LA DECOLONIZZAZIONE
1. La decolonizzazione in Medio Oriente
Nei primi decenni del Novecento si sviluppò nel Medio Oriente un movimento nazionale arabo
che si risolse prima contro la dominazione ottomana e in seguito contro le potenze colonialiste.
Alla fine della prima guerra mondiale , Francia e Gran Bretagna si erano accordate per spartirsi i
territori meridionali: la Francia aveva ottenuto il mandato in Siria e in Libano , la Gran Bretagna in
Iraq e Palestina. I mandati dovevano avviare all’indipendenza i popoli sottomessi, ma solo l’Iraq
raggiunse presto l’indipendenza; gli altri paesi dovettero attendere la seconda guerra mondiale.
Durante il conflitto Churchill appoggiò decisamente le rivendicazioni nazionaliste arabe. La
pressione inglese indusse la Francia a riconoscere formalmente l’indipendenza di Libano e Siria.
Nel frattempo, nel 1945, era nata la Lega Araba, un’unione di Stati arabi con obiettivi di
cooperazione economica e politica.
Dopo la shoah, il movimento favorevole alla nascita di uno Stato ebraico si rafforzò. Le
organizzazioni militari ebraiche passarono alla lotta armata in Palestina, che era governata dagli
Inglesi. L’ONU nel 1947 propose di dividere la regione in due Stati, uno ebraico e uno arabo. Gli
ebrei accettarono la spartizione, ma la Lega Araba rifiutò e si dichiarò pronta a combattere. Il
maggio del 1948, alla partenza degli Inglesi , nacque lo Stato di Israele. Il giorno dopo la Lega
Araba attaccò. La prima guerra arabo-israeliana si risolse con la sconfitta delle truppe arabe e
l’affermazione definitiva dello Stato d’Israele.
Al termine del conflitto , Israele aveva allargato i suoi confini , e la creazione di uno Stato arabo
non fu più possibile. Un milione di profughi arabi fuggirono dai territori conquistati dagli Israeliani
per rifugiarsi nei paesi vicini: nacque così la questione palestinese. Nel 1969 fu creata
l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina(OLP) , allo scopo di combattere gli israeliani e
creare uno stato palestinese. I conflitti durano ancora oggi.
LA DISTENSIONE
1. Il disgelo
Il 5 marzo 1953 morì Stalin e ciò favorì una nuova fase. Al Cremlino si insediò infatti un nuovo
gruppo dirigente nel quale si distingueva Nikita Kruscev, che dimostrò di voler chiudere l’epoca
oscura dello stalinismo:
-promosse un vasto programma di riforme per modernizzare la società sovietica e migliorare le
condizioni di vita della popolazione;
-cercò di migliorare le relazioni con il mondo occidentale. Infatti secondo Kruscev l’Unione
Sovietica doveva sconfiggere gli Stati Uniti non attraverso la guerra ma dimostrando superiorità
del sistema comunista rispetto a quello capitalista.
Nel frattempo negli Stati Uniti era diventato presidente Eisenhower, che sostenne la necessità di
irrigidire ancora di più la condotta americana nei confronti dell’Unione Sovietica, passando da una
politica di contenimento del comunismo a una che mirava a farlo arretrare.
Queste posizioni resero possibile la Conferenza di Ginevra(luglio 1955) in cui per la prima volta le
superpotenze riallacciarono il dialogo. Iniziò così la fase della distensione: il contrasto e la
competizione tra USA e URSS restarono ma senza le tensioni e gli eccessi degli anni precedenti.
Nel 1956, al XX Congresso del PCUS, Kruscev fece una denuncia dei crimini di Stalin dando inizio a
una nuova fase , il cosiddetto “disgelo “: le accuse andavano dal culto della personalità alle
ingiuste condanne di migliaia di attivisti, alla rottura con Tito . Le accuse restavano però
approssimative , e certo non mettevano in discussione la legittimità del monopolio del potere da
parte del PCUS.
Nel 1968 il leader cecoslovacco Dubcek tentò di liberalizzare l’economia e di creare un “socialismo
dal volto umano”. Ma l’URSS , temendo che l’iniziativa mettesse in discussione la scelta socialista ,
mandò a Praga l’Armata Rossa, e pose fine alla “primavera di Praga”, come venne chiamato quel
periodo. La giustificazione di questo intervento è passata alla storia come la teoria della sovranità
limitata. In essa si affermava che nessun paese del blocco comunista era libero di cambiare
sistema politico ed economico.
2. La “nuova frontiera”
Nel gennaio 1961 divenne presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, che ebbe subito grande
popolarità per il suo stile personale e si impegnò in una battaglia per rinnovare la società
americana e per favorire la distensione Internazionale.
In particolare aumentò la spesa sociale e quella per la ricerca spaziale perché la società americana
varcasse una nuova frontiera culturale e scientifica. Si aprì anche alla distensione con l’URSS. Però
sul piano Internazionale la tensione rimaneva alta. Nel giugno 1961 Kennedy incontrò per la prima
volta Kruscev, ma l’incontro risultò un fallimento e non si riuscirono ad accordare sulla sorte di
Berlino, che rimase divisa in due. Infatti l’Unione Sovietica due mesi dopo, fece costruire un muro
che attraversava la città di Berlino così da dividere il settore orientale da quello occidentale. Da
allora il Muro di Berlino divenne il simbolo della guerra fredda.
Intanto a Cuba una rivoluzione aveva portato al potere(gennaio 1959) un governo di tendenze
marxiste guidato da Fidel Castro; numerose pressioni furono esercitate su Kennedy affinché fosse
eliminato un pericolo comunista così vicino. Il presidente diede il suo avallo a una spedizione di
esuli cubani appoggiati dai servizi segreti americani; costoro riuscirono a sbarcare sull’isola (nella
Baia dei porci) ma ebbero la peggio nello scontro con l’esercito cubano(aprile 1961). Questa
sconfitta gravò pesantemente sulla popolarità di Kennedy, il quale si risolse a decretare un
embargo totale verso Cuba.
Castro si avvicinò all’URSS, che impiantò sull’isola alcune basi per missili nucleari . Kennedy , però,
ordinò un blocco navale dell’isola (23 ottobre 1962). L’Unione sovietica a questo punto fece
marcia indietro e smantellò i missili da Cuba. Solo il grave incidente dei missili a Cuba, nel 1953
Kennedy e Kruscev firmarono un importante trattato in cui venivano bandito gli esperimenti
atomici nell’aria.
3. La guerra del Vietnam
La lotta per l’indipendenza del Vietnam aveva allontanato i francesi dalla penisola indocinese. Si
era conclusa nel 1954 con gli accordi di Ginevra, che avevano diviso il paese in due: la Repubblica
comunista del Nord e quella del sud. Contro il governo del sud, la protesta si organizzò in un
movimento comunista di guerriglia, chiamato Vietcong, appoggiato dal Vietnam del Nord. Per
paura che l’intero paese diventasse comunista, gli Stati Uniti decisero di inviare truppe. Un banale
incidente avvenuto nel Golfo del Tonchino (agosto 1964), venne infatti enfatizzato dai mass-
media. Alcuni vedono in questo episodio la svolta dell’impegno americano. In realtà dal 1956 in
poi gli Stati Uniti sfruttarono ogni pretesto per accrescere la loro presenza in Vietnam al fine di
impedire al comunismo di espandersi in quell’area. Nel 1965 il nuovo presidente Lyndon Johnson
decise di intervenire massicciamente, dando il via una serie di bombardamenti su tutto il territorio
del Vietnam del Nord, senza che vi fosse stata alcuna dichiarazione di guerra. Ma il Vietcong,
appoggiato dalla unione sovietica e dalla Cina, logorò le forze americane.
Nel 1968 i Vietcong lanciarono nel Vietnam del sud una grande offensiva. Quest’offensiva anche
se non ottenne risultati militari, fece comprendere agli americani l’impossibilità di giungere a una
rapida vittoria. La guerra si trascinava ormai da anni ed era sempre più invisa all’opinione pubblica
americana. Per queste ragioni, nel marzo del 1968, Johnson ordinò la sospensione dei
bombardamenti e annunciò contemporaneamente che non si sarebbe presentato alle elezioni
presidenziali di quell’anno. Il suo successore, il repubblicano Richard Nixon, avviò le trattative di
pace e ridusse l’impegno militare americano.
La guerra si concluse nel 1973 con un armistizio firmato a Parigi che prevedeva il graduale ritiro
del contingente americano. La riunificazione del paese avvenne il 30 aprile 1975 quando i Vietcong
e i nordvietnamiti, sconfitto l’esercito sudvietnamita, entrarono a Saigon, la capitale del Vietnam
del sud. Il Vietnam fu riunificato sotto il regime comunista e si avvicino all’unione sovietica,
ponendosi in contrasto con la Cina.
Gli Stati Uniti vissero con la guerra del Vietnam uno dei periodi più difficili della loro storia
recente: oltre all’insuccesso militare e alla generalizzata riprovazione internazionale, gli americani
dovettero affrontare una lacerante contestazione interna. infatti vi fu una un’aspra contestazione
interna sulla necessità di inviare giovani americani a morire in Vietnam e ci si interrogò anche sulle
ragioni dell’impossibilità di sconfiggere il piccolo Vietnam. A questi interrogativi il governo
rispondeva che:
- la guerra era necessaria, in quanto occorreva impedire al comunismo di espandersi in
Vietnam, e da lì conquistare tutta l’Asia sud orientale;
- Le difficoltà nascevano dal fatto che il Vietnam del Nord non combatteva in modo
tradizionale, schierando in campo aperto il proprio esercito, ma usava il metodo della
guerriglia, decisamente più difficile da affrontare Danny entrare da parte di un esercito
preparato per un altro tipo di guerra.
La sconfitta americana portò come contraccolpo alla costituzione di regimi comunisti anche in Laos
e in Cambogia: in quest’ultimo paese andarono al potere i cosiddetti Khmer rossi, un gruppo di
guerriglieri comunisti che diedero vita a durissime misure di repressione: un vero e proprio
sterminio.
4. La contestazione del 68
Contro la guerra del Vietnam polemizzò duramente il sessantotto: il movimento nazionale che
esplose nel 1968 con una serie di grandi agitazioni nelle università, nelle scuole secondarie, nelle
fabbriche nelle piazze. Ne furono protagonisti i giovani: uno scontro generazionale senza
precedenti nella storia. I giovani infatti non sono sempre esistiti , almeno come noi oggi li
intendiamo: un gruppo sociale caratterizzato da valori, simboli e gusti propri. In questo senso i
giovani iniziano a esistere solo con la piena maturazione della società di massa. Ai giovani
statunitensi si affiancarono quelli europei nel manifestare un’insofferenza generale per il mondo
degli adulti ritenuto nevrotico e falso. Il punto più alto della crisi fu avvertito, quasi
contemporaneamente nel 1968. Fu allora che milioni di giovani scesero in piazza per contestare il
sistema e sottoporre a critica radicale le istituzioni e i fondamenti stessi della società in cui
vivevano.
Tutti i grandi centri universitari europei vennero toccati, ma anche l’altra parte del mondo, quella
comunista, venne attraversata in molti punti dalla volontà di cambiamento: la primavera di Praga e
la rivoluzione culturale cinese di Mao furono eventi che fecero sentire ai giovani un senso di
solidarietà cosmopolita. Se in America la contestazione ebbe come obiettivi il modello di vita
occidentale e la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam, in Europa la presenza di
forti partiti di sinistra spinse il movimento giovanile a sostenere le lotte sindacali.