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Storia di un’anima

Lo so che ho scelto un titolo un po’ impegnativo, lo stesso di Santa Teresa di Lisieux, la pallina di Gesù,
morta dicendo Mon Dieu, je vous aime. Ma anche io vorrei morire così, e Gesù ha portato un gran pazienza
anche con me, e sono degli anni, ormai. Quindi mi sento titolata a usare il titolo anche per le mie memorie
spirituali.

Sono stata battezzata in un cinema, a Sorbolo, non so quando ma conoscendo la Paola, ed essendo io nata
a fine novembre, sicuro avrà aspettato che venisse caldo. Non ho le prove, m giurerei di essere stata
battezzata non prima dell’aprile del millenovecentosettantasei. Nel cinema di Sorbolo. La chiesa era
inagibile a causa, non so, di un terremoto. Credo che il battesimo nel cinema abbia originato questa
spiritualità istrionica che mi ritrovo. Non inautentica, ma così, col trucco sempre colato e un canovaccio
tragico in tasca.

All’asilo a Sorbolo andavo dalle suore. La mia suora era Suor Celeste.

Pare che all’asilo avessi insistito – richiamata - cantando Avanti popolo, sicuramente colpa della Paola. La
Paola mi cantava tutti i canti comunisti, anarchici e femministi. Poi adesso fa la finta tonta, ma se li so è
perché me li cantava da piccola.

Della preghiera infantile ricordo solo l’Angelo di Dio, la prima preghiera che recitavo all’asilo prima di
dormire, ed era un angelo moro e riccio, nudo e cicciotto, con le ali azzurre. Ho perfettamente presente.

Dopo poi sono andata a Reggio.

A Reggio c’era il catechismo. Facevamo molti disegni. In parrocchia cantavamo molto. I salmi e comunque
canti presi dalla Bibbia. Mentre nella parrocchia di Sorbolo cantavano canti liturgici, inventati, venuti dalla
devozione popolare e da Gen Rosso. Io sapevo che era giusto cantare la Bibbia e gli altri canti erano frufru.

Anche oggi, li so e li canto entrambi, gli uni e gli altri. Quando canto i secondi mi sento un po’ frufru.

A scuola a religione le elementari si cantava anche lì. Un canto brutto che diceva Lasciati fare da chi ti
conosce, lasciati fare da chi ama te. (Poi proseguiva Il Signore sa persino quanti capelli hai sulla testa, il
Signore sa persino i nomi delle stelle). E i maschi del bronx della Canalina declinavano le cose a modo loro.

Poi la confessione e la comunione e la cresima. In seconda, terza e quinta elementare. Allora. Sapore
deludente. Conta dei peccati: mai da arrivare al break-even. E lo Spirito Santo l’ho sempre e solo visto come
una lisca di pesce.

Niente di interessante alle medie, e alle superiori viene il bello.

Alle medie veramente il prof di italiano era molto devoto e un po’ svitato, ci aveva fatto imparare a
memoria il salmo Il Signore è il mio pastore. Ma più svitato che altro.

Alle superiori, sbarco in una scuola conservatrice. Al biennio facciamo lezione di fronte alla Madonna della
Ghiara, e prima di andare a scuola vado a messa, alle 7, tutte le mattine. Col mio di allora moroso e
compagno di scuola, e poi Legionario di Cristo e adesso giornalista per Avvenire. Non parlavamo molto di
religione nel nostro rapporto. Vivevamo piuttosto le contraddizioni tra desiderio e dottrina in corpi giovani.

Al triennio cambia poco, ma matematica è difficile e qualche volta entro in San Francesco prima dei compiti
in classe ad accendere una candela. Ho un padre spirituale, Don Giuseppe Dossetti. Mi manda a Marola,
ogni settembre, una settimana, agli esercizi spirituali. Una settimana di preghiera e silenzio, con le vite dei
santi lette ad alta voce durante i pasti. A un certo punto mi manda una settimana da delle suore tutte
azzurre, canossiane, forse. Di giorno ho silenzio e tempo per pregare e mattina mezzogiorno e sera mi
fanno trovare del cibo sul tavolo. A un certo punto dovrei anche tornare a casa. È estate, ho un fidanzato
cattolico ma comunque adolescente che sento al telefono con preoccupazione. La superiora dice Sto
pregando per la tua resa. E poi miracolo, arriva da Roma la madre fondatrice dell’ordine, devi restare.
Chiamo il moroso per niente allegra e lo aggiorno. Passo una brutta notte. La madre fondatrice è una donna
corpulenta e sorridente, con una bella faccia tonda e chiara. Mi rassicura, Il Signore non coglie i frutti
acerbi. Rincaso.

Dopo, con l’Università e Venezia, le cose si complicano. Ho severi disturbi del comportamento alimentare
che mi distraggono dai percorsi spirituali. Passo una domenica delle palme fuori dalle chiese, sento il
Vangelo ma non riesco a entrare, vomiterei. A questo periodo si ascrivono due episodi memorabili. Una
confessione in Santi Apostoli con un prete col labbro leporino che insiste perché dichiari di pentirmi di cose
che riconosco ma di cui non mi pento. Un’ora circa di braccio di ferro e abbandono il campo senza
assoluzione. E un altro episodio, dal mio padre spirituale, era – lo riconosco – dopo un pranzo di
matrimonio un po’ alcolico. Non mi ricordo i dettagli ma chiude dicendo che sono una donna senza Dio.
Non gliela perdonerò e non tornerò mai più alla sua direzione spirituale. Del resto ho smesso di andare a
messa e grosso modo dal 1996 al 2006 non ci andrò più. Boicottando i pochi matrimoni a cui mi invitano.

Poi succede di tutto – si fa per dire e neanche troppo degno di nota. Non ci penso più.

A un certo punto sono in vacanza una settimana a Istanbul, nella Moschea Blu. Le donne sono fatte salire
con le donne. È un posto stranissimo, di libertà e sciallo. Pregano spettinate, scomposte, coi bambini in
braccio. Voglio pregare anch’io e dico il Padre Nostro perché non so le altre preghiere. Mi viene un dubbio,
una voglia di libertà di pregare.

Quell’estate lì vado in India, in Tamil Nadu. Un mese, con Padre Benito Fusco, un Servo di Maria - come
Savonarola, come Turoldo: dei rompicoglioni. Sto una settimana al lebbrosario di Fatimanagar, coi bambini
malati di Hiv. Maria ha la febbre e la tubercolosi. È calda. La tengo in spalla. Capisco qualcosa di come si
manifesta l’amore di Dio. Piango ancora a pensarci perché è così chiaro che non hai molto altro da capire,
né lì per lì né dopo.

Torno, con solo in mente di ripartire. Per fortuna e stravaganza, mi ammettono al viaggio in Etiopia per
Natale, coi Cappuccini. Andiamo in Dawro Konta, nella valle dell’Omo. I cappuccini, a differenza di tutti gli
altri religiosi che ho incontrato, ti fanno pregare con loro e ti fanno pregare tantissimo. Liturgia delle ore,
rosario, messa, letture francescane. Tutti i giorni. La preghiera diventa come un allenamento fisico. Mi
emoziono a dire il Padre Nostro per mano.

A casa ho un fidanzato non battezzato a cui farò vivere un mezzo inferno. Torno e decido che voglio
sposarmi in chiesa. Inizio il percorso di preparazione al matrimonio coi Francescani. Dura due anni, una
volta alla settimana. Ci porto il fidanzato ateo che per un giorno non mangia e quando si prega muove le
labbra facendo finta. Non può farcela. Faccio il giro dei preti cercando uno che si accolli il non battezzato.
Don Daniele si presta, a fatica. Per un periodo mi comunica con due ostie, una per me e una per lui.

Nel frattempo, provo tutte le strade della missione, faccio il corso di preparazione con Reggio Terzo Mondo
e chiarisco che non è la mia strada. Andrò ancora in Sierra Leone e nella West Bank con Pax Christi, ma
saranno entrambe alla fine esperienze più politiche che religiose. Intanto ho cambiato fidanzato per un
comunista materialista.

Contemporaneamente, inizio un percorso che si chiama Chiamati a servire, con Don Daniele. Declinato in:
ragazze della tratta, sinti e rom, OPG. Si viene attribuiti al settore per estrazione, finisco in OPG. Siamo in
sei, e entriamo una volta alla settimana per fare il giornalino.

Ho omesso che sempre in questi anni, un ragazzo che mi piaceva molto e ultracattolico, che per vederlo
bisognava sempre andare a certe messe o turni alla casa della carità, mi ha iniziato all’adorazione
eucaristica, che è una faccenda tra le più belle. Alla chiesa dell’ospedale, a Reggio, c’è l’adorazione
continua. Del corpo di Cristo, l’ostia consacrata messa nell’ostensorio. Per farla continua, si aderiva a un
calendario di turni. Io avevo il lunedì dalle 2 alle 4.

Tutto questo, uno nessuno centomila, finisce col resto alla fine del 2011, quando lascio casa per cercare
fortuna. Mi piace pregare con le suore, attaccare bottone ai religiosi, delle volte mi commuovo a sentir
parlare di certe cose, ma alla fine, come dire, non ce ne metto più.

Tranne.

Santiago. La cosa più bella è stata l’abbracciatona al Santo.

La Francigena. Arrivata a Roma la cosa che mi piaceva di più fare era pregare con le suore.

Le icone russe.

Ah, l’anno scorso in Novembre, in Armenia, il Catholicos è arrivato nella chiesa che stavamo visitando e
sono andata a farmi benedire. E la testa in quel punto mi ha fatto caldo fino a sera.

Aggiunte

Per la domenica delle Palme si leggeva la Passione. Io sono stata un anno Pietro e un anno Giuda

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