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di Federico Repetto
[Manifesto de “Il dottor Stranamore”, il film più famoso sul rischio di guerra nucleare ]
Questo libro è stato scritto per un lettore attivo e curioso, pronto ad usarlo come
trampolino per andare più in là, disposto ad agire collettivamente con gli altri in difesa
del bene comune. Per capire meglio la narrazione servirebbe un minimo di
conoscenza della storia contemporanea, come quella che dovrebbe avere uno
studente di quinta superiore che ha terminato il programma di storia. Ma quello che
conta è provare testardamente a capire.
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A Renato Solmi
Allo straordinario amico, coltissimo e
immune da qualunque presunzione, che
credeva davvero negli studenti e nella
divulgazione democratica, senza i cui
stimoli e consigli non avrei pubblicato ed
aggiornato questo libro
AVVERTENZA
L'Introduzione ("Dalla lotta triangolare comunismo-fascismo-capitalismo al duello
fascismo-antifascismo”) non ha la pretesa di raccontare la storia del periodo dell'esplosione
del totalitarismo e della seconda guerra mondiale, ma fornisce solo una riflessione sui
concetti chiave che si useranno esponendo il periodo 1945-1991.
Il corpo del testo (Cap. 1-5) cerca di narrare i fatti più rilevanti di questo periodo mettendo
in gioco questi concetti chiave. La narrazione storica riguarda i rapporti internazionali e lo
sviluppo economico, sociale e politico degli Stati Uniti, dell'Unione Sovietica e dell'Europa
(con particolare riferimento all'Italia), mentre del resto del mondo si parla solo quando il
discorso complessivo lo richiede. In particolare si sono trascurati la decolonizzazione, la cui
comprensione sarebbe necessaria per la comprensione del mondo attuale, e i tentativi di
costruire economie nazionali non dominate dagli interessi economici dei paesi occidentali (su
ciò spero di tornare in una prossima edizione).
La Conclusione (sugli anni novanta), come l’Introduzione, non è un racconto sistematico
dei fatti storici, ma cerca di esporre i nuovi grandi problemi che si delineano in seguito alla
scomparsa del bipolarismo e alla globalizzazione dell’economia .
La comprensione del presente libro diventa più piena se si consulta in parallelo qualche
tavola cronologica dei fatti narrati e se si tiene sott'occhio un atlante storico (per questi
strumenti integrativi si veda la Bibliografia finale).
Questo testo non è stato scritto da uno storico di mestiere, e non è fondato su di un'ampia e dettagliata analisi
dei documenti originali e delle statistiche, ma è il risultato della lettura di opere storiografiche soprattutto di
carattere generale (anche per queste si veda la Bibliografia). L'autore ha cercato solo di rielaborare ed esporre
nel modo più semplice e chiaro possibile tali opere, nel quadro di un’esplicita presa di posizione a favore della
democrazia parlamentare, dello sviluppo delle libertà civili, politiche e sociali, della creazione di pari opportunità
per tutti, della soluzione dei conflitti con mezzi pacifici e della difesa dell'ambiente.
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[Scritto a Torino nel dicembre 2000 e modificato e ampliato nel marzo 2015]
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INDICE
Introduzione. Dalla lotta triangolare comunismo-fascismo-capitalismo al
duello fascismo-antifascismo
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IL COMUNISMO RUSSO
FASCISMO E NAZISMO
LE DEMOCRAZIE LIBERALI CAPITALISTICHE
LA FEDE NELLA DEMOCRAZIA E IL MITO DEL PROGRESSO
LA GUERRA TOTALE
LA LOTTA CONTRO LA BARBARIE NAZIFASCISTA (UNIONE ANTIFASCISTA DELLE FORZE DELLE
DEMOCRAZIE CAPITALISTICHE E DELL'UNIONE SOVIETICA)
LA LOTTA DEGLI ALLEATI CONTRO IL NAZISMO: L'ETA' DELLA SPERANZA
LA SPARTIZIONE DELL'EUROPA
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UNA SINTESI DEI PROBLEMI CHE ABBIAMO EREDITATO E QUALCHE RIFLESSIONE FINALE
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Introduzione
Dalla lotta triangolare comunismo-
fascismo-capitalismo al duello fascismo-
antifascismo
LE ORIGINI DELLA GUERRA FREDDA
NELLA GUERRA FREDDA -CONFLITTO SENZA SCONTRI ARMATI-
L'AVVERSARIO È PERÒ CONSIDERATO NEMICO IRRIDUCIBILE
"Guerra fredda" significa stato di allarme politico e ideologico, guerra senza scontri
armati - in cui tuttavia l'avversario resta un nemico irriducibile, sempre potenzialmente
pericoloso. Con questa espressione si indica quel clima minaccioso di tensione che pesò sul
mondo per quasi cinquant'anni - tra la fine della seconda guerra mondiale e la
autosoppressione dell'U.R.S.S. nel 1991; esso fu caratterizzato dall'ostilità tra due grandi
blocchi, quello orientale comunista e quello occidentale capitalista (che ad un certo punto
inglobavano gran parte del pianeta), egemonizzati dalle due superpotenze nucleari, gli Stati
Uniti e la stessa U.R.S.S. Nonostante le divergenze che le contrapponevano, le due
superpotenze non giunsero mai allo scontro diretto, alla terza guerra mondiale: ne furono
distolti dal ricordo della seconda guerra mondiale (calda quanto altre mai) e soprattutto dalla
nuova prospettiva di un annullamento totale di sé, del nemico e dell'intera umanità attraverso
la guerra atomica. Ci si "limitò" dunque ai conflitti locali, che sono costati comunque al cune
decine di milioni di morti.
IL BIPOLARISMO: NOI CONTRO LORO, IL BENE CONTRO IL MALE
Il bipolarismo, la contrapposizione tra due blocchi, era, pur nel conflitto, una situazione chiara e definita: Noi contro
Loro, il Bene contro il Male (e questo era, beninteso, il modo di pensare di entrambe le parti). Questo modo di pensare
dogmatico e semplificato, che porta alla demonizzazione del nemico, si è consolidato ed è durato quasi mezzo secolo, ma
aveva avuto le sue origini da un lungo periodo di caos e di lotta generalizzata, in cui i fronti cambiavano continuamente. Si tratta
di quella serie di conflitti che sono stati chiamati le nuove "guerre di religione" o la " guerra civile europea", dalla prima guerra
mondiale -1914/1918 - e dalla rivoluzione russa -1917- alla seconda guerra mondiale -1939-1945, passando attraverso una
serie di altri conflitti e rivoluzioni, tra cui la rivoluzione comunista e la controrivoluzione in Ungheria -1919/1920-, l'instaurazione
del fascismo in Italia -1922/1925- e del nazismo in Germania -1933-, la guerra civile spagnola -1936/1939-, le aggressioni
naziste all'Austria, alla Cecoslovacchia e alla Polonia -1938/1939 (vedi--> SCHEDA. IL CONCETTO DI “GUERRA CIVILE
EUROPEA”)
LOTTA TRIANGOLARE TRA COMUNISMO, FASCISMO E
DEMOCRAZIA
E' bene quindi chiarire per prima cosa quali sono state le principali parti (partiti,
movimenti, ideologie, regimi) in conflitto nelle cosiddette "guerre di religione", cioè
nei grandi conflitti tra sistemi ideologico - sociali, che hanno insanguinato l'Europa
prima della guerra fredda. Semplificando, possono essere ridotte a tre campi
principali: 1)il comunismo sovietico, 2)il fascismo e il nazismo e 3)il liberalismo
democratico.
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Essi si combattono in una lotta triangolare, e a volte due di essi si alleano contro il
terzo, cambiando anche di periodo in periodo le alleanze.
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molti territori russi sul confine occidentale, che furono poi annessi dalla Polonia.
LA SPERANZA DI UN MONDO NUOVO
Infine, nonostante la professione di ateismo, il comunismo sovietico si presentava in
fondo come una sorta di fede laica: come la redenzione dal male radicale del capitalismo
imperialista, come il nuovo regno della giustizia uscito dall'apocalisse della prima guerra
mondiale. Esso diffondeva il verbo della rivoluzione comunista mondiale e incarnava
materialmente la speranza di un mondo radicalmente nuovo. Tutto questo poteva far sperare
a molti che l'Unione Sovietica, dopo la prima fase radicale, avrebbe superato la durezza
rivoluzionaria e contribuito allo sviluppo di un mondo migliore e di una società più equa. La
Russia era stata il battistrada: altri paesi più ricchi e industrializzati e con una più forte
tradizione operaia e democratica avrebbero potuto imboccare la via del socialismo e dare ad
esso un nuovo orientamento.
2) Fascismo e nazismo
La diffusione del comunismo filosovietico fuori della Russia e le simpatie per esso di
socialisti di diverse correnti costituiva, almeno in teoria, un pericolo permanente di ulteriori
rivoluzioni e, comunque, un incoraggiamento a scioperi, proteste e rivendicazioni dei
lavoratori salariati, tanto più in un periodo in cui la guerra aveva lasciato dietro di sé
disoccupati, invalidi e disadattati di ogni tipo. Mesi o anni di trincea avevano abituato
un'intera generazione alla violenza, mentre la riconversione dall'industria bellica alla
produzione di pace faceva strage di posti di lavoro e l'inflazione di minuiva spietatamente i redditi
reali.
I NAZIONALISTI CONTRO LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
Ma la guerra non aveva colpito e coinvolto solo la classe operaia: anche ampi strati
piccolo borghesi, specialmente di ex-combattenti, avanzavano le loro rivendicazioni contro lo
Stato nei paesi europei precedentemente coinvolti nella prima guerra mondiale. A volte gli
operai, con la loro forza sindacale, riuscivano a ottenere benefici più consistenti dei loro,
causandone la gelosia. Inoltre il pacifismo e l'internazionalismo dei comunisti e dei socialisti
contrastavano con il nazionalismo di molti ex-combattenti. Costoro anzi si opponevano
alla democrazia parlamentare perché non faceva valere con sufficiente energia gli interessi
della nazione. In particolare lo Stato italiano e la sua classe dirigente liberale erano accusati
dai nazionalisti e dai fascisti di aver ottenuto troppo poco dal trattato di pace (la cosiddetta
"vittoria mutilata"). Tra gli sconfitti, in Germania invece le destre militariste e i nazisti
accusavano i governanti socialdemocratici di aver firmato un trattato di pace assolutamente
iniquo e inaccettabile (tra l'altro il pagamento degli indennizzi ai vincitori pesò come un
macigno sull'economia tedesca dal 1919 in poi, e fu solo con il regime nazista nel 1933 che
si decise di troncarlo).
Dunque i movimenti e partiti piccolo borghesi e popolari di destra detestavano
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appoggiarono con la loro presenza avrebbero dovuto garantire il suo carattere inoffensivo.
Sono forse ancora più chiari e significativi i risultati raggiunti dal partito nazista tedesco da
solo nel novembre 1932 (37%) e nel marzo 1933 (44%), tanto più se si pensa che erano
rappresentate in parlamento anche altre formazioni di destra.
Non c'è alcun dubbio che questi dati sono falsati dal fatto che ci fu una sistematica
intimidazione (o addirittura persecuzione) degli avversari politici, per cui molti potenziali
elettori antifascisti non osarono o non poterono andare a votare. Inoltre Mussolini e Hitler,
che nel 1924 e nel 1933 erano già alla guida di governi di coalizione, avevano ai loro ordini,
oltre alle loro squadre d'azione, lo stesso ministero degli interni e la polizia. Questi fatti ben
noti non devono far dimenticare che masse immense di elettori di due grandi paesi
occidentali hanno coscientemente dato la loro preferenza al totalitarismo. La democrazia
può autoaffondarsi e trasformarsi nel suo opposto.
Inoltre queste forze politiche erano in grado di far uso non solo della democrazia, ma
anche di tutte le risorse della modernità. I nazisti e i fascisti, giunti al potere con l'appoggio di
molte forze conservatrici, come abbiamo visto, si rivelarono, a loro modo, una potente forza
modernizzatrice: l'uso abilissimo dei mass media ai fini della propaganda, l'organizzazione
del tempo libero delle masse e della cultura di massa, lo sviluppo della tecnologia militare e
l'esaltazione ideologica del progresso tecnico ne sono chiare testimonianze. Tuttavia il
fascismo e soprattutto il nazismo rinnegano alcune delle idee principali della modernità e
del progressismo: all'eguaglianza universale degli uomini contrappongono il diverso
valore delle nazioni e delle razze, alla razionalità scientifica il mito e la forza vitale.
In particolare i nazisti, che fanno appello agli istinti irrazionali e alle forze vitali, più di
qualunque altro movimento fanatico del nostro secolo sono alla costante ricerca di un
nemico da distruggere e, oltre a forze reali, possono contrapporsi anche a nemici del tutto
immaginari: gli ebrei - un popolo inoffensivo, addirittura inerme - sono identificati come il
Male Supremo, da eliminare. E, come tutti sanno, saranno metodicamente eliminati.
3) Le democrazie liberali
Il regime comunista sovietico russo e i regimi fascista e nazista costituirono i poli
ideologici opposti, le "città sante" delle successive "guerre di religione". La loro "guerra
santa" assumerà a un certo punto la forma di conflitto tra Stati (l'esempio più chiaro sarà
l'invasione della Russia da parte dei nazifascisti durante la seconda guerra mondiale). Ma
subito si manifesterà, all'interno di molti Stati, come conflitto tra partiti: nel regime
democratico parlamentare francese per esempio, saranno presenti sia un significativo partito
comunista sia diversi gruppi estremistici di destra. Oppure come guerra civile tra fazioni - è
il caso della guerra civile spagnola del 1936-1939, scontro tra il governo parlamentare di
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che seguirono il lancio del primo piano quinquennale (1928-1933). In considerazione del
fatto che l'Unione Sovietica stava allora esportando grandi quantità di grano per procurarsi i
mezzi per l'industrializzazione accelerata, si può parlare di uno stato artificiale di carestia.
La propaganda nazista invece accoppia in modo anomalo l'onnipotenza della tecnica con
la superiore intelligenza della razza ariana, la tecnologia militare e l'ardimento bellico. Fino
all'ultimo i soldati e le popolazioni dei regimi nazi-fascisti sono stati esortati a sperare in una
mitica "arma segreta" che li avrebbe potuti salvare dalla morsa del nemico.
LA GUERRA TOTALE
La debolezza politica e morale delle democrazie capitaliste si vede proprio nel momento
in cui le masse inglesi e francesi dovrebbero mobilitarsi per difendere la libertà dell'Europa
dall'aggressività di Hitler. Già subito dopo il suo avvento al potere nel 1933, il Führer aveva
violato, senza suscitare efficaci reazioni, i trattati di pace che obbligavano la Germania al
pagamento del debito di guerra e che gli vietavano un ampio armamento. Nel 38-39, dopo
essere intervenuto nella guerra civile spagnola, egli riduce una dopo l'altra sotto il suo
dominio l'Austria e la Cecoslovacchia. Le potenze liberaldemocratiche accettano il fatto
compiuto: si sommano il desiderio dell'opinione pubblica, anche di sinistra, di evitare
un'altra guerra e il calcolo delle forze conservatrici, presenti allora nei governi
francese e inglese, di utilizzare il nazifascismo come baluardo contro la sinistra e di
lasciare che la Germania metta in ginocchio l'Unione Sovietica.
HITLER SI RAFFORZA PERCHÉ I DEMOCRATICI PACIFISTI NON
VOGLIONO LA GUERRA E I CONSERVATORI SPERANO CHE EGLI
SI VOLGA SOLO CONTRO LA SINISTRA E CONTRO L’URSS
Ma Hitler capovolge le previsioni delle forze conservatrici e scende a patti con il suo
nemico principale, con il demonio sovietico - con il paese che per lui incarnava insieme la
peste della modernità politica e la lebbra della razza inferiore slava dei "subuomini". Nel patto
segreto Ribbentrop-Molotov, la Russia, che si sa impreparata ad una guerra con la
Germania, è ben contenta di garantirle la sua neutralità in cambio della possibilità di
recuperare una fetta della Polonia ed i paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), già
possesso dell'impero zarista. Hitler nel frattempo poteva invadere la restante Polonia e
affrontare il conflitto, ormai inevitabile, con Francia e Inghilterra.
HITLER CONTRO LA CONGIURA DEMO-PLUTO-GIUDEO-
MARXISTA
Anche questa guerra fu affrontata dal nazismo e dal fascismo con lo spirito di crociata che
caratterizzava il loro sistema di propaganda e di mobilitazione delle masse. Del resto,
secondo la visione paranoica di Hitler, tutte le potenze materiali e spirituali del mondo
stavano cospirando contro i gagliardi popoli dell'Asse tedesco-italiana: essi erano vittime di
una congiura internazionale democratica, plutocratica (cioè capitalistica), giudaica e
marxista. Per perseguire il suo obiettivo di una guerra totale per il dominio del mondo, il
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Führer si era costruito un nemico totale. Sulla base di questa visione sfidò le "corrotte"
democrazie capitalistiche di Francia ed Inghilterra, i cui popoli, sebbene secondo lui di razza
superiore, erano ormai "degenerati".
Ma poco tempo dopo, piegata e occupata la Francia, egli dovette rinunciare all'invasione
dell'Inghilterra per le immani difficoltà che ciò comportava, e, pur mantenendo il blocco
navale dell'isola, decise di rivolgersi di nuovo verso est: nel giugno del 1941 scatenò la
grande offensiva che avrebbe dovuto travolgere in breve tempo la parte europea dell'Unione
Sovietica. Nel dicembre del 1941 la Germania dichiara guerra agli Stati Uniti. Era veramente
la guerra totale.
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IL NAZIFASCISMO TENDEVA ALLA GUERRA TOTALE
Non è nelle nostre intenzione trattare più a lungo del nazifascismo, di cui era
indispensabile parlare solo per capire l'origine della "guerra fredda" come confronto est -
ovest. Una delle peculiarità di esso, che ne fa un fenomeno assolutamente unico, è proprio
la sua tensione verso la guerra, e addirittura verso la guerra totale. Questo vale, in
sostanza, anche per la sua componente italiana, il fascismo, il cui duce, Mussolini, già nel
1914 -15, ben prima di giungere al potere, aveva lottato perché l'Italia entrasse nel primo
conflitto mondiale. Qualche anno fa, in un'intervista televisiva, lo storico inglese Dennis
McSmith dichiarò, con tragico umorismo, che Mussolini piaceva agli italiani soprattutto come
grande teatrante, che arringava le masse dal balcone: come all'opera, agli italiani piaceva la
musica, ma molti di essi non badavano alle parole. Mussolini però aveva promesso la guerra
imperialistica fin dal primo momento, anche se senza Hitler non si sarebbe potuto
avventurare in una guerra totale.
Tale guerra nasceva dal cuore stesso dell'ideologia nazista, dal razzismo ariano -
germanico, che esigeva lo sterminio sistematico degli ebrei (a cui collaborò anche il
fascismo), e la vittoria mondiale della razza eletta. La macchina che avrebbe dovuto fornire
le risorse per questa vittoria sarebbe stato il sistema industriale nazionale tedesco,
formalmente appartenente ai privati, ma programmato dallo Stato, in cui i tedeschi
occupavano i posti alti della gerarchia, mentre i popoli vinti costituivano la manodopera, più o
meno specializzata.
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Dunque il programma nazifascista di guerra totale fu apertamente proclamato di fronte
alle masse e instillato ad esse attraverso una organizzazione propagandistica capillare e
modernissima. Su tale base si passò dai conflitti "freddi" (lo scontro politico tra le tre fazioni
all'interno di ciascun paese) e dai conflitti limitati (guerre di Spagna, di Cecoslovacchia,
d'Albania) alla guerra mondiale, in cui il blocco nazi-fascista si scontrò con gli altri due.
Ma sia il regime bolscevico (che era nato proprio come reazione alla prima guerra
mondiale), sia i regimi liberaldemocratici occidentali avevano sempre promesso la pace per
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Loro = i comunisti senza patria, gli intellettuali corrotti da ideologie giudaiche cosmopolite.
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Ernst Nolte (Gli anni della violenza. Un secolo di guerra civile europea e mondiale. Rizzoli, Milano,
1995) ha fatto entrare nel dibattito sulla storia del sec. XX° il concetto di "guerra civile europea", guerra
ideologica piuttosto che guerra tra grandi potenze. Essa non è solo tra gli Stati, come la guerra tra le
monarchie del Settecento e dell’Ottocento, ma è contemporaneamente tra partiti dentro i diversi Stati
(p.es., nella guerra civile spagnola fascisti contro democratici, socialisti e comunisti) e tra Stati dominati
da ideologie diverse (p.es. Germania nazista contro Russia comunista). Nolte ne fa risalire l'origina alla
rivoluzione russa, che provoca come sua reazione il fascismo e il nazismo. Questa scelta tende a rendere
responsabile i comunisti bolscevichi dell’intero conflitto.
Noi, seguendo Hobsbawm e Guarracino, riteniamo che l'inizio della "guerra civile europea" sia piuttosto
la prima guerra mondiale, la prima guerra totale, che ha coinvolto masse enorme di soldati, in una
disumana guerra di trincea, e anche di civili (fame prolungata, navi civili silurate, lavoro obbligatorio,
perfino bombardamenti). Pensiamo anche che essa a sua volta abbia le sue radici nella grande
trasformazione della società ad opera delle forze del mercato capitalistico e delle grandi potenze
imperialistiche esposta in Karl Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 1974, a nostro avviso
uno dei più bei libri esistenti sul mondo contemporaneo.
Era dunque stato proprio il Führer a mettere insieme l'alleanza di forze sterminate che
fatalmente l'avrebbe sconfitto. Le tre potenze U.S.A., Inghilterra e Unione Sovietica - fuori
dall'alleanza contro il comune nemico nazista - avevano pochi punti in comune e molti motivi
di attrito. L'America e la Gran Bretagna, democrazie capitalistiche, nel lontano 1918
avevano perfino mandato un corpo di spedizione ad aiutare l'esercito zarista reazionario
nella guerra civile contro il partito comunista bolscevico russo. L'Inghilterra aveva il più
grande impero coloniale del mondo, una straordinaria riserva per lo sfruttamento economico,
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e per questo era condannata non solo dall'Unione Sovietica, nemica naturale
dell'imperialismo capitalistico, ma anche dagli Stati Uniti. Quest'ultimo paese, già da tempo la
massima potenza capitalistica industriale, si diceva favorevole non solo
all'autodeterminazione dei popoli, ma anche all'apertura di tutte le frontiere in un libero
mercato mondiale, in cui sapeva di poter giocare un ruolo egemone.
Le grandi potenze costituivano dunque con ritardo qualcosa di analogo a quel Fronte
Popolare antifascista che era stato costituito nel '36 tra i vari partiti repubblicani spagnoli
e tra i volontari corsi in loro aiuto da molti paesi democratici. Ben presto nella Resistenza
contro l'occupazione tedesca in Francia, Italia e molti altri paesi le coalizioni dei partiti
antifascisti fecero uso proprio di questa formula politica.
GLI ALLEATI DEMOCRATICI E COMUNISTI CHIAMANO A UNA
LOTTA A MORTE CONTRO LA BARBARIE NAZIFASCISTA IN
NOME DELL’EGUAGLIANZA DEGLI UOMINI
La durissima lotta sia degli eserciti alleati sia dei partigiani contro le truppe di Hitler non
poteva fare a meno di quell'entusiasmo e di quella fede quasi religiosa che le due grandi
chiese ideologiche, il nazismo e il comunismo sovietico, avevano saputo suscitare. Sia la
propaganda alleata, occidentale e russa, sia la Resistenza fanno appello ai valori
profondi dell'universalità dell'uomo contro un nemico che per loro non è
semplicemente un nemico particolare, occasionale, ma il nemico giurato
dell'eguaglianza umana e dell'umanità stessa, la "barbarie nazifascista".
In tale periodo, l'Europa liberaldemocratica e gli Stati Uniti riscoprono infine il valore
fondamentale, o addirittura il carattere sacro delle proprie istituzioni, presidio della libertà
umana e della tolleranza, e molti sognano riforme sociali e una più equa distribuzione della
ricchezza. Questo sogno era stato incoraggiato dalle promesse di libertà e di sicurezza del
presidente americano Franklin Delano Roosevelt e dalla figura stessa di questo presidente,
riformatore e protettore dei lavoratori e dei ceti più deboli (capo dello Stato ininterrottamente
dal 1932, sempre riconfermato dall'elettorato popolare proprio per i suoi interventi contro la
disoccupazione). La presidenza Roosevelt in effetti aveva messo fine al periodo di
liberalismo puro che aveva dominato negli anni venti e aperto un periodo di liberalismo
aperto alle riforme sociali.
CONGIUNGERE I DIRITTI CIVILI E POLITICI CON QUELLI SOCIALI
PER REALIZZARE L’EFFETTIVA LIBERTÀ DEGLI INDIVIDUI
Dopo la Grande Depressione seguita al 1929, era più evidente che mai che i diritti
civili astratti difesi dal liberalismo conservatore da soli servono a consolidare i privilegi della
borghesia capitalistica e dei grandi proprietari. La libertà di pensiero e di stampa e la libertà
di disporre senza limiti della proprietà privata sono del tutto illusorie per gli analfabeti e i
proletari, come già aveva capito Marx a metà dell'Ottocento. Non solo i diritti politici del
liberalismo democratico (diritto di voto e di partecipazione alle decisioni di interesse
pubblico), ma anche i diritti sociali sono indispensabili per realizzare la libertà individuale:
essa infatti diventa realtà solo se si è anche liberi dal bisogno e in grado di partecipare
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dignitosamente alla vita sociale (diritto al lavoro, all'istruzione, all'assistenza). L'alleanza tra
Roosevelt e Stalin simboleggiava in un certo senso la necessità di congiungere i diritti civili e politici con
quelli sociali.
Approfondimento. L’OPPOSIZIONE AMICO-NEMICO: NOI CONTRO LORO.
Secondo Carl Schmitt, filosofo della politica compromesso col nazismo, l’essenza della politica è
l’identificazione di un “Noi”, di una comunità a cui si appartiene, e di un “Loro”, che sta all’esterno di essa,
e rappresenta il NEMICO. E lo Stato legittima la sua autorità proprio come difesa contro il Nemico.
Sono in effetti i vari totalitarismi che insistono sullo Stato come difensore di quelli che appartengono ad
una stessa comunità chiusa, considerati simili per natura, addirittura fratelli.
Le concezioni liberaldemocratiche e socialdemocratiche accettano invece l’idea che i membri dello
Stato, appartenenti ad una SOCIETÀ APERTA, siano tra loro diversi -e talora in disaccordo e in conflitto-
e che lo sviluppo delle DIVERSITÀ individuali e di modi di vita differenti sia un valore per tutta la società.
Perciò in questo libro abbiamo evidenziato l’opposizione Noi-Loro come contrassegno di gruppi o partiti
totalitari, o anche come manifestazione di una certa tendenza totalitaria in gruppi e partiti che non si
considerano tali. Purtroppo la storia che qui si racconta è anche storia di guerre e conflitti durissimi.
Fatalmente gruppi o partiti che aspirano a società aperte e pluralistiche saranno costretti, al momento
della lotta a morte, ad accettare la logica Noi-Loro dell’ESCLUSIONE. Nessuno può essere del tutto
immune dal virus del totalitarismo. Questo si vede anche nella Resistenza antifascista e nel lungo conflitto
Est-Ovest, ma l’attento lettore ne troverà tracce importanti fino al XXI° secolo.
Da un lato il torto e la ragione non possono essere assegnate come le fette di una torta (diceva
Manzoni), e le élite della società capitalistica liberista sono state per certi versi responsabili della nascita
dei totalitarismi del secolo XX°. Esse hanno contribuito a scatenare - o non hanno impedito - la prima
guerra mondiale, la crisi economica del 29 e il rafforzamento del nazismo. Dall’altro, nel momento della
lotta a morte, diventa necessario, come si è detto, insistere sull’”amicizia” all’interno della propria parte e
sui valori caldi della solidarietà, e infine sulla diversità del Nemico. Sola eccezione importante è stata la
lunga LOTTA NONVIOLENTA di Gandhi e dei suoi seguaci, in cui non c’è alcuna lotta a morte col
Nemico. Però in questa storia del conflitto Est-Ovest essa dovrà essere trattata solo marginalmente.
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1945 le prime elezioni inglesi del dopoguerra diedero al partito laburista la maggioranza
assoluta e esso cominciò immediatamente un grande piano di nazionalizzazioni e di riforme,
in particolare per l'assistenza previdenziale e medica dei lavoratori e per l'accesso dei loro
figli all'istruzione postelementare (vengono così poste le basi del Welfare State).
L'Italia era troppo povera, troppo instabile politicamente e aveva una classe
dominante troppo conservatrice per realizzare significative riforme. Anche qui al governo
dapprima erano i partiti che avevano lottato insieme contro il fascismo uniti nel Comitato di
Liberazione Nazionale: i comunisti, i socialisti (anche qui divisi in moderati socialdemocratici
e radicali filosovietici), la Democrazia Cristiana, partito cattolico tendenzialmente moderato, e
il Partito d'Azione, liberaldemocratico riformatore, i cui obiettivi sono ben chiariti dal nome
della formazione partigiana ad esso collegata, "Giustizia e Libertà". Tale formazione diede un
contributo importante alla lotta di liberazione, essendo seconda per numero e attività solo
alle "Brigate Garibaldi" dei comunisti. Il Partito d'Azione, formato soprattutto da intellettuali di
ispirazione laica, era fedele ai principi della democrazia parlamentare, ma animato dalla
convinzione che i diritti di libertà sono illusori per chi non accede a un minimo di istruzione, di
benessere e di sicurezza economica. Esso sperava di poter battere le forze conservatrici
interne e realizzare grandi riforme sociali, mantenendo però l'Italia fuori sia dall'orbita
sovietica che dal condizionamento degli alleati anglo-americani.
Esso, non meno del partito socialista e di quello comunista, sapeva infondere
speranze ai suoi militanti e offriva prospettive di ampio respiro. Sapeva cioè toccare le corde
dell'indignazione morale contro il fascismo e dell'entusiasmo per costruire una società più
giusta.
Toccò al leader di questo partito, Ferruccio Parri, di essere prima presidente del
Comitato Nazionale di Liberazione e poi presidente del governo provvisorio dell'Italia appena
riunificata tra il giugno e il novembre del 45. Ma l'azionismo si rivelò una forza elettorale
inconsistente alle elezioni del 1946 per l'Assemblea Costituente: per molti italiani era più
comprensibile il linguaggio rivoluzionario semplificato del partito socialista e del partito
comunista e la mitologia della Russia patria del socialismo, e inoltre tali partiti avevano
saputo meglio radicarsi nella realtà operaia e popolare e capirne i problemi.
Ma chi riportò la maggioranza relativa fu la Democrazia Cristiana, che godeva
dell'appoggio della Chiesa Cattolica e del Vaticano, il quale a sua volta aveva assunto contro
il comunismo - considerato il nemico diabolico del cristianesimo - una posizione
intransigente, da crociata. La D.C. tuttavia conteneva in sé forze di vario tipo: conservatori,
moderati e anche convinti riformatori che si ispiravano alla tradizione del cattolicesimo
sociale, come Dossetti e La Pira. Così essa continuò, sia pure con molte cautele e distinguo,
il governo con tutte le componenti politiche della Resistenza, inclusi i comunisti, fino alla
primavera del 1947.
PRIMAVERA 1947: FINE DELLA COLLABORAZIONE DI GOVERNO
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LA SPARTIZIONE DELL'EUROPA
Il presidente americano Franklin D. Roosevelt, il primo ministro inglese Winston Churchill
e il dittatore sovietico Giuseppe Stalin si incontrarono a Teheran nel novembre1943 e a
Jalta, sulle sponde del Mar Nero, nel febbraio del 1945 per stabilire il futuro del mondo dopo
la loro imminente vittoria. Roosevelt si illuse, o finse di illudersi, che i Tre Grandi avrebbero
aiutato "i popoli degli Stati europei liberati … a dare vita a governi provvisori che comprendessero i
rappresentanti di tutte le correnti democratiche [questa espressione indica anche i comunisti] e a
impegnarsi a formare quanto prima con libere elezioni dei governi che siano espressione della volontà
dei popoli" (Dichiarazione sull'Europa Liberata).
Più realistico era stato l'atteggiamento di Churchill nel suo incontro a due con Stalin,
avvenuto a Mosca nell'ottobre 1944. Là si era stabilito che la Romania e la Bulgaria, alleate
dei nazisti e allora invase dai russi, sarebbero rimaste nella sfera di influenza dell'U.R.S.S.,
mentre la Grecia, in cui l'Inghilterra sosteneva a spada tratta le forze monarchiche
conservatrici, sarebbe rimasta nella sfera d'influenza inglese.
GLI ALLEATI RICONOSCONO AI RUSSI COME LORO SFERA DI
INFLUENZA GRAN PARTE DELL’EUROPA CENTRO ORIENTALE E
UNA ZONA DELLA GERMANIA
Beninteso, a Jalta non fu negata l'idea delle "sfere d'influenza": era evidente che si
riconosceva ai russi come zona d'influenza e come cintura di sicurezza contro ogni
nuova aggressione tutto ciò che il loro esercito avrebbe potuto occupare nei territori
già in mano ai tedeschi e ai loro alleati (praticamente, la maggior parte dei Balcani e
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l'Europa centrale) e che la Germania sarebbe stata divisa in zone d'occupazione tra i
vincitori. Tuttavia Roosevelt aveva affermato il principio che gli occupanti avrebbero
permesso il libero gioco democratico ai diversi popoli.
DECLINO DELLA POTENZA INGLESE
Roosevelt non farà in tempo ad essere deluso dall'alleato sovietico perché morirà
nell'aprile successivo. Churchill invece potrà ben presto constatare che la speranza di
conservare una sfera d'influenza inglese nel Mediterraneo orientale e di mantenere il vecchio
impero coloniale è una semplice illusione. Nel 1947 l'Inghilterra, ancora semidistrutta per la
guerra, dovrà riconoscere di non avere risorse sufficienti per aiutare i monarchici
conservatori greci contro i partigiani comunisti. Nello stesso anno l'Inghilterra perdeva
l'Impero Indiano. Le grandi potenze, alla fine della seconda guerra mondiale, in
sostanza non sono tre, ma due.
I russi, dunque, occupano, considerandola propria sfera di influenza, l'Europa
centrorientale e balcanica, con l'eccezione della Grecia, della Yugoslavia, che è stata
liberata, senza aiuto sovietico, dai partigiani comunisti di Tito, e dell'Albania, liberata dai
partigiani comunisti di Enver Hodja. Le truppe di Stalin arrivano ad occupare anche la parte
orientale della Germania fino all'Elba e un settore della città di Vienna (vedi cartine 1 e 2). Le
quattro potenze vincitrici (i "tre grandi" più la Francia, che, però, rimasta sotto l'occupazione
nazista fino a metà del '44, al momento versava in condizioni anche peggiori dell'Inghilterra)
si incontrarono nel luglio 1945 a Potsdam, sobborgo di Berlino, per definire i dettagli della
spartizione dell'Europa, e in particolare della Germania e dell'Austria. L'idea di fondo a
Teheran e a Jalta era stata quella di rendere inoffensiva la Germania smantellandone il
potenziale militare e imponendole un assetto e una costituzione graditi alle grandi potenze.
Ora invece i vincitori non riescono a trovare un accordo su tale assetto e la Germania rimane
divisa in quattro zone d'occupazione militare (ma le tre zone occidentali sono in piena
comunicazione tra loro) e anche Berlino, che si trova in mezzo alla zona d'occupazione
sovietica, viene divisa in quattro (vedi cartina n° 3).
CI SONO SOLO DUE SUPERPOTENZE, USA E URSS, MA GLI USA
SONO NETTAMENTE PIÙ FORTI
Stati Uniti e Russia erano incontestabilmente le due sole vere grandi potenze, ma è
bene ricordare che tra esse c'era - ed è rimasta nei periodi successivi, fino ad oggi - una
forte asimmetria. Anche prima delle distruzioni belliche l'Unione Sovietica era un paese
agricolo che aveva iniziato da poco un rapido processo di industrializzazione forzata, e che
rimaneva piuttosto arretrato, anche per il boicottaggio sistematico che aveva subito per
vent'anni da parte delle potenze capitaliste; la guerra nazista ne aveva devastato proprio le
zone più avanzate, e la crudeltà dell'occupante aveva causato all'incirca una ventina di
milioni di morti, soprattutto civili. Invece, gli Stati Uniti, prima potenza industriale mondiale,
non era stata neppure toccata dalla guerra sul suo territorio, e aveva appena sperimentato la
bomba atomica.
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E' indubbia la differenza tra il destino di chi era capitato nella sfera d'influenza
sovietica e di chi era finito in quella americana, testimoniata dalle centinaia di migliaia di
fuggiaschi arrivati in occidente dai paesi dell'est (e soprattutto dalla Germania Orientale)
dopo la fine della guerra1. Tuttavia bisogna segnalare anche alcuni inconvenienti del mondo
libero. Essi sono in relazione sia con lo spirito di crociata della "dottrina Truman", sia con la
sproporzione tra la potenza americana e quella dei suoi alleati.
1) La sovranità degli Stati alleati è limitata in pratica dalla leadership militare indiscussa
degli U.S.A. - connessa anche alla strapotenza degli armamenti e del sistema logistico
americani - e dal fatto che tali Stati ospitano basi militare americane (l'Italia ne ospita tuttora
alcune, e in esse è presente anche armamento nucleare che sfugge al nostro controllo).
2) Fuori d'Europa gli interventi americani negli affari interni degli altri Stati furono anche di carattere
militare (vedremo tra poco il caso della guerra di Corea).
“LIBERE ISTITUZIONI” O SEMPLICEMENTE “GOVERNI
ANTICOMUNISTI”?
Con l'espressione "libere istituzioni" e "paesi liberi" gli Stati Uniti spesso intenderanno
semplicemente "governi anticomunisti". Perfino in Europa, tra gli alleati e i protetti degli
americani troviamo, nel dopoguerra e anche oltre, dei governi ultraconservatori o poco
rispettosi dei diritti civili (come la Grecia e la Turchia) o perfino regimi a partito unico ex-
alleati dei nazi-fascisti (Portogallo e Spagna).
In sostanza, nella nuova guerra di religione anticomunista, vale contro il "nemico
totale" l'alleanza di chiunque dia sufficienti prove di anticomunismo, di fedeltà politico -
militare agli Stati Uniti e di disponibilità al commercio capitalistico.
1
Qui si parla dei profughi fuggiti dal nuovo regime sociale impiantato dai russi. I nove milioni di tedeschi
fuggiti verso ovest già nelle ultime fasi del conflitto e subito dopo (vedi 2a parte) costituiscono un caso a sé,
dato che contro di loro fu attuata - e non solo dai russi - una sorta di rappresaglia nazionalistica, mentre gli
altri profughi sfuggivano prima di tutto al regime comunista.
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guerriglia (cercarono però sempre in qualche modo di controllarla, da ultimo attraverso la dittatura di
Fulgenzio Batista, durata fino alla rivoluzione di Fidel Castro del 1959; e vi conservano tuttora la base
militare di Guantanamo); essi poi intervennero nella rivoluzione messicana del 1910; anche il Nicaragua
fu occupato tra il 1912 e il 1933 dall’esercito statunitense, che lo avrebbe lasciato poi a causa della
guerriglia. Non è strano dunque che anche dopo la fine del confronto essi continuino a considerare
l’America Latina propria area di influenza, come si capisce ancora oggi da vari indizi.
Il continente africano e gran parte del continente asiatico erano invece zona d’influenza delle potenze
europee, che hanno cercato nell’immediato dopoguerra di mantenervi anche con la forza i propri regimi
coloniali. Dopo il crollo di questi ultimi ( vedi-->AL DI SOPRA O FUORI DEI BLOCCHI: LA FUNZIONE
DELL'O.N.U., LA DECOLONIZZAZIONE E IL NON ALLINEAMENTO ) essi hanno sostenuto in diversi casi regimi
autoritari favorevoli ai loro interessi economici (p. es. il Belgio, insieme agli USA, ha favorito nel 1960 il
golpe di Mobutu contro il primo ministro legittimo Lumumba, la cui politica economica di
nazionalizzazione delle risorse minerarie contrastava con gli interessi occidentali). In particolare,
l’occidente ha accettato per decenni il Sudafrica razzista come partner commerciale e alleato contro i
movimenti africani anticolonialisti. Questo Stato era in origine un possedimento inglese semi-autonomo,
abitato da una maggioranza indigena bantu e da una consistente minoranza inglese e olandese, il quale
aveva instaurato un regime di segregazione (apartheid) nei confronti dei neri, privi del diritto di voto e di
diritti sindacali. Nel 1961 finalmente dovette uscire dal Commonwealth inglese e l’ONU adottò delle
sanzioni economiche contro di esso. Ciò però per decenni non ebbe significativi effetti sullo sviluppo del
capitalismo sudafricano.
In medio oriente le interferenze occidentali si spinsero anche oltre le ex-colonie: in Iran nel 1953 lo
Shah Reza Pahlevi fu aiutato dai servizi segreti inglesi ed americani ad abbattere il governo
parlamentare di Muhammad Mossadeq, che intendeva nazionalizzare il petrolio, prima dato in
concessione ad una compagnia inglese. Dell’Egitto, della Palestina e dell’Irak parleremo in seguito.
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MACCARTISMO E ZDANOVISMO
Ciò detto, il periodo tra il 47 e il 53 è passato alla storia come il periodo di maggiore
fanatismo ed esaltazione nella lotta ideologica tra est e ovest (il 47 è l'anno in cui Stalin ha
già ridotto quasi tutti i governi della sua sfera di influenza in satelliti obbedienti, mentre il 53 è
l'anno della sua morte, che renderà possibile la "destalinizzazione"). Due sinistri personaggi
conducono nei due blocchi la lotta ideologica contro il nemico interno: il senatore
repubblicano Joseph McCarty e l'ideologo comunista Andrej Zdanov. I metodi di questi due
fanatici demagoghi furono molto diversi, come erano diversi i loro rispettivi regimi. Ma
analogo è lo schema mentale che li guidava:
Noi = la gente comune, gli appartenenti alla maggioranza perbene, fedeli alla patria
che tendono naturalmente a subire l'influenza del Nemico e diventare spie al suo servizio
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cinema: ne fu vittima, tra tanti altri, Charlie Chaplin, ebreo e difensore delle classi più
povere, che dovette emigrare in Inghilterra. Ma McCarty cercò anche di destabilizzare gli
avversari democratici al governo, di gettare fango sulla memoria di Roosevelt e sul
presidente in carica. Nel periodo successivo alla morte di Stalin e alla fine della guerra di
Corea, l'isteria collettiva venne meno e il potere di McCarty si sgonfiò ed egli fu dimenticato.
Loro= la borghesia imperialista e i suoi servitori abbagliati e confusi dalla scienza borghese
L'idea che esista una scienza borghese e una scienza proletaria e che il sapere dipenda
dall'estrazione di classe e dalla fedeltà alla rivoluzione indusse tra l'altro Zdanov a
presentare come scientifiche le dottrine del biologo sovietico Lysenko, che, secondo
l'opinione degli accademici occidentali, era poco più di un ciarlatano. Per motivi non dissimili,
fu proibita la diffusione dell'ultimo film di Sergjei Eisenstein, il massimo regista rivoluzionario -
ma non sufficientemente fedele alle direttive di Stalin.
Il fanatismo di Zdanov si sposava con il terrore di Berja, il capo della polizia segreta
russa. Oltre alle ondate di terrore che da tempo si abbattevano ciclicamente sull'Unione
Sovietica, Berja ne organizzò anche per i paesi satelliti. L'inquisizione, colpiti in tutti i modo i
"diversi" e i nonconformisti, si abbatté anche sui veri fedeli. Proprio i fedelissimi dirigenti
comunisti che avevano cacciato i partiti non comunisti dal governo e ne avevano
perseguitato i seguaci, vennero accusati dei più inverosimili complotti e condannati a morte o
imprigionati. Stalin li fece sostituire perlopiù con funzionari di partito che durante la guerra si
erano rifugiati a Mosca: i comunisti rimasti nel proprio paese, che avevano partecipato alla
Resistenza, erano comunque troppo popolari e abituati all'iniziativa, per cui potevano
sfuggire in qualche modo al suo controllo - come in quel momento stava facendo il leader
jugoslavo Tito. Ma vale anche un'altra spiegazione: il totalitarismo ha bisogno di ricreare in
continuazione un clima di terrore, di far nascere in ciascuno la paura di non esser in linea
con il partito, di avere in sé i germi della dannazione, secondo questo terribile schema:
Loro sono dentro di Noi.
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Corea del Nord invase quella del Sud, l'America, ottenuta l'approvazione dell'O.N.U., mandò
un corpo di spedizione che respinse l'esercito comunista e che invase poi la stessa parte
settentrionale del paese. Ma l'aiuto economico e tecnico russo - insieme all'intervento diretto
delle truppe cinesi - aveva di nuovo rovesciato la situazione.
E' interessante notare che l'intervento iniziale e i successivi invii di mezzi e di truppe da
parte degli americani furono giustificati con la minaccia globale comunista, diventata
un'ossessione in quei tempi di caccia alle streghe, mentre gli attriti potenziali tra Cina e
Russia, noti anche ai diplomatici americani, non parvero in alcun modo rilevanti. La logica e
l'ideologia del bipolarismo erano diventate schiaccianti. Stalin a sua volta non voleva perdere
la faccia in Corea, né lasciare che due suoi alleati ufficiali subissero un rovescio, ma semmai
era pronto ad approfittare della situazione per espandere la sua sfera d'influenza.
Solo dopo la morte del dittatore sovietico, avvenuta nel 1953, il conflitto ebbe termine,
per la posizione più morbida della nuova direzione del Partito Comunista dell'Unione
Sovietica. Dopo una guerra costata centinaia di migliaia di morti, la linea del cessate il fuoco
rimase lungo il 38° parallelo, dove era originariamente.
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decisione, presa approfittando del fatto che l'Unione Sovietica aveva abbandonato le riunioni
in segno di protesta, di attaccare militarmente la Corea del Nord, compito che poi fu eseguito
essenzialmente dalle truppe americane. Perfino l'O.N.U., dunque, in questa circostanza fu
coinvolta nella logica dei blocchi. In seguito essa se ne sarebbe decisamente sottratta -
anche perché i sovietici non avrebbero mai più disertato il consiglio - ma avrebbe avuto un
peso molto limitato sulle vicende internazionali.
***
DOPO LA GUERRA UN GRAN NUMERO DI COLONIE DIVENTANO
INDIPENDENTI
La decolonizzazione è un altro ambito che in parte si sottrae alla logica bipolare. Essa, come
si è visto, era stata uno dei punti in cui a Teheran e a Yalta le opinioni - e gli interessi - dei
russi e degli americani erano venuti a convergere, a danno degli inglesi e delle altre potenze
coloniali europee, cioè Francia, Belgio, Olanda e Italia, che in quel periodo erano ancora in
parte in mano alle truppe tedesche. Ma con la guerra fredda la logica bipolare fu applicata
molto spesso anche in questo campo. Abbiamo già visto il caso della Corea, che nonostante
la sua antica civiltà, era stata, dal 1910, una specie di colonia del Giappone. Più tardi, nel
1954, quando i francesi, dopo un lungo conflitto, rinunciarono al controllo sulle loro colonie
indocinesi (Vietnam, Laos e Cambogia), gli americani fecero entrare nella loro sfera
d'influenza il Vietnam del Sud, retto da una dittatura filo-occidentale, mentre il Nord rimaneva
nelle mani del partito comunista Vietminh, il cui leader storico, Ho Chi Min, aveva guidato la
lotta contro gli occupanti giapponesi, prima, e contro la restaurazione francese, poi.
IL MOVIMENTO DEI NON ALLINEATI, IL “TERZO MONDO”, VA
CONTRO LA LOGICA BIPOLARE
Tuttavia nel complesso i nuovi paesi cercarono di uscire dalla logica bipolare: a Bandung,
in Indonesia, nel 1955, e a Belgrado, nel 1961, si riunirono una trentina di Stati asiatici ed
africani, detti poi "non allineati", che si consideravano un "terzo mondo", rispetto a quello
capitalistico occidentale e a quello comunista. Ma la povertà e la disomogeneità di questo
mondo non ne faceva certamente una terza forza.
Di questo schieramento faceva parte anche la Yugoslavia, che nel 1948 era stata
"scomunicata" dall'U.R.S.S. con l'accusa di trotzkismo, nazionalismo e altre eresie. Nel clima
ideologico delle "guerre di religione" di quegli anni, era inimmaginabile che questo paese
passasse sotto l'ombrello militare americano, e, nel totale isolamento, correva il rischio di
un'invasione russa. E' facile capire che ben presto Tito diventasse un sostenitore del
movimento dei paesi non-allineati. Egli, inoltre, senza rinunciare al regime del partito unico,
abbandonò la sua rigidità ideologica e, nel corso del tempo, introdusse nell'economia
pianificata alcuni elementi di mercato e di gestione operaia, al posto della pianificazione
burocratica dall'alto.
LA POLITICA DI GANDHI É FUORI DAI DUE BLOCCHI
Fuori dalla logica dei blocchi è, a più forte ragione, anche il movimento
indipendentista indiano guidato dal Mahatma Gandhi. La concezione della politica e, più
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in generale, della società e della vita di questo grande leader nonviolento non può in nessun
modo essere assimilata al marxismo-leninismo di Stalin, al capitalismo liberale di Truman e
nemmeno ad altre grandi tradizioni politiche dell'occidente.
GANDHI É PER LA LIBERTÀ E L’EGUAGLIANZA, MA NON CREDO
NEL MITO DEL PROGRESSO TECNICO-ECONOMICO
Certo egli condivide con la tradizione comunista l'idea dell'uguaglianza dei popoli e della
dignità del lavoro manuale, nonché il progetto di liberare i paesi oppressi dall'imperialismo
coloniale. Così come condivide con la tradizione liberaldemocratica l'idea della dignità
dell'individuo e della salvaguardia dei suoi diritti fondamentali. Ma non si lascia invece affatto
sedurre dal mito moderno occidentale dell'onnipotenza del progresso economico e tecnico,
che accomuna i due blocchi. E neppure accetta l'idea universalmente diffusa che il potere
politico abbia diritto di fare uso della violenza per mantenere l'ordine all'interno e per
garantire il popolo dalle minacce esterne. Infine Gandhi si differenzia dai pacifisti rivoluzionari
socialisti e anarchici, che non ammettono la guerra, ma ammettono la lotta di classe violenta
e l'insurrezione armata. Tuttavia non manca in lui anche un legame ideale con l'occidente:
quello con il cristianesimo delle origini e con il suo rifiuto integrale della violenza.
EFFICACIA DEI SUOI METODI NONVIOLENTI
Questa purezza di principi non deve far dimenticare che il movimento satyâgraha di
Gandhi è stato tanto politicamente efficace da costringere l'Inghilterra a lasciare l'India. Egli,
che in origine faceva l'avvocato, fu geniale nell'inventare forme di resistenza passiva, di
sabotaggio nonviolento e di azione collettiva dimostrativa (tali metodi furono ripresi poi nella
lotta per i diritti civili dei neri americani da Martin Luther King, e più tardi dallo stesso
movimento del 68 e da vari altri che pure non praticavano la nonviolenza integrale).
Certamente l'azione degli indipendentisti indiani aveva un'efficacia particolare nel
contesto dell'impero britannico in cui c'era per lo meno una tradizione di rispetto per le
procedure legali e in cui la stampa libera dava risonanza alle misure repressive del governo
contro i nonviolenti, creando necessariamente un moto di simpatia nei loro confronti. Ci si
può chiedere invece se i progetti a suo tempo elaborati da Gandhi per permettere
all'Inghilterra di resistere all'aggressione nazista con il suo metodo di lotta fossero realistici,
visto che il regime hitleriano non aveva al suo interno un'opinione pubblica libera e non
aveva alcun rispetto per le procedure legali.
L'influenza del movimento satyâgraha non va sopravvalutata neanche in India: la
decolonizzazione dell'Impero Indiano, caratterizzato da una molteplicità di etnie, religioni e
civiltà diverse, fu seguita da una guerra civile tra induisti e mussulmani che portò alla
costituzione nel 1947 di due Stati separati, la Federazione Indiana, che riconosce il
pluralismo etnico e razziale, e il Pakistan (il "Paese dei Puri"), in cui l'Islam è la religione
ufficiale. Il movimento non riuscì dunque a frenare il fanatismo nazionalistico e religioso e lo
stesso Gandhi fu assassinato nel 1948 da un fanatico indù. Inoltre la nascita dei due Stati
indiani fu accompagnata da una reazione collettiva di panico che portò ad un esodo di
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dovuto avere un rapporto fisso tra loro, con una possibilità di oscillazione solo dell'1 %,
mentre il dollaro - la moneta guida - avrebbe dovuto essere scambiato con l'oro sempre
secondo un rapporto fisso (35 dollari all'oncia). Questo garantiva un valore certo e stabile a
tutte le monete presenti sul mercato, cosa che, insieme al progressivo abbattimento delle
tariffe doganali e alla totale assenza di guerre tra i paesi dell'O.C.S.E., permetteva lo
sviluppo del commercio e del movimento dei capitali.
- AUMENTO DEMOGRAFICO E BASSI
PREZZI DEL PETROLIO E DELLE MATERIE PRIME
Un altro fattore fu il notevole aumento demografico dei paesi capitalistici avanzati nel
periodo del secondo dopoguerra, che dilatò i consumi delle famiglie e diede un'ampia
disponibilità di manodopera. Molto importante fu anche il fatto che il prezzo del petrolio e in
genere delle materie prime provenienti dai paesi del terzo mondo si mantenne basso per
tutto il periodo.
- NOTEVOLE STIMOLO ALL’ECOMOMIA
DA PARTE DELLA SPESA PUBBLICA
Ma, da ultimo, è bene sottolineare che in quegli anni non mancò mai quella spesa di
Stato che aveva rilanciato l'economia americana durante la seconda guerra mondiale e poi
di nuovo ai tempi del piano Marshall e della guerra di Corea. Infatti, il governo americano
continuò a sviluppare i propri armamenti proprio a causa del confronto politico - militare con
l'U.R.S.S., e inoltre, soprattutto negli anni Sessanta, dette un notevole impulso alla spesa
sociale. Quanto agli Stati europei, essi lasciarono l'onere di gran parte della spesa militare
alla superpotenza, ma - soprattutto negli anni sessanta - svilupparono gradualmente le
istituzioni dello Welfare State (previdenza sociale, sanità pubblica, istruzione superiore
agevolata, ecc.), di cui l'Inghilterra laburista aveva fornito l'esempio già nell'immediato
dopoguerra.
In effetti, la politica economica prevalente in questo periodo è legata al nome
dell'economista inglese John Meynard Keynes (1883-1946), che fu, tra l'altro, uno dei
protagonisti dell'incontro di Bretton Woods. Keynes era convinto che il mercato capitalistico
non fornisce spontaneamente una domanda tale da stimolare lo sviluppo e da garantire un
tasso abbastanza alto di occupazione. E' perciò necessario l'intervento dello Stato per creare
una domanda aggregata capace di stimolare opportunamente l'economia. La spesa di Stato
in deficit di bilancio (e la corrispettiva emissione di cartamoneta) comporta naturalmente un
certo rischio di inflazione, che richiede attenta sorveglianza. Anche per questo gli accordi di
Bretton Woods obbligavano gli Stati occidentali al rispetto del sistema dei cambi fissi delle
monete, che li vincolava a non superare certi limiti inflattivi. Sarà solo negli anni sessanta, in
seguito alla guerra del Vietnam, che questi limiti saranno sistematicamente superati e l'intero
sistema dovrà affrontare diverse difficoltà fino ad essere abbandonato, come vedremo in
seguito.
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IL SOTTOSVILUPPO
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senza terra - sono stati oppressi prima dalla grande proprietà terriera locale,
tradizionalmente assenteista e poco interessata allo sviluppo, o dalle grandi multinazionali
agricole statunitensi, spesso capaci di influenzare potentemente le autorità locali o nazionali,
che hanno finto di ignorare i danni sociali e ambientali prodotti dalle monoculture.
LA SCARSITÀ DELLE RISORSE DELLE AZIENDE FAMILIARI IN
ASIA E AFRICA
Anche in Asia o in Africa le multinazionali agricole straniere hanno giocato un ruolo
negativo, ma spesso il problema prevalente è stato piuttosto quello della scarsità di risorse
delle piccole aziende contadine, che, in condizione di accelerato sviluppo demografico, si
sono trovate a coltivare nuove aree con pochi mezzi per dissodarle o per concimarle
adeguatamente. In altri casi ci sono state le difficoltà legate al passaggio da un'economia
nomade o seminomade ad una sedentaria, anche in questo caso imposta dall'aumento della
popolazione e dalla rarefazione degli spazi.
I MODERNI FARMACI DIMINUISCONO NOTEVOLMENTE LA
MORTALITÀ INFANTILE
Come si vede, lo sviluppo demografico non è solo un problema per l'aumento delle
bocche da sfamare, ma anche per la sua pressione sui terreni coltivabili e sul mercato del
lavoro. Causa principale ne è la diffusione di una serie di farmaci che hanno diminuito
drasticamente la mortalità infantile, in società in cui sia le tradizioni agricole più antiche
(più figli, più braccia) sia le grandi religioni monoteiste (in sostanza, l'islamismo e il
cattolicesimo) concordano nel condannare la contraccezione.
Alcuni governi, come quello cinese e quello indiano, hanno praticato una politica
spesso anche dura contro le famiglie numerose, frenando almeno in parte il loro spaventoso
sviluppo. Moltissimi altri non hanno neppure affrontato il problema, sperando che il puro e
semplice aumento del tasso di istruzione e le abitudini urbane modificassero il
comportamento delle famiglie e in particolare delle donne, cosa che è avvenuta solo in
misura decisamente insufficiente. In Europa certo non c'è stato bisogno della propaganda
aperta dello Stato e della scuola per modificare il comportamento femminile. Tuttavia il
nostro continente ha impiegato più di due secoli, dal Settecento ad oggi, per passare da un
tasso di natalità simile a quello del terzo mondo al tasso odierno: è difficile pensare che le
altre culture possano bruciare le tappe senza un intervento sistematico.
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si presentarono molti partiti, in quanto anche i partiti minori avevano qualche speranza, grazie al sistema proporzionale, di
essere rappresentati (con tale sistema si vota non il singolo candidato, come con il sistema uninominale, ma il partito, per cui
la percentuale dei seggi di quest'ultimo in Parlamento corrisponde grosso modo alla percentuale dei suoi voti a livello
nazionale). --> Su sistema proporzionale e uninominale si veda Parte 2a, COSTITUZIONE DELLA QUINTA REPUBBLICA
FRANCESE. IL BIPARTITISMO ARTIFICIALE.
DUE GRUPPI ANTAGONISTI: FILO-OCCIDENTALI E FILOSOVIETICI
Questi numerosi partiti erano divisi però in due gruppi antagonisti. Un gruppo era
decisamente schierato a favore della democrazia parlamentare all'occidentale e
dell'alleanza con gli Stati Uniti, e comprendeva la D.C. (che era già il partito di
maggioranza relativa alla Costituente e il cui leader, Alcide De Gasperi, era stato capo del
governo dopo l'azionista Parri) e alcuni partiti minori: liberali, repubblicani (l'ala moderata
del Partito d'Azione) e socialdemocratici (che avevano appena lasciato il partito socialista,
perché filosovietico e radicale).
L'altro schieramento era costituito da una coalizione che si autodefiniva ancora Fronte
Popolare, ed era formata dai socialisti, il cui leader era Pietro Nenni, e dai comunisti, il cui
leader era Palmiro Togliatti. Entrambi questi partiti avevano dato un contributo significativo
alla costituzione liberaldemocratica che era stata da poco approvata, insistendo in particolare
sui diritti sociali.
I PARTITI MARXISTI
Ma entrambi i partiti erano marxisti (il primo risaliva addirittura alla fine dell'Ottocento,
aveva fatto parte dell'Internazionale Socialista ed era diviso in correnti vivaci e rissose, il
secondo si era staccato nel 1921 dal primo per entrare nell'Internazionale Comunista e,
secondo le direttive di Lenin, non ammetteva ufficialmente al suo interno le correnti); in
entrambi non mancavano gruppi o tendenze decisamente rivoluzionari, specie in molte
sezioni operaie o tra i contadini senza terra. E soprattutto entrambi - anche il P.S.I. -
riconoscevano nell'Unione Sovietica la prima società che aveva attuato la rivoluzione
operaia socialista.
I PARTITI MARXISTI:-LA SCELTA LEGALITARIA COSTITUZIONALE
Ma, per l'immediato, la linea politica approvata dai loro organi direttivi era quella di
arrivare al potere legalmente, secondo le norme stabilite dalla nuova costituzione. In effetti
molti quadri del partito comunista ed ex-partigiani sentivano tale costituzione come il frutto
delle lotte della Resistenza, e inoltre le tragiche conseguenze del tentativo rivoluzionario
comunista in atto in Grecia da qualche anno aveva rafforzato la scelta legalitaria della
dirigenza del P.C.I.
I PARTITI MARXISTI:-L’OBIETTIVO STORICO DELL’ABOLIZIONE
DEL CAPITALISMO
D'altra parte i comunisti non avevano rinunciato all'obiettivo strategico dell'abolizione
del capitalismo e del passaggio alla dittatura del proletariato, per cui, in questa prospettiva
di lungo periodo, essi intendevano andare oltre il sistema politico e sociale vigente. Inoltre
essi diffondevano un'immagine illusoria e propagandistica dell'Unione Sovietica, considerata
come il paese guida del progresso politico e sociale dell'umanità, in cui sarebbe stata in atto
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la dittatura marxista del proletariato sulle classi dei proprietari e non la dittatura staliniana del
partito sul proletariato, con tutto il suo corollario di stragi e di gulag. Date queste premesse,
tutti i partiti filo-occidentali concordavano nella conventio ad excludendum (rifiuto di farli
entrare in una coalizione di governo) nei loro confronti e nei confronti dei loro alleati socialisti
del Fronte Popolare.
LA VITTORIA DELLA DC:
-LA CROCIATA CATTOLICA ANTICOMUNISTA
Ad ogni modo i socialcomunisti avevano scarsissime possibilità di vincere (raccolsero
insieme solo il 31% dei voti) anche per la capacità di mobilitazione della Chiesa, che aveva
lanciato contro di loro una vera e propria crociata, con tanto di scudo crociato nel simbolo
elettorale della D.C. e di scomunica (non metaforica) per i comunisti.
LA VITTORIA DELLA DC:
-LE SIMPATIE DEI CETI MEDI E DEI COLTIVATORI DIRETTI
Probabilmente alla sconfitta contribuì anche il voto dei ceti medi, i cui interessi economici
erano stati abilmente difesi contro quelli operai dal ministro liberale Einaudi, e quello di
numerosi coltivatori diretti (piccoli proprietari contadini), mobilitati dalla D. C. in difesa della
proprietà privata, nonché le simpatie per l'America - il ricco paese che ci aiutava alla
ricostruzione, dove erano emigrati molti italiani, e da cui venivano film e fumetti popolarissimi
- e inoltre la fama sinistra del totalitarismo ateo staliniano. Infine, last but not least, la
minaccia americana di revocare il piano Marshall in caso di vittoria del Fronte
Popolare.
LA VITTORIA DELLA DC:
-LA MINACCIA AMERICANA DI REVOCARE IL PIANO MARSHALL
La D.C. ottiene il 48,5% dei voti, cosa che le permette di raggiungere da sola, seppur
per pochi seggi, la maggioranza assoluta in parlamento, dove potrà age volmente formare un
governo con l'appoggio degli altri partiti filo-occidentali.
SCHEDA. I PARTITI DELLA COSIDDETTA “1a REPUBBLICA”, ELETTI COL SISTEMA
ELETTORALE PROPORZIONALE (1945-1993)
Questa scheda sintetica anticipa fatti e idee che saranno chiariti meglio più tardi. È consigliabile
tornare a vederla man mano che si leggono i capitoli 1-4.
Le denominazioni dei partiti sono a volte cambiate nel tempo e quindi non sempre hanno coinciso
perfettamente con quelle qui riportate.
DC (DEMOCRAZIA CRISTIANA). Partito cattolico, che si ispira alla dottrina sociale della Chiesa ma è
indipendente da essa, di orientamento centrista, diviso in molte correnti, che vanno da una sinistra
disposta al compromesso col PSI e perfino col PCI a una destra fortemente anticomunista, aperta ad
intese con i monarchici e il MSI.
-Fu per tutto il tempo il partito di maggioranza relativa, scendendo però dal 48.5% del 1948 al 29,7%
del 1992. Fu ininterrottamente al governo.
PCI (PARTITO COMUNISTA ITALIANO). Partito marxista, in origine legato al comunismo sovietico;
Sviluppa la tradizione marxista italiana, legata ad Antonio Gramsci, ed elabora negli anni settanta
l’idea di eurocomunismo. Nel 1991 abbandona il marxismo e assume il nome di PDS.
-Fu sempre il secondo partito in Parlamento (il terzo alla Costituente), oscillando tra il 18,9% del 1946
e il 34,3 del 1976. Come PCI non partecipò direttamente a nessun governo dopo il 1947, ma appoggiò
in Parlamento dall’esterno i governi di Unità Nazionale (1976-1979). Come PDS partecipò al governo
Ciampi (1993).
PSI (PARTITO SOCIALISTA ITALIANO). Partito d’ispirazione marxista, ma diviso in diverse correnti,
inclusa la corrente socialdemocratica non marxista filo-occidentale, che però ne uscì nel 1947 dando
vita al PSDI (nel periodo 1966-68 ci sarà un tentativo di riunificazione). È legato al PCI da un patto di
collaborazione e simpatizza per il campo sovietico; nel 1957 però condanna l’invasione dell’Ungheria
da parte dell’URSS e rompe il patto col PCI.
-Fu sempre il terzo partito (il secondo solo alla Costituente), oscillando tra il 20% del 1946 e il 10%
circa nel corso degli anni settanta. Partecipò ai governi di centrosinistra a partire dal 1963, a quelli di
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Piccoli partiti (oscillanti tra l’1% e il 3-4%; non essendoci una soglia minima di voti necessaria per
ottenere una rappresentanza, questi partiti erano tutti presenti in Parlamento)
PRI (PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO). Partito di centro-sinistra, di ispirazione
liberaldemocratica e laica. Sempre eletto in Parlamento, partecipò a numerosi governi di centro, di
centrosinistra e di pentapartito.
PLI (PARTITO LIBERALE ITALIANO). Partito di centro-destra, di ispirazione liberaldemocratica,
liberista e laica. Sempre eletto in Parlamento, partecipò ai governi di centro e ai governi di
pentapartito.
PARTITO MONARCHICO. Partito di destra clericale, fu eletto in Parlamento per la prima volta nel
1968. Appoggiò dall’esterno alcuni governi DC negli anni cinquanta. Molti monarchici passarono nel
MSI allo scioglimento del loro partito.
PSIUP (PARTITO SOCIALISTA ITALIANO DI UNITÀ PROLETARIA). Partito marxista di estrema
sinistra, fondato da parlamentari staccatisi dal PSI nel 1964, contrari alla partecipazione al governo di
centro-sinistra. Dopo il 1972 ha dato vita, insieme al gruppo “Il Manifesto” (uscito dal PCI) e ad altri, al
“PDUP per il Comunismo”. Nel 1975 confluì in un’alleanza elettorale dei gruppi di estrema sinistra
chiamata DEMOCRAZIA PROLETARIA, che ebbe rappresentanti in Parlamento fino alle elezioni
del 1987 comprese. Nemmeno questi hanno partecipato ad alcun governo.
PR (PARTITO RADICALE). Partito di ispirazione liberaldemocratica, liberista e laica, fortemente
contrario al clericalismo, fondato nel 1956, è stato presente in Parlamento a partire dalle elezioni del
1976, ma ha fatto politica soprattutto attraverso i referendum. Non hai mai partecipato al governo.
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masse grazie allo sviluppo delle città industriali e delle grandi fabbriche, riesce a organizzarsi
in sindacati e dà vita a partiti di tipo laburista, socialista o comunista. Anch’essa spesso
riesce ad allearsi con una parte dei ceti medi, o con i ceti più bassi, ed elabora, grazie anche
all’apporto di gruppi intellettuali di opposizione, una propria cultura di tipo socialista o
laburista.
Lo sviluppo della democrazia liberale, di cui l’Inghilterra è stato un modello, ha evitato
lo scontro tra questi due blocchi sociali contrapposti e ha dato al loro conflitto di interessi
una forma pacifica, in cui fosse possibile un ragionevole compromesso. Nonostante la
grandissima importanza di questo conflitto economico-sociale, non bisogna dimenticare che
la nostra storia è attraversata anche da una serie di conflitti di vario tipo, legati alla lingua,
alla religione, al territorio, al sesso, ecc., e la discussione pacifica e razionale nell’opinione
pubblica, attraverso i media e in Parlamento, è considerata in democrazia il mezzo migliore
per risolvere i diversi conflitti e per trovare accettabili compromessi tra le parti.
IL PLURIPARTITISMO NEI PAESI EUROPEI AVANZATI
Naturalmente, per trovare un compromesso tra i diversi interessi delle società
industriali non c'è necessariamente bisogno di un sistema bipartitico, ma si può farlo anche
con un sistema multipartitico. Per esempio, in Olanda e nei paesi scandinavi, non esiste un
vero e proprio bipartitismo, e non si vota col sistema uninominale, ma c'è stato egualmente
un alternarsi al governo di poli politici che rappresentano interessi sociali contrapposti. In tali
paesi, dunque, l'alternanza al governo e la rappresentazione politica degli interessi sociali è
stata possibile anche con il sistema elettorale proporzionale. Esso indubbiamente favorisce il
multipartitismo, ma ha anche l'indubbio vantaggio di assegnare i seggi parlamentari in modo
equo alle diverse forze politiche (cosa che il sistema uninominale non fa). In Svizzera poi
tutte le numerose forze politiche presenti in Parlamento sono rappresentate al governo (di
Francia e Germania parleremo più tardi).
Tuttavia il bipartitismo ha un vantaggio particolare, almeno secondo molti politologi.
Esso costringe i candidati dei due partiti a cercare di moderare la loro campagna elettorale e,
di conseguenza, il loro programma politico, per conquistare l'elettorato di centro. Infatti è più
utile per un candidato di destra portar via al suo antagonista di sinistra un elettore di centro o
di sinistra moderata che garantirsi il voto di un estremista di destra, che, mal che vada, si
asterrà, ma certamente non voterà per la sinistra. E viceversa per il candidato di sinistra.
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Repubblicani
D ______________________________________________ S
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Democratici
In effetti in America l'asse destra-sinistra non è sempre rilevante per capire il voto. I due
partiti, nelle loro varie articolazioni locali e correnti, rappresentano anche diversi interessi e
identità regionali (nord, sud, mid west, area pacifica, ecc.), diverse identità etniche (bianchi
anglosassoni, irlandesi, italiani, latino-americani, neri, ecc.) e diverse identità religiose
(protestanti di varie confessioni, cattolici, ebrei, ecc.).
IL PARTITO REPUBBLICANO AMERICANO É GROSSO MODO UN
PARTITO CONSERVATORE, MA QUELLO DEMOCRATICO NON
CORRISPONDE A UN PARTITO LABURISTA O SOCIALISTA
Inoltre, se il partito repubblicano assomiglia per molti versi al partito
conservatore inglese, il partito democratico assomiglia assai meno al partito laburista:
esso è in effetti da molto tempo legato ai più importanti sindacati industriali, ma ha avuto
anche l'appoggio delle varie lobbies degli industriali produttori di beni di consumo di
massa; infine riceve una parte importante del voto delle etnie più deboli e meno integrate, tra
cui i neri, ma per molto tempo ha raccolto numerosi voti dei "bianchi poveri" del sud
conservatore e razzista. Inoltre i democratici non hanno una cultura politica né un
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Anche in Italia ci sono stati nel periodo 1948-1992, tutto sommato, solo due grossi partiti
capaci di fare da perno a una maggioranza parlamentare: la D.C. e il P.C.I. (il P.S.I.
raggiunse il 20% nelle prime elezioni del dopoguerra nel 1946, ma scese poi a una
percentuale media intorno al 12-13 e non riuscì più a riprendersi). Ma tra questi due partiti in
realtà non poteva esserci alternanza: la vittoria del P.C.I. avrebbe portato ad una crisi politica
pericolosissima.
LA DC SEMPRE AL GOVERNO DAL 1945 AL 1994
Questo "condannò" la D.C. a essere sempre partito di governo, dal 1945 al 1994,
con gli effetti negativi della troppo lunga permanenza al potere delle stesse persone,
menzionati in precedenza. Inoltre i ceti popolari che votavano il P.C.I. e il P.S.I. (suo alleato
fino alla seconda metà degli anni cinquanta), e in particolare la classe operaia, non ebbero
mai un governo che si assumesse come compito primario la tutela dei loro interessi.
L'identificazione progressiva della D.C. con lo Stato aveva conseguenze
particolarmente gravi in un paese in cui la pubblica amministrazione era già particolarmente
pletorica per lo sviluppo che gli aveva dato il regime fascista. L'espansione del pubblico
impiego finì poi per presentarsi alla D.C. come un rimedio empirico e immediato contro la
disoccupazione, oltre che un mezzo improprio ma efficace per procacciare voti al partito.
Egualmente, è sintomatico che in questo lungo periodo storico la D.C. non riuscì mai a
varare una riforma organica della pubblica amministrazione, che i ministri dei governi de
Gasperi avevano presentato come un compito urgente e primario.
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Questa situazione cambiò in parte all'inizio degli anni sessanta, con l'ingresso del P.S.I. al
governo e poi con i governi di unità nazionale del 1976-1979, composti da soli democristiani,
che ottennero il voto favorevole del PS.I. e del P.C.I. Ma resta il fatto che nel periodo 1948 -
1994 la DC (già al governo nel 45-47) ottenne ininterrottamente la maggioranza dei seggi
ministeriali mentre il P.C.I. (o il suo erede P.D.S.) ne fu del tutto escluso.
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Loro, che appartengono alla borghesia o alle classi ad essa alleate e che vogliono perpetrare
lo sfruttamento operaio
Eppure i due partiti avevano entrambi aderito alla democrazia parlamentare che è il
cuore della costituzione del 1947, scritta con il loro fondamentale contributo, né si può dire
che l'abbiano sostanzialmente tradita fino alla loro scomparsa. Il sentimento di una comune
appartenenza alla repubblica democratica uscita dalla Resistenza antifascista, per quanto si
sia insistito sulla contrapposizione noi-loro, è risultato dunque più forte.
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volte prima di intervenire, tra l'altro per le possibili reazioni negative dell'opinione pubblica
interna e internazionale. Probabilmente lo avrebbero fatto solo su richiesta ufficiale di
un'autorità italiana, per esempio del presidente della repubblica, che in Italia è eletto dal
parlamento per sette anni e che quindi sarebbe appartenuto necessariamente alla
precedente maggioranza filo-occidentale, visto che i parlamenti sono in carica solo per
cinque anni, o eventualmente di un governo provvisorio golpista.
E' stato spesso sottolineato, tuttavia, che gli Stati Uniti in alcune circostanze hanno
interferito pesantemente negli affari interni non solo di paesi ex-coloniali con scarse tradizioni
democratiche, ma anche di democrazie consolidate. Il caso più sconcertante è quello del
Cile, il paese latino americano che, fino al 1973, più aveva mostrato di saper ricalcare le
orme della liberaldemocrazia occidentale. Il sanguinosissimo colpo di Stato militare del
generale Augusto Pinochet contro il presidente di sinistra Salvador Allende, sempre
sostanzialmente rispettoso delle regole costituzionali ma deciso a scalzare i privilegi delle
compagnie minerarie americane del rame e dell'oligarchia dei grandi proprietari cileni, fu
preparato con l'aiuto e con la copertura organizzativa della C.I.A.
Tuttavia la domanda corretta non era semplicemente "che cosa ne penseranno gli
americani?", ma piuttosto: "le forze conservatrici interne vorranno o no ricorrere
all'aiuto americano per reprimere un cambiamento che le colpisce molto duramente?"
Da un lato, dunque, la palla al piede della sinistra italiana fu quella di essere
egemonizzata da un partito che era legato all'Unione Sovietica e all'ideologia
rivoluzionaria. Questo autorizzava gli altri a dubitare che, una volta arrivato al governo
avrebbe tranquillamente accettato di andarsene al momento dovuto, secondo la prassi del
bipartitismo perfetto. Egualmente gli elettori non erano chiamati a giudicare un preciso
programma di riforme sociali, ma a schierarsi pro o contro una certa concezione globale
della società e dell'economia.
Dall'altro, se nello schieramento filo-occidentale c'erano certo tendenze politiche
disposte ad accettare la volontà popolare e i cambiamenti da essa imposti, non mancavano
sopravvivenze fasciste nell'apparato dello Stato (in particolare nella polizia e
nell'esercito) e nemmeno forze parlamentari inclini al governo forte. Esempi ne sono, in
questo periodo, l'organizzazione nel 1956 del gruppo armato segreto anticomunista "Gladio"
(peraltro prosecuzione di esperienze precedenti) in collaborazione con la C.I.A., e la
costituzione di un governo di destra sostenuto dalla D.C. e dal neofascista Movimento
Sociale Italiano nel 1960 ad opera di Ferdinando Tambroni.
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un gran numero di internati nei campi di concentramento, tra cui Aleksandr Solzenitsyn, che
nel 1962 potrà pubblicare legalmente Una giornata di Ivan Denissovich, la sconvolgente
testimonianza della sua esperienza del gulag (tuttavia più tardi Solzenitsyn sarà espulso
dall'Unione Sovietico per aver pubblicato all'estero Arcipelago gulag). Negli anni successivi
non mancò inoltre una timida apertura nei confronti della cultura "borghese" e nei confronti
degli intellettuali innovatori, così come una certa tolleranza per forme d'arte e atteggiamenti
prima considerati "borghesi".
Come si era prodotta una svolta così grande nella politica dell'Unione Sovietica?
Certo, essa non va sopravvalutata: i gulag, pur ridimensionati, non erano scomparsi, i diritti
dell'uomo non erano in nessun modo garantiti, né il partito aveva rinunciato alla sua funzione
di guida ideologica - spiegare dall'alto ai cittadini sovietici chi essi erano veramente (Noi) e
chi erano i nemici comuni (Loro). Tuttavia esso non aveva scelto un leader che proseguisse
il governo di Stalin, basato sul terrore continuo e sulla mobilitazione continua delle masse
intorno a sempre nuove parole d'ordine. Il nuovo regime non avrebbe più osato effettuare
quei giganteschi esperimenti sociali in corpore vili che avevano caratterizzato lo stalinismo
(la collettivizzazione forzata ai danni di un'intera generazione di kulaki), ma assomigliava
piuttosto alla dittatura di una gigantesca burocrazia, timorosa dell'imprevisto e sospettosa di
fronte all'anticonformismo e all'innovazione.
LE CARATTERISTICHE SPECIFICHE DEL PARTITO COMUNISTA
RUSSO
In effetti Stalin aveva sconvolto il partito con le sue purghe (solo quelle del 36-38
erano costate circa cinquecentomila morti) e ne aveva fatto una macchina docile ai suoi
ordini e ossequiente al "culto della personalità", ma non lo aveva creato dal nulla, come, in
un certo senso aveva fatto Hitler. Il partito nazista era stato fondato da Hitler stesso e la
soggezione assoluta al capo era un cardine della sua ideologia e della sua azione
(Führerprinzip), per cui il partito sprofondò insieme al suo leader. Il partito comunista
bolscevico invece aveva avuto una storia lunga e complessa prima dell'ascesa di Stalin e la
sua ideologia originaria non implicava alcun culto della personalità né alcun rafforzamento
dell'apparato repressivo statale, ma semmai l'estinzione progressiva dello Stato stesso
(come si può leggere in Stato e rivoluzione di Lenin).
Anche se certo Stalin non si era affermato per puro caso nel partito, tuttavia ne aveva
anche duramente represso le tendenze e impedito l'espressione. Con la sua morte, dopo
una terribile dittatura personale di ventotto anni, non c'era certo da aspettarsi che esso
ritornasse agli antichi ardori rivoluzionari. Ma per lo meno l'élite burocratica poté difendere i
suoi privilegi collettivi in modo più razionale. E il gruppo dirigente guidato da Krusciov capì
che, per governare con un minimo di consenso, era necessario sviluppare nuove industrie e
permettere più larghi consumi.
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sostanzialmente opposto a quello del Piano Marshall (va anche considerato che i destinatari
di tale piano erano gli europei, visti come interessanti partners economici). L'Unione
Sovietica invece poteva presentarsi come amico disinteressato dei paesi del terzo mondo,
visto che non esistevano certo multinazionali russe e che il suo aiuto era finalizzato
semplicemente ad un'alleanza politica.
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che avrebbero potuto compromettere i traffici nel canale (via d'acqua internazionale), 3) dato
che Nasser - come previsto - lo aveva respinto, le due grandi potenze, mandarono i loro
paracadutisti ad occupare Porto Said, all'imboccatura del canale.
La Russia, che tra l'altro allora non disponeva di una flotta ragguardevole, giunse -
poco credibilmente - a minacciare un intervento nucleare. Ma neanche gli Stati Uniti
tollerarono l'iniziativa autonoma dei due alleati e non approvarono la spedizione militare. Fu
dunque chiamata in causa l'O.N.U. Rimaste isolate, le due (ex) grandi potenze, si piegarono
al verdetto della comunità internazionale - nonché delle due superpotenze - e
abbandonarono Porto Said.
L'umiliazione da loro subita di fronte all'Egitto, ex-colonia inglese, che tra l'altro in quel
momento appoggiava la rivolta algerina contro la Francia, diede un'accelerazione al
processo di decolonizzazione. Nel periodo 1957 - 1968 sorsero ben 51 nuovi stati ex
coloniali in Africa, Vicino Oriente, Medio Oriente, Asia Orientale, Oceania e Caraibi (contro i
18 del periodo 1945-1956). Le nazioni europee pagavano uno scotto che era già implicito
nell'intesa tra Roosevelt e Stalin a Jalta: esse avrebbero dovuto progressivamente rinunciare
alle loro colonie a beneficio della penetrazione economica delle multinazionali americane e
dell'espansione della protezione imperiale degli Stati Uniti sulle rotte commerciali mondiali. E
ad eventuale beneficio della penetrazione politica sovietica.
Ai tempi di Krusciov non mancarono altri momenti di tensione fortissima tra le due
superpotenze. Nel 1960 ci fu l'abbattimento di un aereo spia americano in territorio sovietico.
Nel 1961 di fronte all'intensificarsi delle fughe dalla Germania Orientale verso quella
Occidentale attraverso l'enclave di Berlino Ovest (che ammontavano ormai a centinaia di
migliaia di persone), Krusciov non riuscì a imporre agli alleati una soluzione per lui
accettabile sullo statuto di Berlino e delle due Germanie. In tali circostanze il governo
comunista tedesco decise di edificare un muro sorvegliato da guardie armate sul confine tra
il settore occidentale di Berlino e quello orientale. Questo "muro della vergogna" divenne il
simbolo dell'autoritarismo del blocco orientale, che la destalinizzazione aveva solo attenuato.
L’URSS TENTA DI INSTALLARE MISSILI NUCLEARI A CUBA
Ci fu poi, nel 1962, il tentativo di installare dei missili sovietici a testata nucleare a
Cuba per controbilanciare quelli americani situati in Germania in prossimità dell'Unione
Sovietica. Esso provocò una decisa reazione americana e sembrò che si fosse alla vigilia di
una guerra termonucleare. Alla fine l'Unione Sovietica dovette rinunciare. Tuttavia entrambe
le superpotenze furono spaventate dalle possibili conseguenze di episodi militari che
potevano sfuggire al controllo dei politici, e giunsero ben presto a due accordi all'insegna del
nuovo spirito della distensione: l'istituzione di una linea telefonica diretta tra il Cremlino e la
Casa Bianca (linea rossa) e la rinuncia a ulteriori esperimenti nucleari nell'atmosfera
(avrebbero però proseguito gli esperimenti sotterranei).
DOPO LA CRISI DEI MISSILI A CUBA VIENE ISTITUITA LA “LINEA
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normalmente a colori (si pensi che la R.A.I. solo nel 1953 aveva cominciato in Italia le
trasmissioni televisive in bianco e nero e su di un solo canale, per un pubblico limitato a
causa della mancanza di ripetitori e della scarsa diffusione di apparecchi tv). Per la relativa
estensione del lavoro femminile (cui già la guerra aveva dato un forte impulso), per l'ampia
scolarizzazione (Roosevelt aveva reso obbligatoria la scuola fino a diciotto anni) e anche per
l'esempio dato dai divi del cinema, la vita familiare, il rapporto genitori - figli e il
comportamento delle giovani generazioni si erano profondamente trasformati.
L'emancipazione dei costumi, la modernizzazione delle abitudini di vita, la fine del
maccartismo e la nuova distensione internazionale produssero una svolta a sinistra
dell'elettorato americano.
1960: I DUELLI TELEVISIVI DI KENNEDY E NIXON
Nelle elezioni del 1960, il cattolico John Fitzgerald Kennedy, in lizza per il partito
democratico, seppe approfittare del nuovo clima e sconfisse l'avversario repubblicano,
Richard Nixon, in alcuni memorabili duelli televisivi.
PER KENNEDY IL PROGRESSO MATERIALE DOVEVA FAVORIRE
L’EMANCIPAZIONE SOCIALE E POLITICA
Nonostante i momenti di tensione con Krusciov, anche Kennedy riprese l'idea
rooseveltiana di un mondo aperto in cui il progresso materiale avrebbe favorito
l'emancipazione politica e sociale, e in politica interna promosse nuove riforme sociali a
favore dei ceti più deboli e si preoccupò di garantire effettivamente i diritti civili e politici per i
neri anche negli Stati meridionali, che da sempre attuavano una rigida discriminazione
razziale violando apertamente la costituzione Federale. E' in questo periodo, in effetti, che si
sviluppa la grandiosa lotta non violenta del pastore nero Martin Luther King, uno dei miti
della sinistra americana.
La politica del cattolico Kennedy pareva in sintonia anche con l'apertura al mondo
cristiano non cattolico, al mondo laico dei non credenti e allo stesso mondo comunista
promossa, con una svolta straordinaria, dal papa eletto dal conclave del 1958, Giovanni
XXIII, che cambiò fortemente l'immagine della Chiesa, adottando, dopo decenni di crociate,
lo stile di umiltà, povertà, amore per le creature e rispetto per la diversità degli altri proprio
della migliore tradizione francescana.
Kennedy fu assassinato da un cecchino nel 1963 a Dallas, nel Texas razzista. La polizia
di Dallas fu accusata di non aver preso adeguate misure di sicurezza. In compenso essa
arrestò subito il sospetto assassino, Oswald, che però fu a sua volta ucciso da un sedicente
vendicatore di Kennedy, Jack Ruby, mentre era nelle mani della polizia. Ruby morì ben
presto in circostanze misteriose in carcere e, benché non si sia mai fatta luce in modo pieno
sul caso, è risultato abbastanza chiaramente, in ragione dell'insabbiamento delle indagini
attuato dalle autorità del sud e dai servizi segreti, che l'assassinio di Kennedy non fu opera di
un fanatico isolato ma di una congiura politica di ampie proporzioni.
IL CONCILIO VATICANO II° APRE LA CHIESA AL MONDO
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Nel 1963 morì anche papa Giovanni XXIII e nel 1964 fu destituito Krusciov (peraltro nel
rispetto della legalità socialista e senza che questo si accompagnasse a purghe o a
persecuzioni di qualche tipo). Ma ovunque per diversi anni fu proseguita la loro opera: il
nuovo presidente democratico Johnson riuscì anzi ad attuare molte riforme che Kennedy
aveva solo iniziato o promesso, mentre l'U.R.S.S. proseguiva sulla via della distensione e del
rinnovamento economico e in Vaticano proseguiva il grande Concilio Vaticano II (voluto da
Giovanni XXIII) che mutò il volto della Chiesa.
La politica di distensione e di welfare di Kennedy e di Johnson aveva riflessi anche in
Europa, incoraggiando l'apertura di nuove prospettive politiche. In Germania, per esempio,
nel 1966, il partito democratico cristiano moderato C.D.U.-C.S.U. subì una sconfitta
elettorale e dovette accettare un governo di "grande coalizione" con i socialdemocratici della
S.P.D. (che già da diversi anni avevano sconfessato senza mezzi termini la componente
marxista della loro tradizione).
IL SOCIALDEMOCRATICO WILLY BRANDT DIALOGA CON IL
BLOCCO ORIENTALE
Il nuovo ministro degli esteri, il socialdemocratico Willy Brandt, inaugurò una politica di
dialogo pragmatico con il blocco orientale (Ostpolitik). Essa è tanto più notevole in quanto la
Germania era sempre divisa in due Stati che fino ad allora non si erano neppure riconosciuti
e che la Germania Federale (occidentale) aveva dovuto assorbire qualcosa come nove
milioni di profughi tedeschi, fuggiti attorno al 1945 dalle regioni tedesche annesse dalla
Polonia e dall'Unione Sovietica e più tardi dalla Repubblica Democratica Tedesca (orientale).
Brandt, attraverso laboriose trattative, riuscirà a concludere trattati con l'Unione Sovietica, la
Polonia, la Cecoslovacchia e infine con la Germania orientale stessa.
LA “CONVERGENZA” TRA EST E OVEST: L’EST DEVE APRIRSI
AL MERCATO E L’OVEST INTRODURRE LA
“PROGRAMMAZIONE” ECONOMICA
Frutto della distensione è anche l'idea della convergenza tra i due opposti modelli
economico - sociali dell'ovest e dell'est. Un sociologo non certo sospetto di simpatie per il
marxismo o per l'Unione Sovietica come il liberale francese Raymond Aron già da tempo
analizzava i molti aspetti comuni delle società industriali contemporanee del primo e del
secondo mondo. Economisti marxisti come il polacco Oskar Lange e economisti occidentali
come Siro Lombardini (vicino alla sinistra della Democrazia cristiana) e Antonio Giolitti (che
sarà, come vedremo, ministro economico socialista nel primo governo italiano di centro
sinistra) proporranno - rispettivamente - la progressiva introduzione di elementi di iniziativa e
di autonomia d'impresa nell'economia socialista e l'introduzione di elementi di
programmazione dello Stato nell'economia capitalistica. Quest'ultima idea si ricollegava alla
politica economica keynesiana e consisteva in un sistema di stimoli e vincoli da parte dello
Stato perché i diversi settori economici e i diversi redditi si sviluppassero in modo armonico e
socialmente accettabile.
LA JUGOSLAVIA DAL CENTRALISMO ECONOMICO
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ALL’”AUTOGESTIONE”
Quanto alla prospettiva di introdurre elementi di iniziativa e incentivi economici
nell'economia socialista, essa sarà ripresa anche dai dirigenti sovietici dopo Krusciov, ma,
come vedremo, mai portata fino in fondo. Il paese che sembrò invece, a partire dagli anni 60,
realizzare concretamente una sorta di convergenza fu la Jugoslavia di Tito: l'economia
dell'autogestione socialista introduceva elementi di responsabilità e di iniziativa per i vertici
aziendali e i lavoratori delle imprese. Ma il successo di questo sistema non era condizionato
solo da variabili politiche e ideologiche: come vedremo, gli Stati della parte nord della
Jugoslavia (legata alla civiltà cattolica centro-europea del vecchio impero austroungarico) si
sarebbero discretamente sviluppati, mentre l'autogestione non risolse il problema
dell'arretratezza per le aree di tradizione e mentalità diverse (la Jugoslavia balcanica
soggetta per secoli all'impero turco ottomano).
SINTESI
In sintesi, potremmo dire che se la Russia di Krusciov volle entrare in una pacifica
competizione economica con l'occidente e tentò di attrezzarsi per questo, dall'altra parte
alcuni leader e partiti occidentali vollero competere con l'Unione Sovietica sul piano sociale,
offrendo sicurezza del lavoro e assistenza sociale alla classe operaia, oltre che consumi
crescenti. Anche per questo gli anni sessanta-settanta furono, nonostante le difficoltà e le
crisi che studieremo, l'età dell'oro del ventesimo secolo.
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dell'invasione russa dell'Ungheria fatta dal P.S.I. e la fine del Fronte Popolare coi comunisti, i
quali invece - nonostante un ampio dissenso interno - avevano dichiarato di credere alla
versione propagandistica russa (Krusciov in effetti aveva giustificato l'intervento sostenendo
che l'Ungheria era finita in mano a elementi fascisti reazionari).
Il centro - sinistra è l'indizio di una notevole attenuazione della contrapposizione
ideologica Noi - Loro nel nostro paese. Questo fenomeno comincia a toccare, benché in
misura minore, anche il partito comunista, per ora incapace di prendere posizione contro
l'Unione Sovietica (da sempre presentata alla sua base come la "patria del socialismo", il
paese modello che ha sconfitto il nazismo) e di abbandonare la propria ideologia
rivoluzionaria (l'obiettivo strategico del superamento del capitalismo), come ha fatto la
maggioranza del partito socialista. Per adesso il P.C.I. si limita a sviluppare la dottrina
kruscioviana delle vie nazionali al socialismo, sottolineando che la via nazionale italiana
deve passare attraverso le procedure legali della costituzione repubblicana
antifascista. Ma, essendo i socialisti passati alla coalizione di centro - sinistra, la prospettiva
di conquistare il potere con i mezzi elettorali è, nel breve e nel medio periodo, del tutto
illusoria, considerando che il partito raggiunge nelle elezioni del 1963 il 25,3% dei voti. L'ala
moderata e anti - ideologica del P.C.I., guidata da Giorgio Amendola, riecheggiando in
qualche modo il laburismo, vuole dar vita ad un "partito unico della classe operaia", che
superi la contrapposizione tra il marxismo - leninismo e la socialdemocrazia, ma non trova un
seguito di base sufficiente.
Il centro - sinistra, sostenuto da una D.C., in cui avevano sempre un certo spazio le
correnti conservatrici e in cui era ormai invalsa l'abitudine a vedere l'apparato dello Stato
come serbatoio della propria clientela elettorale, non poteva certo eguagliare le grandi
riforme del laburismo inglese e della socialdemocrazia scandinava. Le sue realizzazioni
principali furono la nazionalizzazione dell'energia elettrica (prima in mano ad un cartello
privato che faceva una politica dei prezzi fortemente speculativa) e l'estensione
dell'obbligo scolastico a quattordici anni, con la creazione di una scuola media popolare
unica e la soppressione della vecchia scuola d'élite in cui il latino era ancora materia di
insegnamento. Molto più modesti furono gli interventi nel settore delle case popolari e
dell'assistenza sociale.
IL MINISTRO SOCIALISTA GIOLITTI PROPONE IL “PIANO DI
PROGRAMMAZIONE ECONOMICA” E LA RIFORMA URBANISTICA
Nella primavera del 1964 un ministro socialista, l'economista Antonio Giolitti aveva
preparato un innovativo Piano di Programmazione Economica e una importante riforma
urbanistica. Questi interventi avrebbero toccato importanti interessi economici costituiti, e il
parlamento ne rinviò a lungo l'approvazione, cosicché il Piano fu approvato solo nel 1967, e
per di più svuotato dei suoi contenuti più significativi.
Ma nello stesso 1964 le forze conservatrici e reazionarie presenti all'interno
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dell'esercito, dei servizi segreti e in altri centri di potere avevano mandato oscuri segnali della
loro ostilità a riforme troppo radicali. Il comandante dei carabinieri, generale De Lorenzo,
uomo di destra e ex - capo dei servizi segreti, aveva preparato un piano dettagliato per
occupare, in caso di una non ben definita "emergenza", le prefetture, le sedi della RAI - TV,
dei telefoni e di "alcuni" partiti, e per trasferire in Sardegna un certo numero di personalità
politiche (elencate in un documento che in seguito non è mai stato possibile ottenere).
L'aspetto conturbante e sostanzialmente eversivo della vicenda era che De Lorenzo aveva
preparato il piano di sua iniziativa, in vista della crisi di governo del giugno-luglio 1964,
provocata dalle proposte riformistiche di Giolitti. Ma la cosa era stata subodorata anche fuori
dall'arma dei carabinieri e lo stesso leader socialista Nenni dichiarò in seguito di aver sentito
in lontananza in quel periodo un truculento "rumore di sciabole".
I SOCIALISTI ANNACQUANO LE RIFORME
Fosse per prudenza e per paura, o fosse per la difficoltà di convincere i settori
conservatori della D.C., i socialisti rinunciarono ai punti più qualificanti delle riforme.
Il piano d'emergenza fatto di sua iniziativa da De Lorenzo, che era sostanzialmente il
progetto di un golpe, non venne a galla per il momento, dato che non fu denunciato da
nessun uomo politico della maggioranza (è ben poco verosimile, tra l'altro, che il presidente
della repubblica, Antonio Segni, amico e protettore di De Lorenzo, non ne sapesse nulla).
Furono solo le denunce del giornalista Lino Jannuzzi sul settimanale L'Espresso, diretto
allora da Eugenio Scalfari, che provocarono un'inchiesta parlamentare che, qualche anno
dopo, fece conoscere - almeno in parte - la vicenda.
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trasformò in una grande guerra civile in cui furono impiegati 400.000 militari, di cui
naturalmente una gran parte di leva.
I PARTITI DEMOCRATICI FRANCESI NON RIESCONO A
RISOLVERE IL PROBLEMA ALGERINO E CHIAMANO AL POTERE
IL GENERALE DE GAULLE
L'opinione pubblica francese si divise: a chi non voleva sostenere i costi economici e
umani della guerra si opponeva la destra che voleva difendere ad oltranza ciò che restava
dell'impero dopo il disastro dell'Indocina, e inoltre quanti sostenevano i coloni francesi
d'Algeria. Nel 1958 questi ultimi istituirono un governo locale ribelle che, appoggiato dagli alti
gradi dell'esercito e dai corpi speciali, voleva continuare la guerra ad oltranza. Il parlamento
francese, bloccato dall'indecisione e diviso in un gran numero di partiti discordi tra loro,
quando il governo centrale diede le dimissioni, finì per affidare poteri speciali costituenti al
generale De Gaulle, un conservatore nazionalista che era stato a capo del governo francese
in esilio a Londra durante la guerra.
Il prestigio e la fermezza di De Gaulle riuscirono ad aver ragione dell'insubordinazione
del 58 e del successivo tentativo di colpo di Stato del 61 (ad opera delle stesse forze), ma
non della resistenza degli algerini arabi, che avevano proclamato un governo provvisorio e
che non erano più disposti ad accettare alcuna forma di federazione con la Francia. De
Gaulle alla fine dovette accettare la piena autonomia della colonia. Essa era costata, a
quanto sembra, quasi un milione di morti in otto anni.
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sostenuto che fosse possibile far nascere una società di tipo socialista da una rivoluzione
contadina, mentre per la dottrina marxista-leninista essa può nascere solo da una rivoluzione
operaia. Il congresso del partito del 1956 decise di far compiere alla Cina un "grande balzo in
avanti", a partire dal 1958, nella costruzione del socialismo e quindi nello sviluppo economico
del paese. La via scelta da Mao per far crescere l'industria pesante e la produzione
dell'acciaio era originale ma anche assai poco realistica: l'economia contadina sarebbe
passata dal regime delle cooperative a quello delle comuni agricole, basate sulla proprietà
collettiva, e ogni comune avrebbe avuto un proprio altoforno "faidaté" per la produzione
decentrata di acciaio. Il risultato fu che negli anni seguenti la produzione agricola declinò
fortemente, mentre risultò che l'acciaio prodotto dalle comuni era per lo più inutilizzabile.
Negli anni successivi la produzione di generi alimentari ebbe un drammatico calo, e le
carestie e le epidemie che ne seguirono portarono ad un calo della popolazione di circa
quindici-venti milioni, su un totale di oltre settecento.
LA CINA SI PROPONE COME STATO GUIDA PER LA
RIVOLUZIONE MONDIALE CONTADINA DEI PAESI
SOTTOSVILUPPATI
Nonostante questi tragici insuccessi (occultati dalla propaganda), la Cina all'inizio degli
anni 60 si propose come lo Stato guida per una ribellione mondiale dei paesi sottosviluppati.
Tali paesi, come sappiamo, erano piuttosto inclini al non allineamento, anche se le classi
dominanti conservatrici si rivolgevano spesso agli U.S.A. per mantenere le loro posizioni, e i
partiti comunisti o i movimenti nazionalisti di decolonizzazione chiedevano spesso l'aiuto
militare o economico dell'U.R.S.S. contro le potenze coloniali e gli stessi U.S.A. Ma la Cina
voleva aprire un vero e proprio terzo fronte: quello di una grande rivolta mondiale dei
popoli sottosviluppati contadini contro i paesi capitalisti industrializzati e anche
contro il "social - imperialismo dei nuovi zar" sovietici.
Abbiamo visto dunque che la Francia si costituisce come forza indipendente - all'interno
della grande famiglia dei paesi liberaldemocratici - in nome semplicemente del suo carattere
(vero o presunto) di grande potenza. Invece la Cina, il paese più popoloso del mondo,
separato dalla Russia dalle rivalità geopolitiche che abbiamo visto, cerca di aprire un nuovo
fronte ideologico - politico. Il tentativo finirà sostanzialmente per fallire: oltre ad certo
numero di movimenti rivoluzionari del terzo mondo, il modello cinese di comunismo
contadino fu preso veramente in considerazione solo dall'Albania, da qualche paese
africano, come la Tanzania, e, più tardi, dalla spietata dittatura totalitaria dei Kmehr Rossi in
Cambogia.
LA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA (1957) PONE LE
PREMESSE PER LA COSTITUZIONE DI UNA NUOVA ENTITÀ
POLITICA
Un altro fattore di questa tendenza al multipolarismo nell'era della distensione e
soprattutto a partire dagli anni 60 fu - o avrebbe potuto essere - il processo di unificazione
europea. Partito con soli sei stati (Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo)
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col trattato di Roma del 1957, nelle ambizioni dei suoi fondatori avrebbe dovuto avere un
significato non solo economico, ma politico. Gli organi previsti per il momento avevano un
potere ridotto e rappresentavano solo i diversi Stati, e non direttamente il "popolo europeo".
L'Assemblea Europea, con poteri di controllo e competenze ridotte, era designata dai diversi
parlamenti, mentre il Consiglio Europeo dei ministri, il principale organo decisionale, era
designato dai singoli governi, e presieduto a turno dal presidente del consiglio di uno di essi.
La Commissione Europea, unico organo permanente e specifico, con compiti tecnici ed
esecutivi e con sede a Bruxelles, si doveva occupare di mettere in atto le decisioni e le
direttive del Consiglio Europeo.
De Gaulle, che sapeva opporsi all'egemonia americana, con altrettanta energia si
oppose all'ingresso dell'Inghilterra, troppo legata alla politica americana, e alla
trasformazione della Comunità Economica Europea (CEE) e del Mercato Comune Europeo
(MEC) in una vera e propria entità politica. Ma erano state poste le fondamenta sia per un
polo di sviluppo capace di tener testa all'economia americana, sia per un'intesa politica tra gli
Stati europei che, uscito di scena nel 69 De Gaulle con le sue smanie di protagonismo,
avrebbe, con molta cautela, posto un limite all'egemonia americana.
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uninominale maggioritario) vince il seggio tra tutti i candidati quello che ottiene la
maggioranza semplice dei voti (qualunque essa sia). In Francia invece per vincere al primo
turno è richiesta la maggioranza assoluta, e solo al secondo la maggioranza semplice.
Inoltre per accedere al secondo turno è richiesto il 12,5% dei voti.
In questo modo sono incoraggiate le coalizioni elettorali: infatti i partiti che
stabiliscono accordi in vista delle elezioni hanno più probabilità di vincere al secondo turno.
In pratica: se il partito gaullista (nazionalista conservatore) e il partito dei Repubblicani
Indipendenti (liberale) sono coalizzati, nei collegi in cui il partito gollista raccoglie più suffragi
al primo turno i repubblicani indipendenti si ritireranno al secondo turno, invitando i propri
elettori a votare gollista, e là dove hanno più suffragi i liberali si ritireranno i gollisti. Se i partiti
di destra si comportano in questo modo vinceranno non solo là dove sono matematicamente
più forti della sinistra, ma anche là dove la sinistra non è unita da un patto di coalizione.
Schematicamente, in un collegio basterebbe loro un 34% per vincere un partito socialista al
33% e un partito comunista anch'esso al 33%.
IL BIPARTITISMO “ARTIFICIALE” FRANCESE HA PERMESSO
EFFETTIVAMENTE L’ALTERNANZA
In pratica, le destre stravinsero nelle prime elezioni della 5a Repubblica perché i vari
partiti del centro e della sinistra moderata non giunsero ad un accordo con i comunisti.
Viceversa, quando la sinistra superò i suoi dissidi interni (a partire dalla seconda metà degli
anni settanta) poté competere con buone possibilità di successo e vincere più volte le
elezioni, alternandosi al potere con la coalizione di destra.
Anche in Francia, dunque, funziona una forma di bipartitismo (o bipolarismo
parlamentare), e ciò grazie a un preciso meccanismo elettorale e non per eredità di fortunate
e irripetibili circostanze storiche, come nei paesi anglosassoni.
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parlamento. Poiché anche il sistema uninominale incoraggia i grossi partiti, oltre agli eletti col
sistema proporzionale, metà del parlamento tedesco è eletto con tale sistema.
La Germania in effetti è stata per molti anni una forma di bipartitismo quasi perfetto. Il
partito di governo è stato per molti anni il partito di centro - destra C.D.U.-C.S.U.,
democristiano, che rappresenta i ceti capitalistici, i benestanti e i ceti medi in modo analogo
al partito conservatore inglese, mentre fino al 1966 il partito socialdemocratico, l'S.P.D.,
legato ai sindacati, alla classe operaia e ai ceti più deboli, è restato all'opposizione.
Dopo il triennio 1966 - 1969 in cui ci fu una "Grande Coalizione" tra la S.P.D. e i
democristiani, il partito socialdemocratico è stato alla guida del governo ininterrottamente dal
1969 al 1982. Esso ha proseguito l'apertura verso l'est, cui abbiamo accennato, sempre per
iniziativa di Brandt, divenuto presidente del consiglio.
IL TRIONFO DEL WELFARE NELLA GERMANIA E NELLA SVEZIA
SOCIALDEMOCRATICHE
Ha inoltre realizzato una politica di Welfare State che ha il suo eguale solo nei paesi
scandinavi - in particolare in Svezia il partito socialdemocratico è stato al governo dall'inizio
degli anni 30 all'inizio degli anni 80, realizzando il sistema assistenziale più avanzato
dell'occidente: come si vede, per qualche paese l'età dell'oro è durata molto di più del
periodo 50-73.
Va ricordato infine che la Germania Federale negli anni sessanta è venuta
rafforzando la sua posizione economica e il suo potenziale produttivo e scientifico -
tecnologico, ed è diventata così, insieme al Giappone, una delle due "locomotive dello
sviluppo" mondiale, capace di stimolare la ripresa nei momenti di crisi. Dotata di una solida
moneta, di un buon sistema scolastico, di un ottimo sistema di istruzione professionale e di
una formidabile organizzazione della ricerca scientifica e tecnologica, la Germania era ed è
tuttora una delle massime potenze economiche dell'occidente, seconda solo agli Stati Uniti e
al Giappone. Insomma, gli americani e le potenze occidentali hanno permesso, e addirittura
incoraggiato, la ripresa dei due nemici mortali della seconda guerra mondiale, ormai
sostanzialmente disarmati, dotati di solide costituzioni liberaldemocratiche e perfettamente
inseriti nel mercato mondiale.
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Inoltre (anche se le città europee e giapponesi non possono essere assimilate ai ghetti
neri) c'era stata, almeno in alcune di esse, e particolarmente in Italia, un'urbanizzazione
rapida di masse di operai non qualificati, che non avevano partecipato alle precedenti
lotte operaie e che non erano iscritti ai sindacati, ma che cominciavano a provare il bisogno
di farsi sentire per dare un senso alla loro esistenza collettiva nel nuovo mondo, ricco ed
esclusivo, in cui erano capitati.
LA RIVOLTA PARIGINA DEL MAGGIO ’68 DA VOCE ALLE
ASPIRAZIONI DI UN’INTERA GENERAZIONE DELL’OCCIDENTE
CAPITALISTICO
La rivolta parigina del maggio - giugno 68 fu l'espressione più potente e in seguito
il simbolo di un movimento di protesta che si spostava a tutti i livelli della vita sociale.
Furono occupate le università, le case dello studente, gli istituti d'arte: in pratica l'intero
quartiere latino, il quartiere degli intellettuali e degli studenti, era in mano ai manifestanti e
agli occupanti. Ma anche moltissime grandi fabbriche della cintura industriale di Parigi, tra cui
le Officine Renault, il gioiello dell'industria di Stato, furono occupate. Ovunque c'erano
assemblee di base, dove si svolgevano interminabili discussioni sulle rivendicazioni
immediate, sulle grandi prospettive e spesso anche sulle procedure decisionali delle
assemblee stesse, in cui il rifiuto delle strutture gerarchiche portava anche a divisioni e
difficoltà organizzative.
LA DEMOCRAZIA ASSEMBLEARE
Le rivendicazioni immediate erano le più svariate, e riguardavano soprattutto il potere
all'interno delle istituzioni: studenti e operai volevano il controllo sulle loro condizioni di studio
e di lavoro. Gli obiettivi complessivi possono essere chiamati rivoluzionari, anche se è
difficile capire ed esprimere il concetto di rivoluzione che i giovani avevano in mente in quei
giorni di entusiastica confusione. Certo nulla di simile alla rivoluzione leninista, anche perché
il movimento era tutto fuorché un partito di professionisti della rivoluzione e, perché,
nonostante la confusione, era ben chiaro che non si poteva far reggere da un Comitato
bolscevico di Commissari del Popolo la società francese, liberaldemocratica e permissiva,
informata da radio e tv, consumista e colta.
LA CONTESTAZIONE DI TUTTE LE AUTORITÀ COSTITUITE
L'idea prevalente era quella della disobbedienza generalizzata: come gli studenti e
gli operai rifiutavano l'autorità dei professori e dei capi reparto, i funzionari dello Stato e
l'esercito avrebbero rifiutato presto quella dei loro superiori.
Più che le teorie, certi slogan parlano per il movimento: "l'immaginazione al potere",
"siamo realisti, domandiamo l'impossibile". Forse l'atteggiamento dei ribelli del 68 francese
nei confronti delle autorità a cui si ribellavano può anche essere espresso con una frase del
68 italiano: "una risata vi seppellirà".
Il governo, che si era preparato anche ad una repressione militare in grande stile
contro le barricate del Quartiere Latino, ebbe il buon senso di non fare entrare i mezzi
corazzati a Parigi e di lasciare che la normalità tornasse da sola. Del resto, se una parte
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dell'opinione pubblica era scandalizzata (più che terrorizzata) dalla ribellione giovanile, non
mancavano settori che apprezzavano la giustezza di molte rivendicazioni e altri che
simpatizzavano apertamente con essa. Quello che era profondamente innovativo nel fenomeno era la velocità
con cui le lotte nascevano e si diffondevano senza una vera e propria organizzazione, sulla base di un sentire
comune.
’68: DEMOCRAZIA “CONSILIARE”
COMUNISTA, MA ANTISTALINISTA
Dal punto di vista ideologico il movimento nel suo complesso si ricollegava
all'anarchismo o al pensiero originario di Marx. Esso però rifiutava nettamente
l'interpretazione staliniana del marxismo e spesso anche quella leniniana, e si ispirava allora
piuttosto alla tradizione del comunismo "consiliare" (vedi Introduzione), o al trozkismo. In
sintesi, se era rifiutato il moderatismo socialdemocratico, la tradizione filosovietica del partito
comunista francese era addirittura esecrata.
I GIOVANI DEL ’68 SENTONO DI STARE VIVENDO UN MOMENTO
UNICO NELLA STORIA, IN CUI CONTEMPORANEAMENTE
LA GIOVENTÙ DELL’OVEST E DELL’EST SI RIBELLA
ALL’AUTORITARISMO
Con la stessa spontaneità con cui si era diffuso nel Quartiere Latino, ma ovviamente
in modo molto più lento, il movimento si diffuse un po’ ovunque - anche se con diverso
successo - nel mondo occidentale, e non mancò di avere dei riflessi perfino in paesi autoritari
come la Spagna e la Grecia. La percezione dei protagonisti era quella di stare vivendo
un momento unico nella storia, in cui all'improvviso la gioventù di gran parte del
mondo (in occidente, ma anche in Cina, in Cecoslovacchia, in America Latina, ecc.) si
ribellasse alle norme autoritarie imposte dalle gerarchie dello Stato, dell'industria, dei
partiti (inclusi quelli di sinistra e in particolare quelli comunisti), della Chiesa e della famiglia.
Questa percezione era possibile anche per una diffusione dei mezzi di comunicazione (libri,
periodici, cinema, dischi, radio, tv) e per una possibilità di spostamento (è l'epoca d'oro
dell'autostop) che non avevano precedenti nella storia e che mettevano in contatto giovani di
realtà lontanissime.
Essa però era rafforzata anche da alcuni gravi fraintendimenti.
GLI EQUIVOCI SULLA “RIVOLUZIONE CULTURALE” CINESE
In effetti in Cina nel periodo 1966-1969 si sviluppò il movimento giovanile della
Rivoluzione Culturale, che, negli anni immediatamente successivi al 68, ebbe una forte
influenza sui movimenti giovanili dell'occidente. L'obiettivo di tale rivoluzione, infatti, era non
tanto una trasformazione strettamente economica e materiale, ma la contestazione
dell'autorità dei funzionari di partito e dei dirigenti economici e tecnici, qualcosa che ricordava
la democratizzazione del potere in tutte le istituzioni voluta dagli studenti parigini. Tuttavia
questa campagna ideologica, che ebbe dei momenti violenti e repressivi, era stata
orchestrata dal segretario del P.C. cinese Mao Zedong, che si era trovato in minoranza nel
comitato centrale del partito. Il contesto era quello di un regime a partito unico in cui
l'ideologia marxista - leninista era l'unica ammessa, e in cui Krusciov e i "nuovi zar" che
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Ad ogni buon conto, la contestazione non fu chiamata "globale" perché era diffusa in
tutto il mondo, ma perché coinvolgeva in occidente tutti gli ambiti della vita sociale e
individuale. Nuove abitudini sessuali, una nuova musica, un nuovo stile di rapporti personali,
una nuova fraternità e una nuova religiosità non confessionale sembravano affermarsi in
modo simile in un'intera generazione.
Inoltre la contestazione fu guardata con simpatia e con speranza da un gran numero di
intellettuali e di uomini politici riformatori che, pur non condividendone lo stile anarchico e
l'utopismo illimitato, ne apprezzavano l'aspirazione al cambiamento e vedevano in essa una
riserva di energie giovani, di creatività, di autenticità e di anticonformismo. Il cinema, il teatro
e l'arte in genere, le scienze politiche e sociali e la psicologia sono state investite da
un'ondata di rinnovamento in questo periodo. Il 68 del resto contribuì anche a diffondere e
amplificare idee diffuse tra gli intellettuali che lo avevano in qualche modo preparato, ma
che, senza quel movimento di massa, sarebbero restate nell'ambito di élite d'avanguardia.
HERBERT MARCUSE:
CRITICA DEL MARXISMO DELL’UNIONE SOVIETICA
Emblematiche del movimento sono considerate in particolare le idee di Herbert Marcuse. Egli
apparteneva all'Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte, una fondazione culturale che già negli anni
trenta combinava le tematiche freudiane della liberazione dalla repressione sessuale con quelle marxiste
della liberazione dall'alienazione (--> vedi riquadro alla fine del paragrafo) sociale, economica e politica.
Tale fondazione si trasferì negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo. Già la scelta dell'America, capitalista,
ma liberale e democratica, al posto dell'Unione Sovietica è significativa: Marcuse poi dedicò alla critica
del marxismo sovietico una sua importante opera.
NELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA GLI INDIVIDUI COMPETONO
PER IL GUADAGNO E PER IL CONSUMO,
RINUNCIANDO ALLA LORO SPONTANEITÀ
Negli anni cinquanta e sessanta egli elaborò un'analisi complessiva della società industriale
occidentale, per lui dominata da una tendenza illimitata allo sviluppo tecnico ed economico, e
dall'individualismo competitivo, che porta ciascuno a estenuarsi nella gara per il guadagno e per il
consumo fini a se stessi e a reprimere le pulsioni spontanee e l'istinto. Nonostante che il movimento lo
avesse scelto quasi come suo simbolo, egli non credeva più che la classe operaia dei paesi ricchi
avrebbe promosso una rivoluzione anticapitalistica e anche dopo il 68 si espresse sempre in modo
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piuttosto cauto sulla possibilità che una tale rivoluzione potesse essere compiuta da altri soggetti.
Tuttavia vedeva nella tecnica sviluppata dal capitalismo una potenzialità che - almeno in astratto -
avrebbe potuto permettere di superare il mondo alienato del produttivismo e del consumismo: in un
mondo in cui i compiti materiali ripetitivi della produzione fossero affidati alle macchine, l'uomo, liberato
dall'ideologia della produzione e del consumo illimitati e fini a se stessi, abbandonata l'ossessione
capitalistica della competizione individuale, avrebbe potuto dedicarsi al gioco, alla creatività, al
dispiegamento dell'eros.
L’AUTOMAZIONE POTREBBE PERMETTERE ALL’UOMO
POSTCAPITALISTICO DI DEDICARSI AL GIOCO E ALLA
CREATIVITÀ
ALIENAZIONE: nella filosofia di Marx questo concetto significa che i nostri prodotti, la nostra attività
produttiva e i nostri rapporti sociali sono sottomessi ad un potere alieno, cioè a noi estraneo, come il
capitale privato e lo Stato.
Le lotte operaie nel '68 e nel cosiddetto autunno caldo del 1969, contestarono duramente il
tradizionale sindacato socialcomunista, la C.G.I.L., e rivendicarono, contro i vertici sindacali,
le decisioni sulle lotte alle assemblee unitarie della base. Ma i sindacati nel giro di qualche
tempo seppero adattarsi alla nuova situazione e accettarono l'istituzione delle assemblee
dei delegati di fabbrica, aperte a tutti, che dovevano avere un peso importante
nell'individuazione degli obiettivi e nello scatenamento dell'azione rivendicativa. I sindacati,
pur svolgendo una funzione moderatrice, offrivano un quadro organizzativo che le lotte
spontanee non potevano avere. In un quadro del genere le lotte operaie dei primi anni
settanta in Italia ebbero una forza straordinaria e ottennero concessioni sul salario e sulle
condizioni di lavoro prima insperabili.
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costituire (ognuno in concorrenza con gli altri…) il nuovo grande partito rivoluzionario, che
avrebbe dovuto sostituito il P.C.I., ormai comunista solo di nome e socialdemocratico di fatto.
In questo ambiente ci si allontana sempre più dai metodi della nonviolenza che le prime
occupazioni di università tra il 66 e il 68 avevano mutuato dall'America di Martin Luther King
e dei "figli dei fiori". E lasciandosi dietro le spalle l'idea parigina della rivolta ironica e
dell'immaginazione al potere, alcuni pensavano piuttosto ad un'improbabile insurrezione
popolare o alla guerriglia urbana.
Proviamo a sintetizzare la loro posizione in una formula:
NOI, che deteniamo la giusta strategia rivoluzionaria, sottrarremo la classe operaia
all'influenza dei sindacati ormai imborghesiti e del P.C.I., e combatteremo una lotta
quanti.
La legge sul divorzio, emanata nel 1970, frutto della collaborazione tra i partiti laici
della maggioranza e il partito comunista, fu proprio un caso in cui, sotto la spinta dei
movimenti post68, il bipolarismo tradizionale venne meno.
I REFERENDUM SUL DIVORZIO E SULL’ABORTO
Ma ben presto i settori intransigenti della Chiesa cattolica italiana e della D.C.
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La C.G.I.L. era il sindacato socialcomunista, nata dalla collaborazione nel Fronte Popolare, la C.I.S.L. era
ed è tuttora un sindacato di ispirazione cattolica, allora legato soprattutto alla sinistra democristiana, la U.I.L.
era legata al partito repubblicano e al partito socialdemocratico.
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Con molto humour Pietro Germi, in Divorzio all'italiana, rappresentò la storia di un barone siciliano che,
volendosi sbarazzare della moglie, cerca in vari modi di indurla a procurarsi un amante per poterla uccidere,
per cui alla fine si sposerà con la sua stessa amante, dopo aver scontato un breve periodo di carcere -
ottenuto il minimo della pena e il condono…
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Questo atteggiamento rilassato, a dire il vero, non dipendeva solo dal sistema della
pianificazione imperativa, ma anche dai precedenti storici della Russia e di gran parte del
mondo slavo e balcanico. Qui il passaggio dal nomadismo all'agricoltura sedentaria e
l'introduzione della scrittura erano avvenuti con un ritardo di secoli rispetto ai popoli
germanici e di millenni rispetto al mondo mediterraneo e al vicino oriente. Anche le istituzioni
e le abitudini di vita del mondo moderno erano arrivate molto tardi. Si pensi che in Russia la
servitù della gleba fu soppressa nel 1861, che i commerci furono esercitati per secoli dalle
minoranze ebraiche o tedesche, che le pianure dell'Ucraina per secoli furono sede, oltre che
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Ad ogni modo, in Russia il problema degli incentivi venne affrontato già alla fine degli
anni cinquanta da Krusciov. Egli, imitando il capitalismo occidentale, promosse in una
discreta misura anche la produzione di beni di consumo durevoli (radio, frigoriferi, automobili,
ecc.), il cui possesso sarebbe stato di per sé un incentivo al lavoro. Ma i premi di
produzione erano distribuiti ai dirigenti e lavoratori delle fabbriche sulla base della
produttività aziendale misurata con il solito sistema quantitativo (peso del prodotto,
numero dei pezzi, ecc.). Certamente erano molte le fabbriche che si davano da fare per
superare gli obiettivi del piano a causa degli incentivi, ma la produzione, soltanto aumentata
nella quantità, risultava sempre piuttosto scadente e spesso invendibile.
Nel periodo 1965-1970, nel primo periodo della segreteria di Breznev, si tentò
un'ulteriore riforma: gli incentivi alle aziende sarebbero stati assegnati non solo secondo
l'indice della produzione globale aziendale, ma anche tenendo conto dell'indice della
produzione effettivamente venduta (cioè accettata come buona dalle altre aziende o
comprata dai consumatori finali).
Il sistema funzionò in alcuni settori avanzati, ma non fu mai applicato integralmente,
e, nella sua forma monca, dopo un po’ diede risultati negativi. In realtà c'erano stati forti
pressioni da parte delle gerarchie aziendali, economiche e politiche perché non fosse
applicato fino in fondo.
Inoltre il cauto esperimento russo aveva incoraggiato la Cecoslovacchia ad una
riforma economica molto più radicale, in cui le aziende, pur essendo sempre di proprietà
dello Stato, ottenevano una forte autonomia nella gestione e negli obiettivi. Questo spaventò
i settori più chiusi e conservatori del partito. In effetti, nel 1968 il governo comunista
cecoslovacco, reo anche e soprattutto di aver concesso varie libertà politiche e civili, fu
addirittura destituito e la Cecoslovacchia invasa. In tali circostanze le innovazioni in Russia
furono seriamente osteggiate da ampi settori del partito.
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Ci si può chiedere se le cause del fallimento della riforma della pianificazione russa
siano state essenzialmente economiche o non piuttosto politiche e culturali. Vanno infatti
valutati attentamente fattori come il potere dei burocrati del partito, la loro paura di essere
scalzati dai tecnocrati, la mancanza di trasparenza del sistema, l'impossibilità di una critica
veramente libera da parte dei consumatori e le difficoltà del processo di modernizzazione del
mondo slavo, le cui tradizioni e le cui abitudini non erano e probabilmente non sono tuttora
particolarmente favorevoli allo sviluppo dell'iniziativa economica.
Tutti gli Stati europei (tranne l'Albania filo - cinese e del tutto chiusa in se stessa)
avevano firmato questi accordi, che impegnavano al rispetto della sovranità di tutti gli
Stati, al rispetto dei diritti umani, e alla cooperazione economica, tecnica e scientifica.
Si può ragionevolmente pensare che l'Unione Sovietica abbia accettato il primo punto per
motivi diplomatici e propagandistici (riservandosi di ripetere interventi come quello ungherese
e cecoslovacco in caso di emergenza); quanto al secondo punto, fu senz'altro violato più
volte dai regimi comunisti (anche se la presenza di Comitati per il rispetto della Carta dei
diritti umani di Helsinki - promossi da semplici cittadini dei paesi dell'est - divenne un
problema permanente per tali regimi). In base al terzo, però, e anzi già qualche anno prima
che gli accordi fossero firmati, i paesi del blocco orientale, e primo di tutti la Polonia,
cominciarono a contrarre prestiti in dollari con l'occidente per comprare impianti di
produzione e brevetti ad alta tecnologia, seguendo in questo l'esempio della stessa
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Unione Sovietica (come nel caso delle catene di montaggio FIAT in Russia, della
cooperazione per il gasdotto siberiano, ecc.).
I PAESI DELL’EST –SOPRATTUTTO LA POLONIA–
CONTRAGGONO PRESTITI CON L’OCCIDENTE PER
ACQUISTARE TECNOLOGIE
Le circostanze non solo politiche, ma anche economiche, per contrarre tali prestiti
erano al momento piuttosto favorevoli, visto che nel 1973 l'occidente era piombato in una
gravissima crisi di mercato a causa - tra l'altro - dell'aumento del prezzo del petrolio, e dato
che l'U.R.S.S. era una grande produttrice di petrolio. Ma i tempi sarebbero cambiati e il
debito era destinato a diventare un problema.
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stagnazione, del periodo immediatamente precedente in una vera e propria fase recessiva,
con effetti molto pesanti sull'occupazione. Gli effetti sociali non potevano essere così
gravi come negli anni successivi al 1929, poiché quasi ovunque esistevano, in varie forme,
sussidi di disoccupazione e assistenza per le malattie, e perché i capitalisti, d'intesa con lo
Stato, spesso procedevano al pensionamento anticipato del personale più anziano piuttosto
che al semplice licenziamento.
Ma la situazione fu resa complicata dallo stato d'animo sessantottesco, per cui era
ben difficile diminuire i salari reali degli operai organizzati che, particolarmente in Italia,
avevano da poco conseguito aumenti conquistati con energiche lotte. Naturalmente anche le
altre categorie sociali non erano disposte ad abbassare il loro standard di vita, per cui, di lì a
qualche anno, troviamo l'insorgere di un fiero atteggiamento sindacale anche in categorie
che in precedenza avevano avuto un forte miglioramento del loro tenore di vita senza
ricorrere a lotte collettive: i piloti e i controllori di volo, i medici, i poliziotti, persino i giudici e
gli avvocati, e via discorrendo.
In altri casi, ci sono addirittura delle proteste contro i sindacati e contro gli operai più
combattivi. Per esempio a Torino, nel 1980, si tiene una grande manifestazione degli
impiegati e dei quadri FIAT contro i sindacati e contro gli attivisti operai, contro i quali
l'azienda aveva annunciato appena una massiccia serie di licenziamenti.
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storiche e geopolitiche. Per cui giocò sistematicamente i russi contro i cinesi e viceversa: da
un lato, riuscì ad attuare una politica di distensione con l'Unione Sovietica per quanto
riguardava la gara missilistica, e dall'altro stabilì finalmente dei contatti diretti con la Cina
comunista e lasciò che essa ottenesse il suo posto di membro permanente del Consiglio di
Sicurezza dell'O.N.U., che fino allora era toccato inopinatamente alla Cina nazionalista (Taiwan).
LA VISITA DI NIXON A PECHINO INDUCE L’URSS A FIRMARE
IL TRATTATO NUCLEARE SALT E A PARTECIPARE
ALLA CONFERENZA DI HELSINKI
La visita ufficiale del presidente Nixon a Pechino del febbraio 1972 fu il trionfo della
diplomazia segreta di Kissinger e indusse l'Unione Sovietica - presa tra due fuochi - a
collaborare nel processo per la distensione, firmando ben presto il trattato SALT per la
limitazione delle armi nucleari strategiche e accettando di partecipare alla conferenza di
Helsinki per la cooperazione in Europa.
Con questo trattato le due superpotenze si impegnarono a non sviluppare i nuovi
missili ABM, in grado di intercettare i missili nemici. In effetti lo sviluppo del sistema ABM
avrebbe reso impossibile l'effetto MAD (vedi pagina [.…30.]). La superpotenza capace di
salvare una parte significativa del proprio territorio dai missili avversari, avrebbe anche
potuto prendere in considerazione la possibilità di sferrare l'attacco per prima. Il trattato,
come si vede, non riduceva gli armamenti, ma poneva dei limiti alla loro costruzione e
installazione. Gli americani, pur facendo diverse concessioni, conservavano la loro
superiorità nell'importante settore dei missili strategici a testata multipla (MIRV), non ancora
posseduti dai sovietici.
Kissinger dunque aveva realisticamente preso atto dell'assetto multipolare della
politica internazionale che si era venuto delineando e lo aveva volto a suo vantaggio.
La diplomazia, arma classica della politica di potenza precedente al mondo delle
ideologie, aveva dato risultati migliori della politica bipolare. Ma, nonostante la sua
abilità e la sua spregiudicatezza, la formazione di una molteplicità di poli in qualche modo
finiva per limitare il ruolo degli Stati Uniti. Come sappiamo, la nuova amministrazione aveva
posto rimedio all'inflazione ereditata dal periodo di Johnson abbandonando il sistema di
Bretton Woods e la convertibilità del dollaro. Se questo aveva assicurato per un certo
periodo una discreta ripresa economica, aveva lasciato anche gli alleati occidentali senza
una sicura leadership economica e li aveva autorizzati implicitamente ad agire sempre più in
modo autonomo.
La Comunità Economica Europea proprio nel 72 si stava estendendo e l'aumento del
suo peso economico incoraggiava le iniziative dei suoi membri in politica internazionale. Nel
1972 entrano dunque nella C.E.E. la Danimarca, l'Irlanda e l'Inghilterra. Ma l'ingresso
effettivo inglese nel mercato comune avviene solo nel 73, come stabilito nelle laboriose
trattative sulla politica agricola comunitaria, che rischia di essere danneggiata dalla
massiccia importazione di prodotti agricoli provenienti dal Commonwealth britannico. La
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C.E.E. attua infatti una politica di libero mercato al suo interno, ma di sostanziale
protezionismo nei confronti delle merci esterne: per difendere le proprie imprese - in
particolare nel settore agricolo - la cassa comune europea assegna ad esse sovvenzioni per
mantenere alto il livello dei prezzi, incoraggiando di fatto il formarsi di eccedenze destinate
ad essere distrutte. Questa strategia economica, volta tra l'altro a salvaguardare il settore
contadino della società, ha costantemente creato dei contrasti con gli Stati Uniti, grandi
esportatori di prodotti agricoli.
Ma anche in politica internazionale l'Europa finisce per muoversi in modo
relativamente autonomo. Abbiamo già visto che il leader socialdemocratico tedesco Willy
Brandt ha svolto un ruolo di primo piano nell'apertura a est, la Ostpolitik. La fase di tale
politica che si attua con la conferenza di Helsinki e con i grandi prestiti ai paesi socialisti
comporta una certa iniziativa autonoma da parte dell'insieme degli Stati che aderiscono alla
Comunità, la quale se non è un'istituzione specifica dotata di una sua volontà politica
unitaria, è perlomeno il luogo in cui i governi discutono e attuano insieme importanti
strategie economiche e diplomatiche. L'intesa costante tra Germania occidentale e Francia è il motore di
questa azione comune.
FRUTTO DELL’INIZIATIVA EUROPEA, GLI ACCORDI DI
HELSINKI PUNTANO ALL’OBIETTIVO STORICO DI SUPERARE
LA CONTRAPPOSIZIONE IDEOLOGICA TRA I BLOCCHI
I governi europei giocavano dunque un ruolo specifico, rispetto all'America, nella
neutralizzazione del nemico comunista. Commerciare con l'est sul breve e medio termine
poteva anche essere semplicemente un buon affare (il petrolio e gli idrocarburi gassosi russi
erano particolarmente appetibili in tempo di crisi petrolifera), ma i contatti che ciò comportava
con le società socialiste dell'est sul lungo periodo storico avrebbero dovuto servire non
solo a rafforzare la convivenza pacifica ma anche ad accelerare il processo di convergenza
tra i sistemi. Il senso ultimo degli accordi di Helsinki (che in quel momento parevano di
remota realizzazione) era quello di passare progressivamente dalla contrapposizione
ideologica Noi-Loro ad un effettivo dialogo. Quest'ultima prospettiva era in effetti
abbastanza lontana dalla logica imperiale degli Stati Uniti, che pure trassero profitto
dall'iniziativa europea e parteciparono agli accordi di Helsinki.
In concomitanza con questa iniziativa politica comune, i paesi della Comunità
rafforzarono anche le sue istituzioni. Nel 1974 fu deciso che il Consiglio Europeo (cioè
l'assemblea dei presidenti del consiglio e dei ministri degli esteri dei paesi membri, che
esercita il potere legislativo) si sarebbe riunita periodicamente tre volte all'anno. Nel 1975 si
stabilì poi che la politica estera comune sarebbe stata normalmente all'ordine del giorno delle
istituzioni comunitarie (Dichiarazione Tindemans) e che il parlamento europeo, finora formato
da rappresentanti scelti dai singoli parlamenti nazionali, sarebbe stato eletto direttamente dai
cittadini di tutti i paesi membri (le prime elezioni si svolsero nel 1979).
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arrivando addirittura qualche mese dopo ad un aumento del 100%, che anche i membri non
arabi furono ben contenti di sottoscrivere.
Questi eventi, che mettono in discussione l'ordine imperiale americano uscito dalla
seconda guerra mondiale, ci costringono a ripercorrere le vicende del Vicino Oriente e della
questione palestinese.
LA QUESTIONE PALESTINESE
Francia e Inghilterra dopo la sconfitta dell'impero turco nella prima guerra mondiale si
erano spartiti le più ricche e ospitali regioni di lingua araba che appartenevano a tale impero,
e all'Inghilterra era toccata, oltre agli odierni Irak e Kuwait, la Palestina. I coloni di origine
ebraica avevano cominciato a stabilirsi in quest'ultimo territorio già fin dall'inizio del secolo, e
furono incoraggiati a un certo punto anche dalle promesse di Lord Balfour che, durante la
guerra, aveva fatto balenare la possibilità di costituire una patria per gli ebrei in questo
paese. Essi erano poi diventati numerosissimi a partire dalle persecuzioni naziste, alla fine
sfociate nell'Olocausto. Dopo la seconda guerra mondiale essi riuscirono a imporsi, con la
loro più efficiente organizzazione economica e militare (e terroristica, secondo molti storici),
non solo sui palestinesi ma anche sui vicini paesi arabi. Conquistarono allora la maggior
parte del territorio palestinese con una vera e propria guerra.
Israele ottenne subito il riconoscimento dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e delle
grandi potenze europee. La simpatia dell'opinione pubblica per i profughi ebraici
dell'Olocausto ha ragioni evidenti e certamente valide. Non giustificata e intrisa di un senso
di superiorità legata al passato coloniale è invece la quasi totale noncuranza delle ragioni
delle popolazioni palestinesi, considerate appartenenti al mondo arabo "sottosviluppato"
(mentre gli ebrei appartengono sostanzialmente alla nostra civiltà e mentalità). Tra l'altro
viene normalmente considerato credibile il diritto degli ebrei su di una terra in cui da oltre
duemila anni non c'è un'entità politica ebraica e da circa milleottocento (dai tempi delle stragi
e delle deportazioni dell'imperatore Adriano) non c'è più nemmeno una maggioranza etnica
ebraica. In mancanza di una legittimazione razionale, per i partiti religiosi e per molti
esponenti della Lega del Likhud, questo diritto è semplicemente un articolo di fede religiosa:
Noi, il popolo eletto, abbiamo ricevuto da Dio questa terra; Loro, gli Altri, ne saranno
E' però vero che la componente laica della cultura ebraica non utilizza questi concetti
e che il partito laburista, il principale rappresentante politico di questa componente, ha dato
un contributo essenziale alla nascita e allo sviluppo dello Stato d'Israele, che è ufficialmente
uno Stato laico. Inoltre le giovani generazioni israeliane non sono responsabili di quanto
compiuto dai loro padri. Ma perché si sono legittimate le azioni di forza di tale Stato nel 1947-
8, quando si estese al di fuori dei territori ad esso assegnati dall’arbitrato dell’ONU, e nel
1956 e nel 1967, quando esso aggredì gli Stati vicini?
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crisi economica che si riflette sul mondo occidentale (esportazione dell'inflazione americana
e non convertibilità in oro del dollaro, che pure resta la moneta degli scambi internazionali).
L’URSS CERCA DI RAGGIUNGERE LA PARITÀ CON GLI USA
NELLE ARMI STRATEGICHE E DI ALLARGARE LA SUA
SFERA DI INFLUENZA
Nonostante l'abilità dimostrata da Kissinger e il fatto che anche il suo successore
Brzezinski fosse un abile diplomatico, il gruppo dirigente del partito comunista russo si
venne convincendo che l'ora della rivincita fosse vicina e che l'Unione Sovietica potesse
raggiungere la parità con gli Stati Uniti sul piano delle armi strategiche ed estendere la
sua area di influenza in varie zone dell'Africa e dell'Asia. Ciò comportava un ulteriore
sviluppo del "complesso militare - industriale", che era il fiore all'occhiello della tecnologia
sovietica, e un ulteriore, notevole, sforzo produttivo di tutto il sistema.
In particolare le ambizioni sovietiche furono incoraggiate dalle opportunità che si
aprirono quando nel 1974 in Africa crollò l'ultimo impero coloniale, ormai del tutto
anacronistico, quello portoghese. I movimenti filo - comunisti di guerriglia dell'Angola e del
Mozambico furono aiutati con successo dai sovietici, che poterono così estendere la loro
influenza in Africa meridionale.
Anche la caduta dell'antico Impero d'Etiopia costituì un'altra occasione allettante per
l'Unione Sovietica, ma qui i guerriglieri marxisti - leninisti, che avevano assunto il potere nel
1977, incontrarono difficoltà molto grandi: la vicina Somalia cercò di annettersi la regione
meridionale dell'Etiopia, l'Ogaden, mentre la provincia più settentrionale, l'Eritrea, reclamava
l'indipendenza. L'Unione Sovietica dovette allestire un grandioso e costosissimo ponte aereo
per rifornire di armi e di altri prodotti indispensabili i suoi alleati.
Nel 1978 anche in Afghanistan, ai confini con due Stati amici degli Stati Uniti come
l'impero iraniano e il Pakistan, si insediò un governo socialista filosovietico.
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Ma ai successi militari e diplomatici dell'Unione Sovietica non corrispondeva certo
una ricucitura dello strappo che opponeva tra loro le potenze comuniste: la Cina era semmai
sempre più preoccupata dell'espansione dell'area di influenza dello Stato rivale. Essa
dunque, contro il Vietnam filosovietico, appoggiò il nuovo regime comunista instaurato nel
1975 in tutta la Cambogia dal sanguinario leader guerrigliero Pol Pot. Questi si propose di
cancellare radicalmente le influenze del capitalismo nel suo paese sterminando o
facendo morire di stenti nei campi di lavoro non solo quanti avevano parteggiato per
gli americani, ma quanti semplicemente conoscevano la cultura occidentale, o
avevano abitudini di vita e di consumo influenzati dall'occidente.
GLI ORRORI DEL REGIME TOTALITARIO DI POL POT
Esecuzioni, fame ed epidemie uccisero in tre anni due milioni di persone, più di un
quarto dell'intera popolazione. Nel 1978 il Vietnam invase la Cambogia e pose fine allo
sciagurato regime di Pol Pot. La Cina, tuttavia, preoccupata dell'allargamento dell'area di
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influenza vietnamita e quindi sovietica, prima protestò contro l'intervento del vicino e poi, nel
1979, con una breve azione dimostrativa, fece penetrare le sue truppe nel suo territorio.
POL POT APPOGGIATO DA CINA E USA
Si noti che più tardi il governo di Pol Pot, ridotto di nuovo alla guerriglia, ottenne il
riconoscimento dell'O.N.U. grazie alle pressioni congiunte della Cina e degli stessi Stati Uniti,
uniti nella politica di contenimento dell'U.R.S.S.
La questione cambogiana non mancò naturalmente di influenzare la sinistra anti-
imperialista in occidente. Molti gruppi politici e molti intellettuali, critici nei confronti
dell'Unione Sovietica, avevano invece appoggiato i movimenti di guerriglia anti-imperialisti e
simpatizzato per il Vietnam e per la Cina maoista, e ora restavano amaramente delusi.
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trame eversive esistenti nel nostro paese4. Quando nel settembre del 1975, l'ambasciatore
americano a Roma affermò che la presenza dei comunisti al governo avrebbe creato una
contraddizione all'interno della N.A.T.O., egli rispose che non solo intendeva rimanere nella
N.A.T.O., ma contava proprio su quest'ultima per poter mantenere l'autonomia da Mosca.
IL PCI DIFENDE I DIRITTI DELL’UOMO NEI PAESI DELL’EST,
CONTRIBUENDO ALLA LORO DESTABILIZZAZIONE
Ma a parte questa dichiarazione paradossale, il P.C.I. stava dando svariate prove di
essere in una posizione di dissidio con Mosca: le sue ripetute affermazioni a favore dei
diritti dell'uomo in Europa orientale e dell'autonomia dei partiti comunisti dell'est (fatte
da un partito "fratello") avevano un certo peso nella politica interna del blocco
comunista, così come l'aiuto del P.C.I. ai ribelli eritrei contro il governo etiopico filosovietico
aveva un significato non solo simbolico.
IL “COMPROMESSO STORICO” DEVE METTERE FINE
AL BIPOLARISMO POLITICO-IDEOLOGICO
Tuttavia Berlinguer cercava le garanzie per la sua ammissione al governo soprattutto
in un "compromesso storico" tra cattolici, socialisti e comunisti italiani. Non si riferiva ad
una precisa coalizione di governo, ma ad un riconoscimento reciproco profondo, al
superamento della differenza Noi - Loro tra queste componenti basilari della cultura politica
italiana e all'abbandono della conventio ad excludendum.
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Tra l'altro, nel dicembre 1970 c'era stato a Roma il tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese, ex-
gerarca della Repubblica nazifascista di Salò, che era riuscito a penetrare nel ministero degli interni. Tale
colpo di Stato da operetta non aveva realmente messo in pericolo le istituzioni per le esigue forze che lo
avevano appoggiato e per la sua organizzazione del tutto approssimativa, ma venne celato all'opinione
pubblica fino al marzo 1971. Per quanto sprovveduti, i golpisti si erano probabilmente mossi perché avevano
colto dei segnali di assenso da parte dei servizi segreti: negli anni successivi infatti emerse risultò che alcuni
alti ufficiali dei servizi italiani ne erano a conoscenza e che il fatto era stato volontariamente nascosto, così
come altre attività della destra eversiva (su tutto questo, vedi Paul Ginsborg, opera in bibliografia, p.255).
Benché lo spionaggio italiano fosse normalmente in contatto con quello americano, la situazione certo era
ben lontana da quella cilena. Ciò che si poteva ragionevolmente temere era un rilancio della "strategia della
tensione", cioè il fatto che le forze ultraconservatrici italiane (in contatto con lo spionaggio americano)
favorissero in qualche modo i movimenti eversivi o le azione terroristiche di destra per impressionare
l'opinione pubblica e destabilizzare un eventuale governo con i comunisti. Non meno temibile era l'aiuto che
l'Unione Sovietica e la Cecoslovacchia (che vedevano nell'eurocomunismo un pericoloso esempio per i
popoli dell'est) stavano fornendo alle Brigate Rosse, anch'esse fieramente avverse al Pci, "traditore della
classe operaia".
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aveva paura di apparire sostenitori degli stessi terroristi. Dall'altro ci fu la svolta moderata
della D.C., privata del suo più importante esponente riformatore, e dello stesso P.S.I., che, a
partire dal 1979, preferirono un governo con un programma limitato e ben accetto ai ceti
medi, che un governo fortemente riformatore con i comunisti, che avrebbe ingenerato troppi
cambiamenti e toccato le loro posizioni di potere clientelare.
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un regime di eguaglianza sociale, pur ripristinando il costume islamico per quanto riguarda la
famiglia e la condizione della donna. La modernizzazione accelerata e indiscriminata aveva
infatti provocato una reazione di rifiuto che ha condotto al ritorno alla legge coranica, alla
subordinazione delle autorità politiche a quelle religiose e a forme di chiusura e di
intolleranza contro i diversi che, lungi dall'essere connaturate nella civiltà islamica, si
spiegano piuttosto come forme di reazione difensiva ad una minaccia globale alla propria
identità.
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Ciò che era capitato alla Francia della guerra d'Algeria e agli Stati Uniti del conflitto
vietnamita quando avevano versato senza essere aggredite il sangue dei loro giovani, capitò
anche all'Unione Sovietica: un crescente malcontento popolare che minacciava di
trasformarsi in una crisi istituzionale. E' singolare osservare che una cosa simile non era
capitata invece alla Germania nazista: in essa il malcontento si poteva manifestare assai
meno che nell'Unione Sovietica degli anni 70-80, e una crisi istituzionale - per l'assoluta unità
del partito e per il controllo terroristico della Gestapo - non era pensabile; in essa infine il
regime ebbe anzi la capacità di comunicare alle masse la sua follia militarista in un modo mai
visto altrove (si pensi alla difesa ad oltranza di Berlino nel '45).
LO STATO SOVIETICO RISERVA LE SUE MIGLIORI RISORSE
PER GLI ARMAMENTI: LA QUALITÀ DELLA VITA PEGGIORA
Oltre alla guerra d'Afghanistan, altri importanti fattori spingevano verso la crisi
istituzionale. Abbiamo già parlato dell'alterazione degli equilibri etnici all'interno dell'Unione a
favore dei mussulmani. Ma molto più grave dal punto di vista immediato era il progressivo
peggioramento di vari servizi pubblici, in particolare quelli medico - ospedalieri, e il
peggioramento complessivo della qualità della vita. Questi fenomeni erano originati
soprattutto dai costi spropositati della corsa agli armamenti atomici, degli armamenti
convenzionali e degli aiuti per gli alleati in Africa e anche altrove, e infine dell'intervento in
Afganistan. In sintesi, lo Stato sovietico riservava le sue migliori risorse per il
complesso militare industriale, mettendo in difficoltà gli altri settori.
Tra l'altro, l'Unione Sovietica non beneficiò nemmeno nella stessa misura degli Stati
Uniti delle ricadute sui settori civili delle nuove tecnologie elaborate ad uso militare a causa
della sua concezione autoritaria e burocratica del segreto militare (viceversa lo sviluppo del
settore dell'informatica e della telematica, in buona parte finanziato dallo Stato federale
avvantaggia tuttora gli U.S.A. rispetto alla concorrenza europea e giapponese).
I CITTADINI DELL’EST, INFORMATI ANCHE ATTRAVERSO I
NUOVI MEDIA, INVIDIANO LA QUALITÀ DELLA VITA
OCCIDENTALE
Certo, per far dimenticare il continuo e netto peggioramento del tenore di vita i media di
regime potevano mettere in rilievo la contemporanea crisi del mondo capitalistico. Ma i
cittadini sovietici e quelli dei paesi dell'Europa orientale ricordavano piuttosto la promessa
non mantenuta di raggiungere il tenore di vita dell'occidente. Essi inoltre erano sempre più
informati sul benessere e sullo stile di vita del mondo capitalistico, grazie alla diffusione dei
media radiotelevisivi, delle conoscenze tecnico scientifiche, che rendevano più facile ricevere
clandestinamente le trasmissioni occidentali (lo Stato sovietico non a caso promuoveva la
filodiffusione), e della conoscenza delle lingue d'oltrecortina, e infine grazie anche
all'aumento (certo modesto) degli scambi turistici prodottosi negli ultimi anni, in particolare
dopo la conferenza di Helsinki.
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(in particolare Iran e Libia), vengono isolati politicamente e talora colpiti militarmente (vedi il
bombardamento americano della Libia nel 1986).
IL DITTATORE IRAKENO SADDAM HUSSEIN, APPOGGIATO
DA USA E URSS, AGGREDISCE L’IRAN
I prezzi dunque finirono per diminuire. Anche altri fattori concorsero a questo risultato.
In primo luogo i paesi industrializzati avevano imparato a limitare la domanda, risparmiando
petrolio attraverso motori e impianti di nuova concezione e attraverso lo sfruttamento di altre
fonti energetiche. Oltre a ciò erano stati scoperti nuovi giacimenti importanti, tra cui quelli
sotto il Mare del Nord, sfruttati dall'Inghilterra. Infine il regime socialista arabo dell'Irak del
dittatore Sadam Hussein, appoggiato, si noti, dalle due superpotenze, che erano entrambi
ostili al fondamentalismo di Khomeini, aveva aggredito con una sanguinosissima guerra
durata dal 1980 al 1988 il nuovo Stato iraniano, per cui i due belligeranti, per le urgenze della
guerra, avevano dovuto rinunciare a praticare prezzi troppo alti.
LA POLITICA ECONOMICA NEOCONSERVATRICE IN
OCCIDENTE (SINTESI)
Reagan fu anche il banditore, insieme al primo ministro inglese Margaret Thatcher, di una
nuova politica interna per i paesi industrializzati: la politica neoconservatrice, che avrebbe
avuto un gran numero di seguaci in occidente. Contro l'inflazione (che deriva da
un'insieme di fattori: aumento del prezzo del petrolio, aumento delle spese sociali e in
genere delle spese dello stato, alto livello dei salari, ecc.) i neoconservatori inglesi e
americani propongono una politica economica neoliberista: diminuzione delle tasse per
favorire gli investimenti, vendita ai privati delle eventuali industrie nazionalizzate (questo
avviene in particolare in Inghilterra), abbandono al loro destino delle industrie assistite (con
conseguente disoccupazione), eliminazione dei vincoli e controlli di vario genere imposti
per legge alle imprese per tutelare i lavoratori, l'ambiente o la società (deregulation), e
soprattutto tagli durissimi alle spese sociali. Ma se questi tagli sono praticati senza
esitazione non si può dire che ciò porti effettivamente ad una limitazione complessiva delle
spese dello Stato tale da mettere fine al deficit di bilancio: negli Stati Uniti, in particolare, la
crescita della spesa militare è tale da aumentarlo ulteriormente, facendogli raggiungere i
suoi massimi storici.
L'attuazione di questa politica economica è stata sollecitata dalle grande industrie e ha
incontrato l'approvazione dei ceti medi, stanchi di assistere alla crescita dei salari e di subire
aumenti delle tasse a causa delle spese sociali a favore dai ceti più bassi. Le compagnie
multinazionali per conto loro hanno cominciato il loro contrattacco robotizzando molte catene
di montaggio e trasferendone altre in paesi meno sviluppati in cui la manodopera abbia
prezzi più bassi. Il risultato di questa azione complessiva dei governi neoconservatori e delle
grandi imprese private fu un notevole indebolimento dei sindacati e in genere dei movimenti
rivendicativi dei ceti più deboli.
Non diversamente da quanto avviene nel panorama sociale dei paesi industrializzati,
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anche nel panorama mondiale i più poveri e i più deboli sono ulteriormente svantaggiati. I
paesi del Terzo Mondo che avevano dato inizio a programmi di sviluppo troppo ampi -
grandi opere pubbliche finanziate con prestiti internazionali garantiti dai prezzi alti del
petrolio e delle materie prime - con la diminuzione dei prezzi hanno avuto difficoltà a
pagare gli interessi sui debiti, strozzati dalle banche occidentali e dalla politica di rigore
del Fondo Monetario Internazionale.
IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE PRESTA SOLO AI
PAESI CHE TAGLIANO LA SPESA PUBBLICA E
GARANTISCONO AMPIA LIBERTÀ D’IMPRESA AI CAPITALI
STRANIERI
Questo organismo internazionale controlla i grandi prestiti internazionali (effettuati
dai paesi più sviluppati dell'occidente) e pratica anch'esso una politica creditizia
"neoliberista": presta solo a quei paesi che riducono la spesa di Stato e che
garantiscono ai capitali stranieri che intendono investire poche tasse, poca inflazione e
ampia libertà di impresa in materia di commercio, licenziamenti, salari, vincoli ambientali,
ecc. Le difficoltà economiche dei singoli paesi rompono definitivamente il cartello dei
produttori di materie prime e i prezzi si manterranno bassi per tutto il periodo successivo. La
situazione più grave è quella di molti paesi sottosviluppati che non producono alcuna materia
prima strategica e che a suo tempo hanno dovuto il petrolio a caro prezzo, e infine quella di
quasi tutti i paesi dell'Africa nera subsahariana.
LO SVILUPPO DELLE “TIGRI ASIATICHE”
Tuttavia negli anni 80 alcuni paesi asiatici sono usciti ormai dal sottosviluppo e,
grazie sia alla libertà concessa agli investitori, sia alla disciplina e alla buona qualità della
loro manodopera, ospitano un gran numero di imprese straniere e cominciano a svilupparne
di proprie: si tratta della Corea del Sud, di Taiwan (o Formosa: la vecchia Cina nazionalista
del Guo Min Tang), di Singapore e di Hong Kong. La Tailandia, la Malaisia, le Filippine e
l'Indonesia seppure con maggiore lentezza sembrano avviate sulla stessa strada. In quasi
tutti questi paesi però i regimi politici sono di tipo autoritario o semi autoritario e le libertà
sindacali e politiche quasi inesistenti.
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per aiutare i ceti meno abbienti e anche per offrire opportunità d'impiego.
Questo atteggiamento sempre più diffuso di sfiducia nei confronti dello Stato è la
conseguenza dell'ingresso di gran parte del mondo occidentale nella cosiddetta "società dei
due terzi", in cui i ceti benestanti o comunque garantiti economicamente da un discreto
livello professionale costituiscono i due terzi circa della popolazione. Si tratta altresì di una
società "postindustriale", in cui la classe operaia è in progressivo calo e in cui chiudono
quelle grandi catene di montaggio che avevano socializzato generazioni di lavoratori
sindacalizzati, sostituite da officine più piccole e decentrate, mentre cresce il settore dei
servizi, non solo statale, ma anche privato (uffici studi per marketing e ricerca, pubblicità,
servizi commerciali, turistici, ecc.).
IL BIPOLARISMO TRA BLOCCO CAPITALISTICO E BLOCCO
OPERAIO VIENE MENO PROGRESSIVAMENTE E LA
DISINDUSTRIALIZZAZIONE ERODE LA BASE SOCIALE DELLA
SINISTRA
In questo contesto si capisce che quel bipolarismo sociale che aveva sostenuto per anni
la contrapposizione politica tra destra e sinistra viene meno progressivamente,
principalmente a danno dei partiti di sinistra il cui elettorato tradizionale si sta trasformando o
sta addirittura scomparendo. Il declino del partito laburista in Inghilterra, che permetterà ai
neoconservatori inglesi di restare al governo dal 1979 al 1996, è legato certo a errori dei
sindacati e del partito stesso, all'estremismo dei movimenti sociali, alla debolezza
dell'economia inglese di allora e alla sua lentezza nel rimodernarsi; esso però si spiega
senza dubbio anche con la disindustrializzazione del paese, che ha eroso
progressivamente la base sociale della sinistra.
I DEMOCRISTIANI AL GOVERNO IN GERMANIA DAL 1982 AL
1998
La svolta politica del periodo neoconservatore significò in molti casi un netto ricambio
della leadership politica e della maggioranza al governo: l'abbiamo visto con Reagan e con
Margaret Thatcher, ma ciò vale anche per il tedesco Helmut Kohl, che nel 1982 riuscì a far
cadere il governo socialdemocratico in Germania Federale sostituendolo con un governo
democristiano-liberale, che tuttavia fu estremamente cauto per quanto riguarda lo Welfare
State: esso qui subì appena qualche aggiustamento, mentre in Inghilterra fu smantellato
insieme all'intero settore dell'industria di Stato. Nel frattempo nei paesi scandinavi i nuovi
governi liberalconservatori interruppero una serie di esperienze di governi di sinistra
moderata durate ormai da molti anni (in Svezia il partito socialdemocratico era addirittura al
potere dal 1931), anche qui senza mai arrivare agli estremi della politica economica inglese
e statunitense (nel caso della Svezia, anche perché i socialdemocratici sono tornati al
governo dopo pochi anni e ci sono tuttora).
Tuttavia, come negli anni 60-70 lo Welfare State era una costante che la temporanea
presenza al governo di partiti conservatori non poteva eliminare, in questo periodo lo stesso
vale per la politica economica neoconservatrice: una certa dose di misure in tal senso si è
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imposta in modo uniforme a tutti gli Stati e ai diversi partiti. Questo era necessario sia in
ragione della trasformazione dell'elettorato, sia in ragione della concorrenza internazionale:
in Italia e in Giappone, per esempio, la politica economica ha progressivamente cominciato a
cambiare già a partire dagli anni ottanta senza spettacolari ricambi della leadership politica
di governo.
L’ECCEZIONE FRANCESE: IL GOVERNO SOCIALCOMUNISTA
SOTTO LA PRESIDENZA MITTERAND
Come sempre la Francia fa eccezione. Nel 1981 qui il socialista François Mitterand fu
eletto presidente della repubblica grazie ad un accordo elettorale fra i socialisti (il partito più
grosso della sinistra), i comunisti e il piccolo partito di sinistra moderata dei radicaux de
gauche. Da allora comincia un esperimento controcorrente: massicce nazionalizzazioni,
programmazione economica, protezione dei posti di lavoro da parte dello Stato, aumento del
salario minimo garantito e riduzione dell'età pensionabile. Questa politica, oltre ad aumentare
l'inflazione, mise in fuga i capitali stranieri e anche francesi, che votarono a loro modo contro
il nuovo governo. Esso riuscì a risollevarsi per un po’ rinunciando a gran parte del suo
programma sociale e estromettendo i comunisti - non per una qualche conventio ad
excludendum o per ossequio agli Stati Uniti, ma appunto per dissidi programmatici. Dunque
la svolta neoconservatrice vera e propria in Francia arrivò solo nel 1991, col governo Chirac,
anche qui senza raggiungere le asprezze del governo Thatcher.
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leader democristiani Forlani e Andreotti, con cui dimostra di sapersi benissimo intendere,
rivendica la presidenza del governo. La otterrà nel periodo 1983 -1987 (si noti che il P.S.I.
aveva nel 1983 appena l'11,4% dei voti).
Ad ogni modo, con l'indebolimento dei sindacati (dovuto tra l'altro alla ristrutturazione
industriale, all'introduzione massiccia dell'automazione e ai conseguenti licenziamenti)
alcuni fattori inflattivi venivano meno, ma ne restavano molti altri assai importanti, primo tra
tutti il deficit dello Stato e degli enti locali.
LE OPERE PUBBLICHE: TANGENTI E SUPERPROFITTI
La spesa restò forte nel settore delle opere pubbliche (solo per i mondiali di calcio in
Italia del 1990 il governo spese cifre da capogiro), i cui costi erano spropositati a causa delle
tangenti pagate ai partiti politici e dei superprofitti intascati dalle aziende che se ne
accaparravano l'appalto.
SVILUPPO ABNORME DEL DEBITO PUBBLICO E DEL
SETTORE PUBBLICO DELL’ECONOMIA (SERBATOIO DI VOTI
PER I PARTITI DI GOVERNO)
Non si riusciva poi ad estinguere il debito pubblico, maturato in particolare negli anni
70, nel periodo delle difficoltà finanziarie per l'acquisto del petrolio e per la riforma sanitaria
(ma che aveva le sue radici nella situazione precedente di ipertrofia e corruzione degli enti
pubblici). Tale debito naturalmente comportava il pagamento di massicci interessi. Infine il
settore pubblico (che equivaleva circa al 50% del Prodotto Interno Lordo) era
inefficiente e al tempo stesso enormemente costoso per l'esorbitante numero di addetti.
L'espansione del pubblico impiego, una delle cause più importanti del debito, aveva
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fluttuante il voto di molti elettori, che prima era legato all'appartenenza di classe, di quartiere,
di orientamento religioso. Nell'intero mondo occidentale, insieme alla disindustrializzazione e
alla dispersione della classe operaia, l'aumentata influenza dei media elettronici è stata una
delle cause della trasformazione della politica e del declino dell'opposizione ideologica destra
- sinistra, almeno nelle forme che si erano presentate fino all'incirca agli anni ottanta.
Ma l'Italia prima dell'età del pentapartito era rimasta singolarmente indietro rispetto
all'evoluzione degli Stati Uniti e di alcuni altri paesi. Si pensi che nel 1953, l'anno in cui l'Italia
cominciava le sue prime trasmissioni televisive riservate solo alle limitate aree servite dai
primi ripetitori, metà delle famiglie americane possedeva un televisore. Di più: la tv
d'oltreoceano era già a colori e ben presto le diverse trasmissioni dei numerosi canali privati
avrebbero coperto tutte le ore del giorno e della notte, offrendo allo spettatore un flusso
ininterrotto di immagini di tutti i generi, che accompagnano le diverse fasi della vita
casalinga. Le trasmissioni via satellite poi avevano reso tutto il mondo potenzialmente
presente sul piccolo schermo, abbattendo virtualmente quelle barriere di spazio e di tempo
che per secoli hanno diviso l'umanità. Il mondo finiva per essere ormai percepito dal
telespettatore come villaggio globale, secondo la celebre espressione di Marshall McLuhan.
Tutta una serie di fenomeni, che negli U.S.A. alla fine degli anni settanta erano
normali, erano impensabili in Italia: le interruzioni pubblicitarie, la pubblicità pervasiva, lo
zapping, l'uso della tv come baby sitter per i bambini e come assistente sociale per gli
anziani, la permanenza degli scolari davanti ad essa per un numero di ore equivalente a
quelle scolastiche, ecc. (per questo stadio, si può usare il termine "neotelevisione" di
Umberto Eco).
MENTRE NEGLI USA LA TV NASCE PRIVATA E DOMINATA
DALLA PUBBLICITÀ, IN EUROPA ALLE ORIGINI É PUBBLICA
O SOTTO CONTROLLO PUBBLICO
In Italia fino all'incirca alla fine degli anni settanta c'era solo la tv di Stato in bianco e
nero, inizialmente con un solo canale, con due a partire dal 1961 e con tre dal 1975, per un
limitato numero di ore al giorno, quasi del tutto priva di pubblicità e senza alcuna
sponsorizzazione dei programmi, e con un'alta percentuale di programmi culturali. Il
monopolio di Stato sulla radio risale al tempo del fascismo, ma anche la maggior parte degli
Stati europei ha adottato all'inizio forme di monopolio sulla radio e sulla tv, e anche in
Inghilterra si è fatto a lungo uso di una formula mista, e in ogni caso il settore è stato
potentemente regolato dall'intervento pubblico; solo negli Stati Uniti radio e tv sono nate e sono rimaste
essenzialmente private.
NEL 1975 IL CONTROLLO DEI CANALI RADIO E TV É
SPARTITO (IN MANIERA DISEGUALE) TRA LE FORZE DELLA
MAGGIORANZA E DELL’OPPOSIZIONE
Come era possibile conciliare in Italia il monopolio radiotelevisivo dello Stato con il
pluripartitismo, soprattutto in considerazione del fatto che la Democrazia Cristiana era
sempre e sarebbe rimasta per un futuro indeterminato al governo? Dopo un lungo periodo di
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totale predominio democristiano, in uno spirito non dissimile a quello con cui era stato
istituito il finanziamento pubblico ai partiti, erano state distribuite anche le testate dei giornali
radio e dei telegiornali. Dopo il 1975 (anno dell'istituzione del terzo canale e dell'avanzata
elettorale delle sinistre di cui abbiamo parlato) la situazione era la seguente: la D.C. aveva
tenuto per sé il tg1 e il principale giornale radio, a P.S.I. e P.S.D.I. era toccato il tg2 e un altro
giornale radio, mentre al P.C.I. e al partito repubblicano era stato lasciato il tg3 e il
radiogiornale culturale del terzo programma, che avevano meno audience.
LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE VINCOLANO
LE TRASMISSIONI PRIVATE ALL’AMBITO LOCALE
Nello stesso periodo avvenne una specie di rivoluzione: la Corte Costituzionale
stabilì che il monopolio dello Stato sull'etere - considerato risorsa collettiva e bene pubblico,
doveva riguardare solo l'ambito nazionale, mentre dovevano essere aperte alla libera
concorrenza le frequenze ricevibili a livello locale (anche la legislazione tedesca distingue
tra ambito federale e ambito locale, ed affida però le frequenze regionali ai governi dei singoli
Stati federati). Questa decisione legalizzò una serie di radio clandestine nate nello spirito del
68 e stimolò un numero enorme di imprese a lanciarsi nell'avventura delle tv a colori pagate
con la pubblicità. Ben presto nacquero alcune grosse catene nazionali che ripetevano gli
stessi programmi regione per regione. Le sentenze della Corte consentivano le
trasmissioni dirette solo a livello regionale, per cui quelle in un ambito più vasto allora
venivano trasmesse in differita. Nel periodo 80-84 si scatenò una dura competizione tra le
grandi reti nazionali: Prima Rete Indipendente dell'editore Rizzoli, presto travolto dallo
scandalo della P2 (cui era affiliato insieme a buona parte del suo staff), Italia 1 dell'editore
Rusconi, Rete 4 dell'editore Mondadori e Canale 5 di Silvio Berlusconi.
Quest'ultimo, come Rizzoli iscritto alla P2, era allora un impresario edile milanese
amico di Craxi, che vantava come suo grande merito di essersi fatto da solo, ma che non
spiegò mai, di fronte a varie ipotesi e insinuazioni dei giornalisti, chi gli avesse prestato i
primi capitali con i quali sono decollate le sue imprese edilizie. La reticenza sembrava una
sua tipica caratteristica, dato che la proprietà delle aziende da lui controllate era in alcuni
casi mascherata con il sistema della catena di società fantasma, "scatole vuote" senza né
attività né dipendenti, col solo scopo di possedere un'altra azienda simile, che ne possiede
un'altra, e un'altra ancora, finché si arriva all'azienda reale. Tale reticenza non sembra uscita
dalle sue abitudini, visto che, molti anni dopo, quando alcuni processi contro di lui per
presunte tangenti sono caduti in prescrizione, i suoi avvocati hanno preferito "accontentarsi"
di tale prescrizione, piuttosto che proseguire il procedimento giudiziario, cosa che avrebbe
eventualmente permesso di fare piena luce ed ottenere un vero e proprio proscioglimento
per innocenza.
BERLUSCONI, DIVENUTO PADRONE DI TUTTE LE GRANDI
CATENE TV PRIVATE, TRASMETTE ORMAI A LIVELLO
NAZIONALE
Nella sua lotta contro i concorrenti all'inizio degli anni '80, Berlusconi sembra avere
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una disponibilità finanziaria senza limiti, godendo tra l'altro di ampi crediti presso banche con
dirigenti legati alla P2, e riesce a battere e poi ad assorbire le imprese televisive di Rusconi e
di Mondadori (di quest'ultimo assorbirà anche la casa editrice) 5. Nel 1984 è ormai padrone
del campo, mentre le trasmissioni delle sue reti sono diventate un'abitudine per molti italiani.
A questo punto osa trasmettere in diretta contemporaneamente su tutto il territorio nazionale,
forte anche del fatto che i governi di pentapartito non hanno emanato alcuna normativa in
materia di emittenza. Ma alcuni pretori, anche per la protesta delle associazioni delle piccole
tv, ordinano alla guardia di finanza di oscurare Rete4, Italia1 e Canale5 nelle zone di loro
competenza. Le proteste dei telespettatori sono fortissime.
CRAXI CON UN DECRETO DICHIARA LEGALI LE EMISSIONI
ABUSIVE DI BERLUSCONI
Il governo Craxi emana d'urgenza un decreto (noto come "Decreto Berlusconi") che
restituisce al pubblico le sue indispensabili trasmissioni (questo decreto sarà più tardi
considerato incostituzionale dalla Corte).
Nasce così nel mercato televisivo nazionale un nuovo regime di concorrenza limitata,
il duopolio Rai-Finivest, che sostituisce il precedente oligopolio delle televisioni private. La
lunga marcia della "neotelevisione" è ormai cominciata.
MONOPOLIO, OLIGOPOLIO, DUOPOLIO. Il monopolio può essere legale o di fatto. Quello
legale consiste nel diritto esclusivo di commerciare una certa merce e di fissarne i prezzi, garantito
dalla legge (come nel caso dei tabacchi). Il monopolio di fatto consiste invece nell’esclusività del
commercio di una certa merce, grazie all’accaparramento di essa sul mercato e all’inesistenza di
concorrenza. L’oligopolio è una situazione in cui una certa merce è commerciata da un numero
limitato di grandi proprietari, che possono accordarsi per fissarne il prezzo a danno dei compratori.
Duopolio è il nome che è stato dato al regime televisivo italiano dopo il 1984: in tale regime Rai e
Fininvest (più tardi chiamata Mediaset) detengono i sei più grandi canali televisivi italiani via etere,
concentrando su di sé la stragrande maggioranza del’audience e impedendo di fatto la formazione di
un vero regime concorrenziale (cfr. sotto scheda su CONCORRENZA PERFETTA). In questo caso
però i compratori non sono i telespettatori, ma gli inserzionisti pubblicitari, che comprano spot e
sponsorizzazioni. Secondo il liberalismo, anche i cittadini sono danneggiati perché i contenuti delle tv
(fiction, tg, talk show, ecc.) sono nelle mani di due sole aziende e non offrono una vera pluralità di
punti di vista, di ideologie, di opinioni, a scapito della varietà delle posizioni politiche.
5
Le notizie su Berlusconi sono tratte da G.Ruggeri, M.Guarino,Berlusconi. Inchiesta sul signor tv, Kaos
edizioni, Milano, 1994, parte 1a. Sulle sue tv si veda anche il libro di G. Fiore in bibliografia. Sulla caduta in
prescrizione di alcuni capi d'accusa contro Berlusconi nel maggio 2000, si legga Romolo Menighetti, Ma
quale assoluzione, in "Rocca", 1 giugno 2000. Si noti che i procedimenti giudiziari contro di lui sono
cominciati ben prima che egli si occupasse direttamente di politica. Se si vuol credere a una persecuzione
giudiziaria nei suoi confronti è però arduo sostenere che essa abbia avuto dalle origini un significato politico-
ideologico.
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Ungheria, ma ciò che più preoccupava Gorbaciov era l'atteggiamento degli altri satelliti, i cui
gruppi dirigenti, che pure erano stati avvertiti già dal 1986 di non contare su di un intervento
militare sovietico, non volevano in nessun modo lasciare il potere. Questo comportava il
rischio di una rivoluzione violenta. Tuttavia il comportamento neutrale della Russia per i primi
due paesi incoraggiò i dissidenti di tutti gli altri a sfidare i propri governi con proteste
pacifiche, che radunarono folle sterminate.
NOVEMBRE 1989: ABBATTIMENTO DEL MURO DI BERLINO
E FINE DEL REGIME COMUNISTA TEDESCO DELL’EST
La distruzione ad opera della folla del muro della vergogna di Berlino nel novembre
1989 si situa al culmine delle manifestazioni popolari che portarono al disfacimento delle
istituzioni della Repubblica Democratica Tedesca. L'89 è contraddistinto da uno straordinario
e contagiosissimo movimento di massa nonviolento che si espande vittorioso in tutti i paesi
dell'est europeo (esso raggiunge, come vedremo, perfino la lontana Cina comunista, dove
sarà invece represso nel sangue).
1991: CON LO SCIOGLIMENTO DEL PATTO DI VARSAVIA
HA FINE UFFICIALMENTE IL BIPOLARISMO
Ben presto l'Unione Sovietica avrebbe ritirato le sue truppe da tutti i paesi dell'Europa
orientale e il Patto di Varsavia sarebbe stato sciolto (1° luglio 1991): il bipolarismo est-
ovest aveva così fine ufficialmente e il mondo sarebbe stato così ben presto liberato
dall'incubò di una terza guerra mondiale nucleare. Nello stesso periodo la Germania
Federale, pur restando nella NATO, assorbe la Germania ex-comunista, di modo che
l'assetto internazionale del 1945 è del tutto saltato.
***
Molti osservatori sono rimasti sorpresi per il modo pacifico con cui il partito comunista
sovietico ha abbandonato il potere e rinunciato al suo impero. Lo stesso crollo sovietico in
quanto tale non era facilmente prevedibile dall'esterno: la C.I.A. per esempio nel 1983
prevedeva per l'U.R.S.S. uno sviluppo economico del 3,3%, mentre in realtà l'economia era
in piena stagnazione. Come qualsiasi altro evento storico, anche questo ha qualcosa di
casuale e non del tutto spiegabile. Tuttavia le modalità del crollo ci confermano alcune
caratteristiche del regime sovietico che avevamo già analizzato: esso si distingue nettamente
dal totalitarismo nazifascista per la sua scarsa propensione alla guerra e per la sua relativa
razionalità politica. Mentre il Reich nazista, caratterizzato da un estremo irrazionalismo
vitalistico, era esploso all'insegna del "muoia Sansone con tutti i filistei", l'impero sovietico è
imploso nel tentativo di trasformarsi, per uscire nel modo meno rischioso da una grave crisi.
La burocrazia sovietica poststaliniana, opprimente e sospettosa, abituata a governare con la
repressione e con la paura, sapeva anche di aver bisogno di un minimo di consenso e, nel
tentativo di salvare qualcosa del suo regime, tentò di giungere ad un compromesso
razionale.
Notare questo non significa naturalmente dimenticare che anche dopo Stalin in
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Russia hanno continuato ad esistere i gulag e che la dissidenza politica, religiosa o anche
semplicemente culturale vi era sistematicamente perseguitata. Suona poi come
particolarmente intollerabile per la ragione umana il fatto che i dissidenti spesso fossero
trattati come casi psichiatrici, forse sulla base dell'idea che chi non sapeva apprezzare i
vantaggi della società sovietica e pensava in modo non conforme a ciò che gli era stato
insegnato non poteva essere che pazzo.
***
I REGIMI COMUNISTI SONO STATI ABBATTUTI
DA UNA GRANDIOSA LOTTA DI MASSA NONVIOLENTA
Come si è visto, la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta ha visto nascere
una nuova, breve ma intensa, "età della speranza", dopo quella del 43 - 47 e quella del 68 e
degli anni successivi. Una grandiosa lotta di massa nonviolenta svoltasi soprattutto nel 1989
e negli anni immediatamente successivi ha fatto crollare un impero e ha distrutto la sua
gigantesca macchina repressiva; essa si è incontrata con un nuovo atteggiamento da parte
della Comunità Europea che ha promesso aiuti finanziari ai paesi che stavano attuando
urgenti riforme, e che sembrava orientata a sostenere il più possibile l'azione concertata
dell'O.N.U., al posto dell'intervento autoritario dei blocchi (ormai superati) e della vecchia
politica di potenza. Anche gli Stati Uniti, benché con toni differenti da quelli europei, dopo
l'abbattimento del muro di Berlino e le prove di buona volontà sovietiche sembravano
propensi a vedere nell'O.N.U. un mezzo valido per l'instaurazione del cosiddetto Nuovo
Ordine Mondiale.
Di fronte a questa svolta, potevano provare grande soddisfazione i militanti dei
movimenti pacifisti, sempre attivi nel corso degli anni ottanta, soprattutto in Europa
(ricordiamo in particolare le marce della pace di Assisi, in cui si incontravano - e si incontrano
ancora - esponenti di diverse religioni e di diverse tendenze politiche del mondo laico).
Sembra anzi che le manifestazioni per la pace in occidente - trasmesse dai media orientali
per dimostrare le difficoltà del blocco capitalistico - abbiano funzionato come modello per le
lotte delle masse dell'est (si veda il libro di Giovanni Salio nella nostra bibliografia).
Analisti disinvolti e frettolosi, come il diplomatico nippo-americano, Francis
Fukuyama, dopo la fine del blocco orientale avevano parlato addirittura di "fine della storia":
dato che ormai la maggior parte dei paesi del mondo è retta da governi democratici, non ha
senso aspettarsi eventi veramente nuovi, come rivoluzioni e mutamenti di regime, e
diventano sempre meno probabili le guerre.
LA SANGUINOSA REPRESSIONE DEGLI STUDENTI CINESI IN
PIAZZA TIEN AN MEN
Ma la realtà è piuttosto diversa. In primo luogo proprio nel paese più popoloso del
mondo, la Cina, la democrazia non ha potuto affermarsi. Nel fatidico 1989 il movimento
nonviolento degli studenti di piazza Tien An Men, salutato da alcuni occidentali come una
sorta di nuovo 68, finiva in un bagno di sangue. La Cina comunista, differentemente dalla
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Russia, non conosce alcuna glanost, né vi si può contare su una diffusione istantanea delle
notizie attraverso i nuovi media. Se i giovani occupanti avevano potuto convincere i primi
soldati mandati a presidiare la piazza della bontà della loro causa, nuovi militari provenienti
da regioni lontane, non informati e spesso non in grado di comprendere il cinese di Pechino li
avevano sostituiti e avevano effettuato la sanguinosa repressione (egualmente le rivoluzioni
anticomuniste in Romania e in Albania, in cui permanevano delle dittatture di matrice
neostaliniana, hanno comportato - in mancanza di glasnost e di adeguata informazione - un
gran numero di morti).
Inoltre, la lotta nonviolenta di massa, che pure aveva avuto successo contro
l'U.R.S.S. e alcuni altri Stati comunisti (che, con tutte le distorsioni ricordate, si ponevano in
qualche modo sul piano della razionalità politica), non sarebbe stata praticata nei nuovi
conflitti etnici. In essi entrano in gioco odi e forme di solidarietà elementari. Così ben presto
ci saranno sanguinosi scontri tra azeri e armeni nell'ex U.R.S.S., tra rumeni e ungheresi in
Romania, tra i diversi popoli che compongono la ex-Jugoslavia, ecc.
Quanto alle promesse di prestiti della Comunità Europea, esse saranno mantenute
solo in parte. Parleremo invece fra qualche pagina della speranza di un Nuovo Ordine
Mondiale attraverso la concertazione dell'O.N.U.
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economia, riuscì a farsi eleggere da questa assemblea presidente della Repubblica Russa, e
non volle riconoscere sopra di sé il potere federale dell'Unione Sovietica, diversamente
orientato politicamente. Eltsin si affrettò anzi a scavalcare lo stesso Parlamento che lo aveva
eletto, sottoponendo al popolo della sua repubblica un referendum che istituiva l'elezione
diretta del presidente, cosicché nella primavera del 1991 poté indire nuove elezioni presidenziali e vincerle.
NEL MARZO 91 GORBACIOV FA VOTARE UN REFERENDUM
PER L’ISTITUZIONE DI UNA FEDERAZIONE CHE LASCI
SOVRANITÀ AGLI STATI MEMBRI
Ma l'ambizione di Eltsin aveva avuto conseguenze enormi sull'Unione, perché, dopo
la Russia, tutte le altre repubbliche si erano affrettate a dichiararsi "sovrane". Gorbaciov
tuttavia aveva fatto votare nel marzo 91 un referendum che chiedeva ai popoli dei diversi
Stati federati di approvare "una rinnovata federazione di repubbliche eguali e sovrane". Tale
approvazione fu data a larghissima maggioranza quasi ovunque (anche nelle repubbliche
asiatiche a dominanza islamica) ma non nelle repubbliche baltiche e in Georgia.
Immediatamente fu elaborato un trattato di federazione, che lasciava agli organi federali
solo la politica estera, la difesa e il coordinamento interstatuale dell'economia.
DOPO IL TENTATIVO DI COLPO DI STATO MILITARE
DELL’AGOSTO DEL 1991, L’URSS CESSA DI ESISTERE
Il trattato sarebbe dovuto entrare in vigore il 20 agosto del 91. Ma il 18 agosto ci fu
un tentativo di colpo di Stato da parte di un comitato formato da alcuni ministri dello stesso
governo federale e da un gruppo di alti funzionari e ufficiali, che in realtà trovò solo un
appoggio molto debole nell'esercito. Gorbaciov fu rapito dai golpisti, ma si rifiutò di trattare e
di dimettersi. Eltsin fece prontamente appello al popolo e alle forze a lui fedeli e gli insorti
finirono per arrendersi. Egli giunse a sciogliere il partito comunista nella repubblica russa.
Ben presto, dopo le dimissioni di Gorbaciov, la stessa Unione Sovietica cessava di esistere,
cosicché le quindici repubbliche che la costituivano avrebbero avuto vita definitivamente
separata (la Comunità di Stati Indipendenti, che lega oggi nove di esse, è una forma di
confederazione elastica, da cui è sempre possibile uscire, e che non ha organi federali).
L'antico impero russo, costituito dagli zar nel corso di alcuni secoli, si era dissolto.
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principali, e l'Europa può pensare di giocare un ruolo decisivo solo se avrà una vera politica
estera comunitaria. Ma, per alcuni aspetti, sembra riportarci anche a più antichi conflitti
tra le civiltà, risalenti al periodo in cui l'impero zarista aveva sottomesso le etnie in gran
parte mussulmane del Caucaso e dell'Asia centrale. Come vedremo, anche fuori dall'area
dell'ex - blocco sovietico l'era che si sta aprendo è fortemente contrassegnata dai conflitti tra
civiltà e tra etnie.
DOPO CHE L’IMPERO MULTIETNICO RUSSO-SOVIETICO SI È
ESAURITO NELLA GARA CON LA SUPERPOTENZA
AMERICANA, LE REPUBBLICHE CHE LO COMPONGONO SI
RENDONO AUTONOME
In sostanza, dal punto di vista dello sviluppo delle diverse civiltà nel corso dei secoli,
l'Unione Sovietica non era nient'altro che la prosecuzione con mezzi diversi e più moderni
dell'impero multietnico zarista, in cui l'etnia grande - russa, di religione ortodossa, dominava
una serie di altre etnie appartenenti a diverse religioni e civiltà, meno moderne sul piano
tecnico o anche solo più deboli sul piano militare. L'U.R.S.S. aveva scelto come via alla
modernizzazione il modello socialista statalistico, che però (anche a causa delle
diverse condizioni di partenza) non le aveva permesso di reggere alla competizione
tecnica, economica e militare con la superpotenza americana. Uscita esausta da
questa gara, la sua debolezza era stata per le diverse repubbliche il segnale per
cercare di ottenere l'autonomia.
Bisogna dire che, a parte le tre repubbliche baltiche, la Georgia e l'Armenia (in
conflitto con l'Azerbaigian), nel momento critico non erano state le motivazioni etniche a
spingere alla separazione.
LE ELITE DIRIGENTI DELLE DIVERSE REPUBBLICHE -A
PARTIRE DALLA RUSSIA DI ELTSIN- SI AFFRETTANO A
IMPADRONIRSI DELLE AZIENDE PRIVATIZZATE (O A
CONTROLLARLE)
I gruppi dirigenti locali approfittarono piuttosto dell'eccezionale situazione di carenza
dell'autorità centrale creata dal colpo di Stato dell'agosto 1991 e della frettolosa sconfessione
dell'Unione da parte di Eltsin per impadronirsi del potere e controllare direttamente il
processo di riforma economica e di de-nazionalizzazione dell'industria ormai avviato (il che
ha significato in molti casi che gli alti funzionari di partito sono diventati grandi azionisti delle
più importanti aziende privatizzate locali). Nonostante l'allarme suscitato dalla crescita
demografica delle etnie di religione islamica, non c'era alcuna significativa rivendicazione
etnica o religiosa nei confronti del potere centrale prima dello scioglimento dell'Unione
Sovietica, ufficialmente proclamato nel novembre 91. Ma i problemi dovevano nascere
necessariamente in seguito, quando per la mancanza di un comando posto nettamente al di
sopra delle parti le etnie conviventi rimisero in discussione i loro equilibri.
IN PRECEDENZA IN URSS LE ETNIE NON ENTRAVANO IN
CONFLITTO PERCHÉ TUTTE EGUALMENTE SOTTOPOSTE AL
POTERE CENTRALE
Dopo il pugno di ferro usato da Stalin, che, tra l'altro, aveva deportato in massa il
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popolo islamico dei ceceni, accusato di collaborazione con i nazisti, la Russia comunista
aveva a suo modo cercato di integrare i popoli sottomessi, sviluppando il sistema di
educazione primaria nelle lingue locali, diffondendo la cultura laica e socialista,
promuovendo lo sviluppo economico e, inoltre, facendo emigrare in tutti gli stati dell'unione
consistenti gruppi di militari, tecnici e lavoratori specializzati grandi - russi. Ma in tutti i casi
tali popoli non avevano nulla da temere l'uno dall'altro, perché le regole ferree per tutti erano
dettate dal partito (la cui spina dorsale era costituita soprattutto dall'etnia grande - russa).
IN JUGOSLAVIA IL GRUPPO DIRIGENTE DI TITO BLOCCA
DALL’ALTO I CONFLITTI ETNICI
Non troppo diverso era stato il caso della Jugoslavia. Anch'essa aveva mantenuto
sotto un unico comando una gran numero di etnie, gruppi linguistici, confessioni religiose e
civiltà diverse. Questo Stato era nato dopo la prima guerra mondiale dal bisogno degli slavi
della Slovenia e della Croazia di associarsi ad uno Stato slavo più forte (cioè la Serbia) per
garantirsi da eventuali rivalse dell'Austria e dell'Ungheria e ambizioni dell'Italia. Ma la
Serbia, che proprio con la prima guerra mondiale aveva ottenuto la Bosnia-Erzegovina,
conteneva già numerose e consistenti minoranze. Alla fine il nuovo regno di Jugoslavia
conglobava popoli appartenenti non solo a etnie, ma a civiltà diverse: i croati e i serbi parlano
una lingua molto simile, ma la scrivono con due alfabeti diversi, latino e cirillico, perché
appartengono rispettivamente alla cultura cattolica e a quella ortodossa, e inoltre i primi sono
rimasti per secoli sotto il dominio degli Asburgo d'Austria, e quindi sostanzialmente in
contatto con il resto dell'Europa, mentre i secondi nel frattempo erano sottomessi all'impero
turco ottomano; quest'ultimo era riuscito a convertire all'islamismo sia un nucleo consistente
di slavi di Bosnia, sia gli albanesi del Kossovo.
Dopo un periodo di convivenza già abbastanza conflittuale tra il 1919 e la seconda
guerra mondiale, l'occupazione tedesco - italiana della Jugoslavia nel 41 aveva esasperato
gli odi reciproci: i croati, aiutati dagli occupanti, avevano eliminato i serbi a centinaia di
migliaia (forse seicentomila). Questi ultimi, in proporzione al loro numero complessivo, sono
una delle tre etnie più colpite dai nazisti nella seconda guerra mondiale, insieme agli ebrei e
ai russi.
Al contrario Tito (di origine croata) aveva imposto nel nuovo Stato comunista la
supremazia della politica sulle questioni etniche, anche se ciò non aveva impedito alla fine
della guerra agli jugoslavi di compiere le loro vendette etniche con le "foibe", stragi
indiscriminate in cui perirono quattro - cinquemila italiani dell'Istria6.
L’”AUTOGESTIONE” DELLE IMPRESE
Egli aveva anche saputo realizzare una variante del socialismo statalistico che
lasciava un certo spazio autonomo all'impresa e, dentro di essa, agli operai (“autogestione”).
6
Secondo l'intervento di Raoul Pupo, in Giampaolo Valdevit (a cura di), Foibe. Il peso del passato. Venezia
Giulia 1943-1945, Venezia, Marsilio, 1937, p.37, "le stime più attendibili si attestano (...) sull'ordine delle
4.000 - 5.000 vittime".
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Ciò non di meno era rimasto notevole il divario economico tra i diversi Stati della
federazione, perché la Slovenia e la Croazia, di civiltà asburgica cattolica, più vicine alla
mentalità occidentale e più propense all'imprenditorialità e all'iniziativa economica, si sono
sviluppate più in fretta della Bosnia Erzegovina, della Serbia, del Montenegro e della
Macedonia, che conservano consistenti tracce della civiltà e della mentalità turco - ottomana.
La Jugoslavia, già diversa nel suo sistema economico dai paesi comunisti satelliti
della Russia e per lungo tempo rimasta isolata sia dal blocco orientale che da quello
occidentale, si aprì con entusiasmo al commercio con l'occidente tra gli anni sessanta e
settanta e contrasse ingenti debiti per finanziare lo sviluppo. Priva di significative risorse
energetiche, essa si trovò in difficoltà per il rincaro del petrolio già all'inizio degli anni ottanta,
proprio in corrispondenza con la morte di Tito (1980), la cui personalità e il cui potere erano
stati un importante fattore di coesione.
IL PAGAMENTO DEL DEBITO É UN MOTIVO DI TENSIONE TRA
GLI STATI FEDERATI
Il pagamento del debito costituì un notevole motivo di tensione tra gli Stati della
Federazione. In particolare le ricche repubbliche del nord erano sempre più insofferenti della
convivenza con gli Stati più arretrati del centro e del sud, che costituivano una palla al piede
per tale pagamento. Già negli anni ottanta le amministrazioni comincia rono a dividere le loro
organizzazioni e le loro risorse al punto che, per esempio, le ferrovie stesse funzionavano separatamente Stato
per Stato.
PRIMA PASSAGGIO INDOLORE AL MULTIPARTITISMO. POI
GUERRE INTER-ETNICHE
Il passaggio al multipartitismo da parte della Russia fu un esempio decisivo per la
Jugoslavia - anche se in teoria quest'ultima avrebbe potuto compierlo in qualunque
momento, visto che non apparteneva al blocco sovietico. Esso fu, tutto sommato, piuttosto
indolore, e molto più che altrove il personale del vecchio partito comunista venne recuperato
al nuovo sistema multipartitico. Invece tragicamente conflittuale è stata, come è noto, la
disgregazione della Federazione, che ha dato luogo ad una serie di sanguinosissime guerre
etniche.
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islamici e considerano la legge coranica come norma fondamentale dello Stato sono alla
fine del XX° secolo piuttosto numerosi: l'Arabia Saudita (che lo ha fatto fin dalle sue origini,
ma che si è sempre schierata con gli Stati Uniti), il Pakistan, il Sudan, la Libia di Gheddafi e
l'Irak di Saddam Hussein (gli ultimi due sono stati in precedenza regimi socialisti arabi).
Inoltre un movimento fondamentalista islamico (il F.I.S.) ha vinto le prime elezioni
pluraliste in Algeria, retta da un regime socialista arabo dopo l'indipendenza, nel dicembre
1991 - gennaio 1992. Esse però sono state annullate da un colpo di Stato militare, dopo il
quale è cominciata una guerriglia tra le più sanguinose e spietate del secolo. Anche qui,
come in Iran, la motivazione fondamentale dell'opposizione degli integralisti contro il governo
è il fatto che quest'ultimo ha ceduto ai valori e ai costumi dell'occidente.
I MOTIVI DEI CONFLITTI ATTUALI SONO MOLTEPLICI
Tuttavia non sempre i conflitti inter-etnici sono spiegabili con un rifiuto della civiltà e
della cultura occidentale. La forte ostilità tra l'India e il Pakistan mussulmano, di cui abbiamo
già parlato a proposito della nascita del Terzo Mondo, ha origini piuttosto diverse, benché
anche qui, come nel caso dell'U.R.S.S., abbia avuto come occasione la disgregazione
dell'Impero britannico delle Indie, multietnico e multi-religioso. Anche la rivalità tra Cina e
India, che dura ormai da mezzo secolo, è più facile da spiegare in termini di politica di
potenza e di geopolitica (qualcosa di simile al dissidio russo-cinese) che in termini di
contrapposizione democrazia - comunismo. In effetti l'India è stata a lungo in buoni rapporti
con l'U.R.S.S., comunista per antonomasia, in funzione anti - cinese, mentre la Cina è amica
del Pakistan islamico in funzione anti - indiana.
I CONFINI DEGLI STATI AFRICANI ATTUALI SONO STATI
FISSATI DALLE POTENZE COLONIALI SENZA TENER CONTO
DELLE DIVISIONI ETNICHE E TRIBALI
Anche i numerosi e sanguinosissimi conflitti sorti alla fine del XX° secolo nell’Africa
sub-sahariana non possono essere spiegati in questo modo. Certo l'occidente in qualche
modo ha contribuito indirettamente alla loro nascita. I confini tra gli Stati africani attuali
corrispondono solo alle linee di spartizione dell'Africa tra le diverse potenze europee e ai
confini amministrativi interni dei diversi imperi coloniali, che non tenevano in nessun conto
delle realtà etniche e tribali. Questo del resto non aveva provocato allora delle proteste
nazionalistiche, per il semplice fatto che in Africa le nazioni in senso europeo non esistevano
(del resto i confini coloniali erano attraversati senza problemi dai nomadi o dai mercanti). I
nuovi Stati improvvisati sono stati poi affidati ad una classe dirigente indigena di formazione
europea, per molti versi estranea al tessuto profondo del proprio continente, ma spesso
condizionata dagli interessi delle grandi multinazionali europee e anche americane. Anche la
crescita smisurata del debito pubblico e dei suoi interessi e la mancanza di scrupoli dei
mercanti d'armi costituiscono fattori di destabilizzazione, cosicché oggi la maggior parte degli
Stati africani, nati come democrazie, sono regimi semi autoritari o autoritari (o dittature
militari), spesso bellicosi.
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periodo del pentapartito si sviluppa il legame tra la mafia (e anche altre associazioni di
stampo mafioso) e gli organi dello Stato.
Loro ( tutti gli altri) = i mezzi uomini, i vigliacchi, i “quaquaraquà” che non hanno né coraggio
Benché solo sui loro associati e sulle loro vittime, la mafia, la 'ndrangheta e la
camorra esercitano un potere terroristico di tipo totalitario; sono inoltre capaci di
esercitare ricatti o di intessere alleanze nel mondo economico e politico, inquinando le
regole del mercato e della democrazia.
ORIGINI STORICHE DELLA MAFIA NEL SOTTOSVILUPPO
ECONOMICO
Esse nacquero come reazione da parte di società tradizionali nei confronti della
modernizzazione accelerata, importata e imposta dopo l'unità d'Italia da forze estranee (lo
Stato dei Savoia, la concorrenza invincibile delle merci del nord) e per questo hanno goduto
7
Nel sistema proporzionale allora in vigore, oltre al voto per il partito, era possibile esprimere una preferenza
per un candidato della lista del partito votato. Con tali preferenze, veniva formata una graduatoria interna tra
i candidati, per determinare quale tra di essi avrebbe avuto uno dei seggi spettanti all'intera lista, determinati
col voto proporzionale (il capolista, che aveva le maggiori probabilità di essere eletto, era però designato
direttamente dal partito).
Per esprimere la preferenza si doveva scriverla sulla scheda, cosa che permetteva di inserire un
qualche segno di riconoscimento che poteva essere controllato dallo scrutatore legato al candidato
"preferito". Ma c'era un metodo infallibile (benché illegale) per controllare il voto: uno scrutatore sottraeva
una delle schede già contate dal seggio, e la faceva consegnare, già votata, ad un elettore della sua
clientela elettorale fuori del seggio; costui passava nella cabina elettorale fingendo di votare, deponeva
nell'urna la scheda già votata e si teneva la scheda regolare che gli era stata data. Consegnava poi tale
scheda fuori all'uomo dell'organizzazione, che la votava e la passava ad un altro "cliente", e così di seguito.
Alla fine lo scrutatore poteva infilare con un po’ di abilità l'ultima scheda rimasta tra le schede già votate al
momento dei conteggi. In tal modo il numero delle schede era quello dovuto.
L'intero marchingegno permetteva di avere la certezza assoluta che tutti quelli che avevano
promesso il proprio voto (in cambio di favori) mantenessero l'impegno.
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a lungo non solo dell'omertà, ma perfino dell'approvazione di molti concittadini. Di fronte alle
risorse economiche, tecniche e organizzative della società capitalistica moderna, le risorse
delle comunità tradizionali erano la solidarietà degli appartenenti allo stesso clan familiare o
alla stesso villaggio o quartiere, e l’abitudine all’uso della violenza da parte di banditi e di
pastori. Ma queste risorse vengono usate dai membri delle associazioni mafiose per la
promozione dei loro interessi e non di quelli della comunità nel suo complesso, benché essi
si presentino, nella loro ideologia, come difensori dell’onore, della tradizione e perfino della
religione.
Come abbiamo visto, queste associazioni però nell'era del bipartitismo imperfetto e in
particolare del pentapartito hanno saputo adeguarsi ai tempi e intessere alleanze con la
politica e anche con i poteri economici del nord, e scambiare voti e favori con appalti pubblici
e possibilità di riciclaggio dei loro proventi nel sistema bancario.
REAZIONE DEI MOVIMENTI ANTIMAFIA E DELLE ISTITUZIONI
CONTRO LA MAFIA DELLE STRAGI
In seguito però le pubbliche istituzioni e il movimento antimafia della società civile,
sviluppatosi già negli anni ottanta con grandiose manifestazioni a Palermo e in molte parti
d’Italia e con il coraggioso rifiuto di pagare il pizzo da parte dei commercianti organizzati,
hanno conseguito significativi successi. E questo soprattutto in reazione ad alcuni attacchi
particolarmente duri da parte della mafia, il primo dopo gli assassini del prefetto di Palermo
generale Dalla Chiesa e del deputato comunista Pio La Torre nel 1982, il secondo dopo che i
giudici Falcone e Borsellino sono saltati in aria insieme con gli agenti delle loro scorte nel
1992. Nel 1993 infine la mafia passò al metodo, già usato dal terrorismo nero, delle stragi di
passanti con attentati alla bomba (a Firenze e a Milano) per far pressione sullo Stato che
stava preparando nuove disposizioni contro di essa. Questo suscitò invece una reazione in
senso opposto, e la lotta contro la mafia divenne allora più dura e anche più efficace.
Da quel periodo la mafia è stata combattuta non solo con gli inasprimenti di pena, con un
particolare regime carcerario e con sconti di pena ai mafiosi che collaborano con la giustizia
(detti “pentiti”), ma anche con l’assegnazione a cooperative sociali dei beni sequestrati ai
mafiosi, proprio per scalzare il loro consenso tra la gente, legato alla miseria e alla
disoccupazione.
LA FINE DEI BLOCCHI E LA SCOMPARSA DEL NOME “PCI”
Torniamo alla politica. Nel frattempo, la dissoluzione del blocco sovietico e la nuova
immagine del P.C.I. avevano tolto ai partiti della maggioranza ogni traccia di giustificazione
ideologica: il vecchio voto di appartenenza che schierava a priori molti piccoli proprietari e
molti cattolici contro l'asserito comunismo statalista, ateo e liberticida del P.C.I., se mai
aveva avuto un senso, aveva cessato del tutto di esistere. Questo partito, ai cui tesserati
non era del resto richiesto nemmeno prima di fare professione di marxismo, si era finalmente
deciso a togliere dai suoi statuti il riferimento al marxismo e prendere il nome di Partito
Democratico della Sinistra (1990).
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Una così lunga esitazione (se si pensa che la corrente di Amendola era già propensa
a cambiar nome negli anni sessanta e che Achille Occhetto lo aveva proposto nel 1985)
dipende dalla resistenza di due tendenze opposte: da un lato i vecchi militanti legati al mito
dell'Unione Sovietica, "patria del socialismo" e forza decisiva nella vittoria contro il nazismo,
dall'altro gli intellettuali e soprattutto i giovani entrati nel partito dopo l'esperienza del 68, che
intendono "comunismo" nel senso originale di Marx, come liberazione dall'alienazione e
come democrazia diretta. Dopo il cambiamento del 1990, si staccherà infatti dal partito la
corrente favorevole al mantenimento dell'antica denominazione (diventata poi Rifondazione
Comunista).
Questa estinzione completa del bipolarismo contribuì, come si è detto, a togliere
ulteriormente senso al voto d'appartenenza democristiano. Ma questo non bastava a rialzare
le sorti del PDS, che da un lato, per la disindustrializzazione, vedeva progressivamente
assottigliarsi la sua base sociale e, dall'altro, scontava la debolezza e la disponibilità al
compromesso con cui aveva condotto la sua opposizione negli anni precedenti. Esso
dunque da allora è rimasto stabilmente al di sotto delle percentuali del vecchio P.C.I. La crisi
della D.C. favorì piuttosto alcune nuove formazioni, come la Rete (che raccoglieva molti
cattolici e anche ex-comunisti e che lottava contro la corruzione dello Stato) e la Lega
Lombarda. Quest'ultimo partito, diventato Lega Nord dopo essersi consociato con la Liga
Veneta, attacca l'inefficienza e la corruzione "romana" nel nome di una asserita identità
etnica e morale delle regioni settentrionali, più oneste e attive (nelle elezioni politiche del
1992 la Lega raggiunse l'8,7% a livello nazionale e il 20% in Lombardia e in Veneto).
I GIUDICI DI MILANO OTTENGONO LE CONFESSIONI DI
POLITICI E UOMINI D’AFFARI, FACENDO EMERGERE IL
SISTEMA DELLE TANGENTI
Ma c'era un ben più grave motivo di crisi per la DC e i suoi quattro alleati di governo.
Proprio in questo periodo i giudici milanesi smascherano una rete di corruzione operante
negli enti pubblici di Milano e della Lombardia, poi nota come Tangentopoli. Da tempo era
ben noto che certe imprese riuscivano sistematicamente a vincere le gare d'appalto, e che i
costi preventivati delle opere pubbliche crescevano in misura abnorme in corso d'opera.
Facendo un ampio uso della custodia cautelare (cioè della detenzione in attesa di processo)
i giudici riuscirono a ottenere da politici e da uomini d'affari importanti confessioni, che
rivelarono un sistema di tangenti che collegava certi settori capitalistici con i partiti della
maggioranza pentapartita. Il sistema coinvolgeva tali partiti fino al livello nazionale, per cui ci
fu una serie di processi (e non solo a Milano) contro importanti esponenti politici, soprattutto
democristiani e socialisti - tra cui Craxi e Forlani, che furono in seguito condannati (mentre
Andreotti fu accusato di connivenza con la mafia).
Fu allora che il vecchio sistema dei partiti si dissolse completamente, al punto che la
D.C. cambiò nome in Partito Popolare e subì varie scissioni, il PSDI e il PRI si ridussero a
formazioni insignificanti, e il Partito Liberale Italiano scomparve (gli esponenti questo piccolo
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partito, che oltre a tutto non avrebbe dovuto avere problemi di finanziamento essendo esso
tradizionalmente legato alla Confederazione degli industriali Italiani, in proporzione alla sua
grandezza ebbero più processi dei democristiani e dei socialisti).
8
Vedi nota precedente.
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Distinguere dal punto di vista ideologico-politico i partiti nella 2a Repubblica è molto più difficile che
nella 1°, e la confusione aumenterà nel sec.XXI° con la fondazione del PD e del PDL. In effetti quasi tutti
si considerano liberaldemocratici e inoltre aderiscono a qualche versione del neoliberismo.
PCI:
nel 1991 la maggioranza di questo partito assume il nome di
-PDS (PARTITO DEMOCRATICO DELLA SINISTRA, nel 1998 solo DS). Partito di ispirazione
socialdemocratica, diviso in correnti. Alternativamente primo o secondo partito, promuove nel 1994 la
coalizione di sinistra dei Progressisti insieme ai comunisti del PRC, e nel 1996 la coalizione di centro-
sinistra dell’Ulivo, nella quale è largamente maggioritario. Il PDS, nel 2007, insieme al PPI-
MARGHERITA e ad altri partiti minori, formerà il PD (PARTITO DEMOCRATICO – nome preso a
imitazione dell’omonimo partito americano).
-PRC (PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA). È il nome che assume nel 1991 la minoranza
del PDS, rimasta fedele al marxismo, a cui si aggiunge DEMOCRAZIA PROLETARIA.
DC:
Nelle elezioni del 1994 essa si spacca, dando luogo a vari partiti:
1) PATTO SEGNI. Partito personale dell’ex-DC Mario Segni, unico eletto nel 1994 (scompare).
2) CCD (CENTRO CRISTIANO DEMOCRATICO). Piccolo partito cattolico di centro destra, alleato di
Berlusconi.
3) PPI (PARTITO POPOLARE ITALIANO). È il più grosso partito cattolico, inizialmente diviso tra una
corrente di centro destra, favorevole ad un’alleanza con Berlusconi, e ad una di centro sinistra,
favorevole ad un’alleanza col PDS. L’ala destra nel 1995 si staccherà, formando il CDU, e confluirà poi
nel CCD. Il grosso del PPI si alleerà invece col PDS formando la coalizione dell’ULIVO. Nel 2000,
insieme ad altri partiti minori, il PPI assumerà il nome di MARGHERITA. Nel 2007, insieme ai DS,
formerà il PD (PARTITO DEMOCRATICO).
4) UDEUR-UDR, piccolo partito centrista, legato a Clemente Mastella, oscillante tra centro-destra e
centro-sinistra.
5) UDC, piccolo partito centrista, legato a Pierferdinando Casini, oscillante tra centro-destra e centro-
sinistra.
MSI:
Cambierà nome in AN (ALLEANZA NAZIONALE) e nel congresso di Fiuggi adotterà una posizione di
destra conservatrice, nazionalista e liberista.
VERDI:
Continuano ad esistere, ma a un certo punto per ottenere seggi in Parlamento dovranno associarsi ai
Progressisti e al PD.
Nota. Molti piccoli partiti della 1a Repubblica continuano ad esistere anche senza ottenere
rappresentanza parlamentare. Qualcuno si è associato ai grandi partiti, ottenendo qualche
rappresentante eletto nelle liste di questi ultimi.
I PARTITI NUOVI
FI (FORZA ITALIA). Fondato da Berlusconi nel 1994, partito liberale e liberista di centro-destra,
raccoglie personale di Fininvest e esponenti del PSI, del PLI e della DC. È alternativamente il primo o il
secondo partito e promuove la coalizione di centro-destra detta “Polo delle libertà”, in cui ha un’ampia
maggioranza. Insieme a AN, formerà nel 2001 il PDL (POPOLO DELLE LIBERTÀ).
IdV (ITALIA DEI VALORI). Piccolo partito di centro-sinistra fondato nel 1998 dall’ex-pubblico
ministero di Mani Pulite Antonio Di Pietro. Al centro del suo programma c’è la lotta contro la
corruzione.
SEL (SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTÀ). Fondato nel 2009 da Niki Vendola e altri, riunisce
associazioni politiche di sinistra di ispirazione socialista ed ecologista. È rappresentato dal 2013 in
Parlamento grazie alla coalizione con la lista PD. Alle europee del 2014 SEL ha dato il suo sostegno alla
lista L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS (contro la politica di austerità della CE).
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M5S (MOVIMENTO 5 STELLE). Fondato nel 2009 da Grillo e Casaleggio, esso si considera un “non-
partito” e rifiuta il posizionamento destra-sinistra. Nel suo programma c’è il risanamento dell’ambiente,
la lotta contro la corruzione e contro le posizioni dominanti in economia, la trasformazione della
democrazia rappresentativa in democrazia partecipativa.
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competitivi (naturalmente in relazione con l'alto livello qualitativo della manodopera europea),
libertà di movimento dei capitali, efficienza della pubblica amministrazione e in genere dei
servizi, alto livello della ricerca scientifica e tecnologica e della formazione professionale.
Nonostante questo atteggiamento prudente, tutto orientato a facilitare gli investimenti
e timoroso di scoraggiarli attraverso salari troppo alti e spese sociali eccessive, il mercato
finanziario internazionale all’inizio ha accolto male l'euro e dimostrato di preferire ad esso il
dollaro. D'altra parte, nessun importante paese europeo, tranne l'Inghilterra, ha smantellato il
sistema di Welfare in modo così radicale come gli Stati Uniti: il lavoro di conseguenza in
Europa per adesso è ancora più caro e più tutelato dalla legge che negli U.S.A. e la
tassazione per le spese sociali nei nostri paesi resta più alta. Questo in parte spiega la
preferenza degli investitori per i nostri concorrenti (soprattutto per quegli investimenti in cui il
lavoro è una significativa componente delle spese), cosicché il tasso di disoccupazione è
decisamente maggiore in Europa che oltre Atlantico (circa il doppio); ma va anche detto che
le statistiche statunitensi, diversamente da quelle europee, classificano come lavoro anche
gli impieghi temporanei che non danno diritto a trattamento pensionistico.
Mentre proseguiva la sua unificazione sul piano monetario, la Comunità non
trascurava nemmeno quella sul piano politico. Proprio in seguito alla caduta del muro di
Berlino essa ha fatto uno sforzo particolare per rafforzarsi in tal senso. L'ampliamento della
Germania Federale, che ha assorbito una ventina di milioni di tedeschi orientali, ha
modificato i delicati equilibri europei. Questo Stato inoltre ha cominciato ad esercitare
un'influenza politica significativa sui paesi ex-comunisti, che si è vista in particolare quando il
governo Kohl riconobbe alquanto prematuramente, anticipando i partner europei,
l'indipendenza della Slovenia e della Croazia nel 1991, con conseguenze decisive sul
processo di destabilizzazione della Jugoslavia.
IL TRATTATO DI MAASTRICHT DEL 92 RAFFORZA I POTERI
DELLE ISTITUZIONI COMUNITARIE RISPETTO AI GOVERNI
NAZIONALI E AMPLIA I POTERI DEL PARLAMENTO EUROPEO
Per riequilibrare la situazione c'è stata in seguito un'estensione e un approfondimento
del legame comunitario. L'estensione si è avuta con l'ingresso nel 1995 della Svezia, della
Finlandia e dell'Austria: poiché già nel 1985 erano entrati Spagna e Portogallo, gli Stati
membri sono ormai quindici. Quanto all'approfondimento esso è avvenuto, come è noto, con
il trattato di Maastricht del febbraio 1992, che trasforma ufficialmente quella che era fino ad
allora soprattutto una comunità economica in una "Unione Europea" in senso politico. Tale
trattato rafforza i poteri collettivi del Consiglio Europeo dei ministri rispetto a quelli dei singoli
Stati membri: esso prenderà d'ora in poi sempre più decisioni a maggioranza, soprattutto in
campo economico, mentre in precedenza erano molto estesi gli ambiti in cui era richiesta
l'unanimità. Benché il Consiglio resti pur sempre l'organo legislativo fondamentale, superiore
al Parlamento di Strasburgo, il secondo, eletto direttamente dai cittadini europei, ha visto
incrementato il suo potere, perché in alcuni casi può opporre un vero e proprio veto alle
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Conclusione.
L’economia globale neoliberista:
accelerazione e crisi
Loro devono solo obbedire e lavorare perché sono inferiori per natura.
1991: GUERRA DELL’ONU CONTRO L’IRAQ INVASORE DEL
KUWAIT
Tuttavia nel 1991 si produce un evento che ridimensiona le attese di una
democratizzazione globale che chiarisce il senso effettivo del Nuovo Ordine Mondiale: la
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nuova concezione, che hanno lasciato una forte traccia di radioattività in quell’area del paese
(anche questo fatto non ha avuto adeguata risonanza).
I MEDIA OCCIDENTALI HANNO GIUSTIFICATO LA GUERRA
SENZA METTERE IN LUCE I VERI MOVENTI ECONOMICI E
POLITICI DELL’OCCIDENTE
La copertura della guerra attraverso i media ebbe anche un'ampiezza senza
precedenti. La sua evidente legittimità dal punto di vista dei principi dell'O.N.U. doveva
far passare in secondo piano il fatto che le potenze occidentali si erano mosse per i
propri interessi economici primari. Ma questo era relativamente facile di fronte all'opinione
pubblica occidentale, mentre gli altri popoli non avrebbero dimenticato che moltissime palesi
violazioni del diritto internazionale lontane dalla rotta del petrolio erano state del tutto
trascurate.
L'aspetto più doloroso della vicenda è il fatto che, neppure dopo la sconfitta, il paese
è riuscito a sottrarsi alla dittatura di Saddam, e che da allora fino alla Seconda Guerra del
Golfo (2003), esso è stato periodicamente bombardato dagli aerei americani e inglesi per
rappresaglia contro la presunta violazione da parte del dittatore del divieto a possedere
armamento atomico, chimico e biologico, ed è stato sottoposto ad un embargo totale che ha
ridotto alla fame la popolazione, facendo morire un gran numero di bambini (sarà di nuovo la
pretesa detenzione di “armi di distruzione di massa”, mai trovate, che servirà a giustificare, in
un contesto diverso, la Seconda Guerra del 2003 e l‘invasione americana del paese)
LA GUERRA-SPETTACOLO RENDE MOLTO POPOLARE IL
PRESIDENTE BUSH (SENIOR) TRA GLI AMERICANI
Alcuni massmediologi, che ne hanno analizzato la copertura da parte dei media,
hanno visto nella prima guerra del Golfo contro l'Irak una sorta di guerra spettacolo. I
media riportavano le immagini satellitari notturne e le immagini dei computer militari
che facevano apparire il conflitto come uno straordinario videogame. Lo spettacolo
del movimento dei mezzi militari nel deserto è poi all’origine della moda dei suv. Di
fatto la guerra portò la popolarità di Bush senior, che era piuttosto bassa, a livelli
altissimi. Del resto più tardi anche il presidente democratico Clinton ha fatto ricorso a
spettacolari bombardamenti punitivi - contro l'Irak o anche contro paesi mussulmani
(come il Sudan) accusati di aver appoggiato il terrorismo integralista: i
bombardamenti sono avvenuti in stretta connessione con le sue difficoltà politiche,
verosimilmente per distrarre l'opinione pubblica dai problemi interni o per
riconquistarsela quando era oggetto di duri attacchi dei media e del parlamento.
LA FINE DEL COMUNISMO NON HA PORTATO LA FINE
DELL’USO MASSICCIO DELLA VIOLENZA, NÉ UN RILANCIO
DELL’ONU COME FORZA SOPRA LE PARTI, MA PIUTTOSTO LA
VITTORIA DELL’OCCIDENTE
A noi pare che si possa affermare che la guerra del Golfo abbia segnato la fine di
alcune speranze apertesi nell'89: essa ha chiarito che la fine del comunismo e del
bipolarismo non ha portato ad una riduzione sistematica dell'uso della violenza, e
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IL POLO UNICO
GLI USA, UNICA SUPERPOTENZA, RAFFORZANO LA LORO
LEADERSHIP
Come si è visto, la dissoluzione del polo sovietico non ha potuto certo far tornare il
mondo nella situazione precedente al nazismo, cioè ad un sistema multipolare di grandi
potenze; anche se non è più possibile far appello alla solidarietà in nome del pericolo
comunista, gli Stati Uniti - la superpotenza militare ed economica - restano il paese guida
dell'occidente e lo Stato egemone nella NATO.
Lasciata ormai dietro le spalle la crisi di leadership degli anni settanta, gli U.S.A. negli
anni novanta affermano il loro ruolo di gendarme dell'ordine mondiale, a guardia delle rotte
per le quali transitano le materie prime strategiche, e in genere della sicurezza del
commercio internazionale nell’interesse dell’occidente.
NEGLI ANNI 90 L’ECONOMIA AMERICANA SI É RICICLATA NEL
CAMPO DELL’ELETTRONICA ED É IN FASE DI RILANCIO
Negli anni novanta si è rivelata fallace anche la sensazione di un loro declino economico
almeno in termini relativi (cioè in rapporto al Giappone e all'Europa), che si aveva ancora nel
corso degli anni ottanta. L'economia americana, dopo il declino relativo dell'industria
tradizionale dell'automobile, si è infatti dimostrata in grado di riciclarsi nel campo
dell'elettronica, della telematica e della produzione dei contenuti mediali, mentre il
Giappone attraversava da alcuni anni una fase di gravi difficoltà e l’Europa mostrava un
minore dinamismo nel campo delle nuove tecnologie.
RUSSIA E CINA, BISOGNOSE DI INVESTIMENTI,
COLLABORANO AL NUOVO ORDINE MONO-POLARE
Come si è accennato, il rilancio della leadership americana è stato reso possibile
dall'indebolimento dell’URSS di Gorbaciov e dalla sua piena collaborazione in campo
internazionale, che ha permesso anche un rilancio della funzione dell'O.N.U. in termini
conciliabili con la funzione di gendarme mondiale degli Stati Uniti. Scomparsa l’URSS, la
Russia del nuovo presidente Eltsin, presa dai suoi problemi interni (guerriglia separatista in
Cecenia, favorita tra l’altro dallo spionaggio americano), non si sarebbe rivelata un grave
ostacolo. Il nuovo sistema “monopolare” sembrava dunque poter garantire saldamente
l'ordine mondiale, tanto più che la Russia e la Cina, bisognose di grandi investimenti stranieri
e desiderose di buoni rapporti commerciali con gli Stati Uniti e con i paesi ad essi legati,
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anche in seguito hanno entrambe dimostrato di essere disposte a cooperare (almeno fino
alla guerra del Kosovo). Inoltre, la fine del comunismo sovietico e la trasformazione della
Russia in una democrazia capitalistica (per quanto incompiuta e assai anomala) sembra aver
aperto un'era di omogeneità ideologica tra le potenze.
È disposta a collaborare anche la Cina comunista, che da decenni aveva rinunciato al
suo programma di rivoluzione mondiale contadina (ma non alle sue caratteristiche
autoritarie). Essa si era aperta progressivamente al commercio e agli investimenti
internazionali, realizzando un’economia mista di capitalismo concorrenziale e di capitalismo
di Stato, assai dinamica. La Cina nel 2001 potrà infatti aderire al WTO, cioè
all’Organizzazione Mondiale del Commercio d’ispirazione neoliberista, fondata nel 1995, il
cui fine è l’abolizione di tutte le tariffe doganali.
IL MONDO É ORMAI DISSEMINATO DI POTENZE NUCLEARI
La riduzione del sistema internazionale mondiale a un solo polo con una sola
superpotenza, è stata salutata giustamente come la fine del terrore atomico all'insegna della
mutual assured destruction (M.A.D.). Ad ogni modo, il mondo è ormai disseminato di
potenze nucleari grandi e piccole, che alla fine del secolo erano ufficialmente: Stati Uniti,
Russia, Cina, Inghilterra, Francia, India e Pakistan (mentre Bielorussia, Ucraina e
Khazakistan avevano rinunciato all'armamento nucleare ereditato dall'U.R.S.S. - in cambio di
crediti occidentali), e ufficiosamente Israele. Ma gli Stati che hanno i mezzi per costruirsi
un'atomica sono piuttosto numerosi (nel XXI° secolo la sperimenterà uno Stato relativamente
piccolo e arretrato come la Corea del Nord), senza parlare dell'eventualità che qualche arma
nucleare dell'arsenale sovietico sia stata sottratta e venduta all'estero durante i caotici
momenti della disgregazione dell'U.R.S.S. Resta solo la consolazione che le potenze minori
non sono in grado di scatenare un olocausto nucleare mondiale e, probabilmente, nemmeno
di colpire con i loro vettori le grandi potenze o i paesi ben difesi da missili SCUD - ma resta
sempre la possibilità di una guerra nucleare locale o di un attentato terroristico
nucleare.
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D'altra parte, in questo quadro, gli Stati Uniti hanno cessato di appoggiare le dittature
militari dell'America latina, che, sotto la spinta dei movimenti popolari democratici, si sono
venute trasformando quasi ovunque in regimi parlamentari (più o meno convincenti). Anche
in Asia orientale alla fine degli anni novanta alcuni regimi dittatoriali hanno avviato un
processo di trasformazione democratica: la Corea del Sud e Taiwan si sono ormai assestate
nella democrazia, mentre in Indonesia nel 1998 è stato esautorato il dittatore Suharto
(grande alleato dell'occidente, che negli anni sessanta aveva fatto massacrare oltre un
milione di sospetti comunisti) e il paese, dopo una difficile e sanguinosa fase di transizione,
ha raggiunto una relativa stabilità sotto una costituzione democratica presidenziale.
IL CROLLO DELL’URSS SIGNIFICA VITTORIA DELLA
DEMOCRAZIA CAPITALISTICA E DEL CAPITALISMO LIBERISTA
In questo quadro, il crollo dell'U.R.S.S. è stato visto come una vittoria della
democrazia capitalistica e del capitalismo liberista, e l’idea di una convergenza tra
capitalismo e socialismo è stata generalmente abbandonata [sulla "convergenza" si veda
sopra, KENNEDY E LA SUA POLITICA SOCIALE-L'"ETA' DELL'ORO" DEL WELFARE].
L'economia capitalistica è stata identificata di conseguenza con il capitalismo liberista, che
esclude esplicitamente ogni forma di economia mista, di programmazione economica di
Stato, di capitalismo riformato keynesiano e di welfare State. Secondo la teoria neoliberista,
l’unica economia considerata efficiente e degna di una società libera è quella in cui gli
individui singoli (senza la protezione dello Stato o di associazioni collettive come i sindacati o
le associazioni degli industriali, dei commercianti o degli artigiani) entrano in competizione
sul mercato in regime di libera concorrenza. Ma secondo la teoria si dovrebbe trattare di una
concorrenza perfetta e illimitata, che oggi però non esiste da nessuna parte, mentre la
deregolamentazione (deregulation) della concorrenza favorisce prima di tutto le grandi
multinazionali.
SCHEDA. LA CONCORRENZA PERFETTA
Concorrenza perfetta è quella in cui nessun agente economico ha il potere, con una singola operazione di
compra-vendita, di modificare i prezzi di mercato. Questo significa per esempio che non ha sufficienti
risorse per far fallire i concorrenti vendendo (per un certo periodo) le sue merci a prezzi bassissimi. Le
aziende (o i consorzi di aziende) che sono in posizione dominante in un mercato non perfetto p.es. possono
cercare di impedire in modo analogo a nuovi concorrenti di entrare in esso, ecc. Mercati come quello del
petrolio, dell’auto, del prestito bancario, dei farmaci, della produzione cinematografica, delle emissioni
televisive non sono e non sono mai stati in tempi recenti in una situazione di concorrenza perfetta .
D'altra parte l'occidente non ha più da temere il confronto con i paesi dell'est sul piano
della sicurezza del lavoro e dell'assistenza sociale, visto che i paesi dell'ex-blocco sovietico
da questo punto di vista oggi sono in una situazione peggiore della nostra.
LA PRETESA COINCIDENZA COMPLETA DI CAPITALISMO
LIBERISTA E DEMOCRAZIA LIBERALE
La concorrenza incontrollata e illimitata è stata così presentata dai governi
liberisti e dal Fondo Monetario Internazionale come via efficace per lo sviluppo dei
paesi sottosviluppati, e come opportunità effettiva di promozione sociale per
qualunque individuo nei paesi sviluppati. Non solo i governi, ma molti partiti e
movimenti, molte fondazioni culturali private e molti media hanno fatto del
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sotto la soglia della povertà (e queste tendenze striscianti continueranno fino alla
catastrofica crisi del 2008, che le accelererà bruscamente). Se negli U.S.A. negli anni
novanta è cresciuta l'occupazione, questo è perché si considerano come occupati anche i
lavoratori temporanei a bassi salari che non cumulano diritti al trattamento pensionistico. Nel
complesso la società americana (arciliberista) in tale periodo aveva maggiore povertà,
microcriminalità, disgregazione sociale e familiare, malessere urbano e disordine sociale
dell'Unione Europea (che conservava qualche traccia di Welfare State).
É AUMENTATA LA DISTANZA TRA I PAESI PIÙ RICCHI E QUELLI
PIÙ POVERI
Inoltre alla fine del secolo è aumentata anche la distanza tra i paesi più ricchi e
quelli più poveri, e alcuni paesi sottosviluppati, che hanno dovuto subire le ingiunzioni del
FMI (Fondo Monetario Internazionale), versavano in condizioni di assoluta miseria come
vent'anni prima, o anche peggio. Ma nel XXI° secolo in alcuni Stati già sottosviluppati la
produzione industriale è aumentata straordinariamente: la Cina, l’India e il Brasile sono
diventati così grandi potenze economiche. Tuttavia anche qui, in mancanza di un’adeguata
protezione sindacale e statale, si sono sviluppate grandi sacche di miseria urbana e
l’ambiente è stato fortemente degradato, mentre non è scomparsa la miseria contadina.
Comunque questi paesi, insieme alla Russia e al nuovo Sudafrica democratico (detti perciò
BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) hanno ormai la capacità di rendersi autonomi
dal FMI e stanno cominciando a organizzarsi in tal senso.
TRUST E CARTELLI LIMITANO SEMPRE PIÙ LA CONCORRENZA
DI MERCATO
Torniamo al neoliberismo. Perché ci sia concorrenza perfetta non è sufficiente
che lo Stato rinunci a regolare l'economia e a possedere imprese, ma è necessario
anche che il mercato non sia dominato da trust (immense concentrazioni industriali o
commerciali capaci di condizionare i prezzi del proprio settore) o da cartelli (tacite intese tra
un gran numero di aziende di uno stesso settore, egualmente capaci di condizionare i
prezzi). Il neoliberismo da parte sua ha promosso la privatizzazione delle imprese
capitalistiche di Stato e la deregulation delle compagnie private sotto controllo pubblico nei
servizi essenziali. In qualche caso (rarissimo) si sono anche obbligate grosse società
capitalistiche a smembrarsi in società più piccole: il caso più noto è quello della compagnia
americana ATT, smembrata da Reagan nel 1984 in sette diverse società.
LA TENDENZA ALLA CONCENTRAZIONE DEL POTERE
ECONOMICO RIGUARDA ANCHE I MEDIA E LA NEW ECONOMY
Ma la tendenza delle multinazionali - anche nel settore divenuto trainante
dell'informatica, della telematica e dei media - era e resta quella della concentrazione
del potere economico in poche imprese sempre più grandi. È vero che dagli anni ottanta
in poi sono nate numerosissime nuove imprese. Tuttavia, molte imprese insieme possono
essere controllate da pochi soggetti attraverso le partecipazioni azionarie o attraverso il
credito; gigantesche aziende possono allearsi tra loro contro i consumatori, contro le imprese
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più piccole e addirittura contro quei governi che non realizzino politiche a loro favorevoli.
NEGLI ANNI 90 CLINTON HA ATTENUATO LE NORME
ANTITRUST SIA IN CAMPO FINANZIARIO CHE NEL CAMPO
DELLE TELECOMUNICAZIONI
Le grandi imprese non sono state favorite solo dal neoconservatore repubblicano
Reagan, ma anche dal democratico Clinton (presidente dal 1993 al 2000). Nel 1999 egli ha
abolito i vincoli al mercato finanziario che erano stati stabiliti dopo la crisi del 1929. Era
stato infatti proibito alle banche che raccoglievano i risparmi delle famiglie di investirli in
campo finanziario acquistando titoli azionari ed ed obbligazioni. Anche in seguito a questa
deregulation, tale mercato, che già era accelerato dall’impiego della telematica e
dell’informatica nella compra-vendita, è ulteriormente cresciuto fino ad un valore di decine di
volte superiore a quello del mercato dei beni e dei servizi (cioè delle cose reali).
Inoltre nel 1996 Clinton aveva indebolito le norme antitrust nel campo delle
telecomunicazioni favorendo la formazione in questo settore di colossi americani
capaci di imporsi sul mercato globale. Anche l’Europa comunitaria nello stesso periodo
aveva abolito i monopoli statali sulla telefonia e un analogo processo si era svolto in
Giappone. Tuttavia i gruppi più temibili a livello globale restavano quelli americani.
In sostanza, negli Stati Uniti una mezza dozzina di compagnie negli anni novanta è
diventata proprietaria della stragrande maggioranza di giornali, periodici, case editrici,
televisioni, servizi e canali via cavo, servizi satellitari e case di produzione cinematografica.
Per avere un’idea del peso economico di questi colossi e di altri affini, si tenga conto che già
nel 1995 il fatturato della sola A.T.T (oltre 75 miliardi di dollari) e quello dell’I.B.M. (poco
meno di tale cifra) erano di poco inferiori al Prodotto Interno lordo del Portogallo (circa 90
miliardi di dollari) e decisamente superiori a quello dell’Egitto (una sessantina di miliardi).
Quest’ultimo in quell’anno era più o meno pari a quello della Microsoft.
***
Parliamo ora dell'unica potenza comunista (o sedicente comunista) superstite, la Cina.
Essa negli anni 90 ha aperto all'economia capitalista una parte del suo territorio e sembra
seguire il modello di Taiwan negli anni ottanta: dittatura in politica e libero mercato in
economia. In alcune aree le aziende cinesi sono restate in mano ai poteri pubblici, ma ad
esse è stata lasciata una crescente autonomia gestionale. Ma quello che attraeva i capitali
occidentali era l’amplissima disponibilità di manodopera sottopagata e disciplinata, non
difesa da liberi sindacati. La mancanza di un’opinione pubblica democratica e di libere
associazioni di cittadini permette poi alle industrie di inquinare senza problemi.
Contemporaneamente la cultura confuciana sembra stimolare particolarmente la laboriosità
e la disciplina.
LO SVILUPPO CAPITALISTICO PUÒ FARE BENISSIMO A MENO
DELLA DEMOCRAZIA (IL CASO CINESE)
E' notevole che in Cina si siano affermate precocemente e con grande successo quelle
riforme economiche che l'U.R.S.S. non poté compiere e che la Russia in seguito ha
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compiuto in modo piuttosto inefficiente. Questo insieme di fatti sembra confermare due tesi
che abbiamo già esposto in precedenza: 1)lo sviluppo capitalistico, per un periodo di
lunghezza indeterminata, può fare benissimo a meno della democrazia (quindi non è
affatto vero che libertà e capitalismo coincidano); 2)la scarsa produttività dell'Unione
Sovietica era almeno in parte collegata a una difficoltà di adattamento della cultura
slava ortodossa al mondo moderno e non dipendeva esclusivamente dal sistema
economico socialista, tanto è vero che all’inizio del primo decennio del XXI° secolo, dopo
ormai quindici anni dai primi tentativi di riforme capitalistiche, il PIL (Prodotto Interno Lordo)
russo restava notevolmente al di sotto di quello del periodo socialista9.
LA CONTRAPPOSIZIONE CAPITALISMO-COMUNISMO NON PUÒ
SPIEGARE TUTTO
Non solo in politica, dunque, ma anche in economia, la contrapposizione tra due
sistemi ideologici (capitalismo - comunismo) non è affatto in grado di spiegare tutto,
ma è necessario ricorrere a ipotesi più complesse. Il pensiero unico degli anni 90 sembra
acriticamente legata alla contrapposizione Noi-Loro - Noi liberali e capitalisti, Loro
totalitari e comunisti - che era solo l'aspetto ideologico della guerra fredda.
In conclusione gli schemi ideologici neoliberisti (ereditati dalla guerra fredda e dal
neoconservatorismo reaganiano) assumevano dopo il 1989 una forma paradossale:
Noi, l'Impero del Bene e i suoi alleati (di cui facevano parte, almeno provvisoriamente e con
guerriglia in Colombia e altrove (mentre chi non accettava le ricette del Fondo Monetario
9
Beninteso, la fase di grave recessione che ha colpito la Russia dopo la fine del comunismo ha una
molteplicità di cause di cui non è facile stabilire la priorità. Tra l'altro la disgregazione politica del blocco
orientale ha comportato anche la disgregazione organizzativa del suo grande sistema economico integrato
(K. Modzelewski, Dopo il comunismo, dove? Milano, Anabasi 1993). Ma una responsabilità va imputata
anche alle potenze democratiche. E' questa l'opinione del ricchissimo finanziere Georg Soros, che ha tentato
invano di spingere i governi occidentali a finanziare la riconversione dell'economia orientale, prima che la
caduta del sistema si avvitasse su se stessa e che le forze speculative e mafiose se ne impadronissero.
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facendone personaggi familiari e in fondo ordinari, come tutti quelli che appaiono di
frequente sul piccolo schermo. Contribuiscono poi ad abbassarne il profilo anche le inchieste
che i media conducono sulla loro vita privata. Le scelte politiche dei cittadini sono sempre
meno mosse dalla convinzione e dalla passione.
LA BIPOLARIZZAZIONE SOCIALE TRA IL BLOCCO CAPITALISTI-
-CETI MEDI E IL BLOCCO OPERAIO TENDE A SCOMPARIRE
Naturalmente la tv e gli altri media fanno parte di un sistema di influenze reciproche in
cui è difficile capire quale sia la causa e quale sia l’effetto. Si parla anche di una crisi
generale, nel mondo moderno, delle grandi ideologie e delle stesse confessioni religiose, che
ha tolto mordente alle passioni politico-ideologiche. Anche la demoralizzazione progressiva
dei movimenti contestativi e rivendicativi degli anni sessanta-settanta ha privato il sistema
politico di un avversario culturale contro cui prima era urgente reagire. E alla fine la
scomparsa del nemico sovietico ha tolto un altro motivo di mobilitazione.
Soprattutto, con il passaggio alla società postindustriale, l’aumento in percentuale dei
colletti bianchi e degli addetti ai servizi e la diffusione del benessere, la tensione tra il blocco
sociale capitalisti-ceti medi e il blocco operai-ceti bassi si è allentata fin quasi a diventare
irrilevante. Così anche la differenziazione tra l'ideologia conservatrice e quella di tipo
laburista tende ad attenuarsi e addirittura a scomparire. Nel frattempo la nuova area
conflittuale è piuttosto quella degli esclusi (disoccupati, emarginati, immigrati) che non
riescono a costituire uno stabile blocco sociale né a creare un’organizzazione comune ai
diversi sottogruppi.
Il progressivo ridimensionamento del peso dell'ideologia si è venuta intrecciando con
gli sviluppi della nuova "società dello spettacolo", in cui l'entusiasmo per gli ideali e il
fascino dei concetti sembrano superati dalla forza persuasiva dell'immagine. La
politica diventa una questione principalmente di persone, di leader, e al tempo stesso un
fatto spettacolare, in cui l'abilità teatrale dei protagonisti sembra prevalere sui valori da loro
difesi e sui programmi da loro proposti.
La "fine delle ideologie" e la politica mediale sono state però viste con favore da
diversi analisti perché permettono un approccio diretto tra i politici e la gente, saltando la
mediazione degli apparati di partito e realizzando una sorta di "democrazia mediale". Ma un
inconveniente di tale "democrazia mediale", prima negli U.S.A. e poi in Europa, è il gonfiarsi
dei costi delle campagne elettorali, che rende sempre più importanti le lobbies che le
finanziano.
Nei partiti popolari e soprattutto operai europei l'elemento determinante è stato per
lungo tempo l'attivista appassionato che (oltre a raccogliere fondi) scrive documenti e
volantini, li distribuisce, attacca i manifesti, vende il giornale e le pubblicazioni del partito e ne
diffonde le idee. Ma questi partiti si sono gradualmente trasformati. Essi sono diventano
progressivamente burocrazie e comitati elettorali che affidano la propaganda ad agenzie
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esterne e quindi dipendono sempre di più dai grossi finanziamenti, mentre i giornali di partito
sono in decadenza, spesso sostituiti dalla tv.
I MILITANTI SINDACALI E POLITICI E LE PERSONE ISTRUITE
UNA VOLTA SERVIVANO DA INTERMEDIARI TRA L’UOMO
COMUNE E LA GRANDE POLITICA. NEGLI ANNI 80-90 LA TV
TENDE A SOSTITUIRLI
Causa di questa trasformazione dei partiti è non solo la crisi della militanza legata alla
fine dei movimenti e delle ideologie (cui abbiamo accennato), ma anche il nuovo rapporto
diretto leader-telespettatori. In effetti non solo i funzionari di partito, ma anche i militanti
di base sono resi impotenti dai media: una volta il militante sindacale e politico, o
semplicemente l'uomo più istruito, informato e impegnato di un certo ambiente, fungevano,
attraverso la lettura di giornali e bollettini, da mediatori tra il mondo della grande politica e
l'uomo comune. Alla fine dl XX° secolo invece l'immagine televisiva offre a tutti gli
avvenimenti del mondo intero come presenti in casa propria, sottoposti all’immediato giudizio
dei telespettatori. Egualmente li mette in diretto contatto con i massimi leader. Non per
questo però li mette in grado di interpretare i fatti economici e politici che presenta loro, né
l'uomo comune è sempre in grado di capire da solo quali sono i trucchi propagandi stici dei
media.
LE DISCUSSIONI COMUNITARIE FACCIA A FACCIA SONO
SEMPRE PIÙ SOSTITUITE DALL’INFORMAZIONE TELEVISIVA, IN
MANO ALLE CONCENTRAZIONI MONOPOLISTICHE
In effetti le discussioni di politica all'osteria, nelle sedi dei partiti o dei sindacati,
sul posto di lavoro o in parrocchia, o in qualche ritrovo o associazione sono state
sempre più sostituite dalla ricezione isolata dell'informazione televisiva, in cui può
farsi sentire di più chi più ha denaro e controlla più mezzi d'informazione. Anche le
tecniche di marketing e di sondaggio per conoscere i gusti e gli orientamenti del pubblico
costituiscono un importante strumento per la modulazione del messaggio da parte del
leader.
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di Claude Lelouch. Nel XXI° secolo diventerà poi presidente François Sarkozy, in stretti
rapporti con i proprietari dei grandi media privati, che lo hanno appoggiato nelle sue
campagne elettorali, anche lui al centro dei gossip dei media per quanto riguarda la sua vita
privata, e protagonista di scandali e di indagini giudiziarie (lo storico dei media Pierre Musso
parlerà a questo proposito di “sarko-berlusconismo”, mettendo in parallelo le carriere di
questi due politici).
RUPERT MURDOCH, IL PADRONE DI UNA MULTINAZIONALE DEI
MEDIA ESTESA SU DIVERSI CONTINENTI, HA MOLTEPLICI
INFLUENZE POLITICHE
Ma altri legami tra i media e la politica assumono una forma più indiretta e per questo
forse anche più insidiosa. Il grande capitalista australiano Rupert Murdoch, già padrone
di una catena di periodici e di altri media al suo paese, negli USA possiede una delle più
grandi case di produzione cinematografica, la Twenty Century Fox, ha lanciato una catena
tv, la FoxTV, che si affiancata alla NBC, alla CBS e all’ABC, che in precedenza erano
insieme in posizione dominante, e ha squadre di baseball, giornali, ecc. Egli (che ha tentato
alla fine del secolo di comprare Mediaset in Italia) in Inghilterra controlla una catena di tv
e di giornali (tra cui il prestigioso Times). E' singolare che la vittoria dei laburisti di Blair
(il cui programma economico, come si è accennato, non si distacca molto dal neoliberismo) è
avvenuta in coincidenza con lo spostamento dell'appoggio di Murdoch dai
conservatori al loro partito.
Come si sa, nel nuovo secolo l’impero di Murdoch si è venuto estendendo in vari
paesi europei, tra cui l’Italia. Il duopolio Rai-Mediaset, che dagli anni ottanta domina il
mercato televisivo, è stato sostituito, con la diffusione di Sky, tv satellitare a pagamento, da
un “triopolio”, che è destinato comunque ad avere ricadute sull’opinione pubblica e sulla
politica, per quanto non così visibili come quelle del precedente duopolio.
Comunque, negli USA nelle elezioni del 2000 la maggior parte dei grossi media era
nelle mani di proprietari filo-repubblicani e conservatori – non solo Murdoch ma anche, p.es.,
Disney. Anche la Microsoft, che ha subito vari processi per violazione delle norme antitrust,
negli anni novanta ha appoggiato l’uomo d’affari e petroliere George Bush senior,
considerato malleabile in questo campo, mentre FoxTv di Murdoch nel 2000 ha parteggiato
apertamente e appassionatamente per suo figlio George Bush junior, al punto di dare
l’annuncio della sua vittoria in anticipo, quando essa ufficialmente non era ancora certa
(l’elezione è poi risultata irregolare almeno per quanto riguarda il voto in Florida, in cui era
governatore il fratello di Bush junior)10.
ROSS PEROT, UN CAPITALISTA CHE FA POLITICA IN PRIMA
PERSONA, PARTECIPA ALLE PRESIDENZIALI USA
Un fenomeno ancora diverso è il discreto successo di Ross Perrot alle due elezioni
presidenziali americane degli anni 90. Non si tratta specificamente di un padrone di tv, ma
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Su questa vicenda si può vedere il film documentario di Michael Moore Farenheit 9/11, sulle elezioni del 2000, sui
fatti dell’11 settembre 2001 e anche sul rapporto tra la famiglia Bush (petrolieri) e la famiglia Bin Laden (costruttori
edili).
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comunque di uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, che poteva rivolgersi direttamente
agli elettori attraverso i mass media a titolo personale e saltare la tradizionale mediazione dei
due grandi partiti, del loro apparato e delle loro lobbies, visto che poteva pagarsi
integralmente una campagna elettorale dai costi astronomici.
L'alta percentuale di voti conseguita da Ross Perrot in due elezioni successive (il 19%
per cento nelle presidenziali del 1992 e l’8% in quelle del 1996) sembra un sintomo della
forza nella vita politica americana sia dei media sia dell'ideologia neoliberista, che esalta i
valori dell'individualismo e dell'imprenditorialità, e che dà per scontato che ciò che promuove
l'interesse privato capitalistico automaticamente promuova anche l'interesse pubblico (il
senso comune di una volta suggeriva piuttosto il contrario)
In precedenza, invece, gli outsider che si erano presentati alle presidenziali fuori dai due partiti
tradizionali hanno costituito un fenomeno piuttosto modesto. Anche se gli Stati Uniti sono più di ogni
altro il paese dell'individualismo capitalistico e dell'impresa privata, un caso come quello di Ross Perot
non s'era mai verificato prima. Per esempio, un grande magnate come Randolph Hearst, proprietario di
una gigantesca catena di giornali popolari, partecipava in tutti i modi ai giochi della politica e dopo il 1898
aveva influito in particolare sull'ascesa del futuro presidente Theodor Roosevelt, ma non si presentò mai
di persona alle elezioni. Non solo la classe dirigente, ma verosimilmente anche l'elettorato popolare non
avrebbe gradito la concentrazione nella stessa persona di un grande potere politico e di un grande potere
economico e mediale.
LA DOTTRINA DELLA GIUSTIZIA DI MICHAEL WALZER CONDANNA
LE CONCENTRAZIONI DEL POTERE POLITICO E DEL POTERE
ECONOMICO E SOCIALE
Certo, la dottrina liberale tradizionale condanna solo l'unificazione dei tre poteri politici
classici, il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, e non si preoccupava per il potere
economico. Ma tale dottrina è stata elaborata in periodi storici in cui i proprietari di imprese
manifatturiere e commerciali erano mediamente meno ricchi dei grandi proprietari terrieri, e
nessuno comunque aveva concentrazioni di ricchezza tali da poter essere paragonate con
gli odierni trust. Invece alla fine del XX° secolo l'estensione delle più grandi imprese era tale
che il loro eventuale congiungimento con i gradi più alti dell'autorità politica costituiva un
potere sociale complessivo decisamente temibile. La teoria liberaldemocratica del filosofo
americano contemporaneo Michael Walzer (cfr. Walzer, Sfere di giustizia) suggerisce che
non solo la concentrazione dei tre poteri politici nelle stesse mani, ma anche la
congiunzione del potere politico con altri tipi di potere sociale (economico, culturale,
religioso, ecc.) viola le norme fondamentali della giustizia.
Bisogna dire però che la legge americana si occupa di questo problema (detto
“conflitto di interessi”), per cui a Ross Perot, candidato alle presidenziali, e a chiunque possa
approfittare della sua posizione politica per favorire le proprie imprese è stato imposto il blind
trust: l'eletto viene privato del controllo del suo patrimonio, che viene affidato ad
amministratori fiduciari che non siano sospettabili di collusione con lui.
Ma se il blind trust ha il fine di impedire che il capitalista eletto una volta al governo
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favorisca le sue aziende, non può evitare l'ingiustizia di fondo: il fatto che in generale chi ha
un patrimonio più grosso degli altri abbia più probabilità di accedere al potere politico (e da lì
cerchi eventualmente di rafforzare il suo potere economico). Questa ingiustizia è in qualche
modo connaturata con la democrazia capitalistica (si pensi solo al riconoscimento ufficiale
delle lobbies degli imprenditori negli U.S.A.). Ed essa finora è stata, con tutti i suoi limiti,
l'unica forma di democrazia realmente funzionante, dato che la democrazia sovietica e le
democrazie popolari sperimentate all’est non sono state veramente né democratiche né
liberali.
Ma non è detto che qualunque tipo di capitalismo sia compatibile con la democrazia
liberale. Il potere dello Stato nazionale diminuisce di fronte al potere esterno del capitale
globale, che minaccia di investire solo dove trova le condizioni per lui più vantaggiose (come
la limitazione o l’abolizione del diritto di sciopero e un basso livello della tassazione per
finanziare l’assistenza sociale), e di fronte al potere interno dei capitalisti che estendono la
loro influenza sul sistema elettorale. Tutto ciò sta restringendo ancora i limiti della nostra
democrazia, col rischio di soffocarla.
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lo fu mai) la situazione aperta dalle sentenze della Corte Costituzionale sul diritto dei privati
ad ottenere concessioni delle frequenze tv analogiche solo in ambito locale: mancava una
legge complessiva soddisfacente sui media, e non c’era un sistema per mettere in pari
condizioni i candidati di fronte alle spese elettorali.
UNA LEGGE DEL 1957 VIETA LA CANDIDATURA POLITICA A CHI É
TITOLARE DI CONCESSIONI STATALI. MA NON VIENE APPLICATA
A BERLUSCONI E AI SUOI MANAGER
Ma anche le leggi vigenti erano spesso disattese senza conseguenze. Una legge del
1957 vieta di candidarsi alle elezioni politiche a chi sia titolare di ditte che hanno concessioni
statali. E le frequenze tv sono concesse dallo Stato. Considerando solo gli anni 90 (ma il
fenomeno è continuato fino ad oggi), nelle elezioni del 94 e del 96 questa legge è stata
interpretata dalle commissioni elettorali in modo veramente elastico, dato che Cecchi Gori,
padrone di Tele Montecarlo, e naturalmente Silvio Berlusconi e diciassette manager del suo
gruppo si sono candidati. E' notevole anche il fatto che essi siano stati eletti, perché ciò
mostra che i cittadini italiani non hanno una particolare sensibilità per il problema della
concentrazione del potere.
Certo, tutto questo non costituisce una novità assoluta. Non c'è dubbio che, ben
prima del 94, l'elezione di Umberto Agnelli nelle file democristiane e quella di Susanna
Agnelli in quello repubblicane costituiscano un precedente negativo: in effetti la Fiat, anche
se la sua attività non dipende essenzialmente dalla concessione dello Stato (come invece
quella delle tv private) è stata comunque in un rapporto continuo con esso per appalti di
forniture di materiale ferroviario, tranviario, militare e chi più ne ha più ne metta, in evidente
conflitto di interessi. Ma non si può negare che proprio con la cosiddetta "seconda
repubblica" il rischio di un intreccio permanente di interessi privati e di interessi pubblici
abbia raggiunto un livello mai visto, sia per la crescita continua dei trust in tutti i settori, sia
per la spinosa questione mediale: oltre che delle tre tv nazionali Berlusconi è proprietario di
Pubblitalia -che ha in mano l'intero settore della distribuzione delle inserzioni pubblicitarie sui
media-, delle edizioni Mondadori e di numerosi quotidiani.
LE “ANOMALIE” DI BERLUSCONI E IL SUO CONFLITTO
D’INTERESSI
Il primo governo Berlusconi (1994-1995) conteneva in sé varie anomalie.
-Berlusconi aveva ricordato in campagna elettorale il pericolo comunista e non
mancava di ricordarlo nemmeno al governo, di fronte a un partito, il PDS, che non solo aveva
cambiato nome e statuto, ma che aveva una tradizione di lealtà costituzionale e di legalità, e
che inoltre non poteva essere considerato un emissario dell’URSS, visto che questa non
esisteva più da anni.
-Il padrone della principale tv privata poteva disporre della TV di Stato e molti suoi
parlamentari erano ex manager Fininvest o suoi avvocati.
-Nel suo governo convivevano un partito post-fascista (il MSI-AN) decisamente
nazionalista e un partito come la LEGA, che era, a fasi alterne, federalista o secessionista.
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Le mafie del XXI° secolo si presentano come “mafie dei colletti bianchi”, come
associazioni occulte che mescolano affari, politica, traffici illeciti, controllo del voto, tangenti e
appalti di opere e di servizi pubblici. Esse, che già dopo il 1992-93 hanno abbandonato il
metodo delle grandi stragi terroristiche, evitano in seguito anche il ricorso troppo visibile alla
violenza, che allarma l’opinione pubblica e scatena campagne mediatiche. Un loro grande
settore di intervento, come è noto, è il traffico di rifiuti industriali nocivi, che vengono smaltiti
in discariche abusive in aree controllate dalla criminalità organizzata. Qui è decisiva anche la
complicità di molti industriali, che si sbarazzano dei rifiuti tossici in modo illegale per
risparmiare le spese di uno smaltimento altrimenti molto costoso.
Nonostante l’attivismo di associazioni come il Gruppo Abele, Libera e Legambiente, la
sensibilità dei cittadini per il problema delle mafie non è molto alta. Si pensi solo che
Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi e manager di Publitalia, condannato per mafia
in maniera definitiva, era stato eletto in Lombardia. Viene in mente Enzo Jannacci, che
cantava, con accento milanese: “Quelli che... la mafia, a me non mi risulta”.
Del partito di Berlusconi è stato detto da giornalisti e da analisti già nel 1994 che esso ha
avuto un particolare successo elettorale nei territori a forte presenza mafiosa, come era già
stato per Andreotti. Ma nemmeno il centro-sinistra ne è indenne, già agli inizi. È stato rilevato
infatti che l’UDR di Clemente Mastella, che è entrato nella maggioranza di centro-sinistra nel
1998 per sostenere il governo di Massimo d‘Alema dopo l’abbandono di Rifondazione
Comunista, aveva infiltrazioni mafiose12. Purtroppo un discorso complessivo sui rapporti
mafia-politica nel periodo successivo richiederebbe uno spazio molto grande. Perciò
interrompiamo qui la narrazione dei fatti della seconda repubblica. Li proseguiremo in un
nuovo testo che tratterà del XXI° secolo.
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Letizia Paoli, Fratelli di mafia, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 287.
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schierava l’una contro l’altra due superpotenze nucleari e i loro alleati su di un fronte politico,
militare, economico e ideologico.
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sorge quando questi principi sono usati per difendere gli interessi occidentali.
MA NON SOLO LA CIVILTÀ EUROPEA LO HA FATTO
Del resto non solo gli occidentali hanno elaborato di recente teorie universalistiche
(che hanno cioè la pretesa di valere per tutti gli uomini). Anche la dottrina del Satiagraha (o
della nonviolenza) di Gandhi è universalistica: egli ha utilizzato concetti indù, islamici e
cristiani e aveva anche una ricca cultura laica di matrice occidentale. La scarsa fiducia di cui
gode l'O.N.U. verosimilmente dipende molto più dalla sua mancanza di credibilità - per
essere stata troppo condizionata dagli interessi delle superpotenze - che dalle differenze tra
“noi” e “loro” (le altre civiltà).
A questo tentativo era seguita una guerra tra Serbia e Croazia, alla fine della quale la
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Croazia aveva mantenuto tutto il suo territorio iniziale, mentre una gran massa di serbi già
residenti in esso ne erano fuggiti. Il secondo era stato la terribile guerra civile della
repubblica di Bosnia-Erzegovina, in cui cattolici croati, sostenuti dalla Croazia, ortodossi
serbi, sostenuti dalla Serbia, e mussulmani bosniaci con un esiguo sostegno dell'O.N.U. e
della comunità internazionale si erano spartiti il territorio soprattutto a danno dell'etnia
mussulmana, oggetto di massacri ed espulsa da molte aree che tradizionalmente abitava. Il
risultato di questo conflitto era stata la formazione in Bosnia di una sorta di Repubblica
Federale, composta da tre Stati in sostanza ostili tra loro (uno cattolico, uno mussulmano e
uno serbo-ortodosso), tenuti insieme soprattutto dalla volontà dell’ONU e della comunità
internazionale.
In questi conflitti i paesi occidentali avevano mostrato in genere una chiara simpatia
per la Croazia (appoggiata diplomaticamente soprattutto dalla Germania) e una netta ostilità
nei confronti dello Stato Serbo, acuita dall’atteggiamento ultra nazionalista di questo Stato e dalle
stragi compiute in Bosnia da paramilitari bosniaci di etnia serba.
I BOMBARDAMENTI NATO DELLA SERBIA NEL 1999 E I
CONSEGUENTI DISASTRI ECOLOGICI
La guerra della N.AT.O. del 1999, giustificata con il diritto dei popoli
all’autodeterminazione, ha usato però contro la popolazione civile serba le forme di
terrorismo tecnologico già sperimentate in Irak. La N.A.T.O. non ha voluto intervenire con le
truppe di terra perché questo le avrebbe causato un costo insopportabile in vite di cittadini-
elettori degli Stati membri e ha affidato ai professionisti dell'aviazione il compito di colpire
obiettivi militari, stradali e industriali, promettendo di non mettere a repentaglio la vita dei
civili serbi (“bombardamenti chirurgici”). Tuttavia almeno un migliaio di civili sono morti nei
bombardamenti e molte migliaia di persone moriranno in futuro non solo in Serbia, ma anche
nelle nazioni vicine per l'avvelenamento ambientale provocato dalle industrie chimiche
bombardate e per l'uso di materiale bellico radioattivo (si tratta dei proiettili all’uranio
impoverito, che da allora sono in uso praticamente in qualunque conflitto). L'economia
serba ha subito danni incalcolabili e l'ecosistema del Danubio (che coinvolge Ungheria,
Serbia, Romania e Bulgaria) è stato alterato in modo probabilmente irreversibile.
LA NATO MOSTRA LA SUA DETERMINAZIONE NEL MANTENERE
L’ORDINE
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Secondo l'atto di accusa contro Milosevic del giudice del tribunale internazionale dell'Aja, Carla Dal Ponte,
i kosovari massacrati sono circa tremila ottocento. Benché anche questa cifra sia spaventosa, quelle diffuse
inizialmente dai governi occidentali (decine di migliaia, o addirittura centinaia di migliaia - in particolare
secondo D'Alema) sono evidentemente sproporzionate e tendenziose.
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Abbiamo già visto che le conseguenze sociali consistono nel fatto che, mentre cresce
la ricchezza complessiva, aumenta la distanza tra i più ricchi e i più poveri sia
all'interno del nostro mondo, sia nel rapporto tra il nostro mondo e i paesi del Sud, e
aumenta anche in termini assoluti il numero di quanti sono al di sotto della soglia di
povertà.
Nel XXI° secolo, in particolare dopo la crisi economica del 2008, tutte queste tendenze si
accentueranno ancora. Gli USA, all’avanguardia nello sviluppo delle nuove tecnologie, lo
sono anche per quanto riguarda l’aumento delle diseguaglianze e della flessibilità e
precarietà del lavoro, e questo porta alla fine ad una reazione dei ceti popolari. Infatti con le
elezioni del 2008 per la prima volta un nero, Barak Obama, sale alla presidenza con un
programma di riforme sociali, che saranno realizzate solo in piccola parte per l’opposizione
del parlamento. Egli porrà alcuni limiti ai movimenti del capitale finanziario, senza però che si
possa dire che l’egemonia dei grandi capitalisti liberisti sia cessata.
Nel Sud del mondo l’aumento della miseria, insieme alle numerose guerre interstatali
o civili, ai conflitti etnici e alle trasformazioni ambientali -come la desertificazione del Sahel- è
una delle cause fondamentali dell'emigrazione. Ma essa è resa possibile, almeno per le
prime ondate di migranti regolari, dalla potenza degli attuali mezzi di trasporto e dalla
diffusione capillare del messaggio dei nostri media, che alimenta il mito dell'occidente come
terra del benessere e del progresso.
LA CONCORRENZA DELLE GRANDI MULTINAZIONALI PORTA LA
DISOCCUPAZIONE NEL SUD DEL MONDO E LA FORZA LAVORO IN
ECCEDENZA EMIGRA VERSO IL NORD
C'è dunque una sorta di ciclo nell’economia globalizzata degli anni ottanta e novanta:
A) noi mandiamo nel Sud del mondo 1)le merci a buon mercato delle nostre multinazionali
(magari uscite dalle catene di montaggio delle tigri asiatiche e della Cina), che fanno chiudere le
sue aziende non concorrenziali, 2)i nostri sogni elettronici, che illudono l'uomo comune sui
B), il Sud manda al Nord i suoi figli in soprannumero, disoccupati e talora illusi.
L’uomo della strada del Nord, che di riflesso fruisce della ricchezza del capitalismo del
suo paese, vede negli immigrati degli invasori e dei concorrenti.
Naturalmente ogni paese occidentale richiama a sé gli immigrati a seconda della sua
specifica offerta di lavoro. Per decenni Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Germania hanno
offerto posti di lavoro industriale. Dopo la grande crisi degli anni settanta questi Stati, con la
disindustrializzazione, hanno offerto soprattutto posti nel terziario non qualificato (settore dei
servizi privati) e gli immigrati si sono dovuti accontentare di lavori saltuari e irregolari, senza
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trovato che proprio lì c'era acqua. La cosa non meraviglia troppo, se si pensa che dagli anni
60 agli anni 90 lo spessore medio del pack è diminuito del 40%, mentre anche la sua
superficie ha subito una notevole diminuzione. Come è noto, in prospettiva questo potrebbe
provocare catastrofici effetti su aree intensamente abitate che si trovano proprio sul livello
del mare o addirittura sotto tale livello (si pensi al Bangla Desh, all'Olanda, a Venezia). E nel
secolo XXI° il cambiamento globale del clima è diventato evidente per la maggioranza degli
studiosi, che prevedono effetti catastrofici per la seconda metà del secolo se non si
corre ai ripari (va detto che gli studiosi negazionisti hanno avuto lauti finanziamenti dalle
lobbies del petrolio e molti grandi media hanno volontariamente minimizzato il cambiamento
climatico, come è stato mostrato dall’ex-vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore).
I PAESI IN VIA DI INDUSTRIALIZZAZIONE NON ACCETTANO DI
LIMITARE LE EMISSIONI DI GAS SERRA DATO CHE I PAESI DEL
NORD INQUINANO DA SEMPRE, MENTRE LE MULTINAZIONALI
NON VOGLIONO CAMBIARE I LORO METODI PRODUTTIVI
Perché le conferenze internazionali successive (fino a quella di Quito del 2014) sono
risultate infruttuose? In sostanza i paesi in via di industrializzazione non vogliono
limitare le loro emissioni perché per loro industrializzarsi significa uscire dalla
miseria; tanto più che i paesi del nord hanno già inquinato da sempre. In questo modo le
grandi multinazionali, che non vogliono essere costrette a cambiare i loro metodi di
produzione, possono ottenere i rinvii che desiderano. Inoltre è anche vero che il
problema sarebbe più semplice se non aumentasse così velocemente la popolazione del
Sud del mondo (e con essa l'offerta di lavoro, il bisogno di beni e quindi la necessità di
industrializzarsi). I paesi sviluppati, pur essendo un po’ più disponibili per quanto riguarda il
loro territorio (anche perché continuano a trasferire le industrie di proprietà delle loro
multinazionali nei paesi arretrati), non intendono comunque rinunciare massicciamente ai
loro privilegi. Tanto più che chi ha sufficiente denaro può abitare in villette periferiche fuori
dall'inquinamento urbano, o cercare la natura incontaminata in vacanze-safari.
Se l'aumento della popolazione del Sud e gli interessi del capitale globale e dei
ceti privilegiati occidentali sono concreti ostacoli alla soluzione dei problemi
ambientali, c'è anche un importante ostacolo culturale - ideologico: la moderna
credenza nell'onnipotenza del progresso, la speranza che lo sviluppo economico-tecnico
risolverà in futuro tutti i problemi che esso crea oggi – anzi, che in prospettiva risolverà
qualunque problema del genere umano. Questa illusione è senza dubbio alimentata dai
media e in particolare dalla pubblicità - che deve appunto vendere prodotti sempre più
tecnologicamente progrediti. Ma essa caratterizza da sempre la nostra cultura, dal
positivismo ottocentesco in poi, e anche, come abbiamo visto, il marxismo-leninismo
sovietico. All'origine del disastro nucleare di Cernobyl e della desertificazione del bacino
del lago Aral (a causa di uno sfruttamento agricolo forsennato da parte delle autorità
sovietiche) c'era anche la cieca fede moderna nel progresso.
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Gli europei e gli italiani temono contemporaneamente per il loro benessere e per la
loro identità. Non devono rinunciare al loro Noi, alla loro appartenenza ad una determinata
civiltà, nazione, regione e città, ma rendersi conto che queste identità non si escludono, ma
si sommano. All’identità etnica di ciascuno si aggiunge oggi la comune identità politica
europea liberaldemocratica e antifascista, il nostro "patriottismo costituzionale". Esso ci
suggerisce che non dobbiamo contrapporci in modo intollerante alle altre civiltà ed etnie,
salvo per il precetto che abbiamo ricordato all'inizio: non bisogna tollerare gli intolleranti.
Un compito impegnativo aspetta oggi i giovani italiani e i giovani europei. C'è da
augurarsi che essi siano più capaci delle generazioni precedenti di vivere in un mondo
sempre più sovrappopolato sia di uomini che di opinioni e di stili di vita. E che la loro massima sia:
Noi siamo consapevoli della nostra identità, ma siamo anche aperti agli Altri.
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nuovi laureati creati ogni anno è decisamente più bassa di quella dei paesi europei più
avanzati. Nel frattempo Internet ha notevolmente innalzato il suo numero di utenti,
superando all’inizio del secondo decennio la metà della popolazione. Nello stesso periodo i
giovani e i movimenti dei cittadini critici hanno fatto un grande uso della Rete per la loro
informazione ed organizzazione: si pensi al movimento viola contro Berlusconi, al movimento
studentesco, in particolare universitario, al referendum per l’acqua bene comune e contro il
nucleare, ai meet up grillini.
Nelle elezioni politiche del 2013 lo straordinario successo del Movimento Cinque Stelle
sembra aver raccolto i frutti elettorali di questa ondata di democrazia telematica (25% dei
voti).
QUALCHE ANTICIPAZIONE SUL MOVIMENTO CINQUE STELLE E INTERNET
Farò nel prossimo testo un’analisi articolata sull’uso che il M5S ha fatto del suo successo politico, e qui parkerò
solo del suo uso dei media e di Internet. Sicuramente, come hanno mostrato alcune ricerche politologiche, una parte
importante dei suoi voti sono venuti da giovani istruiti che usano internet per informarsi sulla politica e sulla società.
Ma molti voti sono venuti anche da un pubblico un po’ meno aggiornato e genericamente ostile alla “casta” dei politici
(il “voto di protesta”). Questo pubblico non è stato raggiunto dall’Internet dei meet up di Grillo (forum di discussione,
di documentazione, di organizzazione), ma da quello del suo blog, in cui il messaggio è sostanzialmente unidirezionale,
come quello televisivo. Non solo, ma Grillo, da consumato uomo di palcoscenico sensibile agli umori del pubblico, ha
saputo comunicare con grande efficacia nelle decine e decine di comizi di piazza che ha tenuto. Egualmente, vietando al
suo movimento di comparire in tv, ha suscitato la curiosità dei telespettatori, e le tv (a partire da Sky) per motivi di
audience hanno dovuto concedergli spazio e attenzione.
Comunque, considerando il fatto che negli anni novanta il voto per i Verdi si aggirava intorno al 2%, il 25% del
2013 del M5S mostra, anche considerando il voto di protesta, che la consapevolezza ecologica in Italia ha fatto passi
enormi. E questo non solo per gli aspetti ecologici del suo programma, ma anche per l’immagine anticonsumistica e
austera trasmessa dall’abbigliamento del leader e dall’intera campagna, dai costi ridottissimi.
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Anche l’Italia all'inizio degli anni novanta ha conosciuto una breve ma intensa stagione di
mobilitazione politica popolare (vedi -->TANGENTOPOLI E LO SFASCIO DEI PARTITI). Il paese doveva
affrontare una difficile congiuntura, nella quale l’enorme debito pubblico accumulato nell’età
delle grandi opere pubbliche, delle spese di Stato, degli sprechi e delle tangenti legate ai
governi di pentapartito pesava sull’economia nazionale e rendeva difficile entrare nel sistema
di cambi fissi tra le monete della Comunità Europea. La mobilitazione era rivolta contro la
corruzione dei partiti di governo, in appoggio dei giudici che avevano avuto il coraggio di
svelare la rete di omertà che copriva il sistema delle tangenti - il segreto di pulcinella degli
anni ottanta. Quegli anni in Italia sono stati caratterizzati da manifestazioni a favore dei
giudici antimafia (alcuni morti assassinati) e antitangenti, e contro i politici corrotti, da
campagne referendarie contro il sistema elettorale vigente, e da campagne di solidarietà con
le vittime della mafia e con i commercianti siciliani che per la prima volta avevano osato
ribellarsi al sistema del pizzo.
Con l'eclissi dell'Unione Sovietica e l'indebolimento della repubblica federativa russa (la
più grande potenza nucleare dopo gli USA) sembravano aver vinto il capitale globale, il
neoliberismo e il "pensiero unico", che perpetuavano varie caratteristiche della guerra fredda
(persistenza della leadership americana nella NATO, strapotere del Fondo Monetario
Internazionale, mercato internazionale dominato dalle grandi multinazionali soprattutto
americane).
Agli uomini del secolo XXI° il secolo precedente lascia in eredità gravissimi problemi
irrisolti, tutti figli del capitalismo globalizzato, destinati a far tornare i giovani in piazza, o
perfino a farli accampare nelle piazze per molti giorni di seguito (da Wall Street a piazza
Tahrir ).
1. Il primo è un’ineguaglianza crescente e una tendenza permanente alla crisi
economica. Con la globalizzazione neoliberista, in seguito all’abbandono della politica
economica di Welfare e all’aumento della concorrenza tra i lavoratori, i redditi più alti si sono
sempre più distanziati da quelli più bassi e la ricchezza si è venuta concentrando in una
minoranza sempre più esigua (vedi --> POLO UNICO, PENSIERO UNICO E CAPITALE GLOBALE).
Come già nel corso dell’Ottocento e nel periodo precedente alla crisi del ‘29, i ceti più
ricchi, nonostante il loro lusso ostentato, tendono ad investire per aumentare il loro potere
economico più che a consumare, e i ceti bassi non possono consumare oltre un certo limite.
Nella politica economica di Welfare, più egualitaria, la domanda di beni era sostenuta da alti
salari e stipendi e dalla spesa pubblica. Nell’economia neoliberista invece è piuttosto il
credito al consumo che permette alla domanda di crescere a sufficienza, e il debito
contemporaneamente mantiene gli individui indebitati in una situazione di soggezione
economica e sociale. Il problema nasce quando il debito diventa eccessivo e risulta
impossibile estinguerlo, e perfino pagare gli interessi. La grande crisi del ’29 e quella del
2008 sono scoppiate in occasione di un crollo della borsa di Wall Street, ma in entrambi i
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casi nel sistema bancario (non adeguatamente regolato e sorvegliato dai poteri pubblici)
c’era un eccesso di crediti inesigibili.
Dietro la modernità iper-tecnologica si nascondono fenomeni già visti. La modernità dei
flussi borsistici all’epoca della globalizzazione consiste nel fatto che gli acquisti e le vendite
sono regolati dai computer e incredibilmente gonfiati rispetto al capitale produttivo reale (si
parla di un flusso di titoli borsistici il cui valore nel complesso è sessanta volte superiore al
valore dei beni a cui si riferiscono). Nonostante queste innovazioni supertecnologiche (che
semmai aumentano i rischi che le borse subiscano alti e bassi improvvisi) agli occhi dello
storico il capitalismo liberista sembra comportarsi adesso come nell’Ottocento: il
sovrainvestimento capitalistico e la tendenza dei lavoratori al sottoconsumo provoca crisi di
sovrapproduzione, con difficoltà di smaltimento delle merci e poi recessione produttiva.
2. Il secondo è più temibile del primo: l’eccessivo consumo di idrocarburi, il conseguente
effetto serra e la possibilità di un irreversibile cambiamento climatico (a ciò si aggiunga la
spaventosa sovrappopolazione mondiale e il consumo preoccupante di energie – e in
genere di risorse –non rinnovabili). Anche qui il potere delle multinazionali, in particolare di
quelle petrolifere, rende difficile la soluzione, come si è visto. Ma la loro volontà di negare o
rinviare il problema è facilitata da una cultura diffusa dell’ottimismo tecnologico, per cui molti
sperano che la scienza e la tecnica comunque possano salvarci, e a una cultura del
consumo illimitato, per cui si aspetta che siano gli altri a consumare di meno, o i poteri
pubblici a occuparsi del problema.
La crisi economica e, per molti, il bisogno conseguente di trovare un lavoro e un reddito
purché sia, fanno perdere di vista il fatto che il primo e il secondo problema vanno risolti
insieme, anche perché la soluzione del secondo non si può rinviare.
3. Il terzo punto è che, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, la guerra torna sulla scena
mondiale in modo massiccio. Da allora, almeno sotto la presidenza di Bush Junior, gli Usa si
sono curati piuttosto poco di essere in sintonia con l’ONU, e anche i loro rapporti con Cina e
Russia, e soprattutto con quest’ultima, sono peggiorati. C’è una “terza guerra mondiale a
pezzi”, come dice papa Francesco. La sua causa apparente è il “conflitto di civiltà”, cioè la
presunta lotta del Grande Nemico islamista jihadista contro la civiltà occidentale (per
definizione democratica e liberale). Le sue cause reali sono molteplici ma proverò qui ad
abbozzarne due.
La gran parte dei conflitti militari del XXI° secolo (come si è detto) sono in aree legate
all’estrazione del petrolio o di gas idrocarburi (Irak, Libia) o al passaggio di oleodotti e
gasdotti (Afghanistan, Siria –che è però anche dotata di giacimenti- e Ucraina). E la Nigeria,
uno dei maggiori produttori di petrolio, che non è coinvolta in un conflitto interstatale, è però
sconvolta da sanguinosi attentati legati all’estremismo islamista. Il Mali e il Niger, che hanno
vaste riserve di uranio, sono in una situazione analoga.
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WIKIPEDIA. È un sito molto ricco e molto utile per la storia contemporanea (e per
molte altre materie). Essendo frutto del lavoro di volontari, normalmente non
professionisti, è inevitabile che molte sue voci siano state scritte per iniziativa di
sostenitori di questa o quella tesi, di questo o quel partito. Ciononostante il
successivo lavoro di messa a punto fatto da altri volontari di solito dovrebbe garantire
che anche punti di vista diversi vi siano rappresentati e che le esagerazioni, le
imprecisioni o i falsi siano corretti. Inoltre le voci soggette ancora alla discussione tra
“wikipediani” sono normalmente segnalate.
QUALCHE CONSIGLIO SUL METODO DI RICERCA. Potrebbe essere considerato
perfino un vantaggio, rispetto a Wikipedia, il fatto che altre fonti di informazione
dichiarino la loro appartenenza: un periodico o una casa editrice possono essere
proprietà di un partito, o anche di un padrone o di una società che hanno determinate
idee e interessi: l’importante è saperlo. In realtà non esiste nessuno che sia
assolutamente sopra le parti: quello che è importante è che il proprio punto di vista
sia dichiarato. Quindi nelle ricerche, a mio avviso, non conviene mai considerare le
fonti come assolutamente neutre, ma è anche eccessivo scartare del tutto le fonti di
parte, se dichiarano lealmente la loro appartenenza. Bisogna però imparare a “fare la
tara” al racconto dei cosiddetti fatti, che non sono perfettamente separabili dalle
interpretazioni. Il lavoro critico dello storico sulle sue fonti non ha mai fine. E un
approfondimento e un perfezionamento dell’analisi storica devono essere sempre
possibili.
FILMOGRAFIA
La storia può essere insegnata anche attraverso i film storici (lo fa Giovanni De Luna
nei suoi testi per le medie superiori). Rimandando ad un’altra occasione un discorso
sui film di fiction di argomento storico, ci limitiamo a segnalare alcuni documentari,
sperando che il lettore riesca a trovarli in CD o in streaming.
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BIBLIOGRAFIA
*Testi presenti alla Biblioteca Nazionale di Torino
°Testi presenti alla Biblioteca Civica Centrale di Torino
(per sapere quali libri si trovano nelle biblioteche pubbliche si può usare il sito
www.sbn.it)
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-*Federico Repetto, Opinione pubblica, media e potere nel Novecento, Loescher 2004.
Questo libro è un’integrazione del corso di storia di quinta superiore. É un testo breve e
sintetico, con letture e schede.
-Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano,
1997 (ediz. originale 1996).
-Costanzo Preve. Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario,
sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente, Editrice CRT, Pistoia 2000 (non si
tratta propriamente di un libro di storia, ma di un saggio critico sulle manipolazioni
ideologiche del pensiero unico; di qui abbiamo tratto l’idea di “guerra umanitaria”)..
-Lawrence Grossman, La repubblica elettronica, Editori Riuniti, Roma, 1997. Storia dei
rapporti tra media e potere negli U.S.A., scritta da un ex dirigente della PBS (Public
Broadcasting System).
-Manuel Castells (uno dei massimi esperti mondiali di sociologia di Internet):
La città delle reti, Reset 2002; testo breve introduttivo su Internet e la sua funzione sociale.
Galassia Internet, Feltrinelli 2002; testo ampio e documentato sull’uso politico e sociale di
Internet.
Reti di indignazione e di speranza, Università Bocconi 2012; testo sull’uso di Internet da
parte dei nuovi movimenti sociali (i cittadini islandesi contro le banche e la speculazione,
Occupy Wall Street e altri movimenti di occupazioni delle piazze contro il capitalismo
finanziario, gli indignados, le rivolte arabe)
-Franco Carlini, Internet, Pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia in rete,
Manifestolibri, Roma, 1996.
-Luciano Gallino, Globalizzazione e diseguaglianze. Laterza, Bari, 2000.
-John Cooley, Una guerra empia, Eleuthera 2000; documentata ricostruzione storica
dell’aiuto dato dai servizi segreti americani e filoamericani al terrorismo islamista alle sue
origini.
-Giulietto Chiesa, La guerra infinita: la CIA e l’estremismo islamicom, Feltrinelli, 2002;
militarismo americano e attentato alle Torri Gemelle.
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-Giuseppe Fiori, Il venditore, Storia di Silvio Berlusconi e della Fininvest, Garzanti, Milano,
1995.
-Enrico Peyretti, Perdere la guerra, Beppe Grande editore, Torino, 1999. Un punto di vista
nonviolento su di una pretesa guerra umanitaria intrapresa con l'aiuto del nostro governo.
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