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BIBLIOTECA.

» GERMINAL ¿ * VOLUME II

i Pietro il PIETRO KROF&F&INE


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edizioni della Rivista UNIVERSITÀ POPOLARE


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Volume I — L U I G I MOLINARI
Il tramonto del diritto penale.
Volume IL P . KROPOTKINE

Lo Stato.
Volume IH; P. KROPOTKINE

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BIBLIOTECA " GERMINAL „ « VOLUME II

PIETRO KROPOTKINE

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Edizioni della Rivista U N I V E R S I T À POPOLARE


Via Carlo Poerlo, 38
MILANO
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P R E F A Z I O N E

Questo studio del Kropotkine sul-


lo Stato era in origine una confe-
renza ch'egli doveva tenere nel 1897
a Parigi. Ma il governo repubblicano
d'allora proibì al nostro illustre a-
mi co di sbarcare sul suolo di Fran-
cia, dairInghilterra ove abitual-
mente risiede. Più tardi la confe-
renza fu pubblicata in francese, e
presto tradotta in tutte le lingue.
La presente traduzione in italiano
viene molto a proposito nel momento
attuale, mentre la crisi che subisco-
no le idee socialiste ha riposto dac-
capo sul terreno la questione della
funzione dello Stato in una società
egualitaria.
Il Kropotkine - che aveva, dato al
suo lavoro il titolo di L'Etat, son rôle
historique, - dimostra come nella
storia i periodi di maggiore attività
sociale, di maggiore civiltà e splen-
dore artistico, letterario, filosofico,
scientifico ed economico corrispondono
ad una maggiore indipendenza degli
individui dalla tirannia dello Stato;
- 4 -

e che viceversa quando lo Stato era


più forte e la libertà dei sudditi mino-
re, minore rie era anche il benessere e-
conomico, e più forte, diffuso e po-
tente Voscurantismo in tutti i rami
del sapere umano. Dimostra ezandio
che lo Statoy elaboratosi lungo i se-
coli nell'interesse delle classi domi-
nanti, non può. servire a nessìina
causa di emancipazione economica e
politica. Sfata così molti pregiudizi
e preconcetti teorici che si insegnano
nelle scuole ufficiali ma non corri-
spondenti affatto alla verità storica.
E ne conclude con l'appello ai coni-
battenti per la libertà e il benessere
umano a scegliere fra la libertà sulla
base dell'accordo mutuo volontario
che significa la vita, e lo Stato sulla
base dell'imposizione violenta dal-
l'alto che significa la morte.
Presentemente la crisi che domina
nel campo socialista proviene appun-
to dall' incertezza, che i più anno
sulla via da scegliere nei metodi ri-
voluzionari. Tutta la questione è qui:
si andrà al socialismo per la via
della libertà o per quella della au-
torità ?
Lo stesso problema era stato posto
dinanzi alt Internazionale fin dal
1879; e si ebbe allora la scissione
famosa che fece capo a Marx e a
Bakounine. Dopo d'allora nelle sin-
gole nazioni la scissione si determi-
nò dappertutto: cosi in Italia, deci-
samente, nel Congresso Operarlo di
Genova. Come già «¿//'Internazionale
così al Congresco di Genova la cor-
- 5 -

rente predominante fu la libertaria.


Ma non per nulla si è autoritari! La
minoranza autoritaria si separò da-
gli altrir dalla maggioranza, dan-
dosi Varia di averla messa alla por-
ta, dando ad intendere che era lei
Varbitra della situazione. E a furia
di ripeterlo ha finito per farlo cre-
dere, per crederlo ella stessa, e in-
fìre, per la poca accortezza avversa-
ria, per conquistare davvero il pre-
dominio nel movimento operaio.
Ciò avvenne però anche perchè si
giocò sull' equivoco. Si sostenne la
tattica legalitaria, il collettivismo
autoritario, nascondendo più che era
possibile la sua vera essenza. Le e-
lezioni? un semplice metodo di pro-
paganda! — Il collettivismo? — un
semplice ponte di passaggio per ar-
rivare al comunismo! — Lo Stato ?
lo si doveva conquistare per abolirlo!
Ma poi la cosa cambiò! Poco per
volta nacque il riformismo, il revi-
sionismo, ecc. E in parlamento ci si
andò anche per far le leggi, per col-
laborare con i deputati borghesi e
monarchici alle riforme, per rendere
inutile e soffocare ogni spirito di ri-
volta. Nonché il comunismo, lo stes-
so collettivismo diventò una specie
di bandierone, di abito di parata
che si tira fuori nei giorni di festa;
ma la sua attuazione è cosa cui si
crede sempre meno. e rimanda in-
variabilmente all' anno 2000. E lo
Stato ora non solo non lo si vuole
più abolito, ma si chiamano vec-
chiumi le affermazioni antistatali di
Marx ed Engels, e sì sostiene che
esso diverrà V organismo migliore
del socialismo in mano del proleta-
riato, quando questo Vavrà conqui-
stato. E si discute sul serio sulla le-
gislazione, i poteri pubblici e animi
nistrativi nella società f utura, e v'è
chi parla anche d'un esercito (o na-
zione armata) e di una polizia so-
cialista !
A questa corrente deleteria e falsa,
rispetto alla teorica socialista, non
fanno eccezione neppure quelli che
soglionsi chiamare rivoluzionari. I
quali sono o si dicoìio antistatali,
quasi antiparlamentari, sindacalisti
ecc.; ma non sono contrari che al
solo Stato che ora hanno sul collo, e
combattono questo e non lo Stato
come ente a sè. Infatti, si dicono e
vantano repubblicani in politica, e
balbettano di dittatura di classe, ri-
tornando alle fìsime autoritarie e
utopiste del socialismo metafìsico e
giacobino del 1848. Sono contrarli
allo Stato attuale, ma per sostituir-
gliene un altro; e in parte negano fi-
ducia al parlamento, ma non per la
sua stessa essenza, sibbene per le
sue qualità attuali. Tutta la diffe
renza dai riformisti consiste nel mo-
do: gli uni vogliono cambiare lo
Stato, penetrandovi fin da oggi poco
per volta, e gli altri tenendo verso
di lui un contegno intransigente fi-
no al giorno in cui non potranno
scacciarne quelli che ci sono ora per
sostituirli.
Ma l'idea resta; resta il concetto
—7 -

autoritario nella lotta, resta lo scopo


di non abolire ma di continuare a
mantenere lo Stato, - questa perpetua
minaccia, alla libertà ed al benessere
dei cittadini.
Ciò fa sì che i cosidettì rivoluzio-
nari si dibattano in una situazione
equivoca, in una incertezza e inde-
terminatela di teorie e di azioni
seti za fine, e si trovino sempre di
fronte a continue contraddizioni* Le
critiche da essi mosse ai riformisti
possono essere ritorte con la massima
facilità contro di loro.
Questo studio del Kropotkine può
servire appunto a chiarire la que-
stione: a richiamare Vattenzione dei
socialisti su questo che veramente è
il nocciolo del dibattito di idee che
oggi si fa nel loro campo. Occorre
una buona volta che ess si decidano,
e cessino di aggirarsi nell'equivoco,
O con la libertà o con l'autorità. O
verso la vita, o verso la morte,
LUIGI FABBRI.
L

Col prendere per tema del presente


studio lo Stato e la sua funzione sto-
rica, io ho creduto di rispondere a
un bisogno vivamente sentito in que-
sto momento: quello cioè di appro-
fondire l'idea stessa di Stato, di stu-
diarne l'essenza, la sua funzione nel
passato, e la parte che egli può esser
chiamato a rappresentare nell'avve-
nire.
E' sopratutto la questione delio
Stato quella che divide i socialisti.
Fra le diverse frazioni che esistono
tra noi e che rispondono ai vari tem
peramenti, alle differenti maniere di
pensare e, sopratutto, al grado di
fiducia che si ha nella prossima rivo-
luzione, due grandi correnti si deli-
neano.
2
10 - %

Vi sono, da una parte, coloro che


sperano di compiere la rivoluzione
sociale nell'orbita dello Stato : con-
servare la maggior parte delle sue
attribuzioni, magari aumentarle e uti-
lizzarle per la rivoluzione. E vi sono
coloro i quali, come noi, vedono nello
Stato, non solamente sotto la sua for-
ma attuale, ma nella sua stessa es-
senza e sotto tutte le forme che po-
tesse rivestire, un ostacolo alla rivo-
luzione sociale: l'impedimento mas-
simo allo schiudersi di una società
basata sulla uguaglianza e sulla liber-
tà, la forma storica elaborata per pre-
venire questo avvento. E per conse-
guenza essi lavorano non a riformare
lo Stato, ma ad abolirlo.
Come si vede, la divisione è pro-
fonda. Essa corrisponde a due cor-
renti divergenti, le quali si riscon-
trano in tutta la filosofia, la lettera-
tura e l'azione della epoca nostra.
E se le nozioni che corrono sullo
Stato restano oscure come lo sono
n o n v>è
dubbio che le lotte più
- 11 -

accanite s'impegneranno su tale que-


stione, quando — ben presto, io spe-
ro — le idee comuniste cercheranno
la loro realizzazione pratica nella
vita sociale.
Occorre adunque, dopo aver fatto
così spesso la critica dello Stato attua-
le, ricercare il perchè del suo sor-
gere, approfondire la parte che esso
ha rappresentata nel passato e para-
gonarlo alle istituzioni delle quali ha
preso il posto.

Intendiamoci dapprima su ciò che


noi vogliamo comprendere sotto il
nome di Stato.
Si sa che vi è la scuola tedesca la
quale si compiace di confondere lo
Stato con la Società. Questa confu-
sione si riscontra presso i migliori
pensatori tedeschi e molti francesi,
i quali non possono concepire la so-
cietà senza la concentrazione statale.
Da ciò deriva il solito rimprovero

I
- 12 -

mosso agli anarchici, di volere « di-


struggere la società > di predicare
« il ritorno alla guerra perpetua di
ciascuno contro tutti >.
Eppure ragionare in tal modo signi-
fica ignorare completamente i pro-
gressi compiuti nel dominio della
storia durante gli ultimi trentanni;
significa ignorare che l'uomo ha vis-
suto in società durante migliaia di
anni, prima di aver conosciuto lo
Stato; significa dimenticare che per
le nazioni europee lo Stato è di ori-
gine recente, datando appena dal se-
dicesimo secolo ; significa discono-
scere finalmente che i periodi più
gloriosi dell'umanità furono quelli in
cui le libertà e la vita locale non
erano ancora distrutte dallo Stato e
grandi masse di uomini vivevano in
comuni e in federazioni libere.
Lo Stato non è che una delle forme
che la Società ha rivestito nel corso
della storia. Come si possono dunque
confondere ?
Altri hanno anche confuso lo Stato
- 13 -

con il Governo. Poiché non ci può


essere Stato senza Governo, si è detto
talvolta che bisogna mirare all'assen-
za di Governo e non ali1 abolizione
dello Stato.
Parmi, tuttavia, che nello Stato e
nel Governo noi abbiamo due nozioni
di ordine diverso. L' idea di Stato
indica una cosa ben diversa dall'idea
di Governo. Essa comprende non solo
l'esistenza di un potere collocato al di-
sopra della società, ma anche una
concentrazione territoriale, e una
concentrazione di molte funzioni
della vita sociale nelle mani di al-
cuni. Essa implica l'esistenza di nuovi
rapporti tra i membri della società.
Questa distinzione che sfugge, forse,
a prima vista, appare sopra tutto quan-
do si studiano le origini dello Stato.
D'altronde, per ben comprendere
lo Stato, non vi è che un mezzo ;
quello di studiarlo nel suo sviluppo
storico; ed è ciò che io tenterò di
fare.
14

L'impero romano fu uno Stato nel


vero senso della parola. Fino ai giorni
nostri, esso ne resta l'ideale per l'uo-
mo di legge.
I suoi organi coprivano con una
rete serrata un vasto dominio. Tutto
affluiva verso Roma : la vita econo-
mica, la vita militare, le relazioni
giudiziarie, le ricchezze, l'educazione
e persino la religione. Da Roma pro-
venivano le leggi, i magistrati, le le-
gioni per difendere il territorio, i
prefetti, gli dei.
Tutta la vita dell'impero risaliva
al Senato — più tardi al Cesare, l'on-
nipotente, l'onnisciente, il dio del-
l'impero. Ogni provincia, ogni di-
stretto aveva il suo Campidoglio in
miniatura, la sua piccola porzione di
sovrano romano, per dirigere tutta
la sua vita. Una sola legge, la legge
imposta da Roma, regnava sull'im-
pero ; e questo impero non rappre-
sentava una confederazione di citta-
- 15 -

dini; non era che un gregge di sud-


diti.
Sino ad oggi ancora, il legislatore
e l'autoritario ammirano l'unità di
questo impero, lo spirito unitario di
queste leggi, la bellezza — essi di-
cono — è l'armonia di questa orga-
nizzazione.
Ma lo sfacelo interno, secondato
dalle invasioni barbariche, la morte
della vita locale, ormai incapace di
resistere agli attacchi esterni e alla
cancrena che si allargava dal cen-
tro, spezzarono questo impero, e sulle
sue rovine si sviluppò una nuova
civiltà che è oggi la nostra.
E se, lasciando da parte le civiltà
antiche, noi studiamo le origini e gli
sviluppi della giovane civiltà barbara
sino ai periodi in cui essa, a sua
volta, diede origine ai nostri Stati
moderni, noi potremo comprendere
l'essenza dello Stato.
E questo studio sarà migliore di
quello che sarebbe stato, se ci fos-
simo immersi nell'esame dell'impero
16

romano, o di quello di Alessandro,


oppure delle dispotiche monarchie
d'Oriente.
Prendendo come punto di partenza
questi potenti demolitori barbari del-
l'impero romano, potremo rintrac-
ciare l'evoluzione di ogni civiltà dalle
sue origini sino alla fase Stato,
- 17 -

II.

La maggior parte dei filosofi del


secolo scorso si erano formata un'i-
dea molto elementare sulP origine
delle società.
Al principio, essi dicevano, gli uo-
mini vivevano in piccole famiglie
isolate, e la guerra perpetua fra que-
ste famiglie rappresentava lo stato
normale. Un bel giorno però, accor-
gendosi finalmente degli inconve-
nienti di queste lotte senza tregua,
gli uomini si decisero di mettersi in
società. Un contratto sociale fu con-
cluso tra le famiglie sparse che si
sottomisero di buona voglia ad un'au-
rità, la quale, — ho bisogno di dir-
velo ? —, divenne il punto di parten-
za e l'iniziatrice di ogni progresso.
Non occorre nemmeno aggiungere,
poiché ce l'hanno imparato a scuola,
che i nostri governi attuali si sono
- 18 -

mantenuti in questa loro bell'attri-


buzione di sapienti pacificatori e ci-
vilizzatori della specie umana.
Questa idea, concepita in un'epoca
in cui non si sapeva gran che sulle
origini dell'uomo, dominò il secolo
XVIII; e, bisogna confessarlo, nelle
mani degli enciclopedisti e di Rous-
seau l'idea di « contratto sociale »
diventò un'arma potente per combat-
tere la monarchia di diritto divino.
Però, malgrado i servizi ch'essa ha
potuto rendere nel passato, questa
teoria dev'essere riconosciuta falsa.
Il fatto è che tutti gli animali, salvo
alcuni carnivori e uccelli di rapina,
#

nonché alcune specie che vanno scom-


parendo, vivono in società. Nella lotta
per la vita sono le specie socievoli
che riportano vittoria su .quelle che
non lo sono. In ogni classe di ani-
mali esse occupano il vertice della
scala, e non può esservi alcun dub-
bio che i primi esseri di aspetto uma-
no vivessero già in società.
Non è l'uomo che ha creato la so-
— 19 -

cietà ; ma questa è anteriore all'uomo.

E' noto al giorno d'oggi, avendolo


V antropologia dimostrato perfetta-
mente, che il punto di partenza del-
l'umanità non fu già la famiglia, ma il
clan, la tribù. La famiglia paterna,
quale noi la conosciamo, o quale ci
vien dipinta nelle tradizioni ebraiche,
non fece la sua apparizione che mol-
to più tardi. L'uomo visse diecine di
migliaia d'anni nella fase di tribù o
clan, e durante questa prima fase —
chiamiamola pure, se vi piace, tribù
primitiva o selvaggia — l'uomo svi-
luppò già tutta una serie di istitu-
zioni, usi e costumi molto anteriori
alle istituzioni della famiglia pa-
terna.
In queste tribù, la famiglia sepa-
rata non esisteva, come non esiste
presso tanti altri mammiferi socie-
voli. La divisione in seno alle tribù
si compiva piuttosto per generazioni ;
- 20 -

e sin da un'epoca remotissima, la


quale si perde nel crepuscolo del
genere umano, si erano fissati dei
limiti per impedire i rapporti di ma-
trimonio tra le diverse generazioni,
rapporti che erano permessi nella
stessa generazione. Traccie di questo
periodo si riscontrano presso alcune
tribù contemporanee, ed anche nel
linguaggio nei costumi e nelle super-
stizioni di popoli molto più progre-
diti nel cammino della civiltà.
Tutta la tribù faceva la caccia o la
raccolta in comune, e, saziata la fame,
si dava con passione alle danze figu-
rate. Anche oggi si trovano tribù mol-
to vicine a questa fase primitiva, cac-
ciate ai confini dei grandi continenti
o nelle regioni alpestri meno acces-
sibili.
L'accumulazione della proprietà
privata non poteva produrvisi, per-
chè ogni cosa, che aveva appartenuto
particolarmente a un membro della
tribù, veniva distrutta o bruciata do-
ve si seppelliva il suo cadavere. Ciò
- 21 -

si verifica ancora nell' Inghilterra


stessa, presso gli Zingari, e i riti fu-
nebri delle genti « civili » ne por-
tano l'impronta : i Cinesi, per esem-
pio, bruciano i modelli in carta di
ciò che possedeva il morto ; e noi
portiamo sino alla tomba, insieme al
corpo del capo militare, il suo ca-
vallo, la sua spada e le sue decora-
zioni. II senso dell'istituzione è per-
duto, ma ne sorvive la forma.
Lungi dal professare disprezzo per
la vita umana, questi esseri primiti-
vi avevano orrore dell'assassinio e
del sangue. Versare il sangue — e
non solo dell'uomo, ma anche di certi
animali — era per essi colpa sì grave
da dover essere scontata col sangue
dell'aggressore goccia per goccia.
Così, nel seno della tribù, una ucci-
sione è assolutamente sconosciuta ;
cosa, che si può verificare anche al
giorno d'oggi presso gli Inoiti e gli
Eschimesi, questi superstiti dell'età
della pietra, che abitano le regioni
artiche. Ma quando tribù di origine,
- 22 -

colore e lingua differenti s'incontra-


vano nelle loro migrazioni, la guerra
era quasi sempre inevitabile. Nondi-
meno fin da allora gli uomini cerca-
vano di far meno aspri quegli scon-
tri. La tradizione, come l'han dimo-
strato Maine, Post e Nys, elaborava
già i germi di quello che poi diven-
ne il diritto internazionale. Non si
poteva per esempio, assalire un vil-
laggio senza averne prima prevenuto
gli abitanti; non si poteva uccidere
sul sentiero percorso dalle donne per
recarsi alla fontana; e, per conclu-
dere la pace, bisognava pagare il pa-
reggio degli uomini uccisi di ambo
le parti.
Fin d'allora, una legge generale
primeggiava sulle altre : « I vostri
hanno ferito o ucciso uno dei nostri :
noi abbiamo dunque il diritto di uc-
cidere od offendere con ugual ferita
uno dei vostri « non importa quale,
giacché è sempre la tribù che è re-
sponsabile di ogni atto dei suoi mem-
bri. I versetti ben conosciuti della
- 23 -

Bibbia : « Sangue per sangue, occhio


per occhio, dente per dente, ferita
per ferita, morte per morte » — ma
non di più, come ha ben notato Koe
nigswarter — ebbero la loro origine
da quei costumi. Era la loro conce-
zione di giustizia, e noi non abbiamo
troppa ragione d'inorgoglirci, poiché
il principio di « vita per vita », che
prevale nei nostri codici, non ne è
che una delle numerose sopravvi-
venze.

Come si vede, un'intera serie di


istituzioni, senza contar tante altre,
che non menziono, un codice completo
di morale per le tribù fu elaborato du-
rante questa fase primitiva. E per
mantenere questo nucleo di abitudini
socievoli, bastavano l'usanza, il costu-
me, la tradizione. Niuna autorità per
imporle.
Senza dubbio, i primitivi aveano
temporaneamente in mezzo a loro
- 24 -

dei capi. Il mago, facitor di pioggia,


il dotto di quel tempo - cercava di
profittare di ciò che conosceva o cre-
deva conoscere della natura, per do-
minare i suoi simili. Così pure colui
che sapeva meglio ritenere a memo-
ria i proverbi e i canti nei quali si
tramandava la tradizione, guadagnava
un certo prestigio. E sin da quell'e-
poca, questi « istruiti » cercavano di
assicurare il loro dominio, non tra-
smettendo le proprie cognizioni che
a persone scelte da loro. Tutte le re-
ligioni, nonché tutte le arti e me-
stieri hanno avuto la loro origine,
com'è noto, da « misteri ».
Il coraggioso, l'audace e sovratutto
il prudente, diventavano anche capi
temporanei nei conflitti con altre tribù
oppure durante le migrazioni. Ma
non esisteva alcuna alleanza fra il
depositario della « legge », il capo
militare e lo stregone ; né si può par-
lare di Stato per queste tribù, come
non se ne parla a proposito di una so-
cietà di api o di formiche, o presso
- 25 -

i Patagoni e gli Eschimesi, nostri


contemporanei.
Questa fase durò nondimeno mi-
gliaia e migliaia di anni, e i barbari,
che invasero l'impero romano, l'ave-
vano anch'essi traversata. Ne usci-
vano anzi appena allora.
Nei primi secoli della nostra èra,
si verificarono immense migrazioni
fra le tribù e le confederazioni di
tribù che abitavano l'Asia centrale e
boreale. Immense fiumane di popola-
zioni, sospinte dai popoli più o meno
civili, discesi dagli altipiani asiatici
- probabilmente discacciatine dal ra-
pido prosciugarsi di questi altipiani
- inondarono l'Europa, urtandosi fra
loro e mescolandosi nella loro espan-
sione verso l'occidente.
Durante queste migrazioni, in cui
tante tribù di origine diversa si tro-
vavano riunite, la tribù primitiva
che esisteva ancora presso la maggior
parte degli abitanti selvaggi dell'Eu-
ropa, doveva necessariamente disgre-
garsi. La tribù era basata sulla co-
8
- 26 -

munanza di origine, sopra il culto


dei comuni antenati; ma qual comu-
nanza d'origine potevano invocare
quelle agglomerazioni, che uscivano
dal confuso misculio delle migrazioni,
delle scorribande, delle guerre fra
tribù, durante le quali, qua e là ve-
dovasi già sorgeri 4 la famiglia pa-
terna — il nucleo formato dal pos-
sesso che alcuni eransi accapparrato
delle donne conquistate o rapite alle
altre tribù vicine?
Gli antichi legami erano spezzati,
e sotto pena di dispersione (come
avvenne, infatti, per molte tribù, or-
mai scomparse per la storia) nuovi
legami dovevan sorgere. Sorsero in-
fatti. Essi furono trovati nel possesso
comunale della terra, cioè del terri-
torio, sul quale una determinata ag-
glomerazione aveva finito per so-
stare.
Il possesso comune di un certo
territorio — di valli o di colline -
divenne la base di un nuovo accordo.
Gli dèi aviti avevano perduto ogni
— 27 -

significato ; c gli dei locali, della vai


lata, del fiume o della foresta, diedero
la consacrazione religiosa alle nuove
agglomerazioni, sostituendo gli dèi
della tribù primitiva. Più tardi, il
cristianesimo, sempre pronto ad adat-
tarsi alle sopravvivenze pagane, ne
fece dei santi locali.
Il comune del villaggio, composto
in parte interamente di famiglie se-
parate, — unite tutte però dal pos-
sesso in comune della terra, — di-
venne per i secoli avvenire il punto
di congiunzione necessario.
Esso esiste ancora sovra immensi
territorii dell' Europa orientale, in
Asia, in Africa. I barbari che distrus-
sero l'impero romano — Scandinavi,
Germani, Celti, Slavi, ecc. — vive-
vano sotto questa specie di organiz-
zazione. E studiando i codici barbari
del passato, nonché le confederazioni
comunali di villaggio presso i Kabili,
i Mongoli, gl'Indiani, gli Africani,
ecc., le quali esistono ancora, è stato
possibile ricostruire nella sua inte
28

rezza questa forma di società che


rappresenta il punto di partenza della
nostra civiltà attuale.
Diamo dunque un'occhiata a tale
istituzione.
III.

Il comune di villaggio si compo-


neva, come si compone ancora, di
famiglie separate; ma le famiglie di
uno stesso villaggio possedevano la
terra in comune. Esse la considera-
vano come loro patrimonio comune,
e se la dividevan secondo la gran-
dezza delle famiglie, i loro bisogni
e le loro forze. Centinaia di milioni
di uomini, nell'Europa orientale, nelle
Indie, a Giava, ecc. vivono ancora
sotto questo regime, che è lo stesso
stabilito liberamente dai contadini
russi, quando, nell'epoca attuale, lo
Stato permise loro di occupare l'im-
menso territorio della Siberia.
Al principio la coltivazione della
terra si faceva in comune, e questa
costumanza si conserva ancor in
- 30 -

molte località, almeno per una parte


delle terre. In quanto al disbosca-
mento, al diradamento delle foreste,
alla costruzione dei ponti, all'innal-
zamento dei piccoli forti e torricelle,
da servir come rifugio in caso d'in-
vasione, tutto ciò si compieva in co-
mune, come lo fanno ancora centi-
naia di milioni di contadini, laddove
il comune di villaggi ha resistito
contro l'invasione dello Stato. Però
il consumo, per servirmi di una espres-
sione moderna aveva già luogo fami-
glia per famiglia, ciascuna delle quali
aveva il proprio bestiame, il proprio
orto, le proprie provviste, nonché i
mezzi di accumulare e di trasmettere
i beni in eredità.
In tutti i suoi affari, il Comune di
villaggio era sovrano. L'usanza lo-
cale faceva legge, e l'assemblea ple-
naria di tutti i capi di famiglia, uo-
mini e donne, era il giudice, il solo
giudice, in materia civile e criminale.
Quando un abitante, essendosi que-
relato con un altro, piantava il suo
- 31 -

coltello in terra nel luogo ove il co-


mune ordinariamente si adunava, il
comune doveva * trovar la sentenza »
secondo l'usanza locale, dopo che il
fatto era stato stabilito dai giurati
delle due parti in contesa.
Mi mancherebbe il tempo se io vo-
lessi dire tutto ciò che questa fase
offre d'interessante. Mi basterà di
notare clic tutte le istituzioni, di cui
gli Stati s1 impadronirono più tardi
a vantaggio delle minoranze, tutte le
nozioni di diritto che noi troviamo
(mutilate a vantaggio delle mino-
ranze) nei nostri codici, nonché tut-
te le forme di procedura giudiziaria,
in quanto offrono garanzie per l'in-
dividuo, ebbero la loro origine nel
comune di villaggio. Cosi, mentre
noi crediamo di aver fatto un grande
progresso, istituendo, per esempio,
la giurìa, noi non abbiamo fatto che
ritornare ad una istituzione dei bar-
bari, dopo averla modificata a van-
taggio delle classi dominanti. Il di-
ritto romano non lece che sovrap-
porsi al diritto d'usanza.
- 32 -

Nello stesso tempo si sviluppava il


sentimento d'unità nazionale, per
mezzo di grandi federazioni libere
di comuni del contado.

Basato sul possesso e molto spesso


sulla coltivazione in comune della
terra, — sovrano come giudice e
come legislatore del diritto di co-
stumanza, il comune del contado ri-
spondeva alla maggior parte dei bi-
sogni dell'essere sociale.
Ma non a tutti i suoi bisogni: ve
ne erano altri ancora da soddisfare.
Ora lo spirito dell'epoca non era por-
tato a rivolgersi a un governo non
appena un nuovo bisogno si faceva
sentire; ma tendeva al contrario a
prender da se stesso l'iniziativa per
unirsi, federarsi, creare un' intesa,
grande o piccola, numerosa o ri-
stretta, che rispondesse a questo
nuovo bisogno. E la società di allora
si trovava letteralmente coperta, come
- 33 -

da una rete, da fratellanze giurate,


da cooperazioni per il mutuo ap-
poggio, da « con giurazioni » nel vil-
laggio e fuori del villaggio, nella fe-
derazione.
[ Noi possiamo osservare in azione
questa fase e questo spirito anche
oggi, presso molte federazioni bar-
bare, rimaste al di fuori degli Stati
moderni, calcati sul tipo romano, o
meglio, bizantino. Così, per citare un
esempio fra gli altri, i Kabili hanno
mantenuto il loro comune di villaggio
con le attribuzioni che or ora ho
menzionato.
Ma l'uomo sente il bisogno di
azione anche al di fuori dei limiti
ristretti del suo villaggio. Gli uni
corrono il mondo in cerca di avven-
ture, come mercanti. Altri si dedi-
cano a un mestiere, a un'arte qua-
lunque. E questi negozianti, questi
artigiani si uniscono in fratellanze,
anche quando appartengono a vil-
laggi, tribù o confederazioni diffe-
renti.
- 34 -

Occorre la unione per aiutarsi mu-


tualmente nelle avventure lontane, o
per affidarsi reciprocamente i se-
greti del mestiere ; e quindi si asso-
ciano, giurano fratellanza e la prati-
cano in una maniera che colpisce
l'Europeo : cioè in modo reale, e non
a chiacchiere soltanto.
E poi, a chiunque può accader
qualche disgrazia. Chi sa se forse
domani, in una contesa, il tal indivi-
duo per solito sì dolce e tranquillo,
non uscirà fuori dai limiti della edu-
cazione e della socievolezza? Chi sa
se non percuota o non ferisca? Biso-
gnerà pagare allora il compenso,
molto grave, al colpito o al ferito ;
bisognerà difendersi dinanzi all'as-
semblea del villaggio è ristabilire i
fat i sulla fede di sei, dieci o dodici
« congiurati ». Ragione di più per
entrare in una fratellanza.
L'uomo sente, inoltre, il bisogno di
darsi alla politica e magari agli in-
trighi di propagar tale opinione mo-
rale o tale costumanza. Vi è, final-
- 35

mente, la pace esterna da salvaguar-


dare ; delle alleanze da concludere
con altre tribù; delle federazioni da
costituire in parti lontane, delle no-
zioni di diritto fra le tribù da pro-
pagare... Ebbene, per soddisfare a
tutti questi bisogni d'ordine emotivo
o intellettuale, i Kabili, i Mongoli, i
Malesi non si rivolgono a un go-
verno : essi non ne hanno punto. Uo-
mini seguaci del diritto basato sulle
usanze, e dell'iniziativa individuale,
essi non sono stati pervertiti dalla
corruzione di un governo e di una
chiesa capaci di ogni cosa. Essi si
uniscono direttamente : costituiscon
fratellanze giurate, società politiche
e religiose, unioni di mestiere —
guilde, come si diceva nel medio-evo,
cofj come dicono oggi i Kabili. E
questi cof varcano i recinti dei vil-
laggi, s'irradiano lungi nel deserto e
nelle contrade straniere, e la fratel-
lanza viene applicata in queste unio-
ni. Rifiutarsi di porgere aiuto ad un
membro del proprio co/) anche a ri-
- 36 -

schio di perdervi tutto il proprio


avere e la vita stessa, è considerato
come un atto di tradimento verso la
« fratellanza », e significa esser trat-
tati come l'assassino del « fratello ».
Ciò che noi troviamo oggi presso
i Kabili, i Mongolici Malesi, ecc., co-
stituiva V essenza stessa della vita
dei cosidetti barbari in Europa, dal
quinto al dodicesimo, insino al quin-
dicesimo secolo- Sotto il nome di
guilde, di amicizie, di fratellanze,
di università, ecc,, le unioni pullu-
lano per la mutua difesa, per vendi-
care le offese recate ad ogni membro
dell'unione e rispondervi in maniera
solidale, per sostituire alla vendetta
dell' « occhio per occhio » il com-
penso, seguito dall'accettazioue del-
l' aggressore nella fratellanza, per la
pratica dei mestieri, per il soccorso
in caso di malattia, per la difesa del
territorio, per impedire le prepo-
tenze dell' autorità incipiente, per il
commercio, per i rapporti di buona
vicinanza, per la propaganda...; in
una parola, per tutto ciò che V Eu-
ropeo educato dalla Roma dei Cesari
e dei Papi domanda oggi allo Stato.
E' molto dubbio anzi che in quella
epoca vi sia stato un sol uomo, li-
bero o servo, — salvo coloro che
eran messi fuori della legge dalle
loro stesse fratellanze — che non
abbia appartenuto, in più del suo
proprio comune, a una fratellanza o
guilda qualunque.
Le saghe scandinave ne decantano
le gesta ; V abnegazione dei fratelli
giurati forma il tema delle più belle
poesie ; mentre la Chiesa e i re na-
scenti, rappresentanti del diritto bi-
zantino o romano che ricompare, sca-
gliano contro di esse i loro anatemi
ei loro decreti che fortunatamente ri-
mangono lettera morta.
La storia intera dell'epoca perde
il suo significato e diventa assoluta-
mente incomprensibile, se non si
tiene conto di queste fratellanze, di
queste unioni di fratelli e di sorelle,
che dappertutto nascono per rispon-
- 38 -

clcre ai molteplici bisogni della vita


economica e passionale dell'uomo.

Nondimeno, nubi oscure si adden-


sano all'orizzonte. Altre unioni, quelle
delle minoranze dominanti, si forma-
no e cercano di trasformare a poco
a poco questi uomini liberi in servi,
in sudditi. Roma è morta ; ma la sua
tradizione rivive, e la Chiesa cristia-
na, assillata dalle visioni delle teo-
crazie orientali, accorda il suo appog-
gio possente ai nuovi poteri che cer-
cano di costituirsi.
L'uomo, lungi dall'essere la bestia
sanguinaria, come si è voluto dipin-
gerlo, per giustificare la necessità di
dominarlo, ha sempre amato la tran-
quillità e la pace. In certi momenti
piuttosto battagliero che feroce, pre-
ferisce il suo bestiame e la sua terra
al mestiere delle armi- Per questo,
non appena le grandi migrazioni
barbariche cominciarono a indebo-
- 39 -

lirsi, non appena le orde e le t ribù


si stabilirono più o meno nei loro,
territorii rispettivi, noi vediamo come
le cure della difesa territoriale contro
la possibilità di novelle invasioni
d1 immigranti, vengano affidate a
qualche individuo che arruola al suo
seguito una banda di avventurieri,
di uomini agguerriti o di briganti
mentre la grande massa degli abi-
tanti alleva il suo bestiame o coltiva
il suolo. E questo difensore comincia
ben presto ad ammucchiare ricchezze;
dà cavallo e ferro (allora costosis-
simo) al miserabile, e l'asservisce;
comincia così a conquistare degli
embrioni di potere militare.
D'altra parte la tradizione, che fa
legge, vien dimenticata a poco a
poco d a l l a maggior parte degl'indi-
vidui. Rimane appena qualche ve-
gliardo, che ha potuto ritenere nella
memoria le strofe e i canti che rac-
contano i ^ precedenti » di cui si com-
pone la legge d'usanza, e li recita
nei giorni di festa dinnanzi al co-
- 40 -

mune. E così, a poco a poco, alcune


famiglie si fanno una specialità, tra-
smessa di padre in figlio, di ritenere
a memoria questi canti e questi ver
setti, di conservare la «legge» nella
sua purezza. E verso queste famiglie
vanno gli abitanti del villaggio per
giudicare le loro questioni nei casi
più difficili, sopratutto quando due
villaggi o due confederazioni rifiu-
tano di accettare le decisioni di ar-
bitri scelti nel loro seno.
L'autorità principesca o reale si
sviluppa già in queste famiglie, e più
studio le istituzioni dell'epoca, più
mi avvedo che la conoscenza della
legge d'usanza e di consuetudine
contribuì molto più alla costituzione
di questa autorità, che non la forza
della spada. "L'uomo si è lasciato sot-
tomettere molto più per il suo desi-
derio di «punire» secondo la «legge»
che per la diretta conquista mili-
tare.
E si formò così gradualmente
contro il comune di villaggio la pri-
41 -

ma « concentrazione dei poteri », la


prima assicurazione mutua per il do-
minio — quella del giudice e del ca-
po militare. Un sol uomo rivestì que-
ste due funzioni, circondandosi d'uo-
mini armati per eseguire le decisioni
giudiziarie, fortificandosi nel suo ri-
dotto, accumulando nella sua fami-
glia le ricchezze dell'epoca, — pane,
bestiame, ferro, — e imponendo a
poco a poco il suo dominio agli abi-
tanti delle vicinanze.
Il dotto dell'epoca — cioè lo stre-
gone o il prete — non tardò a pre-
stargli appoggio e a dividere il suo
dominio ; oppure unendo la lancia al
suo potere di mago temuto, se ne im-
padronì per proprio conto.

Bisognerebbe dilungarsi molto più


a lungo che lo spazio non permetta
per sviscerare questo soggetto così
pieno di nuovi insegnamenti, e narrar
come gli uomini liberi divenissero
4
— 42 -

mano a mano dei servi, obbligati a


lavorare per il padrone laico o reli-
gioso del castello ; come V autorità
si costituisse man mano al di sopra
dei villaggi e delle borgate ; come i
contadini si unissero, si ribellassero,
lottassero per combattere questa do-
minazione crescente, e come in que-
ste lotte soccombessero contro le
robuste mura del castello, contro gli
uomini corazzati di ferro che lo di-
fendevano.
Mi basterà dire che verso il deci-
mo o l'undicesimo secolo, V Europa
pareva avanzare trionfalmenie verso
la costituzione di quei regimi bar-
bari, quali oggi se ne scoprono nel
cuore dell'Africa, o di quelle teo-
crazie come se ne conoscono dalla
storia d'Oriente. Ciò non poteva tarsi
in un giorno; ma i germi di questi
piccoli reami e di queste piccole
teocrazie già esistevano e si afferma-
vano sempre più.
Fortunatamente lo spirito « barba-
ro » — scandinavo, celtico, germani-
- 43 -

co, slavo — che aveva spinto gli uo-


mini, durante sette od otto secoli
circa, a cercare la soddisfazione dei
loro bisogni nell'iniziativa individua-
le e nel libero accordo delle fratel-
lanze e delle guilde — fortunata-
mente questo spirito viveva ancora
nei villaggi e nelle borgate. I bar-
bari si lasciavano dominare, lavora-
vano per il padrone, ma il loro spi-
rito di libera azione e di libera inte-
sa non si era ancora lasciato cor-
rompere. Le loro fratellanze viveva-
no più che mai, e le crociate non a-
vevano fatto che risvegliarle e svi-
lupparle in Occidente,
/

Allora, la rivoluzione dei comuni,


preparata da lunga data da questo
spirito federativo e sorta dalla u-
nione della fratellanza giurata con
il comune di villaggio scoppiò nel
dodicesimo secolo in Europa con un
mirabile accordo.
Questa rivoluzione, che la maggior
parte degli storici universitari prefe-
risce ignorare, salvò 1' Europa dalla
~ m -
u

calamità che la minacciava. Essa ar-


restò l'evoluzione dei regimi teocra-
tici e dispotici, nei quali la nostra
civiltà avrebbe probabilmente finito
per venir sommersa, dopo alcuni
secoli di pomposo sviluppo, come si
sommersero le civiltà della Mesopo-
tamia» dell'Assiria e di Babilonia.
Questa rivoluzione schiuse invece
una nuova fase di vita : la fase dei co-
muni liberi.
IV.

Si comprende facilmente perchè


gli storici moderni, educati nello
spirito romano, e preoccupati di far
risalire l'origine di tutte le istitu-
zioni sino a Roma, stentino tanto a
comprendere lo spirito del movimen-
to comunalista del dodicesimo seco-
lo. Questo movimento — vera affer-
mazione virile dell'individuo il quale
giunge a costituire la società per
mezzo della libera federazione degli
uomini, dei villaggi, delle città, —
fu una negazione assoluta dello spi-
rito unitario ed accentratore roma-
no, col quale si cerca di spiegare la
storia del nostro insegnamento uni-
versitario. Esso non sì ricollega nem-
meno ad alcun personaggio sto-
rico, nè ad alcuna istituzione cen-
trale.
- 46 -

E1 uno sviluppo grandioso, natu-


rale, antropologico, il quale appar-
tiene, come la tribù, a una certa
fase deir evoluzione umana e non
già ad una data regione o nazione.
Per questo la scienza universita-
ria non l'afferra, e per questo Ago-
stino Thierry e Sismondi, i quali
avevano compreso lo spirito dell' e-
poca, non hanno avuto continuatori
in Francia, dove Luchaire è ancor
solo oggi a continuare lo studio della
tradizione delie epoche dei mero-
vingi e dei comuni. Per questo, in
Inghilterra e in Ispagna, il risveglio
degli studii su tale periodo, nonché
una vaga comprensione del suo spi-
rito, sono di origine recentissima.
Il comune del medio-evo, la città
libera, ha origine, per una parte
dal comune di villaggio, e dall'altra
da quelle mille fratellanze e guilde
che furono costituite al di fuori del-
l'unione territoriale. La federazione
tra queste due specie di unioni si
andò raffinando sotto la protezione
- 47 -

del suo recinto fortificato e delle sue


torri.
In più regioni essa fu in aumento
naturale. Altrove — e ciò avvenne
per regola nell1 Europa occidentale
— fu il risultato di una rivoluzione.
Quando gli abitanti di una data
borgata si sentivano abbastanza pro-
tetti dalle loro mura, formavano una
specie di accordo giurato : giurava-
no cioè reciprocamente di abban-
donare tutte le querele concernenti
insulti, percosse o ferite, e promet-
tevano di non più ricorrere nelle
contese che accadrebbero poi ad al-
tro giudice fuorché ai sindaci nomi-
nati da loro stessi. In ogni associa-
zione di mestiere o di buon vicina-
to, in ogni fratellanza giurata ciò ac-
cadeva da lungo tempo per pratica
regolare. In ogni comune di villaggio
così si era praticato altre volte, pri-
ma che il vescovo o il signorotto riu-
scissero ad introdurvisi, e, più tardi,
ad imporvi il loro giudice.
Così i villaggi e le parrocchie di
- 48 -

cui componevasi la borgata, nonché


tutte le corporazioni e fratellanze che
in essa eransi sviluppate, si conside-
ravano come una sola amitas, nomi-
navano i loro giudici, e giuravano di
mantenere costantemente l'unione fra
questi gruppi.
Uno statuto era presto compilato
ed accettato. Se occorreva, si face-
vano copiare quelli di qualche co-
mune vicino(oggidì si conoscono cen-
tinaia di tali statuti) ed il comune era
bello e costituito. Il vescovo o prin-
cipe, che erano stati sino allora i soli
giudici nel comune, e spesso ne era-
no diventati più o meno i padroni,
non avevano allora che da ricono-
scere il fatto compiuto, oppure com-
battere tale accordo con le armi,
Spesso il re — cioè il principe che
voleva dimostrarsi superiore agli al-
tri principi, e che aveva invece i for-
zieri vuoti — « accordava » la costi-
tuzione mediante un compenso finan-
ziario rinunciando in tal modo a voler
imporre il proprio giudice al comune
- 49 -

pur dandosi dell'importanza di fronte


agli altri signori feudali. Ma ciò non
era punto la regola generale : centi-
naia di comuni vivevano senz' altra
sanzione che la loro buona volontà,
le loro mura e le loro lancie.

In cento anni questo movimento si


diffuse, con mirabile insieme, in tutta
l'Europa — per spirito d'imitazione,
si noti bene — comprendendo la Sco-
zia, la Francia, i Paesi Bassi, la Scan-
dinavia, la Germania, l'Italia, la Polo-
nia, la Russia. E quando noi paragonia-
mo oggi gli statuti e l'organizzazione
interna dei comuni francesi, inglesi,
irlandesi, scozzesi, svizzeri, scandi-
navi, tedeschi, polacchi, russi, italiani
o spagnuoli, noi siamo colpiti dalla
quasi identità di tali costituzioni, e
dell'organizzazione che si sviluppò
all'ombradi questi «contratti speciali».
Che mirabile lezione per i romanisti
e gli hegeliani, i quali non conosco-
- 50 -

no altro mezzo per mantenere la ras-


somiglianza delle istituzioni che la
schiavitù dinnanzi alla legge!
Dall'Atlantico sino al corso medio
del Volga, e dalla Norvegia all'Italia
l'Europa era coperta da simili comu-
ni, gli uni estendendosi sino a dive-
nire popolose città come Firenze, Ve-
nezia, Norimberga o Novgorod ; gli
altri rimanendo invece borgate di un
centinaio o anche di una ventina di
famiglie, pur essendo trattati da pa-
ri a pai-i dai loro fratelli più pro-
speri.
I comuni, questi organismi riboc-
canti di vita, differivano nella loro
evoluzione l'uno dall'altro, La posi-
sizione geografica, il carattere del
commercio esterno, le resistenze a
vincere al di fuori, davano una sto-
ria particolare ad ogni comune. Ma
rer tutti vige il medesimo principio.
Pskov in Russia e Brligge in Olanda,
un villaggio scozzese di trecento a-
bitanti e la ricca Venezia colle sue
isole, una borgata del nord della
- 51 -

Francia o della Polonia e Firenze la


Bella, rappresentano la stessa amitas:
la stessa amicizia dei comuni di vil-
laggio e delle corporazioni associate;
la loro costituzione è nelle linee ge-
nerali sempre la stessa.
Generalmente, la città, il cui re-
cinto s'ingrandisce in luughezza e
in spessore con la popolazione, e che
si circonda di torri sempre più alte
elevate una ogni quartiere o corpo-
razione, generalmente la città, dico,
è divisa in quattro, cinque o sei se-
zioni o settori che s'irradiano dalla
cittadella verso le mura. Questi quar-
tieri sono abitati di preferenza cia-
scuno da un'arte o mestiere; le «arti
giovani » occupano i sobborghi che
saranno ben presto recinti da una
nuova cerchia fortificata.
La strada, o la parrocchia rappre-
senta l'unità territoriale, corrispon-
dente all'antico comune di villaggio.
Ogni strada, o parrocchia, ha la sua
assemblea particolare, il suo foro, il
suo tribunale popolare, il suo prete,
- 52 -

la sua milizia, la sua bandiera, e spesso


il suo sigillo, simbolo di sovranità.
Federata con altre strade, essa con-
serva però la sua indipendenza.
L'unità professionale, che si con-
fonde spesso, o presso a poco, con il
quartiere o il settore, è la corpora-
zione o guilda, l'unione di mestiere.
Questa ha pure i suoi santi, le sue
assemblee, il suo foro, i suoi giudici,
la sua cassa, la sua proprietà fondia-
ria, la sua milizia e la sua bandiera*
Ha anche il suo sigillo e anch'essa
rimane sovrana. In caso di guerra,
la sua milizia andrà se il giudice lo
reputa conveniente, ad unirsi al con-
tingente armato delle altre corpora-
zioni, e porrà la sua bandiera al fian-
co della grande bandiera e del car-
roccio della città.
La città, infine, è l'unione dei quar-
tieri, delle strade, delle parrocchie e
delle corporazioni, ed ha la sua as-
semblea plenaria nel gran foro, il suo
gran campanile, i suoi giudici eletti,
la sua bandiera perunire le ri milizie
53 —

delle corporazioni e dei quartieri.


Tratta da sovrana con le altre città,
si federa con chi le piace, conclude
alleanze nazionali o al di fuori della
nazione. Così vediamo i « Cinque Por-
ti » inglesi intorno a Douvres federati
con porti francesi e olandesi dell'al-
tra parte della Manica, la Novgorod
russa alleata colla Hansa scandinavo-
germanica, e via di seguito. Nelle
sue relazioni, ogni città possiede tut-
te le attribuzioni dello Stato moderno,
e sin da quest'epoca si costituisce,
per mezzo di liberi contratti; ciò che
più tardi sarà conosciuto sotto il no-
me di diritto internazionale, posto
sotto la sanzione dell'opinione pub-
blica di tutte le città, e in seguito
violato più spesso che rispettato dal-
lo Stato.
Quante volte una città, non potendo
« emettere sentenza » in un dato caso
complicato, manda a far dettar la
sentenza in una città vicina! Quante
volte questo spirito dominante del-
l'epoca, — l'arbitrato, piuttostochè
- 54 -

l'autorità del giudice — si manifesta


nel fatto di due comuni ^he nominano
un terzo come arbitro !
E i mestieri si regolano ugualmen-
te. Essi trattano i loro affari di com-
mercio e di mestiere indipendente-
mente dalle loro città e fanno i loro
trattati senza tener conto della na-
zionalità. Quando, nella nostra igno-
ranza, noi parliamo con un certo
orgoglio dei nostri congressi inter-
nazionali d'operai, noi dimentichiamo
che congressi internazionali di ope-
iai e anche di apprendisti si tenevano
già nel quindicesimo secolo.
Finalmente la città, o si difende da
se stessa contro i suoi aggressori e
conduce da se stessa le sue guerre
accanite contro i signorotti feudali
dei dintorni, nominando ogni anno
uno o piuttosto due comandanti mi-
litari delle sue milizie, oppure ac-
cetta un « difensore militare », un
principe, un duca che sceglie da se
stessa per un anno e congeda quan-
do le piaccia meglio. Essa gli con-
— 55 -

segna generalmente, per il manteni-


mento dei suoi soldati, il prodotto
delle ammende giudiziarie, ma gli
proibisce di Immischiarsi negli affari
cittadini. Oppure, infine, sentendosi
troppo debole per potersi emancipare
completamente dai suoi vicini, gli
avoltoi feudali, essa terrà come di-
fensore militare, più o meno perma-
nente, il suo vescovo o un principe
di una famiglia — guelfa o ghibellina
in Italia, tamiglia di Rurik o di 01-
ger in Lituania, — ma veglierà gelo-
samente affinchè l'autorità del prin-
cipe o del vescovo non vada oltre gli
uomini acquartierati nel castello. Es-
sa gli proibirà persino di entrare in
città senza permesso. Non s'ignora
certamente che anche oggi il re d'In-
ghilterra non può entrare in Londra
senza il permesso del lord, sindaco
di quella città.

Vorrei parlare lungamente della


vita economica delle città del medio-
- 56 -

evo; ma sono costretto passar ciò sotto


silenzio. Essa fu così varia e com-
plessa che richiederebbe una lunghis-
sima trattazione. Basterà notare sol-
tanto che il commercio interno era
sempre fatto per mezzo delle corpo-
razioni — non dagli artigiani isolati —
e i prezzi venivano fìssati con mutuo
accordo ; che al principio di questo
periodo, il commercio esterno si fa-
ceva esclusivamente dalla città ; che
più tardi soltanto divenne il mono-
polio della corporazione dei mercanti
e, più tardi ancora, degli individui
isolati ; che non si lavorava mai la
domenica, nò il pomeriggio del sa-
bato (giorno destinato ai bagni); che.
finalmente, l'approvvigionamento del-
le derrate principali era sempre fatto
dalla città. Quest'usanza si mantenne
per il grano, nella Svizzera sino alla
metà di questo secolo. Insomma, una
quantità immensa di documenti di
ogni specie dimostra che l'umanità
non ha mai conosciuto, nè prima nè
dopo, un periodo di benessere rela-
57 —

tivo così bene assicurato a tutti, come


lo fu nelle città libere del medio-evo.
La miseria l'incertezza e l'eccesso
di lavoro attuali, erano allora asso-
lutamente sconosciuti.
V

Con tali elementi — libertà, orga-


nizzazione dal semplice al composto,
produzione e scambio per mezzo delle
corporazioni di mestiere (guilde),
commercio esterno e acquisto di prov-
vigioni compiuto dalla città — con
tali elementi le città del medio evo,
durante i due primi secoli della loro
vita libera, diventarono fonti di be-
nessere per tutti gli abitanti e centri
di ricchezza e di civiltà, come da
allora non se ne sono mai più veduti.
Si consulti i documenti i quali per-
mettono di stabilire la tariffa di com-
penso del lavoro, comparandola, come
ha fatto Rogers per 1- Inghilterra e
moltissimi scrittori per la Germania,
— e si vedrà che il lavoro dell'arti-
giano, e anche del semplice manuale,
- 60 -

era rimunerato in quell'epoca a una


tariffa quale ai nostri giorni non
hanno raggiunto nemmeno i più a-
bili privilegiati operai. Il libro dei
conti dell'Università di Oxford e di
certe proprietà inglesi, quelli di un
gran numero di città tedesche e sviz-
zere ne fanno testimonianza.
Si consideri d'altra parte il rifiorire
delle arti e la quantità di lavoro de-
corativo che l'operaio metteva allora,
non solo nelle belle opere d'arte da
lui prodotte, ma nelle cose più sem-
plici della vita domestica, quali un
cancello, un candeliere, il vasellame,
ecc. e si vedrà che quell'operaio non
conosceva nel suo lavoro la fretta,
l'ansia di produrre di più che oggi
conosce ; e poteva fondere, scolpire,
ricamare a suo agio, come oggi è
dato di fare solo a un piccolissimo
numero di operai artisti.
E si esaminino finalmente i doni
fatti alle chiese e alle case comuni
della parocchia, della cooperazione
e della città, sia in opera ^d'arte —
— 61 —

in riquadri decorativi, in sculture,


in metallo fuso o lavorato — sia in
denaro, e si comprenderà qual grado
di benessere queste città avessero
saputo realizzare nel loro seno; si
concepirà lo spirito di ricerca e d'in-
venzione che vi regnava, il soffio di
libertà che ispirava le loro opere,
il sentimento di solidarietà fraterna
che si stabiliva in queste corpora-
zioni, in cui gli uomini di uno stesso
mestiere erano uniti non solo per il
lato commerciale e tecnico del me-
stiere, ma anche da legami di socie-
volezza, di fratellanza. Non era in-
fatti effetto delle leggi delle corpo-
razioni V usanza che due confratelli
dovessero vegliare al letto del con-
fratello malato, — ciò che in quei
tempi di malattie contagiose e di pe-
sti richiedeva molta abnegazione —
seguirlo sino alla tomba, prender
cura della sua vedova e dei suoi fi-
glioletti?
La miseria nera, Pavvilimento, l'in-
certezza del domani per i più, queste
— 62 —

giaghe che distinguono le nostre cit-


tà moderne, erano completamente
sconosciute in queste « oasi sorte nel
dodicesimo secolo, nel bel mezzo della
foresta feudale »
In queste città, all'ombra delle li-
bertà conquistate, sotto l'impulso
dello spirito di libero accordo e di
libera iniziativa, tutta quanta una ci-
viltà nuova sorge e raggiunge una
tale espansione, quale non se ne è
più vista di simile nella storia, sino
ai giorni nostri.
Tutta l'industria moderna proviene
da queste città. In tre secoli, le in-
dustrie e le arti raggiunsero una tale
perfezione, che il nostro secolo non
ha saputo superare che in quanto ri-
guarda la rapidità della produzione,
ma raramente nella qualità, e più
raramente ancora nella bellezza del
prodotto. Tutte le arti che vanamen-
te ci sforziamo di risuscitare oggi —
la beltà di Raffaello, l'audacia e la
robustezza di Michelangelo, la scien-
za e l'arte di Leonardo da Vinci, la
- dì —

poesia e la lingua di Dante, l'archi-


tettura, infine, alla quale dobbiamo
le cattedrali di Laon, di Reims e di
Colonia, delle quali, come ben disse
Victor Hugo, « il popolo tu l'artefice »,
i tesori di bellezza di Firenze e di
Venezia, i palazzi di città di Brema
e di Praga, le torri di Norimberga e
di Pisa, e così di seguito, all'infinito
— tutto ciò fu prodotto in quell'epoca.
Volete misurare d' un sol colpo
d'occhio il progresso di questa civiltà?
Paragonate la cattedrale di S. Marco
a Venezia, coli'arco rustico dei Nor-
manni, le pitture di Raffaello coi ri-
cami dei tappeti di Bayeux, gli stru-
menti matematici e fisici e gli orologi
di Norimberga cogli orologi a pol-
vere dei secoli precedenti, la lingua
sonora di Dante col barbaro latino
del secolo decimo.. - Un mondo nuovo
si era schiuso fra i due secoli!

Mai, se si eccettua l'altro periodo


glorioso delle città libere della Grecia
- 64 —

antica, l'umanità aveva fatto un si-


mile passo innanzi. Mai, in due o tre
secoli, l'uomo aveva subito una mo-
dificazione sì profonda, nè esteso tal-
mente il suo potere sulle forze della
natura.
Forse il nostro pensiero corre per
analogia alla civiltà del nostro se-
colo, di cui non si fa che vantare il
progresso. Ebbene, in ogni sua ma-
nifestazione, la nostra moderna ci-
viltà non è che la figlia della civiltà
sviluppatasi in seno ai comuni liberi.
Tutte le grandi scoperte ed inven-
zioni compiute dalla scienza moderna,
come il compasso, il pendolo, l'oro-
logio, la tipografia, le leggi sulla ca-
duta dei corpi ecc.; donde proven-
gono se non dalle città libere, dalla
civiltà che si sviluppò all'ombra delle
libertà comunali?
Si dirà forse che io dimentico i
conflitti, le lotte intestine, di cui è
piena la storia di questi comuni, i
tumulti nelle strade, le battaglie ac-
canite sostenute contro i signori, le
— 65 —

insurrezioni'delle « arti giovani » con-


tro le « arti antiche », il sangue ver-
sato e le rappresaglie ¿verificatesi in
queste lotte...
Ebbene, no, io non dimentico nulla.
Ma, come Leo e Botta, - i due sto-
rici dell'Italia Medioevale, - come Si-
smondi, Ferrari, Gino Capponi e tanti
altri, io scorgo che queste lotte fu-
rono la garanzia stessa della vita li-
bera nelle città libere.
Io scorgo un rinnovarsi di vita, un
nuovo slancio verso il progresso dopo
ciascuna di queste lotte.
Dopo aver raccontato nei loro par-
ticolari queste lotte e questi conflitti,
dopo aver così misurato l'immensità
dei progressi realizzatisi mentre que-
ste lotte insanguinavan le strade —
il benessere assicurato a tutti gli
abitanti, la civiltà rinnovata — gli
storici Leo e Botta concludevano con
questo pensiero, che così spesso mi
ritorna alla mente:
« Un comune, essi dicevano, non
presenta l'immagine di un insieme
— 66 —

morale, non si mostra universale nella


sua maniera di essere, come lo spi-
rito umano stesso, che quando ha
accolto in sè il conflitto, la opposi-
zione ».
Si, il conflitto interno liberamente
discusso e liberamente svolto, senza
che un potere esterno, lo Stato, venga
a gettare il suo peso immenso sulla
bilancia, in favore di una delle forze
che sono in lotta.
Come questi due autori, io pure
penso che « si sono spesso cagionati
maggiori mali imponendo la pace
perchè si allevano insieme cose con-
trarie, volendo creare un ordine po-
litico generale, e sacrificando le indi-
vidualità e i piccoli organismi, per as-
sorbirli in un vasto corpo senza co-
lore e senza vita ».
Ecco perchè i comuni — finché non
cercarono da se stessi di diventa-
re degli Stati, e d'imporre d'intorno
a loro la sottomissione * in un vasto
corpo senza colore e senza vita », —
ecco perchè si sviluppavano,uscivano
- 67 —

ringiovaniti da ogni lotta e fiorivano


al cozzo delle armi nelle strade; men-
trechè, due secoli dopo, questa stessa
civiltà si sfasciava al rumoreggiar
delle guerre generate dallo Stato.
Nel Comune la lotta era per la
conquista e il mantenimento della li-
bertà individuale, per il principio
federativo, per il diritto di unirsi e
di agire; ed invece le guerre degli
Stati avevano per iscopo di annien-
tare questa libertà, di sottomettere
r individuo, di distruggere il libero
accordo, di unire gli uomini in uno
stesso servaggio di fronte al re, al
giudice, al prete allo Stato.
Qui risiede tutta la differenza. Vi
sono lotte e conflitti che uccidono;
e ve ne sono di quelli che lanciano
innanzi l'umanità.
VI.

Nel sedicesimo secolo, dei barbari


moderni vennero a distruggere tutta
questa civiltà delle città medio-evali.
Forse questi barbari non riuscirono
a distruggerla, ma, purtuttavia, ne
impedirono il progredire per due o
tre secoli, e la rivolsero verso una
nuova direzione.
Costoro assoggettarono V individuo
gli tolsero tutte le sue libertà e gli
richiesero di dimenticare le unioni
che prima egli aveva basato sulla li-
bera iniziativa e sul libero accordo,
e non ebbero altro scopo che di li-
vellare la società intera in una stessa
soggezione al padrone. Distrussero
ogni legame fra gli uomini, dichia-
rando che solo lo Stato e la Chiesa
dovevano d'ora innanzi formare Tu
nionc t r a i sudditi; che soli la Chiesa
e lo Stato avevan missione di ve-
gliare sugli interessi industriali com-
merciali, giudiziari, artistici, passio-
nali, per i quali gli uomini prima
erano invece abituati ad unirsi di-
rettamente.
E chi sono questi barbari ? — E'
lo Stato: la triplice alleanza final-
mente costituitasi del capo militare,
del giudice romano e del prete: i tre
che formano una mutua assicurazione
per dominare, i tre uniti in una stessa
potenza, la quale comanderà in nome
degli interessi della società e schiac-
cerà questa vSocietà stessa.

Naturalmenteaccade di domandarsi
come mai questi nuovi barbari ab-
biano potuto aver ragione dei co-
muni, pur già così potenti, e dove
attinsero la forza per operare tale
conquista.
Questa forza essi la trovarono dap-
- 71 —

primanel villaggio campagnuolo. Non


diversamente dai comuni della Grecia
antica, i quali non seppero abolire
la schiavitù, i comuni del medio evo
non seppero emancipare il contadino
dalla schiavitù, contemporaneamente
al cittadino.
E' vero che quasi dappertutto, nel
momento della sua emaucipazionc,
il cittadino — artigiano e coltivatore
nel tempo stesso — aveva procurato
di trascinar le campagne a coope-
rar seco nella sua opera di emanci-
pazione. In Italia, in Spagna, in Ger-
mania, i cittadini sostennero durante
due secoli una guerra accanita con-
tro i signori feudali, nella quale i
borghesi dieder prova di prodigi, di
eroismo e di perseveranza. Essi si
facevano uccidere per impadronirsi
di quei ridotti del feudalismo che
erano i castelli, ed abbattere la fo-
resta feudale che li circonda.
Però non riuscirono che a metà.
Stanchi di guerreggiare, conclusero
finalmente la pace sacrificando sul-
altare di essa la testa del contadino
il quale venne dato in balìa del si-
gnorotto, al di fuori del territorio
conquistato dal Comune. In Italia e
in Germania finirono per accettare
anzi fra loro il signore semiborghese
a condizioni che stabilisse la sua re-
sidenza nel comune. In altre località
finirono col dividere il suo dominio
col contadino. E i signori si vendi-
carono di questa plebe odiata e di-
sprezzata, insanguinando le vie delle
sue città e dei suoi comuni colle lotte
e colle vendette di famiglia, le quali
non venivano portate innanzi al sin-
daco e di giudici comunali, ma deci-
devansi col ferro, nella via.
E i signori portarono inoltre la
demoralizzazione in mezzo a questo
popolo, coi loro sfarzi, coi loro in-
trighi, le loro abitudini signorili, e
la loro educazione ricevuta alla corte
del vescovo o del re. Lo resero so-
lidale nelle loro lotte. E il borghese
finì per imitare il signore, e divenne
alla sua volta signore, arricchendosi
- 73 —

anch'egli del lavoro dei servi cam-


p a g n o l i dei villaggi.
Dopo di che avvenne che i conta-
dini prestassero naturalmente man
forte ai re, agli imperatori, ai czar
nascenti e ai papi, quando costoro si
diedero a ricostrurre il loro reame
per dominar la città. E dove non si
misero agli ordini di questi potenti,
li lasciarono però fare.

E così la monarchia si venne len-


tamente formando nella campagna,
in qualche castello situato in mezzo
a popolazioni campagnuole. Nel do-
dicesimo secolo essa non esisteva che
di nome, e noi sappiamo bene oggi
quel che si deve pensare dei pez-
zenti, capi di piccole bande di bri-
ganti, le quali si fregiavano del nome
di re, che, del resto, come l'ha così
ben dimostrato Agostino Thierry, non
voleva dire gran cosa a quell'epoca-
Lentamente, procedendo a tastoni,
- 74 —

un barone più potente e più furbo


degli altri riusciva qua e là ad ele-
varsi al di sopra degli altri. La chiesa
si affrettava indubbiamente a soste-
nerlo. E così colla forza, coll'astuzia
col denaro, colla spada e, in caso di
bisogno, col veleno, uno di questi
baroni feudali s'ingrandiva alle spalle
degli altri. Ma l'autorità regale non
riuscì mai a stabilirsi in alcuna delle
città libere, che avevano il loro foro
chiassoso, la loro rupe Tarpea o il
loro fiume per i tiranni ; essa si fondò
bensì nelle campagne.
Dopo aver tentato invano di costi-
tuirsi a Reims o a Lione, quest'au-
torità regale si formò invece a Pa-
rigi, - agglomerazione di villaggi e
di borghi circondati da ricche cam-
pagne, le quali non avevano ancora
conosciuto la vita delle città libere;
e si formò a Westminster, alle porte
della popolosa città di Londra; al
Kremlino costrutto in mezzo ai ric-
chi villaggi sulle rive della Moskova,
dono aver fallito a Sousdal e a Wla-
A
— 75 —

dimir. Mai però riusci a consolidarsi


a Novgorod o a Pokof, a Norimberga
o a Firenze. I contadini dei dintorni
fornivano ai principotti il grano, i
cavalli e gli uomini; e il commercio
- regale, non comunale - aumentava
le loro ricchezze.
La Chiesa li circondò delle sue cure:
li protesse, venne loro in aiuto coi
vSuoi tesori, inventò il santo protet-
tore della località e i suoi miracoli.
Circondò della sua venerazione no-
stra Signora di Parigi e la Vergine.
d1 Iberia a Mosca, E mentre la civiltà
delle città libere, emancipatesi dai
vescovi, prendeva il suo slancio gio-
vanile, la Chiesa lavorò tenacemente
a ricostruire la sua autorità per mez-
zo del principato allora nascente, cir-
condando di cure, di omaggi e di
scudi la culla della famiglia di colui
ch'essa aveva scelto finalmente a ri-
pristinare, per suo mezzo, la propria
autorità ecclesiastica. A Parigi, a Mo-
sca, a Madrid, a Praga voi la vedete
rhina sulla culla della monarchia con
- 76 —

la sua face accesa in mano. E la ve-


dete tenace nella sua impresa, forte
nella sua educazione statolatra, pra-
tica dell'intrigo e del diritto romano
e bizantino,avanzare incessantemente
verso il suo ideale : il re israelita, as-
soluto, il quale però obbedisca al gran
sacerdote e non altro sia che il brac-
cio secolare dei potere ecclesiastico.
Nel sedicesimo secolo, questo lento
lavoro dei due congiurati è già in
pieno vigore. Un re domina sugli al-
tri baroni, suoi rivali, e questa forza
piomberà sulle città libere per schiac-
ciarle alla lor volta.

D'altra parte, le città del sedice-


simo secolo non erano più quali erano
state nel dodicesimo, tredicesimo e
quattordicesimo secolo.
Benché nate dalla rivoluzione li-
bertaria, non ebbero il caraggio di
propagare le loro idee di ugaglianza
nelle campagne vicine, e nemmeno
fra coloro che erano venuti a stabi-
lirsi più tardi nei loro recinti, asili
di libertà, per crearvi le arti indu-
striali.
Infatti, si riscontra in tutte le città
una distinzione tra le vecchie fami-
glie che avevano fatto la rivoluzione
del dodicesimo secolo — dette « le
famiglie» semplicemente — e quelle
che erano venute a stabilirsi più tardi
nelle città. La vecchia « guilda dei
mercanti » non intende ricevere i
nuovi venuti e rifiuta d'incorporare
le « arti giovani » per il commercio.
E così da semplice commessa della
città, quali'era quando faceva per
conto di tutti i cittadini il commer-
cio col di fuori, essa diventa la me-
diatrice, l'intermediaria che si arric-
chisce nel commercio lontano, im-
porta il fasto orientale e più tardi,
si allea col signore borghese e col
prete, oppure cerca appoggio presso
la nascente potestà regale per man-
tenere il suo diritto all'arricchimen-
to, al monopolio. Diventato perso-
- 78 —

naie, il commercio uccide la città


libera.
Le gailde degli antichi mestieri
dei quali si componeva in sul prin-
cipio la città e il suo governo, non
vogliono riconoscere gli stessi diritti
alle giovani guilde formatesi più tardi
per opera dei giovani mestieri. Co-
storo debbono conquistarsi i loro di-
ritti per mezzo di una rivoluzione. E
questa essi fanno dappertutto. Ma se
questa rivoluzione diventa, per la
maggior parte, il punto di partenza
di un rinnovamento di tutta la vita,
di tutte le arti (come bene si vede
a Firenze), in altre città essa finisce
colla vittoria del popolo grasso sul
popolo basso — compiuta con le op-
pressioni le deportazioni in massa ed
esecuzioni, specialmente quando se
ne immischiano i signori ed i preti,
E, occorre dirlo, il re prenderà a
pretesto lei difesa del « basso popolo »
per schiacciare il « popolo grasso »,
e soggiogarli l'uno e l'altro quando
si sarà reso padrone della citta.
- 79 —

E poi le città dovevano morire


perchè « le idee stesse degli uomini
avevano cambiato ». L'insegnamento
del diritto canonico e del diritto ro-
mano le avevano pervertite.
L'europeo del dodicesimo secolo
era esenzialmente federalista. Uomo
di libera iniziativa, di libera intesa,
di unioni volute e liberamente con-
sentite, egli vedeya in se stesso il
punto di partenza di tutta la società.
Egli non cercava la sua salvezza nel-
l'obbedienza, non domandava un sal-
vatore della società. L'idea di disci-
plina, foss'essa cristiana o romana,
gli era sconosciuta.
Ma sotto l'influenza della Chiesa
cristiana — sempre amante d'auto-
rità, sempre gelosa d'imporre il suo
dominio sulle anime e, sovratutto
sulle braccia dei fedeli - e, inoltre
sotto V influenza del diritto romano
che già, sin dal dodicesimo secolo,
fa breccia alla corte dei potenti si-
gnori, re e papi e che diventa ben
presto lo studio favorito delle Uni-
- 80 —

versità — sotto l'influenza di questi


due insegnamenti che van si bene
d'accordo, benché nemici accaniti alla
loro origine, gli spiriti si corrompo-
no e si depravano, a mano a mano
che il prete e il legislatore trion-
fano.
L'uomo diventa amante della auto-
rità. Quando una rivoluzione nei bas-
si mestieri si compie in un comune,
il comune chiama un salvatore, e si
dà da se stesso un dittatore, un Ce-
sare municipale, al quale accorda
pieni poteri per sterminare il partito
opposto. E colui ne approfitta con
tutte le raffinatezze di crudeltà sugge-
ritegli dalla Chiesa o dagli esempi
riportati dai reami dispotici dell'O-
riente.
La Chiesa indubbiamente lo favo-
risce e lo appoggia. Non ha sempre
essa infatti sognato il re biblico, che
s'inginocchia innanzi al gran sacer-
dote e ne è lo strumento docile? Non
ha essa odiato con tutte le sue forze
quelle idee di razionalismo che re-
- 81 -

gnavano nelle città' libere all'epoca


del primo rinascimento (quello del
dodicesimo secolo), e quindi quelle
idee « pagane » che, sotto V influenza
della nuova scoperta della civiltà
greca riconducevano l'uomo alla natu-
ra; le quali idee più tardi, in nome del
cristianesimo primitivo, sollevarono
gli uomini contro il papa, il prete e
il culto in generale ? Il fuoco, la ruota,
la forca, queste armi così care in
ogni tempo alla Chiesa — furono
messe in opera contro gli eretici ! E
qual ne fosse stato lo strumento e-
secutore — papa, re o dittatore —
poco le importò : le bastò che il fuoco,
la ruota e la forca funzionassero con-
tro gli eretici 1 E intanto, sotto que-
sto doppio addomesticamento ope-
rato dal legislatore romano e dal
prete, lo spirito federalista, lo spirito
di iniziativa e di libero accordo si
spegneva per dar posto allo spirito
di disciplina e di organizzazione au-
toritaria. Tanto il ricco che il plebeo
sospiravano un salvatore.
- 82 —

E quando il salvatore si presentò,


quando il re — arricchitosi lungi dal
chiasso del foro, in qualche città da
lui creata — con l'appoggio della
Chiesa ricchissima e seguito dai no-
bili conquistati e dai contadini, bussò
alle porte delle città libere, promet-
tendo al « basso popolo » la sua alta
protezione contro i ricchi, ed ai ricchi
obbedienti la sua protezione contro
i poveri insorti, allora le città, ròse
già di per se stesse dal cancro del-
l'autorità non ebbero la forza di re-
sistergli.

Inoltre i Mongoli avevano, nel tre-


dicesimo secolo, conquistato e deva-
stato l'Europa orientale: ed un im-
pero si veniva formando a Mosca
sotto la protezione dei Kan tartari
e della Chiesa cristiana russa. I Tur-
chi s'erano venuti a stabilire in Euro-
pa, spingendosi nel 1453 fin sotto
Vienna ; e Stati potenti si costitui-
83

vano in Polonia, in Boemia, in Un-


gheria, al centro dell'Europa. All'al-
tra estremità dell' Europa, la guerra
di sterminio condotta contro i Mori
in Spagna, permetteva a un altro
impero potente di costituirsi con l'ap-
poggio della Chiesa romana, che met-
teva a suo servizio V Inquisizione.
Queste invasioni e queste guerre con-
ducevano forzatamente l'Europa in
una nuova fase, quella degli Stati
militari.
E poiché gli stessi comuni diven-
tavano tanti piccoli Stati, per forza
doveva accadere che i piccoli Stati
fossero inghiottiti dai grandi...
VII.

La vittoria dello Stato sui Comuni


e sulle istituzioni federaliste del me-
dio evo non fu pur tuttavia imme-
diata. Anzi vi tu un momento in cui
tale vittoria fu così minacciata, da
parer dubbiosa.
Un immenso movimento popolare-
religioso in quanto alla sua forma
e alla sua espressione, ma eminen-
temente ugualitario e comunista nelle
sue aspirazioni — si produsse nelle
città e nelle campagne dell'Europa
centrale,
Già nel quattordicesimo secolo (nel
1358 in Francia e nel 1381 in Inghil-
terra) si erano verificati due grandi
movimenti simili. Le due potenti in-
surrezioni della Jacquerie e dei Wat
Tyler avevano scosso la società sin
- 86 —

dalle sue fondamenta. L'una e l'altra


insurrezione erano state dirette Drin-
cipalmente contro i signori. Benché
vinte entrambe, la sollevazione dei
contadini d'Inghilterra aveva posto
fine al servaggio, e la Jacquerie in
Francia l'aveva talmente ostacolato
nel suo sviluppo, che da allora in-
nanzi l'istituzione del servaggio non
potò far più altro che vegetare senza
mai raggiungere lo sviluppo a cui
essa arrivò più tardi in Germania e
nell'Europa Orientale.
Intanto un movimento simile si ef-
fettuava nel centro dell'Europa. Sot-
to il nome di movimento hussista(l)
in Boemia, di anabattismo in Ger-
mania, in Svizzera e nei Paesi Bassi,
e di « tempi sconvolti » (2) in Russia

(1) Da Giovanni Huss, iniziatore del movi-


mento di Riforma in Boemia.
N. d. S.
(2) I « tempi sconvolti » in Russia, al prin-
cipio del XVII. secolo, furono un movimento
analogo, contro il servaggio dello Stato» ma
senza carattere religioso,
N. d. A.
- 87 -

(nel secolo seguente), fu — oltre alla


rivolta contro il signore — una ri-
volta contro lo Stato e la Chiesa,
contro il diritto romano e canonico,
in nome del cristianesimo primitivo.
Questo movimento, per tanto tem-
po travisato, dagli storici di stato ed
ecclesiastici, comincia appena ad es-
ser compreso oggi.
La libertà assoluta dell* individuo
— il quale non deve obbedire che
alla propria coscienza, — e il comu-
nismo, furono la parola d'ordine di
questa sollevazione. E non fu che più
tardi, dopo che lo Stato e la Chiesa
riuscirono a sterminare i suoi più
ardenti partigiani, e a sfruttarlo a
loro profitto, che questo movimento,
rimpicciolito e privato del suo ca-
rattere rivoluzionario, diventò la Ri-
forma di Lutero.
Esso cominciò coll'anarchismo co-
munista, predicato e messo in pratica
in alcune località. E, se si passa so-
pra alle formule religiose, che furo-
no un tributo reso all'epoca, vi si

i
- 88 —

trova l'essenza stessa della corrente


d'idee che noi rappresentiamo, in
questo momento : la negazione di
tutte le leggi dello Stato, e divine ;
il Comune, padrone assoluto dei suoi
destini, che riprende ai signori tutte
le terre e rifiuta ogni canone alio
Stato; il comunismo infine e l'egua-
glianza messa in pratica. Così, quan-
do si domandava a Denck, uno dei
filosofi del movimento anabattista,
s'egli non riconoscesse l'autorità del-
la Bibbia, egli rispondeva che sol-
tanto la regola di condotta che
ogni individuo trova, per sè, nella
Bibbia, è per esso obbligatoria. E
tuttavia queste formule stesse, così
vaghe, prese a prestito dal gergo
ecclesiastico, — questa autorità « del
libro alla quale si richiedono così
facilmente gli argomenti prò e con-
tro il c omunismo, prò e contro l'au
torità, e così indecisi quando si tratta
di fare nette affermazioni di libertà —
questa stessa tendenza religiosa non
racchiudeva già in germe la sconfitta
sicura della sollevazione ?
- 89 -

Nato nelle città, questo movimento


si estese ben presto alle campagne.
I contadini si rifiutavano di obbedire
a cbicchesia e, piantando una vecchia
scarpa su di una picca a guisa di
bandiera, riprendevano le terre ai
signori, spezzavano i legami del ser-
vaggio, scacciavano prete e giudice
e si costituivano in Comuni. E non
fu che per mezzo del rogo, della ruo-
ta e della forca, e per mezzo dei
massacri di centinaia di migliaia di
contadini, compiuti in pochi anni,
che il potere regale o imperiale, al-
leato a quello della Chiesa papale o
riformata, — giacché Lutero eccita-
va al massacro dei contadini più vio-
lentemente ancora del papa — mise
termine a queste sollevazioni, che
avevano per un istante minacciato la
costituzione degli Stati nascenti.
Sorta dall'anabattismo popolare, la
Riforma luterana, poi che fu appog-
giata dallo Stato, massacrò il popolo
e schiacciò il movimento dal quale
essa aveva, nel suo inizio, preso for-
7
- 90 —

za. I resti di quest'immensa ondata


si rifugiarono nelle comunità dei «Fra-
telli Moravi », le quali, alla lor volta
furono, 100 anni dopo, distrutte dalla
chiesa e dallo stato. Quelli fra loro
che non furono sterminati andarono
a chiedere asilo, gli uni al sud-est
della Russia gli altri in Groenlandia,
dove poterouo continuare sino ai no-
stri giorni a vivere in comunità, ri-
fiutando di rendere qualunque servi-
gio allo Stato.

Lo Stato, ormai, aveva assicurato


la sua esistenza. Il legislatore, il prete
e il signore-soldato, costituitisi in
alleanze solidali intorno ai troni, po-
tevano, d'ora innanzi, compiere la
loro opera di distruzione.
Quante menzogne accumulate dagli
storici stipendiati dallo Stato, intor-
no a questo periodo !
Non abbiamo, infatti, noi tutti im-
parato, per esempio, alla scuola, che
_ Q1 _

lo Stato aveva reso il grande servi-


gio di costruire, sulla rovina della
società feudale, le unioni nazionali,
rese alti a volta impossibili dalle ri-
valità cittadine? Tutti l'abbiamo im-
parato alla scuola, e quasi tutti l'ab-
biamo creduto nell'età matura.
Ed invece apprendiamo oggi che,
malgrado tutte le loro rivalità, le
città medioevali avevano già lavorato
durante quattro secoli a costruire
queste unioni, per mezzo della fede-
razione voluta, liberamente consen-
tita, e che esse vi erano riuscite.
L'unione lombarda, per esempio,
comprendeva le città dell'alta Italia,
e aveva la sua cassa? federale, cu-
stodita a Genova e a Venezia. Altre
federazioni coprivano l'Europa, quali
l'unione Toscana, l'unione Renana,
(che comprendeva sessanta città), le
federazioni della Westfalia, d e l l a
Boemia, della Serbia, della Polonia»
delle città Russe. Nello stesso tempo,
l'unione commerciale dell'Hansa com-
prendeva le città scandinave, tede-
— 92 —

sche, polacche e russe di tutto il ba-


cino del Baltico. Vi erano già in tali
unioni tutti gli elementi, nonché il
fatto stesso, di larghe agglomerazioni
umane liberamente organizzate.
Volete voi la prova vivente di tali
aggruppamenti ? L'avete nella Sviz-
zera ! Colà l'unione si affermava dap-
prima tra i comuni di villaggio (i
vecchi Cantoni), non diversamente di
come essa si costituiva in Francia alla
stessa epoca nel Laonnois. E poiché
in Svizzera la separazione fra la città
e il villaggio non è mai stata così
profonda come per quelle di grande
commercio lontano, le città dettero
man forte all'insurrezione dei conta-
dini del sedicesimo secolo, e l'unione
comprese città e villaggi per costi-
tuire una federazione che si è con-
servata sino ai nostri giorni.
Ma lo Stato, per il suo principio
stesso, non può tollerare la federa-
zione libera, la quale rappresenta
questa cosa orrenda per l'uomo di
legge « Lo Stato nello Stato. » Lo
- 93 —

Stato non riconosce una unione libe-


ramente consentita che funzioni nel
suo seno : esso non riconosce che
sudditi. Esso soltanto, e la sua so-
rella Chiesa, vogliono usare del di-
ritto di servire come legame di con-
giunzione tra gli uomini.
Per conseguenza, lo Stato deve
forzatamente annientare le città, ba-
sate sull'unione diretta fra cittadini,
Deve abolire ogni unione nelle città,
abolire la città stessa, deve sostitui-
re infine al principio federativo il
principio di sottomissione e di disci-
plina .
Questa è la sua sostanza stessa, e
senza tale principio cesserebbe di
essere Stato.
E il sedicesimo secolo — secolo di
massacri e di guerre — si riassume
interamente in questa lotta dello
Stato nascente contro le città libere
e le loro federazioni. Le città sono
assediate, prese di assalto, date al
saccheggio, e i £loro abitanti sono
decimati o espulsi.
- 94 —

Lo Stato riporta vittoria su tutta


la linea. Ed eccone le conseguenze:
Al quindicesimo secolo, 1' Europa
era coperta da ricche città, i cui ar-
tefici, i muratori, i tessitori e i ce-
sellatori, producevano meravigliose
opere d'arte; le cui Università pone-
vano le fondamenta delia scienza; le
cui carovane percorrevano i conti-
nenti, e i cui navigli solcavano i
mari e i fiumi.
Che cosa rimase di tutto questo
due secoli dopo ?5 Città che avevan
contato sino a cinquanta e centomi-
la abitanti e che avevano posseduto
— come Firenze — più scuole e più
letti negli ospedali comunali per
ogni abitante, di quel che ne pos-
seggono oggi le città sotto questo
rapporto meglio fornite, sono dive-
nute borgate in rovina. Dopo averne
massacrato e deportato gli abitanti
lo Stato s'impadronisce delle loro
ricchezze. L'industria, sotto la tutela
minuziosa degli impiegati dello Sta-
to, si spegne. Il commercio muore.
- 95 —

Le strade stesse, che una volta col-


legavano queste città tra loro, diven-
gono assolutamente impraticabili nel
diciasettesimo secolo.
Lo Stato è la guerra. E le guerre
devastano l'Europa, finendo di rovi-
nare le città che lo Stato non ha an-
cora rovinato direttamente. I villag-
gi avevano almeno guadagnato qual-
cosa nella concentrazione statale ?
No, certo !
Leggete ciò che ci apprendono gli
storici sulla vita di campagna della
Scozia, della Toscana, della Germa-
nia nel quattordicesimo secolo, e pa-
ragonate le loro descrizioni d' allora
con quelle della miseria in Inghil-
terra air approssimarsi del 1648, in
Francia sotto il regno del « re sole »
Luigi XIV, in Germania, in Italia,
dappertutto, dopo cento anni di do-
minazione statale.
La miseria dappertutto. Tutti sono
unanimi nel riconoscerla, nel segna-
larla. Laddove la servitù era stata
abolita, essa si ricostituisce sotto
mille'forme nuove; e colà dove non
era stata ancora distrutta, essa si mo-
della, sotto Tegida dello Stato, in una
istituzione feroce, la quale conserva
tutti i caratteri della schiavitù an-
tica, e anche peggiore.
E poteva risultar altra cosa, se la
prima preoccupazione dello Stato fu
quella di annientare il comune di vil-
laggio dopo la città, di distruggere
tutti i legami che esistevano fra con-
tadini, di abbandonare le loro terre
al saccheggio dei ricchi e di sotto-
metterli, ognuno individualmente, al
funzionario, al prete, al signore?
Vili.

Annientare 1 1 indipendenza delle


città; saccheggiare le ricche corpo-
razioni di negozianti e di artigiani ;
accentrare nelle sue mani il com-
mercio esterno della città e rovinar-
lo ; impadronirsi di tutta 1' ammini-
strazione interna delle guilde e sot-
tomettere il commercio interno non-
ché la fabbricazione di ogni cosa a
un nugolo di funzionari, e uccidere
in tal modo le arti e l'industria; im-
padronirsi delle milizie locali e dì
tutta l'amministrazione municipale ;
schiacciare il debole a vantaggio del
forte per mezzo delle imposte; e ro-
vinare i paesi con le guerre: tale fu
il compito dello Stato nascente nei
secoli sedicesimo e diciasettesimo
di fronte alle agglomerazioni citta-
dine.
- 98 —

E, naturalmente la stessa tattica fu


adottata verso i villaggi e verso i
contadini. Non appena lo Stato se
ne sentì la forza, si affrettò a distrug-
gere il comune di villaggio, a .^rovi-
nare i contadini caduti in sua balìa
e a mettere a saccheggio le terre co-
munali.

Gli storici e gli economisti stipen-


diati dallo Stato ci hanno appreso
come il comune di villaggio, essendo
diventato una vieta forma di posses-
so del suolo, ostacolante i progressi
dell'agricoltura, dovesse sparire sotto
l'azione delle forze economiche na-
turali. I politicanti e gli economisti
borghesi non si stancano anche og-
gidì di ripeterlo ; e vi sono perfino
dei rivoluzionari e dei socialisti —
quelli che la pretendono a scientifi-
ci — che recitano questa favola
convenzionale imparata a scuola.
Ebbene, non fu mai affermata dal-
- 99 —

la scienza una più odiosa menzogna.


E menzogna voluta, imperocché la
storia abbonda di documenti per
provare, a chi vuoi conoscerli, - per
la Francia, per esempio, basterebbe
quasi di consultare Dalloz - come il
comune di villaggio fu dapprima
spogliato dallo Stato di tutte le sue
attribuzioni, della sua indipendenza,
del potere giuridico e legislativo, e
in seguito le sue terre furono, o bra-
vamente rubate dai ricchi sotto la
protezione dello Stato, oppure di-
rettamente confiscate dallo Stato
stesso.
In Francia, il saccheggio cominciò
dal sedicesimo secolo e continuò,
sempre in aumento, sino al secolo
posteriore. Fin dal 1659 lo Stato pren-
deva i comuni sotto la sua alta tu-
tela, e basta consultare l'editto ema-
nato da Luigi XIV nel 1667 per co-
noscere qual saccheggio di beni co-
munali si facesse fin da quell* epoca.
— « Ognuno si è regolato secondo il
suo interesse... sono stati divisi... per
- 100 —

spogliare i comuni si è fatto uso di


debiti simulati > - diceva il «Re-sole»
in quell'editto..., e due anni dopo con-
fiscava a proprio profitto tutte le
rendite dei comuni. — E' ciò che in
linguaggio sedicente scientifico si
chiama « morte naturale ».
Nel secolo seguente si giudica che
della metà, almeno, delle suddette
terre comunali s'impadronirono sem-
plicemente, sotto la protezione dello
Stato, i nobili e il clero. Eppure si-
no al 1787 il comune continuò ad
esistere. L' assemblea del villaggio
si radunava sotto l'olmo tradizionale,
assegnava le terre, ripartiva le tas-
se, e voi potete trovarne i documen-
ti in Babeau, nella sua opera: il vil-
laggio sotto l'antico regime. Turgot,
nella provincia di cui era intenden-
te, aveva però trovato « troppo ru-
merose» le assemblee di villaggio, e
le aveva abolite nella sua intenden-
za, per sostituirvi delle assemblee
elette fra i maggiorenti del villag-
gio. E tale misura fu resa generale
- 101 —

dallo Stato, nel 1787, alla vigilia del-


la Rivoluzione. Il mir (capo del vil-
laggio) fu abolito, e gli affari dei co-
muni caddero così nelle mani di al-
cuni sindaci, eletti fra i più ricchi
borghesi e contadini.
La Costituente si affrettò a con-
fermare questa legge nel dicembre
1789, e i borghesi si sostituirono al-
lora ai signori per spogliare i co-
muni di ciò che rimaneva loro di
terre comunali.
Furono necessarie allora insurre-
zioni su insurrezioni per costringere
la Convenzione, nel 1792, a ratificare
ciò che i contadini insorti avevano
compiuto nella parte orientale del-
la Francia. La Convenzione cioè or-
dinò che le terre comunali venisse-
ro restituite ai contadini - cosa che
si effettuò solo « colà dove essa era
già stata fatta rivoluzionariamente».
E' la sorte, lo sapete bene, di tutte
le leggi rivoluzionarie, le quali non
entrano in vigore che là dove il fat-
to è stato già compiuto.
- 102 —

Tuttavia la Convenzione non man-


cò cT infiltrare un po' del suo fiele
borghese anche in questa legge. Co-
sì ordinò che queste terre, riprese
dai signori, sarebbero divise in par-
ti eguali tra i « cittadini attivi » sol-
tanto, cioè tra i borghesi del villag-
gio. In tal modo, con un tratto di
penna, essa spogliava i « cittadini
passivi », cioè la massa dei contadi-
ni impoveriti, i quali avevano mag-
giormente bisogno di quelle terre
comunali. In seguito a che, fortuna-
tamente, nuova sommossa e nuova
legge della Convenzione, la quale
ordinava nel 1793 la divisione delle
terre, tra tutti gli abitanti ; la qual
cosa anche non fu fatta mai, ma ser-
vì di pretesto a nuovi ladrocini del-
le terre comunali.

Non sarebbero bastate tali misure


per provocare ciò che quei signori
chiamano la morte naturale del co-
- 103 —

mune ? ' E p p u r e il comune viveva


sempre. Tanto che il 24 Agosto 1794,
la reazione, giunta al potere, effettuò
il gran colpo. Lo Stato confiscò tut-
te le terre dei comuni, e ne fece un
fondo di garanzia del debito pubbli-
co, mettendole all'asta e consegnan-
dole alle sue creature, gli uomini di
Termidoro.
11 2 pratile, anno V, dopo tre anni
di cuccagna, tale legge fu fortuna-
tamente abrogata. Ma, nello stesso
tempo, i comuni vennero aboliti, e
li si sostituì con i consigli cantonali,
affinchè lo Stato potesse più facil-
mente introdurvi le sue creature. Ciò
durò sino al 1801, quando i comuni
di villaggio furono ripristinati ; ma
allora il governo si incaricò esso
stesso di nominare i sindaci in cia-
scuno dei 36000 comuni ! E tale as-
surdità si prolungò'sino alla Rivolu-
zione del Luglio 1830; dopo la quale
fu rimessa in vigore la legge del
1789. E frattanto le terre comunali
furono di nuovo confiscate intera-
- 104 —

mente dallo Stato nel 1813, e sac-


cheggiate di nuovo durante tre an-
ni. Quel che ne rimase non fu resti-
tuito ai comuni che nel 1816.
Pensate voi che la sia finita? Nem-
meno per sogno 1 Ogni nuovo regi-
me ha visto nelle terre comunali una
fonte di compenso per i suoi parti-
giani. Così dal 1830, per tre volte di
seguito, — la prima volta nel 1837 e
l'ultima sotto Napoleone III — furo-
no promulgate leggi per costringere
i contadini a dividere ciò che rima-
neva loro di foreste e di pascoli co-
munali, e per tre volte lo Stato fu
costretto di abrogar queste leggi, a
cagione della resistenza dei conta-
dini. Purtuttavia, Napoleone III ne
seppe approfittare per carpire alcu-
ne vaste proprietà e farne dono ad
alcune sue creature.
Questi son fatti. Ed ecco ciò che
quei signori chiamano in linguaggio
«scientifico», la morte naturale del
possesso comunale, « sotto r influen-
za delle leggi economiche ». Tanto
- I n -

varrebbe chiamar morte naturale il


massacro di centomila soldati sul
campo di battaglia!
Ebbene, ciò che si fece in Francia,
si fece nel Belgio, in Inghilterra, in
Germania, in Austria, dappertutto
in Europa, ad eccezione dei paesi
slavi.
Persino le epoche di recrudescen-
za del saccheggio dei comuni si cor-
rispondono nell'Europa occidentale !
Solo i sistemi cambiano. Così in In-
ghilterra, non si osò procedere per
mezzo di procedimenti generali ; si
preferì far passare dinanzi al Parla-
mento qualche migliaio di enclosu-
re acts separati,* per mezzo dei quali
in ogni caso speciale, il Parlamento
sanzionò la confisca — e lo fece an-
che ai nostri giorni — e conferì al
signore il diritto di conservare le
terre comunali che avesse circonda-
to d'un recinto. E, benché la natura
abbia rispettato fino ad oggi i solchi
ristretti che dividevano temporanea-
mente i campi comunali fra le di-
«
- 106 —

verse famiglie del villaggio in In-


ghilterra, benché noi abbiamo nei
libri di un certo Marshall delle de-
scrizioni precise di questa forma di
possesso al principio di questo seco-
lo, non mancano dei dotti (quale
Seebohm, degno emulo di Fustel de
Coulanges), i quali vogliono sostene-
re e insegnare cne il comune non è
mai esistito in Inghilterra altro che
come una forma di servitù!
In Belgio, in Germania, in Italia,
in Ispagna noi ritroviamo gli stessi
procedimenti. E, in un modo o nel-
T altro, r appropriazione personale
delle terre già comunali é quasi un
fatto compiuto verso il 1850. Delle
loro terre comunali non sono rima-
sti ai contadini che i brandelli.
Ecco il modo col quale questa mu-
tua associazione tra il signore, il
prete, il soldato, il giudice, - lo Sta-
to - ha proceduto verso i contadini
per spogliarli della loro ultima ga-
ranzia contro la miseria e l'asservi-
mento economico-
— 107

Però, mentrechè organizzava e san-


zionava tale saccheggio, poteva al-
meno lo Stato rispettare l'istituzione
del. comune come org;ino di vita lo-
ca ie? — Evidentemente no.
Ammettere che dei cittadini pos-
sano costituire tra loro una federa-
zione, che s'impadronisca di qualche
funzione dello Stato, sarebbe stato
una contradizione in termini. Lo Sla-
to richiede ai suoi sudditi la sotto-
missione diretta, personale, senza in-
termediari; lo Stato vuole l'ugua-
glianza nella servitù e non può am-
mettere « lo Stato nello Stato ».
Cosicché, da quando lo Stato co-
minciò a costituirsi nel sedicesimo
secolo, lavorò a distruggere tutti i
vincoli di unione che esistevano fra
cittadini, sia nella città, sia nel vil-
laggio. Se tollerava, sotto il nome
di istituzioni municipali, qualche ve-
stigio d'autonomia — non mai di in-
dipendenza — lo fece unicamente per
uno scopo fiscale, per sgravare d'al-
trettanto il bilancio centrale ; oppu-
— 108 —

re per permettere ai pezzi grossi del-


la provincia di arricchirsi alle spese
del popolo, come è avvenuto in In-
ghilterra sino a questi ultimi anni e
accade ancora nelle istituzioni e nei
costumi,
E si capisce. La vita locale è fatta
di diritto d' usanza, mentrechè V ac
centramento dei poteri è di diritto
romano. I due non possono vivere
accanto, e questo doveva uccidere
quello.
Per questo in Algeria, sotto il re-
gime francese, quando una djemmah
kabila — un comune di villaggio —
vuole assumere la difesa per le sue
terre, ogni abitante del comune de-
ve querelarsi isolatamente dinnanzi
ai tribunali, i quali giudicheranno
cinquanta o duecento questioni iso-
late, piuttostochè accettare la quere-
la collettiva della djemmah. Il codi-
ce giacobino della Convenzione (cono-
sciuto sotto il nome di Codice Na-
poleonico) non riconosce punto il di-
ritto d7 usanza : non riconosce che
- 109 —

il diritto romano, o, per meglio dire,


il diritto bizantino.
Per questo, sempre in Francia,
quando il vento ha schiantato un al-
bero sulla strada nazionale, oppure
un contadino, non volendo fare egli
stesso il lavoro per la riparazione di
una strada comunale, preferisce pa
gare due o tre lire al tagliapietre,
occorre che dieci o quindici impie-
gati dei ministeri dell'interno e delle
finanze siano messi in moto, e più di
cinquanta fogli siano scambiati tra
questi austeri funzionari, prima che
l'albero possa essere venduto, o che
il contadino riceva il permesso di
versare le due o tre lire alla cassa
comunale.
Ne dubitate, forse? Ebbene,voi tro-
verete questi cinquanta documenti
classificati e debitamente numerati
dal signor Tricoche nel Journal des
Economistes.
E ciò, beninteso, sotto la terza Re-
pubblica, imperocché io non parlo
dei sistemi barbari dell' antico regi-
» - 110 -

me che si limitava a cinque o sei


cartaccie, tutt' al più. Cosi i dotti vi
diranno che in queir epoca barbara
il controllo dello Stato non era che
fittizio.

E non vi fosse che questo! Dopo


tutto ciò non sarebbe che una venti-
na di mila funzionari di troppo e un
miliardo di più iscritto nel bilan-
cio. Una bagatella per gì' innamo-
rati dell' ordine e dei pareggia-
menti.
Ma vi è di peggio in fondo a
tutto ciò ; vi è il principio che ucci-
de tutto.
I contadini di un villaggio hanno
mille interessi comuni: interessi di
famiglia, di vicinato, di relazioni co-
stanti;. Essi sono necessariamente
portati a unirsi, ad intendersi per
mille cose diverse. I\Ia lo Stato non
vuole, non può ammettere eh' essi si
uniscano ! Poiché esso dà loro la
— Ili —

scuola e il prete, il carabiniere e il


giudice, ciò deve ad essi bastare. E
se altri interessi sorgono, che passi-
no per la trafila dello Stato e della
Chiesa.
Così, sino al 1883, era severamente
proibito in Francia ai contadini di
associarsi, non fosse che per acqui-
stare insieme dei concimi chimici o
per irrigare i loro prati. Non fu che
nel 1883-86 che la Repubblica si de-
cise ad accordare ai contadini questo
diritto, votando, attraverso un'infini-
tà di precauzioni e di ostacoli, la leg-
ge sui sindacati.
E noi abbrutiti dalla educazione
statolatra, noi siamo capaci di ral-
legrarci dei progressi rapidamente
compiuti dai sindacati agricoli, sen-
za arrossire all'idea che questo di-
ritto, di cui i contadini furono pri
vati sino ai giorni nostri, appartene-
va nel medio-evo, senza che nessuno
osasse contestarlo ad ogni uomo, li-
bero o servo. Da schiavi quali sia-
mo, noi vi vediamo già una « con-
quista della democrazia ! »
- 112 -

Ecco sino a qual grado di abbruti-


mento siamo giunti colla nostra e-
ducazione falsata, viziata, corretta
dallo Stato e dai nostri pregiudizi
statolatri.
IX.

«Se nella città o nel villaggio, ave-


te degli interessi comuni da far va-
lere, domandate allo stato di occu-
parsene ; poiché vi è rigorosamente
vietato di unirvi direttamente per
occuparvene voi stessi!» Tale è la
formula che risuona in tutta Europa
fin dal XVI secolo.
« Ogni alleanza, convivenza, con-
gregazione, capitolo e ordinanza, fatta ^
o da fare fra carpentieri e muratori
sarà nulla o annullata, » si legge in
un editto del re d'Inghilterra Edo-
ardo Ili già nel XIV secolo. Ma ci
volle la disfatta delle città, il soffo-
camento delle insurrezioni popolari,
di cui abbiamo fatto parola, perchè
lo Stato osasse por la mano su tutte
- 114 —

le istituzioni — guilde, fratellanze,


ecc. - che univano fra loro gli arti-
giani, ed annientarle. La qual cosa
si vede chiaramente in Inghilterra
ove si conservano gran copie di do-
cumenti per seguire passo a passo
questo movimento. A poco a poco lo
Stato mette la mano su tutte le guil-
de e fratellanze : le incalza da pres-
so, abolisce i loro sindaci che sosti-
tuisce con i suoi funzionari, abolisce
i loro tribunali, i loro banchetti, e
al principio del secolo XVI, sotto
Enrico Vili, confisca senza alcuna
forma di procedura quanto posseg-
gono le guilde. E l'erede del grande
re protestante finisce l'opera, inco-
minciata.
E' un ladrocinio palese, senza scu-
se, come ha ben detto Thorold Ro-
gers. Ed è appunto questo ladrocinio
che gli economisti sedicenti scienti-
fici rappresentano come la morte «na-
turale » delle guilde, morte avvenuta
sotto l'influenza delle leggi econo-
miche.
Poteva lo Stato tollerare la gnilda,
la corporazione dei mestieri, col suo
tribunale, la sua milizia, la sua cassa,
la sua organizzazione? Era « lo Stato
nello Stato !» E lo Stato — il vero —
doveva distruggerla: e la distrusse
da per tutto (in Inghilterra, in Fran-
cia, in Germania, in Boemia) non
conservandone che le apparenze, come
strumento del fìsco e come parte del
suo vasto meccanismo amministra-
tivo.
E conviene dunque meravigliarci
se le guilde e le maestranze, private
di tutto ciò che altra volta faceva la
loro vita, poste sotto l'autorità di
funzionari regi, divenute semplici ruo-
te delPamministrazione — non fos-
sero più, nel secolo XVIII, che uno
ostacolo allo sviluppo delle industrie,
mentre n'erano state la vita stessa
quattro secoli prima? Lo Stato le
aveva uccise.
Infatti non bastava allo Stato abo-
lire tutti gli elementi della vita li-
bera delle associazioni di mestiere,
- 116 —

che lo imbarazzavano, ponendosi tra


lui ed il suddito; non gli bastava
confiscare le loro casse e le loro pro-
prietà. Oltre che il denaro, esso do-
veva impadronirsi di tutte le loro
funzioni.
In una città del medio-evo quando
gli interessi si trovavano in conflitto
in un stesso mestiere, ovvero quan-
do ¡due guilde differenti erano in
contesa, non esisteva altro giudice
che la città. Era giocoforza allora,
pei dissidenti, arrivare ad un qualun-
que compromesso, essendoché tutti
si trovavano mutualmente legati nella
città. E ciò giammai mancava di
farsi.
Ma dal XVI secolo il solo arbitro
fu lo Stato. Tutte le dispute locali,
spesso infime, nella più piccola città
di qualche centinaio di abitanti, do-
vettero essere allora, sotto forma di
scartafacci, conservate negli uffici del
re o del parlamento. Il parlamento
inglese ne fu addirittura inondato.
Fu necessario creare nella capitale
- 117 —

migliaia e migliaia di funzionari la


maggior parte venali — per ordinare
leggere, giudicare ogni cosa, per prò
nunciarsi su ciascuna infima partico-
larità e perfino per dar regola sul
modo di fabbricare i ferri da cavallo
salar le aringhe, costruire le botti e
così di seguito fin all'infinito.. .. Nò
fu tutto. Ben presto lo Stato, vedendo
nel commercio di esportazione una
fonte considerevole di guadagno, se
ne rese padrone. Prima, quando sor-
geva fra due città una contestazione
sul valore delle stoffe asportate, sulla
purezza della lana o sulla capacità
delle botti di aringhe, le città si fa-
cevano, T'una a l'altra, le loro rimo-
stranze. Se la contesa andava in lungo
e non accennava di risolversi, si ri-
correva ad una terza città che faceva
da arbitra; ovvero si convocava un
congresso di guilde di tessitori o di
bottai per giudicare internazional-
mente sul valore delle stoffe o sulla
capacità delle botti. Ora tutte queste
attribuzioni lo Stato le fece sue, e,
- 118 -

per mezzo dei suoi funzionari rego-


lava la capacità delle botti, precisava
la qualità delle stoffe, s'immischiava,
in una parola, con le sue ordinanze,
fin nei più piccoli dettagli della vita
industriale.

I risultati voi li conoscete.


L'industria sotto questa tutela nel
XVIII secolo moriva.
A che era ridotta, infatti, sotto la
tutela dello Stato, l'arte di Benvenuto
Cellini? — Scomparsa! — E l'archi-
tettura di quelle guilde di muratori
e di carpentieri, le cui opere d'arte
ancora ammiriamo? — Guardate solo
i monumenti orribili del periodo sta-
tale e vi accorgerete che l'architettura
era morta, si bene morta che fino ad
oggi non s'è ancora potuta rilevare.
Che diventarono i tessuti di Bruges,
le stoffe di Olanda? Dov'eran quei
fabbri sì abili a maneggiare il ferro
e che, in ogni borgata europea, sa-
- 119 —

pevano adoperare questo metallo per


i più squisiti ornamenti? Dove i tor-
nitori, gli orologiai e gli aggiustatori
che avevano fatto di Norimberga una
delle glorie del medio-evo per gli
strumenti di precisione?
Parlatene a Giacomo Watt che per
la sua macchina vapore cercò invano
per trentanni un operaio che sapesse
lare un cilindro quasi tondo e la cui
macchina restò trentanni allo stato
di abbozzo per mancanza di operai
che la costruissero!
Tale fu V opera dello Stato nel
campo industriale. Tutto ciò che sep_
pe fare fu, spopolare le campagne,
seminare la miseria nelle città, ridur-
re dei milioni d'esseri allo stato di
pezzenti ed imporre la schiavitù in-
dustriale. E sono i cattivi riliuti delle
antiche guilde, quegli organismi cal-
pestati e oppressi dallo Stato, quelle
ruote inutili all'amministrazione, che
gli economisti, sempre scientifici,
hanno l'ignoranza di confondere con
le guilde del medio-evo. Ciò che la
- 120 —

grande rivoluzione spazzò via come


nocivo all'industria, non fu la guilda
e neppure l'unione di mestiere, ma
bensì una ruota inutile e dannosa del
macchinario statale.
Ma ciò che la rivoluzione si guardò
bene dallo spazzar via fu il potere
dello Stato sull'industria, sullo schia-
vo dell'officina. Ricordate voi la di-
scussione che ebbe luogo alla Con-
venzione — alla terribile Convenzio-
n e — a proposito di uno sciopero?
Alle doglianze degli scioperanti la
Convenzione rispose (cito a memoria).
«Lo Stato solo ha il dovere di vigilare
sugli interessi di tutti i cittadini. Fa-
cendo sciopero, voi fate una coali-
zione, create uno Stato nello Stato.
Dunque — la morte ! »
In questa risposta non s'è vista che
la caratteristica borghese della rivo,
luzione. Ma. invero non contiene essa
un più profondo significato? Essa rias-
sume l'attitudine dello Stato, che
trovò la sua espressione logica e
piena del giacobinismo del 1793, di
fronte alla società intera.
«Avete da lamentarvi? Rivolgetevi
allo Stato : esso solo ha la missione
di raddrizzare i torti dei suoi sudditi.
Quanto al coalizzarvi per difendervi
— giammai! « Era in questo senso
che la repubblica si chiamava una e
indivisibile.
Il socialista giacobino moderno non
pensa forse allo stesso modo ?
In questa risposta della Conven-
zione si trova riassunta l'attitudine
degli Stati di fronte a tutte le coa-
lizioni e a tutte le società private,
qualunque fosse il loro scopo.
Per lo sciopero lo stesso accade ai
nostri tempi in Russia, ove esso è
considerato come delitto di leso Sta-
to ; e in gran parte anche in Germa-
nia ove il giovane re Guglielmo di-
ceva tempo fa ai minatori: « Appel-
latevi a me ; ma se vi permetterete
da voi stessi V azione, proverete la
sciabola dei miei soldati ». Lo stesso
caso è in Francia; ed è appena se in
Inghilterra) dopo aver lottato cento
anni con le società segrete, col pu-
- 122 —

gnale ai traditori, con la polvere e-


splosiva sotto le macchine) i lavora-
tori cominciano a conquistare il di-
ritto di sciopero. Diritto che avranno
fra poco del tutto, se non cadranno
nel tranello che lor tende lo Stato,
cercando di impor loro il suo arbi-
trato obbligatorio in cambio della
legge delle otto ore. Più d'un secolo
di lotte terribili! E quante miserie,
quanti operai morti in prigione, tra-
sportati in Australia, fucilati, appic-
cati, per riconquistare il diritto di
coalizione ! questo diritto che ciascun
uomo — libero o servo — praticava
liberamente quando lo Stato non a-
veva ancora imposto la sua mano di
ferro sulla società.
Ma solo l'operaio fu trattato in tale
maniera?
Ricordatevi della lotta che la bor-
ghesia dovette sostenere contro lo
Stato per conquistare il diritto di
costituirsi in società commerciali —
diritto che lo Stato non cominciò a
concedere che allorquando vi sco-
— 123 —

perse un comodo mezzo di creare


dei monopoli a vantaggio delle sue
creature, e d'alimentare la sua cassa.
E le lotte per osar scrivere, parlare
o solo pensare in altra guisa che lo
Stato ordinasse per mezzo dell'Acca-
demia, dell'Università e della Chiesa?
E le lotte per osare insegnare a leg-
gere — diritto che lo Stato si arroga
senza farne uso — o per ottenere il
diritto di divertirsi in comune? E non
parlo di quelle che bisognerebbe in-
gaggiare per poter sciegliere il pro-
prio giudice e la propria legge —
cosa già di pratica giornaliera — nè
di quelle che ci separano dal giorno
in cui si darà alle fiamme il libro
delle pene infami, inventato dallo
spirito dell'Inquisizione e degli im-
peri dispotici d'Oriente: il codice
Penale?
Voi vedete, poi, l'imposta — istitu-
zione di origine essenzialmente sta-
tale, — questa arma formidabile di
cui lo Stato ia uso sì in Europa come
nelle giovani Società degli Stati U-
— 124 —

niti, per favorire gli amici, mandare


in rovina i più a profitto dei gover-
nanti a mantener le vecchie divisioni
e le vecchie caste. Considerate, inol-
tre, le guerre, senza le quali gli Stati
non possono nè costituirsi, nè, costi-
tuitisi, mantenersi — guerre che di-
ventano fatali, inevitabili quando si
ammette che una regione, perchè
Stato, può avere degli interessi op-
posti a quelli delle sue vicine. Pen-
sate alle guerre passate ed a quelle
che ci sono minacciate, alle guerre
per i mercati industriali e a quelle per
creare gli imperi coloniali.. .. E'non
saprete che troppo bene quanto ogni
guerra, vittoriosa o no, trascini con
sè di servitù.

Finalmente — e questo è il peggior


dei mali finora enumerati — l'educa-
zione che riceviamo dallo Stato, alla
scuola e fuori, ha talmente viziato i
nostri cervelli che la nozione stessa
- 125 —

della libertà ha finito in noi col per-


dersi, col travestirsi in quella della
schiavitù. Triste è lo spettacolo of-
ferto, da quelli che si credono rivo-
luzionari, nel largire tutto il loro
odio all'anarchico, per la ragione che
le concezioni di questo sulla libertà
si elevano di molto sulle concezioni
meschine e ristrette apprese alla scuo-
la statolatra. E tuttavia questo spet-
tacolo è un fatto. Ahimè! lo spirito
di servitù volontaria fu sempre sa-
pientemente nutrito nei giovani cer-
velli (e lo è ancora), allo scopo di
perpetuare la soggezione del cittadi-
no allo Stato.
La filosofia libertaria è soffocata
dalla pseudo-filosofia romano-cattolica
dello Stato. La storia è corrotta dalla
prima sua pagina — ove si mente,
parlando delle monarchie merovingie
e carlovingie — lino alla sua ultima
ove è glorificato il giacobinismo. Le
scienze naturali pervertite per esser
poste al servizio del proprio idolo,
Chiesa-Stato; la psicologia dell'indi-
- 126 —

v iduo — e ancor più quella della so-


cietà — falsificata in ciascuna de"; le
sue asserzioni, tendenti a giustificare
la triplice alleanza dei soldato, del
prete e del boia. La morale, infine,
dopo di aver predicato per tanti se-
coli l'obbedienza alla Chiesa, non se n'è
emancipata che per predicare la ser-
vitù verso lo Stato. « Nessun obbligo
morale diretto col tuo vicino, e nep-
pure nessun sentimento di solidarietà:
tutti i tuoi obblighi sono verso lo
Stato, — ci si dice e ci si insegna in
questo nuovo culto della vecchia di-
vinità romana e cesarea; il vicino, il
compagno dimenticalo. Non lo cono-
scerai più che per mezzo di un or-
gano del tuo Stato. E vi farete tutti
una virtù dell' essergli ugualmente
soggetti. »
E la glorificazione dello Stato e
e della disciplina alla quale lavorano
l'Università e la Chiesa, la stampa e
i partiti politici, è predicata così be-
ne, che perfino i rivoluzionari non
osano guardare in faccia questo fe-
- 127 -

ticcio. Il radicale moderno è centra-


lizzatore, statolatra e giacobino a
oltranza. E il socialista ne segue il
cammino. Come il fiorentino della
fine del secolo XV non sapeva che
invocare la dittatura e lo Stato che
10 salvassero dai patrizi, così, oggi,
11 socialista non sa che invocare gli
stessi dei — la dittatura e lo Stato
— affinchè lo salvino dalle abbomi-
nazioni del preseme regime econo-
mico, create da questo medesimo
Stato.
X

Se si approfondiscono tutte queste


diverse categorie di fatti che ho appe-
na sfiorato, si comprenderà perchè —
considerando lo Stato quale iu nel
corso della storia e quale, nella sua
stessa essenza, si presenta oggigiorno,
e convinti che una istituzione sociale
non può prestarsi a tutti gli scopi
voluti, ma solo a quelli per i quali fu
elaborata — si comprenderà, dico,
perchè noi concludiamo all'abolizione
dello Stato.
In esso vediamo l'istituzione, il cui
compito, nella storia delle società
umane, fu d'impedire l'unione fra gli
uomini, di ostacolare lo sviluppo del-
l'iniziativa locale e individuale, di
sminuzzare le libertà che esistevano
— 130 —

e d'impedire il loro sbocciare. E sap-


piamo che una istituzione che ha tutto
un passato (datando da migliaia e
migliaia di anni) non può prestarsi
ad una funzione opposta a quella per
la quale s'è sviluppata nel corso dei
secoli.
A questo argomento assolutamente
invincibile per chiunque ha riflettu-
to sulla storia, che cosa ci si ri-
sponde?
Ci si risponde con un argomento
quasi fanciullesco:
« Lo Stato esiste — ci si dice — e
rappresenta una potente organizza-
zione già fatta. Perchè distruggerla
invece di utilizzarla ? Essa funziona
per il male, è vero ; ma ciò avviene
perchè è in mano degli sfruttatori.
Caduta che fosse in mano del popo-
lo, perchè non potrebbe essere uti-
lizzata ad uno scopo migliore pel
bene del popolo? » Sempre lo stes-
so sogno; il sogno del marchese di
Posa, immaginato da Schiller, che
tenta fare dell'assolutismo uno stru-
- 131 —

mento di emancipazione; e quello


del dolce abate Pietro che, i n R o m a
di Zola, vuol fare della Chiesa la le-
va del socialismo!-.
Com'è triste dover rispondere a si-
mili argomentazioni ! Poiché quelli
che ragionano in tal maniera, o non
hanno la minima nozione della vera
funzione dello Stato nella storia, ov-
vero concepiscono la rivoluzione so-
ciale sotto una forma talmente insi-
gnificante ed anodina, che non ha
nulla di comune con le aspirazioni
socialiste.

Prendiamo un esempio concreto:


la Francia.
Tutti noi sappiamo che la terza
repubblica, malgrado la sua etichet-
ta repubblicana, è restata nella sua
essenza, monarchica. Tutti le abbia-
mo rimproverato di non aver repub-
blicanizzato la Francia : non dico di
non aver nulla fatto per la rivolu-
- 132 —

zione sociale, ma di non aver neppu-


re introdotto i costumi e lo spirito
puramente repubblicani. Il poco che
ivi s'è fatto da 34 anni a questa par-
te per democratizzare i costumi o
per diffondere luce di istruzione, s' è
fatto anche da per tutto, in ogni mo-
narchia europea, sotto la spinta stes-
sa dei tempi che traversiamo. Donde
viene dunque la strana anomalia
d'una repubblica monarchica?
La causa devesi ricercare nel fatto
che la Francia è rimasta, come Sta-
to, nella stessa condizione in cui era
35 anni fai I detentori del potere han
cambiato di nome; ma tutto l'immen-
so apparecchio di organizzazione
centralizzata e rimasto in piedi : e le
sue ruote continuano come prima a
scambiarsi i loro innumerevoli scar-
tafacci quando un albero sia stato
abbattuto dal vento sulla strada na-
#

zionale. Il bollo di questi scartafacci


è cambiato, ma lo Stato, il suo spi-
rito, i suoi organi, la sua centraliz-
zazione territoriale e la sua centra-
— 133 —

lizzazione di l'unzioni, sono ancora in


piedi. E, come tentacoli di piovra,
si stendono ogni giorno più sul
paese.
I repubblicani — parlo dei sinceri
— avevano nutrito l'illusione che si
sarebbe potuto render utile l'orga-
nizzazione dello Stato ad un cambia-
mento in senso repubblicano. I risul-
tati ognuno li vede. Quando biso-
gnava distruggere la vecchia orga-
nizzazione — lo Stato — e ricostruir-
ne una nuova sulle basi dei comune
libero e del libero accordo, essi pen-
sarono di utilizzare l'organizzazione
esistente. E, per non aver compreso
che è vano voler far camminare una
istituzione storica nel senso che le
si vuole indicare, avendo essa una
via sua propria — furono inghiottiti
dalla istituzione stessa.
E tuttavia, in questo caso, non si
trattava ancora di modificare la strut-
tura economica della società, ma sem-
plicemente di riformare alcune parti
dei rapporti politici !
»
- 134 -

Ma, dopo una sconfìtta così com-


pleta e di fronte ad una così mise-
rabile esperienza, la gente pratica si
ostina a ripetere che la conquista dei
poteri nello Stato, fatta dal popolo,
basterà per condurre a termine la
rivoluzione sociale ; che il vecchio
organismo lentamente elaboratosi nei
corso della storia per limitare la li-
bertà, per schiacciare l'individuo, per
dare all'oppressione una sembianza
di giustizia, si presterà meraviglio-
samente a nuove funzioni ; e che di-
verrà lo strumento adatto a far ger-
mogliare una vita nuova, a porre la
libertà e l'uguaglianza su basi eco-
nomiche, a risvegliare la società e
spingerla alla conquista di un mi-
gliore avvenire.
Per dar libero slancio al sociali-
smo, bisogna ricostruire da capo a
fondo la società, basata oggi sul pret-
to individualismo bottegaio. Bisogna
non solo — come s'è detto sovente
compiancendosi di vuota metasifica
— dare all'operaio « il prodotto inte-
— 135 —

graie del suo lavoro » ma rifare inte-


ramente tutti i rapporti ora esistenti,
da quelli tra individui e individui
lino a quelli fra corporazioni, me-
stieri, borgate, città e regioni. In
ogni via, in ogni paese, in ogni
gruppo di uomini riuniti intorno ad
un'officina o lungo una strada fer-
rata, bisogna ridestare lo spirito
creatore, costruttore, organizzatore
per riordinare tutta la vita — pro-
duzione, approvigionamento, distri-
buzione.
E si pretende che questo lavoro
immenso, che esige l'esercizio libero
del genio popolare, si faccia nell'am-
bito dello Stato, lungo la scala pira-
midale dell'organizzazione che forma
l'essenza dello Stato ! Si pretende
che lo Stato di cui abbiamo veduto
la ragion d'essere nella oppressione
dell'individuo, nell'odio dell'iniziati-
va, nel trionfo di un'idea che dev'es-
sere forzatamente quella della me-
diocrità, diventi il fattore di questa
grande trasformazione, quasi che fos-
- 136 —

se possibile un radicale rinnovamento


della società a colpi di decreti e di
maggioranze elettorali !..,
Pensar ciò è semplicemente fan-
ciullesco.

Nel corso di tutta la storia della


nostra civiltà, due tradizioni, due
tendenze opposte si sono trovate in
lotta : la tradizione romana e la po-
polare ; la imperiale e la federa-
lista; la autoritaria e la libertaria.
Alla vigilia della rivoluzione socia-
le, queste due tendenze si trovano
nuovamente di fronte. Fra le due —
quella popolare e quella delle mino-
ranze assetate di dominio politico e
religioso — la nostra scelta è presto
fatta. Noi preferiamo quella che spin-
se gli uomini nel XII secolo, a orga-
nizzarsi sulle basi del libero accordo,
della libera iniziativa dell'individuo
della libera federazione degli inte-
ressati; e lasciamo gli altri aggrap-
- 137 —

parsi alla tradizione imperiale, ro-


mana e canonica.

La storia non si presenta come una


evoluzione ininterrotta. A più riprese
l'evoluzione s'è arrestata in una re-
gione per incominciare in un'altra.
L'Egitto, V Asia europea, V Europa
centrale ne sono state volta a volta
il teatro. Ma sempre ogni evoluzione
è cominciata con la fase della tribù
primitiva, per passare poi, per il co-
mune di villaggio e per la città, a
morire infine nella fase dello Stato.
In Egitto la civiltà incomincia con
la tribù primitiva. Arriva al comune
di villaggio, poi al periodo della cit-
tà e infine allo Stato, che, dopo una
certa epoca di floridezza, geneia la
morte.
L'evoluzione ricomincia allora in
Assiria, in Persia, in Palestina e tra-
versa di nuovo le stesse tasi ; la tribù,
il comune di villaggio, la città, lo
Stato onnipotente — la morte !
io
- 138 —

E' la volta della Grecia. Anche là


la tribù primitiva segna il principio
della rivoluzione. Lentamente si ar-
riva al comune di villaggio e poi alle
città repubblicane. In esse la civiltà
raggiunge il suo più alto grado. Ma
l'oriente le soffia sopra il suo alito
appestato, le sue tradizioni di dispo-
tismo. Le guerre e le conquiste crea-
no l'impero di Alessandro di Mace-
donia, lo Stato sorge e spegne, man
mano che si rafforza, ogni civiltà.
E sopravviene la morte !
Anche Roma comincia con la tribù
primitiva ; segue il comune rustico
e la città. In questa fase essa rag-
giunge l'apogeo della civiltà. Ma ven-
gono lo Stato e l'Impero : è la mor-
te.
Sulle rovine dell'Impero romano le
tribù celte, germaniche, slave, scan-
dinave danno principio ad una nuo-
va evoluzione. Lentamente la tribù
primitiva elabora le sue istituzioni
per arrivare al comune rustico, nella
qual fase si mantiene fino al Z ì i se-
colo.
- 139 —

Allora sorge la città repubblicana


e questa conduce a quella espansio-
ne dello spirito umano di cui ci par-
lano i monumenti dell'architettura,
lo sviluppo grandioso delle arti, le
scoperte che metton le basi delle
scienze naturali. Ma dopo viene io
Stato — La morte !
Sì, la morte — o il rinnovamento.
0 gli Stati rovesciati, e una nuova
vita sbocciante in mille e mille cen-
tri sul principio della iniziativa indi-
viduale e del libero accordo; ovvero
sempre lo Stato, lo Stato che oppri-
me ogni vita individuale e locale,
che s'impadronisce di ogni umana
attività, che genera guerre e lotte
intestine per il possesso del potere
e rivoluzioni tendenti solo a cam-
biare tiranni ; — o la libertà che se-
gna il trionfo della vita, o lo Stato
che conduce inevitabilmente alla
morte I
Scegliete !
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