di Franco Fuss
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l’affondare insieme al diaframma anche il laringe (qualcuno le chiama
appunto tecniche di affondo, in senso negativo), dando alla voce un
carattere tonitruante, una intonazione spesso calante, gli attacchi
spesso una terza sotto o con portamento e, soprattutto, un vibrato
ampio che s ora il “ballamento” di voce. Al contrario chi esagera il
sostegno e spinge solo dentro e in alto fa risalire subito il diaframma, e
per ottenere la pressione suf ciente è poi costretto a impegnare la
muscolatura laringea estrinseca cioè “stringe di gola” (e la laringe si
alza): questi allievi riferiscono di aver l’impressione di “impiccarsi con la
gola”, di sentirsi stretti ed ingolfati, il vibrato è a volte stretto e caprino,
l’intonazione crescente
Cantar “sul” ato non vuol dire altro che cercare l’equilibrio delle
due componenti ed evitare gli sbilanciamenti descritti. Ci ritorna
così in mente il vecchio aforisma: soltanto sa cantare chi ben
respira
Per giungere al descritto equilibrio le sensazioni interne che il cantante
riceve possono essere diverse. Alcuni hanno maggiormente la
sensazione della componente d’appoggio, altri quella del sostegno (e a
volte alcune differenze di percezione possono essere legate al tipo di
categoria vocale e al repertorio); il fatto è che spesso nisce per essere
spiegata (e creduta presente) dal maestro solo quella “prevalente” e
ingenerato l’errore di un modello unidirezionale
Così il povero allievo si ritrova davanti a una miriade di indicazioni di
“ginnastica” respiratoria spesso fantasiose e tra loro contraddittorie: dal
maestro che chiede di spingere “come per andar di corpo” (perché si
stabilizza meglio il diaframma in basso!), “trattenere una banconota da
centomila lire tra le chiappe” (perché la contrazione dei glutei favorisce
l’appoggio del diaframma!), “espandere il dorso” (perché i muscoli
dorsali son più larghi e espandono meglio la gabbia!), tirare la “pancia in
dentro” (perché il torace sta più largo e il diaframma più sostenuto!), o
ancora allenare gli addominali con pesi, magari cantandoci su per
irrobustirli (tecniche germaniche dette Stauprinzip), vocalizzare
sostenendo pesi da palestra con le mani o usare fasce elastiche
addominali per “irrobustire” la muscolatura. Si arriva poi agli aneddoti: la
signora Caballè si siederà davvero sulla pancia dei suoi allievi per
migliorarne la respirazione
Anna Caterina Antonacci ci svela una verità che appartiene a molti
altri suoi colleghi “Io ho avuto questa esperienza: accorgermi di non
aver veramente imparato a respirare nei primi anni di carriera; pensavo
di respirare benissimo, ed ho avuto per questo gravi problemi di
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stanchezza vocale che si sono anche prolungati nel tempo. La cosa più
importante da consolidare nella tecnica vocale è davvero imparare a
respirare subito, perchè la respirazione salvaguarda l’organo vocale,
è la prima cosa da far propria. Ora non risento più di quelle stanchezze
terribili che avevo quando non respiravo correttamente”
E allo stesso modo il baritono Roberto Servile, rispetto al fondamento
della didattica che ritiene più importante per il cantante, risponde:
“Credo che la cosa fondamentale sia quello che si usa de nire come
“appoggio sul ato”, naturalmente bisogna intendersi su questa
de nizione. Quando io parlo di appoggio sul ato, intendo dire che la
colonna di ato sostenuta dagli addominali, che passa in ultimo
attraverso le corde vocali, formando quello che è chiamato “suono
primario”, sia tale da non trovare ostacoli nel passaggio no oltre la
laringe, cioè che non ci siano dei restringimenti e movimenti inutili, che
vadano a spezzare questo uire del ato. Naturalmente al di sotto c’è il
sostegno della muscolatura del diaframma e il sostegno addominale e
intercostale. Questa è la base sulla quale noi possiamo pensare di
iniziare un iter canoro, anche se questa non è la soluzione totale del
problema; bisogna infatti successivamente trovare le risonanze alte
della voce, perchè in questa maniera si costruisce quello che è il “corpo”
della voce e l’ampiezza del suono. Ritengo importantissimo l’appoggio
sul ato per poter appunto costruire questo edi cio vocale. Riterrei
invece estremamente dannoso e inutile iniziare nel senso inverso, cioè
iniziare a voler avere un suono “in maschera”, quando non vi sia un
giusto appoggio sul ato, perchè si rischia di creare dei suoni che sono
sospesi sul nulla, senza fondamenta”
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generale, si esercitano in fase espiratoria, ne deriva che essendo in
questa fase il diaframma totalmente inattivo e condizionato nella sua
risalita solo dai muscoli respiratori (addominali, intercostali, ecc.), tutte le
terminologie didattiche che chiedono una azione diretta tipo “spingi su il
diaframma, tienilo basso, spingilo dentro” sono improprie, anche se
metaforicamente utili al raggiungimento di un corretto coordinamento
muscolare nalizzato ad una corretta gestione dell’aria espiratoria. Il
diaframma nel canto è dunque muscolarmente passivo e si contrae
attivamente solo durante la presa d’aria. Una volta che è stata
eseguita l’inspirazione e che le corde vocali sono poste sulla linea
mediana e pronte alla fonazione l’attività diaframmatica cessa e
tale muscolo diventa una membrana passiva interposta tra muscoli
intercostali ed addominali
A seconda delle necessità di esecuzione di toni di bassa o alta intensità,
acuti o gravi, oppure lati, il comportamento dei muscoli respiratori farà
variare la dinamica respiratoria. A pieno volume polmonare le forze di
retrazione elastica di cui è dotato il polmone tenderebbero
spontaneamente a farlo svuotare (come accade nel respiro tranquillo a
riposo). Per la maggior parte delle necessità canore, tali forze di
retrazione provocano una pressione aerea sotto le corde che eccede
ampiamente quella desiderabile per l’intensità del suono da emettere. E’
allora richiesta una forza che contrasti le forze elastiche e riduca in tal
modo la pressione sottocordale al momento dell’attacco del suono, che
altrimenti sarebbe brusco. E’ quello che il cantante riconosce come
necessità di tenuta, di allargamento costale, di “appoggio” appunto del
diaframma, af nchè esso non risalga subito alla sua posizione di
partenza. Il torace viene allora mantenuto in posizione dall’azione degli
intercostali esterni, mentre la parete addominale supporta con un
piccolo tono interno questo appoggio. Nel corso della frase musicale la
pressione aerea diminuisce a causa del consumo durante il canto. Ecco
allora che, per mantenere la pressione aerea voluta, il diaframma inizia
a risalire accompagnato dall’azione degli addominali; essi intensi cano il
loro ruolo di sostegno sempre più verso la ne della frase musicale, in
quanto si riduce via via sempre più il volume polmonare. Alle sensazioni
prevalenti di appoggio dell’inizio si sostituiscono gradatamente quelle di
un maggior sostegno
Si dice solitamente che chi sa eseguire un buon “ lato” sia padrone di
un’ottima respirazione. Nei lati in effetti il gioco degli equilibri delle due
componenti richiede una consolidata perizia: in essi l’attività muscolare
inspiratoria aumenta progressivamente in tutto il crescendo, mentre nel
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diminuendo i muscoli non devono rilassarsi in modo eccessivo, poiché
verso la ne del suono si dovrà fare uno sforzo espiratorio
proprzionalmente più accentuato, essendo diminuita la riserva
polmonare, e per il fatto che un minimo cambiamento brusco di tensione
muscolare causerebbe una variazione di intensità durante la stessa
latura. Se durante l’emissione la pressione espiratoria aumenta o
diminuisce improvvisamente, il suono cresce o cala, se la
pressione è irregolare il suono risulta tremolante. Ecco perché a
volte l’intonazione crescente e spesso quella calante dipendono da
cattivo dosaggio del ato
Frequentemente i cantanti domandano se un allenamento di ginnastica
respiratoria possa favorire una maggiore capacità vitale polmonare,
come se il problema fosse quello di avere tanta aria da consumare.
Certamente l’attività sica mantiene un buon tono anche della
muscolatura respiratoria favorendo le dinamiche del suo utilizzo, e non
tanto perché sia necessario ampliare un volume polmonare normale. La
quantità d’aria inspirata è molto meno importante della sua espirazione
regolare, del suo dosaggio, e del saperla gestire senza commettere
l’errore opposto di trattenere il ato per non sprecarlo
Scriveva il dottor Joal nell’ottocentesco “De la respiration dans le
chant”: “Non basta d’immagazzinare una grande quantità d’aria; ma è
ugualmente indispensabile per il cantante di saper bene economizzare il
ato e di non adoperarne che quel tanto necessario per l’emissione
della voce. L’artista deve cercare di rendersi interamente padrone del
suo respiro e deve cercare di ritenerlo nel limite del possibile, ritardando
per quanto può il contrarsi e l’abbassarsi del petto”
E nel 1881, Lemaire e Lavoix, in “Le chant. Ses principes et son
histoire” , a proposito della vocalità e del “ ato” del cantore evirato,
notavano: “Nei secoli XVI e XVII cercava specialmente i suoi effetti
nell’estensione e nella essibilità della voce, sicuro di eccitare
l’entusiasmo del pubblico più con una bella messa di voce, con dei trilli e
con tutti gli sfolgoranti abbellimenti di cui ingioiellava il suo canto, che
coi violenti accessi di passione. Ma egli doveva appunto in gran parte
all’abilità nel respirare, la dolcezza, la purezza e la durata del suono; e
perciò egli imparava con la cura più minuziosa a misurare con
parsimonia il respiro tanto da poter eseguire dei passi che andavano al
di là dei venti o venticinque secondi. Il Farinelli ad esempio cantava
senza riprender ato dei passi di trecento note”
Della “psicosi” del ato Rodolfo Celletti descrisse numerosi esempi.
Nel nale di “Vissi d’arte”, ad esempio, Puccini ha previsto nella frase
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