Sei sulla pagina 1di 21

UNIVERSITAS MERCATORUM

Facoltà Gastronomia, Ospitalità e Territorio


Corso di Scienze e Tecnologie Gastronomiche

Scavino Paolo - Matr. 0532000002

IL MIELE

1) Prefazione
2) Il miele nella storia
3) Cosa è il miele
4) Il processo di produzione e le tecnologie
5) Composizione, proprietà fisiche e proprietà biologiche
6) I prodotti sussidiari dell’alveare

1) Prefazione

Nella mia infanzia è vivido il ricordo di quando si andava a far visita ai parenti in campagna e al ritorno il
“bottino” consisteva in animali da cortile (probabilmente quando sentivano il rumore dell’auto nell’aia
correvano a nascondersi) e l’immancabile vasetto da un chilo di miele, che diventava la panacea per tutti i
mali (soprattutto respiratori) di noi bambini, ed anche il gesto consolatore per i momenti tristi (iniezioni,
pianti, liti tra fratelli…).

Negli anni più recenti il desiderio di passare ad una alimentazione più sana e più bilanciata (in famiglia c’era
l’abitudine di consumare molta più carne e carboidrati, rispetto a verdure o frutta) mi ha fatto avvicinare ad
una realtà molto locale (km zero!), un Gruppo di Acquisto Solidale (GAS), diventandone anche parte molto
attiva.

Oltre ad esserci occupati di alimentazione corretta, organizzando ogni anno una conferenza aperta a tutti
(soci e normali cittadini), avevamo deciso che, per scegliere i nostri fornitori, li avremmo visitati e poi
convocati per una riunione informativa. Devo dire che andare a visitare un apicultore, vedere il suo
laboratorio, ma soprattutto le arnie “vive”, rumorose e produttive, e vedere questo omone che prendeva le api
un po’ intontite con una delicatezza che contrastava con le sue grandi dita, mi ha quasi commosso e così è ri-
nata la mia passione per il miele. Da qui la scelta di approfondire l’argomento miele, nei suoi diversi aspetti,
che qui cercherò di rappresentare.

Il periodo di emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha sicuramente costretto tutte le famiglie a
riorganizzarsi, e la lunga permanenza in casa, il rischio nel frequentare locali affollati (inclusi negozi e
supermercati), ci ha stimolati anche dal punto di vista culinario: sono spariti dagli scaffali dei negozi la
farina, il lievito, uova, zucchero, ma anche miele.
L’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, ente pubblico economico) segnala 1 che nei
primi 9 mesi del 2020 le vendite di miele sono aumentate del 13% in volume; questo ha rappresentato una
inversione di tendenza, sia rispetto ai minori acquisti degli anni 2018-2019, sia al cambiamento della
clientela, passando da famiglie over 50 (con reddito medio-alto) a famiglie con giovani e ragazzi. 2

Gli alveari in Italia non sono al massimo della capacità produttiva di alcuni anni passati (2010, 2015 e 2018),
e in Europa l’Italia è al quarto posto per numero di alveari (1,6 Mio), dopo Spagna (3 Mio), Romania e
Polonia (rispettivamente 2 e 1,7 Mio di alveari), con una consistenza in aumento del 7,5% nel 2019 rispetto
all’anno precedente,

1
http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11269
2
http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11269
1
Le importazioni dagli altri Paesi, anche se in diminuzione, sono favorite dal minor costo; se si tiene conto
che la Cina esporta il miele in Italia al costo di 1,5€ per chilo, e sul mercato il miele arriva ad un costo medio
di circa 9€, entra in gioco il discorso qualità.

In Italia la legislazione in materia di miele è molto severa. La legge impone che il 100 % di ciò che finisce in
vasetto debba essere prodotto dell’alveare e non sono ammessi residui di sostanze chimiche (come gli
antibiotici o farmaci con cui vengono trattate le api ecc.). Molti produttori si avvalgono della
certificazione BIO, che è un’ulteriore conferma della qualità del loro prodotto.3

La peculiarità dei mieli “made in Italy” sono anche le quantità di tipi di miele perché piante diverse e fiori
diversi danno nettari diversi. La differenziazione in mieli monofloreali (che provengono prevalentemente dal
nettare di un’unica specie) è data da una presenza rilevante su un territorio di una fioritura attraente per le
api, ma in parte anche dalla capacità e dalla professionalità dell’apicoltore, che trasporta appositamente le api
su questa fioritura ed estrae il miele monofloreale evitando la contaminazione con raccolti precedenti e
successivi da specie diverse. E’ una continua “transumanza” da fioritura in fioritura.
Il miele monofloreale può essere identificato da un colore, da un profumo e da un sapore caratteristici, a
seconda che provenga da fiori di robinia, di castagno, di cardo, di tiglio, di trifoglio, eccetera. Se le api sono
in presenza di più fioriture contemporaneamente, il loro prodotto sarà misto e verrà denominato millefiori.

Slow food ha riconosciuto la denominazione di “presidio” a 19 tipi di miele in tutto il mondo,


In Italia abbiamo ben 3 presìdi:
 Mieli di alta montagna alpina (soltanto il nettare bottinato al di sopra dei 1400 metri dà miele “d’alta
montagna” e specificatamente sono il miele di rododendro, il miele millefiori, ed il miele di melata
di abete) in Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta. 4
 Mieli dell’Appennino aquilano in Abruzzo. 5
 Mieli Ape Nera Sicula in Sicilia. 6

Inoltre esistono alcune diciture D.O.P. (denominazione di origine protetta) sotto le quali vengono raccolti
vari produttori, come ad esempio la D.O.P. delle Dolomiti Bellunesi, la D.O.P della Lunigiana, la D.O.P.
Montefeltro, la D.O.P. Sardegna e la D.O.P. Varese. 7

L’Unione Europea.
Anche l’Unione Europea, intervenuta in passato riconoscendo che un insetto impollinatore su dieci è sull'orlo
dell'estinzione e un terzo delle specie di api e farfalle è in declino (proponendo una iniziativa per affrontare il
declino degli insetti impollinatori selvatici 8) e riconoscendo come essenziale la presenza di colonie di api
per l’agricoltura e per l’ambiente, in quanto assicurano la riproduzione delle piante attraverso
l'impollinazione; inoltre l'apicoltura contribuisce allo sviluppo delle zone rurali. 9
Pertanto ha offerto ad ogni Paese della UE di elaborare un programma nazionale di apicoltura, che viene poi
sostenuto dall'UE stessa. Questi programmi coprono un periodo di tre anni. I programmi di apicoltura per il
2020-22, sono stati approvati dalla decisione di esecuzione 2019/974 dell'UE in tutti i paesi dell'UE.

Nell'ambito dei programmi sono ammissibili al finanziamento 8 misure specifiche:


- assistenza tecnica: ad esempio, formazione per apicoltori e gruppi di apicoltori su temi come l'allevamento
o la prevenzione delle malattie, l'estrazione, lo stoccaggio, il confezionamento del miele, ecc;
- lotta contro gli invasori dell'alveare e le malattie, in particolare la varroasi; la varroa è un parassita
endemico che indebolisce il sistema immunitario delle api e, se non trattato, porta alla perdita delle colonie di
3
https://www.apitalia.net/ita/attualita_scheda.php?id=1865 (in allegato nuovo regolamento UE 2018/848 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei
prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio
4
https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/mieli-di-alta-montagna/
5
https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/mieli-dellappennino-aquilano/
6
https://www.fondazioneslowfood.com/it/presidi-slow-food/ape-nera-sicula/
7
https://www.agraria.org/prodottitipici/altriprodottidiorigineanimale.htm
http://oldagricoltura.regione.marche.it/Portals/0/Documenti/qualita/Disciplinare%20di%20produzione%20Miele%20del
%20Montefeltro.pdf
https://apiaresosdearbaree.files.wordpress.com/2012/02/cas-regce5102006-disciplinare-17-02-2012.pdf
8
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_18_3989
9
https://ec.europa.eu/info/food-farming-fisheries/animals-and-animal-products/animal-
products/honey_en#nationalapicultureprogrammes
2
api;
- razionalizzazione della transumanza che è importante per l'impollinazione ma anche per l'alimentazione
delle api;
- analisi dei prodotti dell'apicoltura: miele, pappa reale, propoli, polline e cera d'api;
- ripopolamento di alveari;
- ricerca applicata;
- monitoraggio del mercato;
- miglioramento della qualità dei prodotti al fine di sfruttare il potenziale dei prodotti dell'apicoltura sul
mercato.
Ogni tre anni la Commissione Europea presenta un rapporto al Parlamento europeo e al Consiglio
sull'attuazione delle misure riguardanti il settore dell'apicoltura.

2) Il miele nella storia.

La storia del miele ha origini antichissime.

Il nome miele deriva dall’antico ittita “milit” (greco μέλι, gotico miliþ, inglese antico milisc, gallese mel,
irlandese antico milis, albanese mjal/mjel/mil/, latino mel)

Probabilmente risalgono a 6.000/9.000 anni fa le prime tracce che testimoniano l’uso del miele da parte
dell’uomo. In Spagna, vicino a Valencia (Cueva de la Araña), si trova una pittura rupestre che rappresenta un
uomo che si arrampica su un albero (o una rupe), circondato da api in volo. Ha un cesto per raccogliere i favi
e utilizza del fumo per agevolare il suo lavoro di “cacciatori di miele”.

Nel corso dei millenni prima, e dei secoli dopo, molte popolazioni hanno considerato il miele come
alimento, ma anche come farmaco, forma di pagamento, offerta templare, dono votivo, bottino di guerra….

Gli Egizi, 3 millenni prima di Cristo, passarono dagli sciami selvatici all’allevamento , con arnie di
terracotta cilindriche, disposte orizzontalmente, e le utilizzavano per seguire le api nel succedersi delle
fioriture lungo il percorso del fiume Nilo. Era considerato un alimento per poche caste elevate, impiegato in
medicina per curare scottature e ferite, per disturbi digestivi, utilizzato anche per la mummificazione. Il
faraone Ramses II pagava i suoi dignitari con vasetti della preziosa sostanza zuccherina. Il profilo dell’ape
operaia è il geroglifico che simboleggia topograficamente il Basso Egitto e che, contemporaneamente,
corrisponde alla parola “lavoro”. 

3
Anche i Sumeri impiegavano il miele per scopi cosmetici, in creme con acqua, argilla e olio di cedro,
oppure per uso medico,, mentre Babilonesi e Assiri ne avevano scoperto le proprietà benefiche per curare
affezioni della pelle, degli occhi, dei genitali e dell’apparato digerente, oltre che per cucinare (erano diffuse
delle piccole focacce fatte con farina, sesamo, datteri e miele).

Per i Babilonesi il miele era talmente importante che addirittura nel codice di Hammurabi si trovavano
specifici articoli a tutela degli apicoltori che subivano furti di miele dalle arnie. Pare anche che risalga ai
Babilonesi l’abitudine per il quale il suocero, al momento del matrimonio, doveva rifornire il genero del
prezioso alimento affinchè si ritemprasse dalle fatiche amorose. Il periodo poteva durare un mese lunare (un
mese circa), da qui la definizione di “luna di miele”. Questa tradizione era anche radicata nella cultura
romana.

Nella mitologia greca si raccontava che Giove venne nutrito dalle api del Monte Ida.
Tra le prime monete metalliche coniate nelle città greche (VI sec. a.C.), ce ne erano alcune che ritraevano
l'immagine dell'ape simbolo di produttività.

Museo di Heraklion – Creta (foto Paolo Scavino)

Gli autori ellenici forniscono numerose notizie sul miele. Lo chiamavano il “Nettare degli Dei”, ritenendolo
un alimento meraviglioso, depositario di benefiche qualità.
Aristofane riferisce che focacce mielate erano il premio per gli atleti vincitori delle gare di corsa. 
Il filosofo e matematico Pitagora esortava i propri seguaci a cibarsi di pane e miele per avere lunga vita.

I Latini utilizzavano miele sia per i dolci che per la preparazione del vino (idromele), della birra, delle salse
agrodolci e delle conserve.
I Romani ritenevano il miele il dolcificante per eccellenza, perché mosto e frutta non erano altrettanto pratici
e ricercati. 
La sua domanda nell'Urbe eccedeva la produzione, perciò lo si importava da Creta, Cipro, Spagna e Malta (il
cui nome originale Meilat pare significhi appunto “terra del miele”).
Neppure Catone (II sec. a.C.), censore di una vita troppo facile e dolce, era contrario all'uso del miele in
cucina.
Virgilio (I sec. A.C.), poeta e appassionato di miele ed api, nel IV libro delle “Georgiche” riversò le sue
competenze di apicoltore, rivelando anche la sua predilezione per il miele di timo, sebbene fosse convinto
che le api non mielificassero per se stesse, ma per altri.

4
Furono le legioni di Cesare, tornate vittoriose dall'Egitto, a portare a Roma le ricette di ben sedici varietà di
biscotti, cotti in forno e fritti, dedicati al culto della dea Iside.
L’imperatore Augusto (I sec. A.C.), a chi chiedeva il segreto della sua longevità, rispondeva: “Curo il corpo,
dentro con il miele e fuori, con olio“; in quel periodo l’apicoltura era nella sua età dell’oro. Plinio il
Vecchio(I sec. D.C.) trattò dell'argomento nella sua opera “Storia naturale”.

Durante il Medioevo questo prodotto restò elemento prezioso e ricercato: una guardia forestale chiamata
“bigrus” (bigre è uno dei nomi dell'ape) aveva come compito specifico quello di raccogliere gli sciami e
proteggerli.
Il Capitolare de Villis di Carlo Magno, promulgato nell'anno 759, disponeva che chiunque avesse un podere
doveva tenere anche api e preparare miele e idromele. Chi fosse stato sorpreso a rubare miele coltivato era
punibile con multe di varie entità, chi invece avesse trovato un favo abbandonato ne diventava proprietario.
Lo stesso imperatore aveva un gran numero di arnie nei poderi della reggia.
Fu nei conventi e nelle abbazie medievali che le tecniche apistiche si svilupparono con risultati eccellenti
nell'ottenimento di miele e cera (utile a illuminare gli altari).

Il 1600 vede l’inizio della coltivazione della canna da zucchero e della barbabietola. L’uso dello zucchero si
diffuse largamente solo dal Settecento, quando la sua produzione aumentò al punto tale da renderlo molto più
economico e accessibile rispetto al miele. Per tal motivo, lo zucchero sostituì gradatamente il miele, il cui
consumo diminuì.

Bisognerà arrivare alla seconda metà del XVII secolo per avere una formulazione compiuta del processo di
trasformazione del nettare in miele, da parte del microscopista danese Swammerdam. Solo nell’Ottocento la
chimica organica ha fornito una spiegazione del fenomeno.

A partire da inizio Novecento si iniziò a concentrarsi maggiormente sul miele e sulle sue diverse tipologie.
Fino ad allora le distinzioni erano basate su osservazioni visive o di gusto. Negli anni ‘20 in Italia iniziò a
farsi largo il concetto di miele uniflorale e della necessità di distinguere il miele in base al tipo di fiore da
cui veniva prodotto. Solo negli anni ‘70, però, iniziano a essere eseguite le prime analisi
melissopalinologiche e l’analisi dei residui pollinici per capire il fiore di provenienza del miele. L’interesse
nei confronti del miele e delle sua specificità è stato talmente tanto da spingere alla creazione di
appositi corsi di analisi sensoriale e concorsi su scala nazionale per individuare i mieli qualitativamente
migliori.

5
3) Cosa è il miele.

La definizione legale
La Direttiva Comunitaria 2001/110/CE del Consiglio del 20 dicembre 2001 ha modificato e ridefinito che
cosa è il miele 10 (sostituendo la precedente direttiva CEE 22/07/74) e poi in parte è stata a sua volta
modificata ed integrata con la Direttiva 2014/63/UE del 15 maggio 2014.11

“1. Il miele è la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle
secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su
parti vive di piante che esse bottinano, trasformano combinandole con sostanze specifiche proprie,
depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare.
2. Le principali varietà di miele sono:
a) secondo l'origine:
i) miele di fiori o miele di nettare: miele ottenuto dal nettare di piante;
ii) miele di melata: miele ottenuto principalmente dalle sostanze secrete da insetti succhiatori
(Hemiptera) che si trovano su parti vive di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di
piante.
b) secondo il metodo di produzione e/o di estrazione:
iii) miele di favo: miele immagazzinato dalle api negli alveoli opercolati di favi da esse appena
costruiti o di sottili fogli cerei realizzati unicamente con cera d'api, non contenenti covata e venduto
in favi anche interi;
iv) miele con pezzi di favo o sezioni di favo nel miele: miele che contiene uno o più pezzi di miele in
favo;
v) miele scolato: miele ottenuto mediante scolatura dei favi disopercolati non contenenti covata;
vi) miele centrifugato: miele ottenuto mediante centrifugazione dei favi disopercolati non contenenti
covata;
vii) miele torchiato: miele ottenuto mediante pressione dei favi non contenenti covata, senza
riscaldamento o con riscaldamento moderato a un massimo di 45 °C;
viii) miele filtrato: miele ottenuto eliminando sostanze organiche o inorganiche estranee in modo da
avere come risultato un'eliminazione significativa dei pollini.

In Italia la Direttiva Comunitaria è stata recepita con il D.Lgs. 21 maggio 2004, n. 179. 12

Il ruolo ed il lavoro delle api nella produzione del miele.


Solo le api (e pochi altri insetti a loro simili) producono il miele perché solo loro, tra gli animali che si
nutrono di nettare e polline, hanno la necessità di accumulare provviste di cibo per le loro esigenze vitali.
Risolvono il problema trasformando il cibo fresco dell’estate (il nettare raccolto dai fiori. o le secrezioni di
piante, come nel caso della melata) in un alimento a lunga conservazione.
Il ruolo delle api è fondamentale nell’elaborazione del prodotto.
L'ape bottinatrice sugge le soluzioni zuccherine (nettare e melata) tramite la porzione succhiante
dell'apparato boccale e il liquido assorbito viene raccolto nella borsa melaria.
Il nettare è un liquido zuccherino prodotto dai fiori tramite apposite ghiandole, è molto odoroso proprio per
attirare gli insetti; in questo modo l’ape diventa vettore inconsapevole del polline, e lo porta ad altri fiori,
attività che permette la riproduzione del fiore. Quando l’ape invece vola sul tronco di un albero/arbusto
trova la melata, un altro liquido zuccherino; questo sarebbe la deiezione di alcuni piccoli insetti (es. metcalfa,
afidi e cocciniglie) che succhiamo la linfa degli alberi stessi e rilasciano questa sostanza che le api
“mangiano”.13

Il processo di formazione del miele ha inizio quando la bottinatrice, rientrando all'alveare, passa a un'ape di
casa la goccia di materia prima raccolta. La stessa goccia, prima di essere deposta in una cella del favo, viene
rapidamente passata da un'ape all'altra e questo processo, che si svolge per circa 15-20 minuti, provoca la
riduzione del contenuto in acqua per evaporazione, grazie all'aria relativamente calda e secca presente
all'interno dell'alveare.

10
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02001L0110-20140623&from=EN
11
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:32014L0063&rid=1
12
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/04179dl.htm
13
http://www.apicolturaonline.it/metcalfa.htm

6
Durante questi passaggi il nettare si arricchisce di secrezioni ghiandolari dell'ape, i cui diversi enzimi
determinano una serie di trasformazioni chimiche prevalentemente a carico degli zuccheri. All'interno delle
celle del favo prosegue il processo di evaporazione; questa volta l’acqua viene rimossa in modo particolare:
le api si mettono davanti alle celle e sbattono le ali. Sono in tante e così si crea una corrente d’aria continua
che porta via l’umidità dall’alveare estraendola dal miele. A questo punto il tenore di acqua è
sufficientemente basso da garantire la stabilità del miele (inferiore a 18 %); la cella viene così sigillata dalle
api mediante un opercolo di cera.

Per riassumere, il processo di trasformazione in miele del nettare o della melata consiste in una riduzione del
contenuto di acqua, fino ad un valore compatibile con la conservabilità del miele, in un aumento del tenore in
enzimi e in un livellamento dello spettro zuccherino. Infatti le differenze di composizione tra nettari di
diversa origine botanica sono più evidenti rispetto ai mieli che ne derivano, soprattutto per quanto riguarda
gli zuccheri. Tra questi ultimi a causa appunto dell’azione di livellamento operata dall’intervento dell’ape, si
stabilisce via via un equilibrio che porta nella maggior parte dei mieli a uno spettro zuccherino relativamente
uniforme.
In alcuni casi, tuttavia, soprattutto nei mieli di melata e nei mieli uniflorali (derivati principalmente da una
sola specie botanica ), quando cioè l’influenza della materia prima è maggiore, si verificano situazioni più o
meno differenziate rispetto al tipo base di spettro zuccherino.

4) Il processo di produzione e le tecnologie

Estrazione del melari e stoccaggio.


Le api accumulano il miele prodotto nei melari (telai, senza coperchio e senza fondo). Quando lo ritiene
opportuno, l’apicoltore decide di toglierli dall’arnia per portarli in laboratorio ed iniziare l’estrazione del
miele. Questa fase comporta la necessità di togliere le api contenute nel melario.
Una volta tolti dalla loro posizione, i melari vengono portati in laboratorio ed accatastati. In questo periodo i
melari subiscono una prima deumidificazione.
Disopercolatura
I favi dei melari sono generalmente opercolati, ovvero con le cellette chiuse con un tappo di cera.
Occorre togliere questo “tappo” per permettere al miele di fuoriuscire.
Questa operazione può essere fatta manualmente, appoggiando ogni telaino al leggio del banco per
disopercolare e rimuovendo gli opercoli con il coltello (eventualmente riscaldato elettricamente o
ripetutamente immerso in acqua calda) o con la forchetta per disopercolare, oppure automaticamente con una
disopercolatrice elettronica, dopo averne regolato la profondità di taglio e la temperatura delle lame di taglio.
Smielatura
Una volta disopercolate le celle, i telaini vengono posti nel cestello dello smielatore che, grazie alla forza
centrifuga, fa fuoriuscire il miele. Dallo smielatore il miele viene convogliato nei maturatori.

Filtraggio.
Il miele viene versato nei maturatori passando attraverso i filtri che raccolgono le impurità (residui di cera, i
resti delle api e qualsiasi altro materiale fosse accidentalmente finito nel miele). I filtri hanno maglie di
diverse dimensioni e, di solito, se ne utilizzano un paio con maglie differenziate (larghe, sottili). Vengono
utilizzati anche filtri a sacco di nylon.
Al termine dell’estrazione, il miele presenta una serie di impurità che devono essere eliminate
sottoponendolo ad un periodo di decantazione (normalmente almeno 1 mese), durante il quale le impurità
(più leggere del miele) tendono ad affiorare in superficie, semplificando la loro eliminazione.
Contemporaneamente alla decantazione, avviene il processo di maturazione: essendo il miele maturo (meno
umido) più pesante dell’acqua, esso tende ad accumularsi sul fondo del contenitore lasciando in superficie la
parte meno matura (più umida); quest’ultima, essendo a contatto con l’aria tenderà ad evaporare rilasciando
umidità sino alla maturazione completa del miele presente.
Per favorire il processo di maturazione e’ opportuno mantenere il maturatore in luogo caldo e lasciarne
scoperta l’apertura superiore o coprirla con un telo di cotone per evitare inquinamenti, ma consentire il
passaggio dell’aria.

7
Decantazione.
La decantazione è la fase in cui il miele matura; viene stoccato in recipienti di acciaio inox di varie capacità
(50 kg, 100kg….) e, per un processo fisico naturale, tende a purificarsi. Infatti nelle precedenti fasi di
manipolazione, il miele aveva assorbito aria che viene eliminata in questa fase: il miele decanta e l’aria viene
a galla sotto forma di bollicine che formano la schiuma. Questo processo dura circa 20/30 giorni.

Schiumatura.

In questa fase viene eliminata la schiuma prodotta dalla fase di decantazione. Vengono anche eliminate
eventuali ulteriori impurità (più leggere del miele) che tendono ad affiorare.

Invasettamento.
Una volta tornato limpido per l’eliminazione dell’aria e prima che inizi la cristallizzazione, può essere
invasettato (per la vendita al dettaglio) o versato in latte o fusti (per la vendita all’ingrosso).

Come si organizza un laboratorio per la lavorazione del miele.


I locali destinati alle operazioni di deposito dei prodotti dell’alveare, della smielatura e del confezionamento
devono essere:
 Areati e illuminati
 Con pavimenti di colore chiaro, con fughe ridotte al minimo, lavabili e disinfettabili e con pendenza
verso un tombino sifonato dotato di griglia a maglie fini
 Con pareti chiare, lavabili, disinfettabili fino a 2 metri di altezza
 Puliti in modo da evitare rischi di contaminazione, da parte di insetti e di animali infestanti.
 Avere le attrezzature di pulizia per mantenere un’adeguata igiene personale
(servizio igienico non necessariamente contiguo al laboratorio).
 Piani di lavoro in materiale lavabile e disinfettabile (no legno)
 Porte e infissi con superfici lisce facilmente pulibili e disinfettabili (no legno)
 Superfici di lavoro devono essere in buone condizioni, facili da pulire e, se necessario, da
disinfettare; a tal fine si richiedono materiali lisci, lavabili, resistenti alla corrosione e non tossici, a
meno che gli operatori alimentari non dimostrino all’autorità competente che altri materiali utilizzati
sono adatti allo scopo.
 Devono essere presenti delle schede di procedure scritte per la pulizia e, se necessario, la disinfezione
degli strumenti di lavoro e dei locali.
 Deve essere disponibile acqua potabile calda e/o fredda.
 I prodotti alimentari devono essere collocati in modo da evitare, per quanto ragionevolmente
possibile, i rischi di contaminazione.
 Durante le operazioni di smielatura e di confezionamento non devono essere presenti mobili o altre
strutture o materiali non lavabili e disinfettabili.
 Tutte le attrezzature, mobili ed utensili devono essere mantenuti in perfette condizioni di pulizia e di
manutenzione.
 Le attrezzature e gli utensili destinati alla smielatura ed al confezionamento del miele
(disopercolatori, smielatori, decantatori, ecc.) devono essere in materiale idoneo a venire in contatto
con gli alimenti e con caratteristiche tali da permettere una facile pulizia.
 Nei locali di lavorazione non devono essere presenti detersivi, disinfettanti o altri prodotti che
potrebbero comunque alterare o contaminare il miele.
 Il miele confezionato, i barattoli e gli altri contenitori vuoti ed i melari devono essere depositati in
locali facilmente pulibili e mantenuti in buone condizioni igieniche.
 Il locale utilizzato per la smielatura ed il confezionamento potrà essere adibito anche al deposito del
miele confezionato, delle attrezzature e dei melari durante la stagione invernale, nonché all’attività di
vendita, purché le attività siano effettuate in tempi diversi ed a conclusione di ogni precedente
operazione.
 Tutte le attività e le operazioni svolte nell’ambito della propria attività di apicoltore,
dall’allevamento alla produzione di alimento, dovranno essere descritte dettagliatamente in una
procedura che consenta di attuare corrette prassi operative in materia di igiene e la eventuale

8
individuazione di rischi e loro rimozione. Tale procedura dovrà essere presente al momento della
registrazione.

9
5) Composizione del miele. 14

La composizione del miele è notevolmente complessa e, come per gli altri prodotti dell’alveare,
probabilmente vi sono sostanze quantitativamente minori non ancora note.
Alcuni gruppi di componenti sono sempre presenti (zuccheri, acqua, sali minerali, acidi organici, enzimi,
ecc.), ma le loro proporzioni relative possono subire variazioni anche importanti. Il contenuto complessivo
degli zuccheri, ad esempio, è abbastanza costante , ma i singoli zuccheri differiscono frequentemente per la
quantità e a volte anche per la loro stessa presenza.
I costituenti fondamentali di un miele sono strettamente legati alla composizione del nettare o della melata da
cui esso deriva, cioè alla sua origine botanica e sono inoltre condizionati dagli interventi dell’apicoltore e,
nel tempo, dalle modalità di conservazione. Dunque la natura e l’origine stessa del miele non consentono una
standardizzazione rigorosa dei suoi valori di composizione e giustificano l’affermazione che non esistono
due mieli identici: è tale aspetto senza dubbio che rende questo prodotto il più particolare e suggestivo.
I principali componenti del miele sono i seguenti: zuccheri, acidi organici, acqua, sostanze minerali, enzimi,
vitamine, costituenti e sostanze diverse.

a) Gli zuccheri.
Dal punto di vista quantitativo gli zuccheri costituiscono i principali componenti del miele, rappresentando
più del 95% della sostanza secca. Il loro elevato contenuto contribuisce in modo determinante a definire
numerose proprietà fisiche e alimentari del miele.
I due zuccheri più importanti sono i monosaccaridi glucosio e fruttosio che insieme costituiscono circa il
90% degli zuccheri totali. In parte essi derivano direttamente dal nettare, in parte si formano in seguito
all’azione dell’enzima invertasi, secreto dalle ghiandole ipofaringee dell’ape, che idrolizza il saccarosio
contenuto nel nettare o nella melata scindendolo nei suoi due componenti: glucosio e fruttosio. Nella
maggior parte dei mieli, tuttavia, i due zuccheri non si trovano in proporzioni uguali, ma il contenuto in
fruttosio è leggermente superiore a quello del glucosio (mediamente si indica per il fruttosio un tenore di
circa 40% e per il glucosio di circa il 30%); solo in alcuni tipi di miele, in genere quelli primaverili (come il
miele di tarassaco o di colza), avviene il contrario.
Si tratta di un dato di grande importanza, poiché il glucosio è relativamente poco solubile in acqua e, di
conseguenza, un contenuto elevato di questo zucchero determina una tendenza alla cristallizzazione, mentre
una maggiore concentrazione di fruttosio, molto solubile in acqua e igroscopico, conserva il miele allo stato
liquido.
Oltre ai due monosaccaridi il miele contiene quantità modeste, o anche solo tracce, di zuccheri superiori
(di-, tri-, e polisaccaridi). Fino ad ora ne sono stati identificati più di 20, anche se in genere non sono tutti
presenti contemporaneamente nello stesso miele. Per lo più essi non influiscono sulle caratteristiche del
prodotto nella stessa misura per il glucosio e fruttosio; la loro identificazione è tuttavia rilevante per
conoscere l’origine del miele e i processi che hanno portato alla loro formazione.
La presenza del disaccaride saccarosio è da attribuire al fatto che non tutto il saccarosio presente nel nettare o
nella melata viene idrolizzato e una piccola quantità è sempre presente nel miele. Questo zucchero è
contenuto mediamente nell’ordine dell’1-3%, ma alcuni mieli, che derivano da un nettare particolarmente
ricco in saccarosio o prodotti a partire da un flusso nettarifero molto intenso e breve, possono presentare
flussi più elevati. Altri disaccaridi presenti normalmente nei mieli sono maltosio e isomaltosio.
Alcuni zuccheri, come l’erlosio, non sono presenti nella materia prima, ma sono il risultato di trasformazioni
enzimatiche operate dalle secrezioni ghiandolari dell’ape; altri ancora, come il melezitosio, caratteristico di
molti mieli di melata, vengono sintetizzati durante il passaggio della linfa nel corpo dell’insetto produttore di
melata mediante l’azione di enzimi secreti dall’intestino e dalle ghiandole salivari.
Nel miele, anche dopo l’estrazione, sono ancora presenti enzimi la cui azione influenza la composizione
zuccherina che continua pertanto a subire delle modificazioni: si tratta prevalentemente di reazioni che
portano alla formazione di di-e trisaccaridi e zuccheri superiori.

b) Gli Acidi Organici


Tutti i mieli presentano una reazione acida, hanno infatti valori di pH compresi tra circa 3,5e 4,5 con una
media di 3,9.più bassi in generale nei mieli di nettare più elevati nei mieli di melata (e noto che il valore di
pH=7 rappresenta il punto di neutralità).
L’acidità del miele è dovuta alla presenza di numerosi acidi organici, che possono trovarsi in forma libera e
in forma legata (i cosiddetti lattoni). L’acido quantitativamente più importante è l’acido Gluconico, che si
14
Per questa parte riferimento alla tesi di laurea dell’UNI Torino – Scienze Biologiche- di S. Manfrinato su
“Ecocompatibilità di un prodotto agricolo: il caso miele biologico”)

10
forma dal glucosio in seguito all’azione di un enzima, la glucosio ossidasi, con liberazione di acqua
ossigenata.
Per quanto riguarda l’origine degli altri acidi identificati nel miele, alcuni sono già presenti nel nettare o nella
melata, altri si formano durante l’elaborazione del miele, per l’intervento dell’ape. L’acidità totale del miele
si esprime in millequivalenti per chilo e può variare notevolmente da un miele ad un altro, lungo una scala di
valori compresi tra 10 e 60.
L’acidità del miele contribuisce a determinare la sua stabilità nei confronti dei microrganismi. Gli acidi
organici, inoltre, partecipano, con altri gruppi di componenti, a definire l’aroma complessivo di un singolo
miele

c) L’acqua.
Il contenuto in acqua è una delle caratteristiche più importanti del miele, in quanto ne condiziona la
conservabilità, contribuendo a definire anche la qualità. E’ legato a numerosi fattori: all’origine botanica, alle
condizioni atmosferiche e ambientali precedenti e successive all’estrazione, all’intensità del flusso
nettarifero, alla stagione di produzione, alle modalità di intervento dell’apicoltore, alle condizioni di
conservazione.
Il valore ottimale può essere definito intorno a 17%, tuttavia nel commercio è possibile trovare mieli con
contenuto in acqua da 14 a più di 21%. Valori molto bassi possono causare difficoltà nei processi di
lavorazione, valori elevati di acqua provocano con facilità fenomeni fermentativi.

d) Le sostanze minerali.
Il contenuto in sostanze minerali, definite anche ceneri in quanto rappresentano il residuo inorganico non
volatile del miele dopo calcinazione, è complessivamente basso, anche se può variare notevolmente, nei
diversi tipi di miele, da 0,02 a 1% circa.
L’elemento maggiormente rappresentato è il potassio, che costituisce la metà o i ¾ della quantità totale di
questa frazione. Sono inoltre presenti Cloro, Zolfo, Calcio, Fosforo, Magnesio, Silicio, Ferro, Manganese,
Rame. Altri elementi compaiono allo stato di tracce.
I minerali contenuti nel miele provengono dal terreno in cui vive la pianta: essi vengono assorbiti dalla pianta
stessa e, attraverso la linfa, raggiungono il nettare e la melata che l’ape raccoglie. Ricerche specifiche hanno
evidenziato una correlazione tra presenza di elementi rari e origine geografica di un miele: si è rivelato che
mieli di uguale origine botanica provenienti da diversi territori possono avere un diverso contenuto di
elementi rari.
La quantità di sali minerali è in relazione con il colore del miele. Infatti, sebbene il colore dipenda da fattori
in parte ancora sconosciuti, generalmente i mieli chiari sono poveri in sostanze minerali, mentre quelli più
scuri, in particolare il miele di castagno e i mieli di melata, ne sono più ricchi.

e) Le proteine.
Il miele è molto povero in sostanze azotate, ne contiene infatti mediamente 0.2-0.3%. sono rappresentate da
aminoacidi liberi e da proteine di diversa origine, in gran parte già presenti nel nettare e nella melata, in parte
contenute nei granuli di polline che si trovano nel miele. alcuni aminoacidi provengono anche da secrezioni
delle api e si riscontrano pertanto in tutti i mieli: fra questi la prolina, che è anche l’aminoacido libero
presente in maggior quantità.
Unica eccezione, per quanto riguarda il contenuto in sostanze azotate, è il miele di calluna, nel quale è
presente, in proporzione di 1-2%, una proteina vegetale responsabile dell’insolita viscosità (tixotropia)
caratteristica di questo miele.
Una particolare classe di sostanze proteiche che pur essendo presente nel miele in quantità molto ridotte
riveste un’importanza particolare, è rappresentata dagli enzimi.

f) Gli enzimi.
Gli enzimi sono sostanze di natura proteica che svolgono l’importante ruolo di catalizzatori biologici.
Sono cioè capaci di determinare o accelerare importanti reazioni chimiche negli organismi viventi.
Il miele contiene diversi enzimi che derivano dalla secrezione ghiandolari della api e in parte anche
dal nettare e dalla melata. Si tratta di alcuni dei componenti più studiati del miele, non tanto perché
abbiano importanza dal punto di vista nutrizionale, ma perché determinano la maggior parte delle
reazioni che portano alla formazione del miele a patire dal nettare e dalla melata. Inoltre, poiché tali
enzimi si degradano progressivamente nel tempo o in seguito a trattamenti termici, la loro quantità
può costituire un indice della freschezza del prodotto.
Tra i principali enzimi del miele saccarasi (invertasi) e glucoso ossidasi sono secreti dalle ghiandole
ipofaringee delle api, mentre le amilasi (diastasi) sono di origine in parte animale e in parte vegetale.
11
Altri enzimi presenti nel miele, catalasi, e fosfatasi, derivano invece dal nettare e dalla melata.
L’invertasi agisce sul saccarosio del nettare e della melata idrolizzandolo in glucosio e fruttosio. La
glucoso ossidasi provoca l’ossidazione del glucosio con formazione di acido gluconico e acqua
ossigenata. La diastasi idrolizza l’amido a glucosio.
La determinazione di questo ultimo enzima (espresso in unità diastasiche per grammo di miele) viene
comunemente utilizzata per valutare lo stato di freschezza del prodotto ed evidenziare eventuali
trattamenti termici subiti. Va tuttavia ricordato che il contenuto di amilasi nel miele è variabile e in
particolare alcuni mieli uniflorali (robinia, agrumi, corbezzolo) presentano naturalmente un basso
contenuto diastasico che, costituisce un parametro di caratterizzazione per tali mieli.
In linea generale, presentano un basso tenore diastasico i mieli derivanti da un intenso flusso
nettarifero e da fioriture brevi, che obbligano le api a dedicare più tempo alla raccolta che alla
lavorazione del nettare. Mieli prodotti da sottospecie diverse di Apis mellifera L. possono presentare
variazioni nel contenuto di enzimi.

g) Le vitamine.
Il miele ha un contenuto in vitamine estremamente basso, in relazione alle esigenze di tipo
nutrizionale. Allo stato attuale delle conoscenze, e stata riscontrata la presenza, in quantità molto
ridotte, solo di vitamine idrosolubili, vitamina C, D,E, K, PP e diverse vitamine del gruppo B
(B1,B2, B3, B4, B5, B6, B7, B8, B9, B9, B12). La loro origine è da attribuire fondamentalmente ai
granuli di polline che si trovano nel miele, infatti le vitamine riscontrabili nel miele sono presenti in
concentrazioni ben più elevate anche nel polline.

h) Costituenti minori e sostanze diverse.


Per costituenti minori si intendono quei componenti, chimicamente molto diversi tra loro, che in
quantità estremamente ridotte si riscontrano in tutti i mieli oppure solo in alcuni di essi.
Per quanto riguarda i LIPIDI, la loro presenza nel miele è praticamente insignificante e
probabilmente collegata alle tracce di cera derivanti dall’estrazione del miele stesso o da granuli di
polline.
Più interessanti sono gli AROMI. Si tratta di composti chimici diversi, acidi, alcoli, aldeidi, chetoni,
che in svariate proporzioni contribuiscono a definire l’aroma tipico di un miele. Trattandosi però di
sostanze volatili e termolabili, che quindi si degradano e si trasformano con facilità, risulta difficile
identificare e definire con precisione lo spettro aromatico di un singolo miele, anche se le moderne e
sempre più affinate tecniche analitiche rendono via via più vicina la possibilità di approfondire la
conoscenza di questo importante aspetto della composizione del miele.
Altri componenti del miele, tuttora poco conosciuti, sono i pigmenti di origine vegetale (Carotenoidi,
Flavonoidi, Antociani, Xantofille) che partecipano alla definizione del colore.

L’Idrossimetilfurfurale (HMF) è una sostanza praticamente assente nel miele appena estratto e che
si forma successivamente per degradazione degli zuccheri, in particolare del fruttosio, in ambiente
acido. Esso aumenta gradatamente in modo conosciuto in tutti i mieli durante la conservazione, ma
molto più rapidamente se il miele viene sottoposto a trattamenti termici eccessivi. Un miele
maltrattato riscaldandolo sopra i 40°C ha un più alto tenore di HMF ed è quindi facile da identificare.
È ancora buono da mangiare, ma ha perso tutta la freschezza e i profumi che caratterizzano i mieli di
qualità.
Un miele fresco ha quindi bassa concentrazione di HMF e alta concentrazione di enzimi; un miele
vecchio o riscaldato ha un alta concentrazione di  HMF e una bassa concentrazione di enzimi. Una
interessante analisi della molecola dell’HMF e della sua produzione partendo da biomasse si trova
nell’articolo in nota. 15

15
https://www.mdpi.com/1420-3049/23/9/2201/htm
12
Tabella riepilogativa della composizione del miele:

 Nutrienti Q.tà media Intervallo


 in 100 g
 Acqua 17.1 g 12.2-22.9 g
 Carboidrati totali 82.4 g  
 Fruttosio 38.5 g 25.2-44.4 g
 Glucosio 31.0 g 24.6-36.9 g
 Maltosio 7.20 g 1.70-11.8 g
 Saccarosio 1.50 g 0.50-2.90 g
 Proteine, amminoacidi e minerali 0.50 g  
 Energia 304 kcal  
 Vitamine  
 Tiamina < 0.006 mg  
 Riboflavina < 0.06 mg  
 Niacina < 0.36 mg  
 Acido pantoteico < 0.11 mg  
 Piridossina (B6) < 0.32 mg  
 Acido ascorbico (C) 2.2-2.4 mg  
 Minerali  
 Calcio 4.4- 9.20 mg  
 Rame 0.003-0.10 mg  
 Ferro 0.06-1.5 mg  
 Magnesio 1.2-3.5 mg  
 Manganese 0.02-0.4 mg  
 Potassio 13.2-16.8 mg  
 Sodio 0.0-7.60 mg  
 Zinco 0.03-0.4 mg  

A seconda del tipo di miele il pH oscilla tra 3.4 a 6.1 anche se il valore di pH medio è di 3.9.
Il miele infatti contiene diversi tipi di acidi sia di tipo aromatico che alifatico; questi ultimi
contribuiscono al sapore ed in particolare l’acido gluconico, che è l’acido prevalente, è
costituito da una catena con sei atomi di carbonio con 5 gruppi –OH avente formula
HOCH2(CHOH)4COOH è un esaltatore del sapore.
Tra gli altri acidi presenti vi sono l’acido formico,acetico,butirrico,citrico,lattico, propionico,
palmitico,succinico.
Il miele contiene inoltre 18 dei 20 amminoacidi tra i quali è prevalente la prolina.
Per le sue proprietà acide il miele andrebbe conservato sempre in contenitori di vetro.

Le proprietà fisiche.
Le proprietà fisiche del miele sono strettamente connesse con la sua composizione chimica: gli
zuccheri e l’acqua, i costituenti principali del miele, condizionano ad esempio indice di rifrazione,
cristallizzazione, densità e igroscopicità, mentre i sali minerali determinano il valore di conducibilità
elettrica.

aa) Indice di rifrazione.


La rifrazione è una proprietà ottica di tutti i corpi trasparenti: è il fenomeno per cui un raggio di luce,
nel passare da un mezzo a un altro, subisce in corrispondenza della superficie di separazione dei due
mezzi una deviazione e una variazione di velocità. Viene chiamato indice di rifrazione il rapporto fra
le due velocità. Nel miele liquido, a parità di temperatura, l’indice di rifrazione varia in modo
praticamente lineare a seconda del grado di umidità: più esattamente, aumenta con la diminuzione
della percentuale di acqua. La sua determinazione viene pertanto utilizzata per conoscere il contenuto
in acqua del miele.

13
ab) Densità.
La densità rappresenta il rapporto tra la massa di una sostanza e il suo volume e si esprime in g/ml. Il
rapporto tra la densità di una sostanza e quella dell’acqua (convenzionalmente uguale a 1) è chiamato
peso specifico. Nel miele è mediamente 1,422 g/ml a 20°C. Ciò significa che un litro di miele a 20°C
pesa circa 1,422 kg (da 1,39 a 1,44 ). Di questa caratteristica occorre tenere conto nel predisporre i
recipienti per il prodotto. Le variazioni sono legate al contenuto in acqua del miele: più è elevato,
minore è la densità. La misura della densità, infatti fornisce, con una certa approssimazione, il tenore
in acqua del miele. A causa di queste variazioni si osserva spesso, nei grandi contenitori, una
stratificazione del miele più umido (e più leggero) su quello più asciutto.

ac) Viscosità.
La viscosità, espressa in poise, misura la resistenza interna dei fluidi alla sollecitazione di una forza.
Nel miele è generalmente alta a causa dell’elevata concentrazione zuccherina. Varia in misura ridotta
a seconda dell’origine botanica; dipende invece principalmente dal contenuto in acqua e dalla
temperatura. Maggiore è il contenuto in acqua, più bassa è la viscosità: il miele si presenta quindi più
fluido. Per quanto riguarda la temperatura, la viscosità è elevata a bassa temperatura e diminuisce con
l’innalzamento di questa.
Tuttavia, intorno a 30°C (da 25 a 40 circa a seconda del contenuto in acqua e del tipo di miele)
decresce rapidamente, mentre a temperature più elevate si mantiene praticamente più costante. Il
riscaldamento ad alte temperature quindi non aumenta sostanzialmente la fluidità, ma causa
solamente un danno.
Un comportamento peculiare rispetto la viscosità caratterizza il miele di calluna, che comunque non è
una tipica produzione italiana. Questo miele contiene una proteina responsabile del fenomeno della
tixotropia: in condizioni di riposo il miele presenta una consistenza gelatinosa, mentre passa allo
stato fluido mediante agitazione.
La viscosità è una proprietà di cui è importante tenere conto durante le varie fasi tecnologiche cui
viene sottoposto il miele, dal momento dell’estrazione fino al confezionamento.

ad) Igroscopicità.
Il miele, a causa della elevata concentrazione zuccherina, è una sostanza altamente igroscopica.
Tende pertanto a raggiungere uno stato di equilibrio igrometrico con l’ambiente in cui si trova: in
ambiente umido assorbe acqua e in ambiente secco la cede, finché non viene raggiunto l’equilibrio.
E’ importante, quindi che il miele, se non si trova in contenitori ermetici, venga conservato in
ambienti con umidità relativa bassa, non superiore a 60%.

ae) Calore specifico e conducibilità termica.


Un miele che contenga 17,4% di acqua, a 20°C ha un valore di calore specifico di 0,54. Per scaldare
il miele occorre quindi metà dell’energia necessaria per scaldare la stessa quantità di acqua, che ha
calore specifico uguale a 1. Il miele però ha una bassa conducibilità termica (12,9 x 104 cal/cm x sec
x °C mentre l’acqua ha una conducibilità termica di 14 x104 cal/cm x sec x °C) ed è quindi un cattivo
conduttore di calore. Occorre tener conto di ciò quando si riscalda un miele (soprattutto se è
cristallizzato e in contenitori di grande capacità), perché si rischia di surriscaldare gli strati più
esterni, più vicini alla fonte di calore, mentre la massa intera resta fredda.

af) Conducibilità elettrica.


La conducibilità elettrica di un liquido, misurata in mS/cm, è funzione della presenza di sostanze
ionizzabili, in grado di condurre la corrente elettrica. Tali sostanze, nel miele, sono rappresentate
essenzialmente dai sali minerali: per questo motivo la determinazione della conducibilità elettrica del
miele può essere usata in luogo di quella delle ceneri per la valutazione del tenore in sali minerali.
Il valore di conducibilità elettrica varia notevolmente a seconda dell’origine botanica,
approssimativamente tra 0,1 e 2 mS/cm. I mieli di melata e quelli scuri in genere presentano i valori
più elevati.

ag) Potere rotatorio.


È la proprietà di tutte le sostanze zuccherine in soluzione di deviare il piano della luce polarizzata a
destra o a sinistra secondo un angolo il cui valore è specifico per ogni tipo di zucchero. Nel miele il
valore dell’angolo di rotazione dipende dalla somma matematica del potere rotatorio dei singoli
zuccheri. La maggior parte dei mieli di nettare è destrogira, mentre i mieli di melata sono levogiri.

14
ah) Colore.
Il colore varia naturalmente dalle tonalità più chiare alle più scure del giallo, dall’ambra, fino
praticamente al nero; non mancano mieli con riflessi verdi o rossi.
Le sostanze specifiche responsabili del colore del miele sono in parte ancora sconosciute; vi
contribuiscono prodotti derivati dagli zuccheri, alcuni pigmenti vegetali, tra cui carotene, xantofille,
antociani, flavonoidi, nonché aminoacidi e sali minerali .Il colore del miele è legato all’origine
botanica ed è pertanto un importante parametro per la definizione dei mieli uniflorali. È inoltre un
fattore importante anche sul piano commerciale e in alcuni paesi gli viene attribuita la stessa
rilevanza di un parametro qualitativo.
Con l’invecchiamento il miele diviene più scuro; cambiamenti del colore possono anche derivare
dagli interventi dell’apicoltore (uso di favi vecchi, contatto con metalli pesanti, alte temperature di
lavorazione) e dalle modalità di conservazione (esposizione alla luce, lunghi tempi stoccaggio, etc.) Il
colore viene misurato in mm della scala Pfund, utilizzando appositi colorimetri. Esiste anche una
classificazione del miele in base al colore messa a punto dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati
Uniti (1951, in Crane, 1975) e comunemente utilizzata nel commercio internazionale.

ai) Cristallizzazione16.
La cristallizzazione è, assieme al colore, la caratteristica fisica di maggiore importanza nella
commercializzazione del miele. Molti mieli (la maggior parte di quelli prodotti in Europa) tendono a
cristallizzare alle comuni temperature di conservazione, in quanto sono soluzioni soprassature,
contengono cioè più zucchero di quanto ne possa rimanere stabilmente in soluzione. Il processo di
cristallizzazione comporta la formazione di cristalli di glucosio monoidrato, in quantità, forma e
disposizione diverse a seconda delle condizioni in cui la cristallizzazione stessa ha avuto luogo. In
genere, maggiore è il tempo in cui questa avviene, tanto più voluminosi sono i cristalli.
I diversi mieli hanno diversa tendenza a cristallizzare a seconda della composizione (minore è il
contenuto d’acqua e maggiore quello in glucosio, maggiore la tendenza a cristallizzare), ma anche a
seconda della temperatura di conservazione.
La velocità di formazione dei cristalli è massima a una temperatura che si colloca attorno a 14°C, con
variazioni di qualche grado a seconda del tipo di miele. Sopra a 25°C e sotto a 5°C la
cristallizzazione è in pratica completamente inibita. Composizione e temperatura non sono però gli
unici fattori che regolano il fenomeno: anche la presenza di particelle solide in sospensione e
l’agitazione, soprattutto se avviene nell’ambito di temperature in cui la cristallizzazione è possibile,
promuovono la formazione di cristalli.

Le proprietà biologiche.

ba) Le proprietà nutrizionali.
La composizione del miele, che comprende glucosio e fruttosio associata ad acidi organici, sali minerali,
aromi e tante altre sostanze, ne fa un alimento unico e del tutto particolare.
Il miele è un alimento glucidico a elevato potere energetico. Fornisce 320 cal/100g. contro le 400 circa del
saccarosio. Essendo poi composto prevalentemente da zuccheri semplici (glucosio e fruttosio) presenta una
facile digeribilità.
Il miele offre dunque un apporto energetico, senza richiedere un processo digestivo e quindi senza
appesantire lo stomaco.
Tra gli alimenti energetici, occupa il primo posto nell’alimentazione dello sportivo; prima di una gara, di un
allenamento o comunque prima di uno sforzo fisico accresce l’efficienza muscolare e la sostiene nel tempo.
Per lo stesso motivo è indicato nell’alimentazione geriatrica e nella dietetica dell’età scolare, come in tutti i
momenti in cui è elevato il fabbisogno energetico. La presenza, accanto agli zuccheri semplici, di sali
minerali, enzimi, sostanze aromatiche e oligoelementi, contribuisce ad aumentare le potenzialità nutritive del
miele. Tra l’altro, negli ultimi anni il miele viene aggiunto al latte in polvere e in genere agli alimenti
destinati alla prima infanzia, in quanto migliorerebbe la tolleranza al latte vaccino.
In generale comunque, consumato come miele da tavola, come dolcificante delle bevande o in cucina, è
consigliabile l’introduzione del miele nella dieta quotidiana di ciascuno.
Il potere dolcificante del miele è elevato, superiore a quello del normale zucchero da cucina. Ponendo infatti
a 100 il potere dolcificante del saccarosio, quello del fruttosio è 173 e quello del glucosio 74. A livello
dietetico permette quindi di realizzare un piccolo risparmio calorico.

16
http://www.apicoltura2000.it/cristallizzazione.htm
15
bb) Le proprietà terapeutiche.
Le virtù terapeutiche attribuite al miele nel corso del tempo, tramandate dalla medicina popolare, riportata
dai testi e riviste più o meno specializzati, riprese secondo i corsi e i ricorsi della moda, sono numerosissimi.
Il miele agirebbe favorevolmente su vari disturbi dell’apparato respiratorio, circolatorio, e digestivo, sul
fegato, sulla dentizione dei bambini favorendone la fissazione del calcio. L’elenco potrebbe continuare, ma
in realtà anche se alcune di queste azioni sono state occasionalmente verificate, manca una corretta
sperimentazione clinica in grado di supportare ogni affermazione. Manca soprattutto a causa del fatto che ci
si trova di fronte a un prodotto mai uniforme, mai identico, mai stabile. D’altra parte non risulta una ricerca
approfondita sulla composizione del miele utilizzato nelle sperimentazioni effettuate.
Allo stesso modo non trova riscontro scientifico la frequente attitudine ad attribuire ai mieli uniflorali le
attività farmacologiche proprie delle piante da cui derivano.
È stata invece verificata un’attività antibatterica, sia nel miele tal quale (dovuta alla concentrazione
zuccherina e al Ph acido) che in soluzioni diluite. Quest’ultima attività, attribuita per lungo tempo a una
sostanza di natura sconosciuta definita col nome generico di “inibina”, sarebbe dovuta all’azione dell’enzima
glucoso ossidasi che, in particolari condizioni di diluizione, produce acqua ossigenata e acido gluconico a
partire dal glucosio. Sarebbe l’accumulo di acqua ossigenata (che viene successivamente distrutta) a
conferire attività antibiotica alle soluzioni di miele. Questo meccanismo, il cui significato biologico consiste
probabilmente nel proteggere dall’attacco microbico il miele in formazione (quando ancora non è efficiente
il sistema di inibizione dovuto alla elevata concentrazione zuccherina) sarebbe alla base di una parte
dell’attività antibatterica esplicata dal miele sulle ferite e potrebbe spiegare anche alcune altre attività
tradizionalmente riferite a questo prodotto. Anche altre sostanze presenti nel miele (polifenoli) sembrano
possedere un’attività di tipo antibiotico.
Verosimilmente la maggior parte dei benefici riconosciuti dalla tradizione al miele possono essere ricondotti
a una generica azione trofica e dall’effetto emoliente, blandamente lassativo, epato protettore e detossicante
del fruttosio.
Meglio prendere in considerazione il miele come alimento piuttosto che come farmaco: anche se è necessario
ricordare che non è un alimento completo a causa del trascurabile contenuto in lipidi, protidi e vitamine, il
suo valore nutritivo, al pari della sua gradevolezza, è certamente più sostenibile con validi argomenti. Tanto
meglio se poi dovesse avere anche effetti taumaturgici.

bc) Il miele e il botulismo.


Il miele viene espressamente controindicato nell’alimentazione dei bambini di meno di un anno di età dal
Food and Drugs Administration statunitense. 17Questo consiglio è dettato dal fatto che negli USA è stata
evidenziata una relazione di causalità tra ingestione del miele e alcuni casi di botulismo, i bambini di età
compresa tra le due settimane e i sei mesi.
Questa forma clinica è dovuta all’ingestione di spore di Clostridium botulinum A.M. che, contrariamente a
quello che avviene di norma, germinano, si moltiplicano e producono tossina nel lume intestinale. Il quadro
clinico è molto ampio e va da forme quasi asintomatiche fino alla morte. In adulti e bambini più grandi le
spore di C. botulinum ingerite con i comuni alimenti o direttamente dall’ambiente, dove sono diffuse
largamente, non hanno possibilità di germinare. Anche nei lattanti sembra che debbano concomitare
particolari circostanze perché questa sindrome si sviluppi: secondo uno studio americano il rischio per un
bambino di meno di un anno di età di contrarre questa tossinfezione è dell’ordine di1/12.000.
Abitualmente C. botulinum costituisce un rischio per la salute umana solo quando si sviluppa in alimenti
conservati non sufficientemente sterilizzati in cui si creino le condizioni favorevoli alla sua moltiplicazione
(assenza di ossigeno, Ph vicino alla neutralità, conservazione a temperatura ambiente) e consumati senza
ulteriore cottura (verdure sott’olio di fabbricazione artigianale o casalinga, carni conservate non cotte). Nel
miele è presente in maniera occasionale, in concentrazione di poche spore/g e non appare legato a particolari
situazioni o tecniche produttive. Non può quindi essere eliminato con le normali operazioni di preparazione
del miele per il mercato.
D’altra parte questo non costituisce alcun rischio per i bambini al si sopra dell’anno di età né per l’adulto, in
17
https://www.fda.gov/food/laboratory-methods-food/bam-chapter-17-clostridium-botulinum
“Botulism in infants 6 weeks to 1 year of age was first recognized as a distinct clinical entity in 1976. This form of
botulism results from growth and toxin production by C. botulinum within the intestinal tract of infants rather than from
ingestion of a food with preformed toxin. It is usually caused by C. botulinum types A or B, but a few cases have been
caused by other types. Infant botulism has been diagnosed in most U.S. states and in every populated continent except
Africa “.
Cit. in: https://nifa.usda.gov/sites/default/files/resource/Preventing-Foodborne-Illness-Clostridium-botulinum.pdf
Ripreso dopo nuovi casi in Texaas: https://www.fda.gov/food/alerts-advisories-safety-information/honey-pacifiers-
suspected-texas-infant-botulism-cases
16
quanto nel miele non si verificano mai le condizioni richieste per la sua moltiplicazione.
Per il lattante, il miele non può essere certo considerato il principale veicolo di spore e la sua eliminazione
dalla dieta non potrà quindi escludere il pericolo di infezione. Tuttavia, non essendo necessario
nell’alimentazione dei primi mesi, anche questo piccolo rischio può essere facilmente eliminato.

6) I prodotti “sussidiari” dell’alveare.

I) Il polline.

Il polline è costituito da una moltitudine di granuli microscopici contenuti nei sacchi pollinici delle antere dei
fiori e ha l’aspetto di una polvere diversamente colorata a seconda del fiore. Questi granuli sono le cellule
riproduttrici maschili della pianta. Questa polvere viene facilmente trasportata dal vento e riesce a
raggiungere gli organi femminili dei fiori (pistilli).

L’altro mezzo di impollinazione, e cioè di dispersione del polline e fecondazione dei fiori, è dato dalle api e
da altri insetti pronubi. In cambio del nettare che le attira verso i fiori,  le api trasportano il polline di pianta
in pianta. Ma anche il polline stesso è oggetto di interesse alimentare da parte delle api. Se il nettare viene
utilizzato come alimento energetico, il polline è l’indispensabile sostanza proteica che permette la
riproduzione e la crescita all’interno dell’alveare.

Il procedimento con cui le api operaie raccolgono il polline è affascinante. Prima di uscire per bottinare, le
api riempiono l´esofago di nettare prelevato dalle scorte dell’alveare. Giunte sul fiore, raccolgono il polline
grazie ad “attrezzi” particolari di cui sono dotate. Tramite la peluria che le ricopre e a spazzole di peli rigidi
che hanno sulle zampe, le operaie recuperano la polvere di polline riducendola in palline che poi trasportano
nelle “cestelle del polline”, costituite da lunghe setole arcuate situate nel le zampe posteriori. Per assicurare
l’aderenza e la compattezza delle palline, utilizzano il nettare che avevano prelevato all’uscita.  I fermenti
presenti nel nettare provocano un´inseminazione nelle pallottoline.

Per intercettare le palline di polline raccolte e trasportate dalle api, l’apicoltore applica all’ingresso
dell’alveare una “trappola da polline”: per entrare nell’alveare l’ape attraverserà delle restrizioni che ne
permetteranno  il passaggio solo a patto di perdere le palline. Staccandosi, esse cadranno in un cestello
sottostante dove verranno successivamente raccolte dall’apicoltore. La trappola da polline non intercetta la
totalità del polline, così alle api non verrà a mancare il nutrimento. Esse potranno passare, per esempio, con
palline di polline molto piccole. Siccome comunque la trappola rallenta l’attività di rientro delle api, essa
viene applicata in modo mirato solo nei periodi dove si prevede un forte raccolto di polline.

Il polline raccolto dalle api non serve per l’elaborazione del miele, ma come alimento proteico per le forme
giovanili. Nel miele il polline è presente solo in piccolissima quantità, come componente accidentale. 18

II) La pappa reale

La pappa reale si presenta come una sostanza gelatinosa, per questo è anche definita “gelatina reale”. Il suo
colore è bianco-giallognolo a riflessi perlacei, astringente in bocca e dal sapore acidulo, simile a quello
dello yogurt, ma anche leggermente zuccherino. L’odore è di tipo fenolico (ricorda quello dell’inchiostro,
del cerotto, o di certe vernici).  Tende a ispessirsi con l’invecchiamento e il suo colore può modificarsi a
contatto con l’aria.

Essa è il prodotto di una secrezione delle ghiandole ipofaringee e mandibolari delle api nutrici, quelle cioè
che, nel succedersi determinato dall’età delle funzioni dell’alveare, hanno tra i 4 e i 15 giorni di vita. La
pappa reale deriva dalla trasformazione del polline, che costituisce il principale alimento proteico delle
api, e dunque destinato principalmente a crescere e mantenere le strutture del corpo; a differenza del polline,
che è una struttura biologica quasi completamente di origine vegetale (eccetto alcune sostanze aggiunte dalle
api per appallottolarlo e conservarlo), la pappa reale è totalmente di elaborazione animale. Essa viene
utilizzata subito dopo la secrezione, non viene immagazzinata come il polline e il miele.
18
https://unaapi.it/mieli-e-prodotti-delle-api/polline/

17
Costituisce il nutrimento esclusivo di tutte le larve di api dalla schiusa al terzo giorno di vita, nonché di
quelle larve destinate a svilupparsi in regine fino al loro quinto giorno di vita larvale (il momento in cui la
cella viene opercolata e lo sviluppo avviene come in un bozzolo); e infine dell’ape regina per tutta la
durata della sua vita.  E’ questo nutrimento a far sì che la regina, nata da un uovo identico a quello di
un’ape operaia, diventi in meno giorni due volte più grossa e pesante. Che la sua larva riesca ad aumentare di
circa duemila volte in cinque giorni il suo peso. Ed anche che una regina possa avere una durata di vita che
può arrivare fino a cinque anni, mentre un’operaia vive intorno ai 45 giorni; e infine, che essa sia in grado di
deporre fino a 2000 uova al giorno per alcuni anni.

La pappa reale si produce utilizzando e orientando ai propri fini i naturali meccanismi biologici dell’alveare.
La quantità di pappa reale che le api producono ordinariamente, per nutrire la regina e le larve fino a tre
giorni di età, è in realtà molto piccola. Ma c’è un periodo speciale  in cui ne producono invece in grande
quantità: quello primaverile della “sciamatura”, la modalità con cui le famiglie d’api si riproducono. La
vecchia ape regina si prepara a sciamare dall’alveare con una parte delle api, nel momento in cui esso ha
raggiunto un livello ormai traboccante del suo sviluppo, mentre le api, che in questo “troppo pieno” non
riescono più ad avvertire tramite i feromoni la sua presenza, allevano tutta una serie di nuove regine.

A questo scopo costruiscono un gran numero di celle rotonde destinate alle larve reali riempiendole di questo
ricco nutrimento. I principali costituenti della pappa reale fresca sono acqua (57-70%),  proteine (14-
15%),  zuccheri (12-13%),  lipidi (3-4%) e minerali (2%). Delle sostanze proteiche, gran parte sono
aminoacidi, di cui gli otto considerati indispensabili all’organismo umano (isoleucina, leucina, lisina,
metionina, fenilanina, treonina, triptofano e  valina). Gli zuccheri sono costituiti principalmente da glucosio e
fruttosio, e, in misura minore, da maltosio, tralosio, melibiosio, erlosio e ribosio. I lipidi sono per lo più
costituiti da acidi grassi, i cui più rilevanti sono l’acido cheto-trans-decendioico e l’acido idrossi-trans-
decendioico. Tra i minerali, in ordine decrescente di concentrazione, sono presenti potassio (nettamente
prevalente), calcio, sodio, zinco, ferro, rame e manganese. Tra le vitamine, particolarmente abbondanti sono
quelle del gruppo B, in particolare l’acido pantotenico (vitamina B5). E’ presente anche acetilcolina, un
neurotrasmettitore e vasodilatatore, oltre che fattore antibatterico e antibiotico. In letteratura si parla spesso
di una frazione ancora sconosciuta della pappa reale, la cui composizione contiene, in conclusione, un
notevole numero di elementi indispensabili alla vita dell’uomo in una prodigiosa sinergia che sarebbe
impossibile da realizzare in laboratorio.19

III) La propoli
Le gemme di certi alberi sono ricoperte da una patina resinosa: essa le protegge dagli agenti patogeni, che
potrebbero infettarle. Nelle giornate calde d’estate, le api prelevano questa sostanza e la raccolgono in piccoli
carichi, che trasportano, attaccati alle zampe posteriori, fino all’alveare. Questa sostanza viene elaborata
tramite le loro secrezioni ghiandolari, modificandone in parte la struttura chimica. Della sua vasta gamma di
proprietà, le api la utilizzano soprattutto per la sua azione antisettica, per neutralizzare funghi, batteri e virus,
“dipingendo” con essa le pareti interne dell’alveare e il fondo delle celle destinate a ospitare covata o miele.
Bisogna ricordare che l’alveare, con le sue 40.000-60.000 api e le loro 100.000 trasferte giornaliere, con una
temperatura che si aggira intorno ai 36° e un’umidità relativa del 70%, potrebbe costituire un erreno ideale
per lo sviluppo di batteri. Eventuali piccoli intrusi penetrati nell’alveare e difficili da trasportare fuori
(coleotteri, per esempio, ma persino topi) possono venire uccisi e “imbalsamati” all’interno dell’alveare,
isolandoli con questa sostanza e arrestandone la decomposizione. Le api utilizzano la propoli anche come
materiale da costruzione, per otturare le fessure dell’alveare, per fissare gli elementi mobili dell’arnia, per
ridurre gli spazi che non corrispondono al loro innato senso della geometria e, laddove l’apertura di ingresso
dell’alveare sia troppo larga, per ostruirla con blocchi di questa materia, lasciando soltanto lo spazio
necessario. E’ per questa funzione che essa prese fin dall’antichità (probabilmente da Aristotele, nel IV
secolo avanti Cristo) il nome di propoli: pro= davanti, polis= città, davanti alla città e dunque difesa della
città.

Esistono due sistemi di raccolta: il primo consiste nella raschiatura delle costruzioni di propoli dall’interno
degli alveari, un lavoro che l’apicoltore riserva di solito per l’inverno, quando è il momento di rimettere in
sesto i materiali. Parte di questa propoli di raschiatura, se questa pulizia non viene effettuata regolarmente
tutti gli anni, può aver subito un processo di ossidazione.
Il secondo sistema consiste nella utilizzazione di griglie, che vengono collocate al posto della soffitta
dell’alveare: gli interstizi vuoti delle griglie inducono le api, che regolano gli spazi dell’alveare secondo una
19
https://unaapi.it/mieli-e-prodotti-delle-api/pappa-reale/
18
geometria precisa, a riempirli con la propoli. Questa tecnica viene applicata nella stagione calda, quando le
api spontaneamente raccolgono la propoli: con questo metodo la propoli è più facile da raccogliere, e il suo
livello di freschezza e purezza molto maggiore.

La propoli contiene 300 molecole attive, ed è composta dal 30% di cera, contenuta nella propoli stessa o
secreta dalle api, dal 50% di resine e sostanze balsamiche, dal 10% di olii essenziali, dal 5% di polline e dal
5% di materie organiche o minerali. La componente più interessante è data dai flavonoidi, che sono composti
chimici vegetali diffusi nelle piante superiori e  hanno molteplici proprietà, tra cui quelle antiossidanti,
protettive della permeabilità dei capillari ematici e linfatici, antiinfiammatorie nei processi che colpiscono le
mucose, la pelle e le articolazioni, e, tra l’altro, favoriscono l’assunzione della vitamina C e del calcio. I
principali flavonoidi presenti nella propoli sono Pinocembrina, Galangina, e Quercetina. Sono anche presenti
nella propoli anche composti fenolici  (in particolare l’Acido Caffeico dalle proprietà antiossidanti e
antiinfiammatorie).20

IV) La cera d’api


Mentre molti insetti costruiscono i loro nidi utilizzando materiali raccolti nell’ambiente (come fibre vegetali,
fango, intonaci), le api producono da sole il loro materiale da costruzione: la cera. Con essa costruiscono le
strutture interne all’alveare: i favi, formati da celle esagonali che serviranno sia allo sviluppo delle api
dall’uovo all’adulto, sia ad immagazzinare il polline e il miele. Come per molti altri lavori dell’alveare, la
produzione della cera e la costruzione di favi è affidata ad api di una specifica fascia d’età, e cioè dal decimo
giorno di vita fino a circa il diciottesimo: questa capacità coincide infatti con lo sviluppo di particolari
ghiandole dette ceripare, che si trovano nell’addome. Dopo il diciottesimo giorno di vita esse cominciano ad
atrofizzarsi e l’ape si predispone a svolgere altre attività all’interno dell’alveare.
La cera viene prodotta a partire da una trasformazione degli zuccheri contenuti nel miele. Si ritiene che le api
impieghino circa dieci grammi di miele per produrre un grammo di cera: una parte degli zuccheri serve come
materiale da costruzione, l’altra come combustibile per fornire l’energia necessaria alla sintesi. Piccole
scagliette di cera vengono trasudate da aperture addominali, prelevate con le zampette, portate alle
mandibole dove vengono masticate per ammorbidirle e poter essere modellate. Le api, per costruire la
struttura di un favo in condizioni naturali (cioè in un ambiente vuoto, senza il foglio cereo prestampato
solitamente fornito dall’apicoltore), si agganciano l’una all’altra con le zampette, creando delle vere e
proprie impalcature.
La cera è una complessa miscela, chimicamente stabile, di sostanze organiche (circa 300) di carattere grasso:
idrocarburi, acidi, alcoli e in maggior proporzione esteri. Si presenta, nel momento della secrezione, di un
colore bianco traslucido. Può poi assumere una vasta gamma di colorazioni, dal giallo chiaro all’arancio
scuro, a seconda dei colori delle sostanze oleose contenute nei pollini di diversi fiori bottinati dalle api, che
in essa si sciolgono. Il girasole conferisce per esempio alla cera una tonalità giallo oro, la sulla una tonalità
aranciata, l’acacia una tonalità bianca. Un iscurimento avviene, sempre nell’alveare, per contaminazione con
la propoli e con residui dei bozzoli lasciati dalle larve sui fondi delle celle, e, successivamente, a causa del
calore impiegato per l’estrazione o del tipo di metallo dei recipienti in cui viene fusa o conservata (se in
ferro, zinco, rame e ottone, provocano ossidazione, buoni quelli stagnati e in alluminio, ideali in acciaio
inossidabile).
La cera d’ape è una sostanza insolubile in acqua, per questo è ottimale per ospitare – all’interno delle celle
del favo – una sostanza che ha una base acquosa come il miele senza che ci sia compenetrazione o perdita.
La cera è già plasmabile a una temperatura di 35°, e la sua temperatura di fusione è relativamente bassa (62-
66°). Anche se può fondersi in presenza di solventi chimici (cloroformio, solfuro di carbonio, essenza di
trementina, benzolo) è una sostanza sostanzialmente inerte, per questo si presta bene a essere utilizzata come
protettivo o come isolante. In fusione, può essere mescolata a sostanze grasse. E’ resistente alla maggior
parte agli acidi e agli enzimi digestivi della maggior parte degli animali. E’ più leggera dell’acqua sia allo
stato solido che liquido.
Le sue caratteristiche hanno permesso che venisse utilizzata in una grande varietà di ambiti: dalla
fabbricazione di candele alla scultura, al trattamento del legno ediversi tipi delle superfici, come sostanza
portante in cosmesi e farmaceutica.
La cera può provenire innanzitutto dagli opercoli, cioè dallo strato che le api costruiscono per sigillare le
celle in cui hanno immagazzinato il miele, che viene asportato dall’apicoltore con forchette o lame per
permettere l’estrazione del miele. Gli opercoli sono freschi di produzione e quasi del tutto privi di impurità,
quindi la materia migliore da utilizzarsi in preparati cosmetici e farmaceutici, oltre che da tornare a

20
https://unaapi.it/mieli-e-prodotti-delle-api/propoli/
19
immettere nell’alveare sotto forma di fogli cerei prestampati per accelerare la costruzione dei favi. Una fonte
di cera secondaria è costituita dai favi vecchi, in cui si sono svolti diversi cicli biologici della vita delle api e
dove la cera può essersi contaminata con altre sostanze dell’alveare: propoli, polline e residui dei bozzoli
delle larve. E’ la cera in genere destinata alla fabbricazione di candele, protettivi per mobili, stampi, ecc.
Nel caso della cera d’opercolo, la tecnologia di estrazione deve prevedere la separazione degli opercoli dal
miele. Essa può essere ottenuta per scolatura, eventualmente agevolandola col calore, torchiatura,
centrifugazione, fusione “a calore secco” tramite sceratrice solare, o “a calore umido” in appositi apparecchi
a vapore. Il sistema più primitivo ed economico è la bollitura in abbondante acqua, permettendo alla cera di
risolidificarsi in superficie e alle impurità di formare uno strato tra cera e acqua, che verrà asportato. Più
rapida è la solidificazione della cera, meno essa si libera delle piccole impurità, quindi uno degli
accorgimenti per averla pulita è di mantenerla il più a lungo possibile fusa. La fusione non va mai effettuata
con la fiamma diretta, ma utilizzando uno strato che assorba il calore e lo ridistribuisca in modo omogeneo,
sia perché ad alta temperatura la cera rischia di prendere fuoco, sia perché si volatilizzano molte componenti
e si danneggiano altre molecole.

Un papiro compilato in Egitto nel 1550 avanti Cristo (il Papiro Ebers) nomina la cera in 32 ricette, tutte per
uso esterno, dove la cera fa da sostanza portante insieme a una varietà di altri ingredienti, quali resina, mirra,
grasso di bue. Le indicazioni vanno dall’estrazione di spine alle bruciature, ferite, o come lenitivo per le
articolazioni e l’irrigidimento.
Il greco Ippocrate (460-470 a. C.), considerato il “padre della Medicina” ne consigliava applicazioni sulla
nuca nel caso di amigdalite purulenta.
Il romano Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua “Naturalis Historia” parla della cera sia per uso esterno
che interno definendola“emolliente, riscaldante, e rigenerativa della carne”; la migliore sarebbe la più fresca.
E’ data a chi patisce di dissenteria in un impasto di farina e acqua o in un porridge di semola tostata.  Plinio
cita anche balsami e impiastri.
Il medico greco Galeno (129-216 d.C,) mise a punto una ricetta che è a tutt’oggi la base delle “cold creams”:
olio d’oliva, cera d’api e acqua di rosa: il “Ceratum Galeni”.
Il medico persiano Avicenna (780-1037) la prescrisse come stimolante della lattazione nelle donne e per la
cura di tossi persistenti.
Nel “ricettario dei segreti” del principe fiorentino Antonio De Medici (1576-1521) la cera ha una parte
notevole nella composizione sia di unguenti sia dei cosiddetti“cerotti”, applicazioni emollienti o
medicamentose in cui veniva inserita una varietà di ingredienti (quali nepetella, olio laurino, resine, olio
rosato) a seconda dell’indicazione curativa: bruciature, contusioni, piaghe e ferite, fratture, calli, sciatica. 21

21
https://unaapi.it/mieli-e-prodotti-delle-api/cera/
20
Bibliografia/Sitografia
Storia del miele
http://www.fototeca-gilardi.com/blog/il-re-ape-e-il-cibo-degli-dei/
https://www.3bee.it/miele-storia/
https://unaapi.it/mieli-e-prodotti-delle-api/miele/il-miele-attraverso-i-secoli/
https://www.taccuinigastrosofici.it/ita/news/antica/pasticceria/miele-storia-delloro-colato.html
http://www.expo2015.org/magazine/it/cultura/il-miele--la-storia-di-un-alimento-d-oro.html

Il miele e la legge
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/04179dl.htm
https://www.mielelombardi.it/miele-e-prodotti-dell-alveare/95-il-miele-e-la-legge

Lavorazione del miele


https://www.unaapi.it/download/c_tecnologia_es_lav_1.pdf

Elenco dei mieli italiani


http://www.apicoltura2000.it/mieliuniflorali.htm
http://www.ambasciatorimieli.it/miele-e-prodotti-delle-api/mieli-italiani.html

Il miele biologico
https://www.suoloesalute.it/wp-content/uploads/2012/11/Apicoltura_Biologica.pdf
https://www.rivistadiagraria.org/articoli/anno-2015/la-certificazione-del-metodo-biologico-lapicoltura/
http://www.apicolturaonline.it/lex-222.htm http://www.apicolturaonline.it/lex-222.htm#api (Regolamento
CE n. 1804/1999 del Consiglio del 19 luglio 1999 che completa, per le produzioni animali, il regolamento
(CEE) n. 2092/91 relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale
metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari)
https://www.apitalia.net/ita/attualita_scheda.php?id=1865 (in allegato nuovo regolamento UE 2018/848 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura
dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio

21

Potrebbero piacerti anche