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Tesina di “sociologia dei processi culturali”

di Alice Arena

Nel 2018 dopo aver conseguito il diploma di maturità sono andata via dal piccolo
paese in Sicilia dove sono cresciuta, per trasferirmi a Milano per frequentare
l’università.

Sono andata a vivere in un appartamento in affitto già abitato da tre ragazze


lavoratrici circa dieci anni più grandi rispetto a me. Vista la differenza d’età nutrivo
grandi aspettative sulla futura convivenza, pensando che avrei trovato delle
ragazze più grandi da cui poter ricevere consigli e insegnamenti che mi avrebbero
aiutato nella mia nuova esperienza di vita.

Purtroppo tutto ciò che avevo pensato si è rivelato sbagliato.

Le mie coinquiline erano tutte e tre ragazze della stessa età, nate e cresciute a
Milano e dintorni, laureate in economia nella stessa università e che quindi
logicamente avevano prospettive ed esperienze simili e di conseguenza
possedevano habitus simili.

La grande differenza determinata dall’habitus ha scaturito conseguentemente una


chiusura nei miei confronti alimentata dai numerosi pregiudizi legati al mio essere
una studentessa e per lo più del sud Italia, questo distacco è riconducibile in
termiti sociologici al concetto di distanza sociale, in quanto sia io che le ragazze
con cui vivevo facciamo parte di categorie sociali diverse.

Questo distacco sociale da parte loro presto si è esteso in distacco fisico


sfociando fin da subito in una violazione del mio spazio personale esercitata su
quelli che sociologicamente vengono denominati come territori di possesso,
ovvero quelle estensioni del nostro sé che sono percepite come fossimo noi stessi.
Mi capitava spesso infatti di trovare il mio asciugamano bagnato nonostante lo
avessi cambiato poco prima, o confezioni aperte comprate da me di biscotti o di
pasta. Da parte loro non mi è mai stato chiesto il permesso di prendere in prestito
qualcosa di mio e non ho mai avuto il coraggio di lamentarmi come avrei voluto
perché ero in minoranza e più fragile caratterialmente. Senz’altro posso ammettere
che si fosse istaurata una relazione di potere in casa tra me e le altre ragazze
secondo la quale loro avevano più diritto di utilizzare certe cose e certi spazi
rispetto a me essendo più grandi e abitando da più tempo in quell’appartamento.

Le settimane iniziali di convivenza, prima dell’inizio effettivo delle lezioni in


università, stavo sempre da sola a causa dell’esclusione e dell’isolamento subiti da
questa situazione. Mi capitava quasi ogni sera di videochiamare la mia famiglia e
cenare insieme, oppure di guardare un film in contemporanea con alcuni amici in
diverse parti d’Italia. Tutto questo, rispetto al passato, è stato favorito dai numerosi
fenomeni e processi legati alla globalizzazione primo fra tutti quello di simultaneità
despazializzata che teorizza la possibilità di essere presente simultaneamente in
più luoghi e quindi vivere mediatamente lo stesso evento nello stesso momento
anche trovandosi in posti diversi.

La mia paura di non riuscire a fare amicizia era solo andata a peggiorare durante le
prime settimane a Milano a causa del comportamento delle mie coinquiline.

Il giorno dell’inizio delle lezioni faccio conoscenza con una ragazza di nome
Federica che stava seguendo la mia stessa lezione. Federica è nata e cresciuta a
Milano e frequenta il secondo anno; iniziandola a conoscere mi rendo subito conto
che anche con lei c’erano molte differenze di prospettiva e habitus ma
contrariamente alle mie coinquiline Federica non dimostra un atteggiamento
chiuso nei miei confronti bensì si offre di aiutarmi ad ambientarmi e a capire bene i
meccanismi di una metropoli come Milano. Infatti inizialmente non è stato molto
facile rinnovare le mie abitudini nel nuovo contesto sociale in cui mi trovavo.

Questo è dovuto all’inerzia dell’habitus o hysteresys vale a dire la resistenza del


cambiamento degli schemi cognitivi e la persistenza delle informazioni percepite
per prime. Ad esempio in Sicilia ero abituata a spostarmi in macchina e prima di
trasferirmi non avevo mai usato i mezzi pubblici per muovermi in paese anche
perché non ce n’erano molti, solo qualche autobus che si muoveva senza una vera
e propria tabella oraria.

I primi tempi Federica stava spesso con me quando dovevo prendere la metro o il
tram e mi dava molti consigli su quali percorsi scegliere per andare da casa mia
alla sede della facoltà o al centro per esempio. Dopo alcune settimane di seguire
attentamente ogni sua mossa e ripeterla a mia volta, sono riuscita a rendere parte
del mio habitus quelle nuove pratiche grazie al meccanismo che si crea nel
rapporto tra ostensione e mimesi. 

Grazie all’aiuto di Federica ho incorporato sia un nuovo habitus temporale,
familiarizzando con l’organizzazione al minuto di Milano, sia un nuovo habitus
spaziale: in effetti grazie ai suoi preziosi consigli ho iniziato ad individuare i percorsi
e i riferimenti per muovermi in città che sono andati pian piano a normalizzarsi
nell’insieme delle mie pratiche componendo così la mia personale mappa mentale.

L’amicizia con Federica non mi ha solo aiutato ad incorporare nuove pratiche per
organizzare la mia vita a Milano ma mi ha permesso di conoscere persone nuove e
entrare in contatto con la sua subcultura. Federica e il suo gruppo di amici si
identificano nella subcultura emo, nata circa negli anni 80, che deriva dal campo
della musica del genere omonimo. I membri di questa subcultura sono accomunati
non solo dalla musica ma anche da simboli che si riflettono soprattutto sul piano
estetico. Questo riflette il concetto delle tecniche del corpo riflessive ovvero
tecniche il cui principale scopo è quello di lavorare sul corpo e che possono
indicare, come in questo caso, appartenenze subculturali. Per Federica e i suoi
amici far parte della subcultura emo vuol dire anche portare i capelli lunghi lisci e
spesso colorati, vestire con abiti neri e jeans aderenti e portare dilatatori e piercing.

Prima di quel momento non ero mai entrata a stretto contatto con una subcultura
così definita e organizzata; passare il tempo con loro mi ha fatto scoprire un
mondo che non avrei mai pensato potesse interessarmi e perfino piacermi. A
distanza di due anni non penso di potermi definire a tutti gli effetti come membro
della subcultura emo (soprattutto per ciò che riguarda la parte estetica) ma per
diversi aspetti sono riuscita ad integrarmi e questo ha portato il mio rapporto con
Federica ad un livello più elevato di condivisione e confidenza.

In effetti l’amicizia che si è venuta a creare e la scoperta di una subcultura per me


del tutto nuova mi ha dato la possibilità di accrescere il mio bagaglio di esperienze,
modificando il mio habitus che fino a quel momento non aveva conosciuto stimoli
mediali nuovi. Rispetto al rapporto di chiusura con le mie coinquiline, la mia
relazione con Federica mi ha fatto capire che prospettive diverse non sono
costrette a scontrarsi ma possono trovare punti in comune per migliorare e
arricchirsi a vicenda.

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