonialisti. Questo Stato era in origine un possedimento inglese semi-autonomo,
abitato da una maggioranza indigena bantu e da una consistente minoranza inglese e olandese, il quale
aveva instaurato un regime di segregazione (apartheid) nei confronti dei neri, privi del diritto di voto e di
diritti sindacali. Nel 1961 finalmente dovette uscire dal Commonwealth inglese e l’ONU adottò delle
sanzioni economiche contro di esso. Ciò però per decenni non ebbe significativi effetti sullo sviluppo del
capitalismo sudafricano.
In medio oriente le interferenze occidentali si spinsero anche oltre le ex-colonie: in Iran nel 1953 lo
Shah Reza Pahlevi fu aiutato dai servizi segreti inglesi ed americani ad abbattere il governo
parlamentare di Muhammad Mossadeq, che intendeva nazionalizzare il petrolio, prima dato in
concessione ad una compagnia inglese. Dell’Egitto, della Palestina e dell’Irak parleremo in seguito.

LOTTA IDEOLOGICA E POLITICA DI POTENZA


ANALOGIE TRA LA RIVALITÀ RUSSO-AMERICANA DELLA
GUERRA FREDDA E LA LORO RIVALITÀ ODIERNA
Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica avevano anche motivi di attrito che non derivavano dalla
loro opposizione economica e ideologica. Prima di tutti, c'era il fatto che erano di gran lunga
le due più grandi potenze militari del mondo e questo non poteva non causare diffidenze e
gelosie - esattamente come capita oggi, anche se in maniera meno accentuata.
Inoltre diffidenze e gelosie nascevano anche dal fatto che la Russia, paese grande e
potente, ma in via di industrializzazione e di modernizzazione, sapeva di avere un notevole
handicap di fronte agli Stati Uniti, che da tempo avevano accumulato un enorme capitale
non solo materiale, ma anche tecnologico e scientifico. Anche questo per molti versi vale
ancora oggi.
Di più, si può anche sostenere che già all'inizio lo stesso regime totalitario russo, con
la sua economia statalizzata, la sua pianificazione e la sua propaganda produttivistica, sia
stato, per certi versi, il risultato abnorme di un tentativo, da parte della classe dominante
burocratica sovietica, di mantenere la Russia al rango di grande potenza e di sostenere la
sfida degli Stati più in là di lei sulla via della modernizzazione.
Con la "guerra di religione" dunque si intrecciano gli obiettivi della politica di
potenza, della Realpolitik. Non intendiamo sostenere che essi sono di per sé qualcosa di
molto più nobile, giusto o razionale dei miti dell'ideologia: sono comunque qualcosa di molto
diverso, di più antico ed elementare, destinato a sopravvivere all'odierna fine delle ideologie.

CACCIA ALLE STREGHE E GUERRA DI RELIGIONE:

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MACCARTISMO E ZDANOVISMO
Ciò detto, il periodo tra il 47 e il 53 è passato alla storia come il periodo di maggiore
fanatismo ed esaltazione nella lotta ideologica tra est e ovest (il 47 è l'anno in cui Stalin ha
già ridotto quasi tutti i governi della sua sfera di influenza in satelliti obbedienti, mentre il 53 è
l'anno della sua morte, che renderà possibile la "destalinizzazione"). Due sinistri personaggi
conducono nei due blocchi la lotta ideologica contro il nemico interno: il senatore
repubblicano Joseph McCarty e l'ideologo comunista Andrej Zdanov. I metodi di questi due
fanatici demagoghi furono molto diversi, come erano diversi i loro rispettivi regimi. Ma
analogo è lo schema mentale che li guidava:
Noi = la gente comune, gli appartenenti alla maggioranza perbene, fedeli alla patria

Loro = i nonconformisti, le minoranze straniere, gli ebrei, gli intellettuali, i diversi -

che tendono naturalmente a subire l'influenza del Nemico e diventare spie al suo servizio

E' interessante notare che il populismo, l'antisemitismo, l'anti-intellettualismo e una certa


dose di xenofobia accomunino i due personaggi appena nominati alla tradizione del
populismo nazifascista.
Per quanto riguarda McCarty, è bene precisare che egli non era affatto un membro del
governo degli Stati Uniti, ma, essendo presidente della repubblica il democratico Truman
(1945-1952), deteneva semplicemente la presidenza della Commissione parlamentare per le
attività antiamericane (almeno in linea di principio, nel contesto della tradizionale divisione
dei poteri). Questa Commissione aveva soprattutto poteri di inchiesta, e per il giudizio dei
crimini doveva rinviare i rei ai tribunali ordinari - che però in quel periodo spesso erano
anch'essi in preda all'isteria anticomunista, ormai diffusa nell'opinione pubblica americana e
tra la gente comune. Essa però, contro gli indagati, faceva un uso ricattatorio della denuncia
di oltraggio al parlamento, di reticenza e di falsa testimonianza, riuscendo a mettere insieme
una serie incredibile di delazioni e di false denuncie. Le aziende e la pubblica
amministrazione, per non incorrere nel sospetto di filocomunismo, licenziavano gli indagati e
i sospetti. A fronte di un numero relativamente limitato di condanne penali (tra cui però
alcune condanne a morte) comminate dai tribunali ordinari per attività spionistiche e
antiamericane, il maccartismo fu soprattutto un fenomeno di ostracismo e di persecuzione
economica e sociale.
I comunisti filosovietici negli Stati Uniti erano una minoranza irrisoria ed innocua. Ma la
"caccia alle streghe" colpì senza pietà sia i gruppi di ispirazione socialista, sia soprattutto il
movimento sindacale, che negli anni precedenti aveva acquistato un grande potere nelle
fabbriche e nella società. Esso - nel periodo delle grandi speranze suscitate dalla presidenza
Roosevelt - aveva considerato fiduciosamente Stalin come un alleato nella guerra
antifascista contro il razzismo e l'ineguaglianza.
La caccia alle streghe colpì poi duramente il mondo intellettuale e anche il mondo del

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cinema: ne fu vittima, tra tanti altri, Charlie Chaplin, ebreo e difensore delle classi più
povere, che dovette emigrare in Inghilterra. Ma McCarty cercò anche di destabilizzare gli
avversari democratici al governo, di gettare fango sulla memoria di Roosevelt e sul
presidente in carica. Nel periodo successivo alla morte di Stalin e alla fine della guerra di
Corea, l'isteria collettiva venne meno e il potere di McCarty si sgonfiò ed egli fu dimenticato.

Vediamo ora lo zdanovismo.


Zdanov tentò di inchiodare il mondo della cultura nel rigido schema
Noi= il proletariato fedele ai suoi capi rivoluzionari e illuminato dalla scienza proletaria,

diffusa dal partito

Loro= la borghesia imperialista e i suoi servitori abbagliati e confusi dalla scienza borghese

L'idea che esista una scienza borghese e una scienza proletaria e che il sapere dipenda
dall'estrazione di classe e dalla fedeltà alla rivoluzione indusse tra l'altro Zdanov a
presentare come scientifiche le dottrine del biologo sovietico Lysenko, che, secondo
l'opinione degli accademici occidentali, era poco più di un ciarlatano. Per motivi non dissimili,
fu proibita la diffusione dell'ultimo film di Sergjei Eisenstein, il massimo regista rivoluzionario -
ma non sufficientemente fedele alle direttive di Stalin.
Il fanatismo di Zdanov si sposava con il terrore di Berja, il capo della polizia segreta
russa. Oltre alle ondate di terrore che da tempo si abbattevano ciclicamente sull'Unione
Sovietica, Berja ne organizzò anche per i paesi satelliti. L'inquisizione, colpiti in tutti i modo i
"diversi" e i nonconformisti, si abbatté anche sui veri fedeli. Proprio i fedelissimi dirigenti
comunisti che avevano cacciato i partiti non comunisti dal governo e ne avevano
perseguitato i seguaci, vennero accusati dei più inverosimili complotti e condannati a morte o
imprigionati. Stalin li fece sostituire perlopiù con funzionari di partito che durante la guerra si
erano rifugiati a Mosca: i comunisti rimasti nel proprio paese, che avevano partecipato alla
Resistenza, erano comunque troppo popolari e abituati all'iniziativa, per cui potevano
sfuggire in qualche modo al suo controllo - come in quel momento stava facendo il leader
jugoslavo Tito. Ma vale anche un'altra spiegazione: il totalitarismo ha bisogno di ricreare in
continuazione un clima di terrore, di far nascere in ciascuno la paura di non esser in linea
con il partito, di avere in sé i germi della dannazione, secondo questo terribile schema:
Loro sono dentro di Noi.

LA RIVOLUZIONE CINESE E LA GUERRA DI COREA


Quando nell'agosto del 1945 il Giappone cessò le ostilità dopo le esplosioni atomiche di
Hiroshima e Nagasaki, la Cina, precedentemente invasa massicciamente dai giapponesi,
rimase nelle mani di due movimenti di resistenza rivali: il Kuomintang, repubblicano,

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nazionalista, filo-occidentale e favorevole alla modernizzazione capitalistica della Cina, e il


partito comunista cinese. Qui il Fronte Popolare contro l'invasore fascista si divise fin dal
1945, e le due fazioni cominciarono a combattersi in una guerra civile che si concluse solo
nel 1949, con la vittoria dei comunisti.
Tuttavia era stato Chang Kai Chek, l'autoritario capo del Kuomintang, che durante la
guerra era stato riconosciuto da Stalin come presidente della repubblica cinese, non solo in
omaggio all'alleanza con l'America, ma anche a causa della diffidenza del dittatore sovietico
nei confronti del partito comunista cinese e del suo segretario Mao Zedong. Stalin era geloso
nei confronti dei capi comunisti che godevano di un grande seguito nel loro paese e che
erano in grado, eventualmente, di mettere in atto una politica autonoma dalle direttive
sovietiche; paradossalmente, preferiva scendere a patti con forze ideologicamente estranee,
o addirittura avversarie, piuttosto che lasciar salire troppo il prestigio di quanti, nel suo stesso
campo ideologico, potessero in qualche modo fargli ombra. Lo abbiamo già visto a proposito
di Tito e dei leader dei paesi dell'Europa orientale (ma questo vale anche per lo scarso aiuto
dato da Stalin a suo tempo alla sinistra spagnola). Quanto a Mao Zedong, leader del partito
comunista del più popoloso paese del mondo, egli era già stato trattato con diffidenza da
Stalin fin dalla fine degli anni Venti, quando era cominciata la sua lotta con il Kuomintang.
L’ANTICA RIVALITÀ RUSSO-CINESE HA MOTIVI DI NATURA
GEOPOLITICA
Oltre alle gelosie legate al posto da occupare nella gerarchia della "chiesa" comunista, la
Russia e la Cina sul lungo periodo erano destinate a entrare in urto per questioni di
geopolitica (che sono precedenti alla rivoluzione del 17 e che in parte continuano ad esistere
tuttora). La prima è il paese più esteso del mondo, la seconda il più popolato. La prima non
ha un'elevata densità di popolazione neppure nella parte europea e possiede, oltre alle aree
glaciali e desertiche, sterminate aree sottopopolate e potenzialmente coltivabili proprio sul
confine nord-est con la Cina, conquistate dallo zar fin dal Settecento. La seconda è costituita
da ampie zone ad agricoltura intensiva e ad alta densità di popolazione, e da deserti e
catene montagnose inaccessibili e sterili: la colonizzazione dei territori sovietici adiacenti
sarebbe la soluzione naturale di molti problemi cinesi.
Bisogna dire però che la Russia nel 1949 non aveva niente da temere, sul breve e sul
medio periodo, dalla Cina, uscita da decenni di guerre civili (seguite alla caduta del Celeste
Impero) e da una lunghissima occupazione giapponese. L'immensa Cina aveva comunque
energie a sufficienza per aiutare la repubblica comunista della Corea del Nord nella sua lotta
per l'unificazione nazionale ai danni della Corea del Sud, stato autoritario e filo-occidentale.
Anche in Corea la Resistenza antigiapponese si era divisa in forze di opposta
tendenza (filocomuniste e anticomuniste) che, col crollo della potenza nipponica, erano state
protette dagli occupanti rispettivamente russi ed americani. La linea del 38° parallelo, che
divideva le due zone d'occupazione, divise anche i due nuovi Stati. Quando, nel 1950, la

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Corea del Nord invase quella del Sud, l'America, ottenuta l'approvazione dell'O.N.U., mandò
un corpo di spedizione che respinse l'esercito comunista e che invase poi la stessa parte
settentrionale del paese. Ma l'aiuto economico e tecnico russo - insieme all'intervento diretto
delle truppe cinesi - aveva di nuovo rovesciato la situazione.
E' interessante notare che l'intervento iniziale e i successivi invii di mezzi e di truppe da
parte degli americani furono giustificati con la minaccia globale comunista, diventata
un'ossessione in quei tempi di caccia alle streghe, mentre gli attriti potenziali tra Cina e
Russia, noti anche ai diplomatici americani, non parvero in alcun modo rilevanti. La logica e
l'ideologia del bipolarismo erano diventate schiaccianti. Stalin a sua volta non voleva perdere
la faccia in Corea, né lasciare che due suoi alleati ufficiali subissero un rovescio, ma semmai
era pronto ad approfittare della situazione per espandere la sua sfera d'influenza.
Solo dopo la morte del dittatore sovietico, avvenuta nel 1953, il conflitto ebbe termine,
per la posizione più morbida della nuova direzione del Partito Comunista dell'Unione
Sovietica. Dopo una guerra costata centinaia di migliaia di morti, la linea del cessate il fuoco
rimase lungo il 38° parallelo, dove era originariamente.

AL DI SOPRA O FUORI DEI BLOCCHI: LA FUNZIONE DELL'O.N.U.,


LA DECOLONIZZAZIONE E IL NON ALLINEAMENTO
In questo periodo storico ben poco, in politica internazionale, riesce a sottrarsi alla logica
bipolare. L'Organizzazione delle Nazione Unite, fondata nel 1945 secondo gli accordi
intercorsi tra gli alleati durante la guerra contro il nazismo, per suo statuto si sarebbe dovuto
porre al di sopra di tale logica. Ma l'O.N.U. di fatto quasi non funzionò nel periodo acuto della guerra fredda, e
comunque gli attriti internazionali la sua stessa struttura interna ne hanno sempre reso molto difficile il processo
decisionale anche in seguito.
IL DIRITTO DI VETO DELLE 5 GRANDI POTENZE NEL CONSIGLIO
DI SICUREZZA DELL’ONU
L'Assemblea Generale dell'organizzazione, formata dai rappresentanti di tutti gli Stati
membri, non può prendere decisioni operative, ma si deve limitare a votare risoluzioni, che
sono in sostanza dichiarazioni di intenti rivolte agli Stati che violano la pace o il diritto
internazionale. E' il Consiglio di sicurezza che può prendere la decisione di un intervento
militare. Esso è formato da quindici membri, cinque permanenti (U.S.A., U.R.S.S., Cina,
Gran Bretagna e Francia), forniti del diritto di veto, e dieci eletti a rotazione. L'esistenza dei
cinque membri permanenti, le cinque grandi potenze, sembra voler mascherare o attenuare
l'antipatica realtà a tutti ben nota, e cioè che chi conta sono solo le due superpotenze.
Palesemente assurdo poi è il fatto che dopo la rivoluzione cinese il seggio della Cina sia
rimasto al governo della Cina nazionalista - la cui autorità si estendeva solo sull'isola di
Taiwan (o Formosa).
L'unica iniziativa importante del Consiglio di Sicurezza in questo periodo fu la

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decisione, presa approfittando del fatto che l'Unione Sovietica aveva abbandonato le riunioni
in segno di protesta, di attaccare militarmente la Corea del Nord, compito che poi fu eseguito
essenzialmente dalle truppe americane. Perfino l'O.N.U., dunque, in questa circostanza fu
coinvolta nella logica dei blocchi. In seguito essa se ne sarebbe decisamente sottratta -
anche perché i sovietici non avrebbero mai più disertato il consiglio - ma avrebbe avuto un
peso molto limitato sulle vicende internazionali.
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DOPO LA GUERRA UN GRAN NUMERO DI COLONIE DIVENTANO
INDIPENDENTI
La decolonizzazione è un altro ambito che in parte si sottrae alla logica bipolare. Essa, come
si è visto, era stata uno dei punti in cui a Teheran e a Yalta le opinioni - e gli interessi - dei
russi e degli americani erano venuti a convergere, a danno degli inglesi e delle altre potenze
coloniali europee, cioè Francia, Belgio, Olanda e Italia, che in quel periodo erano ancora in
parte in mano alle truppe tedesche. Ma con la guerra fredda la logica bipolare fu applicata
molto spesso anche in questo campo. Abbiamo già visto il caso della Corea, che nonostante
la sua antica civiltà, era stata, dal 1910, una specie di colonia del Giappone. Più tardi, nel
1954, quando i francesi, dopo un lungo conflitto, rinunciarono al controllo sulle loro colonie
indocinesi (Vietnam, Laos e Cambogia), gli americani fecero entrare nella loro sfera
d'influenza il Vietnam del Sud, retto da una dittatura filo-occidentale, mentre il Nord rimaneva
nelle mani del partito comunista Vietminh, il cui leader storico, Ho Chi Min, aveva guidato la
lotta contro gli occupanti giapponesi, prima, e contro la restaurazione francese, poi.
IL MOVIMENTO DEI NON ALLINEATI, IL “TERZO MONDO”, VA
CONTRO LA LOGICA BIPOLARE
Tuttavia nel complesso i nuovi paesi cercarono di uscire dalla logica bipolare: a Bandung,
in Indonesia, nel 1955, e a Belgrado, nel 1961, si riunirono una trentina di Stati asiatici ed
africani, detti poi "non allineati", che si consideravano un "terzo mondo", rispetto a quello
capitalistico occidentale e a quello comunista. Ma la povertà e la disomogeneità di questo
mondo non ne faceva certamente una terza forza.
Di questo schieramento faceva parte anche la Yugoslavia, che nel 1948 era stata
"scomunicata" dall'U.R.S.S. con l'accusa di trotzkismo, nazionalismo e altre eresie. Nel clima
ideologico delle "guerre di religione" di quegli anni, era inimmaginabile che questo paese
passasse sotto l'ombrello militare americano, e, nel totale isolamento, correva il rischio di
un'invasione russa. E' facile capire che ben presto Tito diventasse un sostenitore del
movimento dei paesi non-allineati. Egli, inoltre, senza rinunciare al regime del partito unico,
abbandonò la sua rigidità ideologica e, nel corso del tempo, introdusse nell'economia
pianificata alcuni elementi di mercato e di gestione operaia, al posto della pianificazione
burocratica dall'alto.
LA POLITICA DI GANDHI É FUORI DAI DUE BLOCCHI
Fuori dalla logica dei blocchi è, a più forte ragione, anche il movimento
indipendentista indiano guidato dal Mahatma Gandhi. La concezione della politica e, più

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in generale, della società e della vita di questo grande leader nonviolento non può in nessun
modo essere assimilata al marxismo-leninismo di Stalin, al capitalismo liberale di Truman e
nemmeno ad altre grandi tradizioni politiche dell'occidente.
GANDHI É PER LA LIBERTÀ E L’EGUAGLIANZA, MA NON CREDO
NEL MITO DEL PROGRESSO TECNICO-ECONOMICO
Certo egli condivide con la tradizione comunista l'idea dell'uguaglianza dei popoli e della
dignità del lavoro manuale, nonché il progetto di liberare i paesi oppressi dall'imperialismo
coloniale. Così come condivide con la tradizione liberaldemocratica l'idea della dignità
dell'individuo e della salvaguardia dei suoi diritti fondamentali. Ma non si lascia invece affatto
sedurre dal mito moderno occidentale dell'onnipotenza del progresso economico e tecnico,
che accomuna i due blocchi. E neppure accetta l'idea universalmente diffusa che il potere
politico abbia diritto di fare uso della violenza per mantenere l'ordine all'interno e per
garantire il popolo dalle minacce esterne. Infine Gandhi si differenzia dai pacifisti rivoluzionari
socialisti e anarchici, che non ammettono la guerra, ma ammettono la lotta di classe violenta
e l'insurrezione armata. Tuttavia non manca in lui anche un legame ideale con l'occidente:
quello con il cristianesimo delle origini e con il suo rifiuto integrale della violenza.
EFFICACIA DEI SUOI METODI NONVIOLENTI
Questa purezza di principi non deve far dimenticare che il movimento satyâgraha di
Gandhi è stato tanto politicamente efficace da costringere l'Inghilterra a lasciare l'India. Egli,
che in origine faceva l'avvocato, fu geniale nell'inventare forme di resistenza passiva, di
sabotaggio nonviolento e di azione collettiva dimostrativa (tali metodi furono ripresi poi nella
lotta per i diritti civili dei neri americani da Martin Luther King, e più tardi dallo stesso
movimento del 68 e da vari altri che pure non praticavano la nonviolenza integrale).
Certamente l'azione degli indipendentisti indiani aveva un'efficacia particolare nel
contesto dell'impero britannico in cui c'era per lo meno una tradizione di rispetto per le
procedure legali e in cui la stampa libera dava risonanza alle misure repressive del governo
contro i nonviolenti, creando necessariamente un moto di simpatia nei loro confronti. Ci si
può chiedere invece se i progetti a suo tempo elaborati da Gandhi per permettere
all'Inghilterra di resistere all'aggressione nazista con il suo metodo di lotta fossero realistici,
visto che il regime hitleriano non aveva al suo interno un'opinione pubblica libera e non
aveva alcun rispetto per le procedure legali.
L'influenza del movimento satyâgraha non va sopravvalutata neanche in India: la
decolonizzazione dell'Impero Indiano, caratterizzato da una molteplicità di etnie, religioni e
civiltà diverse, fu seguita da una guerra civile tra induisti e mussulmani che portò alla
costituzione nel 1947 di due Stati separati, la Federazione Indiana, che riconosce il
pluralismo etnico e razziale, e il Pakistan (il "Paese dei Puri"), in cui l'Islam è la religione
ufficiale. Il movimento non riuscì dunque a frenare il fanatismo nazionalistico e religioso e lo
stesso Gandhi fu assassinato nel 1948 da un fanatico indù. Inoltre la nascita dei due Stati
indiani fu accompagnata da una reazione collettiva di panico che portò ad un esodo di

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massa - nei due sensi - che coinvolse dieci milioni di persone.


Quanto al Pakistan, unitario dal punto di vista religioso, era un assurdo geografico e
amministrativo, oltre che etnico - linguistico: esso consisteva di due parti separate situate agli
estremi della pianura indiana, l'una nella valle dell'Indo e l'altra alla foce del Gange e del
Bramaputra. Esso non avrebbe avuto un destino felice: la sua parte orientale, il Bangla
Desh, nel 1971 proclamò l'indipendenza, e riuscì ad ottenerla solo nel 1972, dopo una guerra
in cui fu coinvolta anche l'India.
Del resto tra India e Pakistan dal 1947 in poi sono continuati gli attriti e anche gli
scontri per la ridefinizione dei confini nella zona del Kashemir, in cui oggi è attiva la guerriglia
mussulmana. Ultimamente i due paesi si sono dotati di armamento nucleare e di missili
vettori, e sono giunti a minacce reciproche molto pesanti. Anche in questo caso, si tratta di
tutta una serie di conflitti che non possono essere ricondotti alla rivalità tra i due
blocchi.

IL GRANDE BOOM DEL 50-73:


LO SVILUPPO ECONOMICO OCCIDENTALE
DAL 1950 AL 1973 L’ECONOMIA MONDIALE HA UNO SVILUPPO
SENZA PRECEDENTI
A partire dal piano Marshall e dal compimento della ricostruzione, tutta l'economia
internazionale del primo, del secondo e anche del terzo mondo ebbe uno sviluppo senza
precedenti, durato sostanzialmente dal 1950 al 1973. I tassi dello sviluppo annuo del
Prodotto Interno Lordo di quasi tutti i paesi raggiunsero un livello unico nella storia. In questo
periodo di ventitré anni, il tasso di sviluppo annuo dei paesi capitalistici avanzati (consociati
nell'O.C.S.E., l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico) raggiunse il
4.9 %. L'incremento medio del prodotto sovietico dello stesso periodo fu ancora superiore:
esso è stato stimato tra il 5,2 e il 6,2% (i dati ufficiali sovietici parlano ad dirittura dell'8,1).
IN QUESTA “ETÀ DELL’ORO” IL MITO DEL PROGRESSO SEMBRA
CONFERMATO DALLA STORIA REALE
E' questa dunque l'"età dell'oro" del secolo ventesimo, secondo la formula fortunata dello
storico inglese Eric Hobsbawm. In quest'epoca il mito comune a tutta la civiltà moderna,
la coincidenza del progresso tecnico economico con quello politico e morale, sembra
trovare una forte conferma nei fatti: nonostante il permanere di diversi conflitti, interni ed
esterni, i due blocchi attraversano una fase di relativa stabilità e sicurezza, mentre le masse
occidentali accedono ad un livello di consumo prima inimmaginabile, e quelle del blocco
orientale escono da uno stato di arretratezza secolare.
FATTORI DELLO SVILUPPO: - LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE
MERCI E STABILITÀ DEI CAMBI
Esaminiamo prima di tutto i fattori che avevano stimolato l'economia occidentale. Uno di essi
era stato la libera circolazione delle merci e la stabilità del cambio tra le principali
monete. In base agli accordi di Bretton Woods del 1944 tra gli alleati, le monete avrebbero

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dovuto avere un rapporto fisso tra loro, con una possibilità di oscillazione solo dell'1 %,
mentre il dollaro - la moneta guida - avrebbe dovuto essere scambiato con l'oro sempre
secondo un rapporto fisso (35 dollari all'oncia). Questo garantiva un valore certo e stabile a
tutte le monete presenti sul mercato, cosa che, insieme al progressivo abbattimento delle
tariffe doganali e alla totale assenza di guerre tra i paesi dell'O.C.S.E., permetteva lo
sviluppo del commercio e del movimento dei capitali.
- AUMENTO DEMOGRAFICO E BASSI
PREZZI DEL PETROLIO E DELLE MATERIE PRIME
Un altro fattore fu il notevole aumento demografico dei paesi capitalistici avanzati nel
periodo del secondo dopoguerra, che dilatò i consumi delle famiglie e diede un'ampia
disponibilità di manodopera. Molto importante fu anche il fatto che il prezzo del petrolio e in
genere delle materie prime provenienti dai paesi del terzo mondo si mantenne basso per
tutto il periodo.
- NOTEVOLE STIMOLO ALL’ECOMOMIA
DA PARTE DELLA SPESA PUBBLICA
Ma, da ultimo, è bene sottolineare che in quegli anni non mancò mai quella spesa di
Stato che aveva rilanciato l'economia americana durante la seconda guerra mondiale e poi
di nuovo ai tempi del piano Marshall e della guerra di Corea. Infatti, il governo americano
continuò a sviluppare i propri armamenti proprio a causa del confronto politico - militare con
l'U.R.S.S., e inoltre, soprattutto negli anni Sessanta, dette un notevole impulso alla spesa
sociale. Quanto agli Stati europei, essi lasciarono l'onere di gran parte della spesa militare
alla superpotenza, ma - soprattutto negli anni sessanta - svilupparono gradualmente le
istituzioni dello Welfare State (previdenza sociale, sanità pubblica, istruzione superiore
agevolata, ecc.), di cui l'Inghilterra laburista aveva fornito l'esempio già nell'immediato
dopoguerra.
In effetti, la politica economica prevalente in questo periodo è legata al nome
dell'economista inglese John Meynard Keynes (1883-1946), che fu, tra l'altro, uno dei
protagonisti dell'incontro di Bretton Woods. Keynes era convinto che il mercato capitalistico
non fornisce spontaneamente una domanda tale da stimolare lo sviluppo e da garantire un
tasso abbastanza alto di occupazione. E' perciò necessario l'intervento dello Stato per creare
una domanda aggregata capace di stimolare opportunamente l'economia. La spesa di Stato
in deficit di bilancio (e la corrispettiva emissione di cartamoneta) comporta naturalmente un
certo rischio di inflazione, che richiede attenta sorveglianza. Anche per questo gli accordi di
Bretton Woods obbligavano gli Stati occidentali al rispetto del sistema dei cambi fissi delle
monete, che li vincolava a non superare certi limiti inflattivi. Sarà solo negli anni sessanta, in
seguito alla guerra del Vietnam, che questi limiti saranno sistematicamente superati e l'intero
sistema dovrà affrontare diverse difficoltà fino ad essere abbandonato, come vedremo in
seguito.

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IL GRANDE BOOM DEL 50-73:


LO SVILUPPO ECONOMICO DEL BLOCCO SOVIETICO
LA PIANIFICAZIONE SOVIETICA SVILUPPA IL SETTORE DEI BENI
DI PRODUZIONE PIÙ DI QUELLO DEI BENI DI CONSUMO
L'Unione Sovietica aveva un modello di sviluppo assai diverso, basato sulla
pianificazione centralizzata autoritaria. Essa puntava prima di tutto a sviluppare la
produzione di acciaio e la chimica di base, che sono il presupposto tecnico dello sviluppo di
tutti gli altri settori. Veniva invece per il momento lasciato decisamente in secondo piano lo
sviluppo del settore dei beni di consumo.
In effetti gli economisti sovietici avevano ben chiaro in mente che un paese, per potersi
sviluppare economicamente in modo autonomo, deve diventare indipendente dai paesi
industriali più avanzati prima di tutto nei settori di base. Nel periodo che stiamo esaminando,
questa accumulazione di risorse industriali primarie divenne un obiettivo non solo dell'Unione
Sovietica e degli altri paesi comunisti, ma anche di molti paesi in via di sviluppo: in
particolare il cosiddetto socialismo arabo, anche se non cercava affatto di eguagliare
l'Unione Sovietica nell'estensione delle nazionalizzazioni e nella metodicità della
pianificazione, tentò (con scarso successo) di creare una base locale per iniziare un
processo di industrializzazione ed per uscire dalla spirale della dipendenza economica dai
paesi capitalistici industrializzati (-->vedi qui sotto, a proposito del sottosviluppo).
L’ECONOMIA STATALIZZATA SERVE AD ACCUMULARE
VELOCEMENTE LE RISORSE PRODUTTIVE NECESSARIE PER IL
DECOLLO INDUSTRIALE
La Russia, prima di una serie di paesi nel corso del secolo ventesimo, ha scelto
l'economia statalizzata per accumulare più velocemente le risorse produttive
necessarie a creare le premesse dell'industrializzazione, che nei paesi occidentali
avanzati erano state accumulate dai privati con un lento processo cominciato diversi secoli fa
e acceleratosi nel corso dell'Ottocento. Certo, nelle fasi più recenti l'economia statalizzata,
burocratizzata e rigida com'è, non è in grado di reggere alla concorrenza delle grandi
imprese transnazionali (il cui fatturato, tra l'altro, in molti casi oggi supera il prodotto
nazionale lordo di paesi come il Portogallo –-> Su questo vedi Parte 7a, paragrafo su POLO UNICO,
PENSIERO UNICO E CAPITALE GLOBALE). Ma ciò non toglie che essa a suo tempo abbia dato
un contributo notevole per far uscire tali paesi dall'arretratezza. E che abbia permesso alla
Russia ai tempi di Stalin, di Krusciov e di Breznev di accumulare una straordinaria quantità di
risorse materiali e tecnologiche (fu la Russia che per prima mise in orbita un satellite
artificiale, lo Sputnik, nel 1957).

IL SOTTOSVILUPPO

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L'indipendenza politica conquistata da numerosi paesi asiatici e africani non li faceva


automaticamente uscire dal loro stato di dipendenza economica. Questi paesi infatti
avevano sviluppato il loro sistema produttivo sulla base delle esigenze della potenza
colonizzatrice, specializzandosi spesso in qualche monocultura favorita dalle condizioni
climatiche (caucciù, caffè, cotone, banane, ecc.), o nell'estrazione di materie prime
necessarie alle industrie dei padroni europei, da cui acquistavano i prodotti finiti. Le
monocolture in molti casi avevano danneggiato l'ecosistema e l'agricoltura contadina di
sussistenza, mentre l'importazione di manufatti europei a prezzi di concorrenza aveva
scoraggiato la nascita di manifatture locali. Anche il fatto di avere un numero limitato di voci
di esportazione, in sostanza materie prime e prodotti di monocultura, rendeva fragili queste
economie in caso di crollo della domanda di una di esse.
In una situazione analoga si trovavano anche la maggior parte degli Stati dell'America
Latina, la cui economia però dipendeva grosso modo da quella degli Stati Uniti, a causa della
penetrazione economica nordamericana cominciata fin dall'Ottocento.
Sappiamo già qual è la risposta dei paesi comunisti sottosviluppati, come la Cina, la
Corea del Nord e il Vietnam del Nord, nonché - con maggiore timidezza - del socialismo
arabo (Egitto, Siria, Irak, e, in periodi più recenti, Algeria, Yemen e Libia) : incoraggiare la
nascita dell'industria locale attraverso l'intervento dello Stato, quasi sempre nazionalizzando i
beni delle grandi compagnie straniere. Più limitati interventi dello Stato ai fini dello sviluppo
industriale nazionale furono tentati, in diversi periodi, in Stati come l'Iran, l'India, il Brasile,
l'Argentina e altri ancora. Ma, se non consideriamo la Repubblica Popolare Cinese, Vietnam
del Nord e Corea del Nord, e più tardi Cuba, si può dire che nel complesso il terzo mondo
faceva parte dell'area commerciale capitalistica ed era sottoposto a quello scambio
ineguale (materie prime e generi "coloniali" in cambio di manufatti, a prezzi controllati
dall'occidente) che li manteneva in uno stato complessivo di dipendenza.
LA POPOLAZIONE CRESCE PIÙ VELOCEMENTE DELLA
PRODUZIONE AGRICOLA
Nonostante la dipendenza economica, anche la produzione dei paesi sottosviluppati non
ha fatto che crescere nel periodo 1950-1973, benché per molti di essi sia aumentato il
divario con il mondo capitalistico industrializzato, e la loro economia spesso sia rimasta
dipendente. Inoltre moltissimi di questi paesi avevano gravissimi problemi concernenti lo
sviluppo agricolo alimentare e lo sviluppo demografico. In sintesi, la velocità dello sviluppo
agricolo locale è stata spesso inferiore della velocità dello sviluppo della popolazione,
mentre la crescita piuttosto modesta dei redditi non agricoli non permetteva nemmeno di
rifornirsi senza problemi all'estero di derrate alimentari.
IL LATIFONDO ASSENTEISTA E LE MULTINAZIONALI USA IN
AMERICA LATINA
Le difficoltà dell'agricoltura dipendono da molteplici fattori, variabili da paese a paese.
Nelle aree più sottosviluppate dell'America Latina i contadini - piccoli proprietari o affittuari o

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senza terra - sono stati oppressi prima dalla grande proprietà terriera locale,
tradizionalmente assenteista e poco interessata allo sviluppo, o dalle grandi multinazionali
agricole statunitensi, spesso capaci di influenzare potentemente le autorità locali o nazionali,
che hanno finto di ignorare i danni sociali e ambientali prodotti dalle monoculture.
LA SCARSITÀ DELLE RISORSE DELLE AZIENDE FAMILIARI IN
ASIA E AFRICA
Anche in Asia o in Africa le multinazionali agricole straniere hanno giocato un ruolo
negativo, ma spesso il problema prevalente è stato piuttosto quello della scarsità di risorse
delle piccole aziende contadine, che, in condizione di accelerato sviluppo demografico, si
sono trovate a coltivare nuove aree con pochi mezzi per dissodarle o per concimarle
adeguatamente. In altri casi ci sono state le difficoltà legate al passaggio da un'economia
nomade o seminomade ad una sedentaria, anche in questo caso imposta dall'aumento della
popolazione e dalla rarefazione degli spazi.
I MODERNI FARMACI DIMINUISCONO NOTEVOLMENTE LA
MORTALITÀ INFANTILE
Come si vede, lo sviluppo demografico non è solo un problema per l'aumento delle
bocche da sfamare, ma anche per la sua pressione sui terreni coltivabili e sul mercato del
lavoro. Causa principale ne è la diffusione di una serie di farmaci che hanno diminuito
drasticamente la mortalità infantile, in società in cui sia le tradizioni agricole più antiche
(più figli, più braccia) sia le grandi religioni monoteiste (in sostanza, l'islamismo e il
cattolicesimo) concordano nel condannare la contraccezione.
Alcuni governi, come quello cinese e quello indiano, hanno praticato una politica
spesso anche dura contro le famiglie numerose, frenando almeno in parte il loro spaventoso
sviluppo. Moltissimi altri non hanno neppure affrontato il problema, sperando che il puro e
semplice aumento del tasso di istruzione e le abitudini urbane modificassero il
comportamento delle famiglie e in particolare delle donne, cosa che è avvenuta solo in
misura decisamente insufficiente. In Europa certo non c'è stato bisogno della propaganda
aperta dello Stato e della scuola per modificare il comportamento femminile. Tuttavia il
nostro continente ha impiegato più di due secoli, dal Settecento ad oggi, per passare da un
tasso di natalità simile a quello del terzo mondo al tasso odierno: è difficile pensare che le
altre culture possano bruciare le tappe senza un intervento sistematico.

L'ITALIA DALLA RESISTENZA AL PREDOMINIO DEMOCRISTIANO


Come si ricorderà, nella primavera del 1947 in Italia finì l'esperienza del governo di
grande coalizione di tutti partiti che avevano combattuto insieme la Resistenza, che erano
anche gli stessi che in quel momento stavano procedendo insieme alla stesura della
costituzione. Si formò così una maggioranza molto più ridotta: la Democrazia Cristiana e i
suoi alleati liberali e moderati.
Alle elezioni politiche del 48, da cui sarebbe uscito il primo parlamento in base alla nuova costituzione repubblicana,

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si presentarono molti partiti, in quanto anche i partiti minori avevano qualche speranza, grazie al sistema proporzionale, di
essere rappresentati (con tale sistema si vota non il singolo candidato, come con il sistema uninominale, ma il partito, per cui
la percentuale dei seggi di quest'ultimo in Parlamento corrisponde grosso modo alla percentuale dei suoi voti a livello
nazionale). --> Su sistema proporzionale e uninominale si veda Parte 2a, COSTITUZIONE DELLA QUINTA REPUBBLICA
FRANCESE. IL BIPARTITISMO ARTIFICIALE.
DUE GRUPPI ANTAGONISTI: FILO-OCCIDENTALI E FILOSOVIETICI
Questi numerosi partiti erano divisi però in due gruppi antagonisti. Un gruppo era
decisamente schierato a favore della democrazia parlamentare all'occidentale e
dell'alleanza con gli Stati Uniti, e comprendeva la D.C. (che era già il partito di
maggioranza relativa alla Costituente e il cui leader, Alcide De Gasperi, era stato capo del
governo dopo l'azionista Parri) e alcuni partiti minori: liberali, repubblicani (l'ala moderata
del Partito d'Azione) e socialdemocratici (che avevano appena lasciato il partito socialista,
perché filosovietico e radicale).
L'altro schieramento era costituito da una coalizione che si autodefiniva ancora Fronte
Popolare, ed era formata dai socialisti, il cui leader era Pietro Nenni, e dai comunisti, il cui
leader era Palmiro Togliatti. Entrambi questi partiti avevano dato un contributo significativo
alla costituzione liberaldemocratica che era stata da poco approvata, insistendo in particolare
sui diritti sociali.
I PARTITI MARXISTI
Ma entrambi i partiti erano marxisti (il primo risaliva addirittura alla fine dell'Ottocento,
aveva fatto parte dell'Internazionale Socialista ed era diviso in correnti vivaci e rissose, il
secondo si era staccato nel 1921 dal primo per entrare nell'Internazionale Comunista e,
secondo le direttive di Lenin, non ammetteva ufficialmente al suo interno le correnti); in
entrambi non mancavano gruppi o tendenze decisamente rivoluzionari, specie in molte
sezioni operaie o tra i contadini senza terra. E soprattutto entrambi - anche il P.S.I. -
riconoscevano nell'Unione Sovietica la prima società che aveva attuato la rivoluzione
operaia socialista.
I PARTITI MARXISTI:-LA SCELTA LEGALITARIA COSTITUZIONALE
Ma, per l'immediato, la linea politica approvata dai loro organi direttivi era quella di
arrivare al potere legalmente, secondo le norme stabilite dalla nuova costituzione. In effetti
molti quadri del partito comunista ed ex-partigiani sentivano tale costituzione come il frutto
delle lotte della Resistenza, e inoltre le tragiche conseguenze del tentativo rivoluzionario
comunista in atto in Grecia da qualche anno aveva rafforzato la scelta legalitaria della
dirigenza del P.C.I.
I PARTITI MARXISTI:-L’OBIETTIVO STORICO DELL’ABOLIZIONE
DEL CAPITALISMO
D'altra parte i comunisti non avevano rinunciato all'obiettivo strategico dell'abolizione
del capitalismo e del passaggio alla dittatura del proletariato, per cui, in questa prospettiva
di lungo periodo, essi intendevano andare oltre il sistema politico e sociale vigente. Inoltre
essi diffondevano un'immagine illusoria e propagandistica dell'Unione Sovietica, considerata
come il paese guida del progresso politico e sociale dell'umanità, in cui sarebbe stata in atto

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la dittatura marxista del proletariato sulle classi dei proprietari e non la dittatura staliniana del
partito sul proletariato, con tutto il suo corollario di stragi e di gulag. Date queste premesse,
tutti i partiti filo-occidentali concordavano nella conventio ad excludendum (rifiuto di farli
entrare in una coalizione di governo) nei loro confronti e nei confronti dei loro alleati socialisti
del Fronte Popolare.
LA VITTORIA DELLA DC:
-LA CROCIATA CATTOLICA ANTICOMUNISTA
Ad ogni modo i socialcomunisti avevano scarsissime possibilità di vincere (raccolsero
insieme solo il 31% dei voti) anche per la capacità di mobilitazione della Chiesa, che aveva
lanciato contro di loro una vera e propria crociata, con tanto di scudo crociato nel simbolo
elettorale della D.C. e di scomunica (non metaforica) per i comunisti.
LA VITTORIA DELLA DC:
-LE SIMPATIE DEI CETI MEDI E DEI COLTIVATORI DIRETTI
Probabilmente alla sconfitta contribuì anche il voto dei ceti medi, i cui interessi economici
erano stati abilmente difesi contro quelli operai dal ministro liberale Einaudi, e quello di
numerosi coltivatori diretti (piccoli proprietari contadini), mobilitati dalla D. C. in difesa della
proprietà privata, nonché le simpatie per l'America - il ricco paese che ci aiutava alla
ricostruzione, dove erano emigrati molti italiani, e da cui venivano film e fumetti popolarissimi
- e inoltre la fama sinistra del totalitarismo ateo staliniano. Infine, last but not least, la
minaccia americana di revocare il piano Marshall in caso di vittoria del Fronte
Popolare.
LA VITTORIA DELLA DC:
-LA MINACCIA AMERICANA DI REVOCARE IL PIANO MARSHALL
La D.C. ottiene il 48,5% dei voti, cosa che le permette di raggiungere da sola, seppur
per pochi seggi, la maggioranza assoluta in parlamento, dove potrà age volmente formare un
governo con l'appoggio degli altri partiti filo-occidentali.
SCHEDA. I PARTITI DELLA COSIDDETTA “1a REPUBBLICA”, ELETTI COL SISTEMA
ELETTORALE PROPORZIONALE (1945-1993)
Questa scheda sintetica anticipa fatti e idee che saranno chiariti meglio più tardi. È consigliabile
tornare a vederla man mano che si leggono i capitoli 1-4.
Le denominazioni dei partiti sono a volte cambiate nel tempo e quindi non sempre hanno coinciso
perfettamente con quelle qui riportate.
DC (DEMOCRAZIA CRISTIANA). Partito cattolico, che si ispira alla dottrina sociale della Chiesa ma è
indipendente da essa, di orientamento centrista, diviso in molte correnti, che vanno da una sinistra
disposta al compromesso col PSI e perfino col PCI a una destra fortemente anticomunista, aperta ad
intese con i monarchici e il MSI.
-Fu per tutto il tempo il partito di maggioranza relativa, scendendo però dal 48.5% del 1948 al 29,7%
del 1992. Fu ininterrottamente al governo.
PCI (PARTITO COMUNISTA ITALIANO). Partito marxista, in origine legato al comunismo sovietico;
Sviluppa la tradizione marxista italiana, legata ad Antonio Gramsci, ed elabora negli anni settanta
l’idea di eurocomunismo. Nel 1991 abbandona il marxismo e assume il nome di PDS.
-Fu sempre il secondo partito in Parlamento (il terzo alla Costituente), oscillando tra il 18,9% del 1946
e il 34,3 del 1976. Come PCI non partecipò direttamente a nessun governo dopo il 1947, ma appoggiò
in Parlamento dall’esterno i governi di Unità Nazionale (1976-1979). Come PDS partecipò al governo
Ciampi (1993).
PSI (PARTITO SOCIALISTA ITALIANO). Partito d’ispirazione marxista, ma diviso in diverse correnti,
inclusa la corrente socialdemocratica non marxista filo-occidentale, che però ne uscì nel 1947 dando
vita al PSDI (nel periodo 1966-68 ci sarà un tentativo di riunificazione). È legato al PCI da un patto di
collaborazione e simpatizza per il campo sovietico; nel 1957 però condanna l’invasione dell’Ungheria
da parte dell’URSS e rompe il patto col PCI.
-Fu sempre il terzo partito (il secondo solo alla Costituente), oscillando tra il 20% del 1946 e il 10%
circa nel corso degli anni settanta. Partecipò ai governi di centrosinistra a partire dal 1963, a quelli di

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Unità nazionale e a quelli di pentapartito a partire dal 1980.


PSDI (PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO ITALIANO). Partito di centro-sinistra, con un
programma di riforme sociali, compie subito una scelta di campo per l’occidente.
-Fu a volte il quarto partito e a volte il quinto partito, oscillando tra il 7% del 1948 e il 2,7% del 1992.
MSI (MOVIMENTO SOCIALE ITALIANO). Partito di estrema destra, in sostanza erede del Partito
Nazionale Fascista (la cui ricostituzione è vietata dalla Costituzione).
-Fu il quarto/quinto partito, oscillando tra il 2% nel 1948 e l’8,6% (9% al senato) nel 1972. Non
partecipa a nessun governo, ma appoggia dall’esterno alcuni governi democristiani negli anni
cinquanta e nel 1960.

Piccoli partiti (oscillanti tra l’1% e il 3-4%; non essendoci una soglia minima di voti necessaria per
ottenere una rappresentanza, questi partiti erano tutti presenti in Parlamento)
PRI (PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO). Partito di centro-sinistra, di ispirazione
liberaldemocratica e laica. Sempre eletto in Parlamento, partecipò a numerosi governi di centro, di
centrosinistra e di pentapartito.
PLI (PARTITO LIBERALE ITALIANO). Partito di centro-destra, di ispirazione liberaldemocratica,
liberista e laica. Sempre eletto in Parlamento, partecipò ai governi di centro e ai governi di
pentapartito.
PARTITO MONARCHICO. Partito di destra clericale, fu eletto in Parlamento per la prima volta nel
1968. Appoggiò dall’esterno alcuni governi DC negli anni cinquanta. Molti monarchici passarono nel
MSI allo scioglimento del loro partito.
PSIUP (PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITÀ PROLETARIA). Partito marxista di estrema
sinistra, fondato da parlamentari staccatisi dal PSI nel 1964, contrari alla partecipazione al governo di
centro-sinistra. Dopo il 1972 ha dato vita, insieme al gruppo “Il Manifesto” (uscito dal PCI) e ad altri, al
“PDUP per il Comunismo”. Nel 1975 confluì in un’alleanza elettorale dei gruppi di estrema sinistra
chiamata DEMOCRAZIA PROLETARIA, che ebbe rappresentanti in Parlamento fino alle elezioni
del 1987 comprese. Nemmeno questi hanno partecipato ad alcun governo.
PR (PARTITO RADICALE). Partito di ispirazione liberaldemocratica, liberista e laica, fortemente
contrario al clericalismo, fondato nel 1956, è stato presente in Parlamento a partire dalle elezioni del
1976, ma ha fatto politica soprattutto attraverso i referendum. Non hai mai partecipato al governo.

Partiti apparsi per brevi periodi:


1945-1948
PARTITO D’AZIONE. Partito liberaldemocratico laico fautore dei diritti sociali, diede un contributo
importantissimo alla Resistenza. Ferruccio Parri, suo leader, fu capo del Comitato di Liberazione
Nazionale dell’Alta Italia e primo Presidente del Consiglio dopo la Liberazione. Il partito, a cui
aderirono molti importanti intellettuali antifascisti, fu rappresentato solo alla Costituente (1,5%) e poi
si sciolse.
UQ (Fronte dell’Uomo Qualunque). Partito anti-ideologico, si oppone a tutti i partiti antifascisti in
nome di una diffidenza assoluta nei confronti della politica, che vorrebbe ridurre a semplice
amministrazione contabile. Ottiene il 5,2% nelle elezioni per la Costituente. Fa ancora eleggere 7
parlamentari nelle liste del PLI e poi scompare.
1983-1993
VERDI (FEDERAZIONE DEI VERDI). Partito di sinistra, ecologista e pacifista. Si presenta alle
elezioni politiche nel 1987 e nel 1992 (2-3% dei voti)
LEGA (LIGA VENETA, LEGA LOMBARDA) Partiti regionalisti-autonomisti (diventeranno in seguito
insieme Lega Nord). Ottengono 1 seggio rispettivamente nel 1983 e nel 1987.

IL BIPARTITISMO PERFETTO ANGLOSASSONE E IL BIPARTITISMO


IMPERFETTO ITALIANO
Il sistema italiano dei partiti, uscito dalle prime elezioni repubblicane dell'aprile 48, è
stata chiamato dal politologo Giorgio Galli "bipartismo imperfetto". C’erano cioè due partiti
maggiori (perciò “bipartitismo”), la D.C. (da sola o in coalizione con gli altri partiti filo-
occidentali) e il Partito Comunista Italiano (con i suoi alleati), che avrebbero potuto alternarsi
alla guida del governo. Ma questa possibilità non si è mai realizzata, e il governo è toccato
sempre alla Dc fino al 1993 (perciò “imperfetto”).
Naturalmente l'espressione "bipartismo imperfetto" può essere capita solo se si
spiega in che cosa consiste quello “perfetto”. Sia chiaro però che quest'ultimo non ha niente
a che vedere con il bipolarismo ideologico di cui abbiamo parlato finora.

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IL BIPARTITISMO ANGLOSASSONE: DUE PARTITI SI ALTERNANO


AL GOVERNO
Per complesse ragioni storiche, in Inghilterra e negli U.S.A. due grandi partiti, che
appartengono entrambi allo stesso sistema di valori democratico, si alternano da tempo al
potere. Nella monarchia inglese il governo necessita, come nell'Italia repubblicana, del
sostegno della maggioranza del parlamento, per cui i governi possono durare a lungo solo
se hanno una maggioranza abbastanza ampia e stabile. Qui, per circostanze fortuite (che
risalgono per certi versi ai conflitti religiosi del Seicento) i partiti principali in parlamento sono
due, e ciò permette una discreta stabilità politica, perché quando il partito al governo perde il
consenso degli elettori, l'altro partito, che è all'opposizione, conquisterà agevolmente la
maggioranza alle successive elezioni e formerà prontamente un altro governo. Cosa che
invece non è sempre facile in un sistema politico frammentato in cui si debba mettere
d'accordo un gran numero di piccoli partiti.
IL BIPOLARISMO SOCIALE DELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE: I
CAPITALISTI E I CETI MEDI CONTRO GLI OPERAI E I CETI
POPOLARI
Il significato sociale dei due partiti inglesi nel Novecento industriale è facilmente
decifrabile: il partito conservatore (la destra) rappresenta i capitalisti, i ceti dei
proprietari, i ceti medi e quanti sono interessati alla conservazione dell'assetto vigente e
alla riduzione al minimo della tassazione, e l'altro, il laburista (la sinistra), è storicamente
legato ai sindacati operai e al riformismo sociale, che implica spesa sociale a favore dei
lavoratori e dei meno abbienti e tasse per i più abbienti. L'alternarsi di questi due partiti al
governo ha il duplice vantaggio di impedire che gli stessi uomini politici non stiano al governo
troppo tempo (con le possibilità di corruzione, di abusi e di cumulo del potere che ne
deriverebbe) e che i diversi interessi sociali riescano a trovare, nel tempo, un'espressione
politica e un'adeguata difesa. In particolare, i ceti economicamente deboli poterono ottenere
dai governi laburisti, una serie di riforme sociali che i governi conservatori successivi non
svilupparono ulteriormente, ma che non osarono mettere in discussione (almeno fino al
1980).
SCHEDA. É PERFETTO IL BIPARTITISMO INGLESE?
Il sistema britannico dei partiti non è proprio bipartitico, visto che per quasi tutto il novecento e ancora oggi si
presentano alle elezioni nazionali almeno tre partiti maggiori (e dei minori non parleremo). Il terzo partito, il partito
liberale (a un certo punto nell’alleanza liberali-socialdemocratici, poi col nome di partito liberaldemocratico) non ha
avuto mai incarichi di governo dopo la seconda guerra mondiale fino al 2010, pur avendo raggiunto perfino il 25% dei
voti a livello nazionale. Ma per vincere col sistema uninominale è necessaria avere la maggioranza dei voti per il proprio
candidato seggio per seggio, e i voti dispersi a livello nazionale, per quanto numerosi, non garantiscono alcuna
rappresentanza. Alle elezioni del 2010 questo partito, con il 23%dei voti, ha l’8% dei seggi, ed è risultato indispensabile
per la formazione di un governo conservatore. Quest’ultima circostanza dovrebbe smentire definitivamente il mito del
bipartitismo inglese.
Questo assetto bipolare della politica inglese riflette in qualche modo una situazione
generale di tutte le società industriali occidentali a partire dall’Ottocento: la classe
capitalistica, che guida lo sviluppo economico, cerca di egemonizzare anche la politica e la
cultura sociale, grazie alla sua influenza sulla stampa, sulla scuola, sulle università, ecc.
Essa lega a se i ceti medi e i piccoli proprietari urbani e rurali attraverso partiti politici
conservatori, liberal-conservatori o liberali, mentre la classe operaia, concentrata in grandi

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masse grazie allo sviluppo delle città industriali e delle grandi fabbriche, riesce a organizzarsi
in sindacati e dà vita a partiti di tipo laburista, socialista o comunista. Anch’essa spesso
riesce ad allearsi con una parte dei ceti medi, o con i ceti più bassi, ed elabora, grazie anche
all’apporto di gruppi intellettuali di opposizione, una propria cultura di tipo socialista o
laburista.
Lo sviluppo della democrazia liberale, di cui l’Inghilterra è stato un modello, ha evitato
lo scontro tra questi due blocchi sociali contrapposti e ha dato al loro conflitto di interessi
una forma pacifica, in cui fosse possibile un ragionevole compromesso. Nonostante la
grandissima importanza di questo conflitto economico-sociale, non bisogna dimenticare che
la nostra storia è attraversata anche da una serie di conflitti di vario tipo, legati alla lingua,
alla religione, al territorio, al sesso, ecc., e la discussione pacifica e razionale nell’opinione
pubblica, attraverso i media e in Parlamento, è considerata in democrazia il mezzo migliore
per risolvere i diversi conflitti e per trovare accettabili compromessi tra le parti.
IL PLURIPARTITISMO NEI PAESI EUROPEI AVANZATI
Naturalmente, per trovare un compromesso tra i diversi interessi delle società
industriali non c'è necessariamente bisogno di un sistema bipartitico, ma si può farlo anche
con un sistema multipartitico. Per esempio, in Olanda e nei paesi scandinavi, non esiste un
vero e proprio bipartitismo, e non si vota col sistema uninominale, ma c'è stato egualmente
un alternarsi al governo di poli politici che rappresentano interessi sociali contrapposti. In tali
paesi, dunque, l'alternanza al governo e la rappresentazione politica degli interessi sociali è
stata possibile anche con il sistema elettorale proporzionale. Esso indubbiamente favorisce il
multipartitismo, ma ha anche l'indubbio vantaggio di assegnare i seggi parlamentari in modo
equo alle diverse forze politiche (cosa che il sistema uninominale non fa). In Svizzera poi
tutte le numerose forze politiche presenti in Parlamento sono rappresentate al governo (di
Francia e Germania parleremo più tardi).
Tuttavia il bipartitismo ha un vantaggio particolare, almeno secondo molti politologi.
Esso costringe i candidati dei due partiti a cercare di moderare la loro campagna elettorale e,
di conseguenza, il loro programma politico, per conquistare l'elettorato di centro. Infatti è più
utile per un candidato di destra portar via al suo antagonista di sinistra un elettore di centro o
di sinistra moderata che garantirsi il voto di un estremista di destra, che, mal che vada, si
asterrà, ma certamente non voterà per la sinistra. E viceversa per il candidato di sinistra.

Estrema destra Area più contesa Estrema sinistra


-------------------
D_________________________________C__________________________________S

Come si vede, il sistema bipartitico anglosassone, almeno da questo punto di vista, è


qualcosa di molto diverso dal bipolarismo ideologico: esso, almeno secondo i suoi fautori,

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induce alla moderazione e alla convergenza.


Un difetto di questo sistema però potrebbe essere quello di lasciare proprio le aree
politiche o sociali estreme, le più agitate, senza rappresentanza parlamentare. Benché
naturalmente esistano molte modalità legali per esprimere la propria opinione (le lettere alla
stampa, le telefonate alla radio e alla tv, lo sciopero, la manifestazione e la protesta pacifica,
ecc.), c'è sempre il rischio che categorie sottorappresentate o non rappresentate in
parlamento possano scegliere forme di espressione particolarmente dure, come è avvenuto
proprio nei ghetti inglesi e americani.

Quanto al bipartitismo americano, esso assomiglia solo in parte a quello britannico.


Le differenze tra i repubblicani e i democratici degli Stati Uniti sono difficili da riassumere.
Nel loro complesso spostate le varie correnti del partito repubblicano sono più a destra delle
correnti che costituiscono il partito democratico. Tuttavia, considerando solo l'asse destra-
sinistra questi due partiti sono in buona parte paralleli. Proviamo a rappresentarlo
graficamente (senza la pretesa di rappresentare i due partiti in un preciso momento storico)

Repubblicani
D ______________________________________________ S
------------------------------------------------------------------------
Democratici

In effetti in America l'asse destra-sinistra non è sempre rilevante per capire il voto. I due
partiti, nelle loro varie articolazioni locali e correnti, rappresentano anche diversi interessi e
identità regionali (nord, sud, mid west, area pacifica, ecc.), diverse identità etniche (bianchi
anglosassoni, irlandesi, italiani, latino-americani, neri, ecc.) e diverse identità religiose
(protestanti di varie confessioni, cattolici, ebrei, ecc.).
IL PARTITO REPUBBLICANO AMERICANO É GROSSO MODO UN
PARTITO CONSERVATORE, MA QUELLO DEMOCRATICO NON
CORRISPONDE A UN PARTITO LABURISTA O SOCIALISTA
Inoltre, se il partito repubblicano assomiglia per molti versi al partito
conservatore inglese, il partito democratico assomiglia assai meno al partito laburista:
esso è in effetti da molto tempo legato ai più importanti sindacati industriali, ma ha avuto
anche l'appoggio delle varie lobbies degli industriali produttori di beni di consumo di
massa; infine riceve una parte importante del voto delle etnie più deboli e meno integrate, tra
cui i neri, ma per molto tempo ha raccolto numerosi voti dei "bianchi poveri" del sud
conservatore e razzista. Inoltre i democratici non hanno una cultura politica né un

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programma sociale simili a quelli laburisti e socialisti europei.


LOBBIES. Negli Stati Uniti sono chiamati così i gruppi di pressione organizzati e ufficialmente riconosciuti
che difendono presso il Parlamento gli interessi di categorie sociali ed economiche particolari .
Ma la coerenza interna dei due grandi partiti non è poi molto importante perché in
fondo il programma di governo che conta è quello del candidato presidente della repubblica.
Negli Stati Uniti, in effetti, il potere esecutivo dipende da una scelta non del parlamento e dei
partiti, ma dei cittadini (benché in modo indiretto --> vedi riquadro seguente) e non ha
bisogno del voto di fiducia della maggioranza parlamentare. Certo, avere contro la
maggioranza in una o in entrambe le camere (potere legislativo) è un grosso handicap per il
potere esecutivo. Questo fatto, verificatosi per periodi molto lunghi negli ultimi venti anni, è
stato un problema importante della politica americana. Ma poiché non ha il risultato vistoso di
provocare crisi di governo, né di far decadere il presidente, non è stato preso in sufficiente
considerazione da numerosi estimatori acritici ed entusiastici del sistema presidenziale
americano.
ELEZIONI PRESIDENZIALI NEGLI USA. Contrariamente a quanto si crede, negli Stati Uniti il presidente non è eletto
direttamente dai cittadini, ma da un collegio di “grandi elettori”, eletti dai cittadini. Essi dichiarano preventivamente a
quale candidato daranno il loro voto, ma non sono vincolati da questa promessa. È già successo che l’elezione del
presidente sia stata raggiunta grazie ad un compromesso tra i “grandi elettori”.

***
Anche in Italia ci sono stati nel periodo 1948-1992, tutto sommato, solo due grossi partiti
capaci di fare da perno a una maggioranza parlamentare: la D.C. e il P.C.I. (il P.S.I.
raggiunse il 20% nelle prime elezioni del dopoguerra nel 1946, ma scese poi a una
percentuale media intorno al 12-13 e non riuscì più a riprendersi). Ma tra questi due partiti in
realtà non poteva esserci alternanza: la vittoria del P.C.I. avrebbe portato ad una crisi politica
pericolosissima.
LA DC SEMPRE AL GOVERNO DAL 1945 AL 1994
Questo "condannò" la D.C. a essere sempre partito di governo, dal 1945 al 1994,
con gli effetti negativi della troppo lunga permanenza al potere delle stesse persone,
menzionati in precedenza. Inoltre i ceti popolari che votavano il P.C.I. e il P.S.I. (suo alleato
fino alla seconda metà degli anni cinquanta), e in particolare la classe operaia, non ebbero
mai un governo che si assumesse come compito primario la tutela dei loro interessi.
L'identificazione progressiva della D.C. con lo Stato aveva conseguenze
particolarmente gravi in un paese in cui la pubblica amministrazione era già particolarmente
pletorica per lo sviluppo che gli aveva dato il regime fascista. L'espansione del pubblico
impiego finì poi per presentarsi alla D.C. come un rimedio empirico e immediato contro la
disoccupazione, oltre che un mezzo improprio ma efficace per procacciare voti al partito.
Egualmente, è sintomatico che in questo lungo periodo storico la D.C. non riuscì mai a
varare una riforma organica della pubblica amministrazione, che i ministri dei governi de
Gasperi avevano presentato come un compito urgente e primario.

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Questa situazione cambiò in parte all'inizio degli anni sessanta, con l'ingresso del P.S.I. al
governo e poi con i governi di unità nazionale del 1976-1979, composti da soli democristiani,
che ottennero il voto favorevole del PS.I. e del P.C.I. Ma resta il fatto che nel periodo 1948 -
1994 la DC (già al governo nel 45-47) ottenne ininterrottamente la maggioranza dei seggi
ministeriali mentre il P.C.I. (o il suo erede P.D.S.) ne fu del tutto escluso.

LA QUESTIONE DEL BIPARTITISMO IMPERFETTO SI INTRECCIA


CON QUELLA DEL BIPOLARISMO EST-OVEST
Il quadro mutò veramente solo quando entrambi partiti cambiarono nome e si
scissero, ciò che avvenne tra il 1990 e il 1994, subito dopo l'abbattimento del muro di Berlino
e la dissoluzione dei due blocchi. In Italia, in effetti, l'opposizione tra i due partiti principali (o
meglio fra due gruppi di partiti, DC e alleati, e Fronte Popolare socialcomunista) si
intrecciava con l'opposizione tra il polo occidentale e quello orientale.
Perciò i contendenti della lizza elettorale anziché dibattere davanti agli elettori sul
programma di governo, tendevano a discutere soprattutto dei valori ideali (o ideologici), in
una sorta di contrapposizione tra "chiese". Gli elettori tendevano anch'essi a decidere il voto
sulla base dell'appartenenza ad una di esse e della loro identità ideale e sociale piuttosto
che sulla base dei problemi pubblici in quel momento sul tappeto. Questo "voto di
appartenenza" era spesso legato al luogo in cui era avvenuta la socializzazione decisiva
dell'individuo - o addirittura dell'intera famiglia: la parrocchia o la sezione del partito
comunista o socialista, la campagna o la fabbrica, l'associazione dei Coldiretti (piccoli
proprietari agricoli elettori e spesso "clienti" della DC) o la sezione sindacale, il quartiere
piccolo borghese o operaio. Decisiva era poi anche la regione. Le regioni rosse sono quelle
che avevano avuto una forte tradizione socialista ben prima del fascismo, e su cui si era
abbattuta in seguito la repressione fascista all'inizio degli anni venti e poi di nuovo durante la
Resistenza; le regioni bianche sono quelle di più forte tradizione cattolica e contadina, e non
mancano anche aree dove la Resistenza ha avuto una matrice cattolica. Egualmente
esistevano ed esistono anche zone di tradizione fascista (si pensi per esempio all'area
laziale della bonifica delle paludi pontine, attuata dal fascismo negli anni trenta).
Questa situazione era destinata a durare ancora per decenni, e solo da una decina
d'anni si sta modificando. Beninteso non si tratta di qualcosa di tanto diverso da quanto è
accaduto in Francia o Inghilterra. Anche il voto al partito laburista inglese e quello ai partiti
socialisti e comunisti francesi era legato all'appartenenza sindacale e alla tradizione operaia
della fabbrica o del quartiere, più che ad un esame razionale del loro programma di governo.
Egualmente anche il voto conservatore è stato in parte un voto di appartenenza - ai ceti medi
o ai ceti dei proprietari contadini o, anche, in Inghilterra, al conformismo anglicano. Ma quello
che contraddistingue l'Italia è la conventio ad excludendum nei confronti del secondo partito
in ordine di grandezza del parlamento, per cui quanti si identificano in esso si sentono

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esclusi (o si autoescludono) dall'ambito del potere e del governo.


Insomma, pur nella forma bonaria e paesana dei contrasti tra Peppone e Don
Camillo, il bipartitismo imperfetto italiano si presentava come una contrapposizione tra Noi e
Loro.
Noi, che apparteniamo alla comunità cattolica e crediamo nella collaborazione tra le classi

per l'armonia sociale

Loro, che sono atei e anticlericali e vogliono la lotta di classe e la rivoluzione

Dall'altro punto di vista:


Noi, che apparteniamo alla classe operaia e lottiamo per il grande obbiettivo storico della

collettivizzazione dell'economia e della fine dello sfruttamento

Loro, che appartengono alla borghesia o alle classi ad essa alleate e che vogliono perpetrare

lo sfruttamento operaio

Eppure i due partiti avevano entrambi aderito alla democrazia parlamentare che è il
cuore della costituzione del 1947, scritta con il loro fondamentale contributo, né si può dire
che l'abbiano sostanzialmente tradita fino alla loro scomparsa. Il sentimento di una comune
appartenenza alla repubblica democratica uscita dalla Resistenza antifascista, per quanto si
sia insistito sulla contrapposizione noi-loro, è risultato dunque più forte.

L'ALIBI DELL'EGEMONIA AMERICANA


L’ALIBI ITALIANO (“COSA PENSERANNO GLI AMERICANI”) NON
VALE IN FRANCIA
Anche in Francia il partito comunista era una forza politica rilevante (raggiunse il 28%
dei voti e si mantenne per molto tempo intorno al 20%; è calato sotto il 10% negli ultimi dieci
- quindici anni). Tuttavia il partito egemone della sinistra fu, nel complesso, il partito
socialista, partito di correnti non molto dissimile da quello italiano, e anch'esso caratterizzato
da continue scissioni e ricomposizioni, in cui però la maggioranza era decisamente
autonoma e critica nei confronti dell'U.R.S.S.
In questa situazione (e anche qui con un parlamento multipartitico) erano i socialisti il
partito più forte e il polo d'attrazione della sinistra, e potevano scegliere di fare un governo
col centro (come spesso fecero nel periodo immediatamente successivo al 47) o tentare di
fronteggiare la destra con l'appoggio dei comunisti tenuti in posizione subordinata (come
hanno fatto spesso negli ultimi venticinque anni).
Nella vita politica francese mancava però un alibi tipicamente italiano: l'idea che il
governo nazionale dovesse avere il "gradimento" degli americani. L'esclusione dei
comunisti dal governo (quando ci fu) era motivata prima di tutto da quello che erano i
comunisti francesi, vuoi per quanto riguarda la loro ideologia e i loro obiettivi di lungo
periodo, vuoi per il loro programma di governo - in una coalizione di cui di fatto non

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avrebbero potuto essere la componente più importante. L'orgoglio nazionale francese e la


pretesa di essere ancora una grande potenza impedivano anche alla destra nazionalista di
chiedersi per prima cosa "che cosa ne avrebbero pensato gli americani".
Questa domanda fu invece una costante della politica italiana.
Essa fu un ottimo pretesto per il centro - destra (in particolare per la
D.C.) per negare che ci fossero alternative accettabili alla sua
permanenza al governo, e alla sinistra per rinunciare a darsi un
preciso e realizzabile programma di governo, anziché agitarsi in
un'opposizione inconcludente. Alla sinistra, che di fatto rinunciava
alle soddisfazioni "terrene" del governo, restavano le soddisfazioni
ideologiche della purezza dei principi e della difesa intransigente
(dall'opposizione e dalla piazza) degli interessi dei ceti popolari.
CHE COSA SAREBBE SUCCESSO SE LA SINISTRA AVESSE
VINTO LE ELEZIONI IN ITALIA?
Rimane il problema reale: che cosa avrebbero pensato - e fatto -
gli americani se ci fosse stato un governo comunista? Che cosa
sarebbe successo se il Fronte Popolare avesse vinto le elezioni del
48 o quelle successive del 53?
LE FORZE CONSERVATRICI E ULTRA-CONSERVATRICI
Tuttavia la reazione americana o sovietica non può essere ricostruita se non si parte
da ciò che questa vittoria poteva significare per gli italiani. Per i vertici delle forze armate e
per molti alti funzionari dello Stato (ambienti in cui non c'era stata una seria epurazione degli
elementi fascisti), per gli ambienti industriali, per i grandi proprietari terrieri, per la Chiesa
Cattolica e per gran parte della stessa D.C., un'ipotesi del genere era considerata
un'autentica catastrofe. Ci sarebbe stato il rischio di una guerra civile, o di un colpo di Stato
militare di destra, anche perché la vittoria presumibilmente avrebbe messo in agitazione la
base operaia e popolare dei due partiti di sinistra, che desiderava aumenti salariali e riforme
sociali (si pensi che la vittoria della coalizione di Fronte Popolare in Francia nel 1936 era
stata seguita da una serie di scioperi, agitazioni e occupazioni delle fabbriche, a cui avevano
fatto seguito notevoli aumenti salariali).
Non sembra per niente ragionevole pensare che l'Unione Sovietica sarebbe
intervenuta fuori della sua sfera d'influenza, perché Stalin e i suoi successori, per quanto
allora facessero uso di una fraseologia propagandistica radicale, erano troppo prudenti e
troppo deboli per uscire dalla loro sfera d'influenza in un'area decisiva come l'Europa (e
questo lo ammise lo stesso De Gasperi). Anche gli americani però ci avrebbero pensato due

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volte prima di intervenire, tra l'altro per le possibili reazioni negative dell'opinione pubblica
interna e internazionale. Probabilmente lo avrebbero fatto solo su richiesta ufficiale di
un'autorità italiana, per esempio del presidente della repubblica, che in Italia è eletto dal
parlamento per sette anni e che quindi sarebbe appartenuto necessariamente alla
precedente maggioranza filo-occidentale, visto che i parlamenti sono in carica solo per
cinque anni, o eventualmente di un governo provvisorio golpista.
E' stato spesso sottolineato, tuttavia, che gli Stati Uniti in alcune circostanze hanno
interferito pesantemente negli affari interni non solo di paesi ex-coloniali con scarse tradizioni
democratiche, ma anche di democrazie consolidate. Il caso più sconcertante è quello del
Cile, il paese latino americano che, fino al 1973, più aveva mostrato di saper ricalcare le
orme della liberaldemocrazia occidentale. Il sanguinosissimo colpo di Stato militare del
generale Augusto Pinochet contro il presidente di sinistra Salvador Allende, sempre
sostanzialmente rispettoso delle regole costituzionali ma deciso a scalzare i privilegi delle
compagnie minerarie americane del rame e dell'oligarchia dei grandi proprietari cileni, fu
preparato con l'aiuto e con la copertura organizzativa della C.I.A.
Tuttavia la domanda corretta non era semplicemente "che cosa ne penseranno gli
americani?", ma piuttosto: "le forze conservatrici interne vorranno o no ricorrere
all'aiuto americano per reprimere un cambiamento che le colpisce molto duramente?"
Da un lato, dunque, la palla al piede della sinistra italiana fu quella di essere
egemonizzata da un partito che era legato all'Unione Sovietica e all'ideologia
rivoluzionaria. Questo autorizzava gli altri a dubitare che, una volta arrivato al governo
avrebbe tranquillamente accettato di andarsene al momento dovuto, secondo la prassi del
bipartitismo perfetto. Egualmente gli elettori non erano chiamati a giudicare un preciso
programma di riforme sociali, ma a schierarsi pro o contro una certa concezione globale
della società e dell'economia.
Dall'altro, se nello schieramento filo-occidentale c'erano certo tendenze politiche
disposte ad accettare la volontà popolare e i cambiamenti da essa imposti, non mancavano
sopravvivenze fasciste nell'apparato dello Stato (in particolare nella polizia e
nell'esercito) e nemmeno forze parlamentari inclini al governo forte. Esempi ne sono, in
questo periodo, l'organizzazione nel 1956 del gruppo armato segreto anticomunista "Gladio"
(peraltro prosecuzione di esperienze precedenti) in collaborazione con la C.I.A., e la
costituzione di un governo di destra sostenuto dalla D.C. e dal neofascista Movimento
Sociale Italiano nel 1960 ad opera di Ferdinando Tambroni.

L'ITALIA DEL BOOM ECONOMICO


In queste condizioni di sostanziale debolezza della sinistra e del
movimento operaio, non meraviglia che lo straordinario sviluppo
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economico italiano di quegli anni (il miracolo economico) sia


avvenuto in modo socialmente squilibrato.
SOSTANZIALE FALLIMENTO DELLA RIFORMA AGRARIA
Nel Meridione lunghe lotte contadine appoggiate dalla sinistra avevano reclamato
nell'immediato dopoguerra una riforma agraria, che avrebbe dovuto distribuire i terreni
incolte ai contadini senza terra. Essa sostanzialmente fallì, non solo perché la quantità e
qualità delle aree distribuite era inferiore alle aspettative, ma soprattutto perché ai nuovi
proprietari mancavano le risorse e infrastrutture (strade, canali d'irrigazione, crediti agricoli,
consulenze agronomiche, ecc.) necessarie per uno sfruttamento agricolo razionale.
ESODO DI MILIONI DI CONTADINI MERIDIONALI VERSO L’ITALIA
DEL NORD E L’EUROPA DEL NORD
Così continuò e prese proporzioni massicce l'esodo dei contadini meridionali, non
in grado di resistere alla concorrenza dell'agricoltura capitalistica internazionale. Il loro
lavoro non qualificato e a basso costo fu un fattore decisivo per lo sviluppo del triangolo
industriale, e la loro emigrazione era così numerosa che non si limitò all'Italia del Nord, ma
continuò a defluire in Svizzera, in Germania, in Francia e anche negli Stati Uniti.
Alcuni dati: tra il 1955 e il 1971 oltre 9 milioni di italiani furono protagonisti in Italia di
migrazioni interregionali. Solo nei cinque anni più intensi del miracolo economico (1958-
1963), novecentomila persone si stabilirono dal sud in altre regioni italiane. Nello stesso
periodo più di cinquecentomila persone emigrarono dall'Italia all'Europa del nord (di esse
oltre il 70% proveniva dal meridione).
L’AFFOLLAMENTO DELLE CITTÀ INDUSTRIALI E LA
SPECULAZIONE EDILIZIA
L'urbanizzazione delle città industriali italiane dagli anni
cinquanta in poi avviene quasi senza regole urbanistiche, con pochi
servizi, senza alcun rispetto per l'ambiente naturale e per il
patrimonio dei beni culturali. Lo Stato non si preoccupa di far
costruire e di immettere nel mercato immobiliare un consistente
numero di case popolari, mentre in Francia, in Germania, in
Inghilterra e in genere nei paesi dell'Europa settentrionale in
questo periodo i poteri pubblici si preoccupano di regolare
l'urbanizzazione, di fornire adeguati servizi e di costruire intere
"città nuove" (new towns, villes nouvelles) per abbassare i prezzi di
mercato con un'offerta a prezzi agevolati.
COMINCIA IL GRANDE CONSUMO DI MASSA
In tutti i casi, è negli anni cinquanta - sessanta che il popolo italiano accede per la

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prima volta al grande consumo di massa: radio e motociclette dapprima, in un secondo


momento anche frigoriferi, automobili e televisori. Questo provoca un processo rapidissimo
di trasformazione e di modernizzazione delle abitudini di vita e della vita sociale e familiare.

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Cap.2. Il disgelo: sviluppo economico e


coesistenza pacifica

LA DESTALINIZZAZIONE, LA DISTENSIONE E LA CONVIVENZA


PACIFICA
La morte di Stalin nel marzo 1953 segnò una svolta fondamentale per la politica interna
sovietica (destalinizzazione) e per la politica internazionale (distensione o disgelo). Quasi
subito fu abbandonata la linea dura dello Zdanovismo e il partito comunista sovietico eliminò
ben presto Beria, il capo dei servizi segreti - che era stato l'anima nera delle "purghe" e delle
repressioni staliniane.
KRUSCIOV: LA POLITICA ESTERA SOVIETICA
DALL’ANTAGONISMO CON IL CAPITALISMO ALLA COESISTENZA
PACIFICA E ALLA COMPETIZIONE ECONOMICA
Nel giro di qualche anno, dopo un periodo di "direzione collegiale", in modo
abbastanza indolore il potere si concentrò nelle mani del nuovo segretario del partito, Nikita
Krusciov (che rimase al potere fino al 1964). Egli fece passare la politica sovietica da una
concezione antagonistica del rapporto con il capitalismo occidentale (il nemico numero uno
del proletariato rivoluzionario russo) all'idea di una coesistenza pacifica e di una sorta di
competizione economica e tecnica con esso. Confortato anche dai successi della
produzione nel campo dell'industria pesante, egli pensò di poter concorrere con l'economia
capitalistica perfino sul piano della produzione di beni di consumo. In effetti il regime
staliniano per ottenere consenso aveva puntato, oltre che sul nazionalismo russo antitedesco
del tempo di guerra, soprattutto sulla assoluta sicurezza del lavoro e sui servizi gratuiti
(istruzione, assistenza, ecc.). Krusciov invece cominciò a pensare ad incentivi materiali
(premi di produzione) che avrebbero dovuto permettere l'acquisto di beni voluttuari e, in
prospettiva, di quei beni di consumo durevole (radio, frigorifero, auto) che si erano ormai
diffusi nei paesi più industrializzati.
Krusciov seppe anche cambiare notevolmente l'immagine del regime sovietico in
patria e all'estero: anziché circondarsi come Stalin di un'aura di mistero e di infallibilità, egli
aveva uno stile diretto da uomo del popolo di origine contadina, e non mancò di recarsi
all'assemblea generale dell'O.N.U. a New York e di farsi intervistare dalla tv americana.
AL CONGRESSO DEL PARTITO DEL 1956 KRUSCIOV DENUNCIA I
CRIMINI DI STALIN
Sotto la sua guida dunque la Russia rinunciò a quell'invadenza dell'ideologia che
aveva caratterizzato il regime staliniano per adottare una certa dose di pragmatismo. Il punto
più alto nella destalinizzazione fu raggiunto con il XX Congresso del P.C.U.S., nel 1956, in
cui il segretario denunciò i crimini di Stalin e le violazioni della legalità socialista del
periodo precedente. Ben presto ci fu la revisione di alcuni processi politici e la liberazione di

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un gran numero di internati nei campi di concentramento, tra cui Aleksandr Solzenitsyn, che
nel 1962 potrà pubblicare legalmente Una giornata di Ivan Denissovich, la sconvolgente
testimonianza della sua esperienza del gulag (tuttavia più tardi Solzenitsyn sarà espulso
dall'Unione Sovietico per aver pubblicato all'estero Arcipelago gulag). Negli anni successivi
non mancò inoltre una timida apertura nei confronti della cultura "borghese" e nei confronti
degli intellettuali innovatori, così come una certa tolleranza per forme d'arte e atteggiamenti
prima considerati "borghesi".
Come si era prodotta una svolta così grande nella politica dell'Unione Sovietica?
Certo, essa non va sopravvalutata: i gulag, pur ridimensionati, non erano scomparsi, i diritti
dell'uomo non erano in nessun modo garantiti, né il partito aveva rinunciato alla sua funzione
di guida ideologica - spiegare dall'alto ai cittadini sovietici chi essi erano veramente (Noi) e
chi erano i nemici comuni (Loro). Tuttavia esso non aveva scelto un leader che proseguisse
il governo di Stalin, basato sul terrore continuo e sulla mobilitazione continua delle masse
intorno a sempre nuove parole d'ordine. Il nuovo regime non avrebbe più osato effettuare
quei giganteschi esperimenti sociali in corpore vili che avevano caratterizzato lo stalinismo
(la collettivizzazione forzata ai danni di un'intera generazione di kulaki), ma assomigliava
piuttosto alla dittatura di una gigantesca burocrazia, timorosa dell'imprevisto e sospettosa di
fronte all'anticonformismo e all'innovazione.
LE CARATTERISTICHE SPECIFICHE DEL PARTITO COMUNISTA
RUSSO
In effetti Stalin aveva sconvolto il partito con le sue purghe (solo quelle del 36-38
erano costate circa cinquecentomila morti) e ne aveva fatto una macchina docile ai suoi
ordini e ossequiente al "culto della personalità", ma non lo aveva creato dal nulla, come, in
un certo senso aveva fatto Hitler. Il partito nazista era stato fondato da Hitler stesso e la
soggezione assoluta al capo era un cardine della sua ideologia e della sua azione
(Führerprinzip), per cui il partito sprofondò insieme al suo leader. Il partito comunista
bolscevico invece aveva avuto una storia lunga e complessa prima dell'ascesa di Stalin e la
sua ideologia originaria non implicava alcun culto della personalità né alcun rafforzamento
dell'apparato repressivo statale, ma semmai l'estinzione progressiva dello Stato stesso
(come si può leggere in Stato e rivoluzione di Lenin).
Anche se certo Stalin non si era affermato per puro caso nel partito, tuttavia ne aveva
anche duramente represso le tendenze e impedito l'espressione. Con la sua morte, dopo
una terribile dittatura personale di ventotto anni, non c'era certo da aspettarsi che esso
ritornasse agli antichi ardori rivoluzionari. Ma per lo meno l'élite burocratica poté difendere i
suoi privilegi collettivi in modo più razionale. E il gruppo dirigente guidato da Krusciov capì
che, per governare con un minimo di consenso, era necessario sviluppare nuove industrie e
permettere più larghi consumi.

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LA POLITICA ESTERA DI KRUSCIOV


Il programma di coesistenza e competizione pacifiche
naturalmente modificò sensibilmente anche la politica estera
dell'Unione Sovietica. Krusciov, anche per diminuire un po' le
diffidenze occidentali, attenuò il ruolo di guida del P.C.U.S. per i
partiti comunisti posti fuori dell'area di influenza sovietica e
riconobbe apertamente che ogni partito, per realizzare il socialismo
nel suo paese, non avrebbe dovuto imitare necessariamente il
modello rivoluzionario russo, ma avrebbe potuto elaborare la
strategia politica che riteneva più adatta alle condizioni politiche e
sociali in cui operava (dottrina delle "vie nazionali al socialismo").
KRUSCIOV E IL TERZO MONDO
Col suo pragmatismo più ancora che con la propaganda di vecchio stile, Krusciov
seppe in varie circostanze conquistarsi degli alleati nel terzo mondo: in particolare l'Unione
Sovietica finanziò la diga di Kariba del leader egiziano nazionalista Nasser riuscendo a fare
del neonato "socialismo arabo" un proprio alleato. In questo caso la rigidità ideologica del
segretario di Stato americano Foster Dulles e del presidente repubblicano, il generale
Eisenhower, impedì agli Stati Uniti di disinnescare una mina contro gli interessi economici e
politici occidentali: Nasser infatti aveva precedentemente chiesto tali crediti proprio agli Stati
Uniti e all'occidente e non li aveva ottenuti.
Anche Cuba è un altro caso in cui il governo di un paese sottosviluppato passa da
una posizione di difesa degli interessi nazionali ad una posizione socialista e filosovietica. A
Cuba nel 1959, infatti, un movimento di guerriglia appoggiato dai contadini aveva eliminato il
regime dittatoriale di Batista, che faceva gli interessi delle multinazionali americane. Il leader
del movimento, Fidel Castro, aveva inizialmente come obiettivo soprattutto la fine della
dipendenza economica del paese, e trovò nell'Unione Sovietica un buon cliente per il suo
zucchero, comprato a prezzi politici. Gli Stati Uniti risposero con l'embargo totale nei
confronti di Cuba e la C.I.A. organizzò in fretta uno sbarco di profughi cubani che fu
realizzato all'inizio della presidenza Kennedy e che finì nel fiasco della Baia dei Porci.
A questo punto il regime cubano si trasformò in modo sempre più deciso in un
regime comunista, con tratti originali e autonomi, ma sostanzialmente alleato di quello
sovietico, del quale aveva bisogno per la sua sopravvivenza economica e per la sua difesa
militare. In questo caso (come in moltissimi altri che riguardano il terzo mondo e l'America
latina) il governo e il Congresso degli Stati Uniti furono condizionati da lobbies legate alle
multinazionali e dall'iniziativa autonoma dei servizi segreti. Così essi si mossero in un modo

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sostanzialmente opposto a quello del Piano Marshall (va anche considerato che i destinatari
di tale piano erano gli europei, visti come interessanti partners economici). L'Unione
Sovietica invece poteva presentarsi come amico disinteressato dei paesi del terzo mondo,
visto che non esistevano certo multinazionali russe e che il suo aiuto era finalizzato
semplicemente ad un'alleanza politica.

LA REPRESSIONE DELLA RIVOLTA UNGHERESE E LA CRISI DI


SUEZ
Se Krusciov aveva profondamente modificato lo stile politico dell'Unione Sovietica,
non intendeva per questo affatto rinunciare alla politica di potenza. Il XX Congresso (del
febbraio 1956) aveva fatto nascere speranze eccessive nel blocco orientale: il governo
comunista ungherese, sotto la pressione di grandi manifestazioni popolari, pensò di poter
inaugurare una nuova fase politica liberale e di poter uscire dal Patto (politico - militare) di
Varsavia, cui appartenevano dal 1955 tutti i satelliti dell'U.R.S.S.
KRUSCIOV REPRIME NEL SANGUE LA RIVOLTA UNGHERESE
Krusciov fece reprimere nel sangue questa rivolta, ed eliminò e sostituì
prontamente il vertice politico ungherese (novembre 1956). Gli occidentali si limitarono ad
una condanna formale: il concetto di "sfere d'influenza" e il deterrente atomico anche in
questo caso furono più forti dei principi ideologici.
Se le vicende d'Ungheria in sostanza confermavano l'assetto
bipolare della politica mondiale, nel 1956 si produsse un episodio
che sembrò per un attimo far tornare i tempi della "politica delle
cannoniere" delle grandi potenze coloniali europee. La Francia e
l'Inghilterra, che anche grazie al piano Marshall avevano
riacquistato le forze che il secondo conflitto mondiale aveva loro
tolto, pensarono di poter sviluppare una loro operazione politico
militare senza tener conto delle due superpotenze, approfittando
delle difficoltà russe per la crisi ungherese e sperando nella
benevolenza degli U.S.A.
NASSER NAZIONALIZZA IL CANALE DI SUEZ. GLI INGLESI E I
FRANCESI NE OCCUPANO L’IMBOCCATURA
Poiché Nasser aveva osato nazionalizzare il canale di Suez, appartenente ad una
società franco-inglese, le due potenze coloniali si accordarono segretamente con Israele per
infliggere al leader egiziano una batosta che avrebbe dovuto minare il suo prestigio. In base
a questo piano, 1)Israele invase la penisola del Sinai, appartenente all'Egitto, 2)Francia e
Inghilterra lanciarono un ultimatum ai due contendenti, intimando loro di cessare le ostilità

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che avrebbero potuto compromettere i traffici nel canale (via d'acqua internazionale), 3) dato
che Nasser - come previsto - lo aveva respinto, le due grandi potenze, mandarono i loro
paracadutisti ad occupare Porto Said, all'imboccatura del canale.
La Russia, che tra l'altro allora non disponeva di una flotta ragguardevole, giunse -
poco credibilmente - a minacciare un intervento nucleare. Ma neanche gli Stati Uniti
tollerarono l'iniziativa autonoma dei due alleati e non approvarono la spedizione militare. Fu
dunque chiamata in causa l'O.N.U. Rimaste isolate, le due (ex) grandi potenze, si piegarono
al verdetto della comunità internazionale - nonché delle due superpotenze - e
abbandonarono Porto Said.
L'umiliazione da loro subita di fronte all'Egitto, ex-colonia inglese, che tra l'altro in quel
momento appoggiava la rivolta algerina contro la Francia, diede un'accelerazione al
processo di decolonizzazione. Nel periodo 1957 - 1968 sorsero ben 51 nuovi stati ex
coloniali in Africa, Vicino Oriente, Medio Oriente, Asia Orientale, Oceania e Caraibi (contro i
18 del periodo 1945-1956). Le nazioni europee pagavano uno scotto che era già implicito
nell'intesa tra Roosevelt e Stalin a Jalta: esse avrebbero dovuto progressivamente rinunciare
alle loro colonie a beneficio della penetrazione economica delle multinazionali americane e
dell'espansione della protezione imperiale degli Stati Uniti sulle rotte commerciali mondiali. E
ad eventuale beneficio della penetrazione politica sovietica.
Ai tempi di Krusciov non mancarono altri momenti di tensione fortissima tra le due
superpotenze. Nel 1960 ci fu l'abbattimento di un aereo spia americano in territorio sovietico.
Nel 1961 di fronte all'intensificarsi delle fughe dalla Germania Orientale verso quella
Occidentale attraverso l'enclave di Berlino Ovest (che ammontavano ormai a centinaia di
migliaia di persone), Krusciov non riuscì a imporre agli alleati una soluzione per lui
accettabile sullo statuto di Berlino e delle due Germanie. In tali circostanze il governo
comunista tedesco decise di edificare un muro sorvegliato da guardie armate sul confine tra
il settore occidentale di Berlino e quello orientale. Questo "muro della vergogna" divenne il
simbolo dell'autoritarismo del blocco orientale, che la destalinizzazione aveva solo attenuato.
L’URSS TENTA DI INSTALLARE MISSILI NUCLEARI A CUBA
Ci fu poi, nel 1962, il tentativo di installare dei missili sovietici a testata nucleare a
Cuba per controbilanciare quelli americani situati in Germania in prossimità dell'Unione
Sovietica. Esso provocò una decisa reazione americana e sembrò che si fosse alla vigilia di
una guerra termonucleare. Alla fine l'Unione Sovietica dovette rinunciare. Tuttavia entrambe
le superpotenze furono spaventate dalle possibili conseguenze di episodi militari che
potevano sfuggire al controllo dei politici, e giunsero ben presto a due accordi all'insegna del
nuovo spirito della distensione: l'istituzione di una linea telefonica diretta tra il Cremlino e la
Casa Bianca (linea rossa) e la rinuncia a ulteriori esperimenti nucleari nell'atmosfera
(avrebbero però proseguito gli esperimenti sotterranei).
DOPO LA CRISI DEI MISSILI A CUBA VIENE ISTITUITA LA “LINEA

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ROSSA” (TELEFONO DIRETTO TRA CREMLINO E CASA BIANCA)

LA CORSA AGLI ARMAMENTI E L'EQUILIBRIO DEL TERRORE


Paradossalmente, la politica della distensione (che in un modo o nell'altro proseguì
fini alla metà degli anni 70) si intrecciò con il cosiddetto "equilibrio del terrore".
L’EQUILIBRIO DEL TERRORE: LA GUERRA NUCLEARE NON
AVREBBE NÉ VINTI NÉ VINCITORI
Entrambe le superpotenze erano ormai in grado di infliggere all'avversario danni tali
per cui non si poteva più parlare né di vinti né di vincitori. I bombardieri strategici, i missili
intercontinentali, i missili a media gittata e, dal 1958, i sottomarini nucleari, sono in grado di
colpire massicciamente il nemico distruggendone le industrie e annientandone in massa la
popolazione (ciò che in sigla è stato chiamato con macabro umorismo MAD: mutual assured
destruction). Inoltre il fall out radioattivo, circolando nell'ecosistema, può danneggiare in
modo spaventoso anche il paese attaccante, e naturalmente i paesi non appartenenti ai due
blocchi, con la conseguenza che l'idea di neutralità, già messa in questione dal bipolarismo
in quanto tale, finisce per perdere qualunque senso. A un certo punto i russi e gli americani
si sono dotati di un tale numero di bombe atomiche e all'idrogeno che il loro scoppio
simultaneo è addirittura un multiplo di quello sufficiente a far scomparire la vita di tutti gli
animali superiori dalla faccia della terra.
LA MINACCIA NUCLEARE CONTRIBUISCE A EVITARE LA
GUERRA TRA LE DUE SUPERPOTENZE
Proprio l'equilibrio del terrore in qualche modo ha contribuito ad evitare la guerra
tra le due superpotenze. Ma non ha impedito di pensare di poter progettare armi così
raffinate da essere capaci di distruggere l'avversario al primo colpo, impedendogli la
possibilità di rappresaglia. Bisogna anche dire che, mentre si scatenava la corsa agli
armamenti (cessata solo dopo l'avvento di Gorbaciov in Russia nel 1985) le due
superpotenze hanno continuato a negoziare per la loro riduzione. Questo ha contribuito, se
non ad arrestare tale corsa, almeno a limitarla e a regolamentarla, come vedremo.

KENNEDY E LA SUA POLITICA SOCIALE. L'"ETA' DELL'ORO" DEL


WELFARE
DOPO L’AUTO, NEGLI ANNI CINQUANTA ANCHE LA TV DIVENTA
UN BENE DI CONSUMO ORDINARIO PER LE FAMIGLIE
AMERICANE
Gli anni cinquanta negli U.S.A. erano stati anni, come sappiamo, di straordinaria crescita
economica e anche di aumento dei consumi, di urbanizzazione e di modernizzazione
accelerata dello stile di vita.
L'automobile, dagli anni venti simbolo della american way of life, era ormai un bene
comune per le famiglie americane. Nel 1954 metà delle famiglie americane possedeva
ormai un televisore, c'era un gran numero di canali privati e le trasmissioni erano

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normalmente a colori (si pensi che la R.A.I. solo nel 1953 aveva cominciato in Italia le
trasmissioni televisive in bianco e nero e su di un solo canale, per un pubblico limitato a
causa della mancanza di ripetitori e della scarsa diffusione di apparecchi tv). Per la relativa
estensione del lavoro femminile (cui già la guerra aveva dato un forte impulso), per l'ampia
scolarizzazione (Roosevelt aveva reso obbligatoria la scuola fino a diciotto anni) e anche per
l'esempio dato dai divi del cinema, la vita familiare, il rapporto genitori - figli e il
comportamento delle giovani generazioni si erano profondamente trasformati.
L'emancipazione dei costumi, la modernizzazione delle abitudini di vita, la fine del
maccartismo e la nuova distensione internazionale produssero una svolta a sinistra
dell'elettorato americano.
1960: I DUELLI TELEVISIVI DI KENNEDY E NIXON
Nelle elezioni del 1960, il cattolico John Fitzgerald Kennedy, in lizza per il partito
democratico, seppe approfittare del nuovo clima e sconfisse l'avversario repubblicano,
Richard Nixon, in alcuni memorabili duelli televisivi.
PER KENNEDY IL PROGRESSO MATERIALE DOVEVA FAVORIRE
L’EMANCIPAZIONE SOCIALE E POLITICA
Nonostante i momenti di tensione con Krusciov, anche Kennedy riprese l'idea
rooseveltiana di un mondo aperto in cui il progresso materiale avrebbe favorito
l'emancipazione politica e sociale, e in politica interna promosse nuove riforme sociali a
favore dei ceti più deboli e si preoccupò di garantire effettivamente i diritti civili e politici per i
neri anche negli Stati meridionali, che da sempre attuavano una rigida discriminazione
razziale violando apertamente la costituzione Federale. E' in questo periodo, in effetti, che si
sviluppa la grandiosa lotta non violenta del pastore nero Martin Luther King, uno dei miti
della sinistra americana.
La politica del cattolico Kennedy pareva in sintonia anche con l'apertura al mondo
cristiano non cattolico, al mondo laico dei non credenti e allo stesso mondo comunista
promossa, con una svolta straordinaria, dal papa eletto dal conclave del 1958, Giovanni
XXIII, che cambiò fortemente l'immagine della Chiesa, adottando, dopo decenni di crociate,
lo stile di umiltà, povertà, amore per le creature e rispetto per la diversità degli altri proprio
della migliore tradizione francescana.
Kennedy fu assassinato da un cecchino nel 1963 a Dallas, nel Texas razzista. La polizia
di Dallas fu accusata di non aver preso adeguate misure di sicurezza. In compenso essa
arrestò subito il sospetto assassino, Oswald, che però fu a sua volta ucciso da un sedicente
vendicatore di Kennedy, Jack Ruby, mentre era nelle mani della polizia. Ruby morì ben
presto in circostanze misteriose in carcere e, benché non si sia mai fatta luce in modo pieno
sul caso, è risultato abbastanza chiaramente, in ragione dell'insabbiamento delle indagini
attuato dalle autorità del sud e dai servizi segreti, che l'assassinio di Kennedy non fu opera di
un fanatico isolato ma di una congiura politica di ampie proporzioni.
IL CONCILIO VATICANO II° APRE LA CHIESA AL MONDO

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Nel 1963 morì anche papa Giovanni XXIII e nel 1964 fu destituito Krusciov (peraltro nel
rispetto della legalità socialista e senza che questo si accompagnasse a purghe o a
persecuzioni di qualche tipo). Ma ovunque per diversi anni fu proseguita la loro opera: il
nuovo presidente democratico Johnson riuscì anzi ad attuare molte riforme che Kennedy
aveva solo iniziato o promesso, mentre l'U.R.S.S. proseguiva sulla via della distensione e del
rinnovamento economico e in Vaticano proseguiva il grande Concilio Vaticano II (voluto da
Giovanni XXIII) che mutò il volto della Chiesa.
La politica di distensione e di welfare di Kennedy e di Johnson aveva riflessi anche in
Europa, incoraggiando l'apertura di nuove prospettive politiche. In Germania, per esempio,
nel 1966, il partito democratico cristiano moderato C.D.U.-C.S.U. subì una sconfitta
elettorale e dovette accettare un governo di "grande coalizione" con i socialdemocratici della
S.P.D. (che già da diversi anni avevano sconfessato senza mezzi termini la componente
marxista della loro tradizione).
IL SOCIALDEMOCRATICO WILLY BRANDT DIALOGA CON IL
BLOCCO ORIENTALE
Il nuovo ministro degli esteri, il socialdemocratico Willy Brandt, inaugurò una politica di
dialogo pragmatico con il blocco orientale (Ostpolitik). Essa è tanto più notevole in quanto la
Germania era sempre divisa in due Stati che fino ad allora non si erano neppure riconosciuti
e che la Germania Federale (occidentale) aveva dovuto assorbire qualcosa come nove
milioni di profughi tedeschi, fuggiti attorno al 1945 dalle regioni tedesche annesse dalla
Polonia e dall'Unione Sovietica e più tardi dalla Repubblica Democratica Tedesca (orientale).
Brandt, attraverso laboriose trattative, riuscirà a concludere trattati con l'Unione Sovietica, la
Polonia, la Cecoslovacchia e infine con la Germania orientale stessa.
LA “CONVERGENZA” TRA EST E OVEST: L’EST DEVE APRIRSI
AL MERCATO E L’OVEST INTRODURRE LA
“PROGRAMMAZIONE” ECONOMICA
Frutto della distensione è anche l'idea della convergenza tra i due opposti modelli
economico - sociali dell'ovest e dell'est. Un sociologo non certo sospetto di simpatie per il
marxismo o per l'Unione Sovietica come il liberale francese Raymond Aron già da tempo
analizzava i molti aspetti comuni delle società industriali contemporanee del primo e del
secondo mondo. Economisti marxisti come il polacco Oskar Lange e economisti occidentali
come Siro Lombardini (vicino alla sinistra della Democrazia cristiana) e Antonio Giolitti (che
sarà, come vedremo, ministro economico socialista nel primo governo italiano di centro
sinistra) proporranno - rispettivamente - la progressiva introduzione di elementi di iniziativa e
di autonomia d'impresa nell'economia socialista e l'introduzione di elementi di
programmazione dello Stato nell'economia capitalistica. Quest'ultima idea si ricollegava alla
politica economica keynesiana e consisteva in un sistema di stimoli e vincoli da parte dello
Stato perché i diversi settori economici e i diversi redditi si sviluppassero in modo armonico e
socialmente accettabile.
LA JUGOSLAVIA DAL CENTRALISMO ECONOMICO

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ALL’”AUTOGESTIONE”
Quanto alla prospettiva di introdurre elementi di iniziativa e incentivi economici
nell'economia socialista, essa sarà ripresa anche dai dirigenti sovietici dopo Krusciov, ma,
come vedremo, mai portata fino in fondo. Il paese che sembrò invece, a partire dagli anni 60,
realizzare concretamente una sorta di convergenza fu la Jugoslavia di Tito: l'economia
dell'autogestione socialista introduceva elementi di responsabilità e di iniziativa per i vertici
aziendali e i lavoratori delle imprese. Ma il successo di questo sistema non era condizionato
solo da variabili politiche e ideologiche: come vedremo, gli Stati della parte nord della
Jugoslavia (legata alla civiltà cattolica centro-europea del vecchio impero austroungarico) si
sarebbero discretamente sviluppati, mentre l'autogestione non risolse il problema
dell'arretratezza per le aree di tradizione e mentalità diverse (la Jugoslavia balcanica
soggetta per secoli all'impero turco ottomano).

SINTESI
In sintesi, potremmo dire che se la Russia di Krusciov volle entrare in una pacifica
competizione economica con l'occidente e tentò di attrezzarsi per questo, dall'altra parte
alcuni leader e partiti occidentali vollero competere con l'Unione Sovietica sul piano sociale,
offrendo sicurezza del lavoro e assistenza sociale alla classe operaia, oltre che consumi
crescenti. Anche per questo gli anni sessanta-settanta furono, nonostante le difficoltà e le
crisi che studieremo, l'età dell'oro del ventesimo secolo.

LA FINE DELLA CROCIATA CATTOLICA E IL CONCILIO VATICANO


SECONDO. IL CENTRO SINISTRA
Un altro frutto della politica della distensione fu la svolta nella vita politica italiana che
portò al governo riformatore di centro - sinistra, sorretto dalla coalizione tra D.C., partito
repubblicano (P.R.I.), partito socialdemocratico (P.S.D.I.) e, per la prima volta, Partito
Socialista Italiano (P.S.I.).
APERTURA DELLA CHIESA VERSO I NON CREDENTI E ANCHE I
COMUNISTI
Questa svolta era anche il risultato della grande trasformazione del mondo cattolico,
legata al Concilio Vaticano II e a papa Paolo VI, che proseguiva l'opera di Giovanni XXIII. La
nuova liturgia nelle lingue viventi, dopo quasi due millenni di latino, la tolleranza nei confronti
del modo di vita moderno, la fiducia riposta nell'azione dei componenti laici della Chiesa,
l'apertura nei confronti dei non credenti e dei comunisti, l'attenzione ai problemi dello
sviluppo e del sottosviluppo si legavano, almeno nella consistente parte del clero che aveva
realmente condiviso le innovazioni conciliari, con la scelta a favore della democrazia liberale
e delle riforme sociali.
Un altro importante evento rese possibile il centro - sinistra: l'aperta condanna

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dell'invasione russa dell'Ungheria fatta dal P.S.I. e la fine del Fronte Popolare coi comunisti, i
quali invece - nonostante un ampio dissenso interno - avevano dichiarato di credere alla
versione propagandistica russa (Krusciov in effetti aveva giustificato l'intervento sostenendo
che l'Ungheria era finita in mano a elementi fascisti reazionari).
Il centro - sinistra è l'indizio di una notevole attenuazione della contrapposizione
ideologica Noi - Loro nel nostro paese. Questo fenomeno comincia a toccare, benché in
misura minore, anche il partito comunista, per ora incapace di prendere posizione contro
l'Unione Sovietica (da sempre presentata alla sua base come la "patria del socialismo", il
paese modello che ha sconfitto il nazismo) e di abbandonare la propria ideologia
rivoluzionaria (l'obiettivo strategico del superamento del capitalismo), come ha fatto la
maggioranza del partito socialista. Per adesso il P.C.I. si limita a sviluppare la dottrina
kruscioviana delle vie nazionali al socialismo, sottolineando che la via nazionale italiana
deve passare attraverso le procedure legali della costituzione repubblicana
antifascista. Ma, essendo i socialisti passati alla coalizione di centro - sinistra, la prospettiva
di conquistare il potere con i mezzi elettorali è, nel breve e nel medio periodo, del tutto
illusoria, considerando che il partito raggiunge nelle elezioni del 1963 il 25,3% dei voti. L'ala
moderata e anti - ideologica del P.C.I., guidata da Giorgio Amendola, riecheggiando in
qualche modo il laburismo, vuole dar vita ad un "partito unico della classe operaia", che
superi la contrapposizione tra il marxismo - leninismo e la socialdemocrazia, ma non trova un
seguito di base sufficiente.
Il centro - sinistra, sostenuto da una D.C., in cui avevano sempre un certo spazio le
correnti conservatrici e in cui era ormai invalsa l'abitudine a vedere l'apparato dello Stato
come serbatoio della propria clientela elettorale, non poteva certo eguagliare le grandi
riforme del laburismo inglese e della socialdemocrazia scandinava. Le sue realizzazioni
principali furono la nazionalizzazione dell'energia elettrica (prima in mano ad un cartello
privato che faceva una politica dei prezzi fortemente speculativa) e l'estensione
dell'obbligo scolastico a quattordici anni, con la creazione di una scuola media popolare
unica e la soppressione della vecchia scuola d'élite in cui il latino era ancora materia di
insegnamento. Molto più modesti furono gli interventi nel settore delle case popolari e
dell'assistenza sociale.
IL MINISTRO SOCIALISTA GIOLITTI PROPONE IL “PIANO DI
PROGRAMMAZIONE ECONOMICA” E LA RIFORMA URBANISTICA
Nella primavera del 1964 un ministro socialista, l'economista Antonio Giolitti aveva
preparato un innovativo Piano di Programmazione Economica e una importante riforma
urbanistica. Questi interventi avrebbero toccato importanti interessi economici costituiti, e il
parlamento ne rinviò a lungo l'approvazione, cosicché il Piano fu approvato solo nel 1967, e
per di più svuotato dei suoi contenuti più significativi.
Ma nello stesso 1964 le forze conservatrici e reazionarie presenti all'interno

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dell'esercito, dei servizi segreti e in altri centri di potere avevano mandato oscuri segnali della
loro ostilità a riforme troppo radicali. Il comandante dei carabinieri, generale De Lorenzo,
uomo di destra e ex - capo dei servizi segreti, aveva preparato un piano dettagliato per
occupare, in caso di una non ben definita "emergenza", le prefetture, le sedi della RAI - TV,
dei telefoni e di "alcuni" partiti, e per trasferire in Sardegna un certo numero di personalità
politiche (elencate in un documento che in seguito non è mai stato possibile ottenere).
L'aspetto conturbante e sostanzialmente eversivo della vicenda era che De Lorenzo aveva
preparato il piano di sua iniziativa, in vista della crisi di governo del giugno-luglio 1964,
provocata dalle proposte riformistiche di Giolitti. Ma la cosa era stata subodorata anche fuori
dall'arma dei carabinieri e lo stesso leader socialista Nenni dichiarò in seguito di aver sentito
in lontananza in quel periodo un truculento "rumore di sciabole".
I SOCIALISTI ANNACQUANO LE RIFORME
Fosse per prudenza e per paura, o fosse per la difficoltà di convincere i settori
conservatori della D.C., i socialisti rinunciarono ai punti più qualificanti delle riforme.
Il piano d'emergenza fatto di sua iniziativa da De Lorenzo, che era sostanzialmente il
progetto di un golpe, non venne a galla per il momento, dato che non fu denunciato da
nessun uomo politico della maggioranza (è ben poco verosimile, tra l'altro, che il presidente
della repubblica, Antonio Segni, amico e protettore di De Lorenzo, non ne sapesse nulla).
Furono solo le denunce del giornalista Lino Jannuzzi sul settimanale L'Espresso, diretto
allora da Eugenio Scalfari, che provocarono un'inchiesta parlamentare che, qualche anno
dopo, fece conoscere - almeno in parte - la vicenda.

LA GUERRA D'ALGERIA E L'AVVENTO DI DE GAULLE


Proprio nel periodo della distensione est-ovest, la Francia affronta il momento più difficile
della sua storia recente: la guerra d'Algeria e i tentativi di colpo di Stato di destra ad essa
collegati. Abbiamo già visto che la decolonizzazione del Vietnam era stata dura e
sanguinosa. Anche peggiore fu quella dell'Algeria.
Questo paese, conquistato dalla Francia in varie fasi a partire dal lontano 1830, nel
tempo era stato investito da una massiccia emigrazione di coloni francesi che si erano
accaparrati le terre migliori e avevano sviluppato un'agricoltura intensiva. Nel 1950 i francesi
residenti (la maggior parte nati sul posto) erano circa l'11% della popolazione. La Francia
offrì a quell'epoca all'Algeria una forma limitata di autonomia, in cui il peso decisivo sarebbe
andato ai residenti francesi.
Non riuscendo ad ottenere un accettabile compromesso con mezzi pacifici, diversi
gruppi politici algerini a partire dal 1954 si diedero alla guerriglia e al terrorismo, ai quali il
governo francese di centro - sinistra rispose scatenando a sua volta un'ondata di terrore
poliziesco contro i nazionalisti arabi e contro chi era sospettato di appoggiarli. Il conflitto si

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trasformò in una grande guerra civile in cui furono impiegati 400.000 militari, di cui
naturalmente una gran parte di leva.
I PARTITI DEMOCRATICI FRANCESI NON RIESCONO A
RISOLVERE IL PROBLEMA ALGERINO E CHIAMANO AL POTERE
IL GENERALE DE GAULLE
L'opinione pubblica francese si divise: a chi non voleva sostenere i costi economici e
umani della guerra si opponeva la destra che voleva difendere ad oltranza ciò che restava
dell'impero dopo il disastro dell'Indocina, e inoltre quanti sostenevano i coloni francesi
d'Algeria. Nel 1958 questi ultimi istituirono un governo locale ribelle che, appoggiato dagli alti
gradi dell'esercito e dai corpi speciali, voleva continuare la guerra ad oltranza. Il parlamento
francese, bloccato dall'indecisione e diviso in un gran numero di partiti discordi tra loro,
quando il governo centrale diede le dimissioni, finì per affidare poteri speciali costituenti al
generale De Gaulle, un conservatore nazionalista che era stato a capo del governo francese
in esilio a Londra durante la guerra.
Il prestigio e la fermezza di De Gaulle riuscirono ad aver ragione dell'insubordinazione
del 58 e del successivo tentativo di colpo di Stato del 61 (ad opera delle stesse forze), ma
non della resistenza degli algerini arabi, che avevano proclamato un governo provvisorio e
che non erano più disposti ad accettare alcuna forma di federazione con la Francia. De
Gaulle alla fine dovette accettare la piena autonomia della colonia. Essa era costata, a
quanto sembra, quasi un milione di morti in otto anni.

LA FRANCIA E LA CINA FUORI DAI DUE GRANDI BLOCCHI. E LA


COMUNITA' EUROPEA?
IL MONDO VERSO IL MULTIPOLARISMO: DE GAULLE AFFERMA
L’AUTOOMIA DELLA FRANCIA DAGLI USA
Negli anni sessanta la Francia rinunciò a tutte le restanti colonie (tranne poche isolette
nell'oceano Indiano, nel Pacifico e nelle Antille), ma De Gaulle osò riaffermare
puntigliosamente il suo carattere di grande potenza. Quarto paese (dopo U.S.A., U.R.S.S. e
Gran Bretagna), la Francia si dotò dell'arma nucleare, e uscì dall'organizzazione militare
della N.A.T.O., pur continuando a sottoscrivere l'alleanza politica e i principi ideali. La
pretesa di De Gaulle era quella di poter giocare la funzione di terza forza tra i due blocchi. Si
stava aprendo, nel contesto della distensione, la possibilità di un assetto multipolare.
LA CINA CRITICA LA COESISTENZA PACIFICA DI KRUSCIOV
Questa multipolarità era ancora accentuata dal fatto che, proprio all'inizio degli anni 60,
la Cina comunista aveva manifestato il suo dissenso nei confronti della linea kruscioviana di
coesistenza e competizione pacifica coi paesi capitalistici, sostenendo che la
destalinazzazione era un abbandono dei principi del cosiddetto marxismo-leninismo e una
rinuncia alla rivoluzione mondiale. Si ricorderà la diffidenza dimostrata da Stalin nei
confronti di Mao Zedong. Costui tuttavia rinfacciava ai nuovi dirigenti l'abbandono
dell'ortodossia staliniana, anche se per conto suo era ben poco ortodosso. Egli aveva

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sostenuto che fosse possibile far nascere una società di tipo socialista da una rivoluzione
contadina, mentre per la dottrina marxista-leninista essa può nascere solo da una rivoluzione
operaia. Il congresso del partito del 1956 decise di far compiere alla Cina un "grande balzo in
avanti", a partire dal 1958, nella costruzione del socialismo e quindi nello sviluppo economico
del paese. La via scelta da Mao per far crescere l'industria pesante e la produzione
dell'acciaio era originale ma anche assai poco realistica: l'economia contadina sarebbe
passata dal regime delle cooperative a quello delle comuni agricole, basate sulla proprietà
collettiva, e ogni comune avrebbe avuto un proprio altoforno "faidaté" per la produzione
decentrata di acciaio. Il risultato fu che negli anni seguenti la produzione agricola declinò
fortemente, mentre risultò che l'acciaio prodotto dalle comuni era per lo più inutilizzabile.
Negli anni successivi la produzione di generi alimentari ebbe un drammatico calo, e le
carestie e le epidemie che ne seguirono portarono ad un calo della popolazione di circa
quindici-venti milioni, su un totale di oltre settecento.
LA CINA SI PROPONE COME STATO GUIDA PER LA
RIVOLUZIONE MONDIALE CONTADINA DEI PAESI
SOTTOSVILUPPATI
Nonostante questi tragici insuccessi (occultati dalla propaganda), la Cina all'inizio degli
anni 60 si propose come lo Stato guida per una ribellione mondiale dei paesi sottosviluppati.
Tali paesi, come sappiamo, erano piuttosto inclini al non allineamento, anche se le classi
dominanti conservatrici si rivolgevano spesso agli U.S.A. per mantenere le loro posizioni, e i
partiti comunisti o i movimenti nazionalisti di decolonizzazione chiedevano spesso l'aiuto
militare o economico dell'U.R.S.S. contro le potenze coloniali e gli stessi U.S.A. Ma la Cina
voleva aprire un vero e proprio terzo fronte: quello di una grande rivolta mondiale dei
popoli sottosviluppati contadini contro i paesi capitalisti industrializzati e anche
contro il "social - imperialismo dei nuovi zar" sovietici.
Abbiamo visto dunque che la Francia si costituisce come forza indipendente - all'interno
della grande famiglia dei paesi liberaldemocratici - in nome semplicemente del suo carattere
(vero o presunto) di grande potenza. Invece la Cina, il paese più popoloso del mondo,
separato dalla Russia dalle rivalità geopolitiche che abbiamo visto, cerca di aprire un nuovo
fronte ideologico - politico. Il tentativo finirà sostanzialmente per fallire: oltre ad certo
numero di movimenti rivoluzionari del terzo mondo, il modello cinese di comunismo
contadino fu preso veramente in considerazione solo dall'Albania, da qualche paese
africano, come la Tanzania, e, più tardi, dalla spietata dittatura totalitaria dei Kmehr Rossi in
Cambogia.
LA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA (1957) PONE LE
PREMESSE PER LA COSTITUZIONE DI UNA NUOVA ENTITÀ
POLITICA
Un altro fattore di questa tendenza al multipolarismo nell'era della distensione e
soprattutto a partire dagli anni 60 fu - o avrebbe potuto essere - il processo di unificazione
europea. Partito con soli sei stati (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo)

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col trattato di Roma del 1957, nelle ambizioni dei suoi fondatori avrebbe dovuto avere un
significato non solo economico, ma politico. Gli organi previsti per il momento avevano un
potere ridotto e rappresentavano solo i diversi Stati, e non direttamente il "popolo europeo".
L'Assemblea Europea, con poteri di controllo e competenze ridotte, era designata dai diversi
parlamenti, mentre il Consiglio Europeo dei ministri, il principale organo decisionale, era
designato dai singoli governi, e presieduto a turno dal presidente del consiglio di uno di essi.
La Commissione Europea, unico organo permanente e specifico, con compiti tecnici ed
esecutivi e con sede a Bruxelles, si doveva occupare di mettere in atto le decisioni e le
direttive del Consiglio Europeo.
De Gaulle, che sapeva opporsi all'egemonia americana, con altrettanta energia si
oppose all'ingresso dell'Inghilterra, troppo legata alla politica americana, e alla
trasformazione della Comunità Economica Europea (CEE) e del Mercato Comune Europeo
(MEC) in una vera e propria entità politica. Ma erano state poste le fondamenta sia per un
polo di sviluppo capace di tener testa all'economia americana, sia per un'intesa politica tra gli
Stati europei che, uscito di scena nel 69 De Gaulle con le sue smanie di protagonismo,
avrebbe, con molta cautela, posto un limite all'egemonia americana.

LA COSTITUZIONE DELLA QUINTA REPUBBLICA FRANCESE: IL


BIPARTITISMO ARTIFICIALE
Come si è detto, il parlamento francese, dilaniato dai contrasti tra i partiti, portati ad un
punto critico dalla guerra d'Algeria, aveva affidato speciali poteri costituenti al generale De
Gaulle. La costituzione che era stata elaborata dagli esperti di De Gaulle è un complesso
marchingegno che affida al presidente della repubblica il potere di sciogliere il parlamento e
indire nuove elezioni, di emanare autonomamente decreti di emergenza (partecipando così
al potere legislativo) e di occuparsi anche di politica estera, insieme al ministro degli esteri.
IL SISTEMA ELETTORALE FRANCESE (UNINOMINALE A DOPPIO
TURNO) É PROGETTATO PER GARANTIRE STABILI
MAGGIORANZE DI GOVERNO
Differentemente dalla repubblica presidenziale americana, il governo della Quinta
Repubblica non dipende unicamente dalla nomina presidenziale, ma ha bisogno della
fiducia della maggioranza del parlamento. Qui il marchingegno raggiunge la sua massima
complessità. Il sistema elettorale (uninominale in due turni) è stato infatti pensato per ridurre
a due gli schieramenti parlamentari e per produrre un assetto bipartitico o almeno bipolare,
tale da garantire stabili maggioranze - in termini di seggi - alla coalizione di governo.
Il sistema uninominale è ben diverso dal proporzionale (adottato in Italia dal 1946) in
cui si votano non singoli candidati, ma liste, e i voti si sommano a livello nazionale.
Nell'uninominale ogni collegio elettorale (ripartizione territoriale) elegge un candidato e ciò
evidentemente favorisce i partiti molto grossi oppure molto concentrati in determinate
località. Nella versione dell'uninominale propria dell'Inghilterra e degli Stati Uniti (detta

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uninominale maggioritario) vince il seggio tra tutti i candidati quello che ottiene la
maggioranza semplice dei voti (qualunque essa sia). In Francia invece per vincere al primo
turno è richiesta la maggioranza assoluta, e solo al secondo la maggioranza semplice.
Inoltre per accedere al secondo turno è richiesto il 12,5% dei voti.
In questo modo sono incoraggiate le coalizioni elettorali: infatti i partiti che
stabiliscono accordi in vista delle elezioni hanno più probabilità di vincere al secondo turno.
In pratica: se il partito gaullista (nazionalista conservatore) e il partito dei Repubblicani
Indipendenti (liberale) sono coalizzati, nei collegi in cui il partito gollista raccoglie più suffragi
al primo turno i repubblicani indipendenti si ritireranno al secondo turno, invitando i propri
elettori a votare gollista, e là dove hanno più suffragi i liberali si ritireranno i gollisti. Se i partiti
di destra si comportano in questo modo vinceranno non solo là dove sono matematicamente
più forti della sinistra, ma anche là dove la sinistra non è unita da un patto di coalizione.
Schematicamente, in un collegio basterebbe loro un 34% per vincere un partito socialista al
33% e un partito comunista anch'esso al 33%.
IL BIPARTITISMO “ARTIFICIALE” FRANCESE HA PERMESSO
EFFETTIVAMENTE L’ALTERNANZA
In pratica, le destre stravinsero nelle prime elezioni della 5a Repubblica perché i vari
partiti del centro e della sinistra moderata non giunsero ad un accordo con i comunisti.
Viceversa, quando la sinistra superò i suoi dissidi interni (a partire dalla seconda metà degli
anni settanta) poté competere con buone possibilità di successo e vincere più volte le
elezioni, alternandosi al potere con la coalizione di destra.
Anche in Francia, dunque, funziona una forma di bipartitismo (o bipolarismo
parlamentare), e ciò grazie a un preciso meccanismo elettorale e non per eredità di fortunate
e irripetibili circostanze storiche, come nei paesi anglosassoni.

IL SISTEMA POLITICO TEDESCO E L'ECONOMIA TEDESCA


Un caso costituzionale interessante è anche quello della Germania Federale, in cui gli
estensori della costituzione del 49 si sono preoccupati non di far nascere un sistema
bipartitico, ma di garantire la stabilità delle maggioranze e di togliere spazio all'estremismo
politico e ai piccoli partiti.
IN GERMANIA PER FARE CADERE LA MAGGIORANZA DI
GOVERNO BISOGNA AVERNE GIÀ PRONTA UN’ALTRA
ALTERNATIVA
La stabilità è qui assicurata dalla regola della sfiducia costruttiva, per cui chi
presenta in parlamento una mozione di sfiducia contro il governo in carica deve presentare
contestualmente la proposta per un nuovo governo, e chi vota per la sfiducia da insieme la
fiducia al nuovo governo. L'estremismo politico (si pensava evidentemente ai comunisti e ai
nazisti), così come il frazionamento della vita politica in molti piccoli partiti, sono stati
scoraggiati con la clausola dell'obbligo del 5% dei voti per essere rappresentati in

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parlamento. Poiché anche il sistema uninominale incoraggia i grossi partiti, oltre agli eletti col
sistema proporzionale, metà del parlamento tedesco è eletto con tale sistema.
La Germania in effetti è stata per molti anni una forma di bipartitismo quasi perfetto. Il
partito di governo è stato per molti anni il partito di centro - destra C.D.U.-C.S.U.,
democristiano, che rappresenta i ceti capitalistici, i benestanti e i ceti medi in modo analogo
al partito conservatore inglese, mentre fino al 1966 il partito socialdemocratico, l'S.P.D.,
legato ai sindacati, alla classe operaia e ai ceti più deboli, è restato all'opposizione.
Dopo il triennio 1966 - 1969 in cui ci fu una "Grande Coalizione" tra la S.P.D. e i
democristiani, il partito socialdemocratico è stato alla guida del governo ininterrottamente dal
1969 al 1982. Esso ha proseguito l'apertura verso l'est, cui abbiamo accennato, sempre per
iniziativa di Brandt, divenuto presidente del consiglio.
IL TRIONFO DEL WELFARE NELLA GERMANIA E NELLA SVEZIA
SOCIALDEMOCRATICHE
Ha inoltre realizzato una politica di Welfare State che ha il suo eguale solo nei paesi
scandinavi - in particolare in Svezia il partito socialdemocratico è stato al governo dall'inizio
degli anni 30 all'inizio degli anni 80, realizzando il sistema assistenziale più avanzato
dell'occidente: come si vede, per qualche paese l'età dell'oro è durata molto di più del
periodo 50-73.
Va ricordato infine che la Germania Federale negli anni sessanta è venuta
rafforzando la sua posizione economica e il suo potenziale produttivo e scientifico -
tecnologico, ed è diventata così, insieme al Giappone, una delle due "locomotive dello
sviluppo" mondiale, capace di stimolare la ripresa nei momenti di crisi. Dotata di una solida
moneta, di un buon sistema scolastico, di un ottimo sistema di istruzione professionale e di
una formidabile organizzazione della ricerca scientifica e tecnologica, la Germania era ed è
tuttora una delle massime potenze economiche dell'occidente, seconda solo agli Stati Uniti e
al Giappone. Insomma, gli americani e le potenze occidentali hanno permesso, e addirittura
incoraggiato, la ripresa dei due nemici mortali della seconda guerra mondiale, ormai
sostanzialmente disarmati, dotati di solide costituzioni liberaldemocratiche e perfettamente
inseriti nel mercato mondiale.

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Cap.3. La contestazione globale del


sistema bipolare

LA GUERRA DEL VIETNAM, LA CONTESTAZIONE UNIVERSITARIA


E LA RADICALIZZAZIONE DEL MOVIMENTO DEI NERI
Riprendiamo ora la narrazione delle vicende americane. Abbiamo presentato il periodo
Kennedy - Johnson come un momento di riforme e di grande apertura a sinistra. Ma è anche
il momento in cui comincia la guerra del Vietnam e la cosiddetta "contestazione globale".
JOHNSON IMPIEGA I SOLDATI DI LEVA CONTRO LA GUERRIGLIA
SUDVIETNAMITA E FA BOMBARDARE LE CITTÀ DEL VIETNAM
DEL NORD
Già Kennedy aveva inviato alcune decine di migliaia di consiglieri militari in appoggio al
regime del Vietnam del Sud. Johnson inviò addirittura un corpo di spedizione che, con una
continua escalation, si ingrossò fino a 543.000 uomini nel 1968, dei quali per forza di cose la
grande maggioranza era formata da soldati di leva, e arrivò a bombardare le città del
Vietnam del Nord, come rappresaglia per gli aiuti forniti ai ribelli comunisti del sud. La posta
in gioco era diventata sempre più il prestigio della superpotenza - non certo l'appartenenza
delle risaie annamite o delle giungle del delta del Mekong al campo occidentale. Ma
l'escalation militare non portò affatto alla vittoria, come aveva immaginato lo Stato Maggiore
americano. Al contrario, proprio l'incapacità di domare la rivolta con potentissimi mezzi
tecnici - elicotteri antiguerriglia, bombardieri pesanti, defolianti, napalm e armi
chimiche di vario tipo - portò l'America al punto più basso del suo prestigio.
Gli Stati Uniti si attirarono l'ostilità più o meno latente di gran parte del terzo mondo,
mentre le potenze europee, per non essere associate nell'odio suscitato dalla superpotenza,
cercavano di mediare e di spingere americani e comunisti vietnamiti al negoziato. Inoltre la
Cina e i "nuovi zar social-imperialisti dell'U.R.S.S." lasciarono da parte i loro dissidi e finirono
per collaborare (molto di malavoglia) nell'aiutare il piccolo Stato comunista.
Ma il contraccolpo forse più grave per il presidente Johnson riguardava la politica
interna. La repressione della guerriglia popolare vietnamita non era la stessa cosa della
guerra contro l'aggressore nazista. Né la situazione interna americana era più quella della
grande mobilitazione anticomunista del periodo del maccartismo e dello stalinismo. La
gioventù era profondamente cambiata: all'inizio degli anni sessanta l'opinione pubblica
democratica aveva seguito con favore la grande mobilitazione non violenta dei neri per i
diritti civili guidata da Martin Luther King, e il movimento hippy dei "figli dei fiori", pacifista,
ispirato ai valori del buddismo e di altre religioni orientali, anarchicheggiante e contrario al
consumismo, aveva conquistato molti giovani.

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LA CONTESTAZIONE UNIVERSITARIA IMITA I METODI


NONVIOLENTI DEL MOVIMENTO NERO PER I DIRITTI CIVILI DI
MARTIN LUTHER KING
Già nel 1964 il movimento della contestazione universitaria aveva avuto un forte
seguito nelle università della California, e aveva impiegato inizialmente i metodi pacifici ma
spettacolari della lotta per i diritti civili: volantinaggio e contro - informazione,
manifestazioni e sit-in nelle grandi arterie urbane, occupazioni. Quando la cartolina precetto
per il Vietnam diventò un pericolo incombente per molti giovani, il movimento studentesco,
diffuso ormai in tutte le grandi università, era stato in gran parte conquistato da idee radicali
e marxiste.
LA RADICALIZZAZIONE GENERALE E L’ASSASSINIO DI M.L.KING
NEL ‘68
Un altro fronte sociale molto duro si era poi aperto nei ghetti neri del nord, in cui il
problema non era quello della discriminazione legale propria degli Stati del sud, ma della
discriminazione sociale di fatto, dell'emarginazione, della disoccupazione o della
sottocupazione. L'assassinio nell'aprile del 1968 dello stesso King - che non era riuscito a
impedire una serie di sanguinose rivolte nei ghetti delle città industriali - ne scatenò una
serie ulteriore.

IL 68 COME STATO D'ANIMO GLOBALE


Dunque fu proprio dall'America, il paese del capitalismo e, allo stesso tempo,
dell'emancipazione democratica delle masse, che partì la scintilla della contestazione alla
leadership americana e ai valori del blocco occidentale.
L’ACCESSO MASSICCIO DEI CETI MEDIO-BASSI AGLI STUDI
SUPERIORI
Tra la gioventù dell'Europa occidentale e del Giappone l'incendio si diffuse quasi subito
perché la situazione era abbastanza simile: un'intera generazione di studenti dei ceti
medio bassi aveva avuto accesso in massa agli studi superiori e alla vita metropolitana
e si sentiva in grado di riscrivere le norme del comportamento collettivo riguardo ai rapporti
sessuali, ai consumi, alla vita professionale e alla società nel suo insieme.
La rivolta non era solo contro le autorità costituite, ma in parte anche contro la generazione
precedente. Quest'ultima era passata attraverso le sofferenze e i sacrifici della guerra e
attraverso il periodo del maccartismo e della crociata anticomunista, che aveva scoraggiato
la contestazione e promosso il conformismo e la disciplina sociale, e spesso aveva visto
nello straordinario sviluppo dei consumi del boom economico il punto d'arrivo della propria
esistenza. Così il movimento sindacale e gli esponenti della sinistra - e in Europa addirittura i
socialisti e i comunisti - furono anch'essi contestati per essersi adattati alla società del
benessere.
UN’ONDATA DI GIOVANI OPERAI NON QUALIFICATI ENTRA
NELLE FABBRICHE E NELLA VITA URBANA

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Inoltre (anche se le città europee e giapponesi non possono essere assimilate ai ghetti
neri) c'era stata, almeno in alcune di esse, e particolarmente in Italia, un'urbanizzazione
rapida di masse di operai non qualificati, che non avevano partecipato alle precedenti
lotte operaie e che non erano iscritti ai sindacati, ma che cominciavano a provare il bisogno
di farsi sentire per dare un senso alla loro esistenza collettiva nel nuovo mondo, ricco ed
esclusivo, in cui erano capitati.
LA RIVOLTA PARIGINA DEL MAGGIO ’68 DA VOCE ALLE
ASPIRAZIONI DI UN’INTERA GENERAZIONE DELL’OCCIDENTE
CAPITALISTICO
La rivolta parigina del maggio - giugno 68 fu l'espressione più potente e in seguito
il simbolo di un movimento di protesta che si spostava a tutti i livelli della vita sociale.
Furono occupate le università, le case dello studente, gli istituti d'arte: in pratica l'intero
quartiere latino, il quartiere degli intellettuali e degli studenti, era in mano ai manifestanti e
agli occupanti. Ma anche moltissime grandi fabbriche della cintura industriale di Parigi, tra cui
le Officine Renault, il gioiello dell'industria di Stato, furono occupate. Ovunque c'erano
assemblee di base, dove si svolgevano interminabili discussioni sulle rivendicazioni
immediate, sulle grandi prospettive e spesso anche sulle procedure decisionali delle
assemblee stesse, in cui il rifiuto delle strutture gerarchiche portava anche a divisioni e
difficoltà organizzative.
LA DEMOCRAZIA ASSEMBLEARE
Le rivendicazioni immediate erano le più svariate, e riguardavano soprattutto il potere
all'interno delle istituzioni: studenti e operai volevano il controllo sulle loro condizioni di studio
e di lavoro. Gli obiettivi complessivi possono essere chiamati rivoluzionari, anche se è
difficile capire ed esprimere il concetto di rivoluzione che i giovani avevano in mente in quei
giorni di entusiastica confusione. Certo nulla di simile alla rivoluzione leninista, anche perché
il movimento era tutto fuorché un partito di professionisti della rivoluzione e, perché,
nonostante la confusione, era ben chiaro che non si poteva far reggere da un Comitato
bolscevico di Commissari del Popolo la società francese, liberaldemocratica e permissiva,
informata da radio e tv, consumista e colta.
LA CONTESTAZIONE DI TUTTE LE AUTORITÀ COSTITUITE
L'idea prevalente era quella della disobbedienza generalizzata: come gli studenti e
gli operai rifiutavano l'autorità dei professori e dei capi reparto, i funzionari dello Stato e
l'esercito avrebbero rifiutato presto quella dei loro superiori.
Più che le teorie, certi slogan parlano per il movimento: "l'immaginazione al potere",
"siamo realisti, domandiamo l'impossibile". Forse l'atteggiamento dei ribelli del 68 francese
nei confronti delle autorità a cui si ribellavano può anche essere espresso con una frase del
68 italiano: "una risata vi seppellirà".
Il governo, che si era preparato anche ad una repressione militare in grande stile
contro le barricate del Quartiere Latino, ebbe il buon senso di non fare entrare i mezzi
corazzati a Parigi e di lasciare che la normalità tornasse da sola. Del resto, se una parte

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dell'opinione pubblica era scandalizzata (più che terrorizzata) dalla ribellione giovanile, non
mancavano settori che apprezzavano la giustezza di molte rivendicazioni e altri che
simpatizzavano apertamente con essa. Quello che era profondamente innovativo nel fenomeno era la velocità
con cui le lotte nascevano e si diffondevano senza una vera e propria organizzazione, sulla base di un sentire
comune.
’68: DEMOCRAZIA “CONSILIARE”
COMUNISTA, MA ANTISTALINISTA
Dal punto di vista ideologico il movimento nel suo complesso si ricollegava
all'anarchismo o al pensiero originario di Marx. Esso però rifiutava nettamente
l'interpretazione staliniana del marxismo e spesso anche quella leniniana, e si ispirava allora
piuttosto alla tradizione del comunismo "consiliare" (vedi Introduzione), o al trozkismo. In
sintesi, se era rifiutato il moderatismo socialdemocratico, la tradizione filosovietica del partito
comunista francese era addirittura esecrata.
I GIOVANI DEL ’68 SENTONO DI STARE VIVENDO UN MOMENTO
UNICO NELLA STORIA, IN CUI CONTEMPORANEAMENTE
LA GIOVENTÙ DELL’OVEST E DELL’EST SI RIBELLA
ALL’AUTORITARISMO
Con la stessa spontaneità con cui si era diffuso nel Quartiere Latino, ma ovviamente
in modo molto più lento, il movimento si diffuse un po’ ovunque - anche se con diverso
successo - nel mondo occidentale, e non mancò di avere dei riflessi perfino in paesi autoritari
come la Spagna e la Grecia. La percezione dei protagonisti era quella di stare vivendo
un momento unico nella storia, in cui all'improvviso la gioventù di gran parte del
mondo (in occidente, ma anche in Cina, in Cecoslovacchia, in America Latina, ecc.) si
ribellasse alle norme autoritarie imposte dalle gerarchie dello Stato, dell'industria, dei
partiti (inclusi quelli di sinistra e in particolare quelli comunisti), della Chiesa e della famiglia.
Questa percezione era possibile anche per una diffusione dei mezzi di comunicazione (libri,
periodici, cinema, dischi, radio, tv) e per una possibilità di spostamento (è l'epoca d'oro
dell'autostop) che non avevano precedenti nella storia e che mettevano in contatto giovani di
realtà lontanissime.
Essa però era rafforzata anche da alcuni gravi fraintendimenti.
GLI EQUIVOCI SULLA “RIVOLUZIONE CULTURALE” CINESE
In effetti in Cina nel periodo 1966-1969 si sviluppò il movimento giovanile della
Rivoluzione Culturale, che, negli anni immediatamente successivi al 68, ebbe una forte
influenza sui movimenti giovanili dell'occidente. L'obiettivo di tale rivoluzione, infatti, era non
tanto una trasformazione strettamente economica e materiale, ma la contestazione
dell'autorità dei funzionari di partito e dei dirigenti economici e tecnici, qualcosa che ricordava
la democratizzazione del potere in tutte le istituzioni voluta dagli studenti parigini. Tuttavia
questa campagna ideologica, che ebbe dei momenti violenti e repressivi, era stata
orchestrata dal segretario del P.C. cinese Mao Zedong, che si era trovato in minoranza nel
comitato centrale del partito. Il contesto era quello di un regime a partito unico in cui
l'ideologia marxista - leninista era l'unica ammessa, e in cui Krusciov e i "nuovi zar" che

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l'avevano sostituito erano accusati di aver abbandonato le dottrine rivoluzionarie codificate


da Stalin. Il culto della personalità di Mao, l'intolleranza per il diverso, il conformismo di
massa, il fanatismo delle guardie rosse e la loro fiducia totale nella vittoria e nell'avvento di
una nuova era sembrano derivare non solo dal marxismo-leninismo ma anche dalla
tradizione millennaristica delle rivolte popolari cinesi.
LA “PRIMAVERA DI PRAGA” DEL ‘68
Anche la contemporanea "primavera di Praga" (prolungatasi fino all'agosto del 1968)
aveva contenuti piuttosto diversi: i cecoslovacchi rivendicavano elementari libertà civili e
politiche che erano loro negate, nonché un'attenuazione del carattere autoritario della
pianificazione economica e l'adozione di alcuni incentivi di mercato per le aziende di Stato.
LA “CONTESTAZIONE GLOBALE” COINVOLGE LA VITA SOCIALE E
CULTURALE A TUTTI I LIVELLI

Ad ogni buon conto, la contestazione non fu chiamata "globale" perché era diffusa in
tutto il mondo, ma perché coinvolgeva in occidente tutti gli ambiti della vita sociale e
individuale. Nuove abitudini sessuali, una nuova musica, un nuovo stile di rapporti personali,
una nuova fraternità e una nuova religiosità non confessionale sembravano affermarsi in
modo simile in un'intera generazione.
Inoltre la contestazione fu guardata con simpatia e con speranza da un gran numero di
intellettuali e di uomini politici riformatori che, pur non condividendone lo stile anarchico e
l'utopismo illimitato, ne apprezzavano l'aspirazione al cambiamento e vedevano in essa una
riserva di energie giovani, di creatività, di autenticità e di anticonformismo. Il cinema, il teatro
e l'arte in genere, le scienze politiche e sociali e la psicologia sono state investite da
un'ondata di rinnovamento in questo periodo. Il 68 del resto contribuì anche a diffondere e
amplificare idee diffuse tra gli intellettuali che lo avevano in qualche modo preparato, ma
che, senza quel movimento di massa, sarebbero restate nell'ambito di élite d'avanguardia.
HERBERT MARCUSE:
CRITICA DEL MARXISMO DELL’UNIONE SOVIETICA
Emblematiche del movimento sono considerate in particolare le idee di Herbert Marcuse. Egli
apparteneva all'Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte, una fondazione culturale che già negli anni
trenta combinava le tematiche freudiane della liberazione dalla repressione sessuale con quelle marxiste
della liberazione dall'alienazione (--> vedi riquadro alla fine del paragrafo) sociale, economica e politica.
Tale fondazione si trasferì negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo. Già la scelta dell'America, capitalista,
ma liberale e democratica, al posto dell'Unione Sovietica è significativa: Marcuse poi dedicò alla critica
del marxismo sovietico una sua importante opera.
NELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA GLI INDIVIDUI COMPETONO
PER IL GUADAGNO E PER IL CONSUMO,
RINUNCIANDO ALLA LORO SPONTANEITÀ
Negli anni cinquanta e sessanta egli elaborò un'analisi complessiva della società industriale
occidentale, per lui dominata da una tendenza illimitata allo sviluppo tecnico ed economico, e
dall'individualismo competitivo, che porta ciascuno a estenuarsi nella gara per il guadagno e per il
consumo fini a se stessi e a reprimere le pulsioni spontanee e l'istinto. Nonostante che il movimento lo
avesse scelto quasi come suo simbolo, egli non credeva più che la classe operaia dei paesi ricchi
avrebbe promosso una rivoluzione anticapitalistica e anche dopo il 68 si espresse sempre in modo

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piuttosto cauto sulla possibilità che una tale rivoluzione potesse essere compiuta da altri soggetti.
Tuttavia vedeva nella tecnica sviluppata dal capitalismo una potenzialità che - almeno in astratto -
avrebbe potuto permettere di superare il mondo alienato del produttivismo e del consumismo: in un
mondo in cui i compiti materiali ripetitivi della produzione fossero affidati alle macchine, l'uomo, liberato
dall'ideologia della produzione e del consumo illimitati e fini a se stessi, abbandonata l'ossessione
capitalistica della competizione individuale, avrebbe potuto dedicarsi al gioco, alla creatività, al
dispiegamento dell'eros.
L’AUTOMAZIONE POTREBBE PERMETTERE ALL’UOMO
POSTCAPITALISTICO DI DEDICARSI AL GIOCO E ALLA
CREATIVITÀ

ALIENAZIONE: nella filosofia di Marx questo concetto significa che i nostri prodotti, la nostra attività
produttiva e i nostri rapporti sociali sono sottomessi ad un potere alieno, cioè a noi estraneo, come il
capitale privato e lo Stato.

IL 68 ITALIANO E L'AUTUNNO CALDO DEL 69


In Italia a partire dal 1968 cominciò un ciclo di lotte più lungo e più intenso che negli altri
paesi industriali avanzati, forse anche in ragione della rapidità traumatica con cui era
avvenuto lo sviluppo e con cui s'era svolta l'emigrazione e l'urbanizzazione. Come si è accennato, masse di
operai non qualificati, quasi tutti provenienti dal sud, che non avevano partecipato alle precedenti lotte operaie e
che non erano iscritti ai sindacati, cominciavano a sentire il bisogno non solo di migliori condizioni di lavoro e
di salari più alti, ma anche semplicemente di far sentire la loro voce, di dare un senso alla loro esistenza
collettiva.
LE ASSEMBLEE DEI DELEGATI DI FABBRICA SONO APERTE
ANCHE A CHI NON É ISCRITTO AI SINDACATI

Le lotte operaie nel '68 e nel cosiddetto autunno caldo del 1969, contestarono duramente il
tradizionale sindacato socialcomunista, la C.G.I.L., e rivendicarono, contro i vertici sindacali,
le decisioni sulle lotte alle assemblee unitarie della base. Ma i sindacati nel giro di qualche
tempo seppero adattarsi alla nuova situazione e accettarono l'istituzione delle assemblee
dei delegati di fabbrica, aperte a tutti, che dovevano avere un peso importante
nell'individuazione degli obiettivi e nello scatenamento dell'azione rivendicativa. I sindacati,
pur svolgendo una funzione moderatrice, offrivano un quadro organizzativo che le lotte
spontanee non potevano avere. In un quadro del genere le lotte operaie dei primi anni
settanta in Italia ebbero una forza straordinaria e ottennero concessioni sul salario e sulle
condizioni di lavoro prima insperabili.

I GRUPPUSCOLI MARXISTI IN CONCORRENZA TRA LORO


PER FAR NASCERE
IL NUOVO PARTITO RIVOLUZIONARIO DELLA CLASSE OPERAIA

In questo periodo un gran numero di gruppuscoli marxisti dalle variopinte vesti


ideologiche, formati da entusiasti militanti di base usciti dall'esperienza del movimento
studentesco, avevano tentato di ritagliarsi uno spazio nel movimento operaio per tentare di

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costituire (ognuno in concorrenza con gli altri…) il nuovo grande partito rivoluzionario, che
avrebbe dovuto sostituito il P.C.I., ormai comunista solo di nome e socialdemocratico di fatto.
In questo ambiente ci si allontana sempre più dai metodi della nonviolenza che le prime
occupazioni di università tra il 66 e il 68 avevano mutuato dall'America di Martin Luther King
e dei "figli dei fiori". E lasciandosi dietro le spalle l'idea parigina della rivolta ironica e
dell'immaginazione al potere, alcuni pensavano piuttosto ad un'improbabile insurrezione
popolare o alla guerriglia urbana.
Proviamo a sintetizzare la loro posizione in una formula:
NOI, che deteniamo la giusta strategia rivoluzionaria, sottrarremo la classe operaia

all'influenza dei sindacati ormai imborghesiti e del P.C.I., e combatteremo una lotta

rivoluzionaria contro il SISTEMA CAPITALISTICO - il potere impersonale che opprime tutti

quanti.

Ma, come si può immaginare, il collegamento con i sindacati nazionali C.G.I.L.,


C.I.S.L. e U.I.L.2, che a un certo punto si erano federati in un patto di unità d'azione, dava
agli operai italiani prospettive assai più concrete. L'Italia nel corso degli anni settanta fu
attraversata da lotte sociali di ogni genere: lotte per la casa, per la gratuità dei trasporti
pubblici e dei servizi sanitari, per l'abolizione dei manicomi, per l'ambiente, per la
liberazione femminile e così all'infinito. La Federazione Unitaria dei sindacati concepì il
progetto politico di coordinare alcune di queste rivendicazioni (in particolare quelle per la
casa) e fare pressioni sul governo e sul parlamento, anche attraverso scioperi nazionali e
grandi manifestazioni di protesta, perché le soddisfacesse.
Tuttavia alcune di esse si collocano fuori dall'ambito vero e proprio delle rivendicazioni sociali, e
si pongono piuttosto sul piano dei diritti civili. Fino agli anni 70 l'Italia è stato un paese addirittura arcaico
per quanto riguarda i rapporti uomo - donna: si pensi all'articolo del codice penale che puniva il delitto
d'onore soltanto con pene tra i tre e i sette anni di reclusione. Si tratta dell'omicidio compiuto da un
maschio contro la moglie, la figlia o la sorella disonorate, o contro il loro amante. Contemporaneamente il
nostro codice civile non contemplava la possibilità del divorzio 3.
PER FAR PASSARE LA LEGGE SUL DIVORZIO I “PARTITI LAICI”
(FILO-OCCIDENTALI) VOTANO ASSIEME AL PCI E CONTRO LA DC

La legge sul divorzio, emanata nel 1970, frutto della collaborazione tra i partiti laici
della maggioranza e il partito comunista, fu proprio un caso in cui, sotto la spinta dei
movimenti post68, il bipolarismo tradizionale venne meno.
I REFERENDUM SUL DIVORZIO E SULL’ABORTO

Ma ben presto i settori intransigenti della Chiesa cattolica italiana e della D.C.

2
La C.G.I.L. era il sindacato socialcomunista, nata dalla collaborazione nel Fronte Popolare, la C.I.S.L. era
ed è tuttora un sindacato di ispirazione cattolica, allora legato soprattutto alla sinistra democristiana, la U.I.L.
era legata al partito repubblicano e al partito socialdemocratico.
3
Con molto humour Pietro Germi, in Divorzio all'italiana, rappresentò la storia di un barone siciliano che,
volendosi sbarazzare della moglie, cerca in vari modi di indurla a procurarsi un amante per poterla uccidere,
per cui alla fine si sposerà con la sua stessa amante, dopo aver scontato un breve periodo di carcere -
ottenuto il minimo della pena e il condono…

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tornarono al contrattacco e promossero un referendum abrogativo della legge sul


divorzio, in nome di un altro bipolarismo, ben più antico, quello tra Chiesa e mondo
profano. Il referendum fu bocciato dagli elettori nel 1974, anche per la mobilitazione
del nascente movimento femminista e del Partito Radicale. Una successiva legge sulla
legalizzazione dell'aborto fu approvata allo stesso modo nel 1978 e il referendum
abrogativo promosso dalla Chiesa finì allo stesso modo: con la bocciatura degli
elettori nel 1981.
NEL ’68 L’UTOPIA DEI MILITANTI RIVOLUZIONARI SI INTRECCIA
CON LE RIVENDICAZIONI DELLA GENTE COMUNE, CHE ASPIRA AL
BENESSERE E A NUOVI SPAZI DI LIBERTÀ
Se dunque per molti militanti rivoluzionari il periodo immediatamente successivo al 68
fu quello della grande utopia rivoluzionaria, per molte donne e uomini italiani esso fu
semplicemente un periodo di speranze e anche di grandi realizzazioni, un periodo in
cui potevano emanciparsi da antiche pastoie e conquistare un po’ di benessere e una
nuova libertà. Quanti erano perduti in speranze utopiche e quanti si limitavano ad
aspirazioni concrete avevano in comune, nei diversi movimenti, il piacere e ormai l'abitudine
all'azione collettiva e solidale, e condividevano un duro giudizio critico sulla società italiana e
sulle sue gerarchie. In particolare rifiutavano i residui della mentalità autoritaria fascista o
clericale conservatrice presenti nella polizia, nella magistratura, nella burocrazia e talora
anche nelle grandi aziende private.

LA RISPOSTA AL 68: RIFORME E STRATEGIA DELLA TENSIONE


Per evitare che questo patrimonio di attivismo e di intelligenza critica andasse disperso
in sogni utopici, potenzialmente pericolosi, o in rivendicazioni senza limiti, era necessario che
la classe dirigente italiana sapesse svecchiarsi, promuovere riforme e immaginare nuove vie,
rispondendo positivamente alle domande che venivano dal basso.
E' innegabile che, oltre i sindacati e il partito comunista, che ne erano i naturali
interlocutori, alcune correnti democristiane e socialiste, molti intellettuali, docenti universitari
e giornalisti, molti esponenti del clero e anche manager industriali cercarono di dare una
risposta. L'istituzione dei Consigli Provinciali e delle Regioni (prevista dalla costituzione ma
mai attuata), del referundum popolare, degli organi rappresentativi nelle scuole, dello Statuto
dei Lavoratori per i diritti dei dipendenti nelle aziende, la legge sul divorzio sono altrettante
risposte alla domanda di partecipazione e di democrazia.
Ma la tentazione di un'altra parte della classe dirigente, viziata dal bipartitismo
imperfetto e dal monopolio democristiano del governo, fu quella del "tanto peggio - tanto
meglio". Se si lasciava che il movimento si radicalizzasse, sarebbe stato possibile
demonizzarlo attraverso i media conservatori e puntare sul riflesso di paura dei ceti medi per
attuare una svolta a destra.

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Anche questa scelta favoriva una polarizzazione intollerante:


Noi: i benpensanti favorevoli alla legge e all'ordine.

Loro: i marxisti anarcoidi e hippy fautori del disordine sessuale e sociale.


Questo atteggiamento ha diverse sfumature e varianti più meno dure. In primo luogo le correnti
conservatrici della D. C. lavorano per mettere fine al centro - sinistra e promettono all'elettorato il
ristabilimento della legge e dell'ordine: le elezioni anticipate del 1972, svoltesi in un clima di tensione,
rafforzeranno il partito e confermeranno la sua svolta moderata, permettendo la costituzione di un
governo di centro, presieduto da Andreotti (un segnale della relativa svolta a destra dell'elettorato è il
passaggio del neofascista M.S.I. all'8,7% dei voti).
I SERVIZI SEGRETI FAVORISCONO L’AZIONE DI GRUPPI EVERSIVI
DI ESTREMA DESTRA
Ma, ad un livello meno visibile, alcune forze istituzionali - in particolare i servizi segreti che
continuano ad assumere iniziative autonome, verosimilmente con la tolleranza di funzionari del ministero
degli interni e di membri dello stesso governo - favoriscono l'azione di gruppi eversivi di estrema destra,
e sabotano le indagini su di essi intraprese da organi di polizia o dalla magistratura. Lo scopo non è certo
quello di arrivare a un improbabile colpo di Stato di destra, né di prevenire un'impossibile rivoluzione di
sinistra ad opera dei gruppuscoli marxisti. Quello che conta è l'impressione che le iniziative dell'estrema
destra produrranno sull'opinione pubblica, screditando le aperture a sinistra e il movimento sindacale,
mettendo da parte il dibattito sulle riforme e ponendo all'ordine del giorno il problema dell'ordine
pubblico.
LE AZIONI EVERSIVE DOVREBBERO SPINGERE LA GENTE A
PREOCCUPPARSI DELL’ORDINE PUBBLICO PIUTTOSTO CHE
DELLE RIFORME SOCIALI
Questa ipotesi è confermata dai numerosi processi che coinvolgeranno i vertici dei
servizi segreti (i generali Miceli e Maletti, in primo luogo) e che costringeranno il parlamento
a riformare più volte il sistema dello spionaggio italiano, nonché dai numerosi processi a
esponenti di destra per ricostituzione del disciolto partito fascista, per costituzione di bande
armate, per omicidi politici e, infine, per attentati dinamitardi.
LA BOMBA ALLA BANCA DELL’AGRICOLTURA DI MILANO DEL 12
DICEMBRE 1969, MAI RIVENDICATA; LE BOMBE DI BRESCIA E DEL
TRENO ITALICUS, RIVENDICATE DA “ORDINE NERO”
Ma proprio su quest'ultimo tipo di eventi la verità non è stata completamente
appurata. In particolare, la bomba alla Banca dell'Agricoltura di Milano, che il 12
dicembre 1969 ha fatto 16 morti tra il pubblico agli sportelli, non è stata neppure rivendicata
da una qualunque organizzazione (mentre la strage ad un comizio antifascista in piazza della
Loggia Brescia e l'attentato al treno Italicus del 1974 sono state rivendicate dalla sigla Ordine
Nero). E' stato però proprio l'attentato di Milano che ha dato inizio alla "strategia della
tensione" e convinto molti militanti di sinistra che lo Stato italiano (a partire dalla polizia, dai
servizi segreti e dai giudici) fosse fortemente infiltrato dall'estrema destra. L'idea di un
complotto di destra e di una persecuzione contro la sinistra fu confermata dal fatto che
l'anarchico Pinelli, subito indagato per l'attentato (e poi scagionato), precipitò, in circostanze
mai ben chiarite, dalle finestre del quinto piano del commissariato in cui era interrogato, e
che la magistratura fece imprigionare anche l'anarchico Valpreda, che fu in seguito
pienamente assolto. Le indagini si sono solo molto più tardi rivolte verso l'estrema destra
senza potersi mai dire veramente concluse. L'ultimo indagato di estrema destra, Delfo Zorzi,
evita tuttora la cattura vivendo in Giappone.

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I fatti del 69 hanno certo radicalizzato i gruppuscoli marxisti, la cui propaganda e la


cui attività rivoluzionaria però si svolgeva sostanzialmente alla luce del sole, dato che
teorizzavano la necessità della piena partecipazione della base sociale alle decisioni
politiche. Inoltre, già all'inizio degli anni 70 cominciano a formarsi piccoli gruppi segreti di
terroristi di sinistra. Tuttavia la loro azione clandestina diventerà veramente importante
solo verso il 1974 (ai tempi del rapimento del giudice Sossi), come vedremo in seguito.

L'EVOLUZIONE DEI PAESI DELL'EST FINO AL 1975: IL TENTATIVO


SOVIETICO DI RIFORMARE IL SISTEMA DELLA PIANIFICAZIONE
Per quanto riguarda i paesi dell'est, abbiamo già accennato alla primavera di Praga,
ma per capire le loro diverse vicende è necessario riprendere il discorso interrotto
sull'economia sovietica ai tempi di Krusciov.
La pianificazione quinquennale, come si è detto, aveva promosso un notevole sviluppo degli
arretrati paesi dell'Europa orientale. Essa aveva però anche dei limiti molto pesanti. Gli obiettivi del piano
e i risultati della produzione delle singole fabbriche erano calcolate in natura e non in denaro (per
esempio, in tonnellate di acciaio o in numero di apparecchi radio prodotti), e questo proprio ai fini di una
maggiore razionalità e chiarezza. Ma i direttori delle aziende, responsabili dell'esecuzione del piano,
tendevano sistematicamente ad abbassare la qualità del prodotto pur di riuscire a realizzare gli obiettivi
quantitativi del piano. Il risultato era che le industrie di trasformazione, che erano costrette a usare
materiale scadente, ne dovevano scartare gran parte, e che le merci cattive rimanevano invendute nei
supermercati di Stato.
I DIRIGENTI DELLE AZIENDE SOVIETICHE ABBASSANO LA
QUALITÀ DEI PRODOTTI PUR DI RIUSCIRE A PRODURRE LE
QUANTITÀ FISSATE DAL PIANO
Un secondo problema era proprio l'opacità del sistema informativo sovietico e l'assenza
di una critica libera da parte dell'opinione pubblica. Certo l'utente poteva reclamare per la
cattiva qualità dei prodotti che doveva consumare, ma il sistema non permetteva di imputare
in modo preciso a qualcuno le effettive responsabilità, e difendeva con la disinformazione gli
interessi e i privilegi degli alti burocrati politici e (anche se un po’ meno) degli alti tecnocrati
aziendali. Così anche l'uomo qualunque, per difendersi e per ritagliarsi un'area protetta, era
costretto a mentire sulla qualità del suo lavoro.
Un altro problema era la scarsità di incentivi all'aumento e al miglioramento della
produzione, sia per i dirigenti e i tecnici che per gli operai. Anche per questo l'intensità del
lavoro e lo spirito di iniziativa erano molto bassi nelle aziende sovietiche.

Questo atteggiamento rilassato, a dire il vero, non dipendeva solo dal sistema della
pianificazione imperativa, ma anche dai precedenti storici della Russia e di gran parte del
mondo slavo e balcanico. Qui il passaggio dal nomadismo all'agricoltura sedentaria e
l'introduzione della scrittura erano avvenuti con un ritardo di secoli rispetto ai popoli
germanici e di millenni rispetto al mondo mediterraneo e al vicino oriente. Anche le istituzioni
e le abitudini di vita del mondo moderno erano arrivate molto tardi. Si pensi che in Russia la
servitù della gleba fu soppressa nel 1861, che i commerci furono esercitati per secoli dalle
minoranze ebraiche o tedesche, che le pianure dell'Ucraina per secoli furono sede, oltre che

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di contadini sedentari, di nomadi allevatori e guerrieri come i cosacchi (refrattari alla


modernizzazione, essi parteggiarono per gli zaristi durante la guerra civile). Si capirà dunque
quanto fosse difficile abituare le popolazioni della stessa parte più avanzata dell'U.R.S.S. alla
disciplina di fabbrica (cronometro e catena di montaggio).
Paradossalmente la Cina, che ha dietro le spalle una storia millenaria di agricoltura
intensiva, di sviluppo artigianale e manifatturiero, di attività commerciali estese, di disciplina
sociale e di burocrazia mandarinale, è oggi (dopo complicate vicende) in condizioni di
partenza molto migliori. Per cui l'odierna Cina "comunista" sembra destinata a uno sviluppo
assai più accelerato dell'odierna Russia "capitalista" (come vedremo meglio in seguito).
Questa parentesi è stata utile per ricordare che il tema del confronto ideologico non va
sopravvalutato: ci sono strati profondi di civiltà rispetto ai quali esso è una
verniciatura superficiale.

Ad ogni modo, in Russia il problema degli incentivi venne affrontato già alla fine degli
anni cinquanta da Krusciov. Egli, imitando il capitalismo occidentale, promosse in una
discreta misura anche la produzione di beni di consumo durevoli (radio, frigoriferi, automobili,
ecc.), il cui possesso sarebbe stato di per sé un incentivo al lavoro. Ma i premi di
produzione erano distribuiti ai dirigenti e lavoratori delle fabbriche sulla base della
produttività aziendale misurata con il solito sistema quantitativo (peso del prodotto,
numero dei pezzi, ecc.). Certamente erano molte le fabbriche che si davano da fare per
superare gli obiettivi del piano a causa degli incentivi, ma la produzione, soltanto aumentata
nella quantità, risultava sempre piuttosto scadente e spesso invendibile.
Nel periodo 1965-1970, nel primo periodo della segreteria di Breznev, si tentò
un'ulteriore riforma: gli incentivi alle aziende sarebbero stati assegnati non solo secondo
l'indice della produzione globale aziendale, ma anche tenendo conto dell'indice della
produzione effettivamente venduta (cioè accettata come buona dalle altre aziende o
comprata dai consumatori finali).
Il sistema funzionò in alcuni settori avanzati, ma non fu mai applicato integralmente,
e, nella sua forma monca, dopo un po’ diede risultati negativi. In realtà c'erano stati forti
pressioni da parte delle gerarchie aziendali, economiche e politiche perché non fosse
applicato fino in fondo.
Inoltre il cauto esperimento russo aveva incoraggiato la Cecoslovacchia ad una
riforma economica molto più radicale, in cui le aziende, pur essendo sempre di proprietà
dello Stato, ottenevano una forte autonomia nella gestione e negli obiettivi. Questo spaventò
i settori più chiusi e conservatori del partito. In effetti, nel 1968 il governo comunista
cecoslovacco, reo anche e soprattutto di aver concesso varie libertà politiche e civili, fu
addirittura destituito e la Cecoslovacchia invasa. In tali circostanze le innovazioni in Russia
furono seriamente osteggiate da ampi settori del partito.
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Ci si può chiedere se le cause del fallimento della riforma della pianificazione russa
siano state essenzialmente economiche o non piuttosto politiche e culturali. Vanno infatti
valutati attentamente fattori come il potere dei burocrati del partito, la loro paura di essere
scalzati dai tecnocrati, la mancanza di trasparenza del sistema, l'impossibilità di una critica
veramente libera da parte dei consumatori e le difficoltà del processo di modernizzazione del
mondo slavo, le cui tradizioni e le cui abitudini non erano e probabilmente non sono tuttora
particolarmente favorevoli allo sviluppo dell'iniziativa economica.

L'EVOLUZIONE DEI PAESI DELL'EST FINO AL 1975: GLI ACCORDI


DI HELSINKI E L'INDEBITAMENTO CON L'OCCIDENTE
Paradossalmente, il partito comunista russo non osò percorrere la via delle riforme che
avrebbero potuto riequilibrare il sistema e represse senza pietà l'esperimento cecoslovacco,
ma finì per concedere qualche anno dopo ai paesi dell'est il permesso di contrarre quei debiti
con l'occidente che avrebbero minato la stabilità economica del blocco comunista.
In effetti le timidissime concessioni dell'U.R.S.S. negli anni 60 nei confronti del
modello di vita occidentale avevano scatenato una serie di insistenti richieste di apertura nei
paesi satelliti, in particolare in Polonia e in Ungheria, che nemmeno la repressione della
primavera di Praga poté arrestare. Inoltre i dirigenti russi, rispondendo positivamente alla
politica di distensione del tedesco occidentale Willy Brandt e degli stessi Stati Uniti, avevano
iniziato un dialogo per la distensione e la sicurezza in Europa, conclusosi negli accordi di
Helsinki del 1975 (seguiti alla Conferenza di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione
europea, tra il 72 e il 75).

GLI ACCORDI EST-OVEST DI HELSINKI IMPEGNANO AL RISPETTO


DEI DIRITTI UMANI E DELLA SOVRANITÀ DEGLI STATI, E ALLA
COOPERAZIONE ECONOMICA, TECNICA E SCIENTIFICA

Tutti gli Stati europei (tranne l'Albania filo - cinese e del tutto chiusa in se stessa)
avevano firmato questi accordi, che impegnavano al rispetto della sovranità di tutti gli
Stati, al rispetto dei diritti umani, e alla cooperazione economica, tecnica e scientifica.
Si può ragionevolmente pensare che l'Unione Sovietica abbia accettato il primo punto per
motivi diplomatici e propagandistici (riservandosi di ripetere interventi come quello ungherese
e cecoslovacco in caso di emergenza); quanto al secondo punto, fu senz'altro violato più
volte dai regimi comunisti (anche se la presenza di Comitati per il rispetto della Carta dei
diritti umani di Helsinki - promossi da semplici cittadini dei paesi dell'est - divenne un
problema permanente per tali regimi). In base al terzo, però, e anzi già qualche anno prima
che gli accordi fossero firmati, i paesi del blocco orientale, e primo di tutti la Polonia,
cominciarono a contrarre prestiti in dollari con l'occidente per comprare impianti di
produzione e brevetti ad alta tecnologia, seguendo in questo l'esempio della stessa
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Unione Sovietica (come nel caso delle catene di montaggio FIAT in Russia, della
cooperazione per il gasdotto siberiano, ecc.).
I PAESI DELL’EST –SOPRATTUTTO LA POLONIA–
CONTRAGGONO PRESTITI CON L’OCCIDENTE PER
ACQUISTARE TECNOLOGIE
Le circostanze non solo politiche, ma anche economiche, per contrarre tali prestiti
erano al momento piuttosto favorevoli, visto che nel 1973 l'occidente era piombato in una
gravissima crisi di mercato a causa - tra l'altro - dell'aumento del prezzo del petrolio, e dato
che l'U.R.S.S. era una grande produttrice di petrolio. Ma i tempi sarebbero cambiati e il
debito era destinato a diventare un problema.

LA CRISI PETROLIFERA E L'INFLAZIONE MONDIALE


LA GUERRA DEL VIETNAM FA AUMENTARE IL DEFICIT DEL
BILANCIO AMERICANO, CON LA CONSEGUENTE
INFLAZIONE DEL DOLLARO
Oltre a quelle, già citate, un'altra conseguenza negativa della guerra del Vietnam era
stata quella di aumentare il deficit del bilancio federale americano, già grande a causa
delle spese sociali e per le spese militari derivanti dalla competizione soprattutto in campo
missilistico con l'Unione Sovietica. Il deficit (coperto in moneta corrente) aveva come
conseguenza l'inflazione del dollaro e la diminuzione del suo potere d'acquisto sul mercato
mondiale. I paesi dell'Europa occidentale non sostenevano un onere di spese militari
proporzionale a quello americano, pur essendo difesi dall'"ombrello missilistico" statunitense
dei missili a medio raggio, installati soprattutto in territorio tedesco e anche italiano e puntati
contro l'Unione sovietica. Essi quindi sostenevano la politica finanziaria americana e accettavano di scambiare
i dollari (necessari per i traffici internazionali) con le loro monete a un tasso di cambio che non corrispondeva al
valore di mercato del dollaro, e perciò, con questa moneta inflazionata, pagavano le importazioni a un prezzo
troppo elevato.
NEL 1971 LA RISERVA FEDERALE AMERICANA DICHIARA
CHE NON POTRÀ PIÙ CONVERTIRE IN ORO I DOLLARI
Il protrarsi di una situazione del genere doveva portare alla dissoluzione del sistema
monetario messo in piedi negli accordi di Bretton Woods (di cui a pagina[19]) e furono anzi
gli stessi Stati Uniti che nel 1971 li sconfessarono, dichiarando che la Riserva Federale
Americana non avrebbe più potuto convertire in oro i dollari da essa emessi. Questo
però, dal punto di vista degli altri paesi, che erano di fatto costretti ad usare il dollaro come
moneta di scambio, non era affatto un vantaggio, dato che il deficit americano non
accennava affatto a diminuire e l'inflazione si trasmetteva dal dollaro alle altre monete.
IL RADDOPPIO DEL PREZZO DEL PETROLIO NEL 1973
PROVOCA UNA FASE DI RECESSIONE E FA AUMENTARE
FORTEMENTE LA DISOCCUPAZIONE
In questa situazione preoccupante, ma pur sempre sotto controllo, scoppiò come una
bomba il raddoppio del prezzo del petrolio del 1973 (che, come vedremo, aveva in gran
parte cause politiche). Questo bastò a trasformare lo sviluppo incerto, tendente alla

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stagnazione, del periodo immediatamente precedente in una vera e propria fase recessiva,
con effetti molto pesanti sull'occupazione. Gli effetti sociali non potevano essere così
gravi come negli anni successivi al 1929, poiché quasi ovunque esistevano, in varie forme,
sussidi di disoccupazione e assistenza per le malattie, e perché i capitalisti, d'intesa con lo
Stato, spesso procedevano al pensionamento anticipato del personale più anziano piuttosto
che al semplice licenziamento.
Ma la situazione fu resa complicata dallo stato d'animo sessantottesco, per cui era
ben difficile diminuire i salari reali degli operai organizzati che, particolarmente in Italia,
avevano da poco conseguito aumenti conquistati con energiche lotte. Naturalmente anche le
altre categorie sociali non erano disposte ad abbassare il loro standard di vita, per cui, di lì a
qualche anno, troviamo l'insorgere di un fiero atteggiamento sindacale anche in categorie
che in precedenza avevano avuto un forte miglioramento del loro tenore di vita senza
ricorrere a lotte collettive: i piloti e i controllori di volo, i medici, i poliziotti, persino i giudici e
gli avvocati, e via discorrendo.
In altri casi, ci sono addirittura delle proteste contro i sindacati e contro gli operai più
combattivi. Per esempio a Torino, nel 1980, si tiene una grande manifestazione degli
impiegati e dei quadri FIAT contro i sindacati e contro gli attivisti operai, contro i quali
l'azienda aveva annunciato appena una massiccia serie di licenziamenti.

LA POLITICA MULTIPOLARE DI KISSINGER E LA CONFERENZA DI


HELSINKI. LA "SINDROME DEL VIETNAM" E IL DECLINO DELLA
LEADERSHIP AMERICANA
Come era facile immaginare, nelle elezioni del 1968, Johnson non fu rieletto. La
presidenza toccò finalmente al repubblicano Richard Nixon - il candidato che era stato
battuto da Kennedy nel 60. Questo leader, abile e spregiudicato, si circondò di collaboratori
di dubbia moralità (il suo primo vicepresidente, Spiro Agnew, accusato di corruzione, dovette
dare le dimissioni) e fece ampio uso dello spionaggio e della covert action - come nel caso
già ricordato del colpo di Stato organizzato dalla C.I.A. contro il governo legittimo del Cile del
presidente Allende.
HENRY KISSINGER ESCE DALLA LOGICA BIPOLARE
IDEOLOGICA E RAGIONA IN TERMINI DI PURA POLITICA DI
POTENZA
Tra i suoi collaboratori c'era anche un uomo di genio come il segretario di Stato
Henry Kissinger. Questi, benché non provasse certo alcuna simpatia per il comunismo in
qualunque possibile versione, di fatto seppe uscire dalla logica bipolare della semplice
contrapposizione capitalismo - comunismo, e seppe ragionare in termini di pura
politica di potenza.
Kissinger aveva capito molto bene che il dissidio Cina - U.R.S.S. non era un episodio
passeggero di rivalità all'interno della stessa chiesa ideologica, ma che aveva anche radici

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storiche e geopolitiche. Per cui giocò sistematicamente i russi contro i cinesi e viceversa: da
un lato, riuscì ad attuare una politica di distensione con l'Unione Sovietica per quanto
riguardava la gara missilistica, e dall'altro stabilì finalmente dei contatti diretti con la Cina
comunista e lasciò che essa ottenesse il suo posto di membro permanente del Consiglio di
Sicurezza dell'O.N.U., che fino allora era toccato inopinatamente alla Cina nazionalista (Taiwan).
LA VISITA DI NIXON A PECHINO INDUCE L’URSS A FIRMARE
IL TRATTATO NUCLEARE SALT E A PARTECIPARE
ALLA CONFERENZA DI HELSINKI
La visita ufficiale del presidente Nixon a Pechino del febbraio 1972 fu il trionfo della
diplomazia segreta di Kissinger e indusse l'Unione Sovietica - presa tra due fuochi - a
collaborare nel processo per la distensione, firmando ben presto il trattato SALT per la
limitazione delle armi nucleari strategiche e accettando di partecipare alla conferenza di
Helsinki per la cooperazione in Europa.
Con questo trattato le due superpotenze si impegnarono a non sviluppare i nuovi
missili ABM, in grado di intercettare i missili nemici. In effetti lo sviluppo del sistema ABM

avrebbe reso impossibile l'effetto MAD (vedi pagina [.…30.]). La superpotenza capace di
salvare una parte significativa del proprio territorio dai missili avversari, avrebbe anche
potuto prendere in considerazione la possibilità di sferrare l'attacco per prima. Il trattato,
come si vede, non riduceva gli armamenti, ma poneva dei limiti alla loro costruzione e
installazione. Gli americani, pur facendo diverse concessioni, conservavano la loro
superiorità nell'importante settore dei missili strategici a testata multipla (MIRV), non ancora
posseduti dai sovietici.
Kissinger dunque aveva realisticamente preso atto dell'assetto multipolare della
politica internazionale che si era venuto delineando e lo aveva volto a suo vantaggio.
La diplomazia, arma classica della politica di potenza precedente al mondo delle
ideologie, aveva dato risultati migliori della politica bipolare. Ma, nonostante la sua
abilità e la sua spregiudicatezza, la formazione di una molteplicità di poli in qualche modo
finiva per limitare il ruolo degli Stati Uniti. Come sappiamo, la nuova amministrazione aveva
posto rimedio all'inflazione ereditata dal periodo di Johnson abbandonando il sistema di
Bretton Woods e la convertibilità del dollaro. Se questo aveva assicurato per un certo
periodo una discreta ripresa economica, aveva lasciato anche gli alleati occidentali senza
una sicura leadership economica e li aveva autorizzati implicitamente ad agire sempre più in
modo autonomo.
La Comunità Economica Europea proprio nel 72 si stava estendendo e l'aumento del
suo peso economico incoraggiava le iniziative dei suoi membri in politica internazionale. Nel
1972 entrano dunque nella C.E.E. la Danimarca, l'Irlanda e l'Inghilterra. Ma l'ingresso
effettivo inglese nel mercato comune avviene solo nel 73, come stabilito nelle laboriose
trattative sulla politica agricola comunitaria, che rischia di essere danneggiata dalla
massiccia importazione di prodotti agricoli provenienti dal Commonwealth britannico. La

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C.E.E. attua infatti una politica di libero mercato al suo interno, ma di sostanziale
protezionismo nei confronti delle merci esterne: per difendere le proprie imprese - in
particolare nel settore agricolo - la cassa comune europea assegna ad esse sovvenzioni per
mantenere alto il livello dei prezzi, incoraggiando di fatto il formarsi di eccedenze destinate
ad essere distrutte. Questa strategia economica, volta tra l'altro a salvaguardare il settore
contadino della società, ha costantemente creato dei contrasti con gli Stati Uniti, grandi
esportatori di prodotti agricoli.
Ma anche in politica internazionale l'Europa finisce per muoversi in modo
relativamente autonomo. Abbiamo già visto che il leader socialdemocratico tedesco Willy
Brandt ha svolto un ruolo di primo piano nell'apertura a est, la Ostpolitik. La fase di tale
politica che si attua con la conferenza di Helsinki e con i grandi prestiti ai paesi socialisti
comporta una certa iniziativa autonoma da parte dell'insieme degli Stati che aderiscono alla
Comunità, la quale se non è un'istituzione specifica dotata di una sua volontà politica
unitaria, è perlomeno il luogo in cui i governi discutono e attuano insieme importanti
strategie economiche e diplomatiche. L'intesa costante tra Germania occidentale e Francia è il motore di
questa azione comune.
FRUTTO DELL’INIZIATIVA EUROPEA, GLI ACCORDI DI
HELSINKI PUNTANO ALL’OBIETTIVO STORICO DI SUPERARE
LA CONTRAPPOSIZIONE IDEOLOGICA TRA I BLOCCHI
I governi europei giocavano dunque un ruolo specifico, rispetto all'America, nella
neutralizzazione del nemico comunista. Commerciare con l'est sul breve e medio termine
poteva anche essere semplicemente un buon affare (il petrolio e gli idrocarburi gassosi russi
erano particolarmente appetibili in tempo di crisi petrolifera), ma i contatti che ciò comportava
con le società socialiste dell'est sul lungo periodo storico avrebbero dovuto servire non
solo a rafforzare la convivenza pacifica ma anche ad accelerare il processo di convergenza
tra i sistemi. Il senso ultimo degli accordi di Helsinki (che in quel momento parevano di
remota realizzazione) era quello di passare progressivamente dalla contrapposizione
ideologica Noi-Loro ad un effettivo dialogo. Quest'ultima prospettiva era in effetti
abbastanza lontana dalla logica imperiale degli Stati Uniti, che pure trassero profitto
dall'iniziativa europea e parteciparono agli accordi di Helsinki.
In concomitanza con questa iniziativa politica comune, i paesi della Comunità
rafforzarono anche le sue istituzioni. Nel 1974 fu deciso che il Consiglio Europeo (cioè
l'assemblea dei presidenti del consiglio e dei ministri degli esteri dei paesi membri, che
esercita il potere legislativo) si sarebbe riunita periodicamente tre volte all'anno. Nel 1975 si
stabilì poi che la politica estera comune sarebbe stata normalmente all'ordine del giorno delle
istituzioni comunitarie (Dichiarazione Tindemans) e che il parlamento europeo, finora formato
da rappresentanti scelti dai singoli parlamenti nazionali, sarebbe stato eletto direttamente dai
cittadini di tutti i paesi membri (le prime elezioni si svolsero nel 1979).

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IL FALLIMENTO AMERICANO IN VIETNAM


1973: NIXON COSTRETTO ALLE DIMISSIONI PER LO
SCANDALO WATERGATE. PRIMA CRISI PETROLIFERA
I molti aspetti positivi della politica estera e della politica economica permisero a Nixon di
farsi rieleggere senza grandi difficoltà. Ma proprio nel suo secondo mandato egli fu travolto
dallo scandalo Watergate, sorto per gli atti di spionaggio da lui ordinati ai danni del partito
democratico e per le ulteriori illegalità da lui commesse per nasconderne le tracce. Il
presidente dunque alla fine nel 1973 dovette dimettersi, per evitare il processo e
l'impeachment. Lo scandalo aveva messo in situazione di stallo la politica americana per
un periodo molto lungo e offuscato l'immagine delle istituzioni all'interno e all'estero,
mentre la guerra si estendeva in Indocina dal Vietnam al Laos e alla Cambogia.
1975: SAIGON CADE NELLE MANI DEI VIETCONG
Nixon e Kissinger avevano puntato alla "vietnamizzazione" del conflitto, cioè avevano
deciso di ritirare progressivamente le truppe americane, cercando di sostituirle con truppe
locali, appoggiate dall'onnipotente aviazione degli Stati Uniti, che martellava ormai il Vietnam
del Nord, la Cambogia e il Laos per colpire le vie di rifornimento dei ribelli Vietcong e per
terrorizzare le popolazioni che in un modo o nell'altro fornivano loro un appoggio. Il ritiro
americano era cominciato nel 1973, ma la vietnamizzazione si rivelo un totale insuccesso: nel 1975 Saigon,
capitale del Vietnam del sud e ultimo baluardo filoamericano, cadeva nelle mani dei comunisti.
SECONDA CRISI PETROLIFERA
La sconfitta degli alleati sudvietnamiti ricadde sulle spalle del presidente democratico
Carter, entrato in carica nel 76 (dopo la breve presidenza ad interim di Ford, già
vicepresidente di Nixon, tra il 74 e il 76). La credibilità della leadership americana, minata
dalla "sindrome del Vietnam", era di nuovo ai livelli più bassi, mentre la crisi petrolifera
minacciava l'intera economia occidentale.

LA CRISI PETROLIFERA E LA GUERRA DEL KIPPUR. LA


QUESTIONE PALESTINESE
ALLARMATI DALLA PROSPETTIVA DELL’ESAURIMENTO DEL
PETROLIO, I PAESI PRODUTTORI, APPROFFITTANDO DEL
DELINO DELLA LEADERSHIP AMERICANA, RADDOPPIANO IL
PREZZO
All'origine della crisi petrolifera c'è senz'altro la coscienza da parte di tutti i paesi
produttori di petrolio del fatto che il suo prezzo, imposto dalle compagnie petrolifere
occidentali, è artificialmente basso. Il declino della leadership americana in seguito alla
guerra del Vietnam e allo scandalo Watergate e l'allarme destato da studi pubblicati proprio
allora sull'esaurimento delle riserve mondiali spingono tutti questi paesi a unificarsi in un
grande cartello dei produttori di petrolio (OPEC) per imporre prezzi più alti. Ma la guerra del
Kippur dell'ottobre 73 tra i paesi arabi ed Israele e il sostegno dato dall'occidente a questo
paese hanno un'importantissima ripercussione economica: i paesi arabi dell'OPEC decidono
alla fine dello stesso anno un aumento del 70% e la progressiva riduzione della produzione,

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arrivando addirittura qualche mese dopo ad un aumento del 100%, che anche i membri non
arabi furono ben contenti di sottoscrivere.

Questi eventi, che mettono in discussione l'ordine imperiale americano uscito dalla
seconda guerra mondiale, ci costringono a ripercorrere le vicende del Vicino Oriente e della
questione palestinese.
LA QUESTIONE PALESTINESE
Francia e Inghilterra dopo la sconfitta dell'impero turco nella prima guerra mondiale si
erano spartiti le più ricche e ospitali regioni di lingua araba che appartenevano a tale impero,
e all'Inghilterra era toccata, oltre agli odierni Irak e Kuwait, la Palestina. I coloni di origine
ebraica avevano cominciato a stabilirsi in quest'ultimo territorio già fin dall'inizio del secolo, e
furono incoraggiati a un certo punto anche dalle promesse di Lord Balfour che, durante la
guerra, aveva fatto balenare la possibilità di costituire una patria per gli ebrei in questo
paese. Essi erano poi diventati numerosissimi a partire dalle persecuzioni naziste, alla fine
sfociate nell'Olocausto. Dopo la seconda guerra mondiale essi riuscirono a imporsi, con la
loro più efficiente organizzazione economica e militare (e terroristica, secondo molti storici),
non solo sui palestinesi ma anche sui vicini paesi arabi. Conquistarono allora la maggior
parte del territorio palestinese con una vera e propria guerra.
Israele ottenne subito il riconoscimento dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e delle
grandi potenze europee. La simpatia dell'opinione pubblica per i profughi ebraici
dell'Olocausto ha ragioni evidenti e certamente valide. Non giustificata e intrisa di un senso
di superiorità legata al passato coloniale è invece la quasi totale noncuranza delle ragioni
delle popolazioni palestinesi, considerate appartenenti al mondo arabo "sottosviluppato"
(mentre gli ebrei appartengono sostanzialmente alla nostra civiltà e mentalità). Tra l'altro
viene normalmente considerato credibile il diritto degli ebrei su di una terra in cui da oltre
duemila anni non c'è un'entità politica ebraica e da circa milleottocento (dai tempi delle stragi
e delle deportazioni dell'imperatore Adriano) non c'è più nemmeno una maggioranza etnica
ebraica. In mancanza di una legittimazione razionale, per i partiti religiosi e per molti
esponenti della Lega del Likhud, questo diritto è semplicemente un articolo di fede religiosa:
Noi, il popolo eletto, abbiamo ricevuto da Dio questa terra; Loro, gli Altri, ne saranno

cacciati con una guerra santa.

E' però vero che la componente laica della cultura ebraica non utilizza questi concetti
e che il partito laburista, il principale rappresentante politico di questa componente, ha dato
un contributo essenziale alla nascita e allo sviluppo dello Stato d'Israele, che è ufficialmente
uno Stato laico. Inoltre le giovani generazioni israeliane non sono responsabili di quanto
compiuto dai loro padri. Ma perché si sono legittimate le azioni di forza di tale Stato nel 1947-
8, quando si estese al di fuori dei territori ad esso assegnati dall’arbitrato dell’ONU, e nel
1956 e nel 1967, quando esso aggredì gli Stati vicini?

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LA GUERRA DEL SINAI DEL 1967


Nella seconda esso si impadronì della striscia di Gaza (abitata da palestinesi) e della
penisola del Sinai, appartenenti all'Egitto, della Cisgiordania (abitata da palestinesi e
appartenente alla Giordania) e delle alture del Golan, appartenenti alla Siria. Naturalmente
con la "guerra del Sinai" del 1967 altre centinaia di migliaia di profughi palestinesi si
aggiunsero a quelli già fuggiti nel 1947-48 e sparsi nei paesi arabi vicini.
Verosimilmente una spiegazione dell'atteggiamento occidentale sta nel latente senso di
colpa nei confronti degli ebrei, discriminati a lungo in occidente e lasciati in balia delle
persecuzioni naziste. Su questi temi l'occidente ha spesso dimostrato di avere una buona
dose di falsa coscienza. L'Olocausto è diventato oggetto di un'intensa discussione da parte
della nostra cultura abbastanza tardi, e cioè nel periodo della distensione, in cui erano stati
ripresi i grandi temi dell'antifascismo, in parte accantonati dalla guerra fredda e dal
maccartismo. In precedenza esso era rimasto piuttosto in sordina.
Addirittura lo sterminio sistematico degli ebrei era stato ignorato dalla propaganda
antifascista degli alleati nel periodo bellico. E' vero che i nazisti avevano fatto di tutto per
nasconderlo. Ma i racconti dei fuoriusciti, le ricognizioni aeree e i resoconti dello spionaggio
avrebbero dovuto fornire dati sufficienti per formularne l'ipotesi. Evidentemente negli stati
maggiori alleati non c'era una particolare sensibilità per questi temi, forse anche in ragione
del latente antisemitismo del mondo militare.
LA GUERRA DEL KIPPUR DEL 1973
La simpatia tardiva dell'occidente per gli ebrei è comunque comprensibile ai tempi della
guerra del Kippur del 1973, in cui furono l'Egitto e la Siria che presero l'iniziativa di attaccare
Israele, che seppe però in poco tempo contrattaccare e vincere. Ma l'esigenza di garantire
uno Stato anche ai palestinesi, nonché il problema stesso dei profughi continuavano
ad essere ignorati. Non potevano certo essere dimenticati dai paesi arabi, che fecero
pagare l'appoggio diplomatico e militare dell'occidente allo Stato d'Israele con l'aumento del
prezzo del petrolio.
Inoltre la questione palestinese era destinata ad alimentare quel conflitto tra civiltà
(arabi contro occidentali, islamici contro ebrei e cristiani) che diventerà molto importante
alla fine del ventesimo secolo e nel secolo XXI°.

LA RIVINCITA DELL'UNIONE SOVIETICA. IL VIETNAM CONTRO IL


REGIME DI POL POT
LA CRISI DELLA SUPERPOTENZA AMERICANA (SINTESI)
La crisi della superpotenza americana, come abbiamo visto, si estende ormai a diversi
livelli: è una crisi di credibilità delle sue stesse istituzioni (contestazione studentesca, rivolte
dei ghetti neri, scandalo Watergate), è una crisi di leadership politica e militare (fallimento in
Indocina, ostilità del mondo arabo, incapacità di frenare le rivendicazioni dell'OPEC) ed una

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crisi economica che si riflette sul mondo occidentale (esportazione dell'inflazione americana
e non convertibilità in oro del dollaro, che pure resta la moneta degli scambi internazionali).
L’URSS CERCA DI RAGGIUNGERE LA PARITÀ CON GLI USA
NELLE ARMI STRATEGICHE E DI ALLARGARE LA SUA
SFERA DI INFLUENZA
Nonostante l'abilità dimostrata da Kissinger e il fatto che anche il suo successore
Brzezinski fosse un abile diplomatico, il gruppo dirigente del partito comunista russo si
venne convincendo che l'ora della rivincita fosse vicina e che l'Unione Sovietica potesse
raggiungere la parità con gli Stati Uniti sul piano delle armi strategiche ed estendere la
sua area di influenza in varie zone dell'Africa e dell'Asia. Ciò comportava un ulteriore
sviluppo del "complesso militare - industriale", che era il fiore all'occhiello della tecnologia
sovietica, e un ulteriore, notevole, sforzo produttivo di tutto il sistema.
In particolare le ambizioni sovietiche furono incoraggiate dalle opportunità che si
aprirono quando nel 1974 in Africa crollò l'ultimo impero coloniale, ormai del tutto
anacronistico, quello portoghese. I movimenti filo - comunisti di guerriglia dell'Angola e del
Mozambico furono aiutati con successo dai sovietici, che poterono così estendere la loro
influenza in Africa meridionale.
Anche la caduta dell'antico Impero d'Etiopia costituì un'altra occasione allettante per
l'Unione Sovietica, ma qui i guerriglieri marxisti - leninisti, che avevano assunto il potere nel
1977, incontrarono difficoltà molto grandi: la vicina Somalia cercò di annettersi la regione
meridionale dell'Etiopia, l'Ogaden, mentre la provincia più settentrionale, l'Eritrea, reclamava
l'indipendenza. L'Unione Sovietica dovette allestire un grandioso e costosissimo ponte aereo
per rifornire di armi e di altri prodotti indispensabili i suoi alleati.
Nel 1978 anche in Afghanistan, ai confini con due Stati amici degli Stati Uniti come
l'impero iraniano e il Pakistan, si insediò un governo socialista filosovietico.
***
Ma ai successi militari e diplomatici dell'Unione Sovietica non corrispondeva certo
una ricucitura dello strappo che opponeva tra loro le potenze comuniste: la Cina era semmai
sempre più preoccupata dell'espansione dell'area di influenza dello Stato rivale. Essa
dunque, contro il Vietnam filosovietico, appoggiò il nuovo regime comunista instaurato nel
1975 in tutta la Cambogia dal sanguinario leader guerrigliero Pol Pot. Questi si propose di
cancellare radicalmente le influenze del capitalismo nel suo paese sterminando o
facendo morire di stenti nei campi di lavoro non solo quanti avevano parteggiato per
gli americani, ma quanti semplicemente conoscevano la cultura occidentale, o
avevano abitudini di vita e di consumo influenzati dall'occidente.
GLI ORRORI DEL REGIME TOTALITARIO DI POL POT
Esecuzioni, fame ed epidemie uccisero in tre anni due milioni di persone, più di un
quarto dell'intera popolazione. Nel 1978 il Vietnam invase la Cambogia e pose fine allo
sciagurato regime di Pol Pot. La Cina, tuttavia, preoccupata dell'allargamento dell'area di

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influenza vietnamita e quindi sovietica, prima protestò contro l'intervento del vicino e poi, nel
1979, con una breve azione dimostrativa, fece penetrare le sue truppe nel suo territorio.
POL POT APPOGGIATO DA CINA E USA
Si noti che più tardi il governo di Pol Pot, ridotto di nuovo alla guerriglia, ottenne il
riconoscimento dell'O.N.U. grazie alle pressioni congiunte della Cina e degli stessi Stati Uniti,
uniti nella politica di contenimento dell'U.R.S.S.
La questione cambogiana non mancò naturalmente di influenzare la sinistra anti-
imperialista in occidente. Molti gruppi politici e molti intellettuali, critici nei confronti
dell'Unione Sovietica, avevano invece appoggiato i movimenti di guerriglia anti-imperialisti e
simpatizzato per il Vietnam e per la Cina maoista, e ora restavano amaramente delusi.

LA VITTORIA DELLE SINISTRE NELLE REGIONALI IN ITALIA E


L'EUROCOMUNISMO
Mentre la situazione internazionale e la crisi economica si facevano sempre più pesanti,
le elezioni regionali italiane del 1975 segnalavano un significativo spostamento
dell'elettorato verso sinistra. Il P.C.I. passò dal 27% al 33% e l'intera sinistra raggiunse
complessivamente il 47%, per cui nelle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia, Liguria,
Toscana e Umbria e in tutte le principali città, tranne Palermo e Bari, si formarono giunte di
sinistra (comunisti, socialisti, socialdemocratici e altri minori).
IL PCI RICONOSCE IL VALORE UNIVERSALE DELLA
DEMOCRAZIA LIBERALE “BORGHESE”
La possibilità di una vittoria elettorale anche a livello nazionale stimola il partito
comunista a completare la sua trasformazione in partito democratico riformatore che già da
tempo aveva iniziato. Infatti nel 1968, esso aveva condannato l'invasione sovietica della
Cecoslovacchia. Negli anni 60 e 70 i dirigenti comunisti si erano progressivamente convinti
che la via verso il socialismo nelle società industriali avanzate non solo poteva, ma
doveva necessariamente passare attraverso le istituzioni liberaldemocratiche, e che
inoltre le procedure e le garanzie date da tali istituzioni non sono semplicemente
"borghesi", ma hanno un valore universale. Tesi che Enrico Berlinguer (segretario del Pci
dal 1972), sostenne tra l'altro quando fu ospite del Congresso del partito comunista sovietico
del 1976.
Poiché il P.C.I. era il più grande partito comunista dell'occidente, poté
sostanzialmente assumere la leadership dei partiti "eurocomunisti", che condividevano
appunto queste convinzioni. Era significativa tra di essi la presenza del partito comunista
spagnolo: proprio allora, morto il dittatore Franco, il re di Spagna stava avviando una pacifica
transizione alla democrazia, mentre anche in Grecia e in Portogallo si attuava un simile
passaggio, che stava portando al potere governi di sinistra. Ma Berlinguer aveva anche ben
presente il colpo di Stato di destra in Cile del 1973, favorito dagli U.S.A. e ovviamente le

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trame eversive esistenti nel nostro paese4. Quando nel settembre del 1975, l'ambasciatore
americano a Roma affermò che la presenza dei comunisti al governo avrebbe creato una
contraddizione all'interno della N.A.T.O., egli rispose che non solo intendeva rimanere nella
N.A.T.O., ma contava proprio su quest'ultima per poter mantenere l'autonomia da Mosca.
IL PCI DIFENDE I DIRITTI DELL’UOMO NEI PAESI DELL’EST,
CONTRIBUENDO ALLA LORO DESTABILIZZAZIONE
Ma a parte questa dichiarazione paradossale, il P.C.I. stava dando svariate prove di
essere in una posizione di dissidio con Mosca: le sue ripetute affermazioni a favore dei
diritti dell'uomo in Europa orientale e dell'autonomia dei partiti comunisti dell'est (fatte
da un partito "fratello") avevano un certo peso nella politica interna del blocco
comunista, così come l'aiuto del P.C.I. ai ribelli eritrei contro il governo etiopico filosovietico
aveva un significato non solo simbolico.
IL “COMPROMESSO STORICO” DEVE METTERE FINE
AL BIPOLARISMO POLITICO-IDEOLOGICO
Tuttavia Berlinguer cercava le garanzie per la sua ammissione al governo soprattutto
in un "compromesso storico" tra cattolici, socialisti e comunisti italiani. Non si riferiva ad
una precisa coalizione di governo, ma ad un riconoscimento reciproco profondo, al
superamento della differenza Noi - Loro tra queste componenti basilari della cultura politica
italiana e all'abbandono della conventio ad excludendum.

IL TERRORISMO ROSSO IN ITALIA. I GOVERNI DI SOLIDARIETA'


NAZIONALE
IL TERRORISMO ROSSO –DIVERSAMENTE DAL
TERRORISMO DELLE BOMBE E DELLE STRAGI- RIVENDICA
LE SUE AZIONI EVERSIVE RIVOLGENDOSI ALLE MASSE
La prospettiva di un governo che includesse i comunisti non mancò di alimentare
ulteriormente la strategia della tensione e il terrorismo nero. Ma la novità di questi anni fu il
notevole aumento dell'attività delle Brigate Rosse e di altri gruppi clandestini di sinistra, che
cercavano di scongiurare il successo dell'ormai socialdemocratico P.C.I. e di risospingere la
classe operaia sulla via della rivoluzione. Le B.R. tra la metà degli anni 70 e l'inizio degli

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Tra l'altro, nel dicembre 1970 c'era stato a Roma il tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese, ex-
gerarca della Repubblica nazifascista di Salò, che era riuscito a penetrare nel ministero degli interni. Tale
colpo di Stato da operetta non aveva realmente messo in pericolo le istituzioni per le esigue forze che lo
avevano appoggiato e per la sua organizzazione del tutto approssimativa, ma venne celato all'opinione
pubblica fino al marzo 1971. Per quanto sprovveduti, i golpisti si erano probabilmente mossi perché avevano
colto dei segnali di assenso da parte dei servizi segreti: negli anni successivi infatti emerse risultò che alcuni
alti ufficiali dei servizi italiani ne erano a conoscenza e che il fatto era stato volontariamente nascosto, così
come altre attività della destra eversiva (su tutto questo, vedi Paul Ginsborg, opera in bibliografia, p.255).
Benché lo spionaggio italiano fosse normalmente in contatto con quello americano, la situazione certo era
ben lontana da quella cilena. Ciò che si poteva ragionevolmente temere era un rilancio della "strategia della
tensione", cioè il fatto che le forze ultraconservatrici italiane (in contatto con lo spionaggio americano)
favorissero in qualche modo i movimenti eversivi o le azione terroristiche di destra per impressionare
l'opinione pubblica e destabilizzare un eventuale governo con i comunisti. Non meno temibile era l'aiuto che
l'Unione Sovietica e la Cecoslovacchia (che vedevano nell'eurocomunismo un pericoloso esempio per i
popoli dell'est) stavano fornendo alle Brigate Rosse, anch'esse fieramente avverse al Pci, "traditore della
classe operaia".

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anni 80 compirono una lunga serie di ferimenti, rapimenti ed assassini, rivendicati e


minuziosamente giustificati dai loro complicati documenti politici, rivolti - almeno in teoria -
alle masse. Il momento culminante della serie fu, nel 1978, il rapimento e più tardi
l'uccisione di Aldo Moro, presidente della D.C., che aveva voluto l'ingresso del P.C.I. nella
maggioranza di governo.
ALLE ELEZIONI POLITICHE DEL 1976 IL PCI RAGGIUNGE IL
33,8%
In effetti il P.C.I. aveva già cominciato a dare il suo sostegno al governo dopo le
elezioni politiche del 1976, nelle quali aveva raggiunto il 33,8%. Dopo tali elezioni, né la
sinistra (pur cresciuta), né il centro - destra erano in grado di mettere insieme la necessaria
maggioranza parlamentare (si consideri che l'M.S.I. aveva il 6,1% dei voti e che non era
accettato in coalizione da nessun partito). Ma, al di là dei numeri, i partiti di centro erano
delegittimati di fronte a gran parte dell'opinione pubblica da anni di corruzione e di
malgoverno, messi ulteriormente in luce dallo scandalo Lockhead, in cui il ministro
democristiano Gui e il segretario del partito socialdemocratico Tanassi furono implicati con
prove schiaccianti: avevano ricevuto tangenti dalla società americana per l'acquisto dei suoi
aerei militari.
Il compromesso era stato quello di formare un governo di soli democristiani - il cui
programma prevedeva una serie di riforme e il ripristino dell'ordine pubblico - che poteva
funzionare solo grazie all'astensione concordata di tutti i partiti democratici, incluso il P.C.I.
Moro promosse poi un secondo governo di soli democristiani facendo però in modo che il
P.C.I. e gli altri partiti passassero dall'astensione al voto favorevole.
1978: IL GOVERNO DEMOCRATICI DI “SOLIDARIETÀ
NAZIONALE”, PROMOSSO DA MORO, OTTIENE IL VOTO DI
TUTTI I PARTITI DEMOCRATICI, INCLUSO IL PCI
Questo governo, detto di emergenza o di solidarietà nazionale, aveva una
maggioranza così ampia ed eccezionale (escludeva solo l'M.S.I e l'estrema sinistra
sessantottina) proprio per affrontare le difficoltà finanziarie collegate al rincaro del petrolio e
all'inflazione (vicina al 20%) e il problema del terrorismo. Esso riuscì però a realizzare
finalmente la riforma della sanità per garantire il diritto all'assistenza medica e ospedaliera
per tutti.
MORO È ASSASSINATO DALLE BR, CHE VOGLIONO
SABOTARE IL “COMPROMESSO STORICO”
L'assassinio di Moro e i numerosi altri di questo periodo (perfino un operaio del P.C.I.)
facevano dunque parte del tentativo del terrorismo rosso di sabotare l'apertura a sinistra
della D.C. e la disponibilità del P.C.I. ad entrare nell'area di governo per realizzare una
politica di compromesso con i partiti capitalistici.
Nel medio periodo il risultato dell'intensa attività terroristica fu duplice. Ci fu da un lato
una progressiva attenuazione delle ormai tradizionali lotte di massa alla luce del sole, perché
si percepiva il fatto che nella politica nazionale dell'emergenza contro il terrorismo e contro
l'inflazione non c'era più molto spazio per le rivendicazioni della base, o anche perché si
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aveva paura di apparire sostenitori degli stessi terroristi. Dall'altro ci fu la svolta moderata
della D.C., privata del suo più importante esponente riformatore, e dello stesso P.S.I., che, a
partire dal 1979, preferirono un governo con un programma limitato e ben accetto ai ceti
medi, che un governo fortemente riformatore con i comunisti, che avrebbe ingenerato troppi
cambiamenti e toccato le loro posizioni di potere clientelare.

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Cap.4. Una nuova fase di tensione est-


ovest

LA CORSA AGLI ARMAMENTI NUCLEARI E LA NUOVA FASE


ACUTA DELLA GUERRA FREDDA
LA POLITICA DELL’URSS (SINTESI)
La volontà di rivincita dei russi, che cercarono di approfittare delle difficoltà politiche ed
economiche degli americani (a un certo punto Carter ridusse le spese militari ai livelli più
bassi dal 1949 - in percentuale sul Prodotto Interno Lordo), li spinse ad impegnarsi in una
gara nella costruzione dei missili strategici a testata multipla (MIRV). In pochi anni -
dedicando crescenti risorse al "complesso militare industriale" - riuscirono a produrre
anch'essi i MIRV, superando gli americani nel numero di testate, ma rimanendo loro inferiori
nella precisione di tiro.
Non pare però che i sovietici intendessero impegnarsi in una corsa all'infinito (che
rischiava di mettere in difficoltà il loro sistema economico). Sarebbe bastato loro
probabilmente far legittimare da un ulteriore trattato l'avvenuto raggiungimento della parità
strategica (nei termini che si sono detti) e congelare a quel punto la situazione. Tanto è vero
che essi firmarono nel 1977 il SALT2 con il presidente Carter, nel quale per la prima volta
entrambe le superpotenze (e la Russia più dell'America) si impegnarono perfino a
distruggere una quota (molto ridotta) di testate.
I successi più lusinghieri (e apparentemente più duraturi) i russi li avevano acquisitati
nell'ampliamento della loro sfera d'influenza nel terzo mondo (vedi il paragrafo LA
RIVINCITA DELL'UNIONE SOVIETICA). Tuttavia fu proprio dalla politica estera russa che
vennero i guai più grossi: l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1979 portò a una
sostanziale ripresa della guerra fredda e ad un irrigidimento reciproco anche sulla questione
dei missili. Ma per capire questa nuova fase è indispensabile parlare della rivoluzione
islamica iraniana e dei sui suoi riflessi sui problemi interni dell'Unione Sovietica, in cui la
minoranza islamica era in continua crescita demografica.

UNA NUOVA CONTESTAZIONE DEL BIPOLARISMO: LA


RIVOLUZIONE ISLAMICA IN IRAN
L’INTEGRALISTA ISLAMICO KHOMEINI CONDANNA
ENTRAMBI I BLOCCHI IDEOLOGICI, RIFIUTANDO LA
MODERNIZZAZIONE E LA CIVILTÀ OCCIDENTALE
Ancora più che il progetto cinese di una rivoluzione dei paesi contadini contro i paesi
industrializzati, la rivoluzione islamica iraniana dell'inverno 78-79, la cui guida spirituale fu

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l'ayatollah Khomeini, contribuì in prospettiva a far saltare il bipolarismo est - ovest.


Khomeini infatti condannava in blocco l'intero mondo laicizzato prodotto dalla civiltà
occidentale a partire dalla rivoluzione industriale capitalistica e dalla Rivoluzione francese, e
il processo di modernizzazione nella cultura e nello stile di vita cui essa sottopone le
civiltà non europee. Di questo mondo l'U.R.S.S. non solo faceva parte, ma pretendeva di
essere la realizzazione più avanzata.
In sostanza la cultura integralistica islamica degli ayatollah dell'Iran trae lo spunto dalla
crisi capitalistica degli anni 70 per affermare con vigore quello che nessun movimento
politico extraeuropeo recente aveva mai affermato: anche se le grandi potenze europee e le
due superpotenze sono tecnicamente e militarmente più forti, nell'intera civiltà occidentale
non c'è alcun modello etico, politico o sociale da imitare. Il "socialismo arabo", pur sempre
attento a non offendere la religione islamica, si era ispirato sia all'Unione Sovietica sia al
capitalismo di Stato dell'Europa occidentale, così come il Partito del Congresso, per molti
decenni al governo in India, aveva preso come modelli la tradizione liberaldemocratica e
socialdemocratica. Forse il caso più radicale di spontanea adesione ai modelli europei e di
rifiuto delle proprie tradizioni per cercare di modernizzarsi in tempi rapidi è stata la
rivoluzione di Mustafa Kemal Atatürk in Turchia. Rimasto al potere tra il 1920 e il 1938, egli
trasformò il Sultanato di Costantinopoli in repubblica laica (priva di una religione ufficiale),
abolì il Califfato, abolì la poligamia e introdusse il divorzio, abolì l'alfabeto arabo e introdusse
l'alfabeto occidentale e in sostanza sviluppò il più possibile la cultura tecnico - scientifica
moderna.
Ma anche l'Impero dell'Iran sotto il dominio dello Shah Muhamad Reza Pahlavi (1941-
1978), che pure non aveva niente a che fare con l'ideologia laicista di Kemal, è stato un caso
storico di occidentalizzazione accelerata. L'Impero, soprattutto grazie al petrolio, era
diventato una potenza militare regionale dotata di sofisticate armi comprate dagli Stati Uniti,
con le quali contribuiva a garantire la sicurezza della "via del petrolio" del Golfo Persico in
sostanziale intesa con le potenze occidentali. Gli stretti rapporti commerciali con il mondo
capitalistico e la diffusione attraverso l'istruzione scolastica della cultura occidentale
introdussero in tempi relativamente brevi notevoli cambiamenti dello stile di vita in alcuni
settori di una civiltà antica e complessa.
LA MODERNIZZAZIONE ACCELERATA IMPOSTA IN
PRECEDENZA DALL’AUTORITARISMO DELLO SHAH AVEVA
PROVOCATO UNA REAZIONE DI CHIUSURA E DI DIFESA AD
OLTRANZA DELL’IDENTITÀ TRADIZIONALE ISLAMICA
D'altro canto, quello dello Shah era un regime assolutistico repressivo che
proteggeva i privilegi sociali di alcune élites e gli interessi economici delle multinazionali
straniere. La rivoluzione popolare contro di esso fu animata - come in altri casi storici - da
gruppi politici di orientamento liberaldemocratico, socialdemocratico e marxista. Essi però
furono ben presto spazzati via dai militanti integralisti, che cercarono di attuare a loro modo

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un regime di eguaglianza sociale, pur ripristinando il costume islamico per quanto riguarda la
famiglia e la condizione della donna. La modernizzazione accelerata e indiscriminata aveva
infatti provocato una reazione di rifiuto che ha condotto al ritorno alla legge coranica, alla
subordinazione delle autorità politiche a quelle religiose e a forme di chiusura e di
intolleranza contro i diversi che, lungi dall'essere connaturate nella civiltà islamica, si
spiegano piuttosto come forme di reazione difensiva ad una minaccia globale alla propria
identità.

L'INVASIONE DELL'AFGHANISTAN E I VARI FATTORI DELLA CRISI


INTERNA DELL'UNIONE SOVIETICA
Apparentemente, all'inizio il nemico principale contro cui si scagliarono gli anatemi degli
ayatollah fu l'America, la cui ambasciata nel 79-80 fu occupata per alcuni mesi da un gruppo
di militanti fondamentalisti, che ne tennero in ostaggio il personale. Ma l'Unione Sovietica
aveva specifici motivi per temerli: né l'ateismo di Stato russo, né la cultura scientifica
moderna, né la nutrita presenza di minoranze di tecnici e funzionari russi avevano mai potuto
assimilare le popolazioni di religione islamica, largamente maggioritarie nelle repubbliche
sovietiche dell'Asia e numerose anche in molti territori nella stessa Repubblica Federativa
Russa, lo Stato principale dell'Unione. Mentre la popolazione slava aveva un tasso di
crescita analogo a quello europeo (cioè prossimo allo zero), le etnie islamiche erano - come
in ogni parte del mondo - in notevole espansione demografica. Proprio questo aveva
contribuito a una ripresa del nazionalismo grande-russo: fallendo lo strumento
dell'assimilazione, molti ambienti all'interno del partito inclinavano alle maniere forti.
IL NAZIONALISMO GRANDE-RUSSO, REAZIONE ALLA CRISI
DELL’IDEOLOGIA MARXISTA-LENINISTA
Il nazionalismo grande-russo, risalente all'espansione imperialistica degli zar, in realtà
non era mai scomparso durante il regime comunista. Stalin lo aveva coltivato a suo tempo, e
nel periodo brezneviano esso riemerge nel partito e nell'esercito nel disperato tentativo di
ritrovare dei forti valori collettivi di fronte alla crisi dell'ideologia marxista-leninista ufficiale.
Tutto questo deve aver pesato - nel contesto di una politica dell'allargamento della
propria area di influenza - nella decisione presa nel dicembre del 79 di invadere
l'Afghanistan per sostenere il governo filosovietico in difficoltà. L'uso della maniera forte
ottenne l'effetto contrario: evidentemente i Russi non avevano imparato nulla dalla lezione
del Vietnam. I carri armati sovietici, in un territorio aspro e difficile, non poterono aver ragione
della guerriglia islamica. Essa anzi crebbe di intensità e causò numerose perdite agli
invasori, che non avevano mai sostenuto una guerra dai tempi dell'aggressione nazista (visto
che le spedizioni in Ungheria e in Cecoslovacchia contro civili sostanzialmente disarmati non
sono veri e propri episodi bellici).
IL MALCONTENTO POPOLARE IN URSS PER LA MORTE DEI
GIOVANI SOLDATI RUSSI IN AFGHANISTAN

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Ciò che era capitato alla Francia della guerra d'Algeria e agli Stati Uniti del conflitto
vietnamita quando avevano versato senza essere aggredite il sangue dei loro giovani, capitò
anche all'Unione Sovietica: un crescente malcontento popolare che minacciava di
trasformarsi in una crisi istituzionale. E' singolare osservare che una cosa simile non era
capitata invece alla Germania nazista: in essa il malcontento si poteva manifestare assai
meno che nell'Unione Sovietica degli anni 70-80, e una crisi istituzionale - per l'assoluta unità
del partito e per il controllo terroristico della Gestapo - non era pensabile; in essa infine il
regime ebbe anzi la capacità di comunicare alle masse la sua follia militarista in un modo mai
visto altrove (si pensi alla difesa ad oltranza di Berlino nel '45).
LO STATO SOVIETICO RISERVA LE SUE MIGLIORI RISORSE
PER GLI ARMAMENTI: LA QUALITÀ DELLA VITA PEGGIORA
Oltre alla guerra d'Afghanistan, altri importanti fattori spingevano verso la crisi
istituzionale. Abbiamo già parlato dell'alterazione degli equilibri etnici all'interno dell'Unione a
favore dei mussulmani. Ma molto più grave dal punto di vista immediato era il progressivo
peggioramento di vari servizi pubblici, in particolare quelli medico - ospedalieri, e il
peggioramento complessivo della qualità della vita. Questi fenomeni erano originati
soprattutto dai costi spropositati della corsa agli armamenti atomici, degli armamenti
convenzionali e degli aiuti per gli alleati in Africa e anche altrove, e infine dell'intervento in
Afganistan. In sintesi, lo Stato sovietico riservava le sue migliori risorse per il
complesso militare industriale, mettendo in difficoltà gli altri settori.
Tra l'altro, l'Unione Sovietica non beneficiò nemmeno nella stessa misura degli Stati
Uniti delle ricadute sui settori civili delle nuove tecnologie elaborate ad uso militare a causa
della sua concezione autoritaria e burocratica del segreto militare (viceversa lo sviluppo del
settore dell'informatica e della telematica, in buona parte finanziato dallo Stato federale
avvantaggia tuttora gli U.S.A. rispetto alla concorrenza europea e giapponese).
I CITTADINI DELL’EST, INFORMATI ANCHE ATTRAVERSO I
NUOVI MEDIA, INVIDIANO LA QUALITÀ DELLA VITA
OCCIDENTALE
Certo, per far dimenticare il continuo e netto peggioramento del tenore di vita i media di
regime potevano mettere in rilievo la contemporanea crisi del mondo capitalistico. Ma i
cittadini sovietici e quelli dei paesi dell'Europa orientale ricordavano piuttosto la promessa
non mantenuta di raggiungere il tenore di vita dell'occidente. Essi inoltre erano sempre più
informati sul benessere e sullo stile di vita del mondo capitalistico, grazie alla diffusione dei
media radiotelevisivi, delle conoscenze tecnico scientifiche, che rendevano più facile ricevere
clandestinamente le trasmissioni occidentali (lo Stato sovietico non a caso promuoveva la
filodiffusione), e della conoscenza delle lingue d'oltrecortina, e infine grazie anche
all'aumento (certo modesto) degli scambi turistici prodottosi negli ultimi anni, in particolare
dopo la conferenza di Helsinki.

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L'U.R.S.S. E IL PROBLEMA POLACCO. IL PAPA POLACCO E IL


MONDO MODERNO
I PAESI SATELLITI, INDEBITATI CON L’OCCIDENTE, NON
RIESCONO A PAGARE QUANDO IL PREZZO DEL PETROLIO
CESSA DI SALIRE
In particolare, i paesi satelliti avevano aumentato contatti e scambi con l'occidente,
una volta quasi inesistenti, in misura molto maggiore dell'U.R.S.S., e inoltre avevano
accresciuto i loro debiti in dollari di modo che, quando all'inizio degli anni ottanta il momento
peggiore della crisi petrolifera per l'occidente era passato, trovarono difficile pagarli e perfino
contrarne dei nuovi per estinguere quelli vecchi o per pagare gli interessi.
IN POLONIA (IL PAESE PIÙ INDEBITATO) IL SIDACATO
CATTOLICO SOLIDARNOSC OTTIENE NEL 1980 IL
RICONOSCIMENTO UFFICIALE
L'Unione Sovietica fin dall'inizio degli anni 70 aveva lasciato che la Polonia in
particolare contraesse molti debiti, perché qui la tensione per un mutamento dello stile di
vita era particolarmente forte e i russi volevano evitare un'altra crisi di tipo cecoslovacco.
All'indebitamento per acquistare nuove tecnologie non era però corrisposto un miglioramento
proporzionale della produzione. Inoltre la protesta sociale nel paese aveva continuato ad
aumentare, finché nel 1980 si giunse ad un fatto inaudito oltrecortina: la base operaia, dopo
anni di scioperi illegali, spesso anche duri, reclamò ed ottenne il riconoscimento di un
sindacato diverso da quelli del regime. Si trattava di Solidarnosc, di ispirazione cattolica, il cui
leader era Lech Walesa, e che ebbe presto molti milioni di iscritti.
1981: IL GOVERNO POLACCO CEDE NEL BRACCIO DI FERRO
CON SOLIDARNOSC
Di fronte ai rinnovati scioperi nel 1981 il generale Jaruzelsky, comandante
dell'esercito, che aveva assunto il potere, proclamò lo stato di assedio ed arrivò a far
arrestare Walesa ed un gran numero di esponenti sindacali. Se l'uso delle maniere forti
contribuì a screditare il regime polacco (e naturalmente l'Unione Sovietica), più ancora lo
screditò il fatto di dover cedere di lì a poco, concedendo la libertà a Walesa e tollerando le
attività di Solidarnosc. Per capire questa vittoria, bisogna tener conto che la tenace lotta degli
operai cattolici era stata incoraggiata e stimolata da un evento di portata mondiale: la nomina
a papa nel 1978 del polacco Karol Woitila (Giovanni Paolo II). Egli, tra l'altro, si era recato in
visita ufficiale in Polonia nel 1979 e vi sarebbe tornato nel 1983 e nel 1987, accolto ogni volta
da folle inimmaginabili e seguito dalle televisioni di tutto il mondo.
La Chiesa cattolica non aveva eletto papa un vescovo d'oltralpe dal secolo XVI.
Aveva compiuto questa scelta innovativa però non sulla scia delle aperture conciliari, ma per
reagire sia alle tendenze iper-modernizzatrici o contestatrici (come la teologia della
liberazione) che operavano al suo interno, sia, più in generale, alla crisi morale e politica

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della civiltà occidentale che sembrava ormai in corso.

IL POLACCO GIOVANNI PAOLO II, ELETTO NEL 78, É


FORTEMENTE OSTILE AL COMUNISMO, MA CONDANNA
ANCHE IL LAICISMO E IL CONSUMISMO OCCIDENTALI
Giovanni Paolo II proviene da un paese che non aveva mai vissuto in pieno la
modernizzazione capitalistica, e, se considera il comunismo il demonio da esorcizzare,
condanna con decisione anche il laicismo scettico e l'individualismo consumistico
dell'occidente. Anche se ha senza dubbio accettato l'idea moderna dei diritti individuali, egli
guarda con diffidenza all'idea laica liberale che le chiese e le altre organizzazioni religiose si
debbano collocare essenzialmente nell'ambito del privato e della cultura. Convinto com'è che
il cristianesimo, e soprattutto il cattolicesimo, forniscano i valori fondanti della nostra civiltà,
ritiene che lo Stato debba riconoscerli e essere moralmente subordinato ad essi, e che
l'individualismo capitalistico e consumistico siano non solo eticamente riprovevoli, ma
erodano la necessaria solidarietà e coesione sociali.
IL PAPA AL DI LÀ DEL BIPOLARISMO EST-OVEST
Insomma, se Karol Woitila è diventato papa in tempo per contribuire al successo
dell'ultima crociata contro il comunismo, egli idealmente si colloca aldilà dello stesso
bipolarismo, rifacendosi a valori precedenti alla modernità e alla Rivoluzione Francese.
Nonostante la notevole distanza sul piano teorico e ancor di più sul piano pratico, non deve
sfuggire l'analogia tra l'integralismo cattolico (di cui il papa polacco costituisce una variante
pragmatica e moderata) e il fondamentalismo islamico. Essi sono entrambi reazioni alla
modernizzazione accelerata e illimitata della cultura e dei modi di vita popolari, sia che essa
venga imposta dal di fuori dal sistema coloniale europeo o dal totalitarismo sovietico, sia che
sia il frutto della penetrazione delle masse da parte dei media e della loro seduzione
attraverso la potenza economica e tecnica. Entrambi inoltre rifiutano il mito moderno
dell'onnipotenza del progresso e della tecnica.

LA CRISI DEL SISTEMA SOVIETICO (SINTESI)


In conclusione, il sistema sovietico è stato messo in crisi dal fatto di essere
troppo poco moderno per certi aspetti e troppo per certi altri. Da un lato ha tentato
invano di gareggiare tecnicamente e militarmente con la superpotenza americana e di
competere economicamente e culturalmente con la società capitalistica occidentale: in
questo tentativo la sua economia ha cominciato a scricchiolare, mentre i messaggi dei media
elettronici moderni, ricevuti clandestinamente nei paesi dell'est, hanno appannato la sua
immagine interna e reso attraente quella del suo nemico. Dall'altro ha tentato di imporre
autoritariamente una cultura atea scientifico - tecnologica, suscitando le reazioni di
antiche comunità e istituzioni, come l'islam sciita e il cattolicesimo di Woitila.

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LA SVOLTA NEOCONSERVATRICE NEGLI U.S.A. E NEL MONDO


Gli anni 80 sono dunque un periodo di grande difficoltà per l'Unione Sovietica,
attraversata anche da una crisi di leadership: Breznev negli ultimi anni è gravemente malato
e, dopo la sua morte nel novembre 1982, viene eletto segretario del P.C.U.S. Andropov, che
morirà l'anno seguente e sarà sostituito da un altro leader malato, Cernenko, che scomparirà
a sua volta nel 1984.
IL NEOCONSERVATORE E LIBERISTA REAGAN, ELETTO NEL
1980, RILANCIA LA GUERRA FREDDA
CONTRO L’”IMPERO DEL MALE”
In America invece nel 1980 era stato eletto Ronald Reagan, che sarebbe stato
riconfermato nel 1984 e che avrebbe saputo dare di nuovo vigore alla politica estera
americana, restituendo un'immagine forte alla superpotenza e insistendo sui valori
dell'occidente. Egli rilancia senza mezzi termini la guerra fredda, additando
nell'avversario sovietico - letteralmente - l'"Impero del Male" e difende il sistema
capitalistico della libera concorrenza, messo sotto accusa ormai da molte parti (dalla
contestazione di estrema sinistra, agli ecologisti, alle forze riformatrici democratiche, al
fondamentalismo islamico e all'integralismo cattolico). Libertà civili e politiche e libertà
d'impresa e d'investimento per lui coincidono pienamente: le une non possono
svilupparsi senza le altre.
Reagan, di fronte allo sforzo militare sovietico e in particolare di fronte all'invasione
dell'Afganistan, rilanciò senza esitazione la spesa militare, tra l'altro cominciando la
progettazione di un grandioso "scudo spaziale" che avrebbe dovuto difendere tutto il territorio
degli Stati Uniti dai missili nemici con un sofisticato ombrello antimissile guidato dai satelliti.
Riprese anche senza esitazione a contrapporsi duramente all'Unione Sovietica sui fronti più
caldi (finanziando massicciamente la guerriglia integralista mussulmana in Afganistan, la
controguerriglia in Angola e altrove) e a intervenire nella politica interna di quegli Stati della
sua sfera di influenza che mostravano troppa autonomia (nel Nicaragua, in cui il governo
americano sovvenziona la guerriglia contro il governo socialista, già riconosciuto da Carter),
nel Salvador e nell'isola di Grenada).
REAGAN RILANCIA LA LEADERSHIP AMERICANA E CIÒ
CONTRIBUISCE AL CALO DEL PREZZO DEL PETROLIO
L'energia della nuova leadership americana fu avvertita anche dai paesi produttori di
petrolio del terzo mondo. Tra questi, gli Stati alleati dell'occidente (Arabia Saudita, Emirati
Arabi, Messico, Venezuela, ecc.) vengono richiamati alla disciplina in nome della
necessaria solidarietà contro le minacce rivoluzionarie, mentre gli Stati "ribelli", che vogliono
prezzi alti ad oltranza e favoriscono il terrorismo palestinese o il fondamentalismo islamico

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(in particolare Iran e Libia), vengono isolati politicamente e talora colpiti militarmente (vedi il
bombardamento americano della Libia nel 1986).
IL DITTATORE IRAKENO SADDAM HUSSEIN, APPOGGIATO
DA USA E URSS, AGGREDISCE L’IRAN
I prezzi dunque finirono per diminuire. Anche altri fattori concorsero a questo risultato.
In primo luogo i paesi industrializzati avevano imparato a limitare la domanda, risparmiando
petrolio attraverso motori e impianti di nuova concezione e attraverso lo sfruttamento di altre
fonti energetiche. Oltre a ciò erano stati scoperti nuovi giacimenti importanti, tra cui quelli
sotto il Mare del Nord, sfruttati dall'Inghilterra. Infine il regime socialista arabo dell'Irak del
dittatore Sadam Hussein, appoggiato, si noti, dalle due superpotenze, che erano entrambi
ostili al fondamentalismo di Khomeini, aveva aggredito con una sanguinosissima guerra
durata dal 1980 al 1988 il nuovo Stato iraniano, per cui i due belligeranti, per le urgenze della
guerra, avevano dovuto rinunciare a praticare prezzi troppo alti.
LA POLITICA ECONOMICA NEOCONSERVATRICE IN
OCCIDENTE (SINTESI)
Reagan fu anche il banditore, insieme al primo ministro inglese Margaret Thatcher, di una
nuova politica interna per i paesi industrializzati: la politica neoconservatrice, che avrebbe
avuto un gran numero di seguaci in occidente. Contro l'inflazione (che deriva da
un'insieme di fattori: aumento del prezzo del petrolio, aumento delle spese sociali e in
genere delle spese dello stato, alto livello dei salari, ecc.) i neoconservatori inglesi e
americani propongono una politica economica neoliberista: diminuzione delle tasse per
favorire gli investimenti, vendita ai privati delle eventuali industrie nazionalizzate (questo
avviene in particolare in Inghilterra), abbandono al loro destino delle industrie assistite (con
conseguente disoccupazione), eliminazione dei vincoli e controlli di vario genere imposti
per legge alle imprese per tutelare i lavoratori, l'ambiente o la società (deregulation), e
soprattutto tagli durissimi alle spese sociali. Ma se questi tagli sono praticati senza
esitazione non si può dire che ciò porti effettivamente ad una limitazione complessiva delle
spese dello Stato tale da mettere fine al deficit di bilancio: negli Stati Uniti, in particolare, la
crescita della spesa militare è tale da aumentarlo ulteriormente, facendogli raggiungere i
suoi massimi storici.
L'attuazione di questa politica economica è stata sollecitata dalle grande industrie e ha
incontrato l'approvazione dei ceti medi, stanchi di assistere alla crescita dei salari e di subire
aumenti delle tasse a causa delle spese sociali a favore dai ceti più bassi. Le compagnie
multinazionali per conto loro hanno cominciato il loro contrattacco robotizzando molte catene
di montaggio e trasferendone altre in paesi meno sviluppati in cui la manodopera abbia
prezzi più bassi. Il risultato di questa azione complessiva dei governi neoconservatori e delle
grandi imprese private fu un notevole indebolimento dei sindacati e in genere dei movimenti
rivendicativi dei ceti più deboli.
Non diversamente da quanto avviene nel panorama sociale dei paesi industrializzati,

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anche nel panorama mondiale i più poveri e i più deboli sono ulteriormente svantaggiati. I
paesi del Terzo Mondo che avevano dato inizio a programmi di sviluppo troppo ampi -
grandi opere pubbliche finanziate con prestiti internazionali garantiti dai prezzi alti del
petrolio e delle materie prime - con la diminuzione dei prezzi hanno avuto difficoltà a
pagare gli interessi sui debiti, strozzati dalle banche occidentali e dalla politica di rigore
del Fondo Monetario Internazionale.
IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE PRESTA SOLO AI
PAESI CHE TAGLIANO LA SPESA PUBBLICA E
GARANTISCONO AMPIA LIBERTÀ D’IMPRESA AI CAPITALI
STRANIERI
Questo organismo internazionale controlla i grandi prestiti internazionali (effettuati
dai paesi più sviluppati dell'occidente) e pratica anch'esso una politica creditizia
"neoliberista": presta solo a quei paesi che riducono la spesa di Stato e che
garantiscono ai capitali stranieri che intendono investire poche tasse, poca inflazione e
ampia libertà di impresa in materia di commercio, licenziamenti, salari, vincoli ambientali,
ecc. Le difficoltà economiche dei singoli paesi rompono definitivamente il cartello dei
produttori di materie prime e i prezzi si manterranno bassi per tutto il periodo successivo. La
situazione più grave è quella di molti paesi sottosviluppati che non producono alcuna materia
prima strategica e che a suo tempo hanno dovuto il petrolio a caro prezzo, e infine quella di
quasi tutti i paesi dell'Africa nera subsahariana.
LO SVILUPPO DELLE “TIGRI ASIATICHE”
Tuttavia negli anni 80 alcuni paesi asiatici sono usciti ormai dal sottosviluppo e,
grazie sia alla libertà concessa agli investitori, sia alla disciplina e alla buona qualità della
loro manodopera, ospitano un gran numero di imprese straniere e cominciano a svilupparne
di proprie: si tratta della Corea del Sud, di Taiwan (o Formosa: la vecchia Cina nazionalista
del Guo Min Tang), di Singapore e di Hong Kong. La Tailandia, la Malaisia, le Filippine e
l'Indonesia seppure con maggiore lentezza sembrano avviate sulla stessa strada. In quasi
tutti questi paesi però i regimi politici sono di tipo autoritario o semi autoritario e le libertà
sindacali e politiche quasi inesistenti.

LA SVOLTA NEOCONSERVATRICE NEI PAESI AVANZATI E LA


SVOLTA A SINISTRA - CONTROCORRENTE - DELLA FRANCIA DI
MITTERAND
Il neoconservatorismo, con il suo corollario economico di smantellamento del Welfare e
di taglio alle spese di Stato, ebbe ben presto successo e diffusione in tutto il mondo
occidentale. Il sociologo tedesco Ralf Dahrendorf ha osservato che tale successo è dovuto
tra l'altro al fatto che i ceti medi e medio alti ad un certo punto hanno preferito pagarsi da soli
le spese per l'assistenza medica e per le assicurazioni private sulla salute e sulla vecchiaia
invece di farsi assistere dallo Stato pagandolo attraverso le tasse. Il Welfare State appariva
loro infatti come un sistema elefantiaco, causa di dispersione delle risorse, messo in piedi

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per aiutare i ceti meno abbienti e anche per offrire opportunità d'impiego.
Questo atteggiamento sempre più diffuso di sfiducia nei confronti dello Stato è la
conseguenza dell'ingresso di gran parte del mondo occidentale nella cosiddetta "società dei
due terzi", in cui i ceti benestanti o comunque garantiti economicamente da un discreto
livello professionale costituiscono i due terzi circa della popolazione. Si tratta altresì di una
società "postindustriale", in cui la classe operaia è in progressivo calo e in cui chiudono
quelle grandi catene di montaggio che avevano socializzato generazioni di lavoratori
sindacalizzati, sostituite da officine più piccole e decentrate, mentre cresce il settore dei
servizi, non solo statale, ma anche privato (uffici studi per marketing e ricerca, pubblicità,
servizi commerciali, turistici, ecc.).
IL BIPOLARISMO TRA BLOCCO CAPITALISTICO E BLOCCO
OPERAIO VIENE MENO PROGRESSIVAMENTE E LA
DISINDUSTRIALIZZAZIONE ERODE LA BASE SOCIALE DELLA
SINISTRA
In questo contesto si capisce che quel bipolarismo sociale che aveva sostenuto per anni
la contrapposizione politica tra destra e sinistra viene meno progressivamente,
principalmente a danno dei partiti di sinistra il cui elettorato tradizionale si sta trasformando o
sta addirittura scomparendo. Il declino del partito laburista in Inghilterra, che permetterà ai
neoconservatori inglesi di restare al governo dal 1979 al 1996, è legato certo a errori dei
sindacati e del partito stesso, all'estremismo dei movimenti sociali, alla debolezza
dell'economia inglese di allora e alla sua lentezza nel rimodernarsi; esso però si spiega
senza dubbio anche con la disindustrializzazione del paese, che ha eroso
progressivamente la base sociale della sinistra.
I DEMOCRISTIANI AL GOVERNO IN GERMANIA DAL 1982 AL
1998
La svolta politica del periodo neoconservatore significò in molti casi un netto ricambio
della leadership politica e della maggioranza al governo: l'abbiamo visto con Reagan e con
Margaret Thatcher, ma ciò vale anche per il tedesco Helmut Kohl, che nel 1982 riuscì a far
cadere il governo socialdemocratico in Germania Federale sostituendolo con un governo
democristiano-liberale, che tuttavia fu estremamente cauto per quanto riguarda lo Welfare
State: esso qui subì appena qualche aggiustamento, mentre in Inghilterra fu smantellato
insieme all'intero settore dell'industria di Stato. Nel frattempo nei paesi scandinavi i nuovi
governi liberalconservatori interruppero una serie di esperienze di governi di sinistra
moderata durate ormai da molti anni (in Svezia il partito socialdemocratico era addirittura al
potere dal 1931), anche qui senza mai arrivare agli estremi della politica economica inglese
e statunitense (nel caso della Svezia, anche perché i socialdemocratici sono tornati al
governo dopo pochi anni e ci sono tuttora).
Tuttavia, come negli anni 60-70 lo Welfare State era una costante che la temporanea
presenza al governo di partiti conservatori non poteva eliminare, in questo periodo lo stesso
vale per la politica economica neoconservatrice: una certa dose di misure in tal senso si è

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imposta in modo uniforme a tutti gli Stati e ai diversi partiti. Questo era necessario sia in
ragione della trasformazione dell'elettorato, sia in ragione della concorrenza internazionale:
in Italia e in Giappone, per esempio, la politica economica ha progressivamente cominciato a
cambiare già a partire dagli anni ottanta senza spettacolari ricambi della leadership politica
di governo.
L’ECCEZIONE FRANCESE: IL GOVERNO SOCIALCOMUNISTA
SOTTO LA PRESIDENZA MITTERAND
Come sempre la Francia fa eccezione. Nel 1981 qui il socialista François Mitterand fu
eletto presidente della repubblica grazie ad un accordo elettorale fra i socialisti (il partito più
grosso della sinistra), i comunisti e il piccolo partito di sinistra moderata dei radicaux de
gauche. Da allora comincia un esperimento controcorrente: massicce nazionalizzazioni,
programmazione economica, protezione dei posti di lavoro da parte dello Stato, aumento del
salario minimo garantito e riduzione dell'età pensionabile. Questa politica, oltre ad aumentare
l'inflazione, mise in fuga i capitali stranieri e anche francesi, che votarono a loro modo contro
il nuovo governo. Esso riuscì a risollevarsi per un po’ rinunciando a gran parte del suo
programma sociale e estromettendo i comunisti - non per una qualche conventio ad
excludendum o per ossequio agli Stati Uniti, ma appunto per dissidi programmatici. Dunque
la svolta neoconservatrice vera e propria in Francia arrivò solo nel 1991, col governo Chirac,
anche qui senza raggiungere le asprezze del governo Thatcher.

IL PENTAPARTITO E I GOVERNI CRAXI: LA SITUAZIONE


ECONOMICA ITALIANA
NEL 1979 IL GOVERNO “PENTAPARTITO” ESCLUDE I
COMUNISTA DALLA MAGGIORANZA PER IL LORO
PROGRAMMA RIFORMISTA E SINDACALE
Il termine neoconservatorismo non fu nemmeno pronunciato in occasione della svolta
italiana del 1979, che vide i comunisti uscire dalla maggioranza (al governo, come si
ricorderà, non avevano mai partecipato). Tuttavia i nuovi governi a cinque (ai quattro partiti
del centrosinistra, D.C., P.R.I, P.S.D.I. e P.S.I. si univa ora, da destra, il partito liberale)
rinunciarono a mettere in cantiere altre riforme, smisero di considerare la Federazione
Sindacale unitaria come un interlocutore primario e tentarono di neutralizzare la "scala
mobile" (il sistema automatico che aumentava i salari in base all'inflazione, difendendo il
potere di acquisto dei lavoratori). Ad ogni modo l'assenza dei comunisti dall'area di
governo non aveva un significato ideologico - dato che la D.C. pareva aver rinunciato
definitivamente alla "conventio ad excludendum" ai danni del P.C.I. - ma era motivata dalla
cessazione dell'emergenza terroristica ed economica, e dal sostanziale appoggio che
il P.C.I. dava al movimento sindacale.
Il leader emergente di questo periodo è Bettino Craxi, il nuovo segretario del P.S.I.
Estraneo alla tradizione storica operaia del suo partito, pragmatico e anti-ideologico come i

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leader democristiani Forlani e Andreotti, con cui dimostra di sapersi benissimo intendere,
rivendica la presidenza del governo. La otterrà nel periodo 1983 -1987 (si noti che il P.S.I.
aveva nel 1983 appena l'11,4% dei voti).

CRAXI RINUNCIA ALL’”ALTERNATIVA” (GOVERNO DELLE


SINISTRE AL POSTO DI QUELLO DELLA DC) PER
“L’ALTERNANZA” ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO
Craxi ridusse esplicitamente la politica dell'alternativa, preconizzata dalla sinistra
socialista e dal P.C.I., a quella dell'"alternanza". Con l'alternativa, l'alleanza tra i partiti legati
alle classi lavoratrici e ai sindacati avrebbe dovuto mettere fine all'egemonia conservatrice
della D.C., secondo il modello del bipartitismo inglese. Craxi sostituisce questa idea con
quella dell'alternanza a capo del governo fra i leader dell'alleanza pentapartita centrista.
In questo modo però risultava assai difficile guarire la D.C. da quella corruzione che
le derivava da una troppo lunga permanenza sulle poltrone ministeriali. Il P.S.I. occupava di
fatto una posizione centrale tra il gruppo dei partiti moderati (P.L.I. - D.C. - P.R.I. - P.S.D.I.)
e il P.C.I., potendo formare facilmente una coalizione sia con gli uni che con l'altro. E
regolarmente lo aveva fatto da molti anni nelle giunte comunali, provinciali e regionali,
partecipando alle amministrazioni locali praticamente ovunque (in particolare, nel 90% delle
città capoluogo di provincia). Questa presenza assicurata nelle diverse sale dei bottoni
aveva incoraggiato notevolmente la corruzione tra gli stessi socialisti.

Ad ogni modo, con l'indebolimento dei sindacati (dovuto tra l'altro alla ristrutturazione
industriale, all'introduzione massiccia dell'automazione e ai conseguenti licenziamenti)
alcuni fattori inflattivi venivano meno, ma ne restavano molti altri assai importanti, primo tra
tutti il deficit dello Stato e degli enti locali.
LE OPERE PUBBLICHE: TANGENTI E SUPERPROFITTI
La spesa restò forte nel settore delle opere pubbliche (solo per i mondiali di calcio in
Italia del 1990 il governo spese cifre da capogiro), i cui costi erano spropositati a causa delle
tangenti pagate ai partiti politici e dei superprofitti intascati dalle aziende che se ne
accaparravano l'appalto.
SVILUPPO ABNORME DEL DEBITO PUBBLICO E DEL
SETTORE PUBBLICO DELL’ECONOMIA (SERBATOIO DI VOTI
PER I PARTITI DI GOVERNO)
Non si riusciva poi ad estinguere il debito pubblico, maturato in particolare negli anni
70, nel periodo delle difficoltà finanziarie per l'acquisto del petrolio e per la riforma sanitaria
(ma che aveva le sue radici nella situazione precedente di ipertrofia e corruzione degli enti
pubblici). Tale debito naturalmente comportava il pagamento di massicci interessi. Infine il
settore pubblico (che equivaleva circa al 50% del Prodotto Interno Lordo) era
inefficiente e al tempo stesso enormemente costoso per l'esorbitante numero di addetti.
L'espansione del pubblico impiego, una delle cause più importanti del debito, aveva
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costituito e continuava ancora a costituire un rimedio empirico e immediato contro la


disoccupazione, oltre che un mezzo improprio per procacciare voti ai partiti di governo.
IL DEBITO PUBBLICO RAGGIUNGE NEL 1989 LE STESSE
DIMENSIONI DEL PRODOTTO INTERNO LORDO
La diminuzione del costo del petrolio e la ripresa dell'economia americana e del
commercio mondiale nel corso degli anni ottanta aiutarono l'economia italiana, che alla fine
del decennio aveva sostanzialmente superato la fase inflattiva (nel 1987 l'inflazione era
scesa al 4,6%) e aveva conseguito un buon rilancio produttivo. Il problema non risolto, e in
realtà neppure affrontato dai governi pentapartiti che non avevano un chiaro progetto
complessivo, restava però quello del debito pubblico. Esso continuava a crescere anche
per la difficoltà di pagarne gli interessi, che si trasformavano in nuovi debiti. Il suo
ammontare aveva raggiunto nel 1989 le stesse dimensioni del Prodotto Interno Lordo.
CRESCONO FORTEMENTE LE SPESE
PER LA PROPAGANDA ELETTORALE
Nel frattempo la propaganda elettorale - in particolare per gli spot sulle tv private,
nate proprio allora - aveva raggiunto costi proibitivi per i partiti, benché essi fossero
finanziati dallo Stato in proporzione ai voti raccolti. Se il P.C.I. attingeva ancora
massicciamente all'opera gratuita dei suoi militanti, le altre organizzazioni, che da tempo
avevano perso il rapporto con la loro base sociale, ricorrevano in modo crescente ai servizi
pubblicitari privati e ai media privati, con costi esorbitanti. Tali costi sono stati un fattore
aggiuntivo alla corruzione e al sistema delle tangenti: ai processi per Tangentopoli alcuni
politici portarono come alibi morale la necessità di procurarsi il capitale necessario per
sostenere le crescenti spese di partito. Anche le potenti infiltrazioni mafiose in questo
periodo hanno inquinato fortemente la vita politica e condizionato la spesa pubblica.
LA CRISI GENERALE DI VALORI DEGLI ANNI 80
Tuttavia la corruzione politica si lega certo anche fortemente alla crisi generale di
valori che investe la società italiana negli anni 80. Esauritosi l'entusiasmo riformatore del
vecchio centro sinistra, dimostratesi inconsistenti le utopie anarco - marxiste del 68, in parte
deluse le speranze di concreto rinnovamento sociale del movimento sindacale e della gente
comune, l'azione solidale era stata rimpiazzata dalla sfiducia reciproca e dall'individualismo
consumista.

POLITICA, TRAME OCCULTE E MASS MEDIA AI TEMPI DEL


PENTAPARTITO
LE NUOVE TRAME SEGRETE DELLA LOGGIA MASSONICA P2
DI LICIO GELLI
Mentre la DC e il PSI avevano ormai abbandonato gli entusiasmi riformatori
manifestati in passato e il PCI conduceva un'opposizione debole e non molto convinta, non
erano scomparse quelle tendenze all'intrigo che caratterizzavano i retroscena della politica
italiana. Agli inizi degli anni ottanta era emersa una nuova trama segreta in cui erano
implicati personaggi già coinvolti in precedenti vicende legate ai nostri servizi segreti, quella
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legata alla loggia massonica P2 di Licio Gelli.


La massoneria oggi generalmente è qualcosa che sta a metà tra l'associazione
culturale e il club esclusivo, benché mantenga un suo cerimoniale ed una sua tradizione di
segretezza. La loggia massonica fondata dal gran maestro Gelli, poi sconfessata dalla
massoneria ufficiale, era invece un'occasione di incontro segreto per alti ufficiali, giudici,
agenti o ex-agenti dei servizi segreti, dirigenti di banche, di enti di Stato e di grandi imprese
private, giornalisti, editori, uomini politici (del MSI, della DC, del PLI, del PSDI e anche del
PSI), di cui alcuni erano parlamentari e perfino ministri.
GELLI PROGETTA DI CONTROLLARE L’OPINIONE PUBBLICA
ATTRAVERSO I MEDIA, DI SCIOGLIERE LA FEDERAZIONE
SINDACALE UNITARIA, DI LIMITARE IL DIRITTO DI
SCIOPERO, DI DARE AMPI POTERI ALLA POLIZIA
Gelli aveva redatto segretamente un suo "Piano di rinascita democratica",
sequestrato dagli inquirenti nel 1982, che presumibilmente avrebbe potuto essere attuato
con la collaborazione degli affiliati. Il suo fine dichiarato era la difesa dell'ordine e della
legalità, minacciate dal caos del terrorismo, delle agitazioni sociali e delle rivendicazioni
sindacali, e puntava su una revisione generale della Costituzione. I mezzi da impiegare
erano l'"acquisizione" alla politica promossa dalla loggia attraverso "strumenti finanziari"
(così si esprime pudicamente il documento) di uomini politici, giornalisti e sindacalisti. I
politici così "acquisiti", coordinati tra loro, avrebbero quindi potuto realizzare il piano di Gelli
con l'appoggio di campagne d'opinione da parte dei mass media "simpatizzanti". Gli obiettivi
erano quelli di "abolire il monopolio di stato sulla RAI-TV", "controllare la pubblica opinione
media nel vivo del paese", arrivare allo scioglimento della Federazione unitaria dei sindacati,
limitare il diritto di sciopero, dare ampi poteri alla polizia, rafforzare il potere esecutivo, e altri
ancora.
Qualunque giudizio si voglia dare sui contenuti del Piano, e non escludendo che Gelli
fosse in parte un millantatore, è evidente che i metodi erano la corruzione, l'accordo
sottobanco e il tentativo di strumentalizzare l'opinione pubblica. Ciò fa supporre, data anche
la presenza nella loggia di ufficiali dei servizi segreti processati per le loro deviazioni, che
qualcuno avrebbe potuto anche organizzare qualche provocazione o qualche nuova strage
su cui imperniare le campagne dei mass media per il ritorno all'ordine e alla legalità.
Una commissione parlamentare d'inchiesta voluta dal repubblicano Giovanni
Spadolini e presieduta dalla democristiana Tina Anselmi smascherò la loggia (la relazione
finale della commissione è del 1984), mentre Gelli si diede alla latitanza. Egli era
verosimilmente un pesce piccolo e fu abbandonato dai suoi protettori occulti (altri personaggi
analoghi, come i finanzieri Michele Sindona e Roberto Calvi, furono addirittura assassinati in
circostanze misteriose).
Gelli ad ogni modo aveva correttamente intuito il peso particolare che i media erano
destinati ad avere in politica. Come vedremo, essi hanno contribuito in modo forte a rendere

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fluttuante il voto di molti elettori, che prima era legato all'appartenenza di classe, di quartiere,
di orientamento religioso. Nell'intero mondo occidentale, insieme alla disindustrializzazione e
alla dispersione della classe operaia, l'aumentata influenza dei media elettronici è stata una
delle cause della trasformazione della politica e del declino dell'opposizione ideologica destra
- sinistra, almeno nelle forme che si erano presentate fino all'incirca agli anni ottanta.
Ma l'Italia prima dell'età del pentapartito era rimasta singolarmente indietro rispetto
all'evoluzione degli Stati Uniti e di alcuni altri paesi. Si pensi che nel 1953, l'anno in cui l'Italia
cominciava le sue prime trasmissioni televisive riservate solo alle limitate aree servite dai
primi ripetitori, metà delle famiglie americane possedeva un televisore. Di più: la tv
d'oltreoceano era già a colori e ben presto le diverse trasmissioni dei numerosi canali privati
avrebbero coperto tutte le ore del giorno e della notte, offrendo allo spettatore un flusso
ininterrotto di immagini di tutti i generi, che accompagnano le diverse fasi della vita
casalinga. Le trasmissioni via satellite poi avevano reso tutto il mondo potenzialmente
presente sul piccolo schermo, abbattendo virtualmente quelle barriere di spazio e di tempo
che per secoli hanno diviso l'umanità. Il mondo finiva per essere ormai percepito dal
telespettatore come villaggio globale, secondo la celebre espressione di Marshall McLuhan.
Tutta una serie di fenomeni, che negli U.S.A. alla fine degli anni settanta erano
normali, erano impensabili in Italia: le interruzioni pubblicitarie, la pubblicità pervasiva, lo
zapping, l'uso della tv come baby sitter per i bambini e come assistente sociale per gli
anziani, la permanenza degli scolari davanti ad essa per un numero di ore equivalente a
quelle scolastiche, ecc. (per questo stadio, si può usare il termine "neotelevisione" di
Umberto Eco).
MENTRE NEGLI USA LA TV NASCE PRIVATA E DOMINATA
DALLA PUBBLICITÀ, IN EUROPA ALLE ORIGINI É PUBBLICA
O SOTTO CONTROLLO PUBBLICO
In Italia fino all'incirca alla fine degli anni settanta c'era solo la tv di Stato in bianco e
nero, inizialmente con un solo canale, con due a partire dal 1961 e con tre dal 1975, per un
limitato numero di ore al giorno, quasi del tutto priva di pubblicità e senza alcuna
sponsorizzazione dei programmi, e con un'alta percentuale di programmi culturali. Il
monopolio di Stato sulla radio risale al tempo del fascismo, ma anche la maggior parte degli
Stati europei ha adottato all'inizio forme di monopolio sulla radio e sulla tv, e anche in
Inghilterra si è fatto a lungo uso di una formula mista, e in ogni caso il settore è stato
potentemente regolato dall'intervento pubblico; solo negli Stati Uniti radio e tv sono nate e sono rimaste
essenzialmente private.
NEL 1975 IL CONTROLLO DEI CANALI RADIO E TV É
SPARTITO (IN MANIERA DISEGUALE) TRA LE FORZE DELLA
MAGGIORANZA E DELL’OPPOSIZIONE
Come era possibile conciliare in Italia il monopolio radiotelevisivo dello Stato con il
pluripartitismo, soprattutto in considerazione del fatto che la Democrazia Cristiana era
sempre e sarebbe rimasta per un futuro indeterminato al governo? Dopo un lungo periodo di

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totale predominio democristiano, in uno spirito non dissimile a quello con cui era stato
istituito il finanziamento pubblico ai partiti, erano state distribuite anche le testate dei giornali
radio e dei telegiornali. Dopo il 1975 (anno dell'istituzione del terzo canale e dell'avanzata
elettorale delle sinistre di cui abbiamo parlato) la situazione era la seguente: la D.C. aveva
tenuto per sé il tg1 e il principale giornale radio, a P.S.I. e P.S.D.I. era toccato il tg2 e un altro
giornale radio, mentre al P.C.I. e al partito repubblicano era stato lasciato il tg3 e il
radiogiornale culturale del terzo programma, che avevano meno audience.
LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE VINCOLANO
LE TRASMISSIONI PRIVATE ALL’AMBITO LOCALE
Nello stesso periodo avvenne una specie di rivoluzione: la Corte Costituzionale
stabilì che il monopolio dello Stato sull'etere - considerato risorsa collettiva e bene pubblico,
doveva riguardare solo l'ambito nazionale, mentre dovevano essere aperte alla libera
concorrenza le frequenze ricevibili a livello locale (anche la legislazione tedesca distingue
tra ambito federale e ambito locale, ed affida però le frequenze regionali ai governi dei singoli
Stati federati). Questa decisione legalizzò una serie di radio clandestine nate nello spirito del
68 e stimolò un numero enorme di imprese a lanciarsi nell'avventura delle tv a colori pagate
con la pubblicità. Ben presto nacquero alcune grosse catene nazionali che ripetevano gli
stessi programmi regione per regione. Le sentenze della Corte consentivano le
trasmissioni dirette solo a livello regionale, per cui quelle in un ambito più vasto allora
venivano trasmesse in differita. Nel periodo 80-84 si scatenò una dura competizione tra le
grandi reti nazionali: Prima Rete Indipendente dell'editore Rizzoli, presto travolto dallo
scandalo della P2 (cui era affiliato insieme a buona parte del suo staff), Italia 1 dell'editore
Rusconi, Rete 4 dell'editore Mondadori e Canale 5 di Silvio Berlusconi.
Quest'ultimo, come Rizzoli iscritto alla P2, era allora un impresario edile milanese
amico di Craxi, che vantava come suo grande merito di essersi fatto da solo, ma che non
spiegò mai, di fronte a varie ipotesi e insinuazioni dei giornalisti, chi gli avesse prestato i
primi capitali con i quali sono decollate le sue imprese edilizie. La reticenza sembrava una
sua tipica caratteristica, dato che la proprietà delle aziende da lui controllate era in alcuni
casi mascherata con il sistema della catena di società fantasma, "scatole vuote" senza né
attività né dipendenti, col solo scopo di possedere un'altra azienda simile, che ne possiede
un'altra, e un'altra ancora, finché si arriva all'azienda reale. Tale reticenza non sembra uscita
dalle sue abitudini, visto che, molti anni dopo, quando alcuni processi contro di lui per
presunte tangenti sono caduti in prescrizione, i suoi avvocati hanno preferito "accontentarsi"
di tale prescrizione, piuttosto che proseguire il procedimento giudiziario, cosa che avrebbe
eventualmente permesso di fare piena luce ed ottenere un vero e proprio proscioglimento
per innocenza.
BERLUSCONI, DIVENUTO PADRONE DI TUTTE LE GRANDI
CATENE TV PRIVATE, TRASMETTE ORMAI A LIVELLO
NAZIONALE
Nella sua lotta contro i concorrenti all'inizio degli anni '80, Berlusconi sembra avere

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una disponibilità finanziaria senza limiti, godendo tra l'altro di ampi crediti presso banche con
dirigenti legati alla P2, e riesce a battere e poi ad assorbire le imprese televisive di Rusconi e
di Mondadori (di quest'ultimo assorbirà anche la casa editrice) 5. Nel 1984 è ormai padrone
del campo, mentre le trasmissioni delle sue reti sono diventate un'abitudine per molti italiani.
A questo punto osa trasmettere in diretta contemporaneamente su tutto il territorio nazionale,
forte anche del fatto che i governi di pentapartito non hanno emanato alcuna normativa in
materia di emittenza. Ma alcuni pretori, anche per la protesta delle associazioni delle piccole
tv, ordinano alla guardia di finanza di oscurare Rete4, Italia1 e Canale5 nelle zone di loro
competenza. Le proteste dei telespettatori sono fortissime.
CRAXI CON UN DECRETO DICHIARA LEGALI LE EMISSIONI
ABUSIVE DI BERLUSCONI
Il governo Craxi emana d'urgenza un decreto (noto come "Decreto Berlusconi") che
restituisce al pubblico le sue indispensabili trasmissioni (questo decreto sarà più tardi
considerato incostituzionale dalla Corte).
Nasce così nel mercato televisivo nazionale un nuovo regime di concorrenza limitata,
il duopolio Rai-Finivest, che sostituisce il precedente oligopolio delle televisioni private. La
lunga marcia della "neotelevisione" è ormai cominciata.
MONOPOLIO, OLIGOPOLIO, DUOPOLIO. Il monopolio può essere legale o di fatto. Quello
legale consiste nel diritto esclusivo di commerciare una certa merce e di fissarne i prezzi, garantito
dalla legge (come nel caso dei tabacchi). Il monopolio di fatto consiste invece nell’esclusività del
commercio di una certa merce, grazie all’accaparramento di essa sul mercato e all’inesistenza di
concorrenza. L’oligopolio è una situazione in cui una certa merce è commerciata da un numero
limitato di grandi proprietari, che possono accordarsi per fissarne il prezzo a danno dei compratori.
Duopolio è il nome che è stato dato al regime televisivo italiano dopo il 1984: in tale regime Rai e
Fininvest (più tardi chiamata Mediaset) detengono i sei più grandi canali televisivi italiani via etere,
concentrando su di sé la stragrande maggioranza del’audience e impedendo di fatto la formazione di
un vero regime concorrenziale (cfr. sotto scheda su CONCORRENZA PERFETTA). In questo caso
però i compratori non sono i telespettatori, ma gli inserzionisti pubblicitari, che comprano spot e
sponsorizzazioni. Secondo il liberalismo, anche i cittadini sono danneggiati perché i contenuti delle tv
(fiction, tg, talk show, ecc.) sono nelle mani di due sole aziende e non offrono una vera pluralità di
punti di vista, di ideologie, di opinioni, a scapito della varietà delle posizioni politiche.

5
Le notizie su Berlusconi sono tratte da G.Ruggeri, M.Guarino,Berlusconi. Inchiesta sul signor tv, Kaos
edizioni, Milano, 1994, parte 1a. Sulle sue tv si veda anche il libro di G. Fiore in bibliografia. Sulla caduta in
prescrizione di alcuni capi d'accusa contro Berlusconi nel maggio 2000, si legga Romolo Menighetti, Ma
quale assoluzione, in "Rocca", 1 giugno 2000. Si noti che i procedimenti giudiziari contro di lui sono
cominciati ben prima che egli si occupasse direttamente di politica. Se si vuol credere a una persecuzione
giudiziaria nei suoi confronti è però arduo sostenere che essa abbia avuto dalle origini un significato politico-
ideologico.

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Cap.5. Il crollo del muro di Berlino e la


fine del bipolarismo
GORBACIOV: LA PERESTROIKA
PER GORBACIOV (SEGRETARIO DEL PARTITO DAL 1985)
IL PCUS DOVREBBE INTRODURRE GRADUALMENTE
IL PLURALISMO POLITICO E L’AUTONOMIA DELLE IMPRESE
E CONCEDERE L’INDIPENDENZA AGLI STATI SATELLITI
Il P.C.U.S. all'inizio degli anni 80, come abbiamo accennato, attraversò una forte crisi
di strategia e di leadership, che si manifestò, dopo la morte prematura di Andropov, nella
scelta di un segretario già gravemente malato come Cernenko. Solo nel 1985, morto anche
quest'ultimo, elesse un segretario giovane e dinamico, capace di affrontare sulla base di una
precisa linea d'azione la difficilissima situazione economica (indebitamento crescente con
l'occidente e peggioramento della qualità della vita) e politica (manifestazioni di
insoddisfazione e di dissidenza soprattutto nei paesi satelliti e malessere nella stessa
U.R.S.S. per la guerra in Afganistan). La medicina che costui avrebbe attuato sarebbe stata
amara per coloro che lo avevano eletto: per potersi salvare e rinnovare, il partito avrebbe
dovuto rinunciare progressivamente al monopolio assoluto del potere, e introdurre
gradualmente l'autonomia dell'impresa in economia e il pluralismo nel sistema
politico. Avrebbe dovuto anche rinunciare a limitare la sovranità degli altri Stati socialisti
e a cercare di superare o di raggiungere la superpotenza avversaria - e ovviamente
all'intervento in Afganistan.
Naturalmente egli incontrò notevoli intralci e sabotaggi sulla strada di questa grande
riforma (perestroika), che avrebbe toccato sia i privilegi del ceto burocratico sia le abitudini
della gente comune (in particolare i lenti ritmi di lavoro e la sicurezza dell'impiego). Nel piano
quinquennale 86-90 si cercò davvero di realizzare ciò su cui avevano fallito Krusciov e
Breznev: l'adattamento delle imprese di Stato, subito dotate di autonomia imprenditoriale,
alle leggi di mercato. Ciò portò, per la prima volta nella storia sovietica, alla diffusione della
disoccupazione e anche dell'inflazione, nonostante che lo Stato conservasse ancora
un'influenza sulla determinazione dei prezzi.
Sul piano politico, la prima parola d'ordine di Gorbaciov fu glasnost (trasparenza). Egli
dunque abolì la censura sulle informazioni. Inoltre introdusse nelle elezioni interne del partito
(di cui facevano parte decine di milioni di persone) il voto segreto e la pluralità di candidature
per ogni posto da assegnare. La riforma costituzionale del 1988 non osò però abolire ancora
il monopartitismo e lasciò al partito e ad altre istituzioni la possibilità di nominare un terzo dei
membri del nuovo Congresso dei Deputati del Popolo, mentre gli altri due terzi potevano
essere scelti dai cittadini tra diversi candidati. Tale Congresso fu eletto nel marzo 1989 tra

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polemiche e perplessità sulle procedure. Gorbaciov fu poi nominato presidente dell'Unione


Sovietica da questa assemblea di discutibile rappresentatività.
NEL 1987 GORBACIOV CONCLUDE CON REAGAN UN
ACCORDO PER L’ELIMINAZIONE DEI MISSILI A MEDIO RAGGIO,
MA NON OTTIENE DA LUI LA RINUNCIA ALLO “SCUDO
SPAZIALE”
Nel frattempo, dopo lunghissime trattative con gli Stati Uniti che avevano messo in
difficoltà la sua leadership, Gorbaciov era riuscito a concludere nel 1987, al terzo incontro al
vertice, un accordo per eliminare tutti i missili nucleari a medio raggio, senza ottenere
però da Reagan la rinuncia al progetto di "scudo spaziale" (SDI), il sistema antimissile
guidato dai satelliti che avrebbe dovuto difendere gli Stati Uniti da qualunque attacco
atomico, rendendo impossibile la deterrenza. Tra il 1988 e il 1989 l'Unione Sovietica ritirò
finalmente tutte le sue truppe dall'Afganistan e fu anche annunciata una sostanziosa
riduzione degli effettivi dell'Armata Rossa. Nel 1991 il nuovo presidente George Bush
(senior) aveva rinunciato allo scudo spaziale e le due potenze decisero addirittura di ridurre
della metà i missili strategici.
Con questi accordi Gorbaciov, che godeva di una straordinaria popolarità in occidente,
aveva perso moltissimo prestigio in Unione Sovietica e, più esattamente, in Russia. Qui, alla
fine dell'era di Breznev, si era diffuso non solo nel partito, ma nella stessa opinione pubblica,
un forte nazionalismo grande - russo. Il fatto che nel vertice del 1987 Gorbaciov aveva
dovuto accettare in pieno la posizione americana senza poter ottenere nulla fu uno schiaffo
per l'orgoglio nazionale. Il gruppo dirigente neoconservatore americano, conoscendo le
difficoltà interne dell'interlocutore, aveva giocato al rialzo e aveva vinto. La stessa linea
dura era stata tenuta per quanto riguarda la concessione di crediti all'Unione Sovietica, nel
momento in cui le riforme economiche non riuscivano a decollare. Differentemente dai
governi francese e tedesco, gli americani erano sostanzialmente contrari a tali aiuti, e nel
1990 bloccarono anche un prestito concesso dalla Banca Europea per la Ricostruzione
e lo Sviluppo. Gorbaciov non ottenne neppure l'applicazione nei rapporti commerciali con gli
U.S.A. la "clausola della nazione più favorita", che pure gli era stata promessa.

IL CROLLO DEL MURO DI BERLINO. LA FINE DEL BIPOLARISMO E LA SPERANZA DI


UN MONDO MENO VIOLENTO
CON LE ELEZIONI DEL GIUGNO 89 FINISCE PACIFICAMENTE
IL REGIME COMUNISTA IN POLONIA
Nel giugno del 1989, col consenso dello stesso Gorbaciov, ci furono le elezioni anche in
Polonia, dove ormai da tempo esisteva un'organizzazione politica concorrente del partito
comunista, il sindacato Solidarnosc. Anche qui una parte dei seggi della Camera furono
assegnati a priori dalle istituzioni, ma al Senato l'elezione dipendeva solo dalla libera scelta
degli elettori, e qui Solidarnosc ottenne tutti i posti tranne uno. Il regime comunista in Polonia
era ormai finito, in modo legale e pacifico. Un processo analogo stava svolgendosi anche in

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Ungheria, ma ciò che più preoccupava Gorbaciov era l'atteggiamento degli altri satelliti, i cui
gruppi dirigenti, che pure erano stati avvertiti già dal 1986 di non contare su di un intervento
militare sovietico, non volevano in nessun modo lasciare il potere. Questo comportava il
rischio di una rivoluzione violenta. Tuttavia il comportamento neutrale della Russia per i primi
due paesi incoraggiò i dissidenti di tutti gli altri a sfidare i propri governi con proteste
pacifiche, che radunarono folle sterminate.
NOVEMBRE 1989: ABBATTIMENTO DEL MURO DI BERLINO
E FINE DEL REGIME COMUNISTA TEDESCO DELL’EST
La distruzione ad opera della folla del muro della vergogna di Berlino nel novembre
1989 si situa al culmine delle manifestazioni popolari che portarono al disfacimento delle
istituzioni della Repubblica Democratica Tedesca. L'89 è contraddistinto da uno straordinario
e contagiosissimo movimento di massa nonviolento che si espande vittorioso in tutti i paesi
dell'est europeo (esso raggiunge, come vedremo, perfino la lontana Cina comunista, dove
sarà invece represso nel sangue).
1991: CON LO SCIOGLIMENTO DEL PATTO DI VARSAVIA
HA FINE UFFICIALMENTE IL BIPOLARISMO
Ben presto l'Unione Sovietica avrebbe ritirato le sue truppe da tutti i paesi dell'Europa
orientale e il Patto di Varsavia sarebbe stato sciolto (1° luglio 1991): il bipolarismo est-
ovest aveva così fine ufficialmente e il mondo sarebbe stato così ben presto liberato
dall'incubò di una terza guerra mondiale nucleare. Nello stesso periodo la Germania
Federale, pur restando nella NATO, assorbe la Germania ex-comunista, di modo che
l'assetto internazionale del 1945 è del tutto saltato.
***
Molti osservatori sono rimasti sorpresi per il modo pacifico con cui il partito comunista
sovietico ha abbandonato il potere e rinunciato al suo impero. Lo stesso crollo sovietico in
quanto tale non era facilmente prevedibile dall'esterno: la C.I.A. per esempio nel 1983
prevedeva per l'U.R.S.S. uno sviluppo economico del 3,3%, mentre in realtà l'economia era
in piena stagnazione. Come qualsiasi altro evento storico, anche questo ha qualcosa di
casuale e non del tutto spiegabile. Tuttavia le modalità del crollo ci confermano alcune
caratteristiche del regime sovietico che avevamo già analizzato: esso si distingue nettamente
dal totalitarismo nazifascista per la sua scarsa propensione alla guerra e per la sua relativa
razionalità politica. Mentre il Reich nazista, caratterizzato da un estremo irrazionalismo
vitalistico, era esploso all'insegna del "muoia Sansone con tutti i filistei", l'impero sovietico è
imploso nel tentativo di trasformarsi, per uscire nel modo meno rischioso da una grave crisi.
La burocrazia sovietica poststaliniana, opprimente e sospettosa, abituata a governare con la
repressione e con la paura, sapeva anche di aver bisogno di un minimo di consenso e, nel
tentativo di salvare qualcosa del suo regime, tentò di giungere ad un compromesso
razionale.
Notare questo non significa naturalmente dimenticare che anche dopo Stalin in

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Russia hanno continuato ad esistere i gulag e che la dissidenza politica, religiosa o anche
semplicemente culturale vi era sistematicamente perseguitata. Suona poi come
particolarmente intollerabile per la ragione umana il fatto che i dissidenti spesso fossero
trattati come casi psichiatrici, forse sulla base dell'idea che chi non sapeva apprezzare i
vantaggi della società sovietica e pensava in modo non conforme a ciò che gli era stato
insegnato non poteva essere che pazzo.
***
I REGIMI COMUNISTI SONO STATI ABBATTUTI
DA UNA GRANDIOSA LOTTA DI MASSA NONVIOLENTA
Come si è visto, la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta ha visto nascere
una nuova, breve ma intensa, "età della speranza", dopo quella del 43 - 47 e quella del 68 e
degli anni successivi. Una grandiosa lotta di massa nonviolenta svoltasi soprattutto nel 1989
e negli anni immediatamente successivi ha fatto crollare un impero e ha distrutto la sua
gigantesca macchina repressiva; essa si è incontrata con un nuovo atteggiamento da parte
della Comunità Europea che ha promesso aiuti finanziari ai paesi che stavano attuando
urgenti riforme, e che sembrava orientata a sostenere il più possibile l'azione concertata
dell'O.N.U., al posto dell'intervento autoritario dei blocchi (ormai superati) e della vecchia
politica di potenza. Anche gli Stati Uniti, benché con toni differenti da quelli europei, dopo
l'abbattimento del muro di Berlino e le prove di buona volontà sovietiche sembravano
propensi a vedere nell'O.N.U. un mezzo valido per l'instaurazione del cosiddetto Nuovo
Ordine Mondiale.
Di fronte a questa svolta, potevano provare grande soddisfazione i militanti dei
movimenti pacifisti, sempre attivi nel corso degli anni ottanta, soprattutto in Europa
(ricordiamo in particolare le marce della pace di Assisi, in cui si incontravano - e si incontrano
ancora - esponenti di diverse religioni e di diverse tendenze politiche del mondo laico).
Sembra anzi che le manifestazioni per la pace in occidente - trasmesse dai media orientali
per dimostrare le difficoltà del blocco capitalistico - abbiano funzionato come modello per le
lotte delle masse dell'est (si veda il libro di Giovanni Salio nella nostra bibliografia).
Analisti disinvolti e frettolosi, come il diplomatico nippo-americano, Francis
Fukuyama, dopo la fine del blocco orientale avevano parlato addirittura di "fine della storia":
dato che ormai la maggior parte dei paesi del mondo è retta da governi democratici, non ha
senso aspettarsi eventi veramente nuovi, come rivoluzioni e mutamenti di regime, e
diventano sempre meno probabili le guerre.
LA SANGUINOSA REPRESSIONE DEGLI STUDENTI CINESI IN
PIAZZA TIEN AN MEN
Ma la realtà è piuttosto diversa. In primo luogo proprio nel paese più popoloso del
mondo, la Cina, la democrazia non ha potuto affermarsi. Nel fatidico 1989 il movimento
nonviolento degli studenti di piazza Tien An Men, salutato da alcuni occidentali come una
sorta di nuovo 68, finiva in un bagno di sangue. La Cina comunista, differentemente dalla

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Russia, non conosce alcuna glanost, né vi si può contare su una diffusione istantanea delle
notizie attraverso i nuovi media. Se i giovani occupanti avevano potuto convincere i primi
soldati mandati a presidiare la piazza della bontà della loro causa, nuovi militari provenienti
da regioni lontane, non informati e spesso non in grado di comprendere il cinese di Pechino li
avevano sostituiti e avevano effettuato la sanguinosa repressione (egualmente le rivoluzioni
anticomuniste in Romania e in Albania, in cui permanevano delle dittatture di matrice
neostaliniana, hanno comportato - in mancanza di glasnost e di adeguata informazione - un
gran numero di morti).
Inoltre, la lotta nonviolenta di massa, che pure aveva avuto successo contro
l'U.R.S.S. e alcuni altri Stati comunisti (che, con tutte le distorsioni ricordate, si ponevano in
qualche modo sul piano della razionalità politica), non sarebbe stata praticata nei nuovi
conflitti etnici. In essi entrano in gioco odi e forme di solidarietà elementari. Così ben presto
ci saranno sanguinosi scontri tra azeri e armeni nell'ex U.R.S.S., tra rumeni e ungheresi in
Romania, tra i diversi popoli che compongono la ex-Jugoslavia, ecc.
Quanto alle promesse di prestiti della Comunità Europea, esse saranno mantenute
solo in parte. Parleremo invece fra qualche pagina della speranza di un Nuovo Ordine
Mondiale attraverso la concertazione dell'O.N.U.

DA GORBACIOV A ELTSIN: LA DISSOLUZIONE DELL'UNIONE SOVIETICA


ESTONIA, LETTONIA E LITUANIA PROCLAMANO NEL 1989 LA
LORO SOVRANITÀ LEGISLATIVA NEI CONFRONTI DELL’URSS
Il processo di disgregazione che aveva colpito il blocco orientale, colpì ben presto la
stessa Unione Sovietica. Le tre repubbliche baltiche dell'Estonia, Lituania e Lettonia,
proclamarono nel 1989 la loro "sovranità" dall'U.R.S.S. in campo legislativo e questo
portò a momenti di altissima tensione militare (anche perché nelle repubbliche risiedono
consistenti minoranze di immigrati di etnia grande - russa).
NEL 1990 ANCHE LA REPUBBLICA FEDERATIVA RUSSA SI
DICHIARA SOVRANA
Tale dichiarazione di sovranità non costituiva ancora una pretesa di piena
indipendenza, e del resto le truppe russe restavano sul posto. Ma paradossalmente nel 1990
ci fu un'altra dichiarazione simile di "sovranità" proprio da parte della Repubblica Federativa
Russa - il cuore dell'Unione e il più grande Stato del mondo, abitato prevalentemente da
grandi - russi, dall'etnia che aveva conquistato l'impero degli zar. Insomma la ribellione della
Russia alla Russia. La cosa ha un senso se si considera che il Congresso di tutta l'Unione
eletto nel 1989 con un terzo di membri designati dall'alto era già sorpassato dagli eventi: il
nuovo Parlamento russo eletto nel '90 su base locale (se si può usare questo termine per un
territorio di 17 milioni di Kmq) era stato eletto secondo criteri diversi e più equi, rifletteva un
umore già mutato dell'elettorato ed in esso c'erano equilibri politici diversi. Così Boris Eltsin,
fautore di un completo e accelerato superamento della vecchia costituzione e della vecchia

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economia, riuscì a farsi eleggere da questa assemblea presidente della Repubblica Russa, e
non volle riconoscere sopra di sé il potere federale dell'Unione Sovietica, diversamente
orientato politicamente. Eltsin si affrettò anzi a scavalcare lo stesso Parlamento che lo aveva
eletto, sottoponendo al popolo della sua repubblica un referendum che istituiva l'elezione
diretta del presidente, cosicché nella primavera del 1991 poté indire nuove elezioni presidenziali e vincerle.
NEL MARZO 91 GORBACIOV FA VOTARE UN REFERENDUM
PER L’ISTITUZIONE DI UNA FEDERAZIONE CHE LASCI
SOVRANITÀ AGLI STATI MEMBRI
Ma l'ambizione di Eltsin aveva avuto conseguenze enormi sull'Unione, perché, dopo
la Russia, tutte le altre repubbliche si erano affrettate a dichiararsi "sovrane". Gorbaciov
tuttavia aveva fatto votare nel marzo 91 un referendum che chiedeva ai popoli dei diversi
Stati federati di approvare "una rinnovata federazione di repubbliche eguali e sovrane". Tale
approvazione fu data a larghissima maggioranza quasi ovunque (anche nelle repubbliche
asiatiche a dominanza islamica) ma non nelle repubbliche baltiche e in Georgia.
Immediatamente fu elaborato un trattato di federazione, che lasciava agli organi federali
solo la politica estera, la difesa e il coordinamento interstatuale dell'economia.
DOPO IL TENTATIVO DI COLPO DI STATO MILITARE
DELL’AGOSTO DEL 1991, L’URSS CESSA DI ESISTERE
Il trattato sarebbe dovuto entrare in vigore il 20 agosto del 91. Ma il 18 agosto ci fu
un tentativo di colpo di Stato da parte di un comitato formato da alcuni ministri dello stesso
governo federale e da un gruppo di alti funzionari e ufficiali, che in realtà trovò solo un
appoggio molto debole nell'esercito. Gorbaciov fu rapito dai golpisti, ma si rifiutò di trattare e
di dimettersi. Eltsin fece prontamente appello al popolo e alle forze a lui fedeli e gli insorti
finirono per arrendersi. Egli giunse a sciogliere il partito comunista nella repubblica russa.
Ben presto, dopo le dimissioni di Gorbaciov, la stessa Unione Sovietica cessava di esistere,
cosicché le quindici repubbliche che la costituivano avrebbero avuto vita definitivamente
separata (la Comunità di Stati Indipendenti, che lega oggi nove di esse, è una forma di
confederazione elastica, da cui è sempre possibile uscire, e che non ha organi federali).
L'antico impero russo, costituito dagli zar nel corso di alcuni secoli, si era dissolto.

LA DISGREGAZIONE DEGLI STATI MULTIETNICI E LA RIPRESA GENERALIZZATA DEI CONFLITTI


TRA ETNIE
DOPO IL CROLLO DELL’URSS, IL NODO DELLA POLITICA
MONDIALE È COSTITUITO DI NUOVO DAI RAPPORTI TRA LE
GRANDI POTENZE, MA SEMBRANO RIPRESENTARSI ANCHE
GLI ANTICHI CONFLITTI TRA CIVILTÀ
Il periodo storico 1914-1991 è stato caratterizzato, come si è detto, soprattutto dal
conflitto tra sistemi ideologico - sociali: è stato un periodo di "guerre di religione". I cento anni
precedenti la prima guerra mondiale erano stati invece caratterizzati, in politica
internazionale, dal concerto tra le grandi potenze. Il crollo dell'U.R.S.S. ci riporta per certi
versi ai problemi dell'equilibrio tra potenze, benché non si tratti più esclusivamente di
Stati europei: Stati Uniti, Russia, Cina e forse anche India sembrano a questo punto gli attori

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principali, e l'Europa può pensare di giocare un ruolo decisivo solo se avrà una vera politica
estera comunitaria. Ma, per alcuni aspetti, sembra riportarci anche a più antichi conflitti
tra le civiltà, risalenti al periodo in cui l'impero zarista aveva sottomesso le etnie in gran
parte mussulmane del Caucaso e dell'Asia centrale. Come vedremo, anche fuori dall'area
dell'ex - blocco sovietico l'era che si sta aprendo è fortemente contrassegnata dai conflitti tra
civiltà e tra etnie.
DOPO CHE L’IMPERO MULTIETNICO RUSSO-SOVIETICO SI È
ESAURITO NELLA GARA CON LA SUPERPOTENZA
AMERICANA, LE REPUBBLICHE CHE LO COMPONGONO SI
RENDONO AUTONOME
In sostanza, dal punto di vista dello sviluppo delle diverse civiltà nel corso dei secoli,
l'Unione Sovietica non era nient'altro che la prosecuzione con mezzi diversi e più moderni
dell'impero multietnico zarista, in cui l'etnia grande - russa, di religione ortodossa, dominava
una serie di altre etnie appartenenti a diverse religioni e civiltà, meno moderne sul piano
tecnico o anche solo più deboli sul piano militare. L'U.R.S.S. aveva scelto come via alla
modernizzazione il modello socialista statalistico, che però (anche a causa delle
diverse condizioni di partenza) non le aveva permesso di reggere alla competizione
tecnica, economica e militare con la superpotenza americana. Uscita esausta da
questa gara, la sua debolezza era stata per le diverse repubbliche il segnale per
cercare di ottenere l'autonomia.
Bisogna dire che, a parte le tre repubbliche baltiche, la Georgia e l'Armenia (in
conflitto con l'Azerbaigian), nel momento critico non erano state le motivazioni etniche a
spingere alla separazione.
LE ELITE DIRIGENTI DELLE DIVERSE REPUBBLICHE -A
PARTIRE DALLA RUSSIA DI ELTSIN- SI AFFRETTANO A
IMPADRONIRSI DELLE AZIENDE PRIVATIZZATE (O A
CONTROLLARLE)
I gruppi dirigenti locali approfittarono piuttosto dell'eccezionale situazione di carenza
dell'autorità centrale creata dal colpo di Stato dell'agosto 1991 e della frettolosa sconfessione
dell'Unione da parte di Eltsin per impadronirsi del potere e controllare direttamente il
processo di riforma economica e di de-nazionalizzazione dell'industria ormai avviato (il che
ha significato in molti casi che gli alti funzionari di partito sono diventati grandi azionisti delle
più importanti aziende privatizzate locali). Nonostante l'allarme suscitato dalla crescita
demografica delle etnie di religione islamica, non c'era alcuna significativa rivendicazione
etnica o religiosa nei confronti del potere centrale prima dello scioglimento dell'Unione
Sovietica, ufficialmente proclamato nel novembre 91. Ma i problemi dovevano nascere
necessariamente in seguito, quando per la mancanza di un comando posto nettamente al di
sopra delle parti le etnie conviventi rimisero in discussione i loro equilibri.
IN PRECEDENZA IN URSS LE ETNIE NON ENTRAVANO IN
CONFLITTO PERCHÉ TUTTE EGUALMENTE SOTTOPOSTE AL
POTERE CENTRALE
Dopo il pugno di ferro usato da Stalin, che, tra l'altro, aveva deportato in massa il

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popolo islamico dei ceceni, accusato di collaborazione con i nazisti, la Russia comunista
aveva a suo modo cercato di integrare i popoli sottomessi, sviluppando il sistema di
educazione primaria nelle lingue locali, diffondendo la cultura laica e socialista,
promuovendo lo sviluppo economico e, inoltre, facendo emigrare in tutti gli stati dell'unione
consistenti gruppi di militari, tecnici e lavoratori specializzati grandi - russi. Ma in tutti i casi
tali popoli non avevano nulla da temere l'uno dall'altro, perché le regole ferree per tutti erano
dettate dal partito (la cui spina dorsale era costituita soprattutto dall'etnia grande - russa).
IN JUGOSLAVIA IL GRUPPO DIRIGENTE DI TITO BLOCCA
DALL’ALTO I CONFLITTI ETNICI
Non troppo diverso era stato il caso della Jugoslavia. Anch'essa aveva mantenuto
sotto un unico comando una gran numero di etnie, gruppi linguistici, confessioni religiose e
civiltà diverse. Questo Stato era nato dopo la prima guerra mondiale dal bisogno degli slavi
della Slovenia e della Croazia di associarsi ad uno Stato slavo più forte (cioè la Serbia) per
garantirsi da eventuali rivalse dell'Austria e dell'Ungheria e ambizioni dell'Italia. Ma la
Serbia, che proprio con la prima guerra mondiale aveva ottenuto la Bosnia-Erzegovina,
conteneva già numerose e consistenti minoranze. Alla fine il nuovo regno di Jugoslavia
conglobava popoli appartenenti non solo a etnie, ma a civiltà diverse: i croati e i serbi parlano
una lingua molto simile, ma la scrivono con due alfabeti diversi, latino e cirillico, perché
appartengono rispettivamente alla cultura cattolica e a quella ortodossa, e inoltre i primi sono
rimasti per secoli sotto il dominio degli Asburgo d'Austria, e quindi sostanzialmente in
contatto con il resto dell'Europa, mentre i secondi nel frattempo erano sottomessi all'impero
turco ottomano; quest'ultimo era riuscito a convertire all'islamismo sia un nucleo consistente
di slavi di Bosnia, sia gli albanesi del Kossovo.
Dopo un periodo di convivenza già abbastanza conflittuale tra il 1919 e la seconda
guerra mondiale, l'occupazione tedesco - italiana della Jugoslavia nel 41 aveva esasperato
gli odi reciproci: i croati, aiutati dagli occupanti, avevano eliminato i serbi a centinaia di
migliaia (forse seicentomila). Questi ultimi, in proporzione al loro numero complessivo, sono
una delle tre etnie più colpite dai nazisti nella seconda guerra mondiale, insieme agli ebrei e
ai russi.
Al contrario Tito (di origine croata) aveva imposto nel nuovo Stato comunista la
supremazia della politica sulle questioni etniche, anche se ciò non aveva impedito alla fine
della guerra agli jugoslavi di compiere le loro vendette etniche con le "foibe", stragi
indiscriminate in cui perirono quattro - cinquemila italiani dell'Istria6.
L’”AUTOGESTIONE” DELLE IMPRESE
Egli aveva anche saputo realizzare una variante del socialismo statalistico che
lasciava un certo spazio autonomo all'impresa e, dentro di essa, agli operai (“autogestione”).

6
Secondo l'intervento di Raoul Pupo, in Giampaolo Valdevit (a cura di), Foibe. Il peso del passato. Venezia
Giulia 1943-1945, Venezia, Marsilio, 1937, p.37, "le stime più attendibili si attestano (...) sull'ordine delle
4.000 - 5.000 vittime".

120
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Ciò non di meno era rimasto notevole il divario economico tra i diversi Stati della
federazione, perché la Slovenia e la Croazia, di civiltà asburgica cattolica, più vicine alla
mentalità occidentale e più propense all'imprenditorialità e all'iniziativa economica, si sono
sviluppate più in fretta della Bosnia Erzegovina, della Serbia, del Montenegro e della
Macedonia, che conservano consistenti tracce della civiltà e della mentalità turco - ottomana.
La Jugoslavia, già diversa nel suo sistema economico dai paesi comunisti satelliti
della Russia e per lungo tempo rimasta isolata sia dal blocco orientale che da quello
occidentale, si aprì con entusiasmo al commercio con l'occidente tra gli anni sessanta e
settanta e contrasse ingenti debiti per finanziare lo sviluppo. Priva di significative risorse
energetiche, essa si trovò in difficoltà per il rincaro del petrolio già all'inizio degli anni ottanta,
proprio in corrispondenza con la morte di Tito (1980), la cui personalità e il cui potere erano
stati un importante fattore di coesione.
IL PAGAMENTO DEL DEBITO É UN MOTIVO DI TENSIONE TRA
GLI STATI FEDERATI
Il pagamento del debito costituì un notevole motivo di tensione tra gli Stati della
Federazione. In particolare le ricche repubbliche del nord erano sempre più insofferenti della
convivenza con gli Stati più arretrati del centro e del sud, che costituivano una palla al piede
per tale pagamento. Già negli anni ottanta le amministrazioni comincia rono a dividere le loro
organizzazioni e le loro risorse al punto che, per esempio, le ferrovie stesse funzionavano separatamente Stato
per Stato.
PRIMA PASSAGGIO INDOLORE AL MULTIPARTITISMO. POI
GUERRE INTER-ETNICHE
Il passaggio al multipartitismo da parte della Russia fu un esempio decisivo per la
Jugoslavia - anche se in teoria quest'ultima avrebbe potuto compierlo in qualunque
momento, visto che non apparteneva al blocco sovietico. Esso fu, tutto sommato, piuttosto
indolore, e molto più che altrove il personale del vecchio partito comunista venne recuperato
al nuovo sistema multipartitico. Invece tragicamente conflittuale è stata, come è noto, la
disgregazione della Federazione, che ha dato luogo ad una serie di sanguinosissime guerre
etniche.

I CONFLITTI TRA ETNIE E TRA CIVILTA' SONO LA REGOLA NEL


NUOVO MONDO POST-BIPOLARE?
Non è stata solo la crisi del potere centrale nei due Stati multietnici dell'U.R.S.S. e
della Jugoslavia a dare inizio a questo tipo di conflitto. Abbiamo già visto che il
fondamentalismo islamico è una reazione alla penetrazione economica e culturale del
capitalismo occidentale fin nel cuore di antichissime civiltà.
LA DIFFUSIONE DEI REGIMI ISLAMICI BASATI SULLA LEGGE
CORANICA
Naturalmente se i casi dell'Iran di Khomeini e del regime islamico afghano dei
talebani sono quelli che colpiscono di più, l'elenco dei regimi che si dichiarano ufficialmente

121
122

islamici e considerano la legge coranica come norma fondamentale dello Stato sono alla
fine del XX° secolo piuttosto numerosi: l'Arabia Saudita (che lo ha fatto fin dalle sue origini,
ma che si è sempre schierata con gli Stati Uniti), il Pakistan, il Sudan, la Libia di Gheddafi e
l'Irak di Saddam Hussein (gli ultimi due sono stati in precedenza regimi socialisti arabi).
Inoltre un movimento fondamentalista islamico (il F.I.S.) ha vinto le prime elezioni
pluraliste in Algeria, retta da un regime socialista arabo dopo l'indipendenza, nel dicembre
1991 - gennaio 1992. Esse però sono state annullate da un colpo di Stato militare, dopo il
quale è cominciata una guerriglia tra le più sanguinose e spietate del secolo. Anche qui,
come in Iran, la motivazione fondamentale dell'opposizione degli integralisti contro il governo
è il fatto che quest'ultimo ha ceduto ai valori e ai costumi dell'occidente.
I MOTIVI DEI CONFLITTI ATTUALI SONO MOLTEPLICI
Tuttavia non sempre i conflitti inter-etnici sono spiegabili con un rifiuto della civiltà e
della cultura occidentale. La forte ostilità tra l'India e il Pakistan mussulmano, di cui abbiamo
già parlato a proposito della nascita del Terzo Mondo, ha origini piuttosto diverse, benché
anche qui, come nel caso dell'U.R.S.S., abbia avuto come occasione la disgregazione
dell'Impero britannico delle Indie, multietnico e multi-religioso. Anche la rivalità tra Cina e
India, che dura ormai da mezzo secolo, è più facile da spiegare in termini di politica di
potenza e di geopolitica (qualcosa di simile al dissidio russo-cinese) che in termini di
contrapposizione democrazia - comunismo. In effetti l'India è stata a lungo in buoni rapporti
con l'U.R.S.S., comunista per antonomasia, in funzione anti - cinese, mentre la Cina è amica
del Pakistan islamico in funzione anti - indiana.
I CONFINI DEGLI STATI AFRICANI ATTUALI SONO STATI
FISSATI DALLE POTENZE COLONIALI SENZA TENER CONTO
DELLE DIVISIONI ETNICHE E TRIBALI
Anche i numerosi e sanguinosissimi conflitti sorti alla fine del XX° secolo nell’Africa
sub-sahariana non possono essere spiegati in questo modo. Certo l'occidente in qualche
modo ha contribuito indirettamente alla loro nascita. I confini tra gli Stati africani attuali
corrispondono solo alle linee di spartizione dell'Africa tra le diverse potenze europee e ai
confini amministrativi interni dei diversi imperi coloniali, che non tenevano in nessun conto
delle realtà etniche e tribali. Questo del resto non aveva provocato allora delle proteste
nazionalistiche, per il semplice fatto che in Africa le nazioni in senso europeo non esistevano
(del resto i confini coloniali erano attraversati senza problemi dai nomadi o dai mercanti). I
nuovi Stati improvvisati sono stati poi affidati ad una classe dirigente indigena di formazione
europea, per molti versi estranea al tessuto profondo del proprio continente, ma spesso
condizionata dagli interessi delle grandi multinazionali europee e anche americane. Anche la
crescita smisurata del debito pubblico e dei suoi interessi e la mancanza di scrupoli dei
mercanti d'armi costituiscono fattori di destabilizzazione, cosicché oggi la maggior parte degli
Stati africani, nati come democrazie, sono regimi semi autoritari o autoritari (o dittature
militari), spesso bellicosi.

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CRESCITA DEI DISSIDI DI TIPO ETNICO NEL MONDO


OCCIDENTALE

Ma anche nel mondo occidentale e in paesi di antica democrazia si accentuano in


questo periodo dissidi e contrasti politici per motivi etnici. Essi si manifestano per esempio in
Scozia e nel Galles per quanto riguarda l'Inghilterra, in Corsica per quanto riguarda la
Francia, nel Quebec francofono per quanto riguarda il Canada, tra i fiamminghi e i valloni del
Belgio e, benché in termini difficilmente comparabili con i casi precedenti, nell'Italia del nord
(tuttavia i conflitti veri e propri, come quello nord-irlandese e quello basco, non sono venuti
affatto accentuandosi).
LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA INDEBOLISCE GLI STATI-
NAZIONE E GLI INTERESSI LOCALI SI RIDESTANO CONTRO DI
ESSI
In tutte queste regioni i problemi più o meno antichi di rapporto con lo Stato centrale o
con l'etnia maggioritaria si mescolano con rivalità economiche dei nostri tempi. Sullo sfondo
di queste difficoltà di rapporto tra centro e periferia c'è il fatto che, a causa della
globalizzazione dell'economia, gli Stati-nazione hanno cominciato in tutto il mondo a
indebolirsi di fronte al crescente potere delle grandi multinazionali e dei mercati finanziari.
Per questo emergono le identità regionali e locali che erano state da lungo tempo compresse
in nome dei vantaggi dell'amministrazione unitaria o della superiorità storica dell'identità
nazionale.
LE AZIENDE VENDONO SUL MERCATO GLOBALE E NON PIÙ IN
PRIMO LUOGO NEL LORO PAESE, PER CUI NON TRAGGONO
PIÙ VANTAGGIO DALLE SPESE DELLO WELFARE STATE
In effetti, grazie anche alla telematica e alla diminuzione dei costi di trasporto aereo,
le grandi aziende hanno accentuato il loro assetto multinazionale. Anche le piccole imprese
lavorano sempre più per il mercato mondiale. Lo Stato-nazione, oltre ad essere fonte di
tasse spese per lo Welfare delle classi popolari, non costituisce più il mercato primario
per le sue stesse aziende, che in precedenza accettavano più volentieri una severa
tassazione e alti salari in quanto sapevano che la spesa pubblica e il consumo operaio
avrebbero fornito opportunità insostituibili di vendita.

LE DIFFICOLTA' DELLO STATO-NAZIONE ITALIANO:


L’ESPLODERE DEL PROBLEMA MAFIA, LA LEGA E L'"IDENTITA'"
SETTENTRIONALE", TANGENTOPOLI E LO SFASCIO DEI PARTITI
In questo periodo anche in Italia si sviluppa il malcontento contro lo Stato
centralizzato. La pubblica amministrazione nel nostro paese è da molto tempo malata di
elefantiasi e inefficienza, al punto che - come è si accennato - la sua riforma era all'ordine del
giorno già per i primi governi repubblicani di De Gasperi. In tale contesto, le spese dello
Welfare hanno accentuato la tendenza allo spreco, alla corruzione e al clientelismo, che era
uno dei nostri mali antichi (si pensi al governo Giolitti all'inizio del secolo). Oltre a ciò, nel

123
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periodo del pentapartito si sviluppa il legame tra la mafia (e anche altre associazioni di
stampo mafioso) e gli organi dello Stato.

UN VECCHIO-NUOVO TOTALITARISMO: LA MAFIA, MINACCIA


PER LA LEGALITÀ DEMOCRATICA E PER IL LIBERO MERCATO
Ormai conclusa la lunga serie degli assassinii brigatisti e delle stragi non rivendicate
degli anni settanta, l'Italia è adesso sconvolta da una serie di attentati mafiosi ai danni di
giudici (come Falcone e Borsellino) e di poliziotti (come il generale dei carabinieri Dalla
Chiesa) che combattono queste associazioni criminali e cercano di individuarne le
ramificazioni nel mondo politico. La politica mafiosa, con brogli e minacce, ma anche con la
promessa di appalti, posti di lavoro e di investimenti, si dimostrò capace in molte aree del
sud di pilotare le preferenze degli elettori su uomini di sua fiducia e di infiltrarsi nei partiti di
governo7.
Cerchiamo di classificare il fenomeno mafioso dal punto di vista amico-nemico, come
abbiamo fatto finora con gli altri fenomeni sociali. Le organizzazioni di tipo mafioso si
contrappongono all'intera società:
Noi = gli uomini d'onore, solidali tra loro, che non temono la morte e che disprezzano le regole

cui è sottoposta la massa della gente comune.

Loro ( tutti gli altri) = i mezzi uomini, i vigliacchi, i “quaquaraquà” che non hanno né coraggio

né vincoli di solidarietà e si affidano alla protezione dello Stato.

Benché solo sui loro associati e sulle loro vittime, la mafia, la 'ndrangheta e la
camorra esercitano un potere terroristico di tipo totalitario; sono inoltre capaci di
esercitare ricatti o di intessere alleanze nel mondo economico e politico, inquinando le
regole del mercato e della democrazia.
ORIGINI STORICHE DELLA MAFIA NEL SOTTOSVILUPPO
ECONOMICO
Esse nacquero come reazione da parte di società tradizionali nei confronti della
modernizzazione accelerata, importata e imposta dopo l'unità d'Italia da forze estranee (lo
Stato dei Savoia, la concorrenza invincibile delle merci del nord) e per questo hanno goduto
7
Nel sistema proporzionale allora in vigore, oltre al voto per il partito, era possibile esprimere una preferenza
per un candidato della lista del partito votato. Con tali preferenze, veniva formata una graduatoria interna tra
i candidati, per determinare quale tra di essi avrebbe avuto uno dei seggi spettanti all'intera lista, determinati
col voto proporzionale (il capolista, che aveva le maggiori probabilità di essere eletto, era però designato
direttamente dal partito).
Per esprimere la preferenza si doveva scriverla sulla scheda, cosa che permetteva di inserire un
qualche segno di riconoscimento che poteva essere controllato dallo scrutatore legato al candidato
"preferito". Ma c'era un metodo infallibile (benché illegale) per controllare il voto: uno scrutatore sottraeva
una delle schede già contate dal seggio, e la faceva consegnare, già votata, ad un elettore della sua
clientela elettorale fuori del seggio; costui passava nella cabina elettorale fingendo di votare, deponeva
nell'urna la scheda già votata e si teneva la scheda regolare che gli era stata data. Consegnava poi tale
scheda fuori all'uomo dell'organizzazione, che la votava e la passava ad un altro "cliente", e così di seguito.
Alla fine lo scrutatore poteva infilare con un po’ di abilità l'ultima scheda rimasta tra le schede già votate al
momento dei conteggi. In tal modo il numero delle schede era quello dovuto.
L'intero marchingegno permetteva di avere la certezza assoluta che tutti quelli che avevano
promesso il proprio voto (in cambio di favori) mantenessero l'impegno.

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a lungo non solo dell'omertà, ma perfino dell'approvazione di molti concittadini. Di fronte alle
risorse economiche, tecniche e organizzative della società capitalistica moderna, le risorse
delle comunità tradizionali erano la solidarietà degli appartenenti allo stesso clan familiare o
alla stesso villaggio o quartiere, e l’abitudine all’uso della violenza da parte di banditi e di
pastori. Ma queste risorse vengono usate dai membri delle associazioni mafiose per la
promozione dei loro interessi e non di quelli della comunità nel suo complesso, benché essi
si presentino, nella loro ideologia, come difensori dell’onore, della tradizione e perfino della
religione.
Come abbiamo visto, queste associazioni però nell'era del bipartitismo imperfetto e in
particolare del pentapartito hanno saputo adeguarsi ai tempi e intessere alleanze con la
politica e anche con i poteri economici del nord, e scambiare voti e favori con appalti pubblici
e possibilità di riciclaggio dei loro proventi nel sistema bancario.
REAZIONE DEI MOVIMENTI ANTIMAFIA E DELLE ISTITUZIONI
CONTRO LA MAFIA DELLE STRAGI
In seguito però le pubbliche istituzioni e il movimento antimafia della società civile,
sviluppatosi già negli anni ottanta con grandiose manifestazioni a Palermo e in molte parti
d’Italia e con il coraggioso rifiuto di pagare il pizzo da parte dei commercianti organizzati,
hanno conseguito significativi successi. E questo soprattutto in reazione ad alcuni attacchi
particolarmente duri da parte della mafia, il primo dopo gli assassini del prefetto di Palermo
generale Dalla Chiesa e del deputato comunista Pio La Torre nel 1982, il secondo dopo che i
giudici Falcone e Borsellino sono saltati in aria insieme con gli agenti delle loro scorte nel
1992. Nel 1993 infine la mafia passò al metodo, già usato dal terrorismo nero, delle stragi di
passanti con attentati alla bomba (a Firenze e a Milano) per far pressione sullo Stato che
stava preparando nuove disposizioni contro di essa. Questo suscitò invece una reazione in
senso opposto, e la lotta contro la mafia divenne allora più dura e anche più efficace.
Da quel periodo la mafia è stata combattuta non solo con gli inasprimenti di pena, con un
particolare regime carcerario e con sconti di pena ai mafiosi che collaborano con la giustizia
(detti “pentiti”), ma anche con l’assegnazione a cooperative sociali dei beni sequestrati ai
mafiosi, proprio per scalzare il loro consenso tra la gente, legato alla miseria e alla
disoccupazione.
LA FINE DEI BLOCCHI E LA SCOMPARSA DEL NOME “PCI”
Torniamo alla politica. Nel frattempo, la dissoluzione del blocco sovietico e la nuova
immagine del P.C.I. avevano tolto ai partiti della maggioranza ogni traccia di giustificazione
ideologica: il vecchio voto di appartenenza che schierava a priori molti piccoli proprietari e
molti cattolici contro l'asserito comunismo statalista, ateo e liberticida del P.C.I., se mai
aveva avuto un senso, aveva cessato del tutto di esistere. Questo partito, ai cui tesserati
non era del resto richiesto nemmeno prima di fare professione di marxismo, si era finalmente
deciso a togliere dai suoi statuti il riferimento al marxismo e prendere il nome di Partito
Democratico della Sinistra (1990).

125
126

Una così lunga esitazione (se si pensa che la corrente di Amendola era già propensa
a cambiar nome negli anni sessanta e che Achille Occhetto lo aveva proposto nel 1985)
dipende dalla resistenza di due tendenze opposte: da un lato i vecchi militanti legati al mito
dell'Unione Sovietica, "patria del socialismo" e forza decisiva nella vittoria contro il nazismo,
dall'altro gli intellettuali e soprattutto i giovani entrati nel partito dopo l'esperienza del 68, che
intendono "comunismo" nel senso originale di Marx, come liberazione dall'alienazione e
come democrazia diretta. Dopo il cambiamento del 1990, si staccherà infatti dal partito la
corrente favorevole al mantenimento dell'antica denominazione (diventata poi Rifondazione
Comunista).
Questa estinzione completa del bipolarismo contribuì, come si è detto, a togliere
ulteriormente senso al voto d'appartenenza democristiano. Ma questo non bastava a rialzare
le sorti del PDS, che da un lato, per la disindustrializzazione, vedeva progressivamente
assottigliarsi la sua base sociale e, dall'altro, scontava la debolezza e la disponibilità al
compromesso con cui aveva condotto la sua opposizione negli anni precedenti. Esso
dunque da allora è rimasto stabilmente al di sotto delle percentuali del vecchio P.C.I. La crisi
della D.C. favorì piuttosto alcune nuove formazioni, come la Rete (che raccoglieva molti
cattolici e anche ex-comunisti e che lottava contro la corruzione dello Stato) e la Lega
Lombarda. Quest'ultimo partito, diventato Lega Nord dopo essersi consociato con la Liga
Veneta, attacca l'inefficienza e la corruzione "romana" nel nome di una asserita identità
etnica e morale delle regioni settentrionali, più oneste e attive (nelle elezioni politiche del
1992 la Lega raggiunse l'8,7% a livello nazionale e il 20% in Lombardia e in Veneto).
I GIUDICI DI MILANO OTTENGONO LE CONFESSIONI DI
POLITICI E UOMINI D’AFFARI, FACENDO EMERGERE IL
SISTEMA DELLE TANGENTI
Ma c'era un ben più grave motivo di crisi per la DC e i suoi quattro alleati di governo.
Proprio in questo periodo i giudici milanesi smascherano una rete di corruzione operante
negli enti pubblici di Milano e della Lombardia, poi nota come Tangentopoli. Da tempo era
ben noto che certe imprese riuscivano sistematicamente a vincere le gare d'appalto, e che i
costi preventivati delle opere pubbliche crescevano in misura abnorme in corso d'opera.
Facendo un ampio uso della custodia cautelare (cioè della detenzione in attesa di processo)
i giudici riuscirono a ottenere da politici e da uomini d'affari importanti confessioni, che
rivelarono un sistema di tangenti che collegava certi settori capitalistici con i partiti della
maggioranza pentapartita. Il sistema coinvolgeva tali partiti fino al livello nazionale, per cui ci
fu una serie di processi (e non solo a Milano) contro importanti esponenti politici, soprattutto
democristiani e socialisti - tra cui Craxi e Forlani, che furono in seguito condannati (mentre
Andreotti fu accusato di connivenza con la mafia).
Fu allora che il vecchio sistema dei partiti si dissolse completamente, al punto che la
D.C. cambiò nome in Partito Popolare e subì varie scissioni, il PSDI e il PRI si ridussero a
formazioni insignificanti, e il Partito Liberale Italiano scomparve (gli esponenti questo piccolo

126
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partito, che oltre a tutto non avrebbe dovuto avere problemi di finanziamento essendo esso
tradizionalmente legato alla Confederazione degli industriali Italiani, in proporzione alla sua
grandezza ebbero più processi dei democristiani e dei socialisti).

IL DEBITO PUBBLICO, GRANDE COME IL PIL, MINACCIA DI


IMPEDIRE L’INGRESSO DELL’ITALIA NELLA COMUNITÀ
EUROPEA
Lo Stato nazionale italiano, contestato in nome di un radicale federalismo (in
sostanza dell'autonomia delle regioni più ricche e industrializzate), scosso da scandali che
minavano la credibilità del suo ceto politico e dei suoi imprenditori, e infine afflitto da un
debito ormai grande come il prodotto interno lordo e che minacciava il suo ingresso
nella comunità europea, sembrava destinato al collasso.
I REFERENDUM DEL 1991 E DEL 1993 PROVOCANO IL
PASSAGGIO AL SISTEMA ELETTORALE UNINOMINALE
Il sistema dei partiti aveva ricevuto un duro colpo non solo dai processi, ma anche dai
referendum sulle leggi elettorali del 1991, che colpiva il sistema delle preferenze8, e del
1993, che, abolendo alcuni articoli della legge in vigore, rendeva uninominale il sistema
elettorale del Senato. Il parlamento dovette votare una nuova legge, che aboliva per
Camera e Senato il sistema proporzionale, in cui sono i partiti che decidono le liste dei
candidati, sostituendolo con il sistema uninominale, in cui si votano direttamente i nomi dei
singoli, e per ogni collegio elettorale è eletto quel candidato che ottiene la maggioranza
semplice (comunque il 25% dei seggi è ancora riservato ai candidati delle liste scelte dai
partiti). Questo sistema avrebbe dovuto introdurre anche in Italia un sistema bipartitico
all'inglese, cosa che in parte si è verificata, con la formazione di due poli contrapposti a
partire dalle elezioni del 1994.
Il problema del deficit di bilancio fu invece affrontato con successo dal governo Amato
prima (92-94) e dal governo Prodi poi. Il primo fece scomparire del tutto la "scala mobile" dei
salari e abbatté gran parte del sistema di Welfare, cominciando a denazionalizzare tutta una
serie di imprese di Stato. Il governo Prodi proseguì quest'opera, tagliando ulteriormente le
spese e riducendo al minimo l'inflazione. Queste comunque erano le richieste sia del Fondo
Monetario Internazionale, sia della comunità europea, per cui, dopo questi dolorosi tagli,
l'Italia ha potuto entrare nel numero dei paesi che introdurranno per primi l'uso della moneta
unica europea.
SCHEDA. I PARTITI IN PARLAMENTO E LE MAGGIORANZE DI GOVERNO NELLA COSIDDETTA
“2a REPUBBLICA” (vedi anche Scheda su I PARTITI DELLA 1a REPUBBLICA).
In seguito ai referendum citati del 1991 e del 1993, la legge Mattarella (detta “Mattarellum”) nell’agosto
1993 ha sostituito l’elezione con il sistema elettorale proporzionale alle elezioni con un particolare
sistema misto. Il 75% dei seggi infatti è assegnato con il sistema uninominale e il 25% con il sistema
proporzionale ai partiti che hanno ottenuto più del 4%. Con essa si sono svolte solo le elezioni del 1994,
del 1996 e del 2001. Nel 2006 è stata sostituita dalla legge Calderoli (“Porcellum”) che abolisce la parte
uninominale e assegna alla maggioranza relativa un premio di maggioranza che la trasforma in
maggioranza assoluta.

8
Vedi nota precedente.

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128

Distinguere dal punto di vista ideologico-politico i partiti nella 2a Repubblica è molto più difficile che
nella 1°, e la confusione aumenterà nel sec.XXI° con la fondazione del PD e del PDL. In effetti quasi tutti
si considerano liberaldemocratici e inoltre aderiscono a qualche versione del neoliberismo.

LE TRASFORMAZIONI DEI PARTITI DELLA 1a REPUBBLICA

PCI:
nel 1991 la maggioranza di questo partito assume il nome di
-PDS (PARTITO DEMOCRATICO DELLA SINISTRA, nel 1998 solo DS). Partito di ispirazione
socialdemocratica, diviso in correnti. Alternativamente primo o secondo partito, promuove nel 1994 la
coalizione di sinistra dei Progressisti insieme ai comunisti del PRC, e nel 1996 la coalizione di centro-
sinistra dell’Ulivo, nella quale è largamente maggioritario. Il PDS, nel 2007, insieme al PPI-
MARGHERITA e ad altri partiti minori, formerà il PD (PARTITO DEMOCRATICO – nome preso a
imitazione dell’omonimo partito americano).
-PRC (PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA). È il nome che assume nel 1991 la minoranza
del PDS, rimasta fedele al marxismo, a cui si aggiunge DEMOCRAZIA PROLETARIA.

DC:
Nelle elezioni del 1994 essa si spacca, dando luogo a vari partiti:
1) PATTO SEGNI. Partito personale dell’ex-DC Mario Segni, unico eletto nel 1994 (scompare).
2) CCD (CENTRO CRISTIANO DEMOCRATICO). Piccolo partito cattolico di centro destra, alleato di
Berlusconi.
3) PPI (PARTITO POPOLARE ITALIANO). È il più grosso partito cattolico, inizialmente diviso tra una
corrente di centro destra, favorevole ad un’alleanza con Berlusconi, e ad una di centro sinistra,
favorevole ad un’alleanza col PDS. L’ala destra nel 1995 si staccherà, formando il CDU, e confluirà poi
nel CCD. Il grosso del PPI si alleerà invece col PDS formando la coalizione dell’ULIVO. Nel 2000,
insieme ad altri partiti minori, il PPI assumerà il nome di MARGHERITA. Nel 2007, insieme ai DS,
formerà il PD (PARTITO DEMOCRATICO).
4) UDEUR-UDR, piccolo partito centrista, legato a Clemente Mastella, oscillante tra centro-destra e
centro-sinistra.
5) UDC, piccolo partito centrista, legato a Pierferdinando Casini, oscillante tra centro-destra e centro-
sinistra.

MSI:
Cambierà nome in AN (ALLEANZA NAZIONALE) e nel congresso di Fiuggi adotterà una posizione di
destra conservatrice, nazionalista e liberista.

LIGA VENETA e LEGA LOMBARDA:


formano nel 1995 la LEGA NORD, regionalista, autonomista e xenofoba, sempre più caratterizzabile
come partito di centro-destra o di destra.

VERDI:
Continuano ad esistere, ma a un certo punto per ottenere seggi in Parlamento dovranno associarsi ai
Progressisti e al PD.

Nota. Molti piccoli partiti della 1a Repubblica continuano ad esistere anche senza ottenere
rappresentanza parlamentare. Qualcuno si è associato ai grandi partiti, ottenendo qualche
rappresentante eletto nelle liste di questi ultimi.

I PARTITI NUOVI

FI (FORZA ITALIA). Fondato da Berlusconi nel 1994, partito liberale e liberista di centro-destra,
raccoglie personale di Fininvest e esponenti del PSI, del PLI e della DC. È alternativamente il primo o il
secondo partito e promuove la coalizione di centro-destra detta “Polo delle libertà”, in cui ha un’ampia
maggioranza. Insieme a AN, formerà nel 2001 il PDL (POPOLO DELLE LIBERTÀ).

IdV (ITALIA DEI VALORI). Piccolo partito di centro-sinistra fondato nel 1998 dall’ex-pubblico
ministero di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Al centro del suo programma c’è la lotta contro la
corruzione.

SEL (SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTÀ). Fondato nel 2009 da Niki Vendola e altri, riunisce
associazioni politiche di sinistra di ispirazione socialista ed ecologista. È rappresentato dal 2013 in
Parlamento grazie alla coalizione con la lista PD. Alle europee del 2014 SEL ha dato il suo sostegno alla
lista L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS (contro la politica di austerità della CE).

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M5S (MOVIMENTO 5 STELLE). Fondato nel 2009 da Grillo e Casaleggio, esso si considera un “non-
partito” e rifiuta il posizionamento destra-sinistra. Nel suo programma c’è il risanamento dell’ambiente,
la lotta contro la corruzione e contro le posizioni dominanti in economia, la trasformazione della
democrazia rappresentativa in democrazia partecipativa.

MAGGIORANZE E GOVERNI DURANTE LA 2a REPUBBLICA

XIIa Legislatura 1994-1996:


1994-1995. 1° Governo Berlusconi, centro-destra, sostenuto da FI, MSI (AN), LEGA e CCD.
1995-1996. Governo Dini, “governo tecnico”, formato da ministri non politici, appoggiato dall’esterno da
tutti i partiti tranne FI e AN.
XIIIa legislatura 1996-2001:
1996-1998. 1° Governo PRODI, centro-sinistra, sostenuto da PDS, PPI, VERDI, PRC e altri.
1998-2001. 1° e 2° Governo D’Alema, 2° Governo D’Amato, di centro-sinistra ma più spostati a destra,
sostenuti dagli stessi partiti meno il PRC e più l’UDEUR.
2001-2005. 2° Governo Berlusconi, centrodestra. Sostenuto da FI, AN, LEGA, CCD-CDU, UDC e altri.
2005-2006. 3° Governo Berlusconi. Sostenuto dagli stessi tranne l’UDC.
XIVa legislatura (2006-2008):
2006-2008. 2° Governo Prodi, centrosinistra. Sostenuto da PDS e MARGHERITA (poi PD), PRC, IdV,
VERDI, UDEUR e altri. Questo governo aveva una sufficiente maggioranza alla Camera grazie al premio
di maggioranza e una maggioranza minima al Senato, a causa dell’irrazionale sistema dei premi di
maggioranza del Porcellum (premi assegnati regione per regione, mentre alla Camera erano assegnati su
base nazionale).
XVa legislatura (2008-2013):
2008-2011. 4° Governo Berlusconi, centro-destra. Sostenuto da PDL, LEGA e altri. Col tempo, diversi
componenti della maggioranza la abbandonano, sostituiti in parte da singoli parlamentari delle
opposizioni.
2011-2013. Governo Monti. “Governo tecnico” con l’appoggio di tutti i partiti, tranne la Lega Nord e IdV.
XVIa legislatura (cominciata nel 2013). La legge elettorale “Porcellum”, insieme alla inconciliabilità
politica e ideale dei tre maggiori partiti in lizza, producono nel febbraio 2013 un Parlamento spaccato in
tre parti avverse: il PD (presentatosi in coalizione con SEL) che ha un’ampia maggioranza alla Camera e
non ha la maggioranza al Senato, che si è presentato in campagna elettorale come avversario deciso di
Berlusconi, il M5S, che, col sistema proporzionale è il partito di maggioranza relativa (25%), il quale per
principio non accetta di sostenere nessuna coalizione, e il PDL di Berlusconi (centrodestra), che è il terzo
partito.
2013-2014. Governo di Enrico Letta, sostenuto da un’amplissima maggioranza formata dal PD e dal
PDL, nonché dall’UDC e da Scelta Civica (il piccolo partito di Monti). All’opposizione ci sono il M5S, SEL
e la LEGA.
--Dal 2014 c’è il Governo Renzi, che ha la stessa maggioranza del precedente, salvo per la perdita di una
parte dell’ex PDL. Questo partito infatti si è spaccato: la parte più grossa, di nuovo col nome di FI, è
passata aqll’opposizione, mentre una parte più piccola (NCD, NUOVO CENTRO-DESTRA) resta al
governo con il PD.

UN PROCESSO DI AGGREGAZIONE: LO SVILUPPO DELL'UNIONE


EUROPEA
Se nell'economia globalizzata gli Stati nazionali risultano troppo deboli per
contrastare le forze del mercato e le grandi multinazionali, la Comunità Europea sembra
avere la scala adeguata per farlo. In effetti il socialista francese Jacques Delors, quando ha
esercitato la funzione di presidente della Commissione Europea, ha tentato nel 1993, con il
suo Libro bianco su crescita, competitività ed occupazione, di mobilitare le forze comunitarie
a difesa dei ceti e delle categorie più deboli. Ma nel Consiglio dei Ministri Europeo e nei
paesi più importanti della Comunità ha finito per prevalere il punto di vista delle Banche
Centrali e degli ambienti finanziari, che ha privilegiato la difesa ad oltranza della
competitività a scapito dell'occupazione e dello welfare. Il problema dominante è stato quindi
quello di garantire agli investitori internazionali le migliori condizioni per il loro investimento:
bassa inflazione, stabilità economica e monetaria, tassazione non troppo alta, salari

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130

competitivi (naturalmente in relazione con l'alto livello qualitativo della manodopera europea),
libertà di movimento dei capitali, efficienza della pubblica amministrazione e in genere dei
servizi, alto livello della ricerca scientifica e tecnologica e della formazione professionale.
Nonostante questo atteggiamento prudente, tutto orientato a facilitare gli investimenti
e timoroso di scoraggiarli attraverso salari troppo alti e spese sociali eccessive, il mercato
finanziario internazionale all’inizio ha accolto male l'euro e dimostrato di preferire ad esso il
dollaro. D'altra parte, nessun importante paese europeo, tranne l'Inghilterra, ha smantellato il
sistema di Welfare in modo così radicale come gli Stati Uniti: il lavoro di conseguenza in
Europa per adesso è ancora più caro e più tutelato dalla legge che negli U.S.A. e la
tassazione per le spese sociali nei nostri paesi resta più alta. Questo in parte spiega la
preferenza degli investitori per i nostri concorrenti (soprattutto per quegli investimenti in cui il
lavoro è una significativa componente delle spese), cosicché il tasso di disoccupazione è
decisamente maggiore in Europa che oltre Atlantico (circa il doppio); ma va anche detto che
le statistiche statunitensi, diversamente da quelle europee, classificano come lavoro anche
gli impieghi temporanei che non danno diritto a trattamento pensionistico.
Mentre proseguiva la sua unificazione sul piano monetario, la Comunità non
trascurava nemmeno quella sul piano politico. Proprio in seguito alla caduta del muro di
Berlino essa ha fatto uno sforzo particolare per rafforzarsi in tal senso. L'ampliamento della
Germania Federale, che ha assorbito una ventina di milioni di tedeschi orientali, ha
modificato i delicati equilibri europei. Questo Stato inoltre ha cominciato ad esercitare
un'influenza politica significativa sui paesi ex-comunisti, che si è vista in particolare quando il
governo Kohl riconobbe alquanto prematuramente, anticipando i partner europei,
l'indipendenza della Slovenia e della Croazia nel 1991, con conseguenze decisive sul
processo di destabilizzazione della Jugoslavia.
IL TRATTATO DI MAASTRICHT DEL 92 RAFFORZA I POTERI
DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE RISPETTO AI GOVERNI
NAZIONALI E AMPLIA I POTERI DEL PARLAMENTO EUROPEO
Per riequilibrare la situazione c'è stata in seguito un'estensione e un approfondimento
del legame comunitario. L'estensione si è avuta con l'ingresso nel 1995 della Svezia, della
Finlandia e dell'Austria: poiché già nel 1985 erano entrati Spagna e Portogallo, gli Stati
membri sono ormai quindici. Quanto all'approfondimento esso è avvenuto, come è noto, con
il trattato di Maastricht del febbraio 1992, che trasforma ufficialmente quella che era fino ad
allora soprattutto una comunità economica in una "Unione Europea" in senso politico. Tale
trattato rafforza i poteri collettivi del Consiglio Europeo dei ministri rispetto a quelli dei singoli
Stati membri: esso prenderà d'ora in poi sempre più decisioni a maggioranza, soprattutto in
campo economico, mentre in precedenza erano molto estesi gli ambiti in cui era richiesta
l'unanimità. Benché il Consiglio resti pur sempre l'organo legislativo fondamentale, superiore
al Parlamento di Strasburgo, il secondo, eletto direttamente dai cittadini europei, ha visto
incrementato il suo potere, perché in alcuni casi può opporre un vero e proprio veto alle

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decisioni del primo.


FINI DELLA POLITICA ESTERA COMUNE EUROPEA SONO IL
MANTENIMENTO DELLA PACE E LO SVILUPPO DELLA
COOPERAZIONE E DELLA DEMOCRAZIA NEL MONDO
Il Trattato inoltre ribadisce in linea di principio idee che si erano venute
progressivamente affermando nel periodo successivo agli accordi di Helsinki e soprattutto
nel periodo delle riforme di Gorbaciov: la Comunità deve avere una politica estera comune
finalizzata non solo alla difesa degli "interessi fondamentali" degli Stati membri, ma anche al
"mantenimento della pace", alla "promozione della cooperazione internazionale", allo
"sviluppo e consolidamento della democrazia e dello stato di diritto", nonché al "rispetto dei
diritti dell'uomo" in ambito internazionale. Tutto questo fa pensare che, se l'Unione Europea
non si fa carico di una seria politica sociale comune, essa però per lo meno sta cercando di
riempire il vuoto politico lasciato dalla fine del bipolarismo e vuol contribuire alla nascita di un
Nuovo Ordine Mondiale, fondato sulla democrazia, sulla pace e sulla rinascita delle agenzie
di cooperazione internazionale, la più importante delle quali è l'O.N.U.

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Conclusione.
L’economia globale neoliberista:
accelerazione e crisi

LA SPERANZA DI UN "NUOVO ORDINE MONDIALE" E LA 1a GUERRA


DEL GOLFO
LA FINE DEI DUE BLOCCHI RENDE POSSIBILE ALMENO IN
TEORIA UN RILANCIO DELL’ONU COME ORGANO DI
CONCILIAZIONE E COME POLIZIA INTERNAZIONALE
Con l'89, che è l'anno in cui il dominio russo sovietico ha fine in Europa orientale,
erano caduti i veti incrociati delle potenze dei due blocchi che impedivano all'Organizzazione
delle Nazioni Unite di funzionare effettivamente. Parlando delle prospettive dell'ordine politico
mondiale successivo a tale evento abbiamo accennato che si andava diffondendo - in
particolare tra gli Stati della Comunità Europea - l'idea di un rilancio dell'O.N.U. come sede
per la soluzione concertata dei dissidi internazionali e come effettivo organo di polizia
sovranazionale. Si parla dunque di un Nuovo Ordine Mondiale. Oltre alla piena disponibilità
dell'Europa, del Giappone e anche dell'URSS di Gorbaciov (durata fine al 1991), facevano
ben sperare sia il successo esemplare di molti movimenti di massa nonviolenti contro i regimi
autoritari, sia lo stato di isolamento in cui si trovavano molte dittature, che stava inducendo
molte di esse prima ad allentare la loro morsa, e poi a promuovere la transizione ad un
regime democratico.
In America latina la Bolivia, il Perù, il Paraguay e il Cile passarono da governi militari
a governo civili tra il 1985 e il 1990, proprio negli anni dell'evoluzione dell'Unione Sovietica
(ma già un po’ prima Argentina e Uruguay avevano compiuto tale passaggio). Nel 1990
comincia a creparsi anche un altro muro: viene liberato dalle prigioni sudafricane il leader
nero Nelson Mandela e comincia il processo di trasformazione democratica dell'Unione
Sudafricana, dominata allora dalla minoranza bianca e razzista. Diplomaticamente isolata,
nel giro di alcuni anni essa deve cedere al movimento di emancipazione dei neri, abolire
l'apartheid ed accettare il principio democratico one man one vote, per cui i partiti della
maggioranza bantu sostituiranno al potere i partiti dei bianchi. Viene così a cadere il principio
razzista:
Noi abbiamo diritto di governare e di dirigere perché siamo superiori per natura.

Loro devono solo obbedire e lavorare perché sono inferiori per natura.
1991: GUERRA DELL’ONU CONTRO L’IRAQ INVASORE DEL
KUWAIT
Tuttavia nel 1991 si produce un evento che ridimensiona le attese di una
democratizzazione globale che chiarisce il senso effettivo del Nuovo Ordine Mondiale: la

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Prima Guerra del Golfo.


Essa fu combattuta da una forza multinazionale contro l'Irak, che nell'agosto del
1990 aveva invaso il piccolo emirato petrolifero del Kuwait, alleato e fornitore
fedelissimo dell'occidente. Come si è visto, il dittatore irakeno Hussein, armato fino ai denti
dall'U.R.S.S. ai tempi di Breznev, era riuscito ad ottenere l'appoggio di entrambe le
superpotenze nella sua guerra, sanguinosissima ma inconcludente, contro l'Iran, con la
quale tra l'altro egli avrebbe dovuto impadronirsi di gran parte dei giacimenti petroliferi
iraniani. Egli forse sperava di essere ancora appoggiato dall'Unione Sovietica e almeno
tollerato dagli Stati Uniti (Saddam aveva segnalato con discre zione le sue intenzioni agli Stati Uniti,
che in effetti non avevano protestato quando aveva ammassato le sue truppe sul confine kuwaitiano). Ma
quando Saddam effettuò l'invasione l'America lo invitò con decisione a ritirarsi.
PERCHÉ GLI USA NON REAGIRONO AI PREPARATIVI IRAKENI
DELL’INVASIONE?
E' piuttosto difficile valutare la condotta americana. Non è chiaro 1)se semplicemente
non è stato dato peso alle minacce di invasione, cosa molto strana considerando che i
satelliti spia americani ne potevano seguire adeguatamente i preparativi, 2)se il governo
americano in un primo momento pensasse di non reagire all'invasione (cosa egualmente
strana perché il petrolio è una materia prima troppo importante per permettere ad un regime
non molto fidato di estendere arbitrariamente il suo controllo sulle sue fonti) e avesse
cambiato idea in un secondo momento, 3)se esso volesse illudere Saddam che non avrebbe
reagito e poi cogliere l'occasione per potersi legittimare come gendarme mondiale.
Sicuramente questa nuova situazione fornì al presidente neoconservatore George Bush
senior (già vice di Reagan) un'ottima occasione per riaffermare la leadership americana e
rilanciare il proprio ruolo anche all'interno dell'O.N.U.
L'O.N.U., su proposta americana, intimò a Saddam Hussein di abbandonare il Kuwait.
L'Unione Sovietica abbandonò Saddam al suo destino, tra l'altro perché Garbaciov stava
passando momenti difficilissimi e decisivi per l'unità della federazione sovietica (con l’uscita
della stessa Russia) e aveva bisogno di tutto il possibile appoggio internazionale. E il
dittatore irakeno, che si giustificava davanti al suo popolo proprio con il nazionalismo
militaristico, non voleva perdere la faccia.
BOMBE RADIOATTIVE CONTRO I MILITARI IRAKENI IN FUGA
Scaduto l'ultimatum, i principali paesi della NATO e alcuni Stati arabi, a nome
dell'O.N.U., cominciarono una campagna militare per liberare il Kuwait. In particolare gli Stati
Uniti e le grandi potenze europee per rappresaglia bombardarono capillarmente l'Irak. Gli
obiettivi dichiarati erano di tipo strategico (militari, o collegati ad industrie di guerra, o ad
industrie di importanza strategica), ma anche i civili furono colpiti in modo massiccio, come è
stato constatato da fonti giornalistiche occidentali più tardi, mentre era allora negato dai
governi e dai grandi media. Inoltre, quando la vittoria era già stata ottenuta pienamente sul
campo, gran parte dei militari irakeni in ritirata nel deserto furono massacrati con bombe di

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nuova concezione, che hanno lasciato una forte traccia di radioattività in quell’area del paese
(anche questo fatto non ha avuto adeguata risonanza).
I MEDIA OCCIDENTALI HANNO GIUSTIFICATO LA GUERRA
SENZA METTERE IN LUCE I VERI MOVENTI ECONOMICI E
POLITICI DELL’OCCIDENTE
La copertura della guerra attraverso i media ebbe anche un'ampiezza senza
precedenti. La sua evidente legittimità dal punto di vista dei principi dell'O.N.U. doveva
far passare in secondo piano il fatto che le potenze occidentali si erano mosse per i
propri interessi economici primari. Ma questo era relativamente facile di fronte all'opinione
pubblica occidentale, mentre gli altri popoli non avrebbero dimenticato che moltissime palesi
violazioni del diritto internazionale lontane dalla rotta del petrolio erano state del tutto
trascurate.
L'aspetto più doloroso della vicenda è il fatto che, neppure dopo la sconfitta, il paese
è riuscito a sottrarsi alla dittatura di Saddam, e che da allora fino alla Seconda Guerra del
Golfo (2003), esso è stato periodicamente bombardato dagli aerei americani e inglesi per
rappresaglia contro la presunta violazione da parte del dittatore del divieto a possedere
armamento atomico, chimico e biologico, ed è stato sottoposto ad un embargo totale che ha
ridotto alla fame la popolazione, facendo morire un gran numero di bambini (sarà di nuovo la
pretesa detenzione di “armi di distruzione di massa”, mai trovate, che servirà a giustificare, in
un contesto diverso, la Seconda Guerra del 2003 e l‘invasione americana del paese)
LA GUERRA-SPETTACOLO RENDE MOLTO POPOLARE IL
PRESIDENTE BUSH (SENIOR) TRA GLI AMERICANI
Alcuni massmediologi, che ne hanno analizzato la copertura da parte dei media,
hanno visto nella prima guerra del Golfo contro l'Irak una sorta di guerra spettacolo. I
media riportavano le immagini satellitari notturne e le immagini dei computer militari
che facevano apparire il conflitto come uno straordinario videogame. Lo spettacolo
del movimento dei mezzi militari nel deserto è poi all’origine della moda dei suv. Di
fatto la guerra portò la popolarità di Bush senior, che era piuttosto bassa, a livelli
altissimi. Del resto più tardi anche il presidente democratico Clinton ha fatto ricorso a
spettacolari bombardamenti punitivi - contro l'Irak o anche contro paesi mussulmani
(come il Sudan) accusati di aver appoggiato il terrorismo integralista: i
bombardamenti sono avvenuti in stretta connessione con le sue difficoltà politiche,
verosimilmente per distrarre l'opinione pubblica dai problemi interni o per
riconquistarsela quando era oggetto di duri attacchi dei media e del parlamento.
LA FINE DEL COMUNISMO NON HA PORTATO LA FINE
DELL’USO MASSICCIO DELLA VIOLENZA, NÉ UN RILANCIO
DELL’ONU COME FORZA SOPRA LE PARTI, MA PIUTTOSTO LA
VITTORIA DELL’OCCIDENTE
A noi pare che si possa affermare che la guerra del Golfo abbia segnato la fine di
alcune speranze apertesi nell'89: essa ha chiarito che la fine del comunismo e del
bipolarismo non ha portato ad una riduzione sistematica dell'uso della violenza, e

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nemmeno al rafforzamento dell'ONU come organizzazione al di sopra degli interessi


particolari, ma piuttosto alla vittoria degli interessi dell'occidente, la cui leadership è
nelle mani degli Stati Uniti. Anche il ricorso alla violenza va ben oltre le minime
necessità difensive. Benché tra gli Stati europei solo l'Inghilterra si sia identificata
pienamente con la politica americana, le timide critiche degli altri paesi della comunità (in
particolare della Francia) non hanno controbilanciato la loro sostanziale collaborazione con
gli U.S.A.

IL POLO UNICO
GLI USA, UNICA SUPERPOTENZA, RAFFORZANO LA LORO
LEADERSHIP
Come si è visto, la dissoluzione del polo sovietico non ha potuto certo far tornare il
mondo nella situazione precedente al nazismo, cioè ad un sistema multipolare di grandi
potenze; anche se non è più possibile far appello alla solidarietà in nome del pericolo
comunista, gli Stati Uniti - la superpotenza militare ed economica - restano il paese guida
dell'occidente e lo Stato egemone nella NATO.
Lasciata ormai dietro le spalle la crisi di leadership degli anni settanta, gli U.S.A. negli
anni novanta affermano il loro ruolo di gendarme dell'ordine mondiale, a guardia delle rotte
per le quali transitano le materie prime strategiche, e in genere della sicurezza del
commercio internazionale nell’interesse dell’occidente.
NEGLI ANNI 90 L’ECONOMIA AMERICANA SI É RICICLATA NEL
CAMPO DELL’ELETTRONICA ED É IN FASE DI RILANCIO
Negli anni novanta si è rivelata fallace anche la sensazione di un loro declino economico
almeno in termini relativi (cioè in rapporto al Giappone e all'Europa), che si aveva ancora nel
corso degli anni ottanta. L'economia americana, dopo il declino relativo dell'industria
tradizionale dell'automobile, si è infatti dimostrata in grado di riciclarsi nel campo
dell'elettronica, della telematica e della produzione dei contenuti mediali, mentre il
Giappone attraversava da alcuni anni una fase di gravi difficoltà e l’Europa mostrava un
minore dinamismo nel campo delle nuove tecnologie.
RUSSIA E CINA, BISOGNOSE DI INVESTIMENTI,
COLLABORANO AL NUOVO ORDINE MONO-POLARE
Come si è accennato, il rilancio della leadership americana è stato reso possibile
dall'indebolimento dell’URSS di Gorbaciov e dalla sua piena collaborazione in campo
internazionale, che ha permesso anche un rilancio della funzione dell'O.N.U. in termini
conciliabili con la funzione di gendarme mondiale degli Stati Uniti. Scomparsa l’URSS, la
Russia del nuovo presidente Eltsin, presa dai suoi problemi interni (guerriglia separatista in
Cecenia, favorita tra l’altro dallo spionaggio americano), non si sarebbe rivelata un grave
ostacolo. Il nuovo sistema “monopolare” sembrava dunque poter garantire saldamente
l'ordine mondiale, tanto più che la Russia e la Cina, bisognose di grandi investimenti stranieri
e desiderose di buoni rapporti commerciali con gli Stati Uniti e con i paesi ad essi legati,

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anche in seguito hanno entrambe dimostrato di essere disposte a cooperare (almeno fino
alla guerra del Kosovo). Inoltre, la fine del comunismo sovietico e la trasformazione della
Russia in una democrazia capitalistica (per quanto incompiuta e assai anomala) sembra aver
aperto un'era di omogeneità ideologica tra le potenze.
È disposta a collaborare anche la Cina comunista, che da decenni aveva rinunciato al
suo programma di rivoluzione mondiale contadina (ma non alle sue caratteristiche
autoritarie). Essa si era aperta progressivamente al commercio e agli investimenti
internazionali, realizzando un’economia mista di capitalismo concorrenziale e di capitalismo
di Stato, assai dinamica. La Cina nel 2001 potrà infatti aderire al WTO, cioè
all’Organizzazione Mondiale del Commercio d’ispirazione neoliberista, fondata nel 1995, il
cui fine è l’abolizione di tutte le tariffe doganali.
IL MONDO É ORMAI DISSEMINATO DI POTENZE NUCLEARI
La riduzione del sistema internazionale mondiale a un solo polo con una sola
superpotenza, è stata salutata giustamente come la fine del terrore atomico all'insegna della
mutual assured destruction (M.A.D.). Ad ogni modo, il mondo è ormai disseminato di
potenze nucleari grandi e piccole, che alla fine del secolo erano ufficialmente: Stati Uniti,
Russia, Cina, Inghilterra, Francia, India e Pakistan (mentre Bielorussia, Ucraina e
Khazakistan avevano rinunciato all'armamento nucleare ereditato dall'U.R.S.S. - in cambio di
crediti occidentali), e ufficiosamente Israele. Ma gli Stati che hanno i mezzi per costruirsi
un'atomica sono piuttosto numerosi (nel XXI° secolo la sperimenterà uno Stato relativamente
piccolo e arretrato come la Corea del Nord), senza parlare dell'eventualità che qualche arma
nucleare dell'arsenale sovietico sia stata sottratta e venduta all'estero durante i caotici
momenti della disgregazione dell'U.R.S.S. Resta solo la consolazione che le potenze minori
non sono in grado di scatenare un olocausto nucleare mondiale e, probabilmente, nemmeno
di colpire con i loro vettori le grandi potenze o i paesi ben difesi da missili SCUD - ma resta
sempre la possibilità di una guerra nucleare locale o di un attentato terroristico
nucleare.

POLO UNICO, PENSIERO UNICO E CAPITALE GLOBALE


CONTINUA LA POLITICA ECONOMICA NEOLIBERISTA DI USA,
INGHILTERRA E FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE
La politica economica neoliberista ad oltranza, promossa dai primi governi
neoconservatori (cioè dai repubblicani in America e dai conservatori in Inghilterra) è stata
confermata, almeno nelle sue linee generali, anche dai governi successivi (del democratico
Clinton e del laburista Blair), ed è stato ampiamente accettata dai paesi sviluppati e anche
dai paesi debitori. A questi ultimi è stata sistematicamente imposta dal Fondo Monetario
Internazionale, che ha costretto moltissimi paesi a mettere fine agli esperimenti di
capitalismo riformato e controllato (protezionismo, imprese di Stato, nazionalizzazione
delle materie prime, sovvenzioni alle cooperative, spese sociali, ecc.).

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D'altra parte, in questo quadro, gli Stati Uniti hanno cessato di appoggiare le dittature
militari dell'America latina, che, sotto la spinta dei movimenti popolari democratici, si sono
venute trasformando quasi ovunque in regimi parlamentari (più o meno convincenti). Anche
in Asia orientale alla fine degli anni novanta alcuni regimi dittatoriali hanno avviato un
processo di trasformazione democratica: la Corea del Sud e Taiwan si sono ormai assestate
nella democrazia, mentre in Indonesia nel 1998 è stato esautorato il dittatore Suharto
(grande alleato dell'occidente, che negli anni sessanta aveva fatto massacrare oltre un
milione di sospetti comunisti) e il paese, dopo una difficile e sanguinosa fase di transizione,
ha raggiunto una relativa stabilità sotto una costituzione democratica presidenziale.
IL CROLLO DELL’URSS SIGNIFICA VITTORIA DELLA
DEMOCRAZIA CAPITALISTICA E DEL CAPITALISMO LIBERISTA
In questo quadro, il crollo dell'U.R.S.S. è stato visto come una vittoria della
democrazia capitalistica e del capitalismo liberista, e l’idea di una convergenza tra
capitalismo e socialismo è stata generalmente abbandonata [sulla "convergenza" si veda
sopra, KENNEDY E LA SUA POLITICA SOCIALE-L'"ETA' DELL'ORO" DEL WELFARE].
L'economia capitalistica è stata identificata di conseguenza con il capitalismo liberista, che
esclude esplicitamente ogni forma di economia mista, di programmazione economica di
Stato, di capitalismo riformato keynesiano e di welfare State. Secondo la teoria neoliberista,
l’unica economia considerata efficiente e degna di una società libera è quella in cui gli
individui singoli (senza la protezione dello Stato o di associazioni collettive come i sindacati o
le associazioni degli industriali, dei commercianti o degli artigiani) entrano in competizione
sul mercato in regime di libera concorrenza. Ma secondo la teoria si dovrebbe trattare di una
concorrenza perfetta e illimitata, che oggi però non esiste da nessuna parte, mentre la
deregolamentazione (deregulation) della concorrenza favorisce prima di tutto le grandi
multinazionali.
SCHEDA. LA CONCORRENZA PERFETTA
Concorrenza perfetta è quella in cui nessun agente economico ha il potere, con una singola operazione di
compra-vendita, di modificare i prezzi di mercato. Questo significa per esempio che non ha sufficienti
risorse per far fallire i concorrenti vendendo (per un certo periodo) le sue merci a prezzi bassissimi. Le
aziende (o i consorzi di aziende) che sono in posizione dominante in un mercato non perfetto p.es. possono
cercare di impedire in modo analogo a nuovi concorrenti di entrare in esso, ecc. Mercati come quello del
petrolio, dell’auto, del prestito bancario, dei farmaci, della produzione cinematografica, delle emissioni
televisive non sono e non sono mai stati in tempi recenti in una situazione di concorrenza perfetta .
D'altra parte l'occidente non ha più da temere il confronto con i paesi dell'est sul piano
della sicurezza del lavoro e dell'assistenza sociale, visto che i paesi dell'ex-blocco sovietico
da questo punto di vista oggi sono in una situazione peggiore della nostra.
LA PRETESA COINCIDENZA COMPLETA DI CAPITALISMO
LIBERISTA E DEMOCRAZIA LIBERALE
La concorrenza incontrollata e illimitata è stata così presentata dai governi
liberisti e dal Fondo Monetario Internazionale come via efficace per lo sviluppo dei
paesi sottosviluppati, e come opportunità effettiva di promozione sociale per
qualunque individuo nei paesi sviluppati. Non solo i governi, ma molti partiti e
movimenti, molte fondazioni culturali private e molti media hanno fatto del

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neoliberismo la loro ideologia. L'idea di fondo, come si è accennato, è che il


capitalismo liberista e la democrazia liberale coincidano e siano il miglior sistema
politico, economico e sociale possibile. Di fronte non solo al crollo del comunismo,
ma alle grandi difficoltà del sindacalismo e della socialdemocrazia tradizionali, dovute
come si è detto alla continua riduzione del numero degli operai delle grandi fabbriche,
il neoliberismo è diventato (secondo i critici) l'ideologia dominante, conformistica e
pervasiva, il "pensiero unico".
I SUCCESSI (RELATIVI) DELLA POLITICA ECONOMICA
NEOLIBERISTA DEGLI USA E DELLE TIGRI ASIATICHE
Si obietterà che gli Stati Uniti, che hanno adottato la medicina liberista in dosi
massicce, dopo un lungo periodo di altissima disoccupazione (fino al 10%), hanno visto
calare il tasso di disoccupazione fino al 4,5% ai tempi di Clinton, mentre l'Unione Europea,
che nel complesso ha conservato alcune forme di protezione sociale, alla fine degli anni
novanta aveva tassi di disoccupazione senz'altro più alti. E' vero anche che i paesi di nuova
industrializzazione dell'estremo oriente (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong,
ecc.) hanno fin di subito accettato le regole della concorrenza internazionale e hanno
rinunciato sia al protezionismo sia alla creazione di industrie di Stato, mentre
l'esperienza (da tempo abbandonata) del socialismo arabo, e altre analoghe, sono risultate
nel complesso deludenti.
Quanto alla differenza tra Stati Uniti ed Europa, bisogna precisare che il dato
statistico va interpretato alla luce della diversità del metodo di rilevamento adottato (si veda
quanto detto sopra in UN PROCESSO DI AGGREGAZIONE: LO SVILUPPO DELL'UNIONE
EUROPEA) e che quindi il divario non è in realtà molto elevato. Inoltre gli USA beneficiano
del fatto di essere la superpotenza politico militare di avere come moneta nazionale il dollaro,
che è anche moneta di scambio mondiale. Per ciò che riguarda invece i paesi dell'estremo
oriente, non è detto che il modello di sviluppo delle cosiddette "tigri asiatiche" sia facilmente
applicabile altrove: qui, oltre agli investimenti internazionali favoriti dalla libertà di commercio,
hanno giocato come fattori positivi anche la disciplina sociale legata all'etica confuciana,
l'abitudine millennaria al lavoro organizzato, la solidarietà della famiglia allargata e del clan e
il paternalismo statale. In condizioni di mercato simili, altri paesi di civiltà diversa (slava,
latinoamericana e africana, per esempio) non sono riusciti a decollare. Il decollo e lo sviluppo
dell’economia della Cina comunista, del resto, è avvenuto nel quadro di un’economia mista.
NEI PAESI SVILUPPATI É AUMENTATA LA DISTANZA TRA GLI
STRATI PIÙ RICCHI E GLI STRATI PIÙ POVERI E SONO
AUMENTATE LE FAMIGLIE SOTTO LA SOGLIA DI POVERTÀ
Ma le pretese del liberismo paiono storicamente infondate anche per altri motivi. Se
nell'era neoliberista moltissimi paesi hanno di nuovo visto crescere in modo significativo il
loro PIL (Prodotto Interno Lordo), è anche vero che negli stessi paesi avanzati è
significativamente aumentata la distanza tra gli strati sociali più ricchi e quelli più
poveri, e inoltre sono cresciute anche in termini assoluti le famiglie che si trovano

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sotto la soglia della povertà (e queste tendenze striscianti continueranno fino alla
catastrofica crisi del 2008, che le accelererà bruscamente). Se negli U.S.A. negli anni
novanta è cresciuta l'occupazione, questo è perché si considerano come occupati anche i
lavoratori temporanei a bassi salari che non cumulano diritti al trattamento pensionistico. Nel
complesso la società americana (arciliberista) in tale periodo aveva maggiore povertà,
microcriminalità, disgregazione sociale e familiare, malessere urbano e disordine sociale
dell'Unione Europea (che conservava qualche traccia di Welfare State).
É AUMENTATA LA DISTANZA TRA I PAESI PIÙ RICCHI E QUELLI
PIÙ POVERI
Inoltre alla fine del secolo è aumentata anche la distanza tra i paesi più ricchi e
quelli più poveri, e alcuni paesi sottosviluppati, che hanno dovuto subire le ingiunzioni del
FMI (Fondo Monetario Internazionale), versavano in condizioni di assoluta miseria come
vent'anni prima, o anche peggio. Ma nel XXI° secolo in alcuni Stati già sottosviluppati la
produzione industriale è aumentata straordinariamente: la Cina, l’India e il Brasile sono
diventati così grandi potenze economiche. Tuttavia anche qui, in mancanza di un’adeguata
protezione sindacale e statale, si sono sviluppate grandi sacche di miseria urbana e
l’ambiente è stato fortemente degradato, mentre non è scomparsa la miseria contadina.
Comunque questi paesi, insieme alla Russia e al nuovo Sudafrica democratico (detti perciò
BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) hanno ormai la capacità di rendersi autonomi
dal FMI e stanno cominciando a organizzarsi in tal senso.
TRUST E CARTELLI LIMITANO SEMPRE PIÙ LA CONCORRENZA
DI MERCATO
Torniamo al neoliberismo. Perché ci sia concorrenza perfetta non è sufficiente
che lo Stato rinunci a regolare l'economia e a possedere imprese, ma è necessario
anche che il mercato non sia dominato da trust (immense concentrazioni industriali o
commerciali capaci di condizionare i prezzi del proprio settore) o da cartelli (tacite intese tra
un gran numero di aziende di uno stesso settore, egualmente capaci di condizionare i
prezzi). Il neoliberismo da parte sua ha promosso la privatizzazione delle imprese
capitalistiche di Stato e la deregulation delle compagnie private sotto controllo pubblico nei
servizi essenziali. In qualche caso (rarissimo) si sono anche obbligate grosse società
capitalistiche a smembrarsi in società più piccole: il caso più noto è quello della compagnia
americana ATT, smembrata da Reagan nel 1984 in sette diverse società.
LA TENDENZA ALLA CONCENTRAZIONE DEL POTERE
ECONOMICO RIGUARDA ANCHE I MEDIA E LA NEW ECONOMY
Ma la tendenza delle multinazionali - anche nel settore divenuto trainante
dell'informatica, della telematica e dei media - era e resta quella della concentrazione
del potere economico in poche imprese sempre più grandi. È vero che dagli anni ottanta
in poi sono nate numerosissime nuove imprese. Tuttavia, molte imprese insieme possono
essere controllate da pochi soggetti attraverso le partecipazioni azionarie o attraverso il
credito; gigantesche aziende possono allearsi tra loro contro i consumatori, contro le imprese

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più piccole e addirittura contro quei governi che non realizzino politiche a loro favorevoli.
NEGLI ANNI 90 CLINTON HA ATTENUATO LE NORME
ANTITRUST SIA IN CAMPO FINANZIARIO CHE NEL CAMPO
DELLE TELECOMUNICAZIONI
Le grandi imprese non sono state favorite solo dal neoconservatore repubblicano
Reagan, ma anche dal democratico Clinton (presidente dal 1993 al 2000). Nel 1999 egli ha
abolito i vincoli al mercato finanziario che erano stati stabiliti dopo la crisi del 1929. Era
stato infatti proibito alle banche che raccoglievano i risparmi delle famiglie di investirli in
campo finanziario acquistando titoli azionari ed ed obbligazioni. Anche in seguito a questa
deregulation, tale mercato, che già era accelerato dall’impiego della telematica e
dell’informatica nella compra-vendita, è ulteriormente cresciuto fino ad un valore di decine di
volte superiore a quello del mercato dei beni e dei servizi (cioè delle cose reali).
Inoltre nel 1996 Clinton aveva indebolito le norme antitrust nel campo delle
telecomunicazioni favorendo la formazione in questo settore di colossi americani
capaci di imporsi sul mercato globale. Anche l’Europa comunitaria nello stesso periodo
aveva abolito i monopoli statali sulla telefonia e un analogo processo si era svolto in
Giappone. Tuttavia i gruppi più temibili a livello globale restavano quelli americani.
In sostanza, negli Stati Uniti una mezza dozzina di compagnie negli anni novanta è
diventata proprietaria della stragrande maggioranza di giornali, periodici, case editrici,
televisioni, servizi e canali via cavo, servizi satellitari e case di produzione cinematografica.
Per avere un’idea del peso economico di questi colossi e di altri affini, si tenga conto che già
nel 1995 il fatturato della sola A.T.T (oltre 75 miliardi di dollari) e quello dell’I.B.M. (poco
meno di tale cifra) erano di poco inferiori al Prodotto Interno lordo del Portogallo (circa 90
miliardi di dollari) e decisamente superiori a quello dell’Egitto (una sessantina di miliardi).
Quest’ultimo in quell’anno era più o meno pari a quello della Microsoft.
***
Parliamo ora dell'unica potenza comunista (o sedicente comunista) superstite, la Cina.
Essa negli anni 90 ha aperto all'economia capitalista una parte del suo territorio e sembra
seguire il modello di Taiwan negli anni ottanta: dittatura in politica e libero mercato in
economia. In alcune aree le aziende cinesi sono restate in mano ai poteri pubblici, ma ad
esse è stata lasciata una crescente autonomia gestionale. Ma quello che attraeva i capitali
occidentali era l’amplissima disponibilità di manodopera sottopagata e disciplinata, non
difesa da liberi sindacati. La mancanza di un’opinione pubblica democratica e di libere
associazioni di cittadini permette poi alle industrie di inquinare senza problemi.
Contemporaneamente la cultura confuciana sembra stimolare particolarmente la laboriosità
e la disciplina.
LO SVILUPPO CAPITALISTICO PUÒ FARE BENISSIMO A MENO
DELLA DEMOCRAZIA (IL CASO CINESE)
E' notevole che in Cina si siano affermate precocemente e con grande successo quelle
riforme economiche che l'U.R.S.S. non poté compiere e che la Russia in seguito ha

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compiuto in modo piuttosto inefficiente. Questo insieme di fatti sembra confermare due tesi
che abbiamo già esposto in precedenza: 1)lo sviluppo capitalistico, per un periodo di
lunghezza indeterminata, può fare benissimo a meno della democrazia (quindi non è
affatto vero che libertà e capitalismo coincidano); 2)la scarsa produttività dell'Unione
Sovietica era almeno in parte collegata a una difficoltà di adattamento della cultura
slava ortodossa al mondo moderno e non dipendeva esclusivamente dal sistema
economico socialista, tanto è vero che all’inizio del primo decennio del XXI° secolo, dopo
ormai quindici anni dai primi tentativi di riforme capitalistiche, il PIL (Prodotto Interno Lordo)
russo restava notevolmente al di sotto di quello del periodo socialista9.
LA CONTRAPPOSIZIONE CAPITALISMO-COMUNISMO NON PUÒ
SPIEGARE TUTTO
Non solo in politica, dunque, ma anche in economia, la contrapposizione tra due
sistemi ideologici (capitalismo - comunismo) non è affatto in grado di spiegare tutto,
ma è necessario ricorrere a ipotesi più complesse. Il pensiero unico degli anni 90 sembra
acriticamente legata alla contrapposizione Noi-Loro - Noi liberali e capitalisti, Loro
totalitari e comunisti - che era solo l'aspetto ideologico della guerra fredda.
In conclusione gli schemi ideologici neoliberisti (ereditati dalla guerra fredda e dal
neoconservatorismo reaganiano) assumevano dopo il 1989 una forma paradossale:
Noi, l'Impero del Bene e i suoi alleati (di cui facevano parte, almeno provvisoriamente e con

qualche riserva, la Russia di Eltsin e forse la Cina),

Loro, i totalitari anticapitalisti, e cioè Cuba, l'Irak, l'Iran, e i superstiti movimenti di

guerriglia in Colombia e altrove (mentre chi non accettava le ricette del Fondo Monetario

Internazionale era per lo meno sospetto di eresia).

LA POLITICA DALL'IDEOLOGIA ALL'IMMAGINE


LA TV HA FAVORITO IL RAPPORTO DIRETTO TRA CANDIDATO
E PUBBLICO, DIMINUENDO PROGRESSIVAMENTE IL PESO
DEGLI APPARATI DI PARTITO
Negli anni ottanta e novanta assistiamo a diverse trasformazioni nel modo di fare politica
nelle democrazie occidentali. Secondo alcuni studiosi la diffusione della tv in forma di
neotelevisione (sulla "neotelevisione" vedi -->POLITICA, TRAME OCCULTE E MASS
MEDIA AI TEMPI DEL PENTAPARTITO) ha progressivamente diminuito il peso degli
apparati di partito, favorendo un rapporto diretto tra il candidato e il pubblico. Essa ha
al tempo stesso dato una dimensione meno elevata e più umana ai grandi leader,

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Beninteso, la fase di grave recessione che ha colpito la Russia dopo la fine del comunismo ha una
molteplicità di cause di cui non è facile stabilire la priorità. Tra l'altro la disgregazione politica del blocco
orientale ha comportato anche la disgregazione organizzativa del suo grande sistema economico integrato
(K. Modzelewski, Dopo il comunismo, dove? Milano, Anabasi 1993). Ma una responsabilità va imputata
anche alle potenze democratiche. E' questa l'opinione del ricchissimo finanziere Georg Soros, che ha tentato
invano di spingere i governi occidentali a finanziare la riconversione dell'economia orientale, prima che la
caduta del sistema si avvitasse su se stessa e che le forze speculative e mafiose se ne impadronissero.

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facendone personaggi familiari e in fondo ordinari, come tutti quelli che appaiono di
frequente sul piccolo schermo. Contribuiscono poi ad abbassarne il profilo anche le inchieste
che i media conducono sulla loro vita privata. Le scelte politiche dei cittadini sono sempre
meno mosse dalla convinzione e dalla passione.
LA BIPOLARIZZAZIONE SOCIALE TRA IL BLOCCO CAPITALISTI-
-CETI MEDI E IL BLOCCO OPERAIO TENDE A SCOMPARIRE
Naturalmente la tv e gli altri media fanno parte di un sistema di influenze reciproche in
cui è difficile capire quale sia la causa e quale sia l’effetto. Si parla anche di una crisi
generale, nel mondo moderno, delle grandi ideologie e delle stesse confessioni religiose, che
ha tolto mordente alle passioni politico-ideologiche. Anche la demoralizzazione progressiva
dei movimenti contestativi e rivendicativi degli anni sessanta-settanta ha privato il sistema
politico di un avversario culturale contro cui prima era urgente reagire. E alla fine la
scomparsa del nemico sovietico ha tolto un altro motivo di mobilitazione.
Soprattutto, con il passaggio alla società postindustriale, l’aumento in percentuale dei
colletti bianchi e degli addetti ai servizi e la diffusione del benessere, la tensione tra il blocco
sociale capitalisti-ceti medi e il blocco operai-ceti bassi si è allentata fin quasi a diventare
irrilevante. Così anche la differenziazione tra l'ideologia conservatrice e quella di tipo
laburista tende ad attenuarsi e addirittura a scomparire. Nel frattempo la nuova area
conflittuale è piuttosto quella degli esclusi (disoccupati, emarginati, immigrati) che non
riescono a costituire uno stabile blocco sociale né a creare un’organizzazione comune ai
diversi sottogruppi.
Il progressivo ridimensionamento del peso dell'ideologia si è venuta intrecciando con
gli sviluppi della nuova "società dello spettacolo", in cui l'entusiasmo per gli ideali e il
fascino dei concetti sembrano superati dalla forza persuasiva dell'immagine. La
politica diventa una questione principalmente di persone, di leader, e al tempo stesso un
fatto spettacolare, in cui l'abilità teatrale dei protagonisti sembra prevalere sui valori da loro
difesi e sui programmi da loro proposti.
La "fine delle ideologie" e la politica mediale sono state però viste con favore da
diversi analisti perché permettono un approccio diretto tra i politici e la gente, saltando la
mediazione degli apparati di partito e realizzando una sorta di "democrazia mediale". Ma un
inconveniente di tale "democrazia mediale", prima negli U.S.A. e poi in Europa, è il gonfiarsi
dei costi delle campagne elettorali, che rende sempre più importanti le lobbies che le
finanziano.
Nei partiti popolari e soprattutto operai europei l'elemento determinante è stato per
lungo tempo l'attivista appassionato che (oltre a raccogliere fondi) scrive documenti e
volantini, li distribuisce, attacca i manifesti, vende il giornale e le pubblicazioni del partito e ne
diffonde le idee. Ma questi partiti si sono gradualmente trasformati. Essi sono diventano
progressivamente burocrazie e comitati elettorali che affidano la propaganda ad agenzie

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esterne e quindi dipendono sempre di più dai grossi finanziamenti, mentre i giornali di partito
sono in decadenza, spesso sostituiti dalla tv.
I MILITANTI SINDACALI E POLITICI E LE PERSONE ISTRUITE
UNA VOLTA SERVIVANO DA INTERMEDIARI TRA L’UOMO
COMUNE E LA GRANDE POLITICA. NEGLI ANNI 80-90 LA TV
TENDE A SOSTITUIRLI
Causa di questa trasformazione dei partiti è non solo la crisi della militanza legata alla
fine dei movimenti e delle ideologie (cui abbiamo accennato), ma anche il nuovo rapporto
diretto leader-telespettatori. In effetti non solo i funzionari di partito, ma anche i militanti
di base sono resi impotenti dai media: una volta il militante sindacale e politico, o
semplicemente l'uomo più istruito, informato e impegnato di un certo ambiente, fungevano,
attraverso la lettura di giornali e bollettini, da mediatori tra il mondo della grande politica e
l'uomo comune. Alla fine dl XX° secolo invece l'immagine televisiva offre a tutti gli
avvenimenti del mondo intero come presenti in casa propria, sottoposti all’immediato giudizio
dei telespettatori. Egualmente li mette in diretto contatto con i massimi leader. Non per
questo però li mette in grado di interpretare i fatti economici e politici che presenta loro, né
l'uomo comune è sempre in grado di capire da solo quali sono i trucchi propagandi stici dei
media.
LE DISCUSSIONI COMUNITARIE FACCIA A FACCIA SONO
SEMPRE PIÙ SOSTITUITE DALL’INFORMAZIONE TELEVISIVA, IN
MANO ALLE CONCENTRAZIONI MONOPOLISTICHE
In effetti le discussioni di politica all'osteria, nelle sedi dei partiti o dei sindacati,
sul posto di lavoro o in parrocchia, o in qualche ritrovo o associazione sono state
sempre più sostituite dalla ricezione isolata dell'informazione televisiva, in cui può
farsi sentire di più chi più ha denaro e controlla più mezzi d'informazione. Anche le
tecniche di marketing e di sondaggio per conoscere i gusti e gli orientamenti del pubblico
costituiscono un importante strumento per la modulazione del messaggio da parte del
leader.

MEDIA E POTERE NEL MONDO


LA VITA SESSUALE DEL PRESIDENTE CLINTON IN PASTO AI
MEDIA: DISSACRAZIONE DEL POTERE
Tuttavia l'aumento del potere diretto dei leader non esclude, come si è detto, una
riduzione del loro carisma. Si pensi alle disavventure erotico - politiche di Clinton negli anni
novanta: la sua vita privata e i dettagli delle sue avventure sessuali sono state poste sotto i
riflettori con una evidenza tale da dissolvere anche quel piccolo alone di sacro che, nelle
democrazie di massa, è comunque restato ai vertici del potere politico.
CHE COSA PUÒ PENSARE DELL’OCCIDENTE L’OPINIONE
PUBBLICA DEGLI ALTRI PAESI?
Per capire l'importanza di questi fatti nella politica mondiale, bisogna provare a
chiedersi quale possa essere stata la reazione di alcuni miliardi di esseri umani che non

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condividevano la nostra cultura razionalistica e cinica e che inoltre vedevano nell'America il


"grande Satana" (come l'aveva chiamata l'ayatollah Khomeini) o comunque un paese
estremamente potente ed estraneo al loro modo di vita. Come si è accennato, il presidente
Clinton ha fatto ricorso agli spettacolari bombardamenti punitivi contro l'Irak o anche contro
paesi mussulmani accusati di aver appoggiato il terrorismo integralista (il Sudan) in stretta
connessione con le sue difficoltà erotico-politiche, verosimilmente per distrarre l'opinione
pubblica americana, che a quanto pare gradisce in politica estera l'uso delle maniere forti
(con tutte le implicazioni spettacolari che esse comportano).
Ma che cosa potrà aver pensato l'opinione pubblica islamica di un uomo che si lascia
coinvolgere in uno scandalo per una ragazzotta e che nello stesso tempo, senza
dichiarazione di guerra, fa bombardare inermi civili sudanesi rei solo di abitare vicino a
supposte fabbriche d'armi chimiche? Probabilmente la spettacolarizzazione della politica da
parte dell'occidente ha provocato una reazione di rifiuto crescente nei nostri confronti e ha
finito così per rafforzare progressivamente il fondamentalismo.
L’INTRECCIO TRA LA POLITICA E IL MONDO DEI MEDIA
DIVENTA SEMPRE PIÙ FREQUENTE NEL MONDO
L'intreccio tra la politica e il mondo dei media e dello spettacolo, pur con
diverse modalità, si è presentato ormai con sempre maggior frequenza nel mondo
politico occidentale negli anni ottanta e novanta (e è apparso anche in quello russo
postcomunista). Ronald Reagan, detto il "grande comunicatore", era un ex-attore e non
mancava di farsi consigliare da esperti di pubbliche relazioni e di pubblicità. Per Italia si è già
ampiamente parlato di Berlusconi, che, già prima di darsi alla politica, appariva sui media in
quanto padrone di popolari tv private e in quanto patron del Milan, e che anche per questo
nel 1994 è potuto passare alla politica senza grandi difficoltà (ma anche il produttore
cinematografico Cecchi Gori, allora patron della Fiorentina, ha cercato il successo politico,
presentandosi col centrosinistra). In Brasile, paese in cui, per l'altissimo numero di elettori
analfabeti, il principale veicolo delle informazioni erano la radio e la televisione, Collor De
Mello, con il potente appoggio della popolare tv Rede Globo, che ha saputo rialzare
clamorosamente le sue sorti al secondo turno elettorale, è riuscito a diventare presidente
della repubblica (dal 1989 al 1992 – destituito per corruzione).
Perfino nella Francia colta e politicamente sofisticata è comparso, sia pur per breve
tempo, il fenomeno Bernard Tapie. Costui, grande azionista e manager di una serie di
aziende, di alcuni media e di un'importante squadra di calcio, si è presentato alle elezioni
puntando sulla sua popolarità come patron dell'Olympic Marseille e di "uomo fatto da sé" (e
per questo ha cercato di colonizzare e rilanciare un vecchio partito francese, quello dei
radicali di sinistra, alleato minore dei socialisti). La sua carriera è stata però bloccata dai
giudici francesi, che lo hanno condannato per truffa, ma non per questo è scomparso dalla
vita pubblica francese: qualche tempo dopo è riapparso sugli schermi come attore di un film

144
145

di Claude Lelouch. Nel XXI° secolo diventerà poi presidente François Sarkozy, in stretti
rapporti con i proprietari dei grandi media privati, che lo hanno appoggiato nelle sue
campagne elettorali, anche lui al centro dei gossip dei media per quanto riguarda la sua vita
privata, e protagonista di scandali e di indagini giudiziarie (lo storico dei media Pierre Musso
parlerà a questo proposito di “sarko-berlusconismo”, mettendo in parallelo le carriere di
questi due politici).
RUPERT MURDOCH, IL PADRONE DI UNA MULTINAZIONALE DEI
MEDIA ESTESA SU DIVERSI CONTINENTI, HA MOLTEPLICI
INFLUENZE POLITICHE
Ma altri legami tra i media e la politica assumono una forma più indiretta e per questo
forse anche più insidiosa. Il grande capitalista australiano Rupert Murdoch, già padrone
di una catena di periodici e di altri media al suo paese, negli USA possiede una delle più
grandi case di produzione cinematografica, la Twenty Century Fox, ha lanciato una catena
tv, la FoxTV, che si affiancata alla NBC, alla CBS e all’ABC, che in precedenza erano
insieme in posizione dominante, e ha squadre di baseball, giornali, ecc. Egli (che ha tentato
alla fine del secolo di comprare Mediaset in Italia) in Inghilterra controlla una catena di tv
e di giornali (tra cui il prestigioso Times). E' singolare che la vittoria dei laburisti di Blair
(il cui programma economico, come si è accennato, non si distacca molto dal neoliberismo) è
avvenuta in coincidenza con lo spostamento dell'appoggio di Murdoch dai
conservatori al loro partito.
Come si sa, nel nuovo secolo l’impero di Murdoch si è venuto estendendo in vari
paesi europei, tra cui l’Italia. Il duopolio Rai-Mediaset, che dagli anni ottanta domina il
mercato televisivo, è stato sostituito, con la diffusione di Sky, tv satellitare a pagamento, da
un “triopolio”, che è destinato comunque ad avere ricadute sull’opinione pubblica e sulla
politica, per quanto non così visibili come quelle del precedente duopolio.
Comunque, negli USA nelle elezioni del 2000 la maggior parte dei grossi media era
nelle mani di proprietari filo-repubblicani e conservatori – non solo Murdoch ma anche, p.es.,
Disney. Anche la Microsoft, che ha subito vari processi per violazione delle norme antitrust,
negli anni novanta ha appoggiato l’uomo d’affari e petroliere George Bush senior,
considerato malleabile in questo campo, mentre FoxTv di Murdoch nel 2000 ha parteggiato
apertamente e appassionatamente per suo figlio George Bush junior, al punto di dare
l’annuncio della sua vittoria in anticipo, quando essa ufficialmente non era ancora certa
(l’elezione è poi risultata irregolare almeno per quanto riguarda il voto in Florida, in cui era
governatore il fratello di Bush junior)10.
ROSS PEROT, UN CAPITALISTA CHE FA POLITICA IN PRIMA
PERSONA, PARTECIPA ALLE PRESIDENZIALI USA
Un fenomeno ancora diverso è il discreto successo di Ross Perrot alle due elezioni
presidenziali americane degli anni 90. Non si tratta specificamente di un padrone di tv, ma
10
Su questa vicenda si può vedere il film documentario di Michael Moore Farenheit 9/11, sulle elezioni del 2000, sui
fatti dell’11 settembre 2001 e anche sul rapporto tra la famiglia Bush (petrolieri) e la famiglia Bin Laden (costruttori
edili).

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comunque di uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, che poteva rivolgersi direttamente
agli elettori attraverso i mass media a titolo personale e saltare la tradizionale mediazione dei
due grandi partiti, del loro apparato e delle loro lobbies, visto che poteva pagarsi
integralmente una campagna elettorale dai costi astronomici.
L'alta percentuale di voti conseguita da Ross Perrot in due elezioni successive (il 19%
per cento nelle presidenziali del 1992 e l’8% in quelle del 1996) sembra un sintomo della
forza nella vita politica americana sia dei media sia dell'ideologia neoliberista, che esalta i
valori dell'individualismo e dell'imprenditorialità, e che dà per scontato che ciò che promuove
l'interesse privato capitalistico automaticamente promuova anche l'interesse pubblico (il
senso comune di una volta suggeriva piuttosto il contrario)
In precedenza, invece, gli outsider che si erano presentati alle presidenziali fuori dai due partiti
tradizionali hanno costituito un fenomeno piuttosto modesto. Anche se gli Stati Uniti sono più di ogni
altro il paese dell'individualismo capitalistico e dell'impresa privata, un caso come quello di Ross Perot
non s'era mai verificato prima. Per esempio, un grande magnate come Randolph Hearst, proprietario di
una gigantesca catena di giornali popolari, partecipava in tutti i modi ai giochi della politica e dopo il 1898
aveva influito in particolare sull'ascesa del futuro presidente Theodor Roosevelt, ma non si presentò mai
di persona alle elezioni. Non solo la classe dirigente, ma verosimilmente anche l'elettorato popolare non
avrebbe gradito la concentrazione nella stessa persona di un grande potere politico e di un grande potere
economico e mediale.
LA DOTTRINA DELLA GIUSTIZIA DI MICHAEL WALZER CONDANNA
LE CONCENTRAZIONI DEL POTERE POLITICO E DEL POTERE
ECONOMICO E SOCIALE
Certo, la dottrina liberale tradizionale condanna solo l'unificazione dei tre poteri politici
classici, il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, e non si preoccupava per il potere
economico. Ma tale dottrina è stata elaborata in periodi storici in cui i proprietari di imprese
manifatturiere e commerciali erano mediamente meno ricchi dei grandi proprietari terrieri, e
nessuno comunque aveva concentrazioni di ricchezza tali da poter essere paragonate con
gli odierni trust. Invece alla fine del XX° secolo l'estensione delle più grandi imprese era tale
che il loro eventuale congiungimento con i gradi più alti dell'autorità politica costituiva un
potere sociale complessivo decisamente temibile. La teoria liberaldemocratica del filosofo
americano contemporaneo Michael Walzer (cfr. Walzer, Sfere di giustizia) suggerisce che
non solo la concentrazione dei tre poteri politici nelle stesse mani, ma anche la
congiunzione del potere politico con altri tipi di potere sociale (economico, culturale,
religioso, ecc.) viola le norme fondamentali della giustizia.
Bisogna dire però che la legge americana si occupa di questo problema (detto
“conflitto di interessi”), per cui a Ross Perot, candidato alle presidenziali, e a chiunque possa
approfittare della sua posizione politica per favorire le proprie imprese è stato imposto il blind
trust: l'eletto viene privato del controllo del suo patrimonio, che viene affidato ad
amministratori fiduciari che non siano sospettabili di collusione con lui.
Ma se il blind trust ha il fine di impedire che il capitalista eletto una volta al governo

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favorisca le sue aziende, non può evitare l'ingiustizia di fondo: il fatto che in generale chi ha
un patrimonio più grosso degli altri abbia più probabilità di accedere al potere politico (e da lì
cerchi eventualmente di rafforzare il suo potere economico). Questa ingiustizia è in qualche
modo connaturata con la democrazia capitalistica (si pensi solo al riconoscimento ufficiale
delle lobbies degli imprenditori negli U.S.A.). Ed essa finora è stata, con tutti i suoi limiti,
l'unica forma di democrazia realmente funzionante, dato che la democrazia sovietica e le
democrazie popolari sperimentate all’est non sono state veramente né democratiche né
liberali.
Ma non è detto che qualunque tipo di capitalismo sia compatibile con la democrazia
liberale. Il potere dello Stato nazionale diminuisce di fronte al potere esterno del capitale
globale, che minaccia di investire solo dove trova le condizioni per lui più vantaggiose (come
la limitazione o l’abolizione del diritto di sciopero e un basso livello della tassazione per
finanziare l’assistenza sociale), e di fronte al potere interno dei capitalisti che estendono la
loro influenza sul sistema elettorale. Tutto ciò sta restringendo ancora i limiti della nostra
democrazia, col rischio di soffocarla.

L'ITALIA DELLA COSIDDETTA SECONDA REPUBBLICA


1991-1992: L’ITALIA ALLE PRESE CON LA CRISI, COL DEBITO
PUBBLICO, CON LA CORRUZIONE E CON LA MAFIA
Quanto all'Italia, la trasformazione del potere ha le stesse cause degli altri paesi occidentali:
l'attenuarsi della bipolarizzazione sociale proprietari/operai e il conseguente declino del "voto
d'appartenenza", la diffusione dei media elettronici, l'aumento delle spese della propaganda elettorale, la
personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, la diminuzione dell'importanza dello Stato
nazionale rispetto all'economia globale, la crisi delle ideologie legata alla fine del bipolarismo, ecc. Ma da
noi un colpo fortissimo ai partiti tradizionali è stato dato in particolare dalla crisi di sfiducia legata ai fatti
di Tangentopoli, proprio nel momento in cui l'economia nazionale attraversava le difficoltà cui abbiamo
accennato, soprattutto a causa del debito pubblico. La prima trasformazione voluta dalla gente comune
fu, in quella fase, quella del ripristino di un livello morale minimo: nelle elezioni successive al 92 una
parte importante dell'opinione pubblica richiese a gran voce ai partiti di non candidare persone che
avessero in corso processi per corruzione.
LA RIFORMA ELETTORALE DEL 1993: INTRODUZIONE DEL
SISTEMA UNINOMINALE NELLE ELEZIONI POLITICHE
Tuttavia la via maestra sembrò piuttosto quella di togliere ai partiti la scelta dei
candidati. Dopo le elezioni comunali e provinciali del 1993, con l'elezione diretta del
sindaco e del presidente della provincia, in Italia gli elettori sono stati chiamati a
scegliere soprattutto individui e non liste di partito. In particolare le elezioni politiche
dovevano essere effettuate con il sistema del Mattarellum, al 75% uninominale (vedi-->
SCHEDA. I PARTITI DELLA 2° REPUBBLICA), introdotto nel 1993 (e dalle prime elezioni
con questo sistema, del 1994, si dovrebbe datare l’inizio della "seconda repubblica". Ma
questo non cancellava il bisogno sempre più grande dei candidati di finanziamento e di
accesso ai media. Nel settore dell'emittenza televisiva, tuttavia, non era stata sanata (e non

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lo fu mai) la situazione aperta dalle sentenze della Corte Costituzionale sul diritto dei privati
ad ottenere concessioni delle frequenze tv analogiche solo in ambito locale: mancava una
legge complessiva soddisfacente sui media, e non c’era un sistema per mettere in pari
condizioni i candidati di fronte alle spese elettorali.
UNA LEGGE DEL 1957 VIETA LA CANDIDATURA POLITICA A CHI É
TITOLARE DI CONCESSIONI STATALI. MA NON VIENE APPLICATA
A BERLUSCONI E AI SUOI MANAGER
Ma anche le leggi vigenti erano spesso disattese senza conseguenze. Una legge del
1957 vieta di candidarsi alle elezioni politiche a chi sia titolare di ditte che hanno concessioni
statali. E le frequenze tv sono concesse dallo Stato. Considerando solo gli anni 90 (ma il
fenomeno è continuato fino ad oggi), nelle elezioni del 94 e del 96 questa legge è stata
interpretata dalle commissioni elettorali in modo veramente elastico, dato che Cecchi Gori,
padrone di Tele Montecarlo, e naturalmente Silvio Berlusconi e diciassette manager del suo
gruppo si sono candidati. E' notevole anche il fatto che essi siano stati eletti, perché ciò
mostra che i cittadini italiani non hanno una particolare sensibilità per il problema della
concentrazione del potere.
Certo, tutto questo non costituisce una novità assoluta. Non c'è dubbio che, ben
prima del 94, l'elezione di Umberto Agnelli nelle file democristiane e quella di Susanna
Agnelli in quello repubblicane costituiscano un precedente negativo: in effetti la Fiat, anche
se la sua attività non dipende essenzialmente dalla concessione dello Stato (come invece
quella delle tv private) è stata comunque in un rapporto continuo con esso per appalti di
forniture di materiale ferroviario, tranviario, militare e chi più ne ha più ne metta, in evidente
conflitto di interessi. Ma non si può negare che proprio con la cosiddetta "seconda
repubblica" il rischio di un intreccio permanente di interessi privati e di interessi pubblici
abbia raggiunto un livello mai visto, sia per la crescita continua dei trust in tutti i settori, sia
per la spinosa questione mediale: oltre che delle tre tv nazionali Berlusconi è proprietario di
Pubblitalia -che ha in mano l'intero settore della distribuzione delle inserzioni pubblicitarie sui
media-, delle edizioni Mondadori e di numerosi quotidiani.
LE “ANOMALIE” DI BERLUSCONI E IL SUO CONFLITTO
D’INTERESSI
Il primo governo Berlusconi (1994-1995) conteneva in sé varie anomalie.
-Berlusconi aveva ricordato in campagna elettorale il pericolo comunista e non
mancava di ricordarlo nemmeno al governo, di fronte a un partito, il PDS, che non solo aveva
cambiato nome e statuto, ma che aveva una tradizione di lealtà costituzionale e di legalità, e
che inoltre non poteva essere considerato un emissario dell’URSS, visto che questa non
esisteva più da anni.
-Il padrone della principale tv privata poteva disporre della TV di Stato e molti suoi
parlamentari erano ex manager Fininvest o suoi avvocati.
-Nel suo governo convivevano un partito post-fascista (il MSI-AN) decisamente
nazionalista e un partito come la LEGA, che era, a fasi alterne, federalista o secessionista.

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-Infine un grande capitalista al governo pretendeva di varare la riforma delle pensioni


dei lavoratori. Questo scatenò una durissima reazione dei sindacati, che fu uno dei motivi per
cui la LEGA abbandonò il governo Berlusconi, determinandone la caduta. Il successivo
“governo tecnico” di Dini rese possibile affrontare l’emergenza economica e preparare le
elezioni del 1996.
SCHEDA. LA LEGGENDA DEL COMUNISMO
Da tempo sembrava che il nostro sistema politico si fosse lasciato dietro le spalle il bipolarismo tra partiti
anticomunisti e partiti filocomunisti. Sembrava che esso fosse stato definitivamente superato già dai governi di
emergenza del 76-79 e che il pentapartito avesse escluso dal governo il P.C.I. solo per motivi di programma. Dopo la fine
dell'impero sovietico porre tale problema diventa palesemente assurdo, dato che non c'è nessuna forza esterna cui
un'ipotetica sovversione comunista possa chiedere aiuto. Ma negli anni 90 e ancora all’inizio del nuovo secolo il
comunismo è diventato un ingrediente dell'immaginario post-ideologico e televisivo, l'oggetto di una
specie di "leggenda metropolitana". Sembra che molti giovani allora non conoscessero affatto le vicende politiche
dei precedenti trent'anni e che, in clima di fine delle ideologie e di disgusto per la politica, il trasferimento delle
informazioni da una generazione all'altra fosse stato davvero scarso.
In questa situazione i media hanno finito per essere una fonte addirittura più importante della tradizione orale.
Secondo un sondaggio fatto negli anni 90 in un liceo in provincia di Torino la maggior parte degli studenti che hanno
risposto sembrano convinti che i "comunisti" siano stati a lungo "al governo" in passato 11. Ci sarebbe stata dunque in
Italia un'egemonia politica comunista senza che nessuno storico se ne fosse accorto?
Si può ipotizzare che i dati citati siano significativi per buona parte della popolazione giovanile (escludendo
verosimilmente le regioni rosse). E il loro senso non è semplicemente che i giovani non conoscevano la storia recente,
ma che l'eco di tale storia arrivava loro sistematicamente distorto. Dovremmo dire allora che il bipolarismo in Italia
negli anni 90 c’era ancora, almeno come fantasma ideologico-mediatico. Esisteva ancora, almeno nell’immaginario, un
Noi - quelli che lottano contro il pericolo totalitario comunista - contrapposto a un Loro - gli eterni comunisti, di cui
fanno parte quei pochi che si dichiarano comunisti e quelli che, anche se lo negano, lo sono e lo saranno sempre perché
lo sono stati in passato.
Il bilancio dei successivi governi di centro-sinistra del periodo 1996-2001 non è
confortante per quanto riguarda la restaurazione dell’ordine istituzionale: non hanno votato
nessuna legge sul conflitto di interesse, e il riordino del sistema radiotelevisivo della legge
Maccanico del 1997 non ha messo fine al duopolio RAI-Mediaset. Quanto alla situazione
dell'emittenza pubblica, è stata la stessa maggioranza di centrosinistra (1996-2001) che ha
proseguito nella lottizzazione della RAI, iniziata nei decenni precedenti, e ha concesso ad
A.N., partito dell'opposizione alleato di Berlusconi, il controllo sul TG2, mentre TG1 e TG3
sono rimasti sostanzialmente in mano dell'alleanza di governo. E contemporaneamente la
lotta contro la corruzione e la collusione tra poteri pubblici e privati si è allentata rispetto al
periodo successivo a Tangentopoli.
1996-2001: I GOVERNI DI CENTROSINISTRA NON EMANANO UNA
LEGGE SUL CONFLITTO DI INTERESSE, MA PERMETTONO
L’INGRESSO DELL’ITALIA NELL’EURO
Vanno ricordati i loro risultati positivi nel risanamento del bilancio nel periodo 1996-
2001 e i tentativi di valorizzare la scuola pubblica, ma la loro politica economica complessiva
s’inscrive nel quadro neoliberista. L’ammissione dell’Italia alla moneta unica europea è stata
per un verso un successo, ma il centrosinistra italiano condivide la responsabilità dei governi
europei di aver imposto le regole neoliberiste ai bilanci e alle politiche economiche degli Stati
membri. Inoltre la legislazione sul lavoro di questo periodo ha permesso l’estensione dei
lavori precari e temporanei (cococo e cocopro), secondo il modello americano, mentre si
diffondevano i lavori pseudo-autonomi (lavoratori con partita IVA che di fatto dipendono da
un solo datore di lavoro).
11
Naturalmente ci si può aspettare che in altre regioni d'Italia, come le regioni rosse, le opinioni e le informazioni dei giovani possano
anche essere abbastanza diverse. Il sondaggio ricordato è stato condotto dal professor Giovanni Garbarini (si veda il suo articolo
Lezione di storia dal liceo di Rivoli, in "Politica ed economia", luglio-agosto 1994).

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Dopo un lungo e inutile confronto con l’opposizione nella Commissione Bicamerale


per le Riforme Costituzionali, il centrosinistra ha finito poi per varare una riforma
costituzionale che ha accresciuto le competenze per le regioni, soprattutto per quanto riguarda la sanità, poi
confermata da referendum popolare.
IL CENTRO-DESTRA AL GOVERNO NEL PERIODO 2001-2006:
DEPENALIZZA IL FALSO IN BILANCIO E ABOLISCE IL VOTO
UNINOMINALE
Berlusconi, al governo tra il 2001 e il 2006, ha fatto votare una blanda legge sul
conflitto di interesse, che gli ha permesso di cumulare tranquillamente il potere politico con
quello economico e con quello mediatico. Ha poi promosso una legge che ha tolto le
sanzioni penali per i manager riguardo al falso in bilancio, lasciando solo quelle economiche,
ha abolito la tassa di successione sulle eredità, ha di molto ridotto la progressività delle
tasse, prevista dalla costituzione, a favore dei ricchi. Inoltre ha promosso la legge Lunardi,
detta “legge obiettivo”, che sottopone le Grandi Opere ad un regime conveniente per i grandi
gruppi privati, ma non per lo Stato, e una legge di riassetto del sistema dei media (legge
Gasparri) che gli permetteva di mantenere le sue tre tv. Inoltre la sua riforma del diritto
societario e la depenalizzazione del falso in bilancio non solo hanno fatto gli interessi dei
manager privati e non quello dei normali cittadini, ma gli ha anche permesso di essere
assolto in un processo (secondo processo All Iberian) perché il fatto ormai non costituiva più
reato. Inoltre, sottoposto fin dagli anni novanta a numerosi processi, è riuscito quasi sempre
a farli finire senza una sentenza, facendoli tirare per le lunghe dai suoi avvocati ( su questi temi--> la
voce di Wikipedia PROCEDIMENTI GIUDIZIARI A CARICO DI SILVIO BERLUSCONI ). La legge italiana infatti dispone che i
processi che non si concludono entro una determinata scadenza siano abbandonati e il reato
cada in prescrizione.
Il capolavoro finale della legislatura a maggioranza di centro-destra (2001-2006) è la
legge elettorale detta “Porcellum”, che abolisce il precedente sistema uninominale. Essa,
assegnando premi di maggioranza al partito di maggioranza relativa con criteri diversi per la
Camera e per il Senato, ha causato nel 2006 una situazione di incertezza (il centrosinistra
aveva una maggioranza sufficiente alla Camera, ma molto ridotta al Senato) e nel 2013 una
situazione di gravissimo disagio (il centrosinistra ha un’ampia maggioranza alla Camera e
non ha la maggioranza al Senato).
***
La mafia resta un problema importante della 2a Repubblica.
Passati i periodi della più intensa risonanza mediale, le forze dello Stato e le
associazioni della società civile impegnate nella lotta antimafia non hanno più goduto
della necessaria attenzione da parte dell'opinione pubblica e del potere politico, e
nemmeno di tutti gli indispensabili aiuti. Così, dopo un periodo di rovesci per le associazioni
criminose ma anche dopo un allentamento della tensione antimafia, alla fine degli anni 90 e
all’inizio del nuovo secolo si profilava la possibilità della loro ripresa.

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DALLA MAFIA DELLE STRAGI ALLA MAFIA DEI COLLETTI BIANCHI.


L’INTRECCIO MAFIA-POLITICA-INDUSTRIA

Le mafie del XXI° secolo si presentano come “mafie dei colletti bianchi”, come
associazioni occulte che mescolano affari, politica, traffici illeciti, controllo del voto, tangenti e
appalti di opere e di servizi pubblici. Esse, che già dopo il 1992-93 hanno abbandonato il
metodo delle grandi stragi terroristiche, evitano in seguito anche il ricorso troppo visibile alla
violenza, che allarma l’opinione pubblica e scatena campagne mediatiche. Un loro grande
settore di intervento, come è noto, è il traffico di rifiuti industriali nocivi, che vengono smaltiti
in discariche abusive in aree controllate dalla criminalità organizzata. Qui è decisiva anche la
complicità di molti industriali, che si sbarazzano dei rifiuti tossici in modo illegale per
risparmiare le spese di uno smaltimento altrimenti molto costoso.
Nonostante l’attivismo di associazioni come il Gruppo Abele, Libera e Legambiente, la
sensibilità dei cittadini per il problema delle mafie non è molto alta. Si pensi solo che
Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi e manager di Publitalia, condannato per mafia
in maniera definitiva, era stato eletto in Lombardia. Viene in mente Enzo Jannacci, che
cantava, con accento milanese: “Quelli che... la mafia, a me non mi risulta”.
Del partito di Berlusconi è stato detto da giornalisti e da analisti già nel 1994 che esso ha
avuto un particolare successo elettorale nei territori a forte presenza mafiosa, come era già
stato per Andreotti. Ma nemmeno il centro-sinistra ne è indenne, già agli inizi. È stato rilevato
infatti che l’UDR di Clemente Mastella, che è entrato nella maggioranza di centro-sinistra nel
1998 per sostenere il governo di Massimo d‘Alema dopo l’abbandono di Rifondazione
Comunista, aveva infiltrazioni mafiose12. Purtroppo un discorso complessivo sui rapporti
mafia-politica nel periodo successivo richiederebbe uno spazio molto grande. Perciò
interrompiamo qui la narrazione dei fatti della seconda repubblica. Li proseguiremo in un
nuovo testo che tratterà del XXI° secolo.

DALLA GUERRA FREDDA AI CONFLITTI TRA CIVILTA' E TRA


ETNIE
Torniamo a considerare l'evoluzione dei rapporti internazionali.
IL CAPITALISMO LIBERISTA DOPO IL CROLLO DELL’URSS
APPARE ALLA CULTURA EGEMONE COME L’UNICA SOCIETÀ
POSSIBILE
Abbiamo visto che la contestazione del bipolarismo risaliva a ben prima del crollo
dell'impero sovietico nell'89. La grande crisi economica e politico-morale del capitalismo negli
anni 70 aveva ridestato forze assai antiche, come il fondamentalismo islamico e
l'integralismo cattolico e protestante. Tale crisi non ha avuto le conseguenze catastrofiche

12
Letizia Paoli, Fratelli di mafia, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 287.

151
152

che l’opposizione rivoluzionaria anticapitalista e anti-imperialista si aspettava; il capitalismo si


è ripreso e oggi, al contrario, il neoconservatorismo e il "pensiero unico" lo considerano, nella
sua versione neoliberista, l'unica via veramente buona per l’umanità. La crisi però,
suscitando nuovi attori sulla scena mondiale, ha modificato lo schema bipolare. In condizioni
di puro bipolarismo si contrapponevano, incarnati in due superpotenze militari, due diversi
sistemi sociali, due diverse ideologie, due diversi modelli di crescita economica e di
modernizzazione della vita sociale, entrambi però legati alla civiltà europea laica moderna. Ai
margini dello scontro bipolare sono emerse potenze, regimi e movimenti appartenenti ad
altre civiltà, la cui importanza è diventata per noi veramente chiara solo dopo la scomparsa
del blocco sovietico.
SECONDO SAMUEL HUNTINGTON (AUTORE DE “LO SCONTRO DELLE
CIVILTÀ”), NEGLI ANNI 90 SIAMO PASSATI DAL CONFRONTO TRA
CAPITALISMO E COMUNISMO A QUELLO TRA CIVILTÀ
Secondo Samuel Huntington, autore di un importante saggio intitolato Lo scontro
delle civiltà (1996), negli anni novanta siamo passati dal confronto tra capitalismo e
comunismo a quello tra le antiche civiltà millenarie, quella occidentale, quella slavo-
ortodossa, quella cattolica dell'America latina, quella confuciana, quella giapponese, quella
induista, quella islamica e forse quella africana. La religione e la cultura costituiscono a
questo punto i più importanti criteri della loro identificazione, e l'appartenenza ad una grande
civiltà per Huntington conta in ultima analisi di più dell'appartenenza ad uno Stato-nazione.
Egli ritiene che, nella lotta che si starebbe delineando tra blocchi di nazioni appartenenti ad
una comune civiltà, gli occidentali debbano stringersi attorno alla leadership degli Stati Uniti
e puntare su di un'alleanza con gli slavi ortodossi e con i latino americani, più simili a loro,
per contrastare l'alleanza che starebbe nascendo tra la civiltà confuciana e quella islamica
(aveva in mente soprattutto i rapporti preferenziali della Cina con il Pakistan in funzione anti-
indiana e il sostegno dato da essa all'Iran in varie occasioni).
IN REALTÀ CI SONO NUMEROSI CONFLITTI ALL’INTERNO DELLE
SINGOLE CIVILTÀ (P.ES. SCIITI CONTRO SUNNITI)
Queste tesi sono naturalmente molto discutibili, anche perché la civiltà che poteva
sembrare il pericolo più immediato per l'occidente, e cioè quella islamica, era proprio la più
divisa nelle sue componenti nazionali, in conflitto tra loro. Non solo non c'era accordo
possibile tra Iran e Irak, ma anche tra Libia ed Egitto, Egitto e Sudan, Arabia Saudita e Siria
non correva certo buon sangue, mentre la lontanissima Indonesia mussulmana sembrava
lungi dall'avere concreti interessi in comune con il mondo arabo o col Pakistan. E oltre alle
divisioni nazionali, ci sono anche le divisioni religiose, come quella tra sunniti e sciiti, che più
tardi avrebbe spaccato in due l’Irak. Forse quello che accomuna i paesi mussulmani rispetto
ad altri appartenenti ad altre civiltà è una reazione più vivace alla crescente invasione non
solo delle merci occidentali, ma dei loro media e della loro cultura. Ma questo scontro di
mentalità ha dato luogo, come sappiamo, a episodi sanguinosi ad opera di esigue
minoranze, i quali però non sono neanche lontanamente paragonabili alla guerra fredda, che

152
153

schierava l’una contro l’altra due superpotenze nucleari e i loro alleati su di un fronte politico,
militare, economico e ideologico.

IL CARATTERE PERVASIVO DELLA CULTURA E DEI MEDIA


DELL’OCCIDENTE
La civiltà occidentale è portatrice dello stile di vita sociale moderno e del sistema
economico capitalistico, che si sono dimostrati pervasivi, forse potenzialmente capaci di
mutare in profondità le altre civiltà. Le merci e i media occidentali diffondono lo stile di
vita moderno, la cultura occidentale, i valori dell'individualismo acquisitivo e
consumistico e la fede acritica nel progresso. In tal modo secondo alcuni analisti essi
tendono a corrodere lo stile di vita comunitario ancora diffuso nel resto del mondo;
alcuni credono che possano minare anche l'adesione alle grandi religioni, che sono agli
antipodi di tale individualismo.
La famiglia, la cultura e la religione in Europa e negli Stati Uniti hanno già subito da
tempo l'impatto della modernizzazione capitalistica e dello stile di vita urbano: la famiglia
allargata è stata sostituita dalla famiglia mononucleare, formata dalla coppia dei genitori, che
di solito lavorano entrambi, e dai figli, o spesso da un figlio unico (ma tale composizione può
essere complicata dalle ricomposizioni dopo un divorzio); l’omosessualità è sempre più
accettata; le tradizioni locali sono spesso dimenticate o mescolate; canzoni, film, musica,
giochi vengono spessissimo dal mercato globale; le confessioni religiose sono spesso
liberamente reinterpretate dai singoli, mentre molti hanno una religiosità personale fuori da
qualunque confessione e altri sono del tutto irreligiosi.
IL REVIVAL DEI FONDAMENTALISMI RELIGIOSI (INCLUSI QUELLI
CRISTIANI)
Ma anche nel mondo occidentale ogni tanto si rinnovano le resistenze contro la
modernizzazione: in effetti l'integralismo cattolico si è di nuovo diffuso di recente in Italia,
Francia e altri paesi, così come il fondamentalismo protestante ha riacquistato un peso
notevole proprio negli Stati Uniti, dove negli anni novanta i medici che praticano l’aborto sono
stati oggetto di contestazioni e anche di violenze, mentre l’insegnamento dell’evoluzionismo
darwiniano è stato respinto da molti genitori, che lo considerano blasfemo. In modo analogo
nel mondo arabo mussulmano in alcuni casi sono stati restaurati usi tradizionali, come il velo,
che erano stati abbandonati da una parte della popolazione urbana prima dell’attuale revival
islamista.
Non esiste dunque solo lo scontro tra civiltà di cui parla Huntington, ma anche lo
scontro dentro le singole civiltà. Inoltre questi scontri si mescolano necessariamente con il
rifiuto del capitalismo e della modernizzazione capitalistica, nonché con l'ostilità verso le ex-
potenze coloniali e la superpotenza americana, fenomeni per nulla trascurabili). In effetti tale
rifiuto per un lungo periodo si era espresso ancora usando il linguaggio dell’opposizione
anticapitalistica europea, visto che il comunismo sovietico, la grande tradizione socialista e lo

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stesso egualitarismo uscito dalla Rivoluzione Francese si sono storicamente opposti al


capitalismo e al colonialismo. Ma il crollo dell'U.R.S.S. ha tolto un punto di appoggio militare
ed economico all'opposizione antioccidentale del terzo mondo. Inoltre il conflitto tra l'U.R.S.S.
e i suoi cittadini islamici, già latente prima della sua dissoluzione, e infine l’espansionismo
russo verso l’Afghanistan, avevano predisposto la rivoluzione iraniana a contestare non solo
l'occidente, ma anche il comunismo sovietico.
MODERNIZZAZIONE SENZA OCCIDENTALIZZAZIONE
Naturalmente è almeno in parte possibile modernizzarsi in senso tecnico ed
economico senza accettare i valori capitalistici (e comunque diverse culture possiedono
propri sistemi assai sviluppati di produzione di contenuti mediali). In occidente tali valori si
sono diffusi da molto tempo per l’egemonia della borghesia capitalistica nel mondo della
cultura e delle scienze, per la diffusione spontanea delle idee, per l'imitazione popolare dello
stile di vita borghese e, infine, per l'influenza della pubblicità e dei media privati. Sulla base
dell'esperienza delle tigri asiatiche (Taiwan, Corea del Sud, Singapore), sembra tuttavia che
la civiltà confuciana sia in grado di modernizzarsi senza perdere i suoi valori tradizionali e la
sua coesione sociale. Il Giappone ha dato per primo, un secolo e mezzo fa, l’esempio di una
modernizzazione diretta dalle forze politico-religiose nazionali, la cosiddetta rivoluzione Fuji
negli anni settanta dell’Ottocento, a cui si era messo a capo lo stesso imperatore-dio. Come
è noto, la Cina, dopo aver tentato a partire dal 1949, la via della modernizzazione socialista,
ha intrapreso a patire dagli anni ottanta del sec. XX°, la via della modernizzazione
capitalistica, ma sotto la guida del Partito Comunista, che la presenta nella sua ideologia
come una tappa verso la società socialista.
LA CIVILTÀ EUROPEA HA ELABORATO VALORI UNIVERSALISTICI
Infine va detto che l'occidente non è solo esportatore capitalistico di merci, di film e di
valori individualistici, ma che ha anche promosso, sul piano culturale e politico, valori
universalistici e norme di diritto internazionale. Alla sua iniziativa si deve, dopo la Società
delle Nazioni, l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Si potrebbe obbiettare che le idee guida
su cui si regge tale organizzazione corrispondono alla tradizione della cultura laica, libertaria
ed egualitaria dell'occidente, che, in profondità, è estranea a quella di altre civiltà. Esse
vivrebbero dunque l'egemonia di questa cultura come un'imposizione, non differentemente
da come le ragazze islamiche nelle scuole francesi vivono la proibizione del chador. Tuttavia,
nel corso dei secoli, le diverse civiltà si sono scambiate idee ed invenzioni, modificando la
loro identità senza perderla del tutto. Molte civiltà hanno potuto usare con profitto la bussola
e la stampa inventate dai cinesi, o le cifre arabe; le fiabe raccolte nelle Mille e una notte
hanno circolato nel mondo arabo, persiano, indiano ed europeo; l'Antico Testamento è stato
letto o rielaborato da tre religioni diverse, l'ebraismo, il cristianesimo e l'islamismo. Quindi,
perché i principi dell'O.N.U. per il mantenimento della pace non dovrebbero poter
essere un denominatore comune accettabile dalle diverse civiltà? Il problema concreto

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sorge quando questi principi sono usati per difendere gli interessi occidentali.
MA NON SOLO LA CIVILTÀ EUROPEA LO HA FATTO
Del resto non solo gli occidentali hanno elaborato di recente teorie universalistiche
(che hanno cioè la pretesa di valere per tutti gli uomini). Anche la dottrina del Satiagraha (o
della nonviolenza) di Gandhi è universalistica: egli ha utilizzato concetti indù, islamici e
cristiani e aveva anche una ricca cultura laica di matrice occidentale. La scarsa fiducia di cui
gode l'O.N.U. verosimilmente dipende molto più dalla sua mancanza di credibilità - per
essere stata troppo condizionata dagli interessi delle superpotenze - che dalle differenze tra
“noi” e “loro” (le altre civiltà).

LA PRETESA DELL’OCCIDENTE D’ESSERE ARBITRO SOPRA LE


PARTI: LA “GUERRA UMANITARIA” CONTRO LA SERBIA DEL 1999
La guerra del Golfo, con la quale gli USA consolidarono la loro posizione di gendarmi
dell'ordine mondiale, vista dall'opinione pubblica del resto del mondo era troppo
evidentemente al servizio degli interessi petroliferi dell'occidente. La guerra del Kosovo,
nella ex-Jugoslavia, si è presentata invece come il prototipo della "guerra umanitaria",
in cui non sono in gioco interessi particolari, ma solo valori universali.
La N.A.T.O. ha deciso di intervenire in questa regione,
appartenente alla Repubblica Serba, per costringere la Serbia
stessa ad accettarne l'autonomia e per scongiurare l'incrudelirsi
della repressione da parte di questo Stato contro la guerriglia
indipendentista e contro la maggioranza albanese che vi abita.
Dopo il fallimento delle trattative svoltesi a Rambouillet e dopo la
scadenza dell'ultimatum da essa dato al governo serbo, nel 1999 la
N.A.T.O. è intervenuta senza aspettare le decisioni dell'O.N.U.
L'area della ex-Jugoslavia non ha un particolare interesse
economico, ma più che altro l'opinione pubblica europea è rimasta
colpita dai precedenti terribili conflitti che l'hanno devastata.
I SANGUINOSI CONFLITTI ETNICI NELLA EX-YUGOSLAVIA
DOPO IL 1992
Alle origini del primo era stato, nel 92, il tentativo serbo di staccare dalla Croazia le
aree abitate da serbi, dove già durante la seconda guerra mondiale era stato compiuto dai
fascisti croati uno sterminio di massa di etnia serba con la complicità italiana e tedesca (vedi
sopra LA DISGREGAZIONE DEGLI STATI MULTIETNICI E LA RIPRESA GENERALIZZATA DEI CONFLITTI TRA ETNIE ).

A questo tentativo era seguita una guerra tra Serbia e Croazia, alla fine della quale la

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Croazia aveva mantenuto tutto il suo territorio iniziale, mentre una gran massa di serbi già
residenti in esso ne erano fuggiti. Il secondo era stato la terribile guerra civile della
repubblica di Bosnia-Erzegovina, in cui cattolici croati, sostenuti dalla Croazia, ortodossi
serbi, sostenuti dalla Serbia, e mussulmani bosniaci con un esiguo sostegno dell'O.N.U. e
della comunità internazionale si erano spartiti il territorio soprattutto a danno dell'etnia
mussulmana, oggetto di massacri ed espulsa da molte aree che tradizionalmente abitava. Il
risultato di questo conflitto era stata la formazione in Bosnia di una sorta di Repubblica
Federale, composta da tre Stati in sostanza ostili tra loro (uno cattolico, uno mussulmano e
uno serbo-ortodosso), tenuti insieme soprattutto dalla volontà dell’ONU e della comunità
internazionale.
In questi conflitti i paesi occidentali avevano mostrato in genere una chiara simpatia
per la Croazia (appoggiata diplomaticamente soprattutto dalla Germania) e una netta ostilità
nei confronti dello Stato Serbo, acuita dall’atteggiamento ultra nazionalista di questo Stato e dalle
stragi compiute in Bosnia da paramilitari bosniaci di etnia serba.
I BOMBARDAMENTI NATO DELLA SERBIA NEL 1999 E I
CONSEGUENTI DISASTRI ECOLOGICI
La guerra della N.AT.O. del 1999, giustificata con il diritto dei popoli
all’autodeterminazione, ha usato però contro la popolazione civile serba le forme di
terrorismo tecnologico già sperimentate in Irak. La N.A.T.O. non ha voluto intervenire con le
truppe di terra perché questo le avrebbe causato un costo insopportabile in vite di cittadini-
elettori degli Stati membri e ha affidato ai professionisti dell'aviazione il compito di colpire
obiettivi militari, stradali e industriali, promettendo di non mettere a repentaglio la vita dei
civili serbi (“bombardamenti chirurgici”). Tuttavia almeno un migliaio di civili sono morti nei
bombardamenti e molte migliaia di persone moriranno in futuro non solo in Serbia, ma anche
nelle nazioni vicine per l'avvelenamento ambientale provocato dalle industrie chimiche
bombardate e per l'uso di materiale bellico radioattivo (si tratta dei proiettili all’uranio
impoverito, che da allora sono in uso praticamente in qualunque conflitto). L'economia
serba ha subito danni incalcolabili e l'ecosistema del Danubio (che coinvolge Ungheria,
Serbia, Romania e Bulgaria) è stato alterato in modo probabilmente irreversibile.
LA NATO MOSTRA LA SUA DETERMINAZIONE NEL MANTENERE
L’ORDINE

Ma è stato mancato anche l'obiettivo principale della guerra, quello di difendere


l'incolumità della popolazione albanese del Kosovo. Iniziati i bombardamenti sulla Serbia
l'esercito di questo paese e le scellerate bande paramilitari degli ultranazionalisti di Seselj
cominciarono a massacrare la popolazione albanese provocandone la fuga in massa verso
l'Albania13. Fermo restando che nulla giustifica il governo di Milosevic, la sua ritorsione

13
Secondo l'atto di accusa contro Milosevic del giudice del tribunale internazionale dell'Aja, Carla Dal Ponte,
i kosovari massacrati sono circa tremila ottocento. Benché anche questa cifra sia spaventosa, quelle diffuse
inizialmente dai governi occidentali (decine di migliaia, o addirittura centinaia di migliaia - in particolare
secondo D'Alema) sono evidentemente sproporzionate e tendenziose.

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criminale era tuttavia prevedibile, e, se l'intervento aveva lo scopo principale di difendere la


popolazione, allora può dirsi fallito - ma esso aveva forse anche l'obiettivo di dimostrare
la determinazione dell'occidente nel mantenere l'ordine internazionale. Era egualmente
prevedibile che il popolo serbo si sarebbe stretto intorno a Milosevic dopo che delle potenze
straniere gli avevano intimato un ultimatum lesivo dell'orgoglio nazionale e avevano
cominciato a bombardare il paese senza dichiarazione di guerra.
Le scelte politiche occidentali sono risultate meschine anche da altri punti di vista:
pare per esempio che gli Stati Uniti abbiano preferito puntare, già prima delle trattative
di Rambouillet con la Serbia, sui guerriglieri antiserbi dell'U.C.K. piuttosto che sul
movimento di Rugova, popolarissimo leader nonviolento degli albanesi del Kosovo,
che era riuscito a impedire il conflitto per quasi un decennio, pur continuando a rifiutare
l’autorità serba. Dal 1999 il Kosovo è posto sotto sovranità ONU, con la presenza di un
contingente ONU e di uno della Comunità Europea. In seguito Rugova, che, per la sua
indipendenza, ha goduto di un appoggio piuttosto modesto da parte dell’occidente, è morto
per una malattia (2006), e la maggioranza è passata all’UCK; da allora molti serbi hanno
dovuto fuggire o hanno subito persecuzioni. L’UCK ha proclamato l’indipendenza dalla
Serbia nel 2008, ma il nuovo Stato, subito riconosciuto dai paesi europei (che vi hanno
mantenuto il loro contingente), non è stato riconosciuto da moltissimi altri.
Le potenze europee e gli Stati Uniti, nonostante che in teoria si siano richiamate ai
principi universalistici del diritto umanitario, in pratica hanno spesso dato prova durante i
conflitti della ex-Jugoslavia di essere mosse da pregiudizi etnici e culturali occidentali: a priori
i serbi, ex-comunisti, ortodossi e slavi, sono per loro “naturalmente” dalla parte del torto,
mentre i croati, cattolici, più progrediti e inclini al libero commercio, legati alla civiltà
asburgica, sono naturalmente dalla parte della ragione, anche se il regime del presidente
croato Tudjman, morto nel 1999, aveva tratti nazionalistici autoritari.
Il bombardamento della Serbia e l’intervento nel Kosovo, per quanto abbiano avuto il
plauso di gran parte dei media dell’occidente, sono probabilmente apparsi da altre parti
come essenzialmente ingiusti e sintomi di prepotenza, anche a causa dei comprensibili
pregiudizi degli altri nei nostri confronti.
I MEDIA E L’OPINIONE PUBBLICA OCCIDENTALE HANNO DUE PESI E DUE
MISURE
Benché si muovano in nome di principi universali, anche quando non difendono interessi
particolari (petrolio e simili), gli occidentali difendono spesso i valori particolari della loro
civiltà, magari senza accorgersene. Per i nostri media le ragioni dei croati e gli ebrei, simili a
noi, sono più comprensibili di quelle rispettivamente dei serbi e dei palestinesi. Mentre
vedevano la persecuzione serba degli albanesi non si preoccupavano della persecuzione
contro i curdi operata in grande stile dalla Turchia (paese membro della N.A.T.O. e buon
partner commerciale), anzi, gli aerei turchi stessi hanno partecipato all'intervento in Kosovo.
Egualmente la morte di qualche turista europeo in vacanza in un paese islamico fa più
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notizia di un bombardamento con centinaia di morti degli “altri”.


Come si può immaginare, questo modo di vedere dei media e dell’opinione pubblica
occidentali si sono ancora di più accentuati dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri
Gemelle di New York. Ma questo argomento sarà sviluppato nel prossimo testo.
***
La partecipazione dell'Italia alla guerra contro la Serbia, il primo conflitto di carattere
europeo dopo il 1945, merita un discorso a parte. L'articolo 11 della nostra costituzione,
concepita nell'"età della speranza", dichiara che l'Italia ripudia la guerra come “mezzo per
la soluzione delle controversie internazionali”. Per cui, se il nostro paese ha partecipato
finora alla N.A.T.O. lo ha fatto per il carattere - in linea di principio - difensivo di tale
alleanza. Un problema simile si poneva anche per la Germania, data l’analoga costituzione
di questo paese. Inoltre la presenza militare dei nostri due Stati in un teatro in cui nella
seconda guerra mondiale essi si erano resi responsabili del genocidio dei serbi e di vari altri
crimini evidentemente non era opportuna.
DOPO LA PARTECIPAZIONE DEL 1999 ALL’ATTACCO ALLA
SERBIA, L’ITALIA ACCETTA ORMAI LA GUERRA COME “MEZZO
PER LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI”?
Il nostro governo dichiarò dunque all'opinione pubblica pacifista che la presenza
dell'aviazione italiana sul teatro delle operazioni serviva per scopi di ricognizione e di difesa
dei bombardieri delle altre potenze sulla via del ritorno. Questo, se è vero, non cancella il
fatto sostanziale della nostra partecipazione a un dispositivo militare che nel suo insieme
stava effettuando una guerra che non si può chiamare difensiva. La maggioranza di centro
sinistra, che ha preso la decisione di parteciparvi, non è secondo me giustificata dal fatto che
l'opposizione di destra reclamasse un impegno completo nel conflitto: la legittimità e la
giustezza di un atto non dipendono dal numero delle persone che lo considerano giusto e
legittimo, ma dalle sue ragioni intrinseche.

L’EGEMONIA DEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA


Dopo il 1989 la fine del confronto est-ovest aveva fatto nascere
molte speranze, poi deluse: speranza di benessere individuale per i
russi, speranza di libertà per gli studenti cinesi, speranza di un
mondo meno violento, più tollerante e più pacifico per moltissimi
altri. Chi invece aveva sperato in uno sviluppo del capitalismo nella
versione neoliberista (non limitata da alcuna regulation) ha avuto
ciò che voleva. Bisogna solo vedere se le conseguenze di tale
sviluppo sono tutte realmente desiderabili.

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NELL’ETÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE MENTRE CRESCE LA


RICCHEZZA COMPLESSIVA, AUMENTA LA DISTANZA TRA I PIÙ
RICCHI E I PIÙ POVERI E AUMENTA ANCHE IN TERMINI ASSOLUTI IL
NUMERO DI QUANTI SONO AL DI SOTTO DELLA SOGLIA DI
POVERTÀ

Abbiamo già visto che le conseguenze sociali consistono nel fatto che, mentre cresce
la ricchezza complessiva, aumenta la distanza tra i più ricchi e i più poveri sia
all'interno del nostro mondo, sia nel rapporto tra il nostro mondo e i paesi del Sud, e
aumenta anche in termini assoluti il numero di quanti sono al di sotto della soglia di
povertà.
Nel XXI° secolo, in particolare dopo la crisi economica del 2008, tutte queste tendenze si
accentueranno ancora. Gli USA, all’avanguardia nello sviluppo delle nuove tecnologie, lo
sono anche per quanto riguarda l’aumento delle diseguaglianze e della flessibilità e
precarietà del lavoro, e questo porta alla fine ad una reazione dei ceti popolari. Infatti con le
elezioni del 2008 per la prima volta un nero, Barak Obama, sale alla presidenza con un
programma di riforme sociali, che saranno realizzate solo in piccola parte per l’opposizione
del parlamento. Egli porrà alcuni limiti ai movimenti del capitale finanziario, senza però che si
possa dire che l’egemonia dei grandi capitalisti liberisti sia cessata.
Nel Sud del mondo l’aumento della miseria, insieme alle numerose guerre interstatali
o civili, ai conflitti etnici e alle trasformazioni ambientali -come la desertificazione del Sahel- è
una delle cause fondamentali dell'emigrazione. Ma essa è resa possibile, almeno per le
prime ondate di migranti regolari, dalla potenza degli attuali mezzi di trasporto e dalla
diffusione capillare del messaggio dei nostri media, che alimenta il mito dell'occidente come
terra del benessere e del progresso.
LA CONCORRENZA DELLE GRANDI MULTINAZIONALI PORTA LA
DISOCCUPAZIONE NEL SUD DEL MONDO E LA FORZA LAVORO IN
ECCEDENZA EMIGRA VERSO IL NORD
C'è dunque una sorta di ciclo nell’economia globalizzata degli anni ottanta e novanta:
A) noi mandiamo nel Sud del mondo 1)le merci a buon mercato delle nostre multinazionali

(magari uscite dalle catene di montaggio delle tigri asiatiche e della Cina), che fanno chiudere le

sue aziende non concorrenziali, 2)i nostri sogni elettronici, che illudono l'uomo comune sui

miracoli del Nord;

B), il Sud manda al Nord i suoi figli in soprannumero, disoccupati e talora illusi.

L’uomo della strada del Nord, che di riflesso fruisce della ricchezza del capitalismo del
suo paese, vede negli immigrati degli invasori e dei concorrenti.
Naturalmente ogni paese occidentale richiama a sé gli immigrati a seconda della sua
specifica offerta di lavoro. Per decenni Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Germania hanno
offerto posti di lavoro industriale. Dopo la grande crisi degli anni settanta questi Stati, con la
disindustrializzazione, hanno offerto soprattutto posti nel terziario non qualificato (settore dei
servizi privati) e gli immigrati si sono dovuti accontentare di lavori saltuari e irregolari, senza

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tutela sindacale e assicurativa.


Questo in Italia sembra essere quasi la regola, anche perché nel nostro paese
l'economia in nero e l'economia malavitosa occupano da tempo una parte rilevante nel
sistema, grazie anche alla tolleranza e verosimilmente anche alla complicità di una parte dei
poteri pubblici e talora delle stesse forze dell'ordine. Non c'è da meravigliarsi se, visto che il
nostro paese offre molti posti di piccolo spacciatore di droga o di prostituta stradale, molti
nostri immigrati siano spacciatori o prostitute stradali. Sono forse diminuiti i piccoli spacciatori
e le prostitute italiane (perdita di "posti di lavoro" per i nostri compatrioti...), ma il capitale che
specula su queste attività è sempre quello delle associazioni criminose italiane e
multinazionali (riciclato nelle banche dell'occidente).
XXI° SECOLO: ALLE MIGRAZIONI DEI LAVORATORI SI
AGGIUNGONO QUELLE SEMPRE PIÙ MASSICCE DEI PROFUGHI
Tutti questi problemi verranno amplificandosi nel XXI° secolo, con la migrazione in
massa di profughi sfuggiti a guerre e carestie, continuata malgrado la riduzione dei posti di
lavoro in Europa. Nel nostro secolo sono scoppiati tutta una serie di conflitti armati in parte
promossi direttamente dalle potenze occidentali o indirettamente stimolati dal loro spionaggio
e da quelli di Israele e delle monarchie assolute della penisola arabica: in Afghanistan, in
Irak, in Libia e in Siria. Quali che ne siano state le motivazioni ufficiali, esse si sono svolte in
zone di estrazione petrolifera o di transito del petrolio (vale anche per l’Afghanistan, dove
prima dell’invasione americana alcune multinazionali avevano progettato un oleodotto per
portare il petrolio del Turkmenistan all’oceano Indiano). Ma anche questo argomento è
rimandato al testo successivo.
LE CONFERENZE INTERNAZIONALI SUL CLIMA NON RIESCONO A
CONCORDARE SOLUZIONI SODDISFACENTI ALL’INQUINAMENTO
GLOBALE,
Tra le conseguenze non volute dello sviluppo capitalistico industriale c'è anche
l'inquinamento non più solo a livello locale ma a livello planetario. La cosiddetta
deregulation neoliberista in sostanza consente al capitale privato di danneggiare l'ambiente
di tutti senza pagarne le spese. Ci sono però paesi in cui la legislazione statale impone
sistematicamente rimborsi, vieta o limita produzioni pericolose e finanzia la ricerca di
tecniche eco-compatibili. Ma l'inquinamento dell'atmosfera e dei mari è un fenomeno
globale, non nazionale. E' necessaria quindi una regulation pattuita fra gli Stati e fatta
rispettare di comune accordo. Purtroppo la serie di conferenze internazionali del XX°
secolo, anni, da quella di Rio de Janeiro del 1994, a quella di Kioto a quella dell'Aja del 2000
hanno dato risultati solo parziali: mentre è stata drasticamente ridotta la produzione dei
fluoroidrocarburi, le sostanze chimiche che provocano il buco nell'ozono, non ci sono stati
ancora risultati significativi per quanto riguarda la limitazione delle emissioni di calore (legate
all'industria e al riscaldamento col carbone o il petrolio o altri idrocarburi) che provocano
l'effetto serra. Nel frattempo la calotta glaciale artica si è spaventosamente ridotta, al punto
che nell'agosto 2000 una spedizione di ricerca arrivata al polo nord con un rompighiaccio ha

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trovato che proprio lì c'era acqua. La cosa non meraviglia troppo, se si pensa che dagli anni
60 agli anni 90 lo spessore medio del pack è diminuito del 40%, mentre anche la sua
superficie ha subito una notevole diminuzione. Come è noto, in prospettiva questo potrebbe
provocare catastrofici effetti su aree intensamente abitate che si trovano proprio sul livello
del mare o addirittura sotto tale livello (si pensi al Bangla Desh, all'Olanda, a Venezia). E nel
secolo XXI° il cambiamento globale del clima è diventato evidente per la maggioranza degli
studiosi, che prevedono effetti catastrofici per la seconda metà del secolo se non si
corre ai ripari (va detto che gli studiosi negazionisti hanno avuto lauti finanziamenti dalle
lobbies del petrolio e molti grandi media hanno volontariamente minimizzato il cambiamento
climatico, come è stato mostrato dall’ex-vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore).
I PAESI IN VIA DI INDUSTRIALIZZAZIONE NON ACCETTANO DI
LIMITARE LE EMISSIONI DI GAS SERRA DATO CHE I PAESI DEL
NORD INQUINANO DA SEMPRE, MENTRE LE MULTINAZIONALI
NON VOGLIONO CAMBIARE I LORO METODI PRODUTTIVI
Perché le conferenze internazionali successive (fino a quella di Quito del 2014) sono
risultate infruttuose? In sostanza i paesi in via di industrializzazione non vogliono
limitare le loro emissioni perché per loro industrializzarsi significa uscire dalla
miseria; tanto più che i paesi del nord hanno già inquinato da sempre. In questo modo le
grandi multinazionali, che non vogliono essere costrette a cambiare i loro metodi di
produzione, possono ottenere i rinvii che desiderano. Inoltre è anche vero che il
problema sarebbe più semplice se non aumentasse così velocemente la popolazione del
Sud del mondo (e con essa l'offerta di lavoro, il bisogno di beni e quindi la necessità di
industrializzarsi). I paesi sviluppati, pur essendo un po’ più disponibili per quanto riguarda il
loro territorio (anche perché continuano a trasferire le industrie di proprietà delle loro
multinazionali nei paesi arretrati), non intendono comunque rinunciare massicciamente ai
loro privilegi. Tanto più che chi ha sufficiente denaro può abitare in villette periferiche fuori
dall'inquinamento urbano, o cercare la natura incontaminata in vacanze-safari.
Se l'aumento della popolazione del Sud e gli interessi del capitale globale e dei
ceti privilegiati occidentali sono concreti ostacoli alla soluzione dei problemi
ambientali, c'è anche un importante ostacolo culturale - ideologico: la moderna
credenza nell'onnipotenza del progresso, la speranza che lo sviluppo economico-tecnico
risolverà in futuro tutti i problemi che esso crea oggi – anzi, che in prospettiva risolverà
qualunque problema del genere umano. Questa illusione è senza dubbio alimentata dai
media e in particolare dalla pubblicità - che deve appunto vendere prodotti sempre più
tecnologicamente progrediti. Ma essa caratterizza da sempre la nostra cultura, dal
positivismo ottocentesco in poi, e anche, come abbiamo visto, il marxismo-leninismo
sovietico. All'origine del disastro nucleare di Cernobyl e della desertificazione del bacino
del lago Aral (a causa di uno sfruttamento agricolo forsennato da parte delle autorità
sovietiche) c'era anche la cieca fede moderna nel progresso.

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Sembrerebbe però che le nuove tecnologie, stimolate dalla crescita capitalistica


recente, possano risolvere un problema vitale per l'umanità, quello di nutrire una popolazione
spropositata. Le nuove biotecnologie, che sono in grado di modificare geneticamente gli
organismi, possono adattare le piante ai terreni più difficili, magari in via di desertificazione,
renderle resistenti a certi parassiti, ecc.
Insomma le nuove tecniche che vengono dal mondo capitalista moderno potrebbero
porre rimedio, con l'aumento della produzione agricola, ai disastri della crescita demografica
disastrosa che due grandi religioni diffusissime al Sud, quella islamica e quella cattolica, con
la loro campagna contro la contraccezione finiscono per favorire. Qui ci troviamo in
apparenza nel classico scenario che contrappone le forze del progresso tecnico scientifico
(noi) a quelle dell'oscurantismo conservatore dei fondamentalisti (loro).
LA SOVRAPPOPOLAZIONE: DIMINUZIONE DELLA MORTALITÀ
INFANTILE E MANCATA INTRODUZIONE DEI METODI
ANTIFECONDATIVI
Il problema è più complesso. L’aumento della popolazione dipende anche dalla
diminuzione della mortalità nei primissimi anni di vita grazie all’uso dei farmaci moderni. E
l’uso degli anticoncezionali, indubbiamente osteggiato da molti esponenti religiosi che ne
portano una grave responsabilità, ha trovato gravi ostacoli culturali in popolazioni rurali per
cui i figli erano una risorsa fondamentale nel lavoro agricolo.
Purtroppo non c'è da illudersi che i miracoli della biotecnologia trovino una soluzione
immediata al problema. In effetti i brevetti degli Organismi Geneticamente Modificati
(O.G.M.) appartengono a società di ricerca private che le vendono a chi è in grado di pagarli
al prezzo da loro imposto. Tra l'altro le biotecnologie permettono di produrre sementi da cui
nascono piante sterili, di modo che i loro acquirenti debbano necessariamente ricomprare
ogni anno le sementi stesse da chi ne detiene il brevetto. A ciò si aggiungano i rischi per la
salute e per l’ambiente dell’introduzione troppo frettolosa di tecniche non abbastanza
sperimentate, che possono introdurre modifiche irreversibili.

UNA MOBILITAZIONE DEMOCRATICA DELL’EUROPA POTREBBE


CONTRASTARE L’EGEMONIA DEL CAPITALISMO NEOLIBERISTA
COME NEGLI ANNI 90, LE MULTINAZIONALI E I NEOCONSERVATORI
ATTACCANO IL WELFARE, I SALARI, LA REGOLAZIONE DEI MERCATI, E LE
SPESE PER L’AMBIENTE
Come sappiamo, alla fine degli anni novanta era da tempo in atto la pericolosa
tendenza delle grandi multinazionali a dominare l’economia mondiale e gli Stati stessi,
mentre i mercati finanziari tendevano a svilupparsi con cicli di crescita accelerata e di crisi
improvvisa, soprattutto dopo la loro deregulation ad opera di Clinton e dopo il loro
potenziamento grazie alla diffusione dell’informatica e della telematica nella compravendita
dei titoli. Egualmente le grandi multinazionali erano interessate ad attaccare le spese sociali
per diminuire le imposte, a diminuire i salari reali, a spostare le produzioni industriali nei

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paesi in cui i lavoratori non godevano di un’adeguata difesa legale e sindacale, e a


nascondere o a rinviare il problema dell’inquinamento ambientale e del cambiamento
climatico. Le forze politiche neoconservatrici e neoliberiste e i grandi media ad esso collegati,
che difendono gli interessi di queste imprese e dei grandi gruppi finanziari, hanno cercato di
spostare l’attenzione dei cittadini sui problemi della sicurezza del terrorismo,
dell’immigrazione e del “conflitto di civiltà”.
Questi problemi in seguito si sono aggravati con l’attentato alle Torri Gemelle e con la
crisi finanziaria del 2008. I conflitti armati, già disseminati ovunque negli anni novanta, si
sono ancora più diffusi e sono diventati più sanguinosi nel nostro secolo, tanto che papa
Francesco ha potuto parlare di una “terza guerra mondiale a pezzi”.
DOPO SEATTLE 1999, UN’ONDATA DI MOVIMENTI AMBIENTALISTI
Una prima reazione su grande scala a questa globalizzazione neoliberista è stata
data dai movimenti transnazionali che hanno contestato il convegno liberista del WTO
(Organizzazione Mondiale del Commercio) a Seattle nel 1999 e che si sono organizzati nel
2001 a Porto Alegre nel Forum Sociale Mondiale. Nel frattempo continuavano a crescere
associazioni ecologistiche come Greenpeace e il WWF -in Italia si pensi poi a Legambiente-,
che hanno ormai un'esperienza pluridecennale di lotta. Nel XXI° secolo, dopo l’invasione
americana dell’Irak voluta da Bush junior, c’è stata la più grande ondata internazionale di
manifestazioni pacifiste della storia, e dopo la crisi del 2008 c’è stata un’ondata di proteste e
di occupazioni di piazze in occidente da parte di cittadini indignati e nel 2011 una serie di
movimenti insurrezionali contro governi corrotti, complici della globalizzazione neoliberista,
nel mondo arabo.
Ma ciò che potrebbe essere decisivo sarebbe un’inversione di rotta nella Comunità
Europea. Essa in effetti è un superstato, con una notevole potenzialità economica e
finanziaria, che potrebbe imporre una seria regolazione dei mercati finanziari e premere
sugli Stati Uniti e sulla Cina per una svolta nella lotta contro l’effetto serra e
assumersi una parte significativa degli oneri richiesti per frenarlo. In realtà il problema
del cambiamento climatico e quello della crisi economica sono fortemente legati: sono le
lobbies delle grandi multinazionali e dei grandi finanzieri che si sentono danneggiate sia dallo
sviluppo delle energie sostenibili in sostituzione degli idrocarburi, sia dalla regolamentazione
stretta dell’attività finanziaria e bancaria globale. È sperabile che la paura del successo
elettorale di movimenti popolari antieuropeisti sempre più duri, o dei nuovi partiti della sinistra
radicale anti-austerità, spinga il Parlamento della Comunità o almeno i partiti
socialdemocratici europei ad adottare finalmente serie politiche contro il cambiamento
climatico e contro l’austerità, invertendo la tendenza neoliberista attuale del governo
europeo.
Ancora più difficile è il compito di spegnere i conflitti militari e affrontare in qualche
modo il problema dei profughi di guerra e dell’emigrazione legata alla povertà.

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Gli europei e gli italiani temono contemporaneamente per il loro benessere e per la
loro identità. Non devono rinunciare al loro Noi, alla loro appartenenza ad una determinata
civiltà, nazione, regione e città, ma rendersi conto che queste identità non si escludono, ma
si sommano. All’identità etnica di ciascuno si aggiunge oggi la comune identità politica
europea liberaldemocratica e antifascista, il nostro "patriottismo costituzionale". Esso ci
suggerisce che non dobbiamo contrapporci in modo intollerante alle altre civiltà ed etnie,
salvo per il precetto che abbiamo ricordato all'inizio: non bisogna tollerare gli intolleranti.
Un compito impegnativo aspetta oggi i giovani italiani e i giovani europei. C'è da
augurarsi che essi siano più capaci delle generazioni precedenti di vivere in un mondo
sempre più sovrappopolato sia di uomini che di opinioni e di stili di vita. E che la loro massima sia:
Noi siamo consapevoli della nostra identità, ma siamo anche aperti agli Altri.

INTERNET, RISORSA DEL “TURBOCAPITALISMO” O CHANCE PER


LA DEMOCRAZIA?
L’avvento della produzione globale, del marketing mondiale e del rapporto interattivo con
il cliente attraverso la rete Internet è stata intesa da molti come una nuova fase espansiva
dell’economia e della società. Queste trasformazioni, insieme alle potenzialità di dialogo
democratico della rete, permettono di parlare di una nuova società dell’informazione, e di
una nuova era dell’informazione, cominciata più o meno negli anni novanta.
NEGLI ANNI 90 NEGLI USA SI DIFFONDE INTERNET ANCHE FUORI
DAL MONDO DEI TECNICI E DEGLI INTELLETTUALI
Negli U.S.A., profeti di questa nuova era sono stati fin dagli anni ottanta soprattutto
intellettuali formati nel 68 e innamorati di Internet, scienziati o tecnici affetti da ottimismo
scientistico, utopisti tecnocratici e sociologi della comunicazione. Essi hanno salutato come
una liberazione la possibilità di far accedere ampie masse alla grande rete e alle “autostrade
dell’informazione” e di superare il dominio culturale esclusivo della "neotelevisione"
attraverso i nuovi media interattivi. La discussione diretta tra cittadini, il rapporto
diretto tra i cittadini e il potere e l’accesso rapido a tutte le informazioni (e di volta in
volta solo a quelle che vuole l’utente) sono possibilità proprie di questi media. Si pensava
quindi che, facendone uso, si sarebbe arrivati a scavalcare tutte le burocrazie, a imporre agli
eletti di rispettare i loro impegni, a generalizzare il ricorso al referendum o addirittura a
sostituire il sistema rappresentativo con dirette consultazioni elettroniche dei cittadini.
A livello politico è stato il vicepresidente di Clinton, Al Gore, che ha fatto dello slogan
delle “autostrade dell’informazione” un momento forte della sua propaganda. Ma esse sono
diventate il ritornello di tutti i partiti americani già nella campagna elettorale del 1996.

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L’ACCESSO AD INTERNET É UN TEMA DELLE CAMPAGNE

ELETTORALI AMERICANE NEGLI ANNI 90


Le tesi della democrazia telematica sono senza dubbio allettanti. Certo, Internet è il
medium interattivo per eccellenza. Richiede iniziativa e curiosità, nonché il possesso di
alcune conoscenze di base. Esso è ben diverso dalla radio e dalla tv "generaliste", che, cioè,
si rivolgono a un pubblico passivo ed indistinto, offrendo a tutti un messaggio
preconfezionato, dentro un palinsesto condizionato dalle esigenze dei pubblicitari. Inoltre non
solo Internet, ma la tv via cavo o via satellite proponevano già negli anni ottanta (ma allora
non in Italia) nuovi allacciamenti specializzati, che possono essere liberamente scelti.
Ma la tv ha ormai formato – a quasi tutti i livelli sociali - la generazione che nel mondo
occidentale alla fine degli anni novanta comincia ad accedere a Internet. Essa accede alla
Rete nella sua ultima versione, quella multicolore e sonora del word wild web (mentre i
pionieri comunicavano soprattutto attraverso file di testo). E’ vero che in essa la pubblicità
non era più aggressiva e ossessionante, ma poteva essere facilmente filtrata o rimossa.
Tuttavia su Internet, oltre ai siti di condivisione tra pari e di collaborazione on line, si trovano
da allora anche i siti delle grandi marche, da tempo penetrate negli stili di vita dei
consumatori, delle grandi star e dei grandi media (più tardi i social media sarebbero
diventati luoghi di condivisione e di commento dei programmi mainstream della tv).
La generazione di americani che per prima si è riversata in massa sui multimedia e su
Internet è quella che è uscita da quasi due decenni di desindacalizzazione e di
depoliticizzazione spinte, ed è afflitta da un notevole analfabetismo di ritorno e da un
abbassamento del livello culturale medio, dovuti in buona parte al degrado della scuola
pubblica. Perché Internet abbia un effetto liberatorio, non basta l’astratta libertà di
scelta, ma è necessaria una formazione di base culturale e scientifica che permetta di
selezionare informazioni politiche e commerciali con competenza e senso critico.
Egualmente negli U.S.A. Internet permetteva a livello di massa (nel 1996 sei milioni di
addetti) un nuovo tipo di impiego, il telelavoro: attività che prima si dovevano svolgere in
ufficio o in officina si potevano ormai svolgere a cottimo a domicilio in collegamento
telematico. Ma se una minoranza degli occupati lavorava ai livelli più elevati di
professionalità e di stipendio, per la maggior parte degli altri il telelavoro significava contratto
individuale, isolamento sindacale, debolezza nei confronti dell'impresa e, in certi casi, lavoro
scarsamente qualificato, non tanto diverso dalle vecchie forme di lavoro a cottimo a
domicilio. Infine, la rete, il virtuale e i multimedia, nonché la diffusione del telelavoro, possono
anche accentuare alcuni fenomeni tipici della "società dello spettacolo": la perdita del senso
del luogo e dell'identità, l’isolamento individuale, il declino del senso della storia e della
differenza con le altre civiltà, ecc.
LE AZIENDE DEL SOFTWARE E DI INTERNET, DOPO AVER
RIVOLUZIONATO I MERCATI, PORTANO AD UNA NUOVA ONDATA DI

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CONCENTRAZIONE DEI CAPITALI


Le start up (cioè le aziende in ascesa) del settore del software e di Internet, col loro
dinamismo apparentemente illimitato avevano fatto sperare in un rovesciamento della
posizione dominante delle grandi imprese oligopolistiche tradizionali e in una crescita
indefinita. Invece la nuova economia di internet (e-economy) è coinvolta nella crisi
speculativa scoppiata all’inizio del secolo, e le sue aziende di punta cominciano a
diventare colossi multinazionali, affiancando o soppiantando le megaimprese precedenti,
ma senza togliere ai mercati quelle caratteristiche di concorrenza limitata, imperfetta, di cui
abbiamo parlato, anzi aumentando la concentrazione dei capitali a livello globale. Alcune
grandi multinazionali del web come Amazon avrebbero anche inventato nuove forme di
organizzazione aziendale che avrebbero ancora di più semplificato e impoverito le mansioni
dei lavoratori, legati da contratti capestro e sistematicamente sfruttati. La loro estrema
efficienza avrebbe eliminato, senza sostituzione, una serie di posti di lavoro e una miriade di
piccole aziende.
INTERNET FACILITA LA DISCUSSIONE POLITICA E LO SCAMBIO DI
INFORMAZIONI TRA CITTADINI
Abbiamo suggerito in precedenza (-->LA POLITICA DALL'IDEOLOGIA ALL'IMMAGINE ) che il vero
nodo comunicativo delle società democratiche siano gli intellettuali "di base”: i militanti di
qualche movimento (sindacale, politico, ecologista, pacifista, ecc.), gli insegnanti, i parroci, i
professionisti, o semplicemente le persone più istruite, informate e impegnate di un certo
ambiente che ne animano le discussioni sulle questioni di pubblico interesse. Abbiamo
sostenuto che è la tv che tende a metterli fuori gioco. Chiuse le sezioni dei partiti e dei
sindacati, divenute sempre meno frequenti le discussioni di politica nei ritrovi, Internet può
mettere questi intellettuali in rete, può metterli in contatto con il grande pubblico dei
naviganti. Certo, c’è il rischio che il grande pubblico, formato dalla tv, preferisca l’interazione
diretta con i politici via Internet intesa nello stesso senso del talk-show spettacolare, e che
esso si illuda di capire tutto solo perché accede direttamente a tutto. Del resto la pubblicità
suggerisce al consumatore di essere in grado di giudicare qualunque prodotto.
Differentemente dagli U.S.A., in cui la scuola media e media superiore è da decenni in
una condizione penosa, le società europee, inclusa quella italiana, alla fine degli anni
novanta avevano un sistema di formazione scolastico ancora relativamente efficiente e una
tradizione familiare ancora capace di formare alla convivenza civile le nuove generazioni.
Internet sarà una chance per la democrazia dove le giovani generazioni arrivano ad essa
con un sufficiente bagaglio culturale critico, che permetta loro una navigazione autonoma e
consapevole.
IN ITALIA NEL NUOVO SECOLO I GIOVANI E I MOVIMENTI DEI
CITTADINI CRITICI HANNO FATTO UN GRANDE USO DELLA RETE
PER LA LORO INFORMAZIONE ED ORGANIZZAZIONE
Purtroppo in Italia nel nuovo secolo sono state tolte progressivamente risorse alla
scuola pubblica, l’abbandono scolastico è notevolmente aumentato e la percentuale dei

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nuovi laureati creati ogni anno è decisamente più bassa di quella dei paesi europei più
avanzati. Nel frattempo Internet ha notevolmente innalzato il suo numero di utenti,
superando all’inizio del secondo decennio la metà della popolazione. Nello stesso periodo i
giovani e i movimenti dei cittadini critici hanno fatto un grande uso della Rete per la loro
informazione ed organizzazione: si pensi al movimento viola contro Berlusconi, al movimento
studentesco, in particolare universitario, al referendum per l’acqua bene comune e contro il
nucleare, ai meet up grillini.
Nelle elezioni politiche del 2013 lo straordinario successo del Movimento Cinque Stelle
sembra aver raccolto i frutti elettorali di questa ondata di democrazia telematica (25% dei
voti).
QUALCHE ANTICIPAZIONE SUL MOVIMENTO CINQUE STELLE E INTERNET
Farò nel prossimo testo un’analisi articolata sull’uso che il M5S ha fatto del suo successo politico, e qui parkerò
solo del suo uso dei media e di Internet. Sicuramente, come hanno mostrato alcune ricerche politologiche, una parte
importante dei suoi voti sono venuti da giovani istruiti che usano internet per informarsi sulla politica e sulla società.
Ma molti voti sono venuti anche da un pubblico un po’ meno aggiornato e genericamente ostile alla “casta” dei politici
(il “voto di protesta”). Questo pubblico non è stato raggiunto dall’Internet dei meet up di Grillo (forum di discussione,
di documentazione, di organizzazione), ma da quello del suo blog, in cui il messaggio è sostanzialmente unidirezionale,
come quello televisivo. Non solo, ma Grillo, da consumato uomo di palcoscenico sensibile agli umori del pubblico, ha
saputo comunicare con grande efficacia nelle decine e decine di comizi di piazza che ha tenuto. Egualmente, vietando al
suo movimento di comparire in tv, ha suscitato la curiosità dei telespettatori, e le tv (a partire da Sky) per motivi di
audience hanno dovuto concedergli spazio e attenzione.
Comunque, considerando il fatto che negli anni novanta il voto per i Verdi si aggirava intorno al 2%, il 25% del
2013 del M5S mostra, anche considerando il voto di protesta, che la consapevolezza ecologica in Italia ha fatto passi
enormi. E questo non solo per gli aspetti ecologici del suo programma, ma anche per l’immagine anticonsumistica e
austera trasmessa dall’abbigliamento del leader e dall’intera campagna, dai costi ridottissimi.

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UNA SINTESI DEI PROBLEMI CHE ABBIAMO


EREDITATO E QUALCHE RIFLESSIONE FINALE
La bipolarizzazione del mondo seguita alla seconda guerra mondiale aveva messo nelle
mani dei gruppi dirigenti dei due blocchi la difesa strategica degli interessi di ciascun blocco
(Noi) contro il nemico ideologico (Loro). In oriente ciò significava dittatura del partito sul
proletariato (l’opposto dell'originaria dottrina di Marx, come si è detto nell’Introduzione),
nonché la "sovranità limitata" dei singoli Stati a favore dell'Unione Sovietica. In occidente, per
quanto ci sia stata libertà di opposizione e di iniziativa politica, tale libertà era in qualche
modo limitata dalla leadership americana e dalla asserita priorità della difesa dal Nemico
comune. Ricordiamo brevemente queste limitazioni alla libertà: la presenza per decenni di
alcuni Stati autoritari all'interno della NATO; le interferenze talora massicce degli Stati Uniti
negli affari interni di altri Stati, anche a democrazia parlamentare (il caso più clamoroso resta
il colpo di Stato in Cile del 1973; ma si pensi anche alla presenza pluridecennale in Italia di
strutture segrete in contatto con lo spionaggio americano, come "Gladio"); la leadership
americana nel campo della politica economica mondiale (si ricordi l'esportazione
dell'inflazione americana negli anni sessanta - settanta e, più tardi, l'imposizione più o meno
morbida della politica economica neoconservatrice attraverso il Fondo Monetario
Internazionale, sostanzialmente legato agli interessi del capitale americano) e infine la
proliferazione delle armi nucleari fuori dal controllo del cittadino comune.
Come abbiamo visto, la logica dei blocchi è stata messa in discussione (per quanto in
diversa misura) da alcune potenze più piccole (la Francia e la Cina), da istituzioni millenarie
(l'islamismo integralista dell'Iran e di altri paesi e, per certi versi, la Chiesa cattolica) e da
diversi movimenti di contestazione (la contestazione globale del 68, l'ecologismo, il
pacifismo, ecc.). Abbiamo pure ipotizzato che la ricezione clandestina dei media occidentali
e anche le stesse informazioni dei media orientali sui movimenti pacifisti e di contestazione
all’ovest abbiano contribuito al sorgere di un movimento di contestazione nonviolenta nei
paesi dell'est, divenuto vincente quando Gorbaciov rinunciò all'uso della repressione
massiccia alla fine degli anni ottanta.
Dunque, proprio il periodo del tramonto del bipolarismo è stato un momento di grandi
speranze e di intensa partecipazione politica da parte di consistenti gruppi sociali: al
pacifismo occidentale degli anni ottanta hanno fatto seguito i movimenti che hanno fatto
crollare i regimi comunisti quasi senza colpo ferire. Ci sono state, è vero, alcune importanti
eccezioni, cioè la Romania, l'Albania e la Jugoslavia, fuori dall'influenza della glasnot e della
perestroika di Gorbaciov. Il crollo dell’impero sovietico è in parete causa anche della lunga
crisi del regime socialista arabo in Algeria (dopo un tentativo di riforme democratiche ci fu un
colpo di Stato e una violenta repressione contro il movimento islamista).

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Anche l’Italia all'inizio degli anni novanta ha conosciuto una breve ma intensa stagione di
mobilitazione politica popolare (vedi -->TANGENTOPOLI E LO SFASCIO DEI PARTITI). Il paese doveva
affrontare una difficile congiuntura, nella quale l’enorme debito pubblico accumulato nell’età
delle grandi opere pubbliche, delle spese di Stato, degli sprechi e delle tangenti legate ai
governi di pentapartito pesava sull’economia nazionale e rendeva difficile entrare nel sistema
di cambi fissi tra le monete della Comunità Europea. La mobilitazione era rivolta contro la
corruzione dei partiti di governo, in appoggio dei giudici che avevano avuto il coraggio di
svelare la rete di omertà che copriva il sistema delle tangenti - il segreto di pulcinella degli
anni ottanta. Quegli anni in Italia sono stati caratterizzati da manifestazioni a favore dei
giudici antimafia (alcuni morti assassinati) e antitangenti, e contro i politici corrotti, da
campagne referendarie contro il sistema elettorale vigente, e da campagne di solidarietà con
le vittime della mafia e con i commercianti siciliani che per la prima volta avevano osato
ribellarsi al sistema del pizzo.
Con l'eclissi dell'Unione Sovietica e l'indebolimento della repubblica federativa russa (la
più grande potenza nucleare dopo gli USA) sembravano aver vinto il capitale globale, il
neoliberismo e il "pensiero unico", che perpetuavano varie caratteristiche della guerra fredda
(persistenza della leadership americana nella NATO, strapotere del Fondo Monetario
Internazionale, mercato internazionale dominato dalle grandi multinazionali soprattutto
americane).
Agli uomini del secolo XXI° il secolo precedente lascia in eredità gravissimi problemi
irrisolti, tutti figli del capitalismo globalizzato, destinati a far tornare i giovani in piazza, o
perfino a farli accampare nelle piazze per molti giorni di seguito (da Wall Street a piazza
Tahrir ).
1. Il primo è un’ineguaglianza crescente e una tendenza permanente alla crisi
economica. Con la globalizzazione neoliberista, in seguito all’abbandono della politica
economica di Welfare e all’aumento della concorrenza tra i lavoratori, i redditi più alti si sono
sempre più distanziati da quelli più bassi e la ricchezza si è venuta concentrando in una
minoranza sempre più esigua (vedi --> POLO UNICO, PENSIERO UNICO E CAPITALE GLOBALE).
Come già nel corso dell’Ottocento e nel periodo precedente alla crisi del ‘29, i ceti più
ricchi, nonostante il loro lusso ostentato, tendono ad investire per aumentare il loro potere
economico più che a consumare, e i ceti bassi non possono consumare oltre un certo limite.
Nella politica economica di Welfare, più egualitaria, la domanda di beni era sostenuta da alti
salari e stipendi e dalla spesa pubblica. Nell’economia neoliberista invece è piuttosto il
credito al consumo che permette alla domanda di crescere a sufficienza, e il debito
contemporaneamente mantiene gli individui indebitati in una situazione di soggezione
economica e sociale. Il problema nasce quando il debito diventa eccessivo e risulta
impossibile estinguerlo, e perfino pagare gli interessi. La grande crisi del ’29 e quella del
2008 sono scoppiate in occasione di un crollo della borsa di Wall Street, ma in entrambi i
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casi nel sistema bancario (non adeguatamente regolato e sorvegliato dai poteri pubblici)
c’era un eccesso di crediti inesigibili.
Dietro la modernità iper-tecnologica si nascondono fenomeni già visti. La modernità dei
flussi borsistici all’epoca della globalizzazione consiste nel fatto che gli acquisti e le vendite
sono regolati dai computer e incredibilmente gonfiati rispetto al capitale produttivo reale (si
parla di un flusso di titoli borsistici il cui valore nel complesso è sessanta volte superiore al
valore dei beni a cui si riferiscono). Nonostante queste innovazioni supertecnologiche (che
semmai aumentano i rischi che le borse subiscano alti e bassi improvvisi) agli occhi dello
storico il capitalismo liberista sembra comportarsi adesso come nell’Ottocento: il
sovrainvestimento capitalistico e la tendenza dei lavoratori al sottoconsumo provoca crisi di
sovrapproduzione, con difficoltà di smaltimento delle merci e poi recessione produttiva.
2. Il secondo è più temibile del primo: l’eccessivo consumo di idrocarburi, il conseguente
effetto serra e la possibilità di un irreversibile cambiamento climatico (a ciò si aggiunga la
spaventosa sovrappopolazione mondiale e il consumo preoccupante di energie – e in
genere di risorse –non rinnovabili). Anche qui il potere delle multinazionali, in particolare di
quelle petrolifere, rende difficile la soluzione, come si è visto. Ma la loro volontà di negare o
rinviare il problema è facilitata da una cultura diffusa dell’ottimismo tecnologico, per cui molti
sperano che la scienza e la tecnica comunque possano salvarci, e a una cultura del
consumo illimitato, per cui si aspetta che siano gli altri a consumare di meno, o i poteri
pubblici a occuparsi del problema.
La crisi economica e, per molti, il bisogno conseguente di trovare un lavoro e un reddito
purché sia, fanno perdere di vista il fatto che il primo e il secondo problema vanno risolti
insieme, anche perché la soluzione del secondo non si può rinviare.
3. Il terzo punto è che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, la guerra torna sulla scena
mondiale in modo massiccio. Da allora, almeno sotto la presidenza di Bush Junior, gli Usa si
sono curati piuttosto poco di essere in sintonia con l’ONU, e anche i loro rapporti con Cina e
Russia, e soprattutto con quest’ultima, sono peggiorati. C’è una “terza guerra mondiale a
pezzi”, come dice papa Francesco. La sua causa apparente è il “conflitto di civiltà”, cioè la
presunta lotta del Grande Nemico islamista jihadista contro la civiltà occidentale (per
definizione democratica e liberale). Le sue cause reali sono molteplici ma proverò qui ad
abbozzarne due.
La gran parte dei conflitti militari del XXI° secolo (come si è detto) sono in aree legate
all’estrazione del petrolio o di gas idrocarburi (Irak, Libia) o al passaggio di oleodotti e
gasdotti (Afghanistan, Siria –che è però anche dotata di giacimenti- e Ucraina). E la Nigeria,
uno dei maggiori produttori di petrolio, che non è coinvolta in un conflitto interstatale, è però
sconvolta da sanguinosi attentati legati all’estremismo islamista. Il Mali e il Niger, che hanno
vaste riserve di uranio, sono in una situazione analoga.

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È abbastanza evidente che le potenze in lizza non si preoccupano di trovare un accordo


per sostituire con energie rinnovabili il petrolio (energia inquinante e non rinnovabile) e
l’uranio (non rinnovabile e passibile di usi militari), ma soprattutto di accaparrarsi queste
risorse. E se nella seconda guerra del Golfo (2003) gli Stati Uniti giocavano ancora un ruolo
decisamente egemone, nelle guerre successive (Libia, Siria) l’iniziativa militare, diplomatica
oppure spionistica, è toccata alle potenze europee, alla Turchia, all’Arabia Saudita, al Qatar
e a Israele.
Per capire l’intreccio del cosiddetto “conflitto di civiltà” col conflitto per il controllo delle
risorse energetiche bisogna risalire all’invasione russa dell’Afghanistan. Allora, per mettere in
difficoltà la superpotenza rivale, la CIA aiutò finanziariamente formazioni partigiane islamiste
sunnite che andavano a combattere il comunismo ateo. Da allora tutta una serie di rapporti
furono intrecciati tra il mondo variegato e imprevedibile della guerriglia e del terrorismo
islamista e i servizi segreti degli USA, ma anche di loro alleati non sempre disciplinati e
controllabili, come Israele, il Pakistan, l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia. Lo stesso Bin
Laden ha collaborato con gli USA prima di diventarne nemico. Si favoriva la formazione di
gruppi armati, utili a seconda delle occasioni per creare conflitti in aree di religione islamica
importanti per le risorse energetiche, per creare difficoltà a competitori dell’America (si
pensi alla guerriglia cecena islamista in Russia o ai guerriglieri islamici Uiguri in Cina), o per
concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale sul problema del
terrorismo, distraendola da quelli appena considerati.
Naturalmente questi gruppi, presumibilmente formati da persone che in buona fede
credono nella loro causa (comunque la si voglia giudicare), non si sentono affatto vincolati
dagli interessi dei loro protettori–finanziatori e a un certo punto perseguono obiettivi propri,
come si è visto di recente anche in Siria.
Una seconda ragione per la tendenza attuale alla guerra è di natura economica. Le
spese militari hanno lo stesso effetto economico di quelle per il Welfare: creano una
domanda che stimola il mercato. Alcuni studiosi credono infatti che l’invasione
dell’Afghanistan e quella dell’Irak siano state un tentativo di rivitalizzare l’economia
americana. Si tenga presente comunque che i sistemi d’arma ad alta tecnologia e in genere
gli armamenti di oggi comportano grandi spese, ma creano pochi posti di lavoro fuori dalle
industrie altamente specializzate.

L’elenco dei problemi che aspettano le nuove generazioni è senza dubbio


impressionante. Tuttavia abbiamo indicato in modo molto sommario alcune forze che hanno
cercato di affrontarli: i movimenti dei cittadini per la pace e per l’ambiente, sempre fortissimi
nel XXI° secolo, le mobilitazioni contro la crisi economica, che sono partite on line e hanno
avuto risultati off line sulle piazze, i nuovi partiti anti-austerità sorti in varie parti d’Europa,
ecc. E forse riusciranno a far sentire la loro voce al governo europeo.

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Torneremo su tutto questo in modo sistematico nel prossimo testo.

SUGGERIMENTI SITOGRAFICI E BIBLIOGRAFICI

WIKIPEDIA. È un sito molto ricco e molto utile per la storia contemporanea (e per
molte altre materie). Essendo frutto del lavoro di volontari, normalmente non
professionisti, è inevitabile che molte sue voci siano state scritte per iniziativa di
sostenitori di questa o quella tesi, di questo o quel partito. Ciononostante il
successivo lavoro di messa a punto fatto da altri volontari di solito dovrebbe garantire
che anche punti di vista diversi vi siano rappresentati e che le esagerazioni, le
imprecisioni o i falsi siano corretti. Inoltre le voci soggette ancora alla discussione tra
“wikipediani” sono normalmente segnalate.
QUALCHE CONSIGLIO SUL METODO DI RICERCA. Potrebbe essere considerato
perfino un vantaggio, rispetto a Wikipedia, il fatto che altre fonti di informazione
dichiarino la loro appartenenza: un periodico o una casa editrice possono essere
proprietà di un partito, o anche di un padrone o di una società che hanno determinate
idee e interessi: l’importante è saperlo. In realtà non esiste nessuno che sia
assolutamente sopra le parti: quello che è importante è che il proprio punto di vista
sia dichiarato. Quindi nelle ricerche, a mio avviso, non conviene mai considerare le
fonti come assolutamente neutre, ma è anche eccessivo scartare del tutto le fonti di
parte, se dichiarano lealmente la loro appartenenza. Bisogna però imparare a “fare la
tara” al racconto dei cosiddetti fatti, che non sono perfettamente separabili dalle
interpretazioni. Il lavoro critico dello storico sulle sue fonti non ha mai fine. E un
approfondimento e un perfezionamento dell’analisi storica devono essere sempre
possibili.

AMNESTY INTERNATIONAL, INDYMEDIA, GREENPEACE,


EMERGENCY, LEGAMBIENTE, LIBERA, PEACELINK, MEGACHIP,
ECC. Sono associazioni non governative di cittadini, che hanno specifici scopi e
specifici ideali: Amnesty denuncia le torture e le violazioni dei diritti dell’uomo,
Indymedia è un’organizzazione di media indipendenti dalle grandi multinazionali dei
media, Greenpeace e Legambiente difendono l’ambiente e lottano contro la
diffusione del nucleare, l’italiana Emergency, come Médecins Sans Frontières,
organizza ospedali di emergenza in paesi colpita dalla guerra o dalla miseria,
Peacelink.it si occupa di mettere on line informazioni e iniziative per la pace, Libera
promuove la lotta contro la mafia, Megachip.globalist.it promuove la conoscenza di
informazioni che sono omesse dai grandi media e insieme informa sul sistema
dell’informazione. I siti di tutte queste associazioni in sostanza raccolgono e mettono
in rete informazioni che spesso sono trascurate o del tutto censurate dai media
mainstream.

FILMOGRAFIA
La storia può essere insegnata anche attraverso i film storici (lo fa Giovanni De Luna
nei suoi testi per le medie superiori). Rimandando ad un’altra occasione un discorso
sui film di fiction di argomento storico, ci limitiamo a segnalare alcuni documentari,
sperando che il lettore riesca a trovarli in CD o in streaming.

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AL GORE, ecologista, già vicepresidente degli USA, ha prodotto un film


sull’inquinamento globale, sul cambiamento climatico e sui tentativi di minimizzarlo:
Una scomoda verità.
MICHAEL MOORE, regista americano, il cui successo è cominciato con Bowling a
Colombine, documentario sulla diffusione della violenza e sull’uso privato delle armi
negli USA, ha prodotto un film sull’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle:
Fahrenheit 9/11 (entrambi esistono in versione italiana con lo stesso titolo).
SABINA GUZZANTI, attrice e autrice di satira politica, ha prodotto un documentario
sulla politica della seconda repubblica,
Viva Zapatero.

BIBLIOGRAFIA
*Testi presenti alla Biblioteca Nazionale di Torino
°Testi presenti alla Biblioteca Civica Centrale di Torino
(per sapere quali libri si trovano nelle biblioteche pubbliche si può usare il sito
www.sbn.it)

1. INFORMAZIONI DI BASE SUGLI EVENTI E CRONOLOGIE.


*Aldo De Matteis, Cronache della storia. I grandi avvenimenti di oggi alla ribalta della
storia, Marco Derva J., Giugliano (Na), 1999. In questa facile opera divulgativa è trattata
separatamente l'origine di ciascuno dei grandi problemi del mondo contemporaneo (l'origine
e il crollo del comunismo sovietico e dei paesi dell'est, la riunificazione tedesca, la questione
jugoslava, la questione palestinese, l'Unione Europea, Tangentopoli e la crisi della "prima
repubblica", ecc.). Le singole trattazioni sono di qualche decina di pagine e sono seguite da
una cronologia. Alla fine c'è un Glossario.
ATLANTE STORICO GARZANTI (presente quasi in qualunque biblioteca). Cronologia della
storia universale. Oltre che per l'informazione di base sugli eventi, raccomandiamo di
consultare quest'opera (e in genere qualunque buon atlante storico e geografico) per
comprendere il quadro geografico in cui essi si svolgono. Fondamentali per capire le rivalità
geopolitiche tra le nazioni e lo scontro tra le civiltà sono le cartine demografiche,
economiche, etno-linguistiche e religiose. Chi ama la storia potrebbe perfino comprarlo
(anche usato)
Renato Salvalaggio, Storia 3, Arnoldo Mondadori, Milano 2000. E' una sintesi in edizione
economica del programma di storia del terzo anno delle superiori che tratta, benché in modo
non ancora ben strutturato, anche la storia degli anni 50-90. Si dovrebbe trovare usato.
Luca Pes, Cronologia 1945-1991 degli eventi mondiali e italiani, in appendice a Silvio
Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana (vedi sotto, sezione 3).

2. STORIE GENERALI DEL PERIODO


*°Scipione Guarracino, Storia degli ultimi cinquant'anni. Sistema internazionale e sviluppo
economico dal 1945 a oggi. Bruno Mondadori, Milano, 1999. 450 pagine corredate di tabelle
statistiche e di bibliografia. Testo rigoroso, chiaro e documentato, solo lievemente più difficile
del testo che avete appena letto, che ad esso molto spesso si è ispirato.
*°Eric Hobsbawm. Il secolo breve. 1914-1991: l'era dei grandi cataclismi. Rizzoli, Milano,
1995. Anche da questo testo, forse un po’ più complesso del precedente, ho tratto idee e
informazioni (700 pagine, ampia bibliografia).
*°Giuliano Procacci. Storia del XX secolo, Bruno Mondadori, Milano, 2000. Testo organizzato
in modo da rendere facile la consultazione sulle vicende delle singole aree geografiche e dei
singoli Stati.
°Scipione Guarracino, Il Novecento e le sue storie. Bruno Mondadori, Milano 1997. Presenta
le grandi discussioni degli storici sul Novecento, e fornisce una vasta bibliografia su tutti i
temi principali, alla quale rimandiamo.

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3. STORIE DI ASPETTI SPECIFICI


*°Joseph Smith, La guerra fredda. 1945-1991, Il mulino, Bologna, 2000. Opera sintetica, di
carattere introduttivo.
-André Fontaine, Storia della guerra fredda, Il Saggiatore, Milano (diversi volumi e diverse
edizioni). Vedi anche A. Fontaine, La guerra fredda, Piemme, Casale Monferrato, 2005.
*°Bruno Bongiovanni La caduta dei comunismi, Garzanti 1995
-François Furet, Il passato di un'ilusione. L'idea comunista nel secolo ventesimo, Mondadori,
Milano 1995.
-Giorgio Borsa, Gandhi, Bompiani,1983.
-Giovanni Salio, Il potere della nonviolenza. Dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine
mondiale. Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1995. Un punto di vista nonviolento sulle relazioni
internazionali contemporanee.

4. PROBLEMI RECENTI AFFRONTATI NEL CAP. 5 E NELLA CONCLUSIONE

-*Federico Repetto, Opinione pubblica, media e potere nel Novecento, Loescher 2004.
Questo libro è un’integrazione del corso di storia di quinta superiore. É un testo breve e
sintetico, con letture e schede.
-Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano,
1997 (ediz. originale 1996).
-Costanzo Preve. Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario,
sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente, Editrice CRT, Pistoia 2000 (non si
tratta propriamente di un libro di storia, ma di un saggio critico sulle manipolazioni
ideologiche del pensiero unico; di qui abbiamo tratto l’idea di “guerra umanitaria”)..
-Lawrence Grossman, La repubblica elettronica, Editori Riuniti, Roma, 1997. Storia dei
rapporti tra media e potere negli U.S.A., scritta da un ex dirigente della PBS (Public
Broadcasting System).
-Manuel Castells (uno dei massimi esperti mondiali di sociologia di Internet):
La città delle reti, Reset 2002; testo breve introduttivo su Internet e la sua funzione sociale.
Galassia Internet, Feltrinelli 2002; testo ampio e documentato sull’uso politico e sociale di
Internet.
Reti di indignazione e di speranza, Università Bocconi 2012; testo sull’uso di Internet da
parte dei nuovi movimenti sociali (i cittadini islandesi contro le banche e la speculazione,
Occupy Wall Street e altri movimenti di occupazioni delle piazze contro il capitalismo
finanziario, gli indignados, le rivolte arabe)
-Franco Carlini, Internet, Pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia in rete,
Manifestolibri, Roma, 1996.
-Luciano Gallino, Globalizzazione e diseguaglianze. Laterza, Bari, 2000.
-John Cooley, Una guerra empia, Eleuthera 2000; documentata ricostruzione storica
dell’aiuto dato dai servizi segreti americani e filoamericani al terrorismo islamista alle sue
origini.
-Giulietto Chiesa, La guerra infinita: la CIA e l’estremismo islamicom, Feltrinelli, 2002;
militarismo americano e attentato alle Torri Gemelle.

5. STORIE D'ITALIA E QUESTIONI ITALIANE


°Guido Crainz, L'Italia repubblicana, Firenze, Giunti, 2000. Breve testo divulgativo.
Lo stesso autore ha scritto due opere di ampio respiro sulla storia italiana recente:
-Storia del miracolo italiano: culture, identità, trasformazioni tra anni 50 e 60
-Il paese mancato dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli 2005.
*°Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi scuola, Torino, 1996. Testo
scritto da uno storico di professione, che ha suscitato un importante dibattito. In edizione
scolastica, è corredato di utili riassunti dei capitoli.
-Silvio Lanaro, Storia dell'Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni novanta,
Marsilio, Padova, 1992. 450 pagine di testo e quasi 100 di cronologia.

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-Giuseppe Fiori, Il venditore, Storia di Silvio Berlusconi e della Fininvest, Garzanti, Milano,
1995.
-Enrico Peyretti, Perdere la guerra, Beppe Grande editore, Torino, 1999. Un punto di vista
nonviolento su di una pretesa guerra umanitaria intrapresa con l'aiuto del nostro governo.

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Uno dei fotogrammi finali del film “Il dottor Stranamore”

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