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POLITECNICO DI TORINO

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria


Elettrica

Conversione Statica dell’Energia Elettrica

Prof. Antonino Fratta

Proprietà, tecnologie, industrializzazione e


caratterizzazione di interruttori e semiconduttori di
potenza per la conversione di energia

GRUPPO 2
Goria Nicolò s277363

Morra Simone s280194

Palombo Lara s255258

Safina Salvador s267149

A.A 2020/2021
INDICE

Indice
1 Panorama generale 3
1.1 Stati degli interruttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2 Compatibilità di inserzione rispetto alle sorgenti . . . . . . . . 3
1.3 Circuiti reattivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.4 Non idealità statiche e fattore di merito degli interruttori . . . 7

2 Tipologie di interruttori di potenza 9


2.1 Tiristori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.2 Diodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.3 Transistor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

3 Transistori di potenza 13
3.1 Generalizzazione, tripolo concettuale . . . . . . . . . . . . . . 13
3.2 Modello ed effetti termici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

4 Industrializzazione dei semiconduttori di potenza 20


4.1 Struttura del semiconduttore di potenza . . . . . . . . . . . . 20
4.2 Metallizzazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
4.3 Drogaggio dei semiconduttori di potenza . . . . . . . . . . . . 21
4.4 Proprietà elettriche dei semiconduttori di potenza . . . . . . . 23
4.5 Produzione e dispersione parametrica . . . . . . . . . . . . . . 24

5 MOSFET 25
5.1 Struttura e principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . 25
5.2 Caratterizzazione nel piano elettrico . . . . . . . . . . . . . . 27
5.2.1 Zona attiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
5.2.2 Inviluppi a sinistra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
5.2.3 Inviluppi a destra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
5.2.4 Caratteristiche di interdizione e conduzione . . . . . . 29
5.3 Componenti planari e Trench MOSFET . . . . . . . . . . . . 31
5.4 Peculiarità del MOSFET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

6 Transistor bipolare 34
6.1 Struttura e principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . 34
6.2 Dissimmetrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
6.3 Caratteristica di conducibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
6.3.1 Zona attiva e potenza dissipata nel pilotaggio . . . . . 37
6.3.2 Inviluppo a sinistra e provvedimenti antisaturazione . 38
6.3.3 Breakdown . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
6.4 SOA e commutazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

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INDICE

7 Strutture Multistadio 42
7.1 Darlington . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
7.2 Trirlington . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
7.3 FBSOA e RBSOA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

8 IGBT 47
8.1 IGBT a partire dal MOSFET a canale N . . . . . . . . . . . . 47
8.2 Conduzione in zona attiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
8.2.1 Comparazione della caratteristica di conduzione con
un MOSFET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
8.2.2 Zona attiva, similitudine con il MOSFET . . . . . . . 50
8.3 Breakdown . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
8.4 Apertura e "tail" di corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

9 Diodi di potenza 54
9.1 Caratteristiche di conduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
9.2 Caratteristica d’interdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
9.3 Classificazione dei diodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
9.3.1 Diodo Zener . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
9.3.2 Diodi pin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
9.3.3 Diodi snappy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
9.3.4 Diodi Schottky . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
9.4 Fenomeni dinamici dei diodi e legge integrale carica spaziale-
corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
9.4.1 Forward recovery . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
9.4.2 Reverse recovery . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

10 Affidabilità degli interruttori per applicazioni VSI 62

11 Effetti del ripple di modulazione sulle perdite nei semicon-


duttori 64
11.1 Fattori di ripple e costificazione, cenni . . . . . . . . . . . . . 64
11.2 Perdite nei semiconduttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
11.2.1 Perdite per conduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
11.2.2 Perdite per commutazione . . . . . . . . . . . . . . . . 66
11.3 Formulazione complessiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

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1 PANORAMA GENERALE

1 Panorama generale

La peculiarità energetica della conversione dell’energia elettrica è il limi-


te superiore di rendimento unitario nella regolazione media di un flusso di
energia elettrica, la quale è eseguita tramite l’utilizzo di interruttori, ovvero
dispositivi a conducibilità variabile comandabili che rispettano la preroga-
tiva funzionale di non dissipatività dei convertitori lavorando nello stato di
minime perdite per migliore conduzione o interdizione.
La commutazione tra gli stati stabili dell’interruttore rappresenta, in gene-
rale, una sollecitazione a spettro illimitato, in relazione alle discontinuità
dell’attivazione ad alta dinamica. In questo contesto, la frequenza di com-
mutazione funge da "muro" e suddivide lo spettro in due sottospettri: tutte
le frequenze appartenenti all’emispettro superiore rispetto alla frequenza di
commutazione non sono regolabili in modo attivo, per controllarle è perciò
necessario studiare la risposta passiva del sistema; l’emispettro di frequenze
inferiori risulta, invece, dominabile attivamente, ed è qui che avviene la con-
versione dell’energia elettrica, nella parte minima dello spettro di frequenze
della correlazione energetica tensione-corrente.

1.1 Stati degli interruttori

Il funzionamento di ogni interruttore è caratterizzato da due differenti stati


estremi, i quali nell’ipotesi di idealità corrispondono a:

• stato di conduzione (ON), condizione assimilabile idealmente al corto-


circuito, l’interruttore si comporta come un generatore ideale di ten-
sione nulla;
• stato di interdizione (OFF), condizione idealmente assimilabile al cir-
cuito aperto, l’interruttore si comporta come un generatore ideale di
corrente nulla.

1.2 Compatibilità di inserzione rispetto alle sorgenti

La compatibilità di inserzione dell’interruttore rispetto alla topologia cir-


cuitale esterna riguarda la compatibilità di entrambi gli stati stabili con la
natura delle possibili sorgenti esterne. L’interruttore deve permettere la con-
dizione di riposo della sorgente esterna (erogazione di potenza nulla) in uno
stato, e la connessione con il carico nell’altro:

• compatibilità con generatore di tensione: l’interruttore dovrà es-


sere inserito in serie alla sorgente di modo che nello stato di OFF per-
metta il riposo del generatore e nello stato di ON la connessione con il

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1 PANORAMA GENERALE

carico. La connessione parallelo sorgente-interruttore risulta natural-


mente incompatibile poiché incompatibile il parallelo tra generatori di
tensioni diverse;
• compatibilità con generatore di corrente: l’interruttore dovrà es-
sere inserito in parallelo alla sorgente, permettendo in ON il riposo del
generatore e in OFF la connessione con il carico. L’inserzione in serie
risulta naturalmente incompatibile poiché incompatibile la connessione
serie di due generatori di correnti diverse.

1.3 Circuiti reattivi

Nell’analisi del funzionamento degli interruttori in circuiti dinamici, il pro-


blema nasce dalla presenza di un elevato numero di variabili di stato indipen-
denti. Con l’obiettivo di risolvere tale problema dinamico si riduce l’ordine
della modellistica considerando le commutazioni più veloci possibili, al limi-
te istantanee, rendendo in questo modo trascurabili quelle che, nella realtà
fisica, sono le perdite dominanti, ovvero le perdite per commutazione. Si
considera, perciò, un unico spettro di frequenza che corrisponde ad una di-
namica illimitata. Definire la frequenza vuol dire definire il comportamento
reattivo dominante visto ai capi dell’interruttore:

• comportamento reattivo-induttivo: un’induttanza a frequenza infinita


si comporta come un generatore di corrente ed impone continuità di
corrente;
• comportamento reattivo-capacitivo: una capacità a frequenza infinita
si comporta come un generatore di tensione ed impone continuità di
tensione.

Il concetto di continuità si basa sulla funzionalità delle induttanze e capacità,


le quali si comportano come accumulatori di energia (magnetica ed elettro-
statica) per cui non è ammessa, nella realtà fisica, una variazione di tale
accumulo energetico in tempo zero.

Nei circuiti elettrici reali reattivi ad una variazione di corrente corrisponde


una risposta derivativa dell’induttore ed una risposta integrativa del conden-
satore, viceversa per una variazione di tensione. Perciò, a frequenza infinita
il comportamento risulta ondulatorio, ovvero qualsiasi variazione delle gran-
dezze elettriche implica l’insorgenza di fenomeni reattivi duali. Tuttavia,
nella realtà fisica, prima di arrivare a frequenza infinita si incontra un limite
in cui prevale un carattere reattivo capacitivo o induttivo; tale carattere può
essere dovuto alla tecnologia intrinseca dell’interruttore, o, per interruttori
di buona qualità, al comportamento circuitale.

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1 PANORAMA GENERALE

Per questo motivo, nell’indagine sui circuiti dinamici, si utilizza una model-
listica semplificata che presenta un solo comportamento reattivo (induttivo
o capacitivo) che deve tener conto della compatibilità tra il circuito elettrico
esterno e le variazioni parametriche imposte dall’interruttore, perciò:

• circuito induttivo: induttanza in serie all’interruttore che impone con-


tinuità di corrente;

• circuito capacitivo: capacità in parallelo all’interruttore che impone


continuità di tensione;

Dunque per un circuito commutato da un solo interruttore:

TURN-ON TURN-OFF
Circuito Induttivo COMPATIBILE NON COMPATIBILE
Circuito Capacitivo NON COMPATIBILE COMPATIBILE

Tabella 1: Compatibilità delle manovre dell’interruttore con il circuito


esterno

Circuiti ohmico-induttivi

Figura 1: Circuito ohmico-induttivo.

di
v = E − Ri − L · (1)
dt
Il segno della transizione della corrente è definito dal tipo di commutazione:

• TURN ON: di
dt >0

• TURN OFF: di
dt <0

Per quanto riguarda la chiusura, la potenza dissipata rimane di ordine trascu-


rabile in quanto per il segno positivo della variazione di corrente, maggiore

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1 PANORAMA GENERALE

sarà la derivata, ovvero più velocemente avverrà la commutazione di sta-


to, minore sarà la tensione ai capi dell’interruttore e dunque la dissipazione
istantanea. Ipotizzando, al limite, un istantaneo annullamento della tensio-
ne, si avrebbe un aumento della corrente che segue la dinamica circuitale
esterna.
Durante l’apertura, invece, l’aumento della velocità di commutazione si cor-
rela ad una crescita della tensione applicata ai capi dell’interruttore che può
comportare picchi incontrollati di sovratensione. Un’induttanza
Rt in condu-
zione, infatti, produce un flusso concatenato λ ∝ 0 v(t) dt; per annullare
istantaneamente tale flusso e avere, quindi, corrente nulla in un tempo in-
finitesimo, servirebbe una tensione infinita, cioè un impulso di ampiezza
illimitata, durata nulla e area finita. Ciò risulta naturalmente incompatibile.
Nella realtà fisica, grazie alla tecnologia dei semiconduttori che fungono da
soppressori di sovratensione, ovvero si guastano prima che si rompano gli
isolanti, la tensione si ferma alla caratteristica di breakdown prima della rot-
tura vera e propria.

Circuiti ohmico-capacitivi

Figura 2: Circuito ohmico-capacitivo.

vc dvc E−v d(E − v) E−v dv


i= +C · = +C · = −C · (2)
R dt R dt R dt

Il segno della derivata della tensione viene definito per ogni transizione di
stato:

• TURN ON: dv
dt <0

• TURN OFF: dv
dt >0

In questa topologia circuitale, l’apertura risulta compatibile, in quanto la dis-


sipazione istantanea rimane trascurabile considerando che, per il segno posi-
tivo della variazione di tensione, ad un aumento della velocità di transizione

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1 PANORAMA GENERALE

della variabile di stato, dunque della commutazione, la corrente che attra-


versa l’interruttore decresce; ipotizzando, inoltre, un istantaneo annullamen-
to della corrente, la tensione aumenterebbe seguendo la dinamica circuitale
esterna.
Per quanto riguarda la chiusura, invece, l’aumento della velocità di com-
mutazione comporta una crescita della corrente che passa nell’interruttore,
causando possibili picchi incontrollati di sovracorrente, assolutamente da evi-
tare per la tecnologia dei semiconduttori che presenta dei limiti di corrente
di picco molto stringenti. Per chiudere il circuito su un condensatore carico,
quest’ultimo dovrà essere R tscaricato in quanto presenterà al suo interno un
accumulo di carica Q ∝ 0 i(t) dt; per annullare istantaneamente tale carica
e avere, quindi, ai capi della capacità la tensione di maglia E in un tempo
infinitesimo, servirebbe un impulso di corrente di ampiezza illimitata e du-
rata nulla. Per tali ragioni la manovra di chiusura su un circuito capacitivo
risulta incompatibile.

1.4 Non idealità statiche e fattore di merito degli interruttori

L’estrema semplificazione in termini di rappresentazione della realtà fisica


degli interruttori consiste nell’includere una resistenza di ON (RON ) in serie
all’interruttore nello stato di conduzione e una resistenza di OFF (ROF F ) in
parallelo all’interruttore nello stato di interdizione.
Risulta dunque possibile, considerando i due termini resistivi costanti, trac-
ciare le due caratteristiche lineari di conduzione e interdizione nel piano
elettrico dell’interruttore, per cui:

v = RON · I v = ROF F · I

(a) Conduzione (b) Interdizione

Figura 3: Caratteristiche lineari non ideali degli interruttori

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1 PANORAMA GENERALE

Si palesa, dunque, la non idoneità di tale rappresentazione; basti pensare alla


caratteristica esponenziale di conduzione dei diodi o, ancor di più, a quella
di interdizione e al breakdown. Si può dunque affermare che lo strumento
matematico-circuitale (v = Ri) non è sufficiente e deve essere abbinato al-
lo strumento grafico (piano elettrico), che descrive meglio le non idealità e
definisce i punti di lavoro statici considerando la variabilità dei fenomeni a
seconda del quadrante elettrico i cui si trovano.
Dalle precedenti considerazioni emerge la prima non idealità della realtà fisica
degli interruttori, ovvero che al di fuori del punto nell’origine (i = v = 0), a
tutti gli altri punti di lavoro sarà associata una potenza residua persa istanta-
nea di ON (PON ) e di OFF (POF F ); avremo, perciò, un passaggio di corrente
non voluto nello stato di interdizione (dispersione di corrente di OFF), fun-
zione della tensione applicata, e una caduta di tensione di conduzione non
desiderata, funzione dello stimolo di corrente.

POF F = vof f · iof f (vof f ) (3)

PON = von (ion ) · ion (4)


Dato che le correnti di dispersione di OFF risultano trascurabili rispetto alle
correnti di conduzione:

POF F  PON (5)

Si definisce a questo punto il fattore di merito dell’interruttore QSW come il


rapporto tra le resistenze apparenti di OFF e di ON:

vof f
iof f (vof f ) vof f · ion
QSW = von (ion )
= (6)
von (ion ) · iof f (vof f )
ion

dell’ordine di 106 ÷ 1012 a seconda della tipologia di interruttore.

Premessa

É opportuno precisare che la conversione statica dell’energia è, ed è sempre


stata, una disciplina dell’ingegneria in progressiva e continua crescita, basti
pensare all’evoluzione dalle prime valvole termoioniche al crescente impatto
delle applicazioni sulla distribuzione in alternata per l’efficienza della gene-
razione. Per questo motivo, la complessità delle tecnologie di semiconduttori
e interruttori di potenza, elementi principe ed inevitabili per la rigenerazione
dell’energia elettrica nelle forme ottimali, e le conseguenti possibili strutture

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2 TIPOLOGIE DI INTERRUTTORI DI POTENZA

fondamentali e derivate composte, sono in continua evoluzione in un mercato


sempre più competitivo.
Gli interruttori e gli atomi per la commutazione trattati, dunque, non rappre-
sentano, naturalmente, la totalità delle alternative attuali o prossime venture
ma oggetti di un’indagine che si focalizza sulle principali tecnologie ad oggi
consolidate.

2 Tipologie di interruttori di potenza

Segue una differenziazione generalizzata della molteplicità di tipologie di


componenti a semiconduttore utilizzati come interruttori in base alle carat-
teristiche di stato e di comando:

• Tiristori: comandabili in chiusura (non controllabile) e apertura di


tipo naturale;
• Diodi: non comandabili, entrambe le transizioni avvengono in modo
naturale;
• Transistor : completamente comandabili in entrambe le commutazioni.

2.1 Tiristori

I tiristori, anche detti SCR (Silicon Controlled Rectifier) sono classificati


come interruttori bistabili naturalmente monostabili, e presentano compor-
tamenti diversi nei due stati di conduzione e interdizione. In particolare:

• in interdizione non c’è alcuna attivazione di conducibilità elettrica


in quanto non ci sono portatori di carica mobile, perciò il circuito è
aperto e rimane tale (escludendo la condizione di breakdown);
• in conduzione una parte della corrente è disponibile per mantenere
la conduzione e la restante parte è una corrente di autopilotaggio che
autogenera la conducibilità (corrente di latching). La commutazione
dell’interruttore avviene tramite un impulso di carica che innesca il fe-
nomeno autogenerativo, mettendo a disposizione dei portatori di carica
minoritaria per mantenere attivo lo stato di conduzione. Al di sotto
di tale corrente di latching, il tiristore si trova in uno stato intermedio
da cui potrebbe andare in interdizione o tornare in conduzione.

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2 TIPOLOGIE DI INTERRUTTORI DI POTENZA

(a) Icona del tiristore (SCR) (b) Caratteristica tiristore (SCR)

Figura 4: Simbolo e caratteristiche dell’SCR

Le caratteristiche del tiristore sono riferite al piano elettrico iA − vak , utiliz-


zando la convenzione di morsetto positivo della tensione anodo-catodo dove
la corrente è considerata entrante positiva, ovvero nell’anodo.
Sono caratteristiche definite nel 1° e 3° quadrante, e l’unico modo per pas-
sare da un segno all’altro è attraversare l’origine (bottle neck ). Sembrerebbe
che in questo punto il tiristore sia contemporaneamente in conduzione ed
interdizione, ma in realtà l’origine non può appartenere alla caratteristica di
conduzione in quanto il componente rimane in conduzione finché è in grado
di condurre corrente. La natura del punto di origine, dunque, rivela la na-
tura propria del tiristore, ovvero naturalmente monostabile OFF, in quanto
passando per l’origine degli assi si riporta naturalmente in interdizione. La
conduzione, per questi motivi, sarà quindi possibile solo nel primo quadrante.
Tali dispositivi possono essere adoperati nei convertitori a commutazione na-
turale, tipicamente in alternata, sfruttando l’annullamento periodico e natu-
rale della corrente; per la compatibilità della transizione di apertura, inoltre,
l’interruttore deve effettuare il turn-off esclusivamente nell’istante in cui la
corrente è nulla, e ciò fa parte del funzionamento intrinseco dei tiristori, in
quanto bistabili naturalmente OFF. La commutazione di apertura corrispon-
de, perciò, ad una variazione di segno delle grandezze tramite passaggio per
l’origine, per cui aprire un tiristore sarebbe una forzatura, e questo è un
vincolo su una commutazione che deve essere naturale.
Il tiristore deve essere dunque comandato in chiusura, condizione per cui il
comportamento visto dall’interruttore non può essere capacitivo, ma indutti-
vo (al limite resistivo) per migliorarne le prestazioni aggiungendo continuità
di corrente.
Non idealità dei tiristori

La non-idealità del tiristore è legata al fatto che quando si comanda il di-

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2 TIPOLOGIE DI INTERRUTTORI DI POTENZA

spositivo in ON, tramite impulsi controllati e limitati, si va ad attivare il


centro del tiristore, dopodiché tale stato si propaga in tutto il componente
con un tempo di propagazione laterale dello stato di conduzione. Per questi
dispositivi, dunque, nei datasheet devono essere considerati oltre che il valo-
re massimo di tensione e corrente, anche i limiti dinamici, ovvero i massimi
valori di derivate di corrente e tensione:

• dt |max :
di
limite significativo per il turn-on; se si attiva il tiristore con una
derivata di corrente maggiore della derivata spaziale di propagazione
laterale dello stato di conduzione, il tiristore va in eccesso di corrente
guastandosi per focalizzazione (termico). Perciò per far funzionare i
tiristori nel modo meno dissipativo possibile si aggiunge induttanza
che andrà a limitare tale derivata e ad aiutare la commutazione senza
disturbare la conduzione;

• dt |max :
dv
limite significativo per il turn-off, in cui il problema maggiore
è rappresentato dal breakover, ovvero l’autoinnesco del tiristore per
eccesso di derivata di tensione, anche solo per spostamento di correnti
capacitive parassitiche, per cui si perde il comando del turn-on.

Nella realtà della conversione, inoltre, esistono non solo i tiristori da inverter
a commutazione naturale ma anche dei tiristori che possono essere aperti in
modo comandato, ovvero i GTO (gate turn-off ), i quali prevedono esecuzioni
tecnologiche molto più sofisticate. Questo tipo di componente, però, com-
mutabile all’off, risulta molto più dissipativo nello stato di conduzione, cioè
il componente più veloce in commutazione è meno prestante in conduzione,
perciò non conviene utilizzare un GTO nelle realtà in cui risulta buono un
tiristore da rete.

2.2 Diodi

Il diodo è un interruttore a semiconduttore non comandabile indispensabile


in tutti i circuiti a commutazione forzata, o comunque ovunque sia necessario
operare delle commutazioni autonome. Il diodo svolge, infatti, una funzione
di autocommutazione, ed il passaggio di stato tra conduzione (primo qua-
drante) ed interdizione (terzo quadrante), e viceversa, viene comandato dal
segno delle grandezze elettriche imposte ai suoi terminali:

• ia > 0, ovvero vak > 0: diodo in conduzione

• vak < 0, ovvero ia ≤ 0: diodo in interdizione.

Il modello commuta in modo naturale al passaggio nell’origine (ia = 0,vak =


0), che rappresenta l’unico punto di unione dei due stati di carica spaziale.

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2 TIPOLOGIE DI INTERRUTTORI DI POTENZA

Figura 5: Simbolo diodo e caratteristica tensione corrente

Le caratteristiche di conduzione e interdizione, dunque, risultano dissimme-


triche: nello stato di interdizione la corrente di dispersione (negativa) è molto
limitata fino al raggiungimento della tensione di breakdown, che comporta
un aumento incontrollato della corrente, e quindi della dissipazione, dun-
que un innalzamento della temperatura potenzialmente distruttivo. Il diodo
è quindi utilizzabile come interruttore in un campo limitato, considerando
anche che esiste un valore di corrente massima in polarizzazione diretta che
porta al guasto per eccessiva dissipazione di potenza ed il conseguente effetto
termico.Il diodo da solo non è adatto alla commutazione forzata, ma viene
associato a componenti completamente comandabili sia in apertura che in
chiusura.

2.3 Transistor

Il transistor è un componente controllabile con continuità, ovvero coman-


dabile in entrambe le commutazioni, che ha caratteristiche generalmente
unidirezionali e non reversibili poste per convenzione nel primo quadrante.
Si tratta di un tripolo elettrico, costituito da un terminale di segnale e due
terminazioni di potenza che devono essere in grado di sostenere la tensione di
interdizione durante lo stato di OFF e di condurre la corrente durante il fun-
zionamento in conduzione. Il transistor utilizzato come interruttore, dunque,
deve essere opportunamente pilotato per ottenere una specifica condizione
di lavoro, e il terminale di segnale viene utilizzato per fornire il comando di
variazione della conducibilità. Nel caso del transistor bipolare, il comando è
un’iniezione di corrente, dunque di quantità di carica minoritaria, che nella
semplificazione stazionaria vuol dire pilotaggio a corrente impressa. Il tran-
sistor, dunque, rappresenta l’elemento di connessione tra i circuiti di potenza
e comando.

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

Figura 6: Simbolo transistor bipolare e zone dell’area di lavoro

L’ area di lavoro attiva del transistor, in cui il componente risulta comandabi-


le con continuità, è limitata dalle sue caratteristiche di massima conduzione
e massima interdizione. Le traiettorie di commutazione, che nascono dal-
l’intersezione delle proprietà del dispositivo e del circuito esterno, si trovano
all’interno della zona attiva.
Le proprietà delle transcaratteristiche dei transistor di potenza saranno ana-
lizzate nel dettaglio nel capitolo 4 ("Transistori di potenza").

3 Transistori di potenza

3.1 Generalizzazione, tripolo concettuale

Nel mondo della conversione statica dell’energia e dell’elettronica esistono


diverse tipologie di transistor per l’uso da interruttore, ognuna con le pro-
prie peculiarità che definiscono, poi, il successo competitivo dell’una rispetto
all’altra.
Risulta utile iniziare questa descrizione partendo da una generalizzazione
che si avvale di un tripolo concettuale che presenta due terminali di potenza
ed uno di comando, tramite cui il pilotaggio, nei transistor, può avvenire a
corrente o tensione impressa.

Figura 7: Tripolo concettuale

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

Si possono distinguere due famiglie di caratteristiche, o meglio transcarat-


teristiche elettriche dei transistori di potenza: una ottenibile mantenendo
costante la grandezza di comando X e variando la tensione ai terminali di
potenza e l’altra che, invece, esprime la dipendenza della corrente condot-
ta dalla grandezza di comando, a parità di tensione impressa ai morsetti
di potenza. In generale, le caratteristiche sono poste nel primo quadrante
del piano elettrico rispettando la convenzione degli utilizzatori, dunque la
funzione di dissipazione dei componenti in analisi; oltre che dal comando, le
caratteristiche dei transistor sono fortemente dipendenti dalla temperatura
del semiconduttore, ovvero dalla temperatura di giunzione.

Figura 8: Transcaratteristiche del transistor generalizzato

Nella transcaratteristica a tensione impressa costante, assunzione che limita


in parte la validità di questa visione sperimentale, è rappresentato ciò che
avviene nella realtà dei componenti comandati; si distinguono, cioè, intervalli
di valori della grandezza di comando X per cui la corrente condotta è prima
nulla, poi aumenta proporzionalmente e infine satura, cioè il comando non è
più in grado di generare un aumento di corrente.
La grandezza di comando X è espressione della legge fisica necessaria ad at-
tivare dei portatori di carica che, diversamente, non sarebbero presenti nel
semiconduttore ed ha, dunque, lo scopo di comandare il livello di conducibi-
lità del bipolo PN (generalizzazione positivo-negativo); si tratta, perciò, di
un’attivazione monotona, ovvero al crescere di X aumentano i portatori di
carica resi disponibili.
In termini generali, a partire dalle transcaratteristica elettrica a X costante,
è possibile distinguere zone o aree di lavoro differenti, che corrispondono a
specifiche condizioni di funzionamento dell’interruttore; si manifesta, infatti,
una zona attiva, nella quale emerge la sensibile dipendenza delle caratteristi-
che dalla grandezza di comando ed è, dunque, in questa area di lavoro che le
grandezze elettriche del piano risultano effettivamente dominabili. Inoltre,
la monotonicità dell’attivazione dei portatori di carica da parte del comando
X, identifica il comportamento dominante di tutti i transistori in zona at-
tiva, ovvero quello di un generatore, non proprio ideale, di corrente, le cui

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

caratteristiche, infatti, non sono effettivamente orizzontali, ma presentano


una pendenza ,in quanto la corrente condotta aumenterà in qualche modo
con la tensione applicata.
Uscendo dalla zona attiva, aumentando la tensione ai morsetti di potenza,
esiste un limite superiore oltre il quale le caratteristiche di corrente divergo-
no; si tratta della zona di break-down, nella quale si perde la controllabilità
della corrente. Il comportamento del transistor in tale zona presenta un cer-
to livello di sofisticatezza, in quanto il break-down può essere anche in grado
di generare una quota parte del comando X; ad ogni modo, il costruttore
fornisce delle marginature al fine di non entrare mai in questa zona, in cui
il transistor risulta incontrollabile e predisposto al guasto permanente e di-
struttivo con tempi inferiori ai microsecondi per rottura di un isolamento
a semiconduttore. In termini di ordini di grandezza, il silicio (Si), utiliz-
zato nella totalità dei componenti di potenza, presenta un limite di campo
elettrico sostenibile, dunque una tenuta alla tensione, di 100 kV/mm (per il
carburo di silicio SiC si ha un limite di 1000 kV/mm).
Si distingue, inoltre, la zona e caratteristica di interdizione, ovvero il limite
inferiore della zona attiva; la migliore caratteristica di interdizione si ottiene
per valori della grandezza di comando X, specificati dai costruttori, suffi-
cienti ad accedere alla zona molto prossima all’asse delle tensioni (ascisse),
di modo che la corrente di interdizione risulti talmente modesta da essere
interpretabile come la corrente dispersa (leakage-current). Naturalmente le
ampiezze del comando dovranno essere inferiori a quelle necessarie per acce-
dere alla zona attiva, e, in alcuni casi, sarà necessario imprimerle con polarità
opposta. Ad ogni modo, tutti i transistor presentano caratteristiche di in-
terdizione pressoché ideali, in quanto la potenza persa nello stato di OFF
risulta trascurabile:

Pof f = vP N · ip (vP N , x = xof f ) ' 0 (7)

Essendo Pof f « Pnom , ciò vale per ogni valore di tensione sufficientemente
inferiore alla tensione di breakdown.
Si definisce, infine, la zona e caratteristica di conduzione, ovvero l’inviluppo
a sinistra delle transcaratteristiche elettriche, intrinsecamente legato ai limiti
termici, fisici delle applicazioni. Utilizzando un comando al limite dei valo-
ri ammessi, si ottiene la migliore caratteristica di conduzione, ovvero la più
prossima, ma mai sufficientemente, all’asse delle correnti (ordinate). Tale
caratteristica, in realtà, è anche funzione della temperatura intima del se-
miconduttore, la quale è, a sua volta, funzione della potenza dissipata ma
presenta costanti di tempo enormemente superiori (dell’ordine delle decine
di millisecondi fino ai secondi) rispetto a quelle del mondo elettrico per cui
la temperatura verrà considerata come costante.

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

Al contrario di ciò che accade nello stato di OFF, la potenza persa nello sta-
to di ON non è mai trascurabile in quanto il comportamento del transistor
in conduzione è di tipo resistivo non lineare, ovvero funzione della corrente
condotta. La caduta di conduzione von , cioè la non idealità della conduzio-
ne, sarà, dunque, funzione della corrente condotta ion e della grandezza di
comando applicata xon :

von = vP N (ion , x = xon ) (8)

La dissipazione istantanea in conduzione risulta perciò:

Pon = von · ion = ion · vP N (ion , x = xon ) (9)

Nel mondo della conversione statica la modellistica utilizzata ed ampiamente


accettata per la caratteristica di conduzione dei semiconduttori si discosta
dalla tipica esponenziale delle giunzioni, che fa riferimento a densità di dro-
gaggio costanti, che nella realtà non ci sono mai. Nell’impiantistica si estende
il panorama a casi in cui, per la densità di corrente, emergono i termini pro-
porzionali resistivi di tutte le connessioni del mondo elettro-termomeccanico.
Tuttavia è possibile adottare una semplificazione, tramite lo stroncamento
della serie di Taylor al primo grado, la quale risulta estremamente accu-
rata nell’indagine ad alte densità di corrente; si utilizza, perciò, l’interpo-
lante di primo grado per il dimensionamento elettro-termico del componen-
te, caratterizzata da un termine costante più un termine proporzionale alla
corrente:

von = V0 + Ron · ion (10)

dove V0 rappresenta il termine costante, ovvero il valore di soglia di condu-


zione, parametro intimo del semiconduttore e Ron , invece, è il termine di
proporzionalità che è legato alla molteplicità di interconnessioni e giunzioni
presenti nel componente che ne definiscono le proprietà termo-meccanico-
elettriche per la dissipazione verso l’esterno della potenza termica accumu-
lata nel semiconduttore, il quale rappresenta, anche se quella di maggior
valore, solo una quota parte del componente complessivo.
Non si esclude, ad ogni modo, la possibilità di utilizzare una migliore inter-
polazione per ottenere un ulteriore affinamento della modellistica.
Si ottiene, infine, per sostituzione, l’espressione della potenza persa istanta-
neamente in conduzione:

Pon = V0 · ion + Ron · i2on (11)

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

che definisce le proprietà di forma d’onda, in termini di norma e valor medio


elettrotecnico, ai fini della dissipazione in conduzione.
Fenomeni reattivi
In qualunque oggetto a conducibilità elettrica variabile a comando, se è possi-
bile accumulare energia reattiva nel semiconduttore, si manifestano fenome-
ni reattivi parassiti di natura capacitiva che rappresentano un fondamentale
limite dinamico dei componenti a semiconduttore.
In conduzione, i suddetti fenomeni parassitici risultano trascurabili grazie
alle minime variazioni di tensione; applicando, invece, una tensione inversa
alla giunzione, si attiva un fenomeno di estrazione di portatori di carica, i
quali vengono rimossi dal reticolo cristallino. In questo modo s’innesca la for-
mazione del dielettrico. Si tratta, infatti, di capacità elettriche inversamente
proporzionali alla tensione applicata e direttamente proporzionali, invece,
alla densità di drogaggio. Si fa riferimento, dunque, a parametri reattivi non
costanti, variabili, che teoricamente partono da un valore infinito quando la
barriera di potenziale non esiste (origine del piano elettrico), e le cui armatu-
re si allontanano all’aumentare della tensione applicata con un conseguente
incremento dello strato dielettrico, ovvero di carica spaziale. Tali parame-
tri capacitivi sono la somma di un termine costante C0 , che rappresenta gli
accoppiamenti che non passano attraverso il semiconduttore, e un termine
differenziale Cdif f = δV
δC

E’, dunque, necessario specificare che nei componenti a semiconduttore esi-


stono comportamenti parassitici capacitivi lineari e non lineari, ovvero in
funzione delle variazioni di quantità di carica e, quindi, dello stato del com-
ponente; è possibile però assumere, durante l’interdizione e in gran parte del-
la zona attiva, una modellistica dinamica lineare che considera come costanti
le capacità differenziali, dominanti, per tensioni sufficientemente elevate, ri-
spetto ai parametri non lineari, che diminuiscono al crescere della tensione
applicata.

q δQ
Cdif f = = → cost (12)
v δV

3.2 Modello ed effetti termici

Il limite di fondamentale importanza per il sano funzionamento di tutti i


tipi di transistori è la temperatura, la quale dipende dinamicamente dalla
potenza dissipata e risulta funzione integrativa di essa e funzione del tempo;
è necessario, perciò, che il costruttore specifichi la massima temperatura
interna del semiconduttore, ovvero la temperatura intima di giunzione Θjmax .
Possiamo inoltre definire il salto termico tra la giunzione e la temperatura
ambiente Θa come la somma del valor medio e l’ampiezza delle componenti

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

alternative:

∆Θj,amax = ∆Θj,aDC + ∆Θ
d j,a
AC (13)

Risulta perciò importante sapere dove si trova la frequenza di commutazione


in quanto più quest’ultima è alta, più le ampiezze delle componenti alter-
native divengono di ordine trascurabile rispetto alle continue (il rapporto
d j,a /∆Θj,a
∆Θ AC DC
definisce la classe di accuratezza); possiamo perciò applicare
la semplificazione:

∆Θj,amax ' ∆Θj,aDC (14)

E’ necessario perciò distinguere, per i semiconduttori, il guasto elettrico, ti-


picamente immediato, che può avvenire al superamento di limiti istantanei
di tensione e corrente, dal guasto di tipo termico, che s’innesca per supe-
ramento della massima temperatura di giunzione ammessa, che deve essere
per questo considerata come variabile di stato, oltre la quale si prevede il
degrado parametrico.
A tali fini si fa riferimento ad una modellistica termica a parametri concen-
trati (anche se la realtà termica è effettivamente a parametri distribuiti) in
quanto si tiene conto della grande molteplicità e discontinuità di materia-
li che costituiscono la tecnologia dei semiconduttori. Si fa riferimento alla
concentrazione di parametri di capacità termica, che rappresentano i feno-
meni di accumulo dell’energia termica e le costanti di tempo termiche (dalle
decine di ms ai s) evidenziano che la risposta termica risulta effettivamente
integrativa in quanto enormemente superiori rispetto alle costanti di tempo
del mondo elettrico.
Inoltre i parametri effettivamente dominanti e critici nella modellistica ter-
mica sono quelli relativi al passaggio da un materiale all’altro (quelle interne
risultano meno critiche), in quanto si tratta di una realtà disomogenea, e in
questo modo diviene semplice definire delle superfici equipotenziali termiche.
Per la definizione del modello termico si utilizza l’analogia circuitale elettrica
del sistema fisico, ipotizzando che ogni elemento sia caratterizzato da un
valore proprio di temperatura: la potenza termica viene rappresentata dalla
corrente elettrica, la temperatura corrisponde ad un potenziale, le resistenze
termiche, ovvero gli "ostacoli" del passaggio dello smaltimento del flusso
di calore, corrispondono a delle resistenze elettriche e, infine, la capacità
termica è considerata come capacità elettrica.

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3 TRANSISTORI DI POTENZA

Figura 9: Analogia circuitale elettrica

Emergono, dunque, le tre responsabilità di progetto e industrializzazione dei


transistor:

• ∆Θjc : caduta di temperatura tra giunzione e case, serie di moltepli-


ci salti termici e cadute interne di ogni materiale, caratterizzazione
termica di responsabilità del costruttore;
• ∆Θcs : caduta di temperatura tra case e dissipatore (sink), responsa-
bilità della progettazione e montaggio del componente;
• ∆Θsa : caduta di temperatura tra dissipatore e ambiente, tipicamente
isotermo a temperatura definita, proprietà dello scambiatore di calore.

Livello 1 di priorità, affidabilità :


Risulta chiaro a questo punto che il guasto elettrico per i semiconduttori
non comporta una vera e propria rottura, ovvero il comportamento di tali
dispositivi è ripristinabile a meno di modificazioni delle proprietà iniziali. Un
semiconduttore nella condizione di breakdown, infatti, da componente non
dissipativo diviene dissipativo, perciò non si tratta di rottura ma di variazione
di stato. Un diodo in breakdown, ad esempio, non si rompe perchè passa
corrente (effetto Zener), ma perchè il passaggio di corrente avviene ad alta
tensione, dunque con un elevato gradiente di campo.
Il "vero" guasto nei semiconduttori, dunque, è un guasto nel tempo, per
degrado parametrico, dovuto alla temperatura che supera il limite massimo
di giunzione specificato dal costruttore e comporta la perdita delle proprietà
iniziali del dispositivo; ciò che avviene, ad esempio, quando un diodo rimane
per un certo tempo nella condizione di breakdown. Avviene un fenomeno di
deriva in retroazione positiva (lo stimolo viene incrementato dall’effetto), che
comporta la perdita di controllo ed è, per questi motivi, necessaria un’oppor-
tuna marginatura del degrado parametrico. Il guasto termico, dunque, nel
tempo, comporta la modificazione delle proprietà del componente provocan-
do l’omogenizzazione dei gradienti di drogaggio, ovvero all’aumentare della
temperatura la mobilità dei droganti sarà accelerata in modo esponenziale,
incrementando la conducibilità elettrica del dispositivo e si innescheranno,
inoltre, modificazioni intime del reticolo cristallino.

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4 INDUSTRIALIZZAZIONE DEI SEMICONDUTTORI DI POTENZA

Inoltre il fenomeno fisico in funzione del quale si manifesta l’inaffidabilità


nel tempo del semiconduttore di potenza è la rottura meccanica a fatica; la
composizione industriale di materiali presenta, infatti, significative disomo-
geneità, ovvero la realtà tecnologica è costituita dal contatto meccanico di
materiali estremamente diversi soprattutto in termini di coefficienti di dila-
tazione termica. Tutto ciò porta, nel tempo, alla rottura per sollecitazione
a fatica, in quanto i convertitori, per loro natura, cambiano temperatura,
sia nel passaggio da una condizione di non funzionamento ad una di fun-
zionamento, ma anche durante un funzionamento regolato con condizioni di
lavoro variabili, in cui si modificano sia la potenza erogata che quella dissi-
pata; la temperatura di esercizio, dunque, può variare a parità, o meno, di
temperatura dell’ambiente esterno.

4 Industrializzazione dei semiconduttori di potenza

4.1 Struttura del semiconduttore di potenza

La struttura complessiva del semiconduttore di potenza è composta a partire


dalla piastrina di semiconduttore stabilizzato alla temperatura di giunzione
Θj , le cui superfici vengono metallizzate con materiali metallici particola-
ri per soddisfare determinate proprietà termomeccaniche; il semicondutto-
re viene disposto su un contenitore metallico (case) alla temperatura Θc ,
il quale permette una chiusura ermetica ed è a sua volta a contatto, tra-
mite la superficie inferiore, con un dissipatore (sink) alla temperatura Θs
per lo smaltimento del calore con l’ambiente esterno tipicamente isotermo a
temperatura Θa .

Figura 10: Struttura semiconduttore di potenza

L’esportazione verso l’esterno dei fenomeni che avvengono all’interno del

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4 INDUSTRIALIZZAZIONE DEI SEMICONDUTTORI DI POTENZA

semiconduttore avviene tramite i collegamenti elettrici di potenza e la dissi-


pazione del calore verso il mondo esterno. Per tali connessioni, sia elettriche
che termiche, della piastrina verso l’esterno, è necessaria la stabilizzazione
del semiconduttore che viene eseguita metallizzando le sue superfici.

4.2 Metallizzazioni

Le metallizzazioni delle superfici del semiconduttore vengono eseguite con


deposito di materiali metallici particolari che possono avere spessore del-
l’ordine dei µm per la minima metallizzazione indispensabile fino a svariati
mm nei componenti a disco più grandi (ad esempio tiristori per migliaia
di Ampere) le cui metallizzazioni diventano pesanti e costituite da leghe al
tungsteno.
Dalla superficie del semiconduttore opportunamente metallizzata, partono le
connessioni elettriche verso le terminazioni impiantistiche realizzate attraver-
so saldature o connessioni a vite; tali connessioni hanno dimensioni che vanno
dai mm ai cm e vanno ad ogni modo minimizzate in quanto rappresentano
un termine di caduta resistiva e, dunque, dissipazione.
Per eseguire la metallizzazione possono essere utilizzati diversi metalli, prin-
cipalmente Oro, Alluminio (comunemente utilizzato con il Silicio), Nichel,
Argento e Cromo.
La composizione industriale dei materiali della struttura complessiva di un
componente di potenza prevede, dunque, delle grandi disomogeneità, soprat-
tutto per quel che riguarda il coefficiente di dilatazione termica. E’ necessario
perciò considerare l’inaffidabilità nel tempo dei semiconduttori per rottura a
fatica; a seguito di una sollecitazione termica, infatti, il Silicio è in grado di
dilatarsi molto meno rispetto ai materiali metallici del contenitore (rame e al-
luminio) e ciò può portare ad una rottura del reticolo cristallino irreversibile.
Tale fenomeno è anche dovuto alle proprietà intermedie delle metallizzazioni
che aumentano l’errore per dilatazione laterale sostenibile.
Per realizzare l’affidabilità, si utilizzano, perciò, tecniche di assemblaggio
che consentono lo scorrimento tra il piastrino in semiconduttore ed il conte-
nitore metallico; tali tecniche prevedono l’uso di materiali ultra-nobili (oro,
platino) e l’introduzione di strati meccano-plastici per dominare le proprie-
tà elasto-plastiche delle superfici di contatto mantenendone nel tempo le
caratteristiche elettriche e termiche.

4.3 Drogaggio dei semiconduttori di potenza

I semiconduttori di potenza si realizzano sulla base di dischi di silicio puris-


simo (wafer) ed il costo è rappresentato soprattutto dal processo di lavora-

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4 INDUSTRIALIZZAZIONE DEI SEMICONDUTTORI DI POTENZA

zione che permette di ottenere il reticolo cristallino puro attraverso numerosi


passaggi di rifusione.
Questi wafer vengono venduti in base al grado di purezza che garantiscono, e
le aziende che producono tali dischi si occupano solo di essi, senza occuparsi
di alcun tipo di elettronica.

Figura 11: Wafer di silicio

A partire dal semiconduttore intrinseco, dunque, si procede con il drogaggio


che, in generale, consiste nell’introduzione di atomi non facenti parte del
semiconduttore puro, considerate come impurezze, allo scopo di modificarne
le proprietà di conducibilità elettrica.
La percentuale di atomi droganti introdotti risulta estremamente bassa: si
parla di qualche atomo di impurezza per ogni milione di atomi del materia-
le puro, ma disposti con gradienti di drogaggio molto elevati. Per questo
motivo tali semiconduttori vengono realizzati in ambienti controllati a tem-
peratura costante e ad inquinamento chimico-fisico nullo, in modo tale da
non alternarne le proprietà di semiconduzione.
In particolare, il drogaggio può essere di due tipi:

• tipo n: l’atomo drogante (fosforo, arsenico, antimonio o altri elementi


del V gruppo) presenta un elettrone in eccesso rispetto a quelli necessari
per soddisfare i legami del reticolo cristallino perciò si ottiene una
struttura con elettroni in eccesso (portatori di carica maggioritaria) e
lacune in difetto (portatori di carica minoritaria);

• tipo p: l’atomo drogante (atomi del III gruppo, come boro, alluminio,
gallio o indio) presenta un elettrone in meno (lacuna), si ottiene quindi
un eccesso di lacune (portatori di carica maggioritaria) ed elettroni in
difetto (portatori di carica minoritaria).

In generale, dunque, se nel semiconduttore intrinseco vengono iniettati por-


tatori tipici dell’estrinseco, questi saranno maggioritari, se sono invece porta-

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4 INDUSTRIALIZZAZIONE DEI SEMICONDUTTORI DI POTENZA

tori di segno diverso dall’estrinseco, saranno minoritari. Ciò provoca una per-
turbazione nel semiconduttore, a cui segue una ricombinazione dei portatori
minoritari una volta conclusa l’iniezione.
E’ necessario, inoltre, considerare che negli interruttori a semiconduttore
esistono delle dissimmetrie fisiche, basti pensare allo spessore maggiore dello
strato di collettore (decine di µm) di un transistor bipolare che deve sostenere
delle tensioni maggiori rispetto a quello di emettitore (µm); tali dissimmetrie
fisiche saranno certamente anche elettriche e di drogaggio.
L’ostacolo alla conduzione di corrente è rappresentato proprio dallo spessore
dello strato da attraversare e, da ciò, nasce la scelta di uno strato prefe-
renziale in cui far passare la corrente, che, nel caso del transistor bipolare,
sarà ovviamente quello di emettitore; tale strato, dunque, viene reso il più
sottile possibile per ridurre la potenza dissipata di pilotaggio e anche più
intensamente drogato per migliorarne la conducibilità. Si tratta, dunque, di
uno squilibrio fisico e di drogaggio che ha lo scopo di aumentare il guadagno
di corrente, il quale dipende dagli spessori e dai tempi di ricombinazione.
Inoltre lo spessore del wafer risulta tipicamente maggiore di quello della zona
nobile e si avranno perciò degli eccessi di strato che potrebbero aumentare
le cadute di tensione. Per questo motivo i volumi in eccesso vengono su-
perdrogati, in modo da ottenere un comportamento sempre più ad elevata
conducibilità elettrica. Tale superdrogaggio è un aiuto anche nella presta-
zione termo-meccanica alla sollecitazione a fatica, in quanto in questo modo
il semiconduttore superdrogato riesce ad accoppiarsi meglio alle metalliz-
zazioni, motivo per cui si ha il massimo drogaggio proprio nei pressi delle
metallizzazioni verso il mondo esterno.

4.4 Proprietà elettriche dei semiconduttori di potenza

Inizialmente il materiale semiconduttore adottato maggiormente nella realiz-


zazione di interruttori era il germanio, in quanto chimicamente meno reat-
tivo del silicio e quindi più facile da controllare nei processi di produzione,
purificazione e drogaggio. Il germanio venne utilizzato fino agli anni ’50,
quando i metodi di fabbricazione delle giunzioni p-n utilizzavano principal-
mente le tecniche di crescita o di lega. Non appena però si iniziarono ad
impiegare le giunzioni diffuse e le esigenze di miniaturizzazione dei circuiti
elettronici si fecero sentire sulle tecnologie associate alla semiconduttoristi-
ca, il germanio manifestò i suoi limiti. Si passò quindi alla realizzazione di
wafer in silicio, il quale presenta un limite in termini di tenuta alla tensione
dell’ordine di 100kV /mm; per raggiungere prestazioni ancora superiori, si
realizzano inoltre componenti che sfruttano il carburo di silicio, materiale
che non esiste in natura ma nasce dalla sostituzione di atomi di silicio con
atomi di carbonio. Il carburo di silicio permette il raggiungimento di valori di

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4 INDUSTRIALIZZAZIONE DEI SEMICONDUTTORI DI POTENZA

tenuta di tensione elevatissimi fino a 1000kV /mm, ricordanto che tali livelli
di isolamento sono mantenuti solo se il reticolo cristallino è puro, atrimenti
queste proprietà si perdono.
Le densità di corrente nei semiconduttori di potenza, inoltre, sono dell’ordine
di grandezza di quelle impiantistiche (A/mm2 ), dunque non così elevate.
Il problema, perciò, è legato allo smaltimento del calore e al fatto che il
semiconduttore non ha buone proprietà di conduzione elettrica o termica, ma
presenta un’ottima tenuta d’isolamento. Non si riesce, perciò, a migliorare
la conducibilità del semiconduttore, e per aumentare la densità di corrente, e
quindi di potenza, si migliora lo smaltimento del calore riducendo le cadute
di tensione, quindi la potenza dissipata in conduzione, a parità di densità di
corrente o realizzando piastrine più sottili, riducendo così il percorso della
potenza termica verso l’esterno e, quindi, la resistenza.
Dato che l’obiettivo a questo punto sono i costi, per ridurli ed essere quindi
maggiormente competitivi, è fondamentale ridurre il volume del materiale
ad alta densità di drogaggio quindi ad alto valore tecnologico. Tuttavia, la
riduzione dello spessore dei wafer è un’operazione delicata in quanto può
rappresentare un problema dal punto di vista industriale per la fragilità e
quindi l’inaffidabilità nel tempo dei semiconduttori di potenza. Essendo,
inoltre, i wafer oggetti molto fragili, risulta complesso mantenere inalterate
le proprietà del reticolo cristallino nei vari passaggi produttivi già nel caso
di wafer standard, ancor di più se si lavora con spessori inferiori.

4.5 Produzione e dispersione parametrica

Nel processo di produzione dei semiconduttori di potenza, il wafer viene ta-


gliato nei singoli die (chip approssimativamente quadrato), per procedere
poi con test individuali, al fine di avere conoscenza predittiva e diagnostica
del futuro funzionamento del componente sulla base di misurazioni veloci di
parametri significativi per l’affidabilità. Tale processo di valutazione, che na-
turalmente rappresenta una quota parte dei costi, rende possibile lo scarto di
produzione, cioè l’eliminazione dei componenti che si prevedono inaffidabili,
e che permette quindi la produzione di tali dispositivi in larga scala.
Si tratta, dunque, di progettazione per dispersione parametrica definita in
quanto i parametri di valutazione per la produzione del prodotto in larga
scala risultano abbondantemente dispersi, ma nonostante ciò è possibile co-
munque dominare i risultati energetici.
Per questo motivo nei datasheet dei componenti vengono riportati i valori
nominali dei parametri d’interesse sempre associati ai valori massimo e/o
minimo, a seconda che l’analisi worst case design arrivi monotonamente su
un solo estremo o su entrambi.

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5 MOSFET

Figura 12: Estratto di un datasheet di un transistor

Nella realizzazione dei componenti di potenza, in passato, si utilizzavano


tanti piccoli die in parallelo, mentre ora, con l’affinamento delle tecnologie,
si adopera un single die, ovvero si ottiene tutta la prestazione di corrente in
un singolo chip in quanto il parallelo sul single die risulta molto più efficiente
rispetto al parallelo di più die diversi.
Il componente di potenza è il parallelo di milioni di piccoli transistor; tale
disomogeneità di parametri elettronici è in grado di produrre una focalizza-
zione delle potenze dissipate con risultato distruttivo (hotspotting), e perciò è
richiesto il dominio dell’omogeneità perfetta delle caratteristiche di drogaggio
di questi dischetti.

5 MOSFET

5.1 Struttura e principio di funzionamento

Il transistor migliore dal punto di vista del dominio dello stato di conduci-
bilità elettrica è il MOSFET (Metal Oxide Silicon Field Effect Transistor),
utilizzato in molteplici ambiti, dalla tecnologia ultra very low voltage fino
alla futura componentistica per la media tensione. La difficoltà storica ad
arrivare alla tecnologia dei MOSFET si spiega dalla necessità di risoluzione
di drogaggi, ossidi e isolamenti di ordine superiore rispetto ai bipoli a giun-
zione; si tratta, infatti, di dispositivi ideali, che o funzionano idealmente con
omogeneità perfetta delle caratteristiche di drogaggio (e non) e metallizza-
zione, o non funzionano.
Il MOSFET è costituito dal parallelo di milioni di piccoli transistor di di-
mensioni nanometriche, le quali risultano indispensabili per l’attivazione dei
portatori di carica per effetto di gradiente di campo elettrico ortogonale; si

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5 MOSFET

tratta dell’ortogonalità tra campi elettrici di comando e di potenza, neces-


saria affinché il campo non interferisca con la conduzione dei portatori di
carica attivati.
L’attivazione per effetto di campo ("Field Effect Transistor") consente di
beneficiare di tutte le proprietà dei campi elettrostatici, ovvero di non ri-
chiedere dissipazione di potenza; tale idealità si basa sul completo isolamento
galvanico tra il comando (gate) e le terminazioni di potenza (drain e sour-
ce), ottenuto mediante l’utilizzo dell’ossido di silicio (SiO2 ) come dielettrico
isolante che sfrutta le proprietà tecnologiche dei semiconduttori non drogati
("Metal Oxide Silicon").
La struttura del MOSFET è costituita da un substrato di semiconduttore
drogato di tipo P o N, sui cui lati vengono realizzate due regioni fortemente
drogate, dette source e drain, con drogaggio opposto a quello del substrato.
La terminazione di comando invece, il gate, si ottiene da una metallizzazione
estesa su tutta la superficie di source.

Figura 13: Struttura MOSFET a canale n

IL MOSFET, dunque, è un componente normalmente OFF ed enhancement


mode, che necessita di un campo elettrico per attivare le caratteristiche di
conduzione; tale campo si ottiene applicando una tensione vGS , tra le termi-
nazioni gate e source, maggiore della tensione di soglia vth . In questo modo
si ha la formazione di un canale superficiale di spessore molto ridotto tramite
cui si ottiene la continuità elettrica tra le terminazioni di potenza.
I MOSFET possono essere realizzati in due versioni con polarità simmetri-
che, a seconda che si parta da un substrato di tipo p o di tipo n. Il drogaggio
di tipo n risulta vantaggioso per la maggiore velocità degli elettroni rispetto
alle lacune e, essendo la velocità nei semiconduttori fondamentale nei com-
ponenti di potenza, il MOSFET a canale n risulta dominante. In questo
caso, la struttura si costituisce di 3 substrati, ed il canale è quello centrale,
in cortocircuito con il source.

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5 MOSFET

Figura 14: Icona MOSFET a canale n e MOSFET a canale p

5.2 Caratterizzazione nel piano elettrico

Il MOSFET è caratterizzabile nel quadrante di funzionamento da transistor


in cui la tensione vDS > 0 e quindi la corrente entrante nel drain iD è positiva,
mentre le grandezze di comando sono definite dal gradiente di campo elettrico
pilotato da vGS . Tale valore di tensione vGS non deve superare un valore
di tensione massimo, (tipicamente di 20 V ) altrimenti lo strato di SiO2 si
distrugge e il dispositivo è danneggiato in modo permanente.

Figura 15: Caratteristiche generali del MOSFET nel piano v-i

5.2.1 Zona attiva

L’idealità del MOSFET si vede dal fatto che a tensione di pilotaggio VGS
costante, le caratteristiche di conduzione in piena zona attiva sono caratteri-

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5 MOSFET

stiche orizzontali, come si vede in figura 15, il funzionamento, dunque, è da


generatore ideale di corrente, per cui i portatori di carica sono attivati con
densità di carica costante.
Le caratteristiche di pilotaggio, in piena zona attiva, fino alla saturazione,
possono essere definite dalla legge di transconduttanza:

iD = gf s (vGS − vth ) (15)

Il guadagno (gf s ) della costante di amplificazione della grandezza di comando


(vGS - vth ) ha le dimensioni elettriche di una conduttanza (fs: transcondut-
tanza forward a source comune).
Si vede, inoltre, che la corrente di drain iD è giustamente funzione della
tensione gate-source e, per ottenere una corrente significativa, occorre che
vGS superi una certa soglia vth , al di sotto della quale il componente risulta
spento.
I parametri gf s e vth nella realtà fisica non sono costanti, ma sono parametri
dispersi di produzione che dipendono dalla temperatura. Tuttavia, in questa
analisi, possiamo considerarli come costanti in quanto facciamo riferimento
ad un modello a temperatura costante per un singolo componente, che si
dimostra di buona accuratezza.

(a) Caratteristica con ordinata su assi logaritmici (b) Caratteristica in assi lineari

Figura 16: Caratteristiche vGS -iD del MOSFET

Nella figura 16 (a), in scala logaritmica e a VDS costante, si vede la limitazio-


ne della corrente che si manifesta ai valori massimi delle tensioni di pilotaggio
VGS riportate. Inoltre, all’aumentare della corrente, tali caratteristiche di-
ventano rette orizzontali, per cui la tensione di pilotaggio non ha più alcun
effetto e la corrente condotta è data dal rapporto VDS /RON .
Nella caratteristica (b), in assi lineari, si vede come la corrente sia nulla fino
ad una soglia di tensione, successivamente, per basse densità di corrente, iD
sale in modo quadratico e infine, ad alta densità di corrente, ovvero per il

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5 MOSFET

campo di lavoro adoperato dalla conversione, dalle semplificazioni adottate,


il comportamento segue la legge lineare di transconduttanza.

5.2.2 Inviluppi a sinistra

Considerando ancora le caratteristiche generiche sul piano VDS -iD del MO-
SFET, gli inviluppi a sinistra mostrano una convergenza nell’origine mano a
mano che la VDS si riduce a zero, dunque fanno riferimento alla condizione
per cui la tensione non è sufficiente a "portar via" la densità di carica di
attivazione. Si tratta di saturazione a sinistra di tipo perfettamente resisti-
vo, dunque luoghi rettilinei con una certa pendenza che dimostrano che non
c’è nessun contributo di giunzione, ovvero la conducibilità non è influenzata
dai drogaggi di segno opposto, per questo la funzionalità del MOSFET è da
transistor unipolare.

5.2.3 Inviluppi a destra

Gli inviluppi a destra delle caratteristiche si distinguono per due tipologie di


MOSFET :

• componenti utilizzabili fino al breakdown, con diodo Zener in parallelo


al transistor, per cui la caratteristica a destra è una retta verticale;

• componenti non utilizzabili fino al breakdown, per cui l’inviluppo a


destra non è visualizzabile.

5.2.4 Caratteristiche di interdizione e conduzione

La caratterizzazione del comando è fondamentale per il dominio delle traiet-


torie di commutazione ,che avvengono in zona attiva. E’ quindi necessario
analizzare il passaggio dalle leggi di zona attiva alle leggi degli stati estremi.
Interdizione
Per avere una conduzione di corrente nulla (iD = 0), non è sufficiente scende-
re al di sotto della tensione di soglia (VGS < vth ); in particolare è necessario
sottopilotare abbondantemente il componente al di sotto di vth per ottenere
la migliore interdizione per due motivi:

• è necessario attenuare la corrente condotta fino a valori per i quali non


c’è più relazione con il comando;

• la soglia diminuisce all’aumentare della temperatura.

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5 MOSFET

Nel caso del MOSFET enhacement mode l’interdizione è ideale ovvero non
dissipativa, e quindi è sufficiente una tensione VGS nulla per poter stare
adeguatamente al di sotto di qualunque soglia.
Conduzione Per arrivare alla migliore caratteristica di conduzione, dun-
que uscire dalla zona attiva ed entrare nell’inviluppo a sinistra, è necessario
sovrapilotare il componente con una tensione di pilotaggio nettamente supe-
riore della tensione di pilotaggio sufficiente per condurre la stessa corrente
in zona attiva.

iD
(vGS )ON >> vth + (16)
gf s

Se tale disuguaglianza non è soddisfatta si dice che il componente è "dissa-


turato", cioè insufficientemente sovrapilotato.
La migliore caratteristica di conduzione è quella resistiva dell’inviluppo a
sinistra, ed è quindi necessario definire la tensione dello stato di conduzione
per definire quanto deve essere il sovrapilotaggio. Si definisce, dunque, la
resistenza di ON come:

vON
RON = ' cost. (17)
iD
Questa resistenza presenta valori che variano da qualche decina di mΩ ad
alcuni Ω e, nella realtà fisica, non è costante ma funzione della tensione di
breakdown:
RON ∝ (Vbr,DS )2.5−2.7 (18)
in cui l’esponente è tipicamente quadratico per componenti planari e vuol
dire che il prodotto di dimensionamento, a parità di superficie del die, non
cambia. Per i componenti di grande densità di corrente, invece, è disponibile
il concetto trench, con superfici enormemente superiori rispetto alla superficie
fisica del die, per cui si scende al di sotto della dipendenza quadratica con
esponente tipicamente 1.4-1.5.
La suddetta dipendenza della resistenza di on dalla tensione di breakdown
spiega la grande diversificazione in tensione di questi prodotti e, quindi, una
molteplicità significativa di taglie nella scelta.

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5 MOSFET

5.3 Componenti planari e Trench MOSFET

Figura 17: Confronto tra MOSFET a struttura planare e tecnologia trench

Nei MOSFET a struttura planare, il rating di tensione del transistor è fun-


zione del drogaggio e dello spessore del substrato, mentre il rating di corrente
è funzione della larghezza del canale. In tal modo il transistor può sostenere
sia elevate tensioni di interdizione, sia elevate correnti sfruttando al meglio
il silicio.
Nella figura sottostante è possibile notare la SOA di un power MOSFET,
dove sono evidenziati cinque limiti diversi, tra cui oltre a quelli di massima
tensione e massima corrente, sono presenti anche le limitazioni relative alla
massima potenza, all’instabilità termica e alla R(ON ) . In figura sono mostra-
te quattro differenti curve di cui una in continua e altre tre in AC quotate
in diversi tempi.

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5 MOSFET

Figura 18: SOA MOSFET

Negli ultimi anni, è sempre di maggior interesse la tecnologia trench (a su-


perficie ripiegata), la cui architettura permette di ridurre la resistenza di
canale, consentendo di realizzare dispositivi con bassa resistenza RON per
applicazioni a bassa tensione.
I componenti trench, però, presentano capacità parassite fortemente non li-
neari che presentano variazioni con la tensione molto importanti, e perciò
non sono adatti per le commutazioni veloci.
Dunque per funzionamento con frequenze di commutazione più alte le strut-
ture utilizzate sono planari, mentre per frequenze di commutazione più basse
la tecnologia che domina è quella di tipo trench. In conclusione, il MOSFET
planare trova il maggior campo di applicazione nei sistemi BT ( tensione <
100 V) in quanto le cadute di conduzione diventano di ordini di grandez-
za superiori rispetto alle altre tipologie di transistor. I dispositivi trench,
invece, sono specificati per applicazioni che operano fino a circa 300 V.

5.4 Peculiarità del MOSFET

L’idealità relativa all’ortogonalità di attivazione dei portatori di carica è un


meccanismo che in realtà funziona per entrambi i quadranti dissipativi di
funzionamento e, dunque, le caratteristiche saranno simmetricamente ripor-
tate nel terzo quadrante e ciò caratterizza il funzionamento multipolare del
MOSFET, unico transistor intrinsecamente bidirezionale.
Per i primi MOSFET tale caratteristica risultava parassitica a causa di un
transistor bipolare parassitico, intrinseco nella struttura, in parallelo al MO-
SFET impedito alla conduzione mediante una sottile metallizzazione che
cortocircuita la base e l’emettitore rappresentata come una resistenza.

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5 MOSFET

Figura 19: Struttura MOSFET con BJT parassitico

Nel terzo quadrante, perciò, il MOSFET ha un comportamento da diodo


in conduzione, dato dalla giunzione collettore-base del transistor parassita
mentre nel quadrante da transistor il diodo non conduce.
Si cosideri che con il miglioramento delle tecnologie, tale diodo parassita è
diventato intrinseco (body diode), utilizzabile come diodo di potenza.

Figura 20: MOSFET con presenza del BODY DIODE in parallelo

Il MOSFET, dunque, integra in modo differenziato un comportamento da


transistor nel 1° quadrante (caratteristica di conduzione e interdizione) e una
caratteristica di conduzione nel 3°quadrante, e da questo punto di vista è il
duale del tiristore, infatti quest’ultimo è il componente principe dei converti-
tori a corrente impressa perché presenta le caratteristiche di interdizione nel
1°-3° quadrante, e dunque dualmente il MOSFET risulta essere il componen-
te fondamentale nelle applicazioni della conversione in alternata a tensione
impressa.
Nella realizzazione di una gamba di inverter sono necessarie due celle con
direzionalità opposta, ma utilizzando un MOSFET si ottiene il transistor di
una cella e il diodo della cella complementare, perciò sfruttando due MO-
SFET si realizza una gamba di inverter completa. Questo esempio è relativo
alla diodeless power conversion che viene utilizzata nei sistemi very low vol-
tage power conversion (v  100 V ). A questi livelli di tensione, inoltre, per
ottenere la massima efficienza si utilizza il MOSFET come Sincronuos Rec-
tifier data la caduta più bassa rispetto a quella dei diodi, riducendo così le
perdite.

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6 TRANSISTOR BIPOLARE

6 Transistor bipolare

6.1 Struttura e principio di funzionamento

Il transistor bipolare (“BJT: bipolar junction transistor”) è stato storicamen-


te il transistor più “celebre” e diffuso e, sebbene oggi sia meno utilizzato
rispetto alla tecnologia unipolare, trova ancora applicazione ai livelli di ten-
sione per cui i MOSFET presentano cadute di tensione, e quindi perdite,
troppo elevate.
Un’importante differenza tra i BJT e i FET, oltre che la contemporanea con-
duzione che coinvolge portatori maggioritari e minoritari, consiste nel fatto
che nei FET la corrente che scorre tra drain e source è controllata dalla ten-
sione sul gate, nei BJT, invece, la corrente che scorre tra due terminali può
essere controllata sia dalla tensione applicata al terzo elettrodo (base) che
dalla corrente che scorre in esso. In pratica, sulla base del BJT non si ha
alcun dielettrico, come invece si ha nel gate dei FET. Ovviamente, poiché
nel gate non può scorrere corrente, la resistenza d’ingresso del FET è molto
elevata; viceversa nel BJT, a causa della presenza di una corrente circolante
sul terminale di base, la resistenza d’ingresso risulta più bassa.
La corrente di base, dunque, risulta dell’ordine delle decine di µA in buona
parte dei dispositivi commerciali ed è tipicamente 100 volte più piccola della
corrente che scorre tra collettore ed emettitore.

Figura 21: Struttura equivalente a due diodi e icona del transistor bipolare
npn.

La figura 21 mostra la struttura semplificata di un BJT, costituito da tre


regioni di semiconduttore: una di tipo n detta di emettitore (E), una più
stretta di tipo p di Base (B) e un’altra di tipo n di Collettore (C), struttura
che identifica il transistor npn. In maniera analoga è possibile realizzare i
transistor pnp, i quali risultano però meno performanti e, perciò, meno dif-
fusi.

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6 TRANSISTOR BIPOLARE

In particolare in un transistor npn si distinguono le regioni di:

• collettore: in cui è presente un moderato eccesso di elettroni (n);

• emettitore: in cui è presente un rilevante eccesso di elettroni (n+ );

• base: interposta tra le altre due, presenta un eccesso di lacune (p).

Figura 22: Transistor bipolare di tipo npn

Ogni regione è connessa ad un terminale metallico, in modo da ottenere tre


elettrodi per la polarizzazione del dispositivo. Vi sono due giunzioni p-n: la
giunzione emettitore-base (EB) e la giunzione collettore-base (CB) e, in base
alle condizioni di polarizzazioni (diretta o inversa) di ciascuna giunzione, si
ottengono diverse modalità di funzionamento del BJT.
Considerando una struttura npn, dunque, se nello strato intermedio p vengo-
no iniettati dei portatori di carica minoritaria (elettroni), è come se, concet-
tualmente, tale strato p diventasse drogato n ottenendo, così, una struttura
triplo strato n, che garantisce continuità elettrica e, con tensione applicata
VCE , il transistor bipolare è in grado di condurre corrente.
La figura 21, inoltre, mostra che la suddetta struttura a due giunzioni può
essere rappresentata con un modello a due diodi, in cui, anche in assenza di
comando, cioè con corrente iB nulla, tra emettitore e collettore ci sono sempre
un diodo polarizzato inversamente in serie ad uno polarizzato direttamente,
quindi non ci può essere conduzione. Il principio del triplo strato produce,
per questo motivo, un componente normalmente spento, ovvero in assenza
di perturbazioni del suo stato, qualunque sia la tensione applicata ai due
terminali di potenza, la corrente risulta concettualmente nulla.

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6 TRANSISTOR BIPOLARE

6.2 Dissimmetrie

Nei BJT, inoltre, lo strato di Collettore risulta più spesso rispetto a quello
di Emettitore (il rapporto di tali spessori può anche essere di ordini di gran-
dezza); ciò rappresenta una dissimmetria fisica nella struttura del transistor
che comporta, naturalmente, una dissimmetria nel comportamento elettrico.
In particolare, lo strato di Collettore è più spesso per poter sostenere tensioni
più elevate, mentre lo strato di Emettittore è più sottile al fine di ridurre le
cadute di tensione in seguito al passaggio di corrente.
Si aggiungono, inoltre, ulteriori dissimmetrie di drogaggio delle due regioni
C-E che implicano la non reversibilità e la unidirezionalità del transistor bi-
polare in quanto la giunzione p-n è in grado di sostenere forti campi elettrici,
e quindi tensioni elevate, mentre la giunzione p − n+ va in breakdown con
pochi Volt applicati.
L’ostacolo alla conduzione di corrente, inoltre, dipende dalla chiusura del
circuito di pilotaggio sul collettore o sull’emettitore; tipicamente si chiu-
de sull’emettitore, cioè lo strato più sottile, per poter ridurre le cadute di
tensione che ostacolano la corrente di base.

6.3 Caratteristica di conducibilità

Il pilotaggio del transistor bipolare, considerando le caratteristiche sul piano


iC − vCE , avviene attraverso l’iniezione della opportuna quantità di carica in
Base necessaria per ottenere una certa corrente di Collettore iC , la grandezza
di comando che modifica la caratteristica di conducibilità è quindi iB .
Le proprietà di conducibilità sono però transitorie in quanto le cariche mi-
noritarie si ricombinano e, quindi, per ottenere le proprietà di conducibilità
a regime è necessario alimentare il dispositivo continuamente con la corrente
di Base.

Figura 23: Caratteristica iC -vCE del transistor bipolare.

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6.3.1 Zona attiva e potenza dissipata nel pilotaggio

In zona attiva, le caratteristiche dei BJT risultano analoghe a quelle dei


MOSFET, con l’unica differenza che il comando è in corrente di base; tali
caratteristiche non presentano, infatti, un andamento perfettamente oriz-
zontale ma hanno una certa pendenza, il comportamento è dunque quello da
generatore di corrente reale piuttosto che ideale. In particolare, la iC risulta
essere una funzione dalla corrente iB , dalla tensione vCE e dalla temperatura
di giunzione Θj .
Risulta a questo punto fondamentale definire il guadagno di corrente statico
hf e (guadagno forward ad emettitore comune) come il rapporto tra la corren-
te di Collettore e quella di Base che identifica quanta corrente di base serve
per condurre la corrente di collettore desiderata e dipende dagli spessori e
dai tempi di ricombinazione.
La corrente di base necessaria per ottenere una certa iC diventa:
iC
iB = (19)
hF E

La potenza di pilotaggio dissipata in tali condizioni è fornita dal prodotto


della caduta di tensione vBE , che rappresenta una sorta di soglia che non va
mai a zero, e la corrente di base utilizzata:

vBE
PBE = iB · vBE = iC · (20)
hF E
La potenza di pilotaggio dissipata risulta trascurabile in zona attiva, nella
quale vBE  vCE , e hF E è tipicamente superiore ad un ordine di grandezza
di > 102 .

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6 TRANSISTOR BIPOLARE

6.3.2 Inviluppo a sinistra e provvedimenti antisaturazione

Figura 24: Zone di saturazione e quasi saturazione.

L’inviluppo a sinistra delle caratteristiche del transistor bipolare in generale


è analogo a quello del MOSFET con identificazione di una RON , come se il
comportamento fosse di tipo unipolare in quanto se è vero che lo strato p
viene “distrutto”, ci sarà una resistenza equivalente alla continuità di estrin-
seco n.
Tuttavia nel mondo della conversione statica non esiste la possibilità di acce-
dere all’inviluppo a sinistra (migliore caratteristica di conduzione) del tran-
sistor bipolare. In queste condizioni, infatti, il guadagno di corrente crol-
la, e quindi per accedere alla caratteristica di minima caduta di tensione
collettore-emettitore potrebbe essere necessario iniettare una corrente di ba-
se superiore a quella di collettore, per cui il concetto di guadagno non esiste
più.
Il crollo del guadagno di corrente è dovuto al fatto che, in saturazione, in
seguito ad un eccesso di iniezione di carica minoritaria (elettroni) nello strato
p, tali portatori minoritari si propagano anche negli strati n, in cui risultano
essere maggioritari e ciò comporta la modificazione di una serie di parametri,
tra cui il guadagno statico di corrente.
Dunque valutare le caratteristiche dell’interruttore in condizioni di ON solo
dal piano iC , −vCE è limitativo, perché vuol dire non considerare la potenza
dissipata nella conduzione della corrente di base; in particolare la potenza
per il pilotaggio in condizioni di piena saturazione è:

PBEON = iBON · vBEON (21)

ed essendo il guadagno di corrente hF E crollato e non essendo valida la con-


dizione di anti-saturazione, si avrà che vCE,ON < vBE,ON , e di conseguenza
si può arrivare alla condizione per cui la potenza richiesta per il pilotaggio

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6 TRANSISTOR BIPOLARE

è superiore alla potenza di conduzione, condizione non accettabile e pro-


blematica soprattutto per il dimensionamento termico e lo sfruttamento del
transistor bipolare.

Il circuito di pilotaggio risulta perciò di potenza intermedia e presenta, quin-


di, un costo non trascurabile, a differenza del pilotaggio del MOSFET che
è a "costo zero" in quanto avviene per effetto di campo. E’ quindi neces-
sario fornire tale potenza al circuito di pilotaggio, in particolare esistono
switch-mode power supply nei quali si usa il principio del flyback (converti-
tori flyback o a recupero) per alimentare in modo galvanicamente isolato il
circuito di pilotaggio. Tali componenti, però, presentano dei costi da tenere
in considerazione.
Risulta quindi possibile risolvere i problemi di saturazione tramite apposite
tecniche antisaturazione per cui deve essere verificata la condizione:

vCEON ≥ vBEON (22)

Uno dei provvedimenti antisaturazione adottabili consiste nel circuito detto


baker clamp (figura 25), struttura costituita da diodi con lo scopo di impedi-
re la polarizzazione diretta della giunzione base-collettore essendo sufficiente
avere contemporaneamente un diodo in serie alla base e un diodo tra pilotag-
gio e collettore. Tale struttura inibisce il potenziale di collettore-emettitore
a scendere sotto quello di base-emettitore.

Figura 25: Baker clamp

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6.3.3 Breakdown

Figura 26: Breakdown del transistor bipolare

Nella figura 26 la caratteristica è divisa in due sottozone:

• per tensioni inferiori a vCE,0 (tensione di breakdown collettore-emettitore


con corrente di base iB nulla) si hanno delle caratteristiche che asso-
migliano a quelle di un transistor dominabile;

• per tensioni maggiori di vCE,0 e fino a vCB,0 (tensione di breakdown


collettore-base con corrente di emettitore iE nulla) il dominio è molto
labile.

Nel funzionamento del transistor bipolare è possibile distinguere tra:

• breakdown primario: fisiologico della fisica dello stato solido, in cui si


distingue una tensione caratteristica vCE,0 raggiunta dalle caratteristi-
che con iB > 0 ma in particolare identificata da iB = 0;

• breakdown secondario: correlato con la disomogeneità, in particolare


essendo il transistor bipolare un dispositivo non omogeneo che viene pi-
lotato al centro con un’iniezione di corrente di base, anche il breakdown
non avverrà in modo omogeneo.

Il problema è rappresentato dal fatto che per tensioni maggiori di vCE,0 e


fino a vCB,0 , la corrente di leakage che arriva dal collettore e si dirige in base,
diventa un’iniezione di carica minoritaria e subisce il massimo guadagno di

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6 TRANSISTOR BIPOLARE

piena zona attiva alla massima tensione, causando la divergenza della cor-
rente e la conseguente perdita di controllo.
Dato che si perde il dominio della corrente, il passaggio dal breakdown pri-
mario a quello secondario è un passaggio per cui il transistor bipolare passa
da essere enhacement mode (breakdown primario) poichè ha bisogno di una
corrente iB per condurre la corrente iC , ad essere depletion mode, ovvero un
componente che necessita di una sottrazione di iB , quindi di tensioni nega-
tive vBE .

6.4 SOA e commutazioni

Per limitare o impedire il breakdown secondario si definisce la SOA entro la


quale deve rimanere il punto di lavoro per evitare la rottura del transistor.
Il transistor bipolare, nelle realizzazioni competitive, veniva molto pena-
lizzato rispetto agli altri transistor in quanto il semiconduttore risultava
sottosfruttato; esistevano infatti applicazioni ben distinte tra quelle che si
limitavano ad utilizzare il transistor bipolare all’interno della SOA descritta
in breakdown primario (percorribili in modo indipendente dal tempo) e altre
applicazioni che sfruttavano il transistor bipolare oltre il breakdown primario
(oltre vCE,0 ) per arrivare fino alla vCB,0 .
Per i transistor da commutazione, le SOA si differenziano in funzione del
tempo di percorrenza delle traiettorie di commutazione. Esistono anche
SOA che sono definite per una vCE,x per un certo tempo, specializzate o
per la commutazione di apertura o per quella di chiusura ricordando che la
commutazione che richiede maggior margine di tensione è quella del turn-off,
poiché è quella che maggiormente porta il transistor bipolare nel mondo del
breakdown secondario.

Figura 27: Tipica SOA di un transistor bipolare

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7 STRUTTURE MULTISTADIO

E’ opportuno quindi definire per i transistor bipolari la FBSOA (Forward


Biased SOA), per cui è utilizzabile una SOA rettangolare, e la RBSOA (Re-
verse Biased SOA), ricordando che è necessario un circuito di pilotaggio op-
portuno con disponibilità di assorbire corrente e mantenere successivamente
anche il dispositivo spento.
Si utilizzano RBSOA differenziate in funzione della corrente di picco utiliz-
zata per comandare l’apertura, oltre che dai vincoli sulle condizioni iniziali
di conduzione. L’area della RBSOA, inoltre, diminuisce all’aumentare della
corrente di picco di comando iof f,pk in quanto le regioni più distanti dalla
metallizzazione di base vengono interdette con un certo ritardo dato dalle
costanti di tempo proprie del semiconduttore. Nella pratica i valori otti-
mali di iof f,pk sono prossimi a quelli necessari in conduzione e la RBSOA
può condizionare le applicazioni a commutazione forzata, più della FBSOA,
nonostante si abbia il beneficio della tensione massima superiore (vCB,0 )
rispetto alla FBSOA.

Figura 28: RBSOA al variare della iof f,pk

Emerge in questo modo uno dei principali problemi di questo tipo di di-
spositivi, ovvero quello per cui il comportamento bipolare inibisce la con-
temporaneità della massima tensione e corrente per evitare condizioni di
inaffidabilità.

7 Strutture Multistadio

I transistor bipolari così come i MOSFET costituiscono gli elementi di par-


tenza per la realizzazione di soluzioni che combinano le caratteristiche di
entrambe le tipologie di transistor (bipolare, cioè a guadagno di corrente, e
unipolare, cioè ad attivazione di campo elettrico).

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7 STRUTTURE MULTISTADIO

I transistor necessitano la limitazione della potenza necessaria per il pilo-


taggio, la quale ha portato all’affermazione di strutture composte multistadio
in grado di compensare la riduzione del guadagno di corrente dei bipolari
tramite cascata in moltiplicazione.
Tali strutture sono:

• Darlington: composti da due transistor in cascata;

• Trirlington: composti da tre transistor in cascata.

7.1 Darlington

Questo tipo di struttura esegue la moltiplicazione per due del guadagno di


corrente riducendo, così, la necessità di corrente di pilotaggio; questa strut-
tura è composta, come mostrato in figura 29, da due transistor, un driver e
uno di potenza, e un diodo. Il transistor driver presenta la base disponibile
per la grandezza di controllo (base della struttura), il suo collettore è col-
legato a quello del transistor di potenza (collettore della struttura) mentre
l’emettitore del driver è connesso alla base dello stadio di potenza (emet-
titore di tutta la configurazione). Il diodo viene aggiunto in antiparallelo
per avere accesso effettivo alla base del transistor di potenza e quindi al suo
pilotaggio.
Con l’arrivo della tecnologia MOSFET, il Darlington è entrato in disuso in
quanto la sua caratteristica di conduzione è analoga a quella di un diodo
(soglia più termine proporzionale) e, dunque, risulta perdente rispetto al
MOSFET per lo meno al di sotto di una certa soglia di tensione.

Figura 29: Simbolo e circuito equivalente Darlington

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7 STRUTTURE MULTISTADIO

7.2 Trirlington

In questa tipologia di struttura il guadagno di corrente è il prodotto dei


guadagni dei tre stadi e si avranno un transistor di potenza, un driver e un
pre-driver con collettore in comune (figura 30).

Figura 30: Simbolo e circuito equivalente Trirlington

In zona attiva i transistor bipolari presentano un guadagno di corrente del-


l’ordine di grandezza del centinaio, dunque il guadagno complessivo in zona
attiva per un Trirlington diventa 106 , che è molto impegnativo e conferisce
a questa struttura un comportamento effettivamente non dominabile.
Per ridurre l’ eccessivo guadagno in zona attiva vengono inserite delle resi-
stenze tra base ed emettitore.
Inoltre considerando la condizione di saturazione, il prodotto dei guadagni di
corrente è dell’ordine delle decine (variazione di 4-5 ordini di grandezza), e nel
tempo ciò può diventare una discontinuità e, dunque, rappresenta un’altra
difficoltà al dominio del comportamento dinamico di questa struttura.

7.3 FBSOA e RBSOA

Per un pieno sfruttamento del componente si specificano le SOA per le singole


commutazioni, distinte in Forward Biased SOA (FBSOA) per la commuta-
zione di chiusura, e Reverse Biased SOA (RBSOA) per la commutazione di
apertura. Si noti che queste caratterizzazioni vengono sempre associate alle
condizioni di servizio al contorno, cioè temperatura iniziale (temperatura del
contenitore del componente) e per SOA limite non ripetitiva.
Per limitare o impedire il breakdown secondario si specificano i valori entro
i quali deve mantenersi il punto di lavoro (corrente di collettore, e tensione
collettore - emettitore) per evitare il guasto del transistor, dunque la FBSOA
cambia in funzione dei tempi di percorrenza delle traiettorie di commutazio-
ne di chiusura, arrivando anche a definire SOA statiche, cioè continuità del

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7 STRUTTURE MULTISTADIO

punto di lavoro. Per i tempi più brevi (50µs) si ottiene una SOA quasi ret-
tangolare, ma che comunque non permette la contemporaneità dei massimi
valori di corrente e tensione, area che si riduce per tempi di percorrenza mag-
giori “tagliando” sempre di più l’angolo che includerebbe la contemporaneità
dei valori massimi, fino ad arrivare alla definizione della SOA statica.
Per la commutazione di apertura, invece, vengono distinti il luogo limite delle
traiettorie di commutazione a piena corrente e a piena tensione, mostrando
quindi l’inibizione della contemporaneità della massima tensione e della mas-
sima corrente. Per la RBSOA è necessario considerare una correlazione con
la corrente massima negativa di forzamento della commutazione di apertura,
in modo che più si forza la commutazione di apertura (quindi più prestazione
dinamica si vuole ottenere) e più si riduce la SOA.
Tale riduzione è motivata dalle disomogeneità, che in condizione dinamiche
di tensione e corrente possono produrre una focalizzazione della corrente in
un punto del die (hotspotting), e perciò, a prestazioni dinamiche maggiori,
corrispondono possibilità più elevate di distruzione.

Figura 31: FBSOA di un Darlington da 1200V Semikron

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7 STRUTTURE MULTISTADIO

Figura 32: RBSOA di un Darlington da 1000V Semikron

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8 IGBT

8 IGBT

La tecnologia dei BJT è entrata in disuso con l’arrivo degli IGBT (Insulated
Gate Bipolar Transistor), caratterizzati dall’isolamento della terminazione
di Gate, dunque, comando in tensione.

8.1 IGBT a partire dal MOSFET a canale N

La realizzazione dell’IGBT, nella sua composizione funzionale, parte da un


substrato npn, con Base ed Emettitore, quindi giunzione n-p in basso, corto-
circuitati da una metallizzazione del Source; il Gate, isolato, è una metalliz-
zazione che non presenta continuità elettrica con la giunzione ma l’attivazione
dei portatori di carica per la continuità elettrica è ad effetto di campo e si
ottiene applicando una differenza di potenziale tra il Gate e il Source del
MOSFET di partenza.
In questo substrato, l’ulteriore strato n viene distinto in due sottostrati con
differente densità di drogaggio, essendo il sottostrato n+ quello di uscita del
Drain, e il sottostrato n− quello più prossimo allo strato p.
Come spiegato nel capitolo sull’industrializzazione dei semiconduttori, le mo-
tivazioni di questa differenza di drogaggio sono principalmente legate ai vo-
lumi in eccesso che potrebbero aumentare le cadute di tensione e, per questo,
vengono superdrogati per migliorarne la conducibilità elettrica e la presta-
zione termo-meccanica.

La struttura dell’IGBT è, dunque, costituita da 4 strati in quanto lo strato


n+ viene sostituito da uno a drogaggio p+ , realizzando, in questo modo, un’
ulteriore giunzione p-n.

Figura 33: Struttura concettuale dell’ IGBT a partire da un MOSFET canale


n

Si ottiene, dunque, una struttura a due transistor bipolari pnp e npn, in


cui l’ultima giunzione p-n cortocircuitata elimina la funzionalità del secondo
transistor; il "vero" transistor di potenza è dunque il pnp che è a base aperta

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8 IGBT

ed è pilotato dal Drain del MOSFET, pilotaggio ottenuto per diffusione ad


effetto di campo.

Figura 34: Schema IGBT derivato da MOSFET a canale n

Il pilotaggio della conduzione del transistor pnp, infatti, è possibile perché si


tratta di un transistor bipolare “a base diffusa”, pilotata ad effetto di campo
di correnti di MOSFET che sono perfettamente diffuse.
Dunque il transistor a base diffusa presenta un guadagno di corrente basso
rispetto ad un tipico transistor bipolare (dell’ordine di grandezza di alcune
unità fino alle decine), e ciò non rappresenta un problema in quanto il pi-
lotaggio è realizzato dal MOSFET e l’obbiettivo non è avere un guadagno
di corrente elevato. Il problema sarà, invece, legato al dominio dinamico,
ovvero il guadagno in saturazione, cioè gli inviluppi a sinistra.

8.2 Conduzione in zona attiva

Ai fini di mettere in luce le caratteristiche di conduzione dell’IGBT nel piano


tensione - corrente, la rappresentazione più idonea è data dalla composizione
delle leggi del MOSFET e del BJT.
Considerando la caduta di conduzione vCE come:

vCE = (vEB )P N P + (vDS )M OS = (vEB )P N P + (RON )M OS · iD (23)

La corrente totale di Collettore dell’ IGBT è:

iC = (iE )P N P = (iB )P N P + (iC )P N P (24)


e dato che la corrente di Base coincide con quella di Drain del MOSFET
(iB )P N P = (iD )M OS :

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8 IGBT

iC = (iD )M OS + (iC )P N P (25)

e definito il guadagno bipolare di corrente (hF E )P N P :

iC = (iD )M OS · [1 + (hf e )P N P ] (26)


per cui:
iC
(iD )M OS = (27)
[1 + (hf e )P N P ]

Quindi sostituendo iD nell’ espressione di vCE :

iC
(vCE )ON = (vEB )P N P + (RON )M OS · (28)
[1 + (hf e )P N P ]

Questa ultima espressione mette in evidenza di quanto viene ridotta la cadu-


ta di tensione iniziale del MOSFET in relazione alla riduzione della resistenza
di on con [1 + il guadagno di corrente].
Tale resistenza viene ridotta al massimo di un ordine di grandezza dati i
valori bassi di guadagno di corrente del transistor pnp; inoltre, aumentare
di troppo hF E diventerebbe un problema dinamico in zona attiva in quanto
condizione necessaria (ma non sufficiente) per il dominio della dinamica è
che il guadagno di corrente non cambi tra la saturazione e la zona attiva.

8.2.1 Comparazione della caratteristica di conduzione con un MO-


SFET

A questo punto si possono confrontare le cadute di conduzione dell’ IGBT


con quelle di un MOSFET in funzione della densità di corrente, definita una
temperatura di giunzione, a parità di superficie del die. È da notare che il
confronto in figura 35 continua ad essere valido anche cambiando la tensione
nominale di SOA e la densità di corrente effettivamente utilizzabile.

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8 IGBT

Figura 35: Confronto cadute di conduzione in funzione della densità di


corrente

Emerge che, anche con un guadagno di corrente limitato, ad elevate densità


di corrente, cioè quelle che interessano la conversione, l’IGBT è nettamente
favorito; c’è, infatti, una drastica riduzione della caduta di tensione alle piene
correnti e, dunque, una significativa riduzione delle perdite per conduzione.
Come si può prevedere, a tale miglioramento corrispondono peggiori caratte-
ristiche dinamiche, soprattutto per gli aspetti energetici della commutazione
di apertura (tail di corrente) ma la riduzione delle perdite per conduzione
ottenibile giustifica gli ulteriori sforzi per superare tali problematiche dina-
miche e tecnologiche dell’ IGBT.

Anche al variare del drogaggio si possono ottenere famiglie di IGBT con


diverse prestazioni a seconda di:

Drogaggio ↑ −→ hf e ↑ vCE ↓ Problemi dinamici ↑

8.2.2 Zona attiva, similitudine con il MOSFET

Dato che la legge a transconduttanza è applicabile anche all’IGBT, le carat-


teristiche in zona attiva si possono confondere con quelle di un MOSFET.
Il transistor interno pnp presenta un guadagno di corrente praticamente co-
stante al variare della tensione sui terminali di potenza vCE per cui, per vGE
costante, l’IGBT in zona attiva si comporta come un generatore ideale di
corrente, così come il MOSFET.
Considerando, perciò, lo schema equivalente dell’IGBT, per cui:

vGE = (vGS )M OS (29)


e
(iB )P N P = (iD )M OS (30)

si ottiene la legge complessiva di comando dell’IGBT :

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8 IGBT

iC = gf e · (vGE − vth ) (31)

dove gf e rappresenta la transconduttanza G-E dell’IGBT che dipende dai


guadagni del MOSFET e del BJT che lo costituiscono.
Uguagliando le due equazioni 26 e 31, si ottiene:

gf e = [1 + (hf e )P N P ](gf s )M OS (32)

Perciò la caratterizzazione dell’IGBT in zona attiva con legge di transcon-


duttanza definisce delle caratteristiche quasi sovrapponibili a quelle di un
MOSFET, a meno della soglia di conduzione dovuta al transistor bipolare
interno.

Figura 36: Caratteristica in zona attiva dell’ IGBT

8.3 Breakdown

Considerando l’IGBT come struttura combinata, i limiti in tensione sono


fissati dal componente con minore tensione limite.
Il transistor pnp interno è a base aperta, perciò la giunzione EB ammette
polarizzazione inversa e lo spegnimento avviene, quindi, in modo naturale
annullando la corrente di Drain del MOSFET.
Non è perciò possibile sfruttare il componente ad emettitore aperto, e, dun-
que, fino alla sua tensione vBC0 , cioè usare il breakdown secondario.
Tuttavia è possibile ottenere buone caratteristiche di breakdown secondario
tramite l’uso di tecniche che modificano le proprietà del semiconduttore, me-
diante la realizzazione di un reticolo cristallino omogeneo, che permette una
ricombinazione veloce e in modo diffuso dei portatori di carica minoritari
nella giunzione EB del pnp. Tale effetto si rappresenta (a parametri concen-
trati) con la resistenza in parallelo alla giunzione EB.
In questo caso, le caratteristiche complessive del breakdown dell’ IGBT risul-
tano simili a quelle di un BJT opportunamente forzato all’apertura e , quindi,

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8 IGBT

si associa al turn-off la RBSOA, tipicamente rettangolare per componenti di


bassa tensione.

Figura 37: RBSOA di modulo IGBT Hitachi 6500V

8.4 Apertura e "tail" di corrente

Consideriamo l’atomo della commutazione forzata costituito da un interrut-


tore comandabile (IGBT in questo caso) e un diodo per la compatibilità; in
una tipica commutazione di apertura di un IGBT, costituita da una grande
quantità di transitori, si identificano principalmente tre stadi:

• Transizione di tensione:la derivata della tensione vCE parte da un


valore basso per poi tendere ad un valore quasi costante. Contempora-
neamente la corrente condotta iC non è perfettamente orizzontale ma
presenta una modesta riduzione rispetto al suo valore iniziale all’au-
mentare della tensione a causa dei parassitismi capacitivi che aiutano
la commutazione di turn-off e per cui c’è una conduzione di corrente
in funzione della derivata della tensione. Il diodo non conduce fino a
che questa transizione non è completa;
• Transizione di corrente: risulta più veloce rispetto alla transizione
di tensione e la corrente diminuisce con una forte pendenza (derivata
negativa quasi costante). Durante questo transitorio la maggior parte
della conduzione di corrente passa al diodo, cioè la corrente ic non
riesce ad annullarsi; si manifesta, inoltre, una sovratensione ai capi
dell’interruttore, dovuta in parte ai fenomeni reattivi dell’induttanza
della maglia di commutazione, e in parte ai fenomeni dinamici nei
componenti attivi (forward recovery del diodo)

NB:
In tutto il transitorio di commutazione la priorità è la marginatura per evita-
re il guasto per picchi di sovratensione. E’ necessario, quindi, considerare il

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8 IGBT

worst case design, cioè la condizione di massima tensione e massima corrente


commutate (massima sovratensione).

• Coda di conduzione ("tail"): questa parte del transitorio di com-


mutazione si manifesta esclusivamente negli IGBT in quanto l’apertura
non è comandabile in modo forzato in tutto il componente, ma l’aper-
tura del transistor pnp a base aperta avviene in modo naturale secondo
la costante di tempo della sua giunzione B-E, la quale è funzione della
resistenza in parallelo a tale giunzione e della capacità della giunzione
stessa.

Figura 38: Transitorio complessivo della commutazione di apertura su IGBT

Parametri del tail:

• Itail : ampiezza della corrente iniziale del fenomeno di tail, dipende


dalla corrente commutata (IL );

• htail : è il guadagno relativo di corrente tra la corrente commutata e la


Itail e viene considerato costante, approssimazione valida soprattutto
nel caso di tensione costante;
IL
htail = (33)
Itail

• ∆ttail : tempo necessario all’ estinzione della Itail , normalmente si con-


sidera come il tempo per arrivare al 10% della Itail dato l’andamento
esponenziale della coda di conduzione. È un parametro caratteristi-
co del componente, funzione della temperatura e indipendente della
corrente commutata.

Energia dissipata nella commutazione


L’energia dissipata durante la commutazione è l’integrale nell’intervallo di
commutazione del prodotto della tensione ai terminali dell’interruttore per la
corrente condotta, quindi può essere distina nell’energia dissipata in ciascuno

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9 DIODI DI POTENZA

dei transitori descritti precedentemente, tra cui quello di maggior influenza


è la coda di corrente, per cui:

Z ∆ttail
1 1 ∆ttail
Etail = Vc itail dt ∼
= Vc Itail ∆ttail = Vc IL (34)
2 2 htail

Dall’equazione precedente, in particolare dal fattore 12 , si nota che il risul-


tato dell’integrale è stato approssimato come se l’andamento del tail fosse a
rampa. In realtà questo fattore di proporzionalità risulta una funzione rela-
tivamente complessa e tali caratteristiche vengono fornite dai produttori per
i valori considerati significativi per le possibili applicazioni del componente.

9 Diodi di potenza

Il diodo di potenza è costituito da una giunzione che si forma tra una regione
fortemente drogata p+ e una debolmente drogata n− , in contatto con uno
strato n+ fortemente drogato.

Figura 39: Struttura diodo di potenza

9.1 Caratteristiche di conduzione

Considerando un generico diodo al silicio, la caratteristica di conduzione (o


polarizzazione diretta, "forward") viene posizionata convenzionalmente nel
primo quadrante e rappresenta la caduta di tensione anodo-catodo ai termi-
nali del diodo in funzione della corrente entrante nell’anodo, funzione a sua
volta della temperatura di giunzione.
Nella figura sottostante è rappresentato il confronto tra il modello esponen-
ziale e quello lineare, entrambi adottabili per la descrizione della caratteri-
stica di conduzione:

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9 DIODI DI POTENZA

Figura 40: Modellistiche adottabili per la caratteristica di conduzione del


diodo

Come già detto, considerare il modello della caratteristica di conduzione del


diodo come uno stroncamento della serie di Taylor al primo ordine permette
di lavorare nel mondo della conversione con una buona classe di accuratezza,
per cui:

vAK (iA , θj ) ∼
= V0 (θj ) + RON (θj )iA (35)

dove, al variare della temperatura, nei diodi al silicio, il valore della tensione
di soglia V0 varia tra 0.7-1.3 V.

9.2 Caratteristica d’interdizione

La caratteristica d’interdizione (polarizzazione inversa) viene posizionata


convenzionalmente nel terzo quadrante e prevede la circolazione di correnti
di "leakage" (disperse), da sei a dieci ordini di grandezza inferiori rispetto
alla corrente forward.

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9 DIODI DI POTENZA

Figura 41: Caratteristica statica del diodo

La potenza dissipata in interdizione nelle condizioni termiche peggiori (Θj =


Θj,max ) e alla massima tensione di lavoro, che tipicamente è inferiore rispet-
to alla tensione di breakdown, risulta comunque trascurabile rispetto alla
massima potenza dissipabile in condizioni nominali.

9.3 Classificazione dei diodi

A partire dalla più semplice esecuzione con giunzione di due regioni estrin-
seche opposte drogate p e n, sono state sviluppate altre tipologie di diodo in
funzione delle prestazioni dinamiche e della massima tensione di breakdown.

9.3.1 Diodo Zener

Figura 42: Icona diodo Zener

Particolare rilievo assume il diodo Zener che se polarizzato direttamente si


comporta come un normale diodo, ma in polarizzazione inversa, presenta una
soglia di conduzione VZ , particolarmente stabile, sotto la quale si comporta
come isolante, ma, superata tale soglia, lo Zener è in grado di condurre con
caratteristica tensione-corrente pressoché verticale.
Il valore di tensione VZ dipende dalla resistività del materiale delle due zone
p-n per cui, regolando opportunamente i drogaggi, è possibile realizzare diodi
Zener con VZ compresa tra qualche Volt e il centinaio di Volt. La tensione

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9 DIODI DI POTENZA

di Zener, inoltre, dipende dalla temperatura di lavoro, e ciò viene descritto


dal coefficiente termico α = dV
dΘj , e in particolare:
Z

• se VZ < 5V → α < 0 e si verifica un breakdown di tipo Zener, per


cui il drogaggio molto intenso comporta un campo elettrico elevato che
è in grado di rompere numerosi legami e di determinare una corrente
considerevole anche con basse tensioni applicate e l’aumento della tem-
peratura facilita la rottura dei legami e di conseguenza VZ diminuisce
al crescere della temperatura;

• se VZ > 6V → α > 0 e si verifica un breakdown con effetto valan-


ga, per cui la tensione esterna applicata accelera i portatori di carica
provocando collisioni con gli atomi circostanti e di conseguenza una
moltiplicazione a valanga dei portatori;

• se 5 < VZ < 6 α può essere positivo o negativo.

9.3.2 Diodi pin

Figura 43: Struttura elementare diodo pin

Il diodo pin è un dispositivo elettronico costituito da una struttura a tre strati


nella quale, tra le regioni estrinseche n+ e p+ , viene interposto uno strato di
semiconduttore intrinseco molto spesso, la quale naturalmente aumenta le
caratteristiche resistive di conduzione. In linea di principio, infatti, la regione
intrinseca, essendo poco drogata, dovrebbe opporre una forte resistenza al
passaggio di corrente, ma le regioni estrinseche iniettano i rispettivi portatori
di carica in questa zona e riducono così di molto la resistenza della regione
intrinseca. Il passaggio all’interdizione, inoltre, è "morbido", in quanto tale
regione intrinseca si riporta ad una condizione di elevata resistività in modo
graduale, in quanto la commutazione non avviene nello stesso istante in tutto
il semiconduttore. Il diodo pin è in grado di sopportare tensioni inverse
significative (> 50 V) e di condurre elevate correnti forward (> 1 A).

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9 DIODI DI POTENZA

9.3.3 Diodi snappy

I diodi snappy sono quei diodi senza lo strato di intrinseco, dinamicamente


più veloci nel ricombinare i portatori di carica e finché questi non si so-
no ricombinati completamente, il diodo non è in grado di sostenere tensio-
ni. Sono chiamati "snappy" perché sono dispositivi che commutano molto
rapidamente (fin troppo) dallo stato di conduzione a quello di interdizione.

9.3.4 Diodi Schottky

Figura 44: Icona e caratteristica di un diodo Schoktty

Questo tipo di diodi presenta una giunzione diretta tra uno strato semicon-
duttore ed uno metallico.
I diodi Schottky sono progettati per sostenere tensioni non superiori a 100 V
e la loro caratteristica di conduzione è molto più graduale rispetto a quella
dei diodi tradizionali in quanto presentano una soglia di conduzione inferiore
((V0 )Schottky = 0.2−0.5V ). Hanno, inoltre, un comportamento maggiormen-
te resistivo e , in interdizione, la corrente di leakage è una funzione meno
repentina della tensione inversa rispetto ai classici diodi a giunzione.

I principali vantaggi dei diodi Schottky sono le minori perdite di conduzione


e il comportamento dinamico più veloce rispetto agli atri diodi a giunzione.
I vantaggi di una giunzione metallo-semiconduttore rispetto ad una giun-
zione p-n sono dovuti essenzialmente al fatto che i portatori interessati alla
conduzione sono quasi esclusivamente quelli maggioritari, il che fa sì che non
vi siano cariche minoritarie accumulate durante la polarizzazione inversa.
Non esiste quindi, come per le giunzioni p-n, il problema dei tempi di svuo-
tamento della regione di carica spaziale da parte delle cariche minoritarie,
operazione relativamente lenta e perciò le problematiche di attivazione e spe-
gnimento diventano di ordini di grandezza inferiori (minori dei ns) rispetto
agli altri diodi. Tuttavia la massima tensione inversa di breakdown è minore,

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9 DIODI DI POTENZA

infatti i limiti massimi dei dispositivi commerciali non superano 200 V, ed


inoltre le perdite di commutazione sono decisamente superiori rispetto agli
altri dispositivi.
Nella seguente tabella è fornita un’indicazione dei valori "tipici" che possono
assumere i parametri chiave (tensione inversa, tensione forward, tempo di
reverse recovery) dei diversi tipi di diodi, descrittiva delle loro prestazioni
dinamiche:

Figura 45: Parametri caratteristici dei diversi tipi di diodi

9.4 Fenomeni dinamici dei diodi e legge integrale carica spaziale-


corrente

Nell’analisi delle commutazioni è necessario considerare il fatto che nelle


giunzioni dei diodi avvengono dei fenomeni dinamici che impediscono di ese-
guire commutazioni istantanee, fenomeni che sono legati al tempo di ricom-
binazione delle cariche nel reticolo cristallino.
Per quanto riguarda la caratteristica statica, infatti, risulta fondamentale il
segno delle grandezze elettriche, mentre, in dinamica, è necessario trattare le
caratteristiche considerando lo stato della carica spaziale ("carica libera").
La densità dei portatori di carica minoritari è una funzione integrale del-
la corrente stessa, in particolare tra carica spaziale e corrente a regime c’è
una relazione di proporzionalità, valida solo per il tempo in cui il diodo è in
conduzione, e la costante di proporzionalità che lega queste due grandezze
dipende dalla velocità di ricombinazione dei portatori di carica.

9.4.1 Forward recovery

Il forward recovery è il ritardo con il quale le caratteristiche forward del diodo


possono essere effettivamente stabilite a partire da una conduzione nulla di
corrente o da una polarizzazione inversa.

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9 DIODI DI POTENZA

Figura 46: Forward recovery

Come è mostrato in figura, il risultato è che la caduta di conduzione non


è immediatamente quella di regime; il tratto iniziale di salita della curva
è dominato dalle capacità parassite nel semiconduttore e si arriva poi alla
tensione di picco detta forward recovery peak voltage che successivamente
decade in modo esponenziale.
Questo comportamento è la rappresentazione grafica di uno stato di carica
spaziale che sta aumentando nel tempo a partire dalla condizione v(0)=0 ai
capi del diodo.
Nell’origine, infatti, non ci sono portatori di carica liberi, e quando essi inizia-
no ad attivarsi avviene una diffusione dei portatori maggioritari che, nell’al-
tro estrinseco, diventano minoritari. I due estrinseci, dunque, si scambiano
portatori di carica e, alla fine del processo, i due semiconduttori risultano
drogati in modo opposto, e dunque è come se concettualmente non ci fosse
più la giunzione.

I processo di forward recovery è, perciò, la manifestazione di un parametro


non dinamico, ovvero di una resistenza variabile per cui il diodo non entra
in conduzione immediatamente ma segue un transitorio di riduzione della
resistenza.

9.4.2 Reverse recovery

Considerando concettualmente l’atomo della commutazione forzata, il feno-


meno dinamico del reverse recovery avviene durante il passaggio del diodo
dallo stato di ON a quello di OFF e il conseguente passaggio in conduzione
dell’interruttore comandato.
In particolare, quando il diodo è in conduzione, avendo portatori di carica
minoritari, non è propenso a spegnersi e continua a valere la relazione inte-
grale carica spaziale-corrente.
Nel mondo energetico i forzamenti delle grandezze sono eseguiti a rampa,
cioè a derivata impressa, quindi consideriamo che anche nel fenomeno del

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9 DIODI DI POTENZA

reverse recovery il forzamento della corrente sia di questo tipo. Dalla re-
lazione integrale carica spaziale-corrente, inoltre, è possibile dedurre che la
funzione di trasferimento è definibile, per il modello semplificato utilizzato,
come un polo e, essendo il forzamento della corrente a rampa, il risultato è
che la risposta al polo di una rampa è la stessa rampa in ritardo della costan-
te di tempo del polo. La corrente e la carica spaziale, quindi, scenderanno
anch’esse a rampa con un ritardo però della carica spaziale.

Figura 47: Andamento della carica spaziale forward in seguito ad un


forzamento di corrente a rampa

La prima fase della caratteristica è relativa allo stimolo che non è stato annul-
lato in modo istantaneo e rappresenta la transizione di corrente di durata
τt .
Il problema principale è legato alla corrente inversa IRR , fenomeno domi-
nante sul sovradimensionamento dell’interruttore comandato. In particola-
re, quando la corrente condotta diventa negativa, la carica spaziale forward
rimane positiva ancora per qualche istante, e quando questa si annulla il
diodo commuta, ma essendo comunque passata un po’ di corrente negativa il
punto di lavoro si troverà nel 3° quadrante e la commutazione risultante sarà
brutale; si tratta della fase di storage, che si conclude quando lo svuotamento
dei portatori di carica minoritari è terminato.
La fase successiva è la transizione di tensione, che è quella che permette di
distinguere le diverse tipologie di diodi ed è caratterizzata da valori di cor-
rente e tensione minori rispetto alla fase di storage. L’apertura di un diodo
snappy risulta brutalmente veloce e può produrre in questa fase delle derivate
elevatissime dell’ordine dei kVµs e ,di conseguenza, problemi di compatibilità
elettromagnetica.

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10 AFFIDABILITÀ DEGLI INTERRUTTORI PER APPLICAZIONI
VSI

Figura 48: Comparazione dei tempi di commutazione di un diodo snappy e


di un soft-recovery

Tale problematica è stata risolta utilizzando dei diodi sof t − recovery che,
seppure maggiormente dissipativi, non presentano discontinuità brutali. In
particolare, questa tipologia di diodi permette la transizione di tensione pri-
ma che venga esaurita la disponibilità dei portatori di carica e, perciò , il
diodo prende tensione continuando a condurre. Un parametro fondamentale
di questi diodi "lenti" è la softness (S), che normalmente è superiore a 0.5 e
inferiore all’unità.

|( didtk )|tr,M AX
S= (36)
|( didtF )|sg,M AX

10 Affidabilità degli interruttori per applicazioni


VSI

Per quanto riguarda la commutazione di turn-off, il worst case design è relati-


vo all’apertura della sovracorrente di guasto di cortocircuito, che rappresenta
il principale criticismo nei convertitori a tensione impressa.
Il cortocircuito, infatti, deve essere considerato come una condizione di la-
voro certamente non ripetitiva in quanto, nei VSI, le derivate di corrente
sarebbero limitate esclusivamente dall’impedenza di cortocircuito e si perde-
rebbe, dunque, il dominio della corrente, tenendo in considerazione anche gli
inevitabili ritardi di attuazione della protezione dal circuito di regolazione .
Una soluzione per limitare la derivata di corrente di guasto potrebbe essere
l’inserzione di induttanze in serie ad ogni collegamento del convertitore verso
il mondo esterno, impostazione che però penalizzerebbe in modo inaccetta-
bile il costo e il peso del convertitore.
Il provvedimento utilizzato nella pratica, invece, si basa su specifiche dedica-
te sintetizzate in particolari aree di lavoro, ovvero le SCSOA, ovvero short
circuit safe operating area (o anche OLSOA, cioè over load safe operating
area).
Il costruttore estende la caratterizzazione del semiconduttore per eventi di
guasto, per cui garantisce un’area di lavoro in cui il componente risulta pro-
tetto contro il singolo evento di guasto; la riapertura in seguito all’evento

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10 AFFIDABILITÀ DEGLI INTERRUTTORI PER APPLICAZIONI
VSI

deve quindi essere definitiva, l’ultima (the last turn-off ) e il componente po-
trà andare una sola volta al di sopra dei limiti della SCSOA.
Si tratta, dunque, di una tradizionale SOA aumentata in termini di corren-
te per tempi che però vanno definiti altrimenti il fenomeno dell’hotspotting
diviene una fuga distruttiva.
Inoltre, una volta usciti da tale condizione, è necessario che il dispositivo
rimanga a potenza dissipata nulla per un tempo sufficiente a far riomoge-
neizzare il die; la prescrizione tipica a tale scopo prevede lo spegnimento del
componente per un intervallo di tempo di 1 secondo.
Un’altra specifica fondamentale per la validità della SCSOA è il tempo di
persistenza della conduzione in cortocircuito, e quindi il tempo di intervento
della protezione, tipicamente fino a una decina di µs.
E’ necessario specificare, inoltre, anche il numero di interventi di cortocir-
cuito garantiti, per cui ad oggi i costruttori sono arrivati a garantire cen-
tinaia di eventi di guasto; tuttavia ciascun intervento, essendo comunque
distruttivo, riduce l’affidabilità nel tempo del componente, perciò, median-
te controllo digitale, è necessario tenere in memoria il numero di interventi
eseguiti, fondamentale per la manutenzione preventiva al fine di evitare il
guasto definitivo.

Figura 49: SCSOA IGBT

Nasce, perciò, un conflitto tra la competitività operativa del componente e

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11 EFFETTI DEL RIPPLE DI MODULAZIONE SULLE PERDITE NEI
SEMICONDUTTORI

le condizioni di sovraccarico legato alla riduzione percentuale della tensione


massima in condizioni di sovracorrente (quanta corrente in più a discapito
di quanta tensione in meno? ).
Vengono, a tal proposito, concepiti dei sistemi di diagnostica e protezione
che realizzano l’ultimo turn-off con valori molto più bassi di quelli operativi;
si tratta di circuiti di pilotaggio intelligenti ad alte prestazioni in termini di
diagnostica e forzamento rallentato. Il componente viene infatti utilizzato
direttamente come sensore di caduta di tensione in conduzione, in grado di
distinguere le cadute di saturazione e dissaturazione in sovraccarico. Infatti
se ISCSOA  ISOA , l’evento tende a dissaturare lo stato di conduzione per
cui il transistor produce una caduta di tensione nettamente superiore a quella
operativa.
Si esegue, perciò, una misura in tempo reale della dissaturazione, e, quando
essa viene rilevata, sarà imposta una corrente di pilotaggio molto più bassa
per rispettare i margini di tensione.
E’ grazie a tutti questi provvedimenti che si garantisce l’affidabilità nel tempo
e competitività dei VSI.

11 Effetti del ripple di modulazione sulle perdite


nei semiconduttori

11.1 Fattori di ripple e costificazione, cenni

Il costo dei componenti attivi nella conversione in continua viene model-


lizzato come il prodotto dei valori medi VC · IL ; nell’analisi della risposta
integrativa, invece, è necessario considerare il f attore di ripple che descri-
ve il rapporto tra il contenuto delle componenti alternative e i valori medi
delle variabili di stato, dunque risposta integrativa rispetto alla correlazione
energetica. Fattore di ripple della corrente:
∆Ipk
a= (37)
IL
Fattore di ripple della tensione:
∆Vpk
u= (38)
VC

in cui le grandezze di picco considerate sono:

Ipk = IL + ∆Ipk = IL (1 + a) (39)

Vpk = VC + ∆Vpk = VC (1 + u) (40)

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11 EFFETTI DEL RIPPLE DI MODULAZIONE SULLE PERDITE NEI
SEMICONDUTTORI

Il costo dei componenti attivi diviene quindi descritto da: VC · IL · (1 + a) ·


(1 + u), per cui emerge che le componenti alternative aumentano il costo
delle parti attive a dismisura. Da questo punto di vista, dunque, si vorrebbe
annullare entrambi i fattori di ripple per minimizzare i costi, ma questo vor-
rebbe dire induttanza e capacità infinite e, quindi, massimizzazione dei costi
delle parti reattive. Per questo motivo, nella pratica, si trascurano i costi
delle parti attive e si descrive, invece, la funzione di costo elementare delle
parti reattive che, con il modello di riferimento, rappresenta una funzione
primitiva di costo che coincide (puramente proporzionale) con la massima
energia di picco accumulata. A tal proposito si dimostra che le minime
energie di picco accumulate nell’induttore e nel condensatore si ottengono
rispettivamente per a = 1 e u = 1; non è accettata, però, la contemporaneità
di tali fattori di ripple unitari in quanto questo vorrebbe dire moltiplicare
per 4 il costo delle parti attive e avere una dinamica del secondo ordine non
dominata. Nella realtà, dunque, si lavora con a · u < 1.

11.2 Perdite nei semiconduttori

Per il calcolo dell’integrale nel periodo del prodotto tensione-corrente, è ne-


cessario definire e distinguere la correlazione che c’è tra le due distribuzioni;
se ci troviamo sulla caratteristica di miglior conduzione o interdizione, le
due distribuzioni risultano correlate da una caratteristica nota, altrimen-
ti, durante le commutazioni, il prodotto tensione-corrente non può essere
associato ad una caratteristica individuale. Questa è una realtà fisica non
rappresentabile analiticamente e, per questo motivo, ai fini dello svolgimento
del suddetto integrale, si procede all’imposizione di sottointervalli che rap-
presentano una semplificazione al caso in cui esiste una correlazione propria,
ovvero un’unica caratteristica individuale. Si tratta, dunque, dell’assunzione
di non dissipatività, ovvero dell’imposizione della miglior conduzione e in-
terdizione (reciprocamente per diodo e interruttore), note e applicabili allo
svolgimento dell’integrale.
In altre parole, ci sarà una distinzione del periodo di modulazione in sottoin-
tervalli in cui l’imposizione è valida (stati stabili), rispetto ad intervalli di
tempo , in realtà trascurabili, in cui ciò non è valido (commutazioni); dunque
per una singola cella canonica, per ogni bipolo vi è un termine legato alle
perdite per conduzione, in quanto quelle di interdizione vengono trascurate
perchè di diversi ordini di grandezza inferiori, e due integrali nei rispettivi
tempi di commutazione di turn-on e turn-off per le perdite di commutazione.
Si effettua, perciò, una semplificazione decisiva per l’analisi di livello 3 che
non comporta nessun peggioramento dell’accuratezza dell’indagine.

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11 EFFETTI DEL RIPPLE DI MODULAZIONE SULLE PERDITE NEI
SEMICONDUTTORI

11.2.1 Perdite per conduzione

La formulazione delle perdite in conduzione nasce dalla composizione di con-


tenuti triangolari e rettangolari, dovuti alla commutazione della caratteristi-
ca di conduzione da un intervallo all’altro. Per una singola cella canonica
si ha, perciò, una formulazione definita a tratti come somma dei contributi
della conduzione reciproca dell’interruttore comandato (attiva per r=1) e del
diodo di ricircolo (attiva per r=0):

Pcond = Psw + PF W = rvon (iL ) · iL + (1 − r)vF (iL ) · iL (41)

in cui entrambe le cadute di conduzione dello switch von e del diodo vF nasco-
no dallo stroncamento al primo ordine della serie di Taylor, dunque risultano
essere la somma della soglia di conduzione e della caduta resistiva propor-
zionale alla corrente, caratterizzata da un valor medio più una triangolare
∆I
sovrapposta di ripple con fattore di ripple a = ILpk per cui IiLL = (1 + a · tr):
(
von = Esw + Rsw · iL = Esw + Rsw · IL · (1 + a · tr)
(42)
vF = EF W + RF W · iL = EF W + RF W · IL · (1 + a · tr)

Per le perdite in conduzione si fa riferimento al valore efficace nel periodo


della triangola unitaria:
Z 1
1
2
tref f = tr2 dα = (43)
0 3
per cui:
1
a2
Z
IL,ef f 2
( ) = (1 + a · tr)2 dα = 1 + (44)
IL 0 3
E’ evidente che il ripple abbia effetti esclusivamente sulla dissipazione di tipo
resistivo:
Econd
= Ew · IL + Rw · IL2 · (1 + a/3)2 (45)
T
in cui il pedice "w" rappresenta una media pesata dei rispettivi parametri
dello switch e del diodo di ricircolo per cui il duty-cycle contribuisce alla
definizione: (
Ew = Esw − (1 − D)[Esw − EF W ]
(46)
Rw = Rsw − (1 − D)[Rsw − RF W ]

11.2.2 Perdite per commutazione

In generale l’esportazione di tale formulazione non comprende i fattori di


ripple, i quali possono essere trascurati nel calcolo delle perdite per commu-
tazione totali, in quanto gli effetti complessivi tendono a bilanciarsi. Esiste,

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11 EFFETTI DEL RIPPLE DI MODULAZIONE SULLE PERDITE NEI
SEMICONDUTTORI

infatti, considerando che le due commutazioni di turn-on e turn-off abbiano


lo stesso peso, un effetto di compensazione per il fatto che entrambe le gran-
dezze commutate si presentano in valore massimo e minimo reciprocamente
per l’una e l’altra commutazione.
Si considera l’energia dissipata in commutazione come proporzionale al pro-
dotto Vc IL e si definisce un tempo totale di commutazione:
Ecomm
∆tcomm = 2 · (47)
Vc IL
Dunque in un periodo di modulazione:
1
Ecomm = · Vc · IL · ∆tcomm (48)
2

11.3 Formulazione complessiva

A questo punto si procede con una normalizzazione dell’energia totale dissi-


pata in conduzione e commutazione rispetto ad un fondoscala energetico dato
dal prodotto della potenza convertibile Vc IL per il periodo di modulazione
T:
Etot 1 ∆tcomm von von − vF
= · + − · (1 − D) (49)
Vc IL T 2 T Vc Vc
dove nel primo termine sono racchiuse tutte le complessità delle commuta-
zioni considerando una modellistica elementare di transizioni ideali in cui 12
rappresenta il fattore di transizione e ∆tcomm è il più simile possibile alle du-
rate di commutazione visualizzabili. Per quanto riguarda il secondo termine,
invece, se si tratta di power modules a IGBT, le caratteristiche di conduzione
del diodo e dello switch risultano sovrapponibili, perciò von − vF = 0 e in
questo modo la formula di costificazione diviene indipendente dal duty-cycle.
La razionalizzazione dell’energia totale dissipata è fondamentale per l’espor-
tazione, ovvero per la formulazione di costificazione del valore del converti-
tore (Vc IL ) per la comparazione di diversi sistemi attraverso la valutazione
del rendimento e della sua funzione dalle variabili commutate.

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