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Capasso
La natura dell'essere
Romanzo
Agostino Capasso
La natura dell’essere
1
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e
luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo
scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi
analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse,
è assolutamente casuale.
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A chi si riconosce
in queste pagine
Agostino Capasso
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Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà
dell’autore
ISBN 9781366225993
data pubblicazione 16 marzo 2017
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PREFAZIONE
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Quanto può cambiare un uomo?
Quanto il nostro modo di essere è condizionato dal mondo
che ci circonda?
La libertà di essere comporta delle scelte, che il più delle
volte inducono ad accettare aspetti della nostra personalità
che per diversi motivi abbiamo cercato di reprimere:
l’educazione ricevuta, l’amore per una persona, il senso
del dovere...
La vita potrà cambiare il nostro modo di vivere ma
resteremo sempre ciò che siamo.
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PROLOGO
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Massimo cercò invano il pulsante, prima di accorgersi che
avrebbe dovuto ruotare la vecchia manovella per evitare
che l’abitacolo si trasformasse in una camera a gas.
Nonostante il cigolio, il vetro del finestrino scese di quel
tanto che bastò a far entrare una generosa ventata di aria
fresca che rigenerò i suoi polmoni:
«A che ora dovrebbe arrivare il treno?»
Carlo stava fumando l’ennesima sigaretta mentre il caldo
asfissiante di quel pomeriggio di agosto non dava tregua.
Guardando distrattamente l’orologio borbottò tenendo la
cicca tra le labbra carnose:
«Do-vrem-mo es-se-re in ora-rio».
Non era così per il treno. Emanuele e Gimondo, di ritorno
per le vacanze estive, non sarebbero arrivati prima di
un’ora. Discutendo s’incamminarono costeggiando il
binario fin quando ebbero raggiunto l’ultima panchina:
«Non credo sia ancora il momento» stava dicendo
Massimo.
«Eppure siete sposati da qualche tempo. Non credi che
possa desiderarlo?»
«Me ne avrebbe già parlato. Non è un problema per noi e
abbiamo ancora tante cose da fare. E poi il mio lavoro non
mi lascia tanto tempo».
«Stai attento, però, a separare la carriera da quelle che
sono le cose importanti» lo richiamò Carlo.
«Guarda un po’ da chi viene la predica. Anita è segregata
in casa da quasi un mese...»
«Si è lamentata con te?» chiese.
«L’ha detto a Linda. Non trascurarla troppo, è un angelo
che ha bisogno di spalle forti, come le tue».
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«E’ tutta la mia vita» disse Carlo sorridendo.
«Allora ricordalo».
«Non farei niente che possa farle male. A volte, distratto
da tante cose, può capitare che commetta degli errori, ma
chi è perfetto?»
«Allora la prossima volta, prima di regalare perle di
saggezza, guarda un po’ nel tuo giardino» disse Massimo
appoggiando il braccio sulle spalle dell’amico.
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CAPITOLO 1
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La suoneria continuava incessante già da qualche minuto.
Con la vista offuscata riuscì a scorgere a malapena l’ora.
Mancavano pochi minuti alle otto e Massimo, ancora
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soprannominato dai dipendenti Zazà per l’incredibile
somiglianza con il celebre nemico di Lupin. Massimo non
solo riteneva che fosse un pessimo dirigente, ma che aveva
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dato, la sensazione di tenere tutto sotto controllo. Pensò
che non avrebbero dovuto permettergli di sentirsi a suo
agio anche se, ne era certo, non sarebbe bastata una
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intervenne Petrone, «lei conoscerà benissimo le nostre
referenze e se è seduto a questo tavolo, vuol dire che le
ritiene all’altezza» continuò guardandosi intorno per
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lasciar trapelare alcuna emozione. Zazà spostava
nervosamente lo sguardo tra i presenti alla ricerca di un
cenno che gli trasmettesse tranquillità. Le parole di
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che discuteremo con i legali».
De Iulius sorrise:
«Le ho detto che questa è la base di partenza se volete che
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intuire le sue intenzioni, poi fu Marelli a intervenire:
«Non voglio sapere il modo, ma chiudi l’accordo».
Quando rientrò nella sala, cercò di mostrare più sicurezza
di quanto realmente avesse. L’altro, senza proferire parola,
sfilò lo smartphone dal taschino della giacca e, con
movimenti lenti e decisi, smontò la batteria e lo appoggiò
bene in vista sul tavolo. Massimo capì che avrebbe dovuto
fare lo stesso.
«Ci sono sistemi di videosorveglianza?»
«Questa stanza è isolata» rispose.
«Ho riflettuto sulla sua proposta e non posso negare che
sia interessante. Tuttavia, detterò io i termini
dell’accordo».
Massimo sembrava scoraggiato ma De Iulius gli fece
cenno di aspettare:
«Mi lasci finire, se siamo d’accordo, chiudiamo con una
stretta di mano, tra galantuomini. Al resto, penseranno gli
studi legali. La vostra richiesta sarà dieci milioni ma
chiuderemo l’affare a nove milioni e ottocentomila. E tanto
vi dovrà l’Ital Petroli. Come mi ha chiesto, le garantisco
l’affidamento dell’appalto in seduta stante ma lei avrà un
debito nei miei confronti di trecentomila. E questi
dovranno essere in contanti».
Massimo si soffermò qualche istante a riflettere dopodiché,
alzatosi, gli porse la mano.
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CAPITOLO 2
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Sullo schermo del notebook il grafico, inesorabile,
mostrava l’andamento degli incassi degli ultimi tre mesi.
Carlo, intento nella ricerca di un’illusoria soluzione alla
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la diffusione divenne integrazione: nonnetti che sfidavano
l’artrite per scrivere un SMS e bambini che ciucciavano
latte dagli smartphone. Prima si tornava a piedi con l’auto
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finale. Era iniziata l’era della Playstation. Il giorno diventò
notte e la notte diventò giorno, si mangiava quando
capitava, l’orologio non aveva più utilità e il tempo non
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ragazzo sarebbe capace di vendere sabbia nel deserto”.
Dopo appena un mese gli fu proposto il trasferimento
presso la sede amministrativa, per collaborare alla
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bisognava aspettare tempi migliori. Guardò l’orologio
poggiato sulla scrivania e vide che erano quasi le 15:00.
Decise di fare un giro per le corsie del negozio prima di
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Aveva veramente bisogno di distrarsi, si sarebbe diretto da
Emanuele e avrebbe dimenticato momentaneamente il
lavoro.
Il Texas hold’em lo aspettava.
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CAPITOLO 3
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Le tre ragazze sedute al tavolo sembravano allegre. Era
difficile non notarle, così giovani, così belle. Al lato
opposto della sala dei ragazzi poco più che ventenni,
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alle due, rispose:
«Credo che quei quattro deficienti stiano parlando di noi.
Quello più carino non ti ha tolto gli occhi di dosso».
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Anita e Barbara, «ma lei è un incanto».
«Veramente ci hai interrotto nel bel mezzo di una
discussione» disse Linda in tono aspro, lasciando per un
attimo tutti di stucco. I modi del giovane erano stati pacati,
perfino dolci e l’atteggiamento di Linda, che era
nettamente in contrasto con questi, quasi fuori luogo,
dimostrava tutto il suo disagio.
«Forse non è il caso» s’intromise Anita rivolta al ragazzo.
«Magari ha solo bisogno di qualcuno che la addolcisca un
poco» riprese lui.
«In realtà stavamo parlando di come convincere mio
marito a mettermi incinta» rispose senza mezzi termini. Il
ragazzo restò quasi pietrificato.
«Io invece sarei disposta a divertirmi» proseguì Barbara,
«ma in questi giorni ho quello che si può definire il
peggior ciclo mestruale che abbia mai avuto, non credo sia
il caso. Magari sarà per la prossima volta».
Il ragazzo, mostrando i palmi aperti delle mani, tornò sui
suoi passi.
A casa Carli la partita era terminata.
Il poker aveva regalato le emozioni sperate e adesso si
stavano godendo l’effetto rilassante dell’alcol e del fumo.
Seduti sull’erba, osservavano il cielo stellato d’agosto.
«Penso che Linda voglia un figlio», Massimo ruppe il
silenzio senza avere una risposta immediata.
«E così finirono le serate di poker e le birre in compagnia»
disse Carlo dopo qualche minuto, come se avesse avuto
bisogno di elaborare l’informazione.
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Massimo aspettò sua moglie sull’uscio della porta. Il
rumore dei tacchi era sincronizzato al movimento
ondulatorio dei capelli. Era una donna bellissima e ne era
molto innamorato.
«Ciao», lo salutò mentre, allungandosi, gli diede un bacio
sulle labbra. Il suo profumo era intenso e gli ricordava
quello di un fiore nel bel mezzo della primavera.
«Sei bellissima. Tutti gli uomini saranno impazziti
vedendoti».
«Tra tutti gli uomini m’interessi solo tu. Com’è andata la
serata?»
«Bene. Gimondo ha vinto, Emanuele ha perso, abbiamo
bevuto un po’, il solito insomma. E la vostra?»
«Le solite chiacchiere tra donne» disse mentre, dopo aver
sfilato le scarpe, si avviava in bagno a piedi nudi. Massimo
stava cercando di immaginare la sua vita con un figlio.
Non sapeva come sarebbe cambiato il loro rapporto, se la
loro unione si sarebbe rafforzata o se ne sarebbe uscita lesa
alle prime difficoltà. Il pensiero di una piccola Linda da
abbracciare e coccolare lo faceva sorridere. Forse era
pronto per quel momento e avrebbe anche avuto
un’occasione particolare per parlarne con lei. L’indomani
sarebbe stato il loro anniversario di matrimonio. Si
avvicinò alla porta mentre, attraverso il vetro opaco,
intravide la sagoma slanciata del corpo di Linda.
«Domani sera ceneremo fuori, ti va?»
«Va bene. Devo essere elegante?»
«Potresti non esserlo?»
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CAPITOLO 4
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L’abito di seta nero aderiva al suo corpo in maniera
perfetta e ne faceva risaltare le dolci forme. I tacchi
slanciavano la sua figura e il colore dei capelli era intonato
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Massimo prese Linda per mano e si avviarono verso
l'ingresso. All’ingresso una bellissima ragazza in tailleur
scuro salutò i due ospiti e li esortò a seguirla. Attraversato
un corridoio a volta ricavato direttamente nella pietra, si
ritrovarono in una sala rettangolare in cui erano
apparecchiati, in prossimità delle pareti laterali, una
ventina di tavoli circolari. Su ognuno era stata adagiata una
rosa rossa. Ai lati di ogni tavolo c’erano due sedie vuote.
Al centro della sala un pianoforte a coda nero sembrava
essere stato scolpito nello stesso marmo usato per la
pavimentazione. La sala era illuminata da due grandi
lampadari di cristallo.
«Scegli un tavolo» gli sussurrò a un orecchio. Entrando,
girò su sé stessa godendosi quella vista. «Sono tutti per
noi».
Linda si avvicinò al quello in prossimità della finestra
centrale, da cui si poteva ammirare il luccichio dell’acqua,
mentre un cameriere la faceva sedere.
«E’ splendido», fece lei a bassa voce. «E’ tutto perfetto».
«Sono contento che ti piaccia».
Fu versato lo champagne nei calici mentre la luce si
attenuò per far risaltare la vera natura della
pavimentazione. Tutta la sala poggiava su un piano di
cristallo scuro sospeso direttamente sullo specchio d’acqua
che, in determinate condizioni di luce, sembrava una lastra
di marmo nero. Massimo poggiò la mano su quella della
moglie. Lo smalto rosso faceva risaltare la forma
affusolata delle sue dita.
«Tu sei una persona speciale... e vorrei che rendessi
speciale anche me».
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Linda lo fissava con i suoi occhi verdi.
«Mi hai sempre donato tutta te stessa, non potrei chiederti
nient’altro che un pezzo di te».
Linda era incredula. Sperava che quel momento arrivasse
prima o poi, ma adesso non le sembrava vero. La sua
risposta non poteva essere che un sorriso illuminato da
lacrime di gioia. Un uomo può cercare di essere romantico,
sforzarsi di esserlo, può anche esserlo naturalmente, ma
nessuna donna può essere insensibile al romanticismo. Chi
in maniera più evidente e sfacciata e chi meno, ma la loro
sensibilità al tema è indiscutibile. Tanto che, anche per il
più sensibile tra gli uomini, determinati atteggiamenti
possono risultare incomprensibili. Solo l'uomo che impara
ad amare la sensibilità di una donna, non può fare a meno
di stare al suo fianco. Massimo invitò Linda ad alzarsi e,
abbracciandola, la guidò in un dolce ballo accompagnato
dal sottofondo musicale. Quella notte sarebbero tornati a
casa e avrebbero fatto l’amore come mai prima. Non
avrebbero cercato di darsi piacere a vicenda ma di donarsi
totalmente, anima e corpo. Quella volta, l’amore esplose
come non mai.
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CAPITOLO 5
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Avvicinandosi all’ingresso, Carlo stava osservando
l’insegna che troneggiava sull’edificio. Il sole del mattino
era sufficientemente forte da procurargli un fastidio agli
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occhi non ancora adattati alla luce. Gli era molto più
semplice lavorare fino a tarda sera che di buon mattino
tanto che, quando era un semplice venditore, spesso aveva
dovuto sorbirsi ramanzine per i suoi ritardi. Il senso del
dovere aveva scatenato la volontà di essere uno dei primi
ad arrivare al negozio e uno degli ultimi a uscirne. Questo
suo atteggiamento era spesso motivo di critica da parte di
Emanuele che faticava a comprendere le trame che
condizionano la vita professionale nel settore privato. Per
lui una posizione lavorativa di riguardo, avrebbe dovuto
garantire privilegi tali da rendere migliore la vita stessa del
lavoratore. La sua filosofia si basava sul fatto che se avesse
dovuto sacrificarsi a favore della carriera, poteva essere
solo allo scopo di garantirsi un futuro migliore. Se sei il
direttore del negozio in cui lavori, ci entri e vai via quando
vuoi. Che senso avrebbe accettare un carico di
responsabilità superiore, senza alcun altro privilegio oltre
qualche misero spicciolo in più. Nessuno dei due riusciva a
spuntarla, forse perché non c’erano ragione e torto. Mentre
si avvicinava alla porta automatica, che sembrava non
volerne sapere di aprirsi fino a quando non ti fossi
ritrovato a qualche centimetro dal vetro, squillò il
cellulare. Era Anita. Non la chiamava ormai da due giorni.
«Amore, scusa se non ti ho chiamato prima. Sono stati due
giorni terribili».
«Sarebbe più facile essere seconda a un’altra donna».
«Ti avrei chiamato per dirti che possiamo vederci a
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pranzo. Ho bisogno di stare un po’ con te».
«Ti aspetto a casa?»
«Come vuoi. A dopo».
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potrebbe portare un bel po’ di nuovi clienti. E’ famosa?
Sembra di averla già vista... »
«Ha un aspetto che non si dimentica facilmente, questo è
certo» rispose lei prima di uscire.
Aveva già fumato abbastanza per essere sveglio da poche
ore, ma dopo il caffè era difficile resistere alla tentazione.
Accese la sigaretta e chiamò Massimo.
«Pronto?»
«Ho appena visto una dea» esordì.
«Che cosa hai preso? Procuramene un po’, stamattina ne
avrei bisogno».
«Non puoi capire. Devi vederla».
«Smettila con questa fissa delle donne. Quando la mattina
ti svegli arrapato, chiuditi in bagno, dagli due botte e cerca
di non infastidire chi cerca di lavorare».
Arrivato a casa di Anita, scese dall’auto e bussò al
citofono. Dalla finestra la ragazza gli fece cenno di salire.
In cima alle scale, trovò la figura esile ad aspettarlo alla
porta. I capelli corti e spettinati le davano un’aria
sbarazzina. I suoi grandi occhi azzurri contrastavano con il
colore marcato delle labbra e nell’assieme risaltavano la
sua bellezza. Il fisico snello e il corto vestitino, mettevano
in risalto le sue gambe. Carlo, pazzamente innamorato, era
consapevole della sua bellezza, anche se solitamente era
attratto da donne molto diverse da lei. La baciò in modo
appassionato.
«Oggi ho lasciato tutto per stare con te».
«Solo perché te l’ho chiesto stamattina».
«Ho solo tanta voglia di te» le disse stringendola a se.
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«Anche se mi vuoi bene, devi aspettare qualche minuto.
Finisco in bagno e andiamo».
Abbassandosi per prendere le scarpe, il vestito si sollevò
quel tanto da mettere in mostra la parte alta delle cosce.
Carlo non resistette all’istinto di appoggiarsi dietro
tirandola a sé per baciarle il collo.
La reazione di Anita non si face attendere:
«Ma che fai! Possibile che non pensi ad altro? Che avete
vuoi uomini nella testa?» urlò in maniera irritata paonazza
in volto.
«Volevo solo sentirti. Che ti prende?»
«Lo sai che non è il modo che piace a me. Ho bisogno
d’intimità, dolcezza».
«Senti Anita, io ti amo, sei la mia ragazza. Ma ti sei
accorta che non scopiamo da un mese?»
Quella discussione stava solo aspettando il momento di
saltare fuori.
«Sei un porco». Anita stava singhiozzando: «A volte ho
l’impressione che stiamo insieme solo per quello. Non
riesci mai a capire come mi sento e di cosa ho bisogno».
Carlo sarebbe voluto tornare a pochi minuti prima per
tenersi alla sedia nel momento in cui aveva visto il culo
della sua ragazza, solo per evitare quella discussione e
tutto quello che ne sarebbe scaturito. Tentò l’approccio
tenero, si avvicinò e la abbracciò, pensando a quanto
fossero complicate le donne.
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CAPITOLO 6
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La macchinetta del caffè era installata in un piccolo locale
di fianco alla fotocopiatrice. Bisognava superare la porta
del magazzino per accedervi, in modo da riservarla al
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rimase affascinato.
«Ragazzi, non sarà un granché ma mi attizza» osservò uno
di loro.
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Entrambi utilizzavano volantini per rinfrescarsi. Era metà
settembre e anche se l’estate non aveva ancora mollato la
presa, non si poteva dire che facesse un caldo
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sensoriale per migliorare il confort del punto vendita. Non
sapeva se avrebbe dato i suoi frutti, ma era veramente a
corto di idee. Quantomeno adesso aveva una linea da
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qualche chilometro in un ristorante in cui era solito
pranzare. Ordinarono un pasto leggero accompagnato da
vino bianco. Dopo circa mezz’ora si stavano godendo
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prime armi.
Arrivato in ufficio, stava ripensando a quanto accaduto
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videogame avrebbe fatto installare diverse postazioni di
gioco, ognuna con una console dove ci si poteva sfidare
con nuovi titoli. Lo squillo del telefono lo destò e alzando
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istante si aprì la porta e Marika, sorridendo, senza giri di
parole si avvicinò alla sedia, sollevò la gonna all’altezza
delle cosce e sedette cavalcioni su di lui. Carlo sentì il suo
odore. La tirò a sé e la baciò appassionatamente. Le mani
di Marika stavano slacciando la sua cintura.
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CAPITOLO 7
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Massimo sedeva alla sua postazione nell’open space, la
stanza in cui prendevano forma tutti i progetti della
Marelli. Da quella posizione riusciva a intravedere i
monitor di tutte le scrivanie e, di tanto in tanto, controllava
che ognuno svolgesse le proprie mansioni. L’ambiente non
era commisurato al numero di persone che ci lavoravano,
tanto da richiedere l’apertura dei finestroni che davano
sulla strada, qualsiasi fossero le condizioni climatiche. La
parete che separava la stanza dalla Hall, era stata costruita
interamente in cristallo permettendo il passaggio della luce
naturale dal cortile, contribuendo al miglioramento del
benessere degli impiegati. Inoltre di tanto in tanto era
possibile intravedere Lena che, alzandosi sulle punte delle
scarpe per afferrare la cornetta del citofono, appoggiava il
petto sul bancone. In quella posizione era capace di
distrarre tutta l’ala sinistra dell’ufficio progettazione.
Tornò a guardare il display del Galaxy sul quale, racchiusi
in una serie interminabile di nuvolette rettangolari, erano
visibili i messaggi che stava scambiando con Linda.
L’ultimo era stato scritto da lei:
“Stasera tornerò più tardi”.
“Impegnatissima?”
“Devo valutare una serie interminabile di curriculum
appena arrivati”.
“Almeno qualcuno ancora assume”.
“Sono part-time per la sfilata che stiamo organizzando,
riguardano modelle”.
“Ci faccio un pensierino, posso essere molto carina!”
“Stupido... ci vediamo più tardi”.
“Un bacio”.
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Il telefono alla sua sinistra squillò nel momento in cui
stava scrivendo l’ultimo messaggio.
Era Lena:
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ossigenato. Nel complesso lo reputava una persona
piacevole, con cui spesso e volentieri riusciva anche a
chiudere qualche affare.
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voglio approfittare della situazione in cui versate ma
purtroppo, il periodo non è dei migliori. Oggigiorno per
aggiudicarsi un contratto del genere, è necessario ridurre
all’osso tutti i margini. Voglio che sia tu a fare il primo
passo» terminò Massimo.
«La situazione della Teleprogetti è sotto gli occhi di tutti.
A volte non si riescono nemmeno a immaginare le cause di
una crisi del genere. Siamo arrivati al punto che i fornitori
non ricevono pagamenti da quattro mesi e, di questo passo,
entro fine anno sarà difficile assicurare gli stipendi ai
dipendenti. Siamo già pronti per una richiesta di cassa
integrazione. In questo momento quindi, una commessa
del genere ci consentirebbe di tirare un po’ avanti sperando
in un miracolo».
«Posso immaginare i problemi che stanno investendo la
tua azienda» lo interruppe Massimo, «ma devi comunque
tener presente che, nonostante tutto, ho il dovere di
interpellare altri competitor per un confronto. Dovrete fare
del vostro meglio per assicurarvi l’appalto, sarà una dura
battaglia».
«Massimo, dimmi tu il prezzo e chiudiamo adesso la
trattativa. Ho pieno potere decisionale, devo portare il
lavoro a casa a prescindere dall’importo. Dimmi tu e
chiudiamo subito».
Massimo non voleva essere scortese ma non intendeva
nemmeno che la disperazione dell’altro lo potesse
costringere alle corde. In questi casi capiva l’importanza di
tenere ben distinti il lavoro dall’amicizia.
«Non è un problema di prezzo. Non so ancora a cosa sono
disposte le altre aziende che interpellerò».
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«E’ proprio questo il punto» intervenne Armando, «fai in
modo che non ci sia il bisogno di interpellare nessun altro.
Tu puoi. Non ti sto chiedendo nessun favore, decidi tu il
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prezzo».
«Non sarebbe corretto nei confronti della Marelli e degli
altri fornitori che come te, hanno bisogno di questo
lavoro».
«Non dirmi che mi reputi alla pari degli altri».
«Su questo terreno si!» esclamò Massimo.
Armando capì che sarebbe stata dura, come sempre, e che
con quell’atteggiamento non l’avrebbe spuntata. Avrebbe
dovuto cambiare strategia.
«Massimo, ascoltami per una volta. Siamo tu ed io in
questa stanza. Ripeto, ho pieno potere in questa trattativa e
devo, sottolineo, devo portare quest’ordine a casa,
altrimenti continuerò ad essere considerato quel venditore
mediocre che, neanche avendo carta bianca e con un
amico, riesce a concludere un contratto. Devi pur affidare
la fornitura e perché no, fallo subito per il miglior prezzo
che la Marelli possa aspettarsi. Ci guadagnerebbero tutti
insomma... e anche tu» finì sottovoce.
Armando si guardò intorno e, avvicinandosi, continuò
parlandogli in tono confidenziale.
«Chiudiamo il contratto, l’azienda mi ha messo a
disposizione il dieci per cento dell’importo in contanti per
terminare l’affare, per eventuali spese impreviste. Qui sei
da solo a decidere, prendili tutti tu».
Massimo avvampò. Era stupito non tanto dalla proposta
ricevuta, ma da chi l’aveva avanzata. Non era la prima
volta che gli offrivano un “incentivo”, ma si sentiva
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orgoglioso di aver sempre rifiutato. Si riteneva una persona
onesta, forse per l’educazione ricevuta o per natura, ma era
soddisfatto di potersi guardare allo specchio tutte le
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forse era giusto cominciare a pensare ai propri interessi.
Avrebbe potuto garantire un futuro migliore alla sua
famiglia.
La riunione di coordinamento si teneva ogni lunedì
mattina. In quell’occasione, Carlo poteva discutere con i
capo reparti dei principali problemi incontrati durante la
settimana e definire le eventuali azioni correttive e
preventive da adottare. Quel giorno però, aveva voluto
tralasciare i soliti argomenti per avanzare le nuove
proposte che aveva elaborato durante la settimana.
Settembre era quasi trascorso e mancava poco alla fine
dell’anno commerciale. Avrebbe attuato la nuova strategia
e, nel caso avessero riscontrato anche solo una piccola
variazione in positivo degli incassi rispetto agli ultimi
mesi, il programma sarebbe andato avanti anche l’anno
successivo altrimenti, avrebbe avuto la certezza che fosse
una grande cazzata. Gli sguardi attenti dei suoi
collaboratori gli trasmettevano fiducia e qualcuno aveva
già lasciato la sala per fare la propria parte. Marika che,
oltre a coordinare le attività alle casse faceva anche da
interfaccia tra i vari reparti, partecipava a tutte le riunioni.
Prima di lasciare la sala gli comunicò che i diffusori
ordinati erano stati consegnati ed erano stati depositati nel
magazzino:
«Il magazziniere ha chiesto un giorno di ferie, dovrai
trovarli da solo» disse mentre raccoglieva i documenti dal
tavolo e si accodava agli altri per uscire.
«Penso che questo sia un grosso problema. Il disordine del
magazzino è da primato nazionale».
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«Posso aiutarti».
Carlo sorrise, non le mancava certo l’iniziativa.
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soddisfano. Guardandolo negli occhi gli abbassò i
pantaloni prima di inginocchiarsi davanti a lui. Carlo alzò
gli occhi al cielo.
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Seduto alla sua scrivania, stava osservando distrattamente
lo schermo del computer. Sfilò una sigaretta dal pacchetto
e la accese. Quelli erano i momenti in cui si facevano
avanti i sensi di colpa, quelli che fino a qualche minuto
prima, aveva scacciato in un angolo remoto della sua
mente ma che adesso, sazio dell’appetito sessuale, si
rifacevano avanti con tutta la loro insistenza. Non avrebbe
mai messo in discussione l’amore che provava per Anita,
per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa. Dopo aver fatto
l’amore, restavano abbracciati e godevano della sensazione
di tranquillità coccolandosi a vicenda. Anita era una
ragazza dolcissima. Non l’avrebbe mai tradita facendo
l’amore con un’altra. Lui e Marika scopavano. Prese lo
smartphone e compose l’ultimo numero del registro
chiamate. Massimo rispose quasi subito.
«Ho bisogno del tuo punto di vista».
«Che strano modo di salutare».
«Come si chiama la ragazza che lavora con te, quella
carina di cui mi hai parlato spesso».
«Presumo sia Lena» rispose Massimo sconcertato.
«Esatto. Mettiamo il caso che rimaniate da soli in ufficio»
riprese Carlo.
«In ufficio? Figurati, c’è gente che fa più straordinario di
quanto ne riescano a fare due cinesi messi insieme».
«Massimo, cerca di aprire la tua mente per favore.
Mettiamo che Lena venga da te e si sieda addosso. Cosa
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faresti?»
Massimo capì dove voleva andare a parare. Avevano
affrontato quella discussione svariate volte ed erano
sempre arrivati alla stessa conclusione. Nessuno dei due
avrebbe voluto tradire ma non potevano essere certi di
riuscire a rifiutare le avances di una bella donna. A volte
per strada si divertivano a stilare la classifica di quelle per
le quali l'avrebbero fatto senza tentennamenti. In quelle
occasioni Massimo gli faceva notare che non solo avrebbe
tradito più di lui, ma l’avrebbe fatto anche per dei veri e
propri cessi. Così, in quel momento, non gli fu difficile
pensare che Carlo stesse valutando la possibilità di
scoparsi qualche cassiera.
«Non so se hai mai visto Lena, ma ti posso assicurare che
ogni qualvolta sono venuto al tuo negozio, non ho mai
notato nessuna per la quale a mio avviso valga la pena
tradire Anita. Fatti passare la smania. Sei arrapato? Fatti
una sega».
«Ti ricordi di Marika? Alla cassa centrale?»
Massimo l’aveva vista qualche volta e non ne era rimasto
colpito. Non pensava nemmeno lontanamente al paragone
con Anita e mentre stava per esporgli il suo parere, fu
interrotto:
«Me la sono scopata».
A quell'affermazione rimase sconcertato, non aveva mai
creduto nella reale possibilità che lui o Carlo avessero
potuto realmente tradire le rispettive ragazze.
Dopo qualche secondo rispose:
«Hai fatto bene. Quante volte?»
«E’ circa una settimana».
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«In che senso?» chiese Massimo.
«Nel senso che in una settimana me la sono fatta in tutti i
modi».
«Ascolta signore del sesso, te la sei scopata, ti sei tolto lo
sfizio e hai fatto bene. Adesso cerca di allontanarla, prima
che possa pensare che tra voi ci sia qualcosa di più. E’
fidanzata, sposata?»
«E’ single, ma lo sa che io ho una storia seria».
Massimo lo interruppe subito:
«Devi stroncare. Oltretutto è una dipendente del tuo
negozio. E poi c’è Anita, non lo dimenticare. Non puoi
sostenere due storie, cerca di capire il senso!»
Carlo aveva capito a cosa si riferisse Massimo. Era ovvio
che una storia come quella si basava interamente sul sesso
e l’euforia iniziale lo avrebbe portato ad avere più rapporti
sessuali in una settimana che in un intero anno con la sua
ragazza. E quando Anita gli avesse chiesto di fare l’amore,
come avrebbe reagito?
«Forse hai ragione».
«Ecco» riprese Massimo, «se proprio non puoi farne a
meno, trovatene un’altra. E che questa volta ne valga la
pena» scherzò sarcastico.
Dopo aver riattaccato, controllò la lista degli amici dal
profilo di Marika, nella speranza di riconoscere la
bellissima ragazza bionda che aveva visto la settimana
prima. Per sua sfortuna Marika aveva una dote innata per
le pubbliche relazioni, la lista contava circa seicento
contatti. Era come cercare un ago in un pagliaio.
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CAPITOLO 8
60
Carlo si stava guardando allo specchio. Quella mattina non
era molto contento del suo aspetto, sembrava aver passato
una notte insonne. Negli ultimi periodi prestava più
attenzione alla cura del corpo e Anita non aveva potuto
fare a meno di notarlo. Si rase e fece una doccia
nonostante fosse già in ritardo. In quel momento Anita
doveva essere già al negozio per scegliere la nuova piastra
per capelli e l’idea che fosse Marika ad aiutarla lo metteva
in uno stato d’agitazione. Preferiva evitare di godersi la
scena, anche se sapeva che il modo migliore per non
destare sospetti, era comportarsi nella maniera più naturale
possibile. D’altro canto confidava nel buonsenso di
Marika. Quando varcò la soglia d’ingresso, cercò di
dirigersi alla scala che portava in ufficio senza farsi notare.
Da lì avrebbe chiamato Anita invitandola a salire. Quello
che vide però mandò in frantumi il suo piano
costringendolo a preferire l’improvvisazione. Il suo battito
accelerò istantaneamente. Marika e Anita si stavano
avvicinando alla cassa centrale tenendosi sottobraccio. I
volti rilassati e sorridenti le facevano sembrare vecchie
amiche che s’incontrano dopo tanto tempo. Anita aveva tra
le mani una scatola. Anche volendo scappare in ufficio, era
impossibile non farsi notare. Cercò di assumere
l’espressione più naturale possibile e con un sorriso forzato
le andò incontro.
«Hai trovato quello che cercavi?» chiese senza preamboli
prima di darle un casto bacio. Poi rivolgendosi a Marika la
salutò in un modo che gli sembrò gelido.
«Ti senti bene?» chiese Anita sorridendo. «Sei pallido.
Non preoccuparti non ti svaligio il negozio».
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«Credo di non aver dormito bene. Forse sono un po’
stanco». Poi si rivolse a Marika cercando di percepire il
suo stato d’animo:
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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sapore amaro di dopobarba.
«Ero concentrato sul lavoro. Fino a qualche secondo fa»
finse con un tono acido. Percepì che il contatto con quel
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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nata un po’ per gioco, come svago per entrambi». Marika
mostrava un sorriso quasi amaro annuendo, mentre
mormorava parole che sembravano di assenso. Sapeva
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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trasmettendole la forza di reagire. Con la voce rotta dai
singhiozzi Marika riprese:
«Perché non stiamo bene insieme? Non ti chiedo di
lasciare la tua ragazza, solo che non vorrei essere esclusa».
«Così rendi tutto più difficile. Non posso amare due
persone… non ci riesco».
Gli afferrò il viso tra le mani e lo sollevò fino a incrociare i
suoi occhi: «Marika ascoltami, dobbiamo guardare in
faccia alla realtà. Io non amo te, amo Anita ed è la donna
con cui voglio passare il resto della mia vita, quando
deciderò di sposarmi. Non posso darti quello che vuoi.
Quando ci andrà, se ci andrà, possiamo sempre farci una
gran bella scopata. Ma potremo essere solo amici».
Forse Carlo era stato troppo diretto ma dall’espressione di
Marika, sembrava che il messaggio fosse stato accolto,
anche se forse non aveva sortito l’effetto desiderato.
«Sei proprio uno stronzo!» esclamò indignata.
«Vaffanculo!» gridò mentre si avvicinava a passo spedito
verso la porta.
La reazione di Carlo non fu immediata, ebbe bisogno di
qualche secondo per metabolizzare il colpo. Non si
aspettava quell'atteggiamento e non capiva se era stata
colpita nella dignità o era veramente innamorata.
«Vaffanculo tu! Troia».
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CAPITOLO 9
66
Linda stava osservando distratta la foto sulla scrivania, che
la ritraeva tra le braccia di Massimo ai piedi della torre
Eiffel. Sembravano due pupazzi di neve avvolti
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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questione di sensazioni, non le piaceva. Dopo una breve
presentazione del lavoro, gli aveva sottoposto il modulo da
compilare con i dati anagrafici. Non serviva a nulla, in
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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e lo buttò nel cestino. Restava un colloquio, ma avrebbe
avuto bisogno di una boccata d’aria. Chiamò il centralino
chiedendo di far entrare la prossima candidata e di farla
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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quella della salute e in più sentiva un senso di nausea,
oramai insopportabile. Pensò che di lì a poco avrebbe dato
di stomaco. Era proprio una brutta mattinata. Dopo essersi
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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consegnalo alla segretaria, gli dici che la Dottoressa Valle
ha trovato ciò che cercava. Dopodiché ti farai
accompagnare nei camerini, dove ti prepareranno per la
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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necessario per muoversi liberamente all’interno
dell’edificio, a spalla la borsa capiente. Cominciò a
seguirla.
La farmacia era a poche centinaia di metri di distanza e ci
arrivò in pochi minuti. L’ambiente, caratterizzato da un
colore bianco candido, le trasmetteva una sensazione di
estrema pulizia, al punto da sentirsi a disagio guardando le
sue mani appoggiate al bancone. La ragazza che si trovava
di fronte, impegnata a telefono, con un gesto impercettibile
le fece capire che sarebbe stata in un attimo a sua completa
disposizione. Aveva un bell’aspetto oltre a un cordiale
sorriso, con i capelli biondi legati in una coda che
poggiava sul bianco colletto del camice. Sul risvolto del
petto portava una spilla su cui era stampato il caduceo, i
due serpenti attorcigliati alla bacchetta, simbolo
dell’ordine dei farmacisti che, secondo alcuni, sottolinea il
leggero confine tra l’effetto medico e velenoso dei farmaci.
Mentre era assorta in questa immagine, una dolce voce la
destò:
«Buongiorno Dottoressa Valle, cosa posso fare per lei?».
Linda restò sconcertata non riconoscendo la ragazza.
Aveva sempre vantato la sua memoria fotografica e la
sorpresa, dipinta sul volto, fece nascere un sorriso radioso
sul volto della farmacista.
«E’ scritto sul tesserino...» disse indicandolo con un dito,
«...il suo nome».
Linda abbassò confusa lo sguardo e, guardando il badge,
sorrise prima di nascondere il viso con una mano in segno
d’imbarazzo:
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«Certo, scusi. Stamani mi sento stralunata» disse
guardando negli occhi la ragazza. Doveva essere
veramente confusa quella mattina, tanto che la perspicacia
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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era la prova evidente. Tirò il cappuccio blu e ne comparve
una punta assorbente. Adesso sembrava molto più padrona
di se.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
«Non sarà poi così difficile. Forza Linda, hai superato cose
molto più complicate di questa» disse cercando di farsi
coraggio.
Appoggiò tutto sul piano del lavabo e, abbassando i
pantaloni, si sedette sul water. L’operazione fu più
semplice del previsto.
Riprese il bugiardino e continuò a leggere.
«Attendere tre minuti. La comparsa di linee blu indica che
il test è in corso di esecuzione... ed eccole qua. Ci sono. La
comparsa del segno + nella finestra dei risultati, indica che
l’esito è positivo».
Sbuffò mentre, guardandosi allo specchio, sistemava una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. Notò che il cuore stava
cominciando a battere più velocemente e che il volto si era
arrossato un po’. Probabilmente era l’eccitazione del
momento giustificata dall’ansia di quell’attesa. In quel
momento cominciò a immaginare come cambierebbero la
sua vita e quella di Massimo con un moccioso per casa.
Era sicura che sarebbero stati ottimi genitori, premurosi ed
affettuosi e che il coronamento della sua vita, vissuta con
l’uomo che amava più di ogni altra cosa, forse stava per
avverarsi. Si ritrovò a fissare i suoi occhi verdi lucidi,
evidenziati dalle pupille ristrette per la luce proveniente
dall’applique sopra lo specchio. Abbassò lo sguardo fino a
vedere che era comparsa una croce azzurra all’interno
della finestra più grande della pennetta. Il suo sorriso si
trasformò in una leggera risata rotta da qualche singhiozzo,
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le lacrime cominciarono a scendere sulle sue guance
mentre si portava una mano alla bocca. Controllò
immediatamente le istruzioni riportate sulla confezione del
test e confrontò l’immagine con il segno apparso. Non
c’erano dubbi, il test era positivo. Stringendo le mani a
pugno cominciò a saltellare sul posto, eccitata dal pensiero
di comunicare la notizia a Massimo. Il sogno avuto sin da
bambina stava per realizzarsi, sarebbe diventata mamma.
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CAPITOLO 10
76
La batteria dell’Iphone era quasi scarica e preferì chiamare
dal fisso. La tentazione di raccontare subito tutto a
Massimo era forte, ma preferiva farlo guardandolo negli
occhi e magari tenendogli la mano. Rispose con il solito
tono professionale. Con l’avvento della tecnologia GSM, si
era persa l’abitudine di rispondere con il classico
“pronto?” Chi ha posseduto un cellulare negli anni ’90, da
un giorno all’altro ha visto comparire sul display, come per
magia, il numero del chiamante. Da quel momento, si era
passati ai diversi “ciao!”, “ehi!”, “che fine avevi fatto!” e
così via. Il punto interrogativo scacciato dall’esclamativo.
Massimo era forse uno dei pochi esseri viventi, a non
essersi accorto che la telefonia aveva fatto passi da giganti.
«Si?»
«Se non fosse per me, non ci sentiremmo mai durante il
giorno» disse Linda.
«Scusami, a volte perdo la cognizione del tempo».
«Voglio passare un po’ di tempo con mio marito, subito, e
non sono disposta ad accettare scuse» riprese lei facendo
trapelare eccitazione nella voce.
Massimo non poteva far altro che accettare l’invito
lasciando tutto all’istante.
«Ti raggiungo?»
«Vediamoci al Lounge tra un’oretta».
Avrebbe avuto il tempo di tornare a casa e prepararsi.
Voleva che fosse tutto perfetto. Anche il posto non fu
scelto a caso. Qualche anno prima, seduti ai tavolini di
quel locale, Massimo le chiese di sposarlo. Adesso lei,
nello stesso posto, gli avrebbe detto che aspettavano un
bambino.
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Quando decise di allontanarsi, vide la ragazza avvicinarsi
alla Mini parcheggiata qualche metro più avanti. Forse
avrebbe potuto scoprire dove abitava. Saltò in auto e si
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labbra. Aveva i capelli sciolti e i riccioli che le scendevano
sulle spalle sembravano brillare di luce propria.
«Sei bellissima. Come sempre».
Linda sorrise e, sedendosi sulla comoda poltrona,
accavallò le lunghe gambe regalandogli una vista
meravigliosa. Era chiaro che avesse voglia di sedurlo.
Amava quel posto, l’atmosfera perfetta, la luce soffusa e la
parete in vetro rivolta verso le luci della città, creavano un
alone di intimità che avvolgeva le persone. In sottofondo,
la voce di Frank Sinatra regalava Night and Day.
«A cosa dobbiamo questo piacevole incontro, una
ricorrenza o un evento?» esordì Massimo.
Linda teneva gli occhi fissi in quelli del marito sorridendo
lievemente: «Nel caso di una ricorrenza, la tua sarebbe
stata una dimenticanza. La escluderei a priori, giacché
sono ancora seduta qui».
«A questo punto direi che siamo qui per un evento e, visto
l’atmosfera, è uno di quelli che meritano un
festeggiamento degno di nota» rispose accarezzando la
barba ispida sul mento. Cominciava a divertirsi. In quel
momento pensò che fosse da tanto che non flirtava con la
moglie. Allungò la mano all’interno della giacca e tirò
fuori un pacchetto di Winston Blu. Non era un fumatore
incallito ma, in occasioni particolari, si concedeva il
piacere di quel vizio. Aprì il pacchetto e ne offrì una a
Linda che, come lui, non era immune ai piaceri della vita.
Linda alzò in modo impercettibile la mano in segno di
rifiuto. Massimo ne sfilò una e la accese, aspirando una
generosa boccata. Alzò la mano per richiamare
l’attenzione di una ragazza che passava nei dintorni:
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«Buonasera, cosa bevete?»
«Una bottiglia di Cristal, grazie».
«E un’acqua tonica» intervenne Linda.
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bicchiere di cristallo. Tanto bastò per attirare la loro
attenzione. Linda alzò gli occhi al cielo scorgendo il nome
di Marelli e, visibilmente esasperata, invitò Massimo a non
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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rispondere.
«Dammi un minuto» sussurrò alla moglie.
Linda restò seduta guardandolo uscire in cerca di un posto
tranquillo. Massimo cercava sempre di tenerla lontana dai
problemi legati al suo lavoro ma, come dimostrava
quell’occasione, spesso i suoi sforzi erano vani. Prese il
suo bicchiere e, sorseggiando l’acqua tonica, attese il suo
ritorno.
«Com’è possibile?»
La conversazione era abbastanza animata.
«Ci riescono tutti tranne noi. Proviamo con vari fornitori,
magari con importi piccoli tanto per cominciare».
«So benissimo quanto sia importante quest’appalto, ma
purtroppo non è facile racimolare così tanti contanti. Penso
che dovremmo ritrattare e trovare un’altra soluzione».
Massimo si passò la mano tra i capelli, disperato:
«Ritrattare? Stai scherzando? De Iulius non riaprirà mai la
trattativa. Non possiamo rischiare di perdere
quest’opportunità. Queste persone giocano con i milioni
come fossero noccioline e ci piscia sopra le nostre
elemosina».
Massimo aveva capito che quella discussione non poteva
continuare al telefono:
«Ascolta, dammi un’ora e sono li. Non possiamo
permetterci di ritrattare».
Massimo chiuse la conversazione e si ritrovò in un’altra
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realtà. Doveva tornare da Linda e dirle che per problemi di
lavoro doveva lasciarla lì, in compagnia dell’appena
conosciuto bambino, a terminare la bottiglia di champagne
che non poteva bere, per poi tornarsene da sola a casa ed
eventualmente aspettare a letto che tornasse. Non era certo
il massimo.
«Che cosa succede?» chiese divertita dall’espressione
imbarazzata dipinta sul suo volto.
«Dovrei passare in azienda per discutere di un affare
importante».
Linda non poteva essere che dispiaciuta e non gli andava
giù che la loro vita privata dovesse così spesso scontrarsi
con la carriera di suo marito. In ogni caso, non poteva far
altro che alleggerire l’atmosfera ed evitargli inutili sensi di
colpa.
«Vai pure, finisco il drink e torno a casa. Offro io questa
sera» disse sfoderando il suo fantastico sorriso.
Massimo si abbassò per baciarla:
«Sei fantastica».
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CAPITOLO 11
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Settembre volgeva al termine, ma le giornate erano ancora
lunghe. Il crepuscolo aveva appena lasciato spazio
all’oscurità quando, lanciando uno sguardo al computer di
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Pietro Marelli alla modica cifra di uno stipendio, aveva
comprato quell’individuo. Oltre la famiglia Marelli, le
uniche persone che potevano influenzarlo erano Massimo e
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Antonio Petrone.
«Buonasera Massimo. I capi ti stanno aspettando».
«Come mai ancora qui?» chiese ironico.
«Potrei mai abbandonare la barca?»
Vallesi aveva questo modo strano di comunicare, lasciava
intendere che scherzasse dicendo cose che in fondo
pensava realmente. Così facendo, assecondava la persona
che aveva di fronte pur restando coerente con sé stesso e
questo, secondo Massimo, dimostrava che fosse più
intelligente di quanto sembrasse. E comunque, era
certamente un tipo molto sveglio.
«Mi raccomando, cerca di tenere tutto sotto controllo»
continuò scherzando. Era il suo modo di gestire quella
persona e il suo burattinaio, fare buon viso a cattivo gioco.
L’ufficio di Zazà era l’unico ancora illuminato e
dall’interno, arrivava un forte odore di fumo. Il posacenere
colmo, indicava che la riunione era iniziata già da un bel
po’ e che senza dubbio era stata animata. Entrò salutando e
si diresse verso la sedia libera di fronte alla scrivania stile
Luigi XIV. Le imbottiture di pelle verde risaltavano sul
mogano arricchito d’inserti e fregi in oro. Gli arredi di
quella stanza, scelti da Zazà, erano in netto contrasto con
lo stile moderno dei restanti locali, tanto da sembrare
accantonati lì in attesa della loro destinazione.
«Come ti accennavo a telefono, non possiamo gestire
quest’affare secondo gli accordi» esordì Marelli
rivolgendosi a lui. Aveva un atteggiamento
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inopportunamente tranquillo mentre raccoglieva, con le
mani, piccole tracce di cenere che si erano depositate tra le
scartoffie sulla scrivania.
«Non riesco a racimolare una cifra del genere, in contanti
poi. Dobbiamo ritrattare».
Quell’atteggiamento lo stava irritando:
«E’ escluso cambiare le condizioni. Mi avete lasciato
concludere l’affare e sono sicuro che era l’unico modo per
farlo. De Iulius si è esposto con noi e un passo falso
significherebbe non solo far saltare l’affare, ma mettere
fine a ogni speranza di una futura forma di collaborazione
con Ital Petroli. Cerchiamo di non prendere decisioni
affrettate».
«Non c’è altra possibilità. L’Agenzia delle Entrate ci tiene
sotto controllo e questo esclude il ricorso a fatture di
comodo» riprese Zazà.
«Come ne sei al corrente?»
«Da fonti affidabili. Presumo che anche le linee
telefoniche siano sotto controllo e quindi dobbiamo fare la
massima attenzione».
A Massimo sembrava una delle solite esagerazioni di
Zazà:
«Per quale motivo l’Agenzia delle Entrate dovrebbe
controllare la Marelli, di nascosto, se non ci sono mai stati
problemi con il fisco».
«Ammettiamo che l’informazione ricevuta sia veritiera»
intervenne Petrone che fino a quel momento si era limitato
ad ascoltare, «se ci sono controlli riguarderanno operazioni
effettuate in passato e quindi non dovremmo
preoccuparcene».
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«Non ho assoluta voglia di prendere questa cosa alla
leggera».
«Valutiamo le conseguenze di questa decisione» continuò
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aperte in cosa speri?
Lo sai?”
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alcun modo. Tutto le diventò più chiaro, qualcun altro si
era addentrato in casa. Li avevano visti uscire ma erano
stati colti di sorpresa da quel ritorno improvviso. Doveva
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dal volto della donna. Tirò fuori il dito e ci sputò sopra
prima di sfilare l’anello.
«Girati e appoggia le mani sul cofano».
Da lontano cominciarono a intravedersi i fari accesi di
un’auto che si addentrava nel viale.
«Andiamo!» lo esortò il compagno mentre usciva dal
cancelletto.
L’uomo spinse Linda verso la Mini:
«Sei proprio una gran figa».
Linda, poggiando il volto sul dorso delle sue mani, poté
sentire il tanfo della saliva dell’uomo, mischiato alla puzza
di nicotina e alcol.
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CAPITOLO 12
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Quel pomeriggio aveva spento il telefono e si era tuffato
nel lavoro. Quando guardò l’orologio, vide che erano da
poco passate le 19.00. Per quel giorno poteva bastare.
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tutt’altro che ordinaria. Quando capì quello che stava
accadendo, d’istinto accelerò puntando diretto alle sagome
dei due uomini che erano in procinto di allontanarsi. Si
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per il momento aveva preferito evitare la denuncia anche
perché, non sembravano ci fossero evidenti danni o altri
segni di scasso oltre la serratura della porta principale,
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sussurrò mentre la sua attenzione fu catturata
dall’immagine di una ragazza bionda, la stessa che aveva
visto in negozio con Marika. La classica foto da casting.
Un mezzo busto mirato a far esaltare la bellezza del volto.
I capelli dorati che scendevano sulle spalle, illuminavano il
volto snello ed esaltavano i colori scuri degli occhi e delle
sopracciglia. Sulla scheda erano riportati i dati anagrafici
oltre alle referenze lavorative. In basso, riportate a mano
con una biro, alcune osservazioni che probabilmente Linda
aveva annotato durante il colloquio.
«Non è per niente facile scegliere» gridò per farsi sentire.
Nel frattempo lo scroscio d’acqua era cessato:
«In che senso?»
«Stavo sistemando le foto di queste modelle e non ho
potuto fare a meno di guardarle. Sono tutte bellissime.
Lavorano per voi?»
«Cercano lavoro. Purtroppo devo sceglierne solo una che
si aggiungerà al gruppo per una sfilata».
Carlo aveva sfilato l’Iphone dal taschino e stava annotando
i dati della ragazza:
«E-le-na Sar-ti» ripeté a voce sostenuta mentre batteva i
tasti sul touch screen. «Hai già scelto?»
Linda si affacciò dalla porta mentre, con un asciugamano,
si stava strofinando i capelli. Indossava una tuta blu
aderente e nonostante fosse scalza, il suo fisico era così
slanciato da mettere in ridicolo qualsiasi uomo sotto il
metro e ottanta che si fosse avvicinato. Era la moglie del
suo migliore amico e questo la rendeva per principio
morale intoccabile, ma non poteva fare a meno di
apprezzarne la bellezza.
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«Mi piace molto la ragazza bionda. Quella con gli occhi
castani. E’ carina e molto intelligente».
«Troppo comune» rispose di rimando Carlo, «meglio la
nera, faresti un figurone. Dammi retta, ne capisco di
donne. Scegli lei».
«Ne capisci a modo tuo» ribatté lei attraversando la stanza
per sedersi sul divano. Allungò le lunghe gambe sul
bracciolo facendone evidenziare la linea perfetta. Carlo
cambiò leggermente posizione in modo da distogliere lo
sguardo. La sua bellezza riusciva involontariamente a
metterlo in imbarazzo. In nessun modo i suoi atteggiamenti
erano rivolti ad attirare l’attenzione degli uomini o di altre
donne, era semplicemente così, involontariamente sensuale
in ogni suo gesto.
«Eri venuto per Massimo?»
«Niente d’importante. Non sai quando torna?» chiese
distrattamente osservando il display del cellulare.
«E chi può saperlo. Quando c’è bisogno di lui, non c’è
mai».
Carlo notò una lieve nota amara nella voce di Linda e si
sentì quasi in obbligo di difendere le ragioni del suo
migliore amico.
«Vorrebbe sempre darti il meglio» disse lui guardandosi
intorno, quasi a voler sottolineare che tutto quel benessere
non poteva essere solo frutto di capacità individuali, ma
anche di spirito di dedizione. «Arriverà molto in alto».
Linda prese una sigaretta dal pacchetto poggiato sul
tavolino. Non era salutare né per lei né per il bambino, ma
la serata animata le concedeva l’alibi per quel momento di
debolezza.
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«Anch’io ho una carriera che potrei definire brillante»
rispose in tono quasi offeso, «non per questo sacrificherei
il tempo da dedicare alla mia famiglia».
La discussione si stava spostando su un terreno tortuoso:
«Forse hai ragione. Si può fumare?» chiese per distogliere
l’attenzione.
«Stasera ce lo concediamo. E comunque, per cosa vale la
pena sacrificare il tempo da condividere con chi si ama,
che sia una moglie o un figlio, per soldi? Successo? A cosa
servono se non hai nemmeno il tempo di goderteli?»
«A volte ci sono dei momenti in cui si sente il bisogno di
essere più amati, questo non vuol dire che la colpa sia della
persona con cui si vive. Magari è necessario cambiare
qualcosa nella propria vita».
Linda si stava accarezzando i lunghi capelli guardando
Carlo negli occhi.
«Non è che me ne intenda molto di relazioni di coppia, ma
potreste valutare la possibilità di avere un bambino. Siete
una coppia fantastica, potrebbe dare un senso diverso alla
vostra unione».
«Già, potrebbe» sussurrò Linda mentre, senza prestarci
attenzione, stava accarezzando il ventre e dopo aver
soffiato una boccata di fumo blu, spense la sigaretta nel
posacenere attanagliata dal senso di colpa.
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CAPITOLO 13
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Il silenzio degli uffici era interrotto dal rumore dei tasti,
torturati da qualcuno che probabilmente aveva lavorato per
troppi anni su un’Olivetti. Massimo lanciò un’occhiata alla
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99
bellezza semplicemente naturale e, come molti suoi
colleghi, ne era affascinato. Allo stesso modo era sicuro di
piacerle ma, per il suo modo di essere donna, non lo aveva
mai dato a vedere. Era proprio questo suo modo di essere
che creava un’aura d’intoccabilità, rendendola così
attraente agli occhi di tutti gli uomini che mettevano piede
in quell’azienda. Massimo, nonostante l’amore per Linda,
non poteva negare di provare qualcosa per lei, diverso
dalla semplice simpatia per una collega ma anche dal bene
verso un’amica. Era sicuro comunque, che non si trattasse
solo di pura attrazione fisica. A quindici anni, forse
avrebbe pensato a una cotta. Di sicuro tra loro c’era una
sana e pura amicizia.
«La mia vita sta cambiando» disse Massimo sedendo di
fronte a lei.
«In meglio spero».
«Credo di si…»
«Hai trovato un altro lavoro!» scherzò sorridendo.
«No, purtroppo mi tocca sprofondare con il resto della
ciurma. Non si tratta solo di me, riguarda anche Linda».
Lena lo stava osservando e quell’espressione preoccupata
la fece sorridere:
«Diventerai papà?» chiese. Il volto di Massimo era una
maschera. «Sono felicissima!» esclamò mentre, alzandosi,
si allungò per abbracciarlo. Massimo adesso era più
imbarazzato che nervoso, ma in fondo quel gesto gli mise
allegria. Era proprio felice.
«Volevo che lo sapessi. Scusami se ho interrotto il tuo
lavoro» riprese lanciando un’occhiata alla pila di fogli
appena stampati.
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«Figurati, ne avrei davvero fatto a meno» rispose lei
porgendogliene uno.
Lanciò un’occhiata veloce alle poche righe. Erano lettere
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promessa di un’ipotetica futura riassunzione in cambio
della firma delle dimissioni».
«E perché dovrebbero accettare?» chiese stizzito.
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«Vista l’alternativa…»
«Sarebbe?»
«Ferie residue, cassa integrazione, licenziamento nel
migliore dei casi. In caso di fallimento invece, per i
dipendenti sarebbe una dura battaglia cercare di racimolare
il loro dovuto».
«E quindi, pensi che cercheranno il concordato» osservò
Massimo. «Davvero siamo messi così male? Non abbiamo
contratti importanti, ma non pensavo che le casse si
prosciugassero così velocemente».
«Così sembra. Sono mesi ormai che non mi occupo più dei
pagamenti, adesso è passato tutto nelle sue mani» riprese
lei indicando la postazione nella hall. Massimo non aveva
bisogno di voltarsi per sapere di chi stesse parlando.
Marelli aveva discusso proprio con lui, tempo addietro, la
possibilità di ridistribuire le mansioni di Lena delegando la
contabilità a Simona, sua futura nuora.
In quel momento sentì aprire la porta alle sue spalle e
riconobbe la voce di Zazà:
«Mancano pochi minuti all’inizio della negoziazione».
Non aveva la buona abitudine di bussare.
Massimo lanciò un’occhiata all’orologio:
«Abbiamo finito. Adesso vado».
«Non c’è nulla di più importante. Lascia tutto. Questi sono
gli affari su cui dobbiamo puntare» disse mentre si
allontanava.
L’espressione di Lena non lasciava trasparire di certo
102
simpatia:
«Quali sarebbero questi affari su cui dobbiamo puntare?»
«Quelli del tipo toccata e fuga, non di certo utili a garantire
lavoro per i dipendenti. Richiedono poco tempo e
assicurano tanto guadagno».
«Vorrei tanto vedere la sua faccia se lo perdessimo».
«L’appalto è già nostro» sentenziò Massimo.
Dalla grande vetrata entrava la luce calda pomeridiana.
Prima di sedersi accostò le tende per evitare il riflesso
negli LCD. La postazione era già pronta con i due
computer connessi al portale SAP. Le gare d’appalto erano
ormai quasi interamente gestite con i sistemi informatici,
che avevano spazzato via i metodi classici fatti di buste
chiuse, timbri e cera lacca. I portali telematici garantivano
velocità, sicurezza e affidabilità, il tutto in maniera chiara e
trasparente. Ogni fornitore invitato alla negoziazione,
avrebbe utilizzato il portale sia per prelevare i documenti
di specifica, sia per consegnare l’offerta. Solo in seguito i
buyer incaricati dal cliente, avrebbero potuto consultarle
alla presenza di una commissione. Nel caso in cui la
differenza tra le stesse fosse stata inferiore ad una valore
prestabilito, si sarebbe proceduto all’affidamento tramite
un’asta online in cui, ogni partecipante, avrebbe potuto
sottoporre un nuovo prezzo senza limiti di ribasso.
Massimo inserì le credenziali di accesso della Marelli e si
ritrovò connesso al sistema. Mancavano circa dieci minuti
all’inizio della negoziazione. Giovanni Marelli,
primogenito di Zazà, entrò in quel momento nell’ampio
open space e si diresse verso la postazione.
103
«Posso connettermi dall’altro terminale? Qual è la
password?» chiese occupando posto. Cercava in maniera
esasperante di mettersi in mostra agli occhi del padre tanto
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
104
Petrone stava varcando la soglia dell’ufficio.
La frustrazione di Massimo sembrò affievolirsi di colpo.
«Tutto come da accordi» esordì il nuovo arrivato senza
aspettare alcuna domanda. «Faranno due soli ribassi e poi
si fermeranno».
«E come facciamo a sapere che sono proprio loro e non
l’altro concorrente?» chiese Giovanni cercando lo sguardo
del padre.
«I loro prezzi finiranno con il numero quattro» rispose
Massimo.
La negoziazione non durò a lungo. Arrivarono i due rilanci
della Sirem cui risposero quelli della Tec Sys. Ma, come
da copione, fu la Marelli ad aggiudicarsi l’appalto battendo
gli altri con l’ultimo ed unico ribasso.
105
CAPITOLO 14
106
L’inchiostro nero formava sul planning una chiazza scura,
animata di tanto in tanto dal fucsia dell’evidenziatore.
Seduta alla sua scrivania, Linda stava studiando l’elenco
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
107
da mettere in risalto i seni.
«Sono state già contattate le società che si occuperanno del
catering e dei fiori?»
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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Massimo, da quando aveva saputo della gravidanza, non
aveva fatto altro che cercare di farla restare a casa evitando
di stancarsi più del dovuto. In questo momento però, non
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
109
avanti la carretta?» fece Barbara divertita.
«Lo so che voi creature dei gironi infernali date un valore
alla nostra esistenza, ed è per questo che ho bisogno che
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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Inoltre avrebbe dovuto cominciare a studiare la
disposizione degli ospiti ai tavoli. Si coprì il volto con le
mani sbuffando. La foto sulla scrivania gli fece pensare a
Massimo.
Barbara bussò alla porta e senza attendere risposta, la aprì
infilando la testa riccioluta. Linda gli fece segno di entrare
e lei si accomodò sulla sedia posta di fronte alla scrivania.
La sua espressione era sempre solare e il suo ampio
sorriso, esaltato dal nero dei capelli, metteva di buon
umore.
«Oggi sei particolarmente bella» esordì Barbara appena
Linda poggiò sul telefono il ricevitore. «Hai una luce
particolare negli occhi».
«Mi stai prendendo in giro? Ho un aspetto terribile. Ho il
terrore di andare in bagno e di passare davanti allo
specchio».
«Di cosa hai bisogno? »
Linda cercò di riordinare un po’ le idee:
«L’organizzazione della sfilata è a buon punto. Ci sono
parecchi dettagli da analizzare, ma nel complesso tutte le
attività sono avviate. Credo che se facciamo tutti la nostra
parte, possiamo raggiungere il traguardo anche con
qualche giorno di anticipo».
Barbara ascoltava con vivo interesse, annuendo al termine
di ogni periodo.
«L’unico aspetto che per ora ho tralasciato, e ovviamente
perché penso sia in ottime mani, è quello riguardante la
produzione dei modelli da presentare».
L’affermazione fece sorridere Barbara:
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«I modelli sono quasi tutti pronti. Resta qualche aggiusto,
ma sono già in sartoria. Tra un paio di giorni le modelle
potranno già iniziare a sfilare. Puoi dormire sonni
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
tranquilli».
Linda si sentiva più rilassata e un sorriso comparve sul suo
volto stanco:
«Per fortuna esisti».
«Ho visto quella nuova», riprese Barbara con fare
civettuolo, «la bionda, come si chiama?»
«Elena» rispose Linda.
«Che tipo è? Tu l’hai psicoanalizzata».
«Psico-che? Gli ho fatto un semplice colloquio di lavoro e,
visto che a mio avviso ha tutti i requisiti che cercavo, ho
dato un parere favorevole. So che l’azienda ha poi
terminato la pratica dell’assunzione e quindi parteciperà
alla sfilata. Tutto qua!» terminò incrociando le mani sul
tavolo.
«Tutto quaaa!!!» esclamò sorridendo Barbara. «Ma dico,
stai mica scherzando? Conoscendo i tuoi tempi l’avrai
interrogata per più di un’ora e adesso te ne vieni con un
tutto qua! Dove stiamo andando a finire? Che fine ha fatto
il dio pettegolezzo padre di tutte le pettegole? Forza su,
impegnati un pochino! Dammi soddisfazione».
Linda finse di pensarci su con espressione seria ma poi,
dopo qualche istante, scoppiò a ridere e, avvicinandosi in
modo complice all’amica, cominciò a parlare a bassa voce:
«Non vorrei commentare quello che è sotto l’occhio di tutti
e che sicuramente non è sfuggito nemmeno a te, in altre
parole che è una gran figa! Una di quelle che quando un
uomo le guarda, devi allungare la mano per potergli
112
ricomporre la mascella con la mandibola. Una di quelle
che speri non si trovi mai a specchiarsi al tuo fianco, per
non cadere in una profonda depressione. Insomma, una
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
gnocca stratosferica».
Barbara, che aveva visto Elena in azienda, non poteva fare
a meno di concordare con quanto stava dicendo Linda ma,
il fatto che la bellezza della bambolina fosse così evidente,
le faceva un po’ invidia e forse per questo le era sembrata
un po’ antipatica.
«Tesoro, questo l’abbiamo notato tutte. Sembri un vecchio
arrapato. Passiamo a qualche difetto».
«Mi è sembrata una ragazza molto umile, ma non al punto
di non essere sicura di se. Educata, intelligente e
probabilmente anche single».
«E che cazzo!!!» gridò di rimando Barbara. «E così no
però. E già che ci siamo torniamocene a casa e buttiamoci
sul divano a piangere. E con questi elementi in giro non si
può uscire. E poi come fai a dire che è single, glielo hai
chiesto?»
«E’ solo un’intuizione, magari mi sbaglio» rispose Linda.
«Dobbiamo indagare. E’ indispensabile saperlo, in modo
da prendere le giuste contromisure».
Linda la stava guardando nei profondi occhi scuri e capì
che non poteva tenerle nascosta ancora a lungo la sua
gravidanza. In realtà sentiva il bisogno di parlarne con
qualcuno che non fosse suo marito e Barbara era la
persona perfetta, sempre con la parola giusta, discreta e poi
le voleva bene.
«Lasciamo stare i pettegolezzi, adesso ti regalo una notizia
sensazionale» disse frugando nella borsa. Prese il piccolo
113
stick di plastica con il segno + in bella vista e lo poggiò
sulla scrivania di fronte a lei. Sul volto di Barbara si
disegnò subito un sorriso e, incrociando i suoi occhi, vide
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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se puoi farmi questa cortesia» disse mentre veniva
trascinata verso l’uscita.
«Grazie Antonella, noi andiamo» aggiunse Barbara. Poi
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
continuò sottovoce:
«Gli sta bene. Quell’antipatica non fa nulla per nascondere
la sua invidia. Ti odia, te lo dico io».
«Fa il suo lavoro e basta» rispose Linda.
Mentre uscivano dalla porta principale, le ragazze
intravidero la chioma bionda camminare sui tacchi dodici
come fosse a piedi nudi sull’erba. Si avvicinava
all’ingresso dell’edificio.
«Guarda un po’ chi c’è!» esclamò a bassa voce Barbara.
«Dottoressa, che piacere rivederla» fece Elena porgendole
la mano.
«Il piacere è mio ma per favore, chiamami Linda. Sono
felice che tu ce l’abbia fatta».
«Grazie... Linda».
«Io sono Barbara. Finalmente ti conosco».
«Anche tu lavori per la Graffiti?» chiese sorridente Elena.
«Sono una modellista. I vestiti che indosserai in questa
sfilata sono in parte frutto del mio lavoro. Spero che
riescano a rendere giustizia alla tua bellezza. C’è
comunque il rischio che distratti da te, nessuno li guardi».
Elena arrossì impercettibilmente facendo tenerezza alle
due ragazze.
«Noi stiamo uscendo per bere qualcosa, vieni con noi?»
continuò Barbara mentre, voltandosi verso Linda, gli fece
l’occhiolino. Avrebbe voluto festeggiare tra intime amiche
quello che forse era l’evento più importante della sua vita
ma adesso, pur di alimentare la sua curiosità, Barbara
115
avrebbe organizzato una scampagnata. Amava i
pettegolezzi anzi, ne era posseduta.
«Magari un’altra volta...» rispose in evidente stato di
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
imbarazzo.
«Unisciti a noi, così ci conosciamo un po'» disse Linda
sorridendole.
«Va bene. Andiamo».
Le ragazze si sedettero in un angolo del lungo divano. Il
bianco della pelle rifletteva in modo vivido la luce dei
faretti sulla parete scura, rivestita con carta da parati su cui
erano riportati, in diversi stili, nomi d’importanti città
europee. Tavolini di legno consentivano ai clienti di
poggiare i drink. L’atmosfera era molto rilassante e
l’effetto della luce soffusa, misto a quello dell’alcol,
avevano reso la discussione molto intima e allegra.
«Comunque sei diversa da come mi aspettavo», stava
dicendo Barbara tenendo un Mojito in mano. «Ti facevo
più stronza».
«Cosa te lo avrebbe fatto pensare?» rispose Elena.
«Il fatto che sembri una reginetta della TV può aver inciso,
non credi?»
«L’aspetto esteriore a volte può essere un problema per chi
ha dei pregiudizi. E poi non mi ritengo così carina. Non
più di voi, almeno».
«Ci stai prendendo per il culo?» fece Barbara esterrefatta.
«Non voglio immaginare che pezzi di ragazzi ti ritrovi ai
piedi» disse Linda mentre Barbara annuiva vigorosamente
roteando la mano.
«Non sono nemmeno fidanzata. Fino a qualche anno fa mi
116
sono dedicata allo studio per conseguire la maturità
classica. Poi, avendo la passione per le passerelle fin da
bambina, mi sono iscritta all’accademia, dove ho studiato
per fare la modella. Poi tra casting, provini, bastardi che
pensano solo a portarti a letto. Non ho avuto né il tempo,
né la voglia».
«Quanti schifosi ci sono in giro e quante cretine ci
cascano» sentenziò Barbara con un’espressione disgustata.
«Venissero da me, glielo staccherei».
«Nessuna storia d’amore di cui valga la pena raccontare
qualcosa?» chiese Linda.
«Nulla d’importante. Solo uno spasimante romanticone
che mi sta facendo una corte spietata».
«E ci credo», s’intromise Barbara, «bona come sei!»
«Dove vi siete incontrati?» chiese Linda.
«In realtà non ci siamo ancora incontrati, l’ho conosciuto
sul web».
«Mai fidarsi degli uomini virtuali!» esclamò Barbara con i
palmi aperti bene in vista. «Cercano solo di infilarlo da
qualche parte».
«Sempre la solita esagerata» disse Linda.
«A me sembra così sensibile» riprese Elena con fare
assorto.
Barbara le passò le mani davanti agli occhi:
«Bambola, sveglia! Stai attenta, non vorrei che tra qualche
settimana te ne venissi con frasi del tipo “avevi ragione
tu”».
«Credo che abbiamo bevuto abbastanza», disse Linda
guardando l’orologio. «Io direi di tornare e, per quanto mi
riguarda, recupero le cose e torno a casa».
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«Se hai bevuto solo acqua minerale!» esclamò Elena.
«La Dottoressa vuole tenersi in forma» sentenziò Barbara.
Antonella osservò la targhetta di ottone affissa sulla porta.
Attese qualche secondo prima di decidersi a entrare.
L’ufficio era vuoto e nell’aria si sentiva un buon profumo.
Lo conosceva bene, lo aveva acquistato anche lei dopo
aver fatto un po’ di ricerche. A lavoro però non l’aveva
mai indossato. Si avvicino alla scrivania lasciando il post-it
sulla tastiera del notebook:
«Ecco i tuoi nomi del cazzo. Quanto bisogna essere troia
per arrivare fin qui?» si domandò mentre, dopo aver girato
lentamente intorno alla scrivania, si lasciò cadere sulla
sedia appoggiandosi allo schienale. Accavallò le gambe
sentendosi a suo agio e cominciò a guardarsi intorno. La
cassettiera alla sua sinistra era dotata di serratura ma la
chiave, era nella toppa. Valeva la pena dare un’occhiata.
Aprì i cassetti ma ci trovò solo scartoffie e qualche penna
di poco valore buttata lì, di quelle che gli agenti di
commercio regalano a Natale e che qualcuno addirittura
butta direttamente nel cestino dei rifiuti. La stronza aveva
lasciato la borsa sulla scrivania, magari dentro c’era
qualcosa per cui valesse la pena guardare. Quando stava
per aprire la lampo, la sua attenzione fu attirata dallo stick
in plastica coperto in parte da essa. Gli bastarono pochi
secondi per capire di cosa si trattasse, era un test di
gravidanza ed era stato già usato.
«Ma guarda un po’ cosa c’è qui in bella mostra. Qualcuno
è in dolce attesa».
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Non era tanto difficile immaginare di chi fosse. Il test era
stato dimenticato sulla scrivania insieme alla borsa, in
ufficio c’erano solo la Valle e la stronza della Miele.
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professioniste, parte integrante dell’azienda. La scelta le
valse i complimenti dell’Amministratore Delegato e
l’ufficio che tuttora occupava al primo piano. Antonella
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la prima arrivata che mette il naso nell’intimità altrui».
«Ma io non ho messo il naso da nessuna parte. Facevo solo
il mio lavoro e non ho potuto fare a meno di notarlo. Non
ci vedo nulla di male» rispose Antonella sulla difensiva. I
toni della discussione stavano attirando l’attenzione di chi
si trovava a passare. Qualcuno uscì dall’ufficio
avvicinandosi al bancone con la scusa della pausa caffè.
Linda poggiò la mano sulla spalla di Barbara facendole
capire che toccava a lei gestire la situazione:
«E’ così e sono felice di farvelo sapere. Aspetto un
bambino e ti ringrazio sinceramente per gli auguri».
Elena si avvicinò sussurrando:
«Tantissimi auguri Linda. Credo che per te sia una notizia
fantastica».
«Lo è» rispose sorridendo.
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CAPITOLO 15
122
Quando Massimo entrò nell’ufficio di Marelli, Petrone lo
stava aspettando. Sedeva sprofondato nella spessa
imbottitura della sedia, al punto che ebbe non poche
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dell’indennità che gli spettava di diritto. Pietro fu l’unico a
non pagarne le conseguenze. Anzi, si può dire che ne uscì
vittorioso mettendo in piedi quella che poi è diventata la
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fece cenno di aspettare.
«Come avrete potuto immaginare, è necessaria una
riduzione dei costi e quindi, mio malgrado, sarò costretto a
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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devono essere nostri. Stiamo parlando di grandi forniture a
ridotta manodopera».
«Sarà necessario lavorare bene sugli acquisti» intervenne
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
Petrone.
«A proposito. Questa sarà l’ultima settimana di lavoro per
Saverio Scala».
Responsabile dell’ufficio acquisti, era capace di trovare in
brevissimo tempo qualsiasi cosa gli si chiedesse a prezzi
sbalorditivi. Aveva risolto non pochi problemi sia a
Massimo sia a Petrone ed era riconosciuto come l’incubo
dei fornitori. Non aveva senso licenziare chi poteva far
guadagnare utilizzando solo un telefono.
«Abbiamo trovato un accordo ed ha firmato le dimissioni.
Resterà ancora qualche settimana in modo da affiancare
Giovanni. Reputo giusto che sia mio figlio a occuparsi
degli acquisti».
«Non credi sia necessaria una buona dose di esperienza per
ricoprire quella mansione? Magari gli si potrebbero
delegare alcune trattative lasciando comunque la direzione
a Saverio».
«Queste erano le mie intenzioni, sia chiaro. Quando gli ho
proposto la collaborazione di Giovanni, mi ha chiesto di
firmare le dimissioni».
«Vuol dire che cercheremo di tirare avanti» sentenziò
Petrone alzandosi, questa volta imitato da Massimo.
Ne aveva già abbastanza per quella giornata. Poteva
consolarsi pensando che nella vita c’erano cose più
importanti della Marelli e il loro valore, facevano passare
tutto in secondo piano. Negli ultimi tempi gli capitava di
ripensare a quando, fino a pochi anni prima, accecato dalla
126
giovanile voglia di conquistare il mondo, metteva tutto in
secondo per la smania di successo. Adesso era consapevole
di aver maturato una semplice voglia di vivere, da non
confondere con la rassegnazione di essere una persona
qualunque. Avrebbe accettato le sfide quotidiane della vita
senza arrendersi ma semplicemente riservandole il loro
posto, senza farle interferire con quelli che sono i veri
valori e di cui troppo spesso se ne sente la mancanza
quando è troppo tardi. La prospettiva di vita con Linda e il
bambino, dava un senso diverso al suo essere uomo. In
quel momento avrebbe voluto raggiungerla. Non ci pensò
troppo.
In ufficio si sentiva come a casa. Seduta alla scrivania, era
talmente a suo agio da riuscire a rilassarsi come se fosse
immersa nella sua Jacuzzi. Con la schiena appoggiata allo
schienale della sedia e la testa all’indietro, stava
ripensando a quanto successo. La gioia per l’arrivo del
bambino era tale, che non riusciva a provare risentimento
per Antonella. Cominciò a riflettere su quelle che potevano
essere le ripercussioni per la sua carriera. Non ci sarebbe
voluto molto prima che la notizia si diffondesse a macchia
d’olio e se Barbara aveva ragione sul conto di Antonella,
probabilmente ci avrebbe pensato lei ad accelerare il
processo. Ad ogni modo, avrebbe continuato a dare il
massimo, sicura che i suoi sforzi sarebbero stati
ricompensati. I suoi pensieri furono interrotti dalla
suoneria dell’Iphone.
«C’è qualcuno che mi vuole?» rispose.
«Direi urgentemente».
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«Qual è il motivo di tanta urgenza? Dovrei rimandare
alcuni impegni importanti e vorrei essere sicura che ne
valga la pena».
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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respiri si facevano affannosi:
«Andiamo a casa».
«Sono solo di passaggio» fece lui tra i gemiti sentendo
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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crescere l’eccitazione.
«Allora ti voglio qui, adesso» riprese lei mentre,
avvicinandosi alla porta, la chiuse a chiave.
«Dai!» esclamò lui divertito.
«Non l’abbiamo mai fatto a lavoro» continuò mentre
cominciava a sbottonare la camicetta.
Linda camminava a passo svelto, l’aria fresca gli sfiorava
il viso. Sentiva addosso il profumo di Massimo ed il battito
era ancora accelerato. Una ragazza che poteva avere circa
la sua età, veniva verso lei spingendo un passeggino. Un
sorriso comparve sulle sue labbra e non poté fare a meno
di guardare il piccolo avvolto nel lenzuolo azzurro.
Appena il tempo di alzare lo sguardo e incrociò quello di
una donna in attesa, seduta su una panchina, con entrambe
le mani poggiate sul ventre. Da quando aveva saputo di
essere in dolce attesa, le sembrava che il mondo fosse
popolato da future mamme, quasi come se tutti avessero
deciso all’unanimità di contribuire a una collettiva crescita
demografica. Probabilmente la vera ragione, era che fino a
poco prima la sua visione delle cose era distorta dal lavoro
e dalla quotidianità. Era felice, anzi provava gioia. Quella
sensazione che proviene da dentro, che ti fa accelerare il
battito del cuore, che dura solo qualche attimo e che non è
procurata da una bella notizia o da una conquista. E’
qualcosa di diverso, che nasce senza un apparente motivo e
senza capirne il perché. E’ un dono. In quel momento, la
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sua vita era gioia.
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CAPITOLO 16
131
Carlo versò una generosa quantità di scotch nel bicchiere.
Lo preferiva liscio. Poggiò la bottiglia sul tavolo e sedette
su uno sgabello. Il lavoro lo teneva di solito lontano dalla
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
132
conferma. Quando in seguito inviò la richiesta a Elena
Sarti, sperò che l’amicizia in comune lo aiutasse. Dopo
qualche giorno ne ebbe la conferma. Era passato qualche
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
133
Barbara.
“Dove?” chiese lui.
“Blanco bar. Lo conosci?”
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
“Lo troverò”.
“Allora a domani. Alle 13:30. Un bacio”.
“A domani”.
Carlo sentiva crescere lo stato di ansia che si prova quando
si sta avvicinando un evento importante. Sapeva che tra
Elena, Linda e Barbara, stava nascendo una sana amicizia.
Lei gli aveva raccontato delle due colleghe che l’avevano
accolta come una sorella. Carlo aveva capito che non
sarebbe stato semplice con lei. Avrebbe dovuto lavorarci
parecchio. Il rischio, nel caso delle relazioni a lungo
termine, era quello dell’innamoramento. Elena era stata
chiara fin dall’inizio, non aveva intenzione di frequentare
fidanzati, mariti o papà frustrati. Lui gli rispose in maniera
sincera: era single.
La luce della lampada scialitica oltrepassando il lenzuolo
verde, abbagliava il suo sguardo. Aveva un braccio che
pendeva dal lettino, quel tanto che bastava a stritolare la
mano di Massimo quando il dolore si faceva
insopportabile. Il sudore le bagnava la fronte su cui si
appiccicavano i riccioli che fuoriuscivano dalla cuffia
bianca. Respirava profondamente per cercare di calmarsi e
non pensare alle fitte che, a intervalli regolari, le
laceravano dentro. Adesso stava vivendo uno di quei
momenti di calma che si alternavano al dolore, momenti in
cui il parto sembrava quasi piacevole. Linda si rivolse
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all’ostetrica con quello che restava della voce dopo le sei
ore di travaglio:
«Tolga il lenzuolo, lo voglio vedere» disse rivolgendo un
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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Caccialo fuori altrimenti dovrò tirartelo io».
Linda sentì che qualcosa stava entrando dentro di lei e
intuì che si trattava della mano. Cercò di dimenarsi ma non
riusciva a comandare né gambe né braccia. Quando alzò la
testa, riconobbe la vistosa cicatrice coperta in parte dai
capelli folti. Abbassò la mascherina chirurgica mostrando i
suoi denti in una risata sguaiata, era lo stesso uomo che
l’aveva aggredita.
«E anche questo adesso è roba mia, troia».
L’urlo di Linda svegliò di soprassalto Massimo che in un
attimo capì cosa stava accadendo. Erano alcune notti
oramai che la moglie era tormentata dagli incubi.
La scrollò per farla svegliare:
«Tesoro, svegliati!»
Lei aprì gli occhi ancora pieni di lacrime e scoppiò in un
pianto a dirotto. Massimo la strinse a se:
«E’ stato solo un brutto sogno, non è reale. Sono qui con
te, calmati. E’ tutto finito».
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CAPITOLO 17
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Era circa mezzogiorno quando Carlo chiuse la porta
dell’ufficio e si avviò verso l’uscita. Doveva fare un po’ di
strada e preferiva arrivare in anticipo. Superò gli scaffali e
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138
e ritirò la password temporanea. Si sedette allo sgabello e
ordinò un Campari Spritz. Elena era online e gli inviò un
messaggio:
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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nessuno con un mazzo di fiori in mano. Si avviò verso i
divani alla ricerca di un po’ di discrezione quando vide
l’elegante cassiere in abito scuro alzarsi e venirle incontro.
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preparato tutto nei minimi particolari.
“Facciamo un gioco” scrisse Carlo. “Voglio che mi
racconti come m’immagini”.
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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un senso di forza. Capelli corti, pettinati in modo ordinato,
brizzolato. Sguardo profondo, occhi scuri, lineamenti
marcati. Barba leggera, al massimo di un giorno. Veste in
modo elegante, indossa pantaloni leggeri e camicia bianca
leggermente sbottonata”.
“Vuoi dire che in sala c’è un uomo così? Sono senza
speranze”.
“Almeno fino ad ora, perché penso che stia uscendo”.
Carlo si stava alzando. Si avviò verso il centro della sala
senza mai incrociare il suo sguardo. Arrivato in prossimità
del tavolo, poggiò la mano sullo schienale della sedia
libera:
«Scusa il ritardo. Posso sedermi?»
Il viso di Elena avvampava come il fuoco e rispose
balbettando:
«S-si, certo... »
Carlo fissò gli occhi scuri:
«Delusa?»
Elena sorrise in modo imbarazzato:
«La smetti di prendermi in giro?»
Era sicuro di piacergli.
«Allora brindiamo?» chiese mentre riempiva i due
bicchieri.
«Certo» rispose lei.
«A noi due».
Bevvero.
«Abbiamo il pomeriggio per noi o torni a lavoro?» fece lui
poggiando il suo bicchiere.
«Credo che ci meritiamo un po’ di tempo, il lavoro può
aspettare. Mando un messaggio in azienda».
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«Magari andiamo in un altro posto» disse alzandosi.
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CAPITOLO 18
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Linda stava osservando la pianta della sala su cui aveva
riportato, a penna, la disposizione dei tavoli. Aveva ancora
bisogno di definire con Barbara l’ordine di uscita dei
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
145
scendere si diede una rapida sistemata ai capelli e al
trucco. Guardandosi allo specchio, non poté fare a meno di
notare le sue occhiaie e il colorito pallido. Chiese il
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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Arrivata a metà passerella, intravedendola in lontananza si
sbracciò per salutarla saltellando sui tacchi vertiginosi. La
scena fece sorridere Linda che vide in un attimo, una
femme fatale trasformarsi in una ragazzina. Si avvicinò
alla passerella mentre Elena correva nella sua direzione.
Appena furono vicine allungò le braccia al collo
stringendola in un caloroso abbraccio:
«Finalmente sei arrivata. Ti stavamo cercando, come stai?»
«Ho avuto giorni migliori» rispose mentre, con una mano,
stava richiamando l’attenzione di Barbara.
«E la gravidanza?» chiese Elena toccandole il ventre.
«Tutto per il meglio. Il tuo corteggiatore invece?»
«E’ fantastico».
«Tu sei fantastica!» s’intromise Barbara che nel frattempo
le aveva raggiunte. Poi si rivolse a Linda guardandola
come se volesse ammirarla da lontano:
«Che aspetto di merda che hai. Stai dormendo? Credo che
dovresti riposare di più».
«Proprio adesso?» rispose. «E’ il momento più difficile,
bisogna essere attenti a ogni minimo dettaglio perché non è
più concesso sbagliare. Non avremmo il tempo di
recuperare».
«Ci siamo noi, tu potresti limitarti ai controlli di tanto in
tanto».
Trascorsero del tempo a discutere dell’organizzazione,
prima di concedersi un po’ di riposo in un angolo della
sala.
«Tutti sanno della tua gravidanza» esordì Barbara.
Linda la guardò con aria disinteressata come a voler
rimarcare l’ovvietà di quell’osservazione.
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«E’ inutile che mi guardi così» continuò, «sei stata tu a
dirlo in giro? E non parlo di noi ragazze o di quelle stronze
al banco della reception. Io sto parlando dei dirigenti. Qui
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
lo sanno tutti».
«Prima o poi doveva succedere. E poi che problema c’è?
Anche con il pancione si può lavorare».
«Ma non è questo il punto» riprese Barbara sensibilmente
alterata, «qualcuno aveva interesse che la notizia trapelasse
subito. Se nessuno ne avesse parlato, magari la cosa poteva
venir fuori dopo la tua promozione».
Linda restò in silenzio riflettendo su quanto la sua amica
stava dicendo. Era possibile che qualcuno provasse gusto a
renderle le cose difficili?
Elena, che fino ad ora si era limitata ad ascoltare,
s’intromise cercando di assumere un tono
accondiscendente:
«Linda, cerca di fare attenzione. Quello che Barbara sta
dicendo non è escludibile. Com’è possibile che le alte sfere
aziendali siano venute a sapere della tua gravidanza?»
«E’ vero che le voci circolano» riprese Barbara, «ma quale
impiegato, modella o operaio che lavorano qui in sede, ha
contatti così in alto. Io un’idea me la sono fatta».
Fissò Barbara negli occhi.
«Quella troia di Antonella!»
«Dai!» rispose Linda con l’espressione rassegnata, «ma ti è
così antipatica? Anch’io penso che sia disposta a tanto per
avere favori, ma da qui a intralciare la carriera altrui per il
gusto di farlo... Anche perché lei non può certo aspirare
alla mia posizione».
«Lei no» rispose Barbara, «ma potrebbe favorire qualcuna
148
con cui ha rapporti migliori di quelli che ha con te».
«Parli del diavolo... » disse sottovoce Elena.
Antonella si avvicinò con fare distratto stringendo al petto
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149
potessero ascoltare:
“La Graffiti ha una nuova Leisure Manager. La scelta,
difficile per l’alto valore delle candidate, è ricaduta sulla
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
150
autoritario di Antonella ne era la chiara dimostrazione.
Tutti sapevano del suo ottimo rapporto con la Dottoressa
Icardi che, con la nuova carica, era l’unico dirigente in
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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151
infilò la mano nella borsa senza distogliere lo sguardo
dagli occhi tristi. Era stata inviata dalla direzione della
Graffiti. Scorse velocemente il testo senza soffermarsi sui
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
152
cui venivano svolte le operazioni, un gruppo
d’imbianchini. Le pareti erano state quasi interamente
riverniciate e gli schizzi bianchi avevano imbrattato buona
parte della pavimentazione che, un gruppo di signore di
mezza età, cercava di tirare a lucido con l’aiuto di scope e
stracci. Una parte degli impiegati aveva riposto le giacche
ed era impegnata nel trasporto di tavoli e sedie nella parte
antistante alla passerella. Le camicie, intrise di sudore,
mostravano la poca confidenza con quel tipo di lavoro.
Osservando la scena, ebbe l’impressione di assistere a uno
spettacolo di burattini diretti con estrema maestria. Lei era
li, di spalle, con il suo impeccabile tailleur nero, gli
appunti in una mano, l’altra poggiata su un fianco in una
posa che mostrava tutta la sua autorità. Dopo appena
qualche giorno dalla sua nomina, era stata già capace di
rivoltare l’intera azienda per mettere sull’evento la sua
firma, spazzando via il lavoro delle ultime settimane. La
cosa che le faceva più male, era che tutti stavano dando il
massimo dagli impiegati, che addirittura si dilettavano a
fare i facchini, a Barbara ed Elena che pendevano dalle sue
labbra mentre discutevano di qualche dettaglio forse legato
ai modelli. Una vera dimostrazione di forza, quella donna
aveva carisma da vendere e lo stava spargendo in quella
sala. Come aveva potuto pensare di ricoprire quel ruolo,
come aveva potuto essere così cieca, proprio lei che
doveva essere la talent scout della Graffiti. Delusa e
scoraggiata, si avviò verso le scale notando le nuove
ragazze della reception discutere con Antonella che, quella
mattina, sembrava risplendere di una luce nuova. Salutò,
passando davanti.
153
«Buongiorno Valle», fu la risposta di Antonella. Rimase
sconcertata dal tono insolitamente confidenziale.
«Mi chiami appena hai finito in ufficio?»
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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tranquilla per la tua igiene».
«Oh, vedo!» esclamò indicando con la mano, «lasci tracce
di te dappertutto. Guarda che cazzo stai combinando».
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punto urlò a pieni polmoni. Massimo si svegliò di
soprassalto e capì immediatamente cosa fosse successo.
«Linda, amore. Calmati!»
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156
con le scarpe, sentì dei passi provenienti dal corridoio del
reparto. Il camice bianco e lo stetoscopio indicavano che si
trattasse di un medico.
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157
peggio ancora “suo figlio è morto”, trasmette un senso di
angoscia che alimenta l’inevitabile dolore. La reazione di
Massimo fu composta, non ci aveva pensato durante
l’attesa preoccupato per lo stato di salute della moglie.
«Il feto era affetto da un’anomalia cromosomica, di solito
provocata da un problema dello sperma o dell’ovaio che ne
impedisce il normale sviluppo. Non c’è molto che si possa
fare in questi casi».
Massimo ascoltava quelle parole ma non riusciva più a
coglierne il senso. Il medico sembrò accorgersene e gli
diede qualche secondo prima di riprendere:
«L’organismo di sua moglie non ha espulso tutti i tessuti e
quindi è stata sottoposta a una revisione uterina per
arrestare il sanguinamento e prevenire infezioni».
«Quanto tempo dovrà restare in ospedale?»
«La ripresa per questi tipi d’intervento è rapida se non ci
sono evidenti complicazioni. Già stasera potrebbe essere
dimessa. Vede, le conseguenze fisiche di un aborto
spontaneo di questo tipo sono irrilevanti. Sua moglie potrà
tornare a una vita normale da subito e potrà intraprendere
nuove gravidanze. Le maggiori ripercussioni invece, nella
maggior parte dei casi, sono di tipo psicologico».
Massimo sapeva che Linda era una donna forte e che era
capace di reagire con energia alle difficoltà della vita.
Purtroppo, quella non rientrava nelle situazioni che una
persona immagina di dover affrontare.
«Stia vicino a sua moglie in questo periodo. Molte donne
impiegano anni per superare le angosce, a volte non ci
riescono per tutta la vita. Questa struttura sanitaria offre un
servizio di assistenza nel caso ne abbiate bisogno».
158
Il medico gli strinse la mano prima di allontanarsi.
La grande finestra della degenza era rivolta a sud rendendo
l’ambiente molto illuminato. La stanza era predisposta per
ricoverare due pazienti e il lettino libero stava servendo da
sedia a Massimo. Osservando la moglie dormire,
ammirava la sua bellezza nonostante la dura nottata. Linda
aprì leggermente gli occhi restando a osservare un punto
distante con il viso rivolto alla parete. Dopo qualche
attimo, avvertendo la presenza di qualcuno, si voltò
lentamente fino a incrociare lo sguardo di Massimo.
Sorridendo stese il braccio chiedendo il suo contatto.
Massimo si spostò sul suo lettino e le strinse la mano.
«Ciao amore» le disse prima di sfiorarle la fronte con le
sue labbra. «Come ti senti?»
«Meglio adesso che ti vedo» rispose lei. «Ho solo un
leggero mal di testa».
Massimo voleva evitare di parlare di ciò che era accaduto
ed era contento di vederla così tranquilla. Era quasi
sorpreso dal suo sorriso.
«Ti sei riposato almeno un po’?» gli chiese con
espressione rilassata.
«Per quanto si possa riposare su una sedia. Comunque
penso di essermi appisolato. A un certo punto sono stato
svegliato da quello che sembrava il galoppo di un cavallo,
per poi scoprire che si trattava di un’infermiera di duecento
chili con gli zoccoli».
Linda abbozzò una risata e gli accarezzò il volto. Spostò il
braccio sotto le lenzuola e posò la mano sul suo ventre
piatto.
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«E il bambino a chi somiglia?»
Il volto di Massimo si fece serio. Il sorriso sparì mentre
abbassava lo sguardo verso le sue mani che stringevano
quella di Linda.
«Dovrebbero portarlo per la poppata» continuò lei.
Massimo pensò che non fosse il caso di assecondarla,
anche se riportarla alla realtà, avrebbe potuto sconvolgerla
più di quanto già fosse. Nelle piene facoltà mentali, non
avrebbe potuto pensare di mettere al mondo un bambino
dopo poco più di un mese di gravidanza.
«Linda, c’è stata una complicazione. La gravidanza si è
interrotta, stanotte ti ho portato qui in ospedale. Purtroppo
è così ma tu stai bene».
«Il bambino come sta?»
Massimo le accarezzò il viso:
«Non c’è nessun bambino. Non c’è mai stato nessun
bambino. La gravidanza si è interrotta dopo appena un
mese, era poco più di un ovulo. Potremmo riprovarci».
L’espressione di Linda mostrava tutta la sua sorpresa.
Restò impassibile per qualche attimo prima di scoppiare in
una fragorosa risata. Quella reazione fece cadere Massimo
nello sconforto. Cercando di farla smettere, la strinse forte
a se:
«Amore, calmati! Dobbiamo affrontare la realtà, essere
forti e cercare di trovare la forza per superare questo
momento».
La risata di Linda si trasformò lentamente in un pianto
contenuto. Avrebbe dovuto convivere con quella
sofferenza, ma almeno adesso era consapevole di quanto
fosse successo.
160
CAPITOLO 19
161
Massimo stava osservando distratto il monitor. Immergersi
nel lavoro lo aiutava a distrarsi, ma quel giorno non era
così. Aveva letto una serie interminabile di mail, aveva
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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sono stati eseguiti pagamenti consistenti per acconti di
forniture».
«Ordini emessi da Saverio Scala?» chiese Massimo.
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163
Oban. Osservò, attraverso il bicchiere, lo schermo del
portatile colorato d’ambra mentre sentiva il calore
pervadere la gola. Socchiuse gli occhi. Forse aveva bevuto
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
164
da piccolo si era sempre distinto in qualsiasi cosa si fosse
cimentato. Le sue spiccate doti, gli avevano consentito di
diventare capo area all’età di trent’anni e Carlo avrebbe
scommesso la sua carriera che a breve, nonostante la
giovane età, sarebbe riuscito a ricoprire un posto al vertice
della piramide aziendale. Quella mattina si stava aggirando
tra le corsie, con il suo impeccabile abito grigio,
osservando con aria apparentemente distratta gli scaffali.
Carlo lo seguiva a passo lento, con le mani infilate nelle
tasche dei jeans. I clienti affollavano il negozio nonostante
fosse un martedì di ottobre e i commessi, erano impegnati
a dare il loro meglio per impressionare il visitatore. Carlo
sembrò scorgere sul suo viso l’ombra di un sorriso. Si
fermò e inspirò lentamente:
«Che buon odore!» esclamò. Cominciò a sentirsi più
rilassato seguendolo verso la corsia centrale, dalla quale si
aveva una visuale completa del negozio. Una giovane
coppia si stava avvicinando a quelli che dovevano essere i
loro figli, appena adolescenti, intenti a sfidarsi con un
nuovo picchiaduro. Davino li aveva già notati nel reparto
TV, intenti ad ascoltare i consigli studiati del commesso,
immersi nella parete di LED in esposizione. Gli stava
mostrando gli ultimi modelli Samsung, secondo le recenti
direttive aziendali emesse dopo l’accordo commerciale.
Percorse il corridoio alla sua sinistra e si avvicinò al
commesso:
«Com’è andata?» chiese senza troppi preamboli.
Il fatto che quella persona ben vestita fosse accompagnata
da Carlo, fu sufficiente a farlo rispondere senza troppe
domande:
165
«Ho cercato di convincerli che fossero i migliori sul
mercato».
«E ci sei riuscito?»
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166
Purtroppo, il gruppo non naviga in buone acque. Stamani
sono stato informato della chiusura di altri due punti
vendita nell’area nord est. Hanno venduto i locali, ne
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
167
alti dell’intera catena. Ci sono più commessi qui che in
altre due sedi messe insieme. Licenzia qualcuno. Tenta
fino in fondo di tenere in piedi questo negozio. Vedrai che
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168
aspetto fisico ma a una tenacia nello studio che rasentava
le capacità umane. L’intervallo medio che trascorreva tra
due esami era di circa quattro mesi. Il primo, era
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169
giubbotto e controllò che non ci fosse qualche chiamata
persa. Il numero di quella SIM, acquistata non più di un
mese prima, lo conoscevano solo due persone: Marika ed
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
170
sotto il plaid. In TV stavano dando un documentario sugli
animali della savana.
«Vieni qua sotto amore, scaldiamoci un po’» fu il suo
invito.
Carlo slacciò le scarpe e si sdraiò di fianco sentendo il suo
tepore. Anita si accucciò con la testa al petto inspirando
l’odore che emanava. Amava quella ragazza e in quei
momenti, quando gli mostrava tutta la sua fragilità,
provava una profonda tenerezza. Ciò nonostante, in quel
momento era distratto, stava con lei sentendo di adempiere
un dovere ed era impaziente di raggiungere Elena. Stava
pensando che quella sera l’avrebbe avuta nell’attimo in cui
Anita si allontanò da lui. Si ritrovò nell’azzurro intenso dei
suoi occhi e per un momento ebbe il timore che fosse stata
capace di percepire i suoi pensieri, come se quel contatto
così intimo, avesse aperto la porta della percezione tra
loro.
«Facciamo l’amore».
Carlo cominciò a baciarla più intensamente, pensando a
quelle parole. Poi la passione prese il sopravvento e si
sdraiò su di lei.
Anita abbassò i collant mentre lui stava cercando di sfilarle
la felpa.
«No, per favore. Sento freddo!» esclamò sorridendo.
Dopo aver fatto l’amore, Carlo era disteso sul letto mentre
lei, con la testa poggiata sul petto, gli accarezzava
l’addome.
Restarono così per un tempo che sembrò interminabile:
«Come stai?»
171
La risposta di Anita arrivò dopo qualche attimo:
«Bene, ma sono triste».
«Perché?»
Anita lo strinse a se:
«Per Linda. Ho l’impressione che per lei sia stata più dura
di quanto si possa immaginare».
«E’ una donna forte e può contare su Massimo. Si amano,
riusciranno a superare questo periodo. Tu e Barbara
cercate di starle accanto, le sarete d’aiuto».
«Guarda che il bambino l’hanno perso in due» rispose di
botto lei. «Massimo come sta? Da quanto tempo non lo
senti?»
Solo in quel momento Carlo pensò realmente a lui.
Succedeva spesso che per vari motivi, passavano diverse
settimane prima che riuscissero a incontrarsi, tuttavia,
trovavano sempre il tempo per una telefonata. Da quando
aveva avuto inizio la sua relazione con Marika, stava
trascurando ogni aspetto della sua vita quotidiana,
compreso il suo migliore amico. Ovviamente la colpa era
solo sua, non poteva certo pretendere che Massimo,
distratto dai suoi problemi familiari, trovasse il tempo per
chiedergli l’andamento delle sue relazioni. In quel
momento si ricordò dell’appuntamento e sentì un nodo in
gola. Anita si era assopita. Chiuse gli occhi e immaginò
quel corpo stupendo che avrebbe avuto sentendo tornare
l’eccitazione. Quando riaprì gli occhi, si rese conto di
essersi addormentato. Guardò l’orologio e vide che erano
passate le ventitré. Sobbalzò svegliando la sua ragazza:
«Amore, si è fatto tardi. Continua a dormire, io torno a
casa. Domani dovrò svegliarmi presto».
172
«Resta con me. Dormiamo insieme» borbottò lei
allungando il braccio alla cieca.
Carlo si avvicinò dandole un bacio sulla guancia:
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173
rendersi indipendente dai genitori, si era accontentata dello
spazio ridotto. La sua era una camera ben più ampia con
una grande finestra sul giardino, che la rendeva molto
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174
poteva certo credere di amarla, ma allora cos’era quel
sentimento se non gelosia? Si poteva quindi essere gelosi
di una persona anche senza provare un sentimento, o in
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
175
anche Elena lo conosceva.
«Anch’io» rispose senza troppa convinzione.
Lei sorrise:
«Lo so che è stata solo una gran bella scopata, ma a me
piaci davvero».
«Anch’io sto bene con te. Proviamo a vedere come va, che
ne pensi?» chiese guardandola negli occhi.
«Che cosa sono adesso per te?» chiese seria.
Carlo non distolse lo sguardo:
«Sei ciò che più voglio» disse prima di baciarla.
Si abbandonò a lui.
176
CAPITOLO 20
177
Marika poggiò i documenti sulla scrivania. Dal forte odore
di fumo capì che Carlo era uscito da poco, forse solo per
un breve controllo alle corsie avendo lasciato il computer
acceso. Il desktop era occupato dall’elenco delle mail ma
sulla barra delle applicazioni, erano evidenti le notifiche
del browser che indicavano l’arrivo di messaggi in chat.
Diede uno sguardo furtivo all’ingresso, pensando che
sarebbe riuscita ad accorgersi dei passi provenienti dalle
scale prima che qualcuno fosse riuscito a entrare. Afferrò il
mouse per aprire la finestra. La foto del profilo ritraeva un
paesaggio lunare ed il nome, Carlo Merisi, le sembrava
familiare. Stava pensando alla possibilità che qualcun altro
potesse utilizzare quel computer quando udì una voce
riecheggiare all’esterno. Richiuse la finestra del browser e
si allontanò dalla scrivania. In quel momento entrò Carlo
impegnato in un’animata conversazione telefonica.
Marika, notando il suo sconcerto, giustificò la sua presenza
indicando i fascicoli sulla scrivania prima di avviarsi alla
porta. Durante il tragitto verso la sua postazione, ripeté
quel nome cercando di imprimerlo nella memoria. Arrivata
al punto accoglienza, recuperò lo smartphone dalla borsa e
avviò l’applicazione. La sua memoria non l’aveva
ingannata, non solo quel nome era tra i suoi contatti, ma
avevano anche un’amicizia in comune. Carlo Merisi e
Carlo Sorli dovevano essere la stessa persona e non fu
difficile intuirne la spiegazione. La curiosità si tramutò in
rabbia quando capì di essere stata scaricata per una donna
che non fosse Anita e che i sensi di colpa di Carlo, erano
solo una stupida scusa per metterla da parte. Di una cosa
era sicura, non avrebbe mollato così facilmente.
178
La porta chiusa non lasciava trapelare alcun rumore nella
piccola stanza che una volta, aveva avuto lo scopo di far
accomodare gli ospiti in attesa. C’era appena lo spazio per
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179
Può sembrare un paradosso ma, chi tende a pensare troppo
deve dar conto alle considerazioni sulle maggiori
probabilità d’insuccesso e quindi è più tentato dal
desistere. Chi pensa meno osa di più e, come si sa, bisogna
tentare per ottenere».
«Pensiero inappuntabile» disse Massimo visibilmente
amareggiato, lui che credeva nella meritocrazia.
Petrone si appoggiò alla sedia vuota:
«Quanti Marelli esistono che, invece, hanno rischiato
senza lo stesso successo. Sono sicuro che rappresentino la
maggioranza, ma di loro nessuno parla. Ed ecco può
sembrare quasi che nella vita, se si ha il coraggio di
provarci, si può ottenere qualsiasi risultato» disse
mimando con le mani uno sbuffo d’aria, quasi con le
movenze di un mago al quale è appena riuscita una magia
che ha lasciato i bambini senza fiato. «Siate onesti. Il
pensiero che lui sia riuscito a creare tutto questo, quasi vi
rincuora. Se ce l’ha fatta lui, se avessi un po’ di coraggio
in più… Col cazzo!» esclamò quasi gridando, facendo
trasalire Lena. «Dovreste avere il suo culo. La sua cazzo di
fortuna. Anche per trovare persone come voi durante il
cammino» terminò sedendosi, quasi sfiancato da quelle
parole.
«Tutto ci porta a pensare che abbia deciso di raccogliere i
frutti di tanta fortuna» disse Massimo. «Ne siamo quasi
certi. Ogni azione sembra studiata nei minimi dettagli per
un unico scopo».
«Sta usando i fornitori più fidati per prosciugare le casse. E
di questo passo non ci vorrà molto tempo» intervenne
Lena.
180
Petrone sembrava pensieroso:
«Anche il licenziamento di Scala quindi, è stato
premeditato. Era l’unico ostacolo nei rapporti tra lui e i
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
fornitori».
«Potremmo fargli capire che siamo a conoscenza delle sue
intenzioni. Magari convincendolo a fermarsi» disse lei.
«Andrà dritto per la sua strada» rispose Massimo. «Anche
se si tratta di falsa fatturazione, sarà difficile provarlo. Non
si fermerà».
«Sono d’accordo» fece Petrone. «Dobbiamo metterlo con
le spalle al muro. E’ improbabile farlo tornare sui suoi
passi, dobbiamo essere consapevoli che lo facciamo solo
per rovinarlo. Forse riusciremo ad avere tutti quello che ci
spetta di diritto, ma per la Marelli non vedo via d’uscita».
«Potremmo iniziare da queste fatture di affitto, magari
troviamo qualche pista da seguire» disse Massimo.
Lena digitò qualcosa sulla tastiera:
«Quel nome non mi è nuovo» disse osservando uno dei
documenti, quasi parlasse con sé stessa, «e perché i
licenziamenti da un giorno all’altro?»
«Ecco il colpevole!» esclamò Petrone indicando
platealmente Massimo. «Pur non volendo, ha innescato
questo meccanismo suggerendo la soluzione per l’affare
Ital Petroli. Pietro sarebbe dovuto ricorrere ai suoi fondi
personali e ha colto l’occasione per dirottarci nella
situazione in cui ci troviamo».
«Ecco!» esclamò Lena soddisfatta, «ricordavo di averla
vista. E’ la visura camerale della GM Immobiliare. E
indovinate un po’ chi è l’amministratore?»
«Giovanni Marelli» rispose Massimo che, all’espressione
181
interrogativa di Lena, continuò: «Di certo non brillano per
originalità. Giovanni Marelli Immobiliare» fece
disegnando nell’aria due lettere immaginarie.
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182
tutta sua, per un breve periodo aveva accarezzato
quell’idea ma era svanito tutto troppo presto. L’uomo che
desiderava l’aveva mollata, e il suo posto di lavoro era a
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determinazione. A gambe accavallate, sedeva con le spalle
dritte poggiate allo schienale del divano con le mani sul
ginocchio. Il suo sguardo era fisso in quello di Elena e sul
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eccita. Ieri mi ha parlato di te. La tua reputazione di
amante non fa onore a tutta questa bellezza. Per lui scopo
meglio di te ed è per questo che non potrà fare a meno di
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
185
il tragitto non aveva fatto altro che chiedersi cosa fosse
successo. L’aveva lasciata meno di un’ora prima di buon
umore ma quando entrò nell’appartamento, osservando i
suoi occhi, capì che aveva pianto. Non gli diede il tempo di
avvicinarsi: «Dimmi che non è vero!»
Restò sconcertato, non aveva immaginato che potesse
avercela con lui: «Cosa?»
«Dimmi che non sei fidanzato!» L’espressione sul volto di
Elena era supplichevole, quasi a pregarlo di dirgli ciò che
voleva sentire. La risposta le fece crollare il mondo
addosso:
«Volevo dirtelo» fece lui passandosi una mano tra i
capelli.
Elena abbassò la testa sprofondando il volto tra le mani. I
capelli dorati coprivano quell’immagine di sofferenza.
Carlo si avvicinò sedendo al suo fianco ma lei si scostò
istintivamente quando sentì il contatto con la sua gamba.
Alzò lo sguardo nei suoi occhi:
«Non mi toccare» disse mostrando i palmi delle sue
piccole mani con aria minacciosa. «Quando cazzo avresti
pensato di dirmelo?»
«Ci stavo pensando da alcuni giorni» rispose cercando di
riprendere le redini in mano.
Elena sorrise in maniera beffarda:
«Dimmi se per te sono una semplice avventura, una da
farti come tante altre. Forse mi sono sbagliata a credere
che... »
In quel momento pensò che forse sarebbe stato meglio
stroncare quella relazione e tornare alla sua vita di sempre.
Non era facile.
186
«Non sei come le altre. Da quando ci sei tu, per me sono
cambiate tante cose» rispose poggiandole la mano dietro la
schiena.
«E allora perché cazzo non mi hai parlato di lei?» urlò.
«Perché non volevo che pensassi di essere una semplice
distrazione. Avevo paura di perderti».
«Cosa provi per me?» chiese guardandolo negli occhi. «Mi
ami?»
Carlo sapeva che avrebbe dovuto scegliere in quel
momento. Per continuare a vederla non c’erano altre
possibilità.
«Sì. Ho avuto paura di ammetterlo ma non posso mentire a
me stesso». Le teneva le mani e si era avvicinato tanto da
sentirne il profumo. Elena lo baciò appassionatamente
stringendolo a se. Gli sfilò il giaccone mentre, montando
su di lui, gli porse il collo.
«E per lei? Cosa provi per lei?»
«Per me ci sei solo tu» rispose mentre, sotto la maglia, le
mani armeggiavano per slacciare il reggiseno.
187
CAPITOLO 21
188
Massimo lanciò distrattamente un’occhiata all’orologio.
Erano appena passate le diciannove e il silenzio si
percepiva come una presenza. Era stato il rumore dei passi
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AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
189
stato di tensione, cominciavano a farsi sentire. Piccole
gocce di sudore comparvero sulla sua fronte e la frequenza
dei battiti aumentò. Non era raro che entrasse in quel
locale per ripristinare qualche disservizio agli impianti
dell’edificio o semplicemente per controllare che fosse
tutto a posto. Quella sera però, forse per paura di assumere
un atteggiamento che non sembrasse naturale o
semplicemente per non destare sospetti, preferiva non farsi
vedere in quel posto. Bastava semplicemente mostrare di
essere a suo agio nel caso in cui Vallesi l’avesse trovato
intento a smanettare su quel computer ma, non essendo
sicuro delle sue doti di attore, cercò di fare il più
velocemente possibile. Digitò la password di
amministratore utilizzando la tastiera collegata al sistema e
disabilitò la segnalazione di guasto. Dopodiché scollegò il
cavo dal recorder e immediatamente le immagini in un
riquadro del monitor scomparvero. L’indomani avrebbe
riallacciato il cavo. Se non ci fossero stati problemi,
nessuno si sarebbe accorto dell’anomalia e dopo una
settimana, il sistema avrebbe rimediato cancellando ogni
traccia dell’oscuramento. Uscì dal locale e si avviò verso
la sua postazione per recuperare la giacca.
«Allora andiamo?» riecheggiò nella sala vuota la voce di
Vallesi.
Massimo non sapeva da quanto tempo fosse lì, ma rispose
con naturalezza:
«Don Pietro credo che per oggi basti. Possiamo anche
tornare a casa».
190
Lena arrivò in ufficio di buon mattino. Le piaceva
svegliarsi presto e sentirsi avvolgere dall’aria fredda
ancora povera di sole. Camminare per le strade deserte
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191
frammenti di sicurezza nascosti in lei, e si avviò alla porta
dell’ufficio di Marelli. Si fermò guardandosi intorno. Era
sicura che non ci fosse nessun altro, non c’era bisogno di
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
192
riporre le buste che le recapitavano a mano, quando Zazà
non si trovava in sede. Sapeva benissimo che contenevano
mazzetti di banconote, come sapeva che essere l’unica
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
193
riconosciuto, era dello stesso tipo di quelli utilizzati per le
TV. Pensò dovesse essere dell’impianto di
videosorveglianza e sbirciò nella zona posteriore
all’apparecchio sul quale era poggiato il monitor. Ne notò
una serie già collegati e una sola presa vuota. Inserì il cavo
e fu maggiormente convinto che avrebbe potuto offrire
all’azienda molto più di quello che gli veniva richiesto.
Quando udì il rumore dei passi, Lena si accostò agli infissi
socchiusi scorgendo Vallesi scendere nel cortile. Si sentì
risollevata ma solo fino a quando notò il cancello
scorrevole aprirsi. Il cuore ricominciò a sobbalzare
notando l’auto di Marelli varcare l’ingresso. Si precipitò
verso la sedia, mancavano pochi secondi al termine. Non
riuscì a trattenere l’imprecazione:
«Vaffanculo! Muoviti!»
Cercò di restare lucida e, dopo aver spento il monitor, si
avvicinò alla parete alle sue spalle rimuovendo la copia del
Dalì. Avrebbe tentato di convincerlo che stava depositando
una busta, non era un granché come scusa, ma poteva
essere credibile. In quell’istante sentì la voce di Petrone
chiamare Marelli. Quando si accorse che stava tornando
nel cortile, risistemò il quadro alla parete, controllò che la
copia fosse completa e sfilò il disco rimovibile. Diede una
sistemata alla scrivania e si avviò verso la porta. Sperò che
non ci fosse nessuno dall’altra parte. Uscì e, dopo averla
richiusa, si avviò al bagno. Osservandosi allo specchio
notò il volto di una persona stanca. Quando attraversò la
hall, Marelli e Petrone, stavano varcando l’ingresso:
«Buongiorno» salutarono.
194
«Buongiorno a voi» rispose lei.
Massimo rispose senza badare chi stesse chiamando:
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«Chi è?»
«Ciao, sono Barbara».
«Come va?»
«Bene grazie. Ti chiamo per Linda. Sai che domani sarà il
giorno della sfilata e tutti vorremmo che ci fosse anche
lei».
«Se riuscite a convincerla, siete le sue migliori amiche».
«Tu sei il marito, chi meglio di te».
«Ascolta Barbara, la Linda che ricordate, nasconde quella
con cui mi ritrovo a vivere ogni giorno, quella che
combatte con l’angoscia, che è impegnata la maggior parte
del tempo a piangere. Credimi, non è facile convincerla a
uscire, ad affrontare le persone, il mondo. A volte è
infastidita anche dalla mia presenza».
«Tutti mi chiedono di lei pregandomi di convincerla, anche
la Icardi».
«Potrebbe provare di persona».
«Questo evento è una sua creatura, non può mancare».
Nessuno più di lui voleva quello che gli stava chiedendo,
ma sapeva che parlarne per ore non avrebbe risolto nulla.
«Stasera venite a casa, tu e Anita. Io sarò con voi.
Rivogliamo tutti la nostra Linda».
«Allora a più tardi».
Le ragazze arrivarono poco prima di cena. Massimo stava
seduto accanto a lei, avvolta in un sonno tanto leggero che
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una carezza riuscì a svegliarla. L’espressione di Linda, che
dovette percepire il bisbiglio proveniente dal corridoio, era
un punto di domanda.
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aveva sofferto in giovane età, e nutriva forti dubbi sul fatto
che si potesse criticarne l’uso.
«Hai notato dei cambiamenti?» chiese Barbara.
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aveva un’espressione distrutta, i capelli le scendevano
scomposti sulle spalle e aveva perso peso. Si notava dalla
sporgenza degli zigomi che risaltavano rispetto al naso e
alle labbra. Massimo decise di concedere quel momento
alle ragazze e si spostò all’esterno. Prese una Winston blu
e l’accese combattendo con il vento freddo, pensando che
forse non era più il caso di uscire in maniche di camicia.
La tensione si era attenuata e adesso le ragazze stavano
chiacchierando. Stavano cercando di convincerla a
partecipare all’evento ma dal suo atteggiamento, si
percepiva che era una sfida molto ardua. Massimo spense
la sigaretta quando udì la suoneria dello smartphone di
Linda. Erano settimane che lo teneva spento, ma proprio
lui, quel pomeriggio, lo aveva acceso per recuperare il
numero di Barbara. Mentre la vide allontanarsi dalla
stanza, entrò per chiedere come l’avesse presa.
«Stai tranquillo» disse Barbara, «faremo di tutto per
riprenderci la nostra Linda».
«Cosa vi ha risposto?»
«Non sarà facile convincerla» rispose Anita, «penso che
per lei sia difficile affrontare anche i colleghi di lavoro
dopo quello che è successo, rispondere a tante domande…
»
«Incontrare quella stronza di Antonella... » fece Barbara.
«Per non parlare della Icardi» osservò Massimo.
«Guarda che non è come sembra» stava spiegando Barbara
prima di interrompersi alla vista di Linda. Aveva
un’espressione più rilassata.
«Chi era amore?» chiese lui.
«Un’amica».
198
«Tutto bene?» domandò Anita.
«Meglio, grazie».
Quella sera Massimo aveva visto Linda reagire, non
sapeva se per effetto dei farmaci o per l’incontro con le
amiche. Di sicuro non poteva che essere contento. Entrò in
bagno e la vide osservarsi allo specchio:
«Che aspetto orribile» disse raccogliendo i capelli dietro la
nuca. «Se dovessi ripensarci, domani mi
accompagneresti?» gli chiese sorridendo.
«Ovunque vorrai» rispose Massimo.
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CAPITOLO 22
200
La serata volgeva al termine. Quasi tutta la collezione
aveva sfilato e ormai il clima tra gli addetti ai lavori era
molto più disteso. Elena aveva saputo da Barbara che forse
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tutto questo. La Icardi ha condiviso parecchie delle tue
idee».
«Non aveva fatto rimbiancare le pareti?» chiese
guardandosi intorno.
«Quella fu un’iniziativa di Antonella. Lo fece dopo aver
visto le bozze della Icardi in cui la sala era tinteggiata di
bianco. Voleva farle una sorpresa. Non tenne conto che
Elena ed io, prima che partisse, le avevamo mostrato i tuoi
progetti recuperandoli dallo scatolone in archivio. Li portò
con sé promettendo di analizzarli. Al suo ritorno, quando
entrò nella sala, andò in escandescenza».
«Dov’è adesso?» chiese Linda.
«Penso che si stia preparando per i ringraziamenti. Tra
poco dovrebbe salire in passerella» rispose Barbara.
Antonella si avvicinò al loro tavolo, sfoderando un sorriso
più finto delle tette soffocate nella scollatura dell’abito
pitonato. Non si poteva fare a meno di notarla, anche se la
sua appariscenza, associata al cattivo gusto nel vestire,
metteva in secondo piano l’indiscutibile bellezza. Anche
Massimo si lasciò distrarre dal suo décolleté,
guadagnandosi l’occhiata fulminea di Barbara all’insegna
della solidarietà femminile.
«Dottoressa Valle, che piacere averla con noi stasera»
esordì nell’atteggiamento più civettuolo che potesse
mostrare.
«Buonasera Antonella. Sei incantevole».
«Anche lei sta bene, nonostante tutto».
«Lui è Massimo, mio marito» continuò Linda per
adempiere i convenevoli. Massimo si alzò e le strinse la
mano sorridendo in maniera cordiale.
202
«L’ho vista in azienda, qualche tempo fa». Poi
rivolgendosi a lei con espressione maliziosa: «Difficile non
notarlo». Massimo, sconcertato, arrossì leggermente.
Barbara era visibilmente irritata tanto che Anita,
accortasene, le poggiò una mano sulla spalla per tenerla al
suo posto.
«Scusatemi, finisco il giro dei tavoli. Siamo in chiusura e
vorrei salutare tutti prima che Rosaria faccia il discorso di
ringraziamento. Attirerà l’attenzione di tutti e quindi,
meglio anticiparsi per non farsi rubare la scena» riprese
Antonella.
«Non preoccuparti» s’intromise Barbara, «vestita in quel
modo non corri questo rischio».
Linda e Anita la fulminarono con lo sguardo.
«Lo prendo come un complimento» rispose rifilandole
l’ennesimo finto sorriso. L’abito che indossava era tanto
lungo da lasciar intravedere a sprazzi solo la base del tacco
dodici. Barbara si allungò fino a poggiare il piede sulla
coda dell’abito, nel momento in cui si stava
incamminando. Il risultato fu che si ritrovò con le
ginocchia e le mani a terra nel bel mezzo dei tavoli.
Barbara fu la prima a soccorrerla per aiutarla a rialzarsi:
«Mamma che botta! Ti sei fatta male?» chiese.
Il vestito troppo leggero per reggere il peso di tutto quel
silicone in caduta libera, fece ritrovare Antonella in piedi,
su un solo tacco ed un seno in bella mostra. A quel punto
la risata generale contagiò perfino Linda, anche se in
maniera contenuta. Dopo diverso tempo, Massimo riuscì a
rivedere sua moglie felice. Nonostante l’euforia generale,
Linda notò la mancanza di qualcuno:
203
«Come mai Carlo non ti ha accompagnato?» chiese ad
Anita. In quel momento l’espressione della ragazza bionda
che le sedeva di fronte cambiò, come se avessero attirato la
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sua attenzione.
«Il lavoro prima di ogni altra cosa. Non ci faccio nemmeno
più caso» rispose.
«Tutti uguali» intervenne lei, «anche il mio ragazzo questa
sera mi ha lasciato sola. E per lo stesso motivo direi. Posso
chiederti che lavoro svolge?»
«Dirige un punto vendita di aggeggi elettronici, sai quelle
catene di negozi?»
«E quindi la carriera prima di tutto» riprese Elena. «Anche
il mio lavora nel privato. Stessa storia».
La discussione fu interrotta da un fragoroso applauso.
Non si poteva negare l’eleganza che mostrava nella sua
semplicità la Dottoressa Icardi. Per quella serata aveva
scelto un abito scuro, lungo fino alle ginocchia, con uno
scollo da cui s’intravedeva la camicia candida. Aveva
raggiunto i cinquant’anni, ma era una donna affascinante e
ancora attraente. La maggior parte dei giovani impiegati
alla Graffiti, avrebbero dato qualsiasi cosa per riuscire a
sedurla. Sulla passerella era stato sistemato un leggio con
un microfono. Le luci della sala erano state abbassate e un
faro illuminava la postazione per richiamare l’attenzione
dei presenti. Finito l’applauso, la manager cominciò il suo
discorso. Non leggeva. Iniziò guardando gli ospiti che
circondavano la passerella e, di tanto in tanto, volgeva lo
sguardo in diverse direzioni in modo da trasmettere
l’impressione di rivolgersi a tutti, nessuno escluso.
«Buonasera. E’ un onore per me, in quest'occasione,
204
rappresentare forse la più importante casa di moda del
paese. Lavoro qui da due anni, ma solo da qualche
settimana ho il piacere di ricoprire il ruolo cui ho aspirato
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Dottoressa Linda Valle».
Al tavolo ci fu quasi un’ovazione, Anita e Barbara
saltellavano sulle sedie applaudendo. Elena scese dalla
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gli aveva consegnato qualche giorno prima. Aveva passato
due sere ad analizzare fatture e documenti di trasporto.
Merce della più svariata tipologia per la quale Marelli,
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considera la sede dell'azienda».
Lena si alzò pensando che fosse venuto il momento di
preparare un caffè:
«Lasciami indovinare chi è l’acquirente».
«Nulla di più scontato» fece lui.
«A questo punto, la Marelli dovrebbe avere un bel
gruzzoletto».
«E’ proprio questo il punto. Dubito che i soldi siano
rimasti sul conto. I contratti di affitto, il giro di false
fatturazioni... »
«E quindi avrebbe spostato le proprietà dalla Marelli alla
GM immobiliare. A che scopo?»
«Manca ancora un tassello» riprese lui. «La GM sta
rivendendo tutto.»
Lena si fermò un attimo a pensare, assaporando il gusto
amaro del caffè mentre la caffeina risvegliava il suo
organismo. Dopo qualche istante le furono chiare le
intenzioni di Marelli. Stava trasferendo il patrimonio
dell’azienda nelle mani della sua famiglia, trasformandolo
in immobili. «La metà delle proprietà è stata acquistata
dalla sua ex, che continua a vivere sotto lo stesso tetto».
«Un divorzio di facciata» disse lei.
«Tra qualche mese della Marelli non resterà più nulla».
«Ci dovrà pur essere qualche falla nel sistema».
«Ne sono più che certo».
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CAPITOLO 23
209
Carlo stava aspettando che scendesse. Erano passati diversi
giorni e la voglia di vederla cresceva costantemente.
Avrebbe preferito salire da lei, come il solito, ma quella
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accompagnare nemmeno lei. E tutto questo perché la tua
vita è fatta di menzogne. Come puoi pretendere di
continuare così?» continuò adesso irritata. «Devi imparare
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di un grande meccanismo. Abitualmente trascorreva le
prime ore del mattino spostandosi da una postazione
all’altra, offrendo il suo contributo anche solo per definire
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regalava continuamente falsa simpatia. Sembrava quasi
che fosse stato incaricato per enfatizzare quella richiesta e
indurgli uno stato di ansia e confusione. Marelli, convinto
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Ovviamente Zazà lo stava mettendo alla prova verificando
la sua reazione.
«Ho sempre riposto la massima fiducia in lei, sai
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indagare scoprendo che erano coinvolti anche lui e
Petrone. Diventava difficile cercare una scusa per
difenderla, ammesso che le cose fossero realmente andate
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manipolatrice, non ci avrà messo molto a coinvolgere
qualcuno in grado di farlo. Forse Petrone. Che ne pensi?»
chiese osservandolo attentamente.
Massimo in quel momento non solo si sentiva sconfitto.
Come Achille quando trascinò il corpo di Ettore, Zazà non
si stava accontentando di aver vinto quella battaglia. Era
stato un passo davanti a loro e stava dimostrando di
conoscere perfettamente chi aveva osato sfidarlo. Tutto
questo senza accusarlo direttamente, ma inducendolo a
rifugiarsi nella codardia di voltare le spalle ai suoi
colleghi. Quell’umiliazione sarebbe stata la vittoria di
Zazà.
«Se vuoi, posso cercare di venirne a capo... » disse
Massimo cercando di prendere tempo.
«So che posso fidarmi solo di te» riprese Marelli. «Devi
cercare di recuperare i dati che ha rubato. Deve
consegnarti tutto, nel suo interesse. Dimenticherò tutta
questa storia ed eviterò di denunciarla. Ho le prove e lei lo
sa. Non ci vorrà molto a convincerla».
«Cercherò di fare il possibile» disse alzandosi.
«Sono i piccoli dettagli che fanno la differenza» riprese
Marelli prima che Massimo aprisse la porta, «come una
penna fuori posto. Bisogna curare tutti i particolari per
essere vincenti».
Massimo aprì la porta e lasciò l’ufficio.
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CAPITOLO 24
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Il Dren pub era un locale frequentato da un ristretto gruppo
di persone. Negli ultimi anni la città era stata invasa da
Lounge bar, American bar e Art cafè, i cui nomi
ricordavano quelli dei grandi casinò di Las Vegas e in cui i
teenager iniziavano la loro carriera di alcolisti. Le luci a
led, l’atmosfera fredda e i quarantenni che tentavano di
rimorchiare ragazzine che avevano l’età delle loro figlie,
facevano sentire Carlo fuori luogo. Lui e Massimo
preferivano passare le serate seduti al tavolo di legno di un
classico pub all’inglese. Le luci soffuse, l’odore di birra, il
colore del legno e la sala fumatori. Entrando in quel posto
entrambi avevano l’impressione di essere catapultati negli
anni novanta, quelli che avevano segnato la loro
giovinezza. Il fumo della sigaretta sembrava uscire dalla
schiuma che sormontava i boccali di Erdinger, facendoli
sembrare ciminiere di una moderna fabbrica. La quantità di
sigarette fumate sarebbe aumentata proporzionalmente con
la birra bevuta. La Weiss, per entrambi, andava servita
rigorosamente con limone.
«Che effetto ti fa?» chiese indicando la sigaretta tra le dita
di Massimo.
«Un altro paio ed è come se non avessi mai smesso».
«Da domani riprenderai a essere un non fumatore?»
«Se mi va» rispose lui. Era circa un mese che aveva deciso
di smettere ma, in serate come quelle, si concedeva il
vizio. «E’ come se dovessi imparare di nuovo a godermi
l’effetto della nicotina. Più tempo passa e più è difficile.
Ricordi quando iniziammo?»
Carlo sorrise prima di tracannare una lunga sorsata dal
boccale.
218
«Lo facevamo nonostante provassimo più fastidio che
piacere... fino a quando ti ritrovi schiavo senza
accorgertene».
«Ed è allora che inizia il bello».
«Già!» esclamò Massimo guardando la sigaretta con fare
inquisitorio, quasi pretendendo un parere a quelle
riflessioni. «A quell’età fai tante cose per sentirti libero, e
quando diventi libero di scegliere, ti rendi conto che sei
schiavo di tante cose».
Carlo stava bevendo ma non riuscì a trattenersi. Abbassò
di botto il boccale e sputò una generosa quantità di birra
sul tavolo scoppiando a ridere:
«Che cazzo hai detto?»
La risata fu contagiosa. Fecero tintinnare i boccali prima di
riprendere a bere.
«E tu invece? Hai smesso di scoparti la cassiera?»
«Chi? Marika?»
«Perché te ne fai più di una?» riprese Massimo mentre,
alzando il boccale vuoto, richiamò l’attenzione della
cameriera chiedendogli il pieno.
«E’ una storia passata. Ho stroncato dopo una settimana».
Massimo stava annuendo in segno di assenso:
«Scelta saggia, amico, mai rischiare di trovartela sotto
casa… peggio ancora se è quella della tua ragazza».
Carlo aspettò qualche istante prima di riprendere:
«Mi sto scopando un’altra».
Massimo lo fulminò con lo sguardo.
«Questa volta però non potevo farne a meno» continuò
smanettando con l’Iphone. «Guarda qui!» disse mostrando
lo schermo.
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Massimo osservò la foto di Elena:
«Vuoi farmi credere che per caso ti sei ritrovato questa
figa nel letto? Non riesco nemmeno a spiegarmi come
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220
poco tempo. Ma quando quella cosa la perdi per sempre…
»
«Stai parlando di quello che è successo a te e Linda?»
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questo sono sicura. Ma avendoti conosciuto e vedendo che
ragazza sei, mi sono sentita in dovere di chiamarti, anche a
costo di darti un dispiacere. Sei libera di scegliere se
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mente quella bionda che sedeva al loro tavolo. Ricordò
l’espressione dipinta sul suo volto quando le parlò di
Carlo. Forse anche lei sapeva.
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CAPITOLO 25
224
Erano tre giorni che tentava invano di contattarla. Lanciò
lo smartphone sul sedile passeggero mentre il messaggio
preregistrato continuava a diffondersi dal piccolo
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più a letto. L’unico segno di vita era il canto degli uccelli
che sembrava provenire dalle foglie mosse dal vento. Infilò
la prima sigaretta della giornata tra le labbra e, dopo
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facilmente in nuove avventure. Mettiamoci la fortuna e
l’indubbio pregio dell’ambizione, ed ecco fatto. Massimo
credeva nelle sue capacità e anche se non lo ammetteva
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ne risentiva. Rallentò ad un passo svelto e imboccò la
strada secondaria che portava al viale alberato. Quando
scorse la sagoma di Massimo, tentennò. Le sue gambe si
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momento e forse ho convinto anche te, sbagliando.
Purtroppo ho commesso un errore e sappi che sono diversi
giorni che non riesco a perdonarmi per il fatto che a pagare
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nuovo lavoro e non sarebbe facile se si diffondesse questa
bella storiella. La lettera di dimissioni è già nelle sue mani.
In questo modo siamo tutti felici e contenti, tu e Petrone vi
dimenticate di questa storia e tornate a fare quello che
avete sempre fatto. Anche se Marelli dubitasse di voi, non
potrà farci nulla. E poi non gli conviene perdervi».
Massimo non sembrava convinto.
«Lo devi fare per me, ti prego. Non voglio che metti a
rischio la tua carriera per nulla. Ci abbiamo provato ed è
andata così. Tutto sommato, sapevamo di correre qualche
rischio e forse questo, è il minore dei mali». Lo abbracciò.
Massimo sentì l’odore della sua pelle e quel leggero
contatto gli procurò una piacevole sensazione.
«Ci facciamo un caffè?» chiese.
Lei sorrise:
«Certo, entra».
La stava guardando mentre armeggiava con la moka,
seduto sul divano di pelle. I leggings stretti le stavano
appiccicati addosso facendo risaltare le forme. Sfilò le
adidas e le scalciò lontano:
«Dai un’occhiata al caffè. Vado a mettermi qualcosa
addosso, comincio a sentire freddo».
Massimo annuì cercando di mostrare un’espressione
indifferente. Chiuse gli occhi e, poggiando la nuca alla
testata del divano, cercò di rilassarsi. Dopo qualche minuto
sentì il rumore del caffè che stava risalendo nel camino
della caffettiera e, prima che l’aroma potesse raggiungere
le sue narici, fu ridestato dalla voce di Lena:
«Quanto zucchero?»
Aveva indossato una tuta e ai piedi portava solo i calzini.
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«Non troppo dolce, grazie.»
Lo raggiunse con le tazze fumanti e sedette di fronte a lui.
«Quel bastardo non si è mai posto limiti anche a discapito
di chiunque lo circondasse. Ogni sua decisione, ogni suo
gesto, anche quello che poteva sembrare nobile, ha sempre
avuto un secondo fine, uno scopo personale, anche quello
più ignobile di tutti, sembrare agli occhi degli altri una
persona migliore di quanto realmente fosse. Una persona
così non può farla sempre franca. Come potremmo
altrimenti un giorno trasmettere i valori della giustizia ai
nostri figli?»
«Cos’hai in mente?» chiese Lena.
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CAPITOLO 26
232
Era un mattino come tanti altri. Gli impiegati intenti a
guardare i monitor, qualcuno armeggiava con i fogli
inceppati nei rulli della stampante, la signora che cercava
di far risplendere le vetrate che separavano la hall dal resto
dei locali facendo impregnare l’aria del profumo di fiori di
loto. Il tempo scorreva e tutto andava avanti,
inesorabilmente, com’era sempre successo e come sarebbe
sempre stato. Tuttavia quel giorno Massimo era uno
spettatore, seduto in prima fila, che osservava e aveva la
facoltà di decidere: lasciarsi andare nella poltrona e godere
quanto quel mondo offriva ai suoi occhi o abbandonare la
sala, sentendosi libero di alzarsi e uscire quando riteneva
opportuno farlo. Aveva deciso che quello non era un
giorno come tanti in cui avrebbe fatto parte della vita, ma
era un giorno della sua vita, e come tale lo avrebbe vissuto.
Bussò alla porta prima di aprirla, senza essere sicuro di
aver udito qualcuno che dall’interno gli avesse risposto.
Marelli era seduto alla sua scrivania mentre alzava lo
sguardo nella sua direzione:
«Avrei bisogno di parlarti» disse senza troppi preamboli.
Zazà indicò la sedia. Dopo aver poggiato gli occhiali sul
bloc notes dove fino a qualche istante prima stava
scrivendo, gli dedicò la sua attenzione:
«Dimmi pure. Di cosa si tratta?»
Massimo poggiò sulla scrivania una pila di fogli raccolti in
maniera ordinata con un elastico:
«Ho analizzato gli ordini di acquisto effettuati negli ultimi
mesi».
«Quindi?» chiese Marelli mostrando di non essere
interessato a quella domanda.
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«Bisogna riorganizzare il processo di approvvigionamento.
Abbiamo già superato quasi tutti i budget di spesa per le
commesse aperte e le attività non sono ancora terminate.
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sono gli unici documenti in nostro possesso e lo sai
benissimo. Abbiamo preparato un bel pacchetto regalo in
cui, oltre alle fatture che stai guardando, ci sono la lista dei
fornitori che ti riportano il contante, i contratti di vendita
degli immobili che dalla Marelli arrivano nelle mani dei
tuoi figli, i contratti di affitto che servono per spostare
soldi dalla GM Immobiliare alla Marelli e tante altre belle
cosine. Perciò, cerca di dare una regolata alle tue
reazioni».
Zazà si alzò di scatto e si avvicinò alla porta. Stava
cercando di sbollire la rabbia, non era abituato a subire la
pressione da parte di qualcuno. Comunque, quel poco di
buonsenso che aveva ebbe la meglio, e con non poca
difficoltà cercò di sembrare più sereno di quanto realmente
fosse: «Cosa volete?»
«Niente che non sia già nostro di diritto» rispose Massimo.
«Ovviamente parlo anche per Lena e per Antonio qui
presente» disse mentre Petrone annuiva. «La Marelli ci
verserà quello che ci spetta per il trattamento di fine
rapporto, compreso i residui per le ferie e per i permessi
non goduti. Dopo aver ricevuto i bonifici, avrai le nostre
dimissioni».
Zazà sembrava quasi sollevato da quella richiesta e sembrò
riacquistare la sua consueta presunzione:
«Avrete quello che vi spetta, così metteremo fine a questa
storia. Adesso se non vi dispiace… »
«Non è tutto» riprese Massimo. «Questo è quello che la
Marelli ci deve. Non avrai pensato che basti? Darai a
ognuno di noi una buonuscita in contanti da centomila
euro».
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L’espressione che si dipinse sul volto di Zazà gli ricordò
l’Urlo di Munch.
«Inoltre riassumerai i dipendenti che hai licenziato e farai
del tuo meglio per cercare di risollevare l’azienda. Niente
di più del tuo dovere se non sbaglio. E con questo hai la
nostra parola che niente di quello che abbiamo scoperto
uscirà da queste mura e non sentirai più parlare di noi.
Rispettare i patti sarà la tua garanzia».
«E se la mia risposta sarebbe un vaffanculo?»
«Se la tua risposta “fosse” quella, penso che avremo tanto
da discutere con i nostri amici della Guardia di Finanza»
rispose Petrone.
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CAPITOLO 27
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Quella notte il sonno di Anita fu tormentato dai ricordi.
Avrebbe voluto il potere di accelerare il tempo per rendere
il tormento meno lungo. Sperava quasi che l’alba, oltre a
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essere consolata, ma ben presto si tranquillizzò.
«Non fraintendermi, ma ho bisogno di vederli con i miei
occhi. Sarà debolezza o qualcos’altro ma… è come se il
mio cervello non riuscisse a elaborare quello che sta
accadendo… forse una parte di me si rifiuta di crederci. La
“io” romantica... » disse mentre sul viso si disegnava un
sorriso amaro.
«Conosci la Graffiti?»
«Sì, ci lavorano le mie più care amiche. Ci sono stata
qualche volta».
«Nei pressi c’è un Lounge bar, a pochi metri. Ci si può
arrivare a piedi. E’ un locale che frequento spesso e a
volte, ci vado per la pausa pranzo. Mi è capitato di vederli
in quel posto più di una volta, tanto che da un po’ di tempo
evito di andarci. Meglio evitare scene imbarazzanti…»
«Già… » rispose Anita triste immaginandolo abbracciato
ad un’altra. «Conosco il posto, lo troverò. Grazie».
Carlo attraversò le corsie diretto verso l’uscita,
ricambiando in maniera distratta i saluti dei commessi.
Marika, che quella mattina era passata in negozio con la
scusa di voler salutare le colleghe, lo vide avvicinarsi
camminando in maniera goffa. Non alzò lo sguardo assorto
nello schermo dell'Iphone nemmeno quando, passando
accanto alla cassa centrale, lei e le altre ragazze lo
salutarono. Rispose dopo qualche secondo senza
accorgersi della sua presenza e questo la irritò. Sfilò lo
smartphone dalla tasca e inviò un SMS:
“Sta andando da lei. Mi dispiace. Marika”.
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Elena stava attraversando a passo svelto la hall quando
sentì la vibrazione. Si fermò per leggere l’SMS. Era Carlo
che confermava l’appuntamento al solito posto. Inviò un
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dorati le scendevano sulle spalle, le sue forme e anche il
suo modo di sedere la distinguevano. Pensò che l’eleganza
fosse una cosa innata. Per un attimo si sentì in colpa per
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suo pensiero. In quegli ultimi giorni aveva avuto il tempo
di riflettere e maturare le ragioni di quanto stava
accadendo. Quel bacio sulla guancia e l’atteggiamento
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riusciva a smettere di pensare alle parole di Marika e il
bruciore che le procurava l’immagine di Carlo con un’altra
donna, le invadeva il petto. Avrebbe voluto lasciar stare,
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varcare la soglia. Un cameriere si avvicinò chiedendole se
avesse bisogno di qualcosa, ma era troppo impegnata a
guardare tra i tavoli. Senza rispondere s’incamminò a
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mai sortito quell’effetto su di lui. Decise di avvicinarsi al
tavolo. Quando la vide, la sua espressione cambiò di colpo
perdendo il controllo della parola. Dal volto di Anita
trapelava odio misto a disprezzo:
«Almeno hai scelto bene» riuscì a dire trattenendo a stento
il pianto.
Carlo sembrò riprendersi dallo stato di trance:
«Anita! Siediti e ascoltami... »
Sembrò sul punto di non riuscire più a trattenere le
lacrime:
«Ho visto abbastanza. Vaffanculo!» esclamò lanciandogli
addosso, quello che restava nel bicchiere marchiato da
un’ombra di rossetto, prima di voltarsi per uscire da
quell’incubo.
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EPILOGO
246
Massimo e Carlo erano appena arrivati in stazione.
Mancavano pochi minuti all’arrivo del treno che avrebbe
riunito il gruppo di amici d’infanzia. Il freddo era
pungente, mancavano pochi giorni a Natale e,
passeggiando sulla banchina, parlavano emettendo piccoli
sbuffi di fumo che si perdevano nell’aria insieme alle
parole:
«Lo sai, stiamo provando ad avere un figlio».
Carlo annuì:
«Sono contento per voi. E poi vuol dire che Linda sta
meglio. Sono sicuro che lo fai anche per lei».
Massimo ci pensò un po’ su:
«Non è per questo. E poi non è una mia decisione. Lo
vogliamo e credo ne abbiamo bisogno entrambi. In realtà
non sono sicuro di quello che gli passa per la testa.
Tuttavia, a cosa si riduce la nostra vita? Ogni giorno presi
dal lavoro, sempre di corsa. Il motivo principale per cui ho
lasciato il lavoro è proprio per avere più tempo da dedicare
a lei e... insomma a quello che sarà».
«Dovrai trovare comunque un impiego alternativo, dovrai
affrontare tante spese...»
«I soldi non sono mai stati un problema» rispose lui, «e
non lo saranno nemmeno adesso. E tu invece? Lo sai che
Anita ti sta aspettando».
Carlo scrollò le spalle.
«Ti ama ed è pronta a lasciarsi tutto alle spalle».
Si fermarono osservando il treno arrivare in lontananza:
«Il fatto è che non so se sono pronto io a ricominciare. Lo
abbiamo fatto tante volte ma, non so se sono più la stessa
persona».
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Massimo gli diede una pacca sulla spalla:
«Siamo quello che vogliamo essere. Nient’altro».
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Carlo e Massimo, amici d’infanzia, condividono
passioni, valori e ambizioni. Due uomini brillanti,
due carriere in ascesa, due donne bellissime.
Entrambi con la voglia di distinguersi dagli altri,
alla ricerca di un cambiamento che li metterà di
fronte ad avvenimenti che stravolgeranno le loro
vite. Restare coerenti ai propri principi o lasciarsi
trasportare dagli istinti. La personalità forgiata dalla
società, riuscirà a prevalere su quella nascosta
nell’indole? Quale sarà il loro naturale modo di
essere?