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Atti del convegno internazionale organizzato

dalla Libera Università LUSPIO


in collaborazione con l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente
(Roma 12-13 maggio 2011)

Comitato scientifico:
Marino Freschi, Gherardo Gnoli, Novella Novelli

Al volume è allegato un DVD del Musicattore© Luigi Maio, con la registra-


zione dal vivo di due estratti dalle opere del poliedrico artista genovese:
Commedia da Camera: fantasia dantesco/lisztiana per violino, fagotto, pianofor-
te e Vespe d’Artificio: il Futurismo da Stravinskij a Petrolini.

Il convegno rientra nell’ambito del progetto di ricerca sulla «Mon-


danizzazione del linguaggio nella letteratura mistica tra Oriente e
Occidente», coordinato dalla prof.ssa Matilde de Pasquale e fi-
nanziato dalla Libera Università LUSPIO di Roma. La pubblica-
zione del presente volume si avvale di un contributo della Libera
Università LUSPIO.

Con il patrocinio di:


Casa di Goethe
Centro per le Relazioni Italo-Arabe
Centro Studi Archivio d’Occidente
Fondazione Formit
Fondazione Ugo Spirito
Istituto di Studi Politici «S. Pio V»
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
LIBERA UNIVERSITÀ LUSPIO
ISTITUTO ITALIANO PER L’AFRICA E L’ORIENTE

La «santa» affabulazione
I linguaggi della mistica in Oriente e in Occidente

a cura di Matilde de Pasquale e Angelo Iacovella

LA FINESTRA EDITRICE
Lavìs – MMXII
La «santa» affabulazione
I linguaggi della mistica in Oriente e in Occidente

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

ISBN 978-88-95925-31-8

2012 © La Finestra editrice


Piazza Grazioli, 12
38015 Lavis (TN)
www.la-finestra.com
info@la-finestra.com

Finito di stampare nel mese di febbraio 2012 presso la Tipografia Lego s.p.a. (Lavis)
per conto de La Finestra editrice
INDICE

Presentazione di Matilde de Pasquale e Angelo Iacovella 7


Introduzione ai lavori di Marino Freschi 9

Marco Albertazzi, La sottil parladura di Francesco da Barbe-


rino 13
Carlo Alberto Anzuini, Il simbolismo dei numeri e delle let-
tere nella mistica arabo-musulmana 19
Roberta Ascarelli, Una musa per frankisti. Thomas von
Schönfeld traduce il Salmista 49
Simonetta Bartolini, Mistica sostantivo femminile. La mistica
laica di Cristina Campo 77
Stefania Cerrito, Da Ovidio all’Ovide moralisé: la scellerata
Mirra tra peccato e redenzione 91
Matteo de Chiara, Saint-Yves d’Alveydre e la lingua
dell’Agarttha 103
Matilde de Pasquale, Mechthild von Magdeburg tra «parola
rivelata» e «parola rivelante» 117
Hector Febles, Borges: l’originale è da un’altra parte 135
Harald P. Fuchs, Zur Sprache von Jacob Böhme 145
Antonio Gasbarrini, Spiritualismo, teosofia e relatività ein-
steiniana: l’astrazione estetica di Kandiskij, Mondrian e
Malevitch 155
Claudia Gasparini, La mistica della natura nella cultura de-
gli Indiani d’America 165
Angelo Iacovella, Sul concetto di «locuzione teopatica» nel
sufismo medievale 181
Luigi Maio, Affabulatio Diaboli. Mistica rovescia tra pseudo-
linguismi e anti-linguaggi letterari e musicali 189
Beniamino Melasecchi, Zoroastro ritrovato: alcuni echi
dell’Avesta nella cultura moderna 201
Novella Novelli, «Santa» affabulazione e società canadese-
francese: La Terre di Ernest Choquette 217
Giuseppe Parlato, Le mistiche del fascismo 233
Luciano Pirrotta, Mistica e metafora nella tipologia labirin-
tica 263
Raissa Raskina, Raccontare la conversione. Dostoevskij e i
limiti del linguaggio 271
Jérôme Rousse-Lacordaire, « Une mesmes paroles a deux
entendemens ». Langue mystique et langue ésotérique
dans le Mirouer de Marguerite Porete 283
Francesca Sbardella, Copie di corpi. Tecniche di movimento
e di sentimento nella clausura carmelitana contempora-
nea 305
Marco Scollo Lavizzari, La Pasqua alchemica di Denis Ze-
caire 319
Marie-France Tristan, G.B. Marino et G. Du Bartas : deux
« poètes de la création » 335
Alberto Ventura, Il sufismo e il linguaggio d’amore 347
Anita Weston, I Metamistici: la poesia metafisica inglese. Richard
Crashaw e John Donne 363
Ulrike Zellmann, Theatrale Markierungen des Sakralen in
niederländischen Jedermann-Spielen vor und nach
1500 381
Saint-Yves d’Alveydre e la lingua di Agarttha

MATTEO DE CHIARA

Alexandre Saint-Yves d’Alveydre e il suo tempo

Alexandre Saint-Yves d’Alveydre nacque il 26 marzo 1842 a Pa-


rigi, nelle parole del suo discepolo e primo biografo François-
Charles Barlet (Albert Faucheux) in Saint-Yves d’Alveydre, Parigi
1910, nel sesto grado della costellazione dell’Ariete, indicante una
superiorità che procurerà onori, ma che attirerà anche numerosi pe-
ricoli1. La vita di Saint-Yves, in effetti, fu quella di una personalità
geniale, rispettata e venerata, ma al tempo stesso disprezzata, deni-
grata e accusata di ogni sorta di nefandezze.
Per una descrizione della prima giovinezza di Saint-Yves si ri-
manda all’eccellente biografia di Jean Saunier, Saint-Yves d’Alveydre
ou une Synarchie sans énigme, Parigi 1981: un episodio in particolare
che, però, determinò il corso della sua vita fu la sua permanenza a
Mettray, 5 km a nord di Tours, presso Frédéric Auguste Demetz
(1796-1873), per circa un mese, all’età di 13 anni, nel 1855. Qui pro-
babilmente, stando a quanto egli stesso racconta in La France vraie
(Mission des Français, Parigi 1887, pp. 63-65), ebbe modo di cono-
scere per sommi capi la dottrina di Antoine Fabre d’Olivet (1767-
1825), pur non avendo avuto ancora accesso ai suoi scritti. In seguito
fu accusato di averne plagiato l’opera, comunque, secondo le sue
stesse parole, a lui dovette i suoi «lumi sinarchici sul passato e sul
presente»2. Dopo varie peripezie, partì per Jersey, nel 1864-1865,

1
«La date de cette naissance correspond au sixième degré de la constellation
du Bélier; elle indique une supériorité qui procurera des honneurs, mais qui
entraînera aussi de nombreux dangers», p. 7.
2
A. Saint-Yves d’Alveydre, Il regno di Agarttha, Roma 2009, p. 66, traduzione
italiana di Mission de l’Inde en Europe. Mission de l’Europe en Asie, basata sulle due
per tornare definitivamente a Parigi durante il conflitto franco-
prussiano nel 1870. A Jersey avrebbe fatto la conoscenza, fra gli altri,
di Edward Robert Bulwer-Lytton (1831-1891), e forse anche del pa-
dre di questi, ed Eliphas Lévi (1810-1875).
Fecondo inventore, nel 1879 depositò un brevetto d’invenzione
«per la fabbricazione di diversi prodotti grazie a una mucillagine e-
stratta dalle alghe marine»3, pubblicando di lì a poco un opuscolo di
55 pp., De l’utilité des algues marines, Parigi 1879. Con le alghe si po-
tevano produrre, secondo Saint-Yves, numerosi materiali, dal sa-
pone alla colla a granuli alimentari e così via. L’odierno sfruttamen-
to intensivo delle alghe dimostra ancora oggi la validità di questa
sua intuizione.
Nel 1886 concorse inoltre a fondare un «Sindacato della Stampa
Economica e Professionale» («Syndicat de la Presse Economique et
Professionelle»), alle riunioni del quale partecipava in qualità di ar-
chivista, non omettendo di esporre le proprie idee sinarchiche4. Ben
presto, però, nel 1889-1890, rinunciò alle ambizioni politiche e per
oscuri motivi si ritirò. Fece vita appartata fino alla morte, soprag-
giunta nel 1909. Non è escluso che fra questi motivi abbia avuto una
parte importante la serie di pesanti critiche che fece eco alla pubbli-
cazione delle sue principali opere.
A partire dal Testament Lyrique e da Les Clefs de l’Orient, en-
trambi pubblicati a Parigi nel 1877, iniziò a sviluppare l’idea di si-
narchia, del cui concetto, sebbene sostanzialmente differente, fu ac-
cusato di plagio nei confronti di Vaillant.

La synarchie est un système d’organisation sociale, prenant en


considération la nécessité de gouverner simultanément, mais sans
confusion, les aspects intellectuels et spirituels d’une part, politi-
ques, militaires et juridiques d’autre part, économiques et sociaux
enfin, de toute collectivité humaine.5

edizioni francesi pubblicate entrambe a Parigi da Dorbon nel 1910 e da Bélisane nel
1981. Nel 2008 è stata anche pubblicata a Rochester una traduzione inglese della
medesima opera dal titolo The Kingdom of Agarttha. A Journey into the Hollow
Earth, con una introduzione di J. Godwin.
3
Fabrication de divers produits, à l’aide d’un extrait des algues marines, brevet-
to depositato il 27 marzo 1879.
4
Si vedano in particolare i discorsi tenuti nel 1888, rispettivamente al co-
spetto del Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, e alla riunio-
ne del sindacato: Les Etats généraux du suffrage universel e Les Etats généraux du
suffrage universel.
5
Saunier, op. cit., p. 16, enfasi dell’autore.

104
E ne indicava alcune conseguenze pratiche, quali: 1) creare per
le Chiese una istituzione comune, un Consiglio supremo; 2) accor-
dare alle nazioni una «Chambre Haute des Assises» nella stessa cit-
tà; 3) fondere nella stessa metropoli un consiglio di Stati; 4) fondare
una città madre, una Università modello, fonte d’iniziazione comple-
ta ai misteri della scienza, dell’arte e della vita per le maggiori civiltà
dei due sessi e dei tre culti6.
Il cuore della sua produzione consiste in una serie di Missioni,
studi nei quali in pratica sviscerava, secondo diversi punti di vista, la
storia dell’umanità. Troviamo, così, Mission actuelle des Souverains,
Parigi 1882, ripubblicata in quarta edizione come Mission des Souve-
rains par l’un d’eux, Parigi 1884; Mission actuelle des ouvriers, Parigi
1882, terza edizione Mission des ouvriers, Parigi 1884; Mission des Juifs
par l’auteur de la Mission des souverains, Parigi 1884.
Protagonista dell’occultismo dell’ultimo quarto dell’800, Saint-
Yves annovera, fra i suoi discepoli e coloro che a lui si ispirarono,
personaggi quali Papus (Gérard Encausse, 1865-1916), Fabre des
Essarts (1848-1917), ma anche Edouard Schuré (1841-1929) e René
Guénon (1886-1951). Rifiutò sempre di aderire a ordini e correnti
varie, pur mantenendo contatti con essi: è questo il caso, ad esempio,
della Frammassoneria e dell’ordine martinista; nel 1883 sarebbe sta-
to invitato ad aderire anche alla Società teosofica di Helena Bla-
vatsky, la quale, però, a seguito forse del suo rifiuto, nel 1888 si sca-
gliò veementemente contro le ammirevoli fantasie di Saint-Yves,
definendo la sua Mission des Juifs «un livre fait pour éclipser en
fiction savante les œuvres de Jules Verne»7.

La Mission de l’Inde e il regno di Agarttha

Ma veniamo ora alla sua opera più enigmatica, l’ultima delle sue
Missioni, stampata inizialmente nel 1886, ma rimasta poi inedita a
seguito della distruzione di tutte le copie da parte dell’autore stesso,
la Mission de l’Inde en Europe. Mission de l’Europe en Asie (v. n. 2),
ripubblicata poi postuma nel 1910 dagli «Amici di Saint Yves», sulla
base di una copia sopravvissuta in possesso di Papus. Nella seconda
metà del ’900 ne è stato ritrovato un altro esemplare conservato

6
V. Clefs, cit., pp. 131-132, apud Saunier, op. cit., p. 190.
7
H.P. Blavatsky, nella rivista Le Lotus, Revue des Hautes études théosophiques,
n. 15, 1988, p. 135, n. 10.

105
dall’editore Dorbon e pubblicato a Parigi nel 1981 con una introdu-
zione di Jean Saunier.
A partire dall’8 giugno 1885 e fino al 12 novembre 1886, come
sappiamo dai taccuini conservati presso gli archivi della Sorbona
(MS. Carton 42), Saint-Yves iniziò a prendere lezioni di sanscrito da
un certo Haji Sharif o Hardjji Scharipf, che sarebbe stato un indiano
proveniente da Bombay e residente a Levallois-Perret, alla periferia di
Parigi8. Le lezioni si svolgevano tre volte a settimana.
Il primo taccuino reca: «Prima lezione di sanscrito/al signor mar-
chese di Saint-Yves d’Alveydre/Parigi, 8 giugno 1885/Manavirt 25;
Mithûna 55.645/del guru Pandit H.S. Bagwandass della Grande Scuo-
la Agartthiana»9. Secondo una tesi sostenuta per primo da Jean Reyor
(= Marcel Clavelle) nel 193510, Saint-Yves avrebbe avuto a che fare
con due orientali, dei quali uno sarebbe stato un afghano11. Questo,
comunque, è il primo accenno al regno di Agarttha, che aprirà una

8
V.J. Godwin, Arktos. The Polar Myth in Science, Symbolism, and Nazi Survi-
val, Kempton 1996, p. 13 (traduz. it. Il mito polare, Roma 2001).
9
V. Godwin, «Introduzione», in Il regno di Agarttha, cit., p. 13.
10
J. Reyor, «L’Archéomètre de Saint-Yves d’Alveydre», La Voile d’Isis, 40,
1935; si veda anche la prefazione di XXX (probabilmente lo stesso Reyor) alla riedi-
zione del 1948 di Mission des Souverains, par l’un d’eux.
11
Si noti di passaggio la datazione dell’opera: in Mission de l’Inde l’autore so-
stiene di scrivere — e questo è uno degli argomenti per la ricostruzione della data
originale della composizione di questo volume — nell’anno di Gesù Cristo 1886, di
Maometto 1264, di Mosè 5647 e di Manu 55647 (Il regno di Agarttha, cit., p. 63). A
ben vedere questo dà luogo ad una notevole oscillazione del lasso di tempo di pro-
duzione dell’opera: l’anno ebraico 5647, infatti, equivale ad una data compresa fra il
30 settembre 1886 ed il 18 settembre del 1887; dell’èra di Manu (Manvantara), inve-
ce, possiamo dedurre che, se il 55645 corrisponde al 1885, il 55647 deve essere
compreso fra aprile 1887 e aprile 1888; ma ciò che più desta perplessità è l’«anno di
Maometto». Con questa etichetta, in realtà, Saint-Yves si riferisce non al calendario
dell’Egira, nel qual caso avremmo avuto l’anno 1302-1303, bensì al calendario
dell’Egira solare utilizzato esclusivamente in Iran ed Afghanistan, il cui anno 1264
sarebbe dovuto corrispondere, nel calendario Gregoriano, ad una data compresa fra
il 21 marzo del 1885 ed il 20 marzo del 1886: il problema è che il calendario
dell’Egira solare fu introdotto in Iran solo nel 1925 ed in Afghanistan nel 1957 (si
veda a questo proposito S. Cristoforetti, Forme «neopersiane» del calendario «zoroa-
striano» tra Iran e Transoxiana, Venezia 2000, in particolare pp. 99-101). È probabi-
le che qui l’autore abbia semplicemente sottratto matematicamente al 1886 i 622
anni che datavano la fuga di Maometto dalla Mecca, ma si può ipotizzare anche che
avesse ricevuto queste informazioni dallo stesso Hardjji Scharipf, il quale avrebbe
dovuto essere a conoscenza del dibattito che probabilmente doveva aver avuto luo-
go in Iran ed Afghanistan nei decenni precedenti all’adozione ufficiale del calenda-
rio dell’Egira solare. E questo rappresenterebbe un altro argomento in favore
dell’ipotesi che egli fosse un persiano o un afghano e non un indiano.

106
lunga serie di polemiche e approfondimenti di ogni sorta, fino ai no-
stri giorni.
Sul regno di Agarttha esiste un’ampia bibliografia, basti citare
per tutti il lavoro di Joscelyn Godwin diviso in due articoli, «Saint-
Yves d’Alveydre and the Agarthian Connection», pubblicato in The
Hermetic Journal, 32, pp. 24-34, e 33, pp. 31-38, 1986, nel quale
l’autore ritiene, in via provvisoria ed ipotetica, che il mito
dell’Agarttha e l’alfabeto vattaniano siano «parte di una mitologia
appartenente ad una ristretta ed oscura scuola indiana, manifestata-
si alla conoscenza dell’Occidente solo in queste due occasioni»12 (la
prima grazie ad Alfred Percy Sinnett, direttore di un giornale anglo-
indiano, ed autore di The Occult World, Londra 1881, ed Esoteric
Buddhism, Londra 1883, nonché occultista legato alla Società Teoso-
fica di Helena Petrovna Blavatsky e Henry Steele Olcott).
In precedenza Louis Jacolliot (1837-1890), unanimemente con-
siderato inaffidabile e fantasioso, autore di numerose opere, fra le
quali Les Fils de Dieu, Chrestna et le Christ, Parigi 1873, e Le Spiri-
tisme dans le Monde, Parigi 1875, menzionava due termini che in
qualche modo anticipano la Mission de l’Inde: «Brahatma» e «Asgar-
ttha», utilizzati, però, in maniera un po’ differente da quella di Saint-
Yves, il primo in qualità di capo dei brahmani, il secondo quale no-
me di una città. Non è chiaro se Saint-Yves fosse a conoscenza
dell’opera di Jacolliot — certamente lo cita la contemporanea H.P.
Blavatsky —, secondo i più, no: la sua reticenza alla diffusione di
quest’opera, tuttavia, potrebbe costituire una prova indiretta del suo
timore di esporsi a critiche in qualche modo compromettenti. Non
bisogna dimenticare, infatti, da un lato che nel 1886 egli era nel pie-
no della sua attività politica (v. sopra), dall’altro che dello stesso an-
no è il romanzo di Claire Vautier, Monsieur Le Marquis; Histoire
d’un Prophète, avente proprio Saint-Yves come negativo protagoni-
sta, e che del 1885 è l’assai denigratoria recensione di Victor Meu-
nier a Mission des Juifs, in cui Saint-Yves veniva accusato aspramente
di plagio nei confronti di Fabre d’Olivet13. E forse fra i suoi timori,
oltre alle critiche che sarebbero potute scaturire dalla pubblicazione

12
The Ermetic Journal, 33, p. 36, citato e tradotto in Godwin, «Introduzione»,
cit., pp. 31-32.
13
Ampi stralci della recensione, che fu pubblicata su Le Rappel del 7 luglio
1885, possono essere letti in F. Donnadieu, Les précurseurs des Félibres. 1800-1855,
Parigi 1888, che ripropone anche passi della risposta di Saint-Yves sempre in Le
Rappel del 16 luglio 1885 e della replica conclusiva di V. Meunier nel numero del
giorno dopo della stessa rivista.

107
di un’opera tanto stravagante quale è la Mission de l’Inde, vi potreb-
be essere proprio quello di una nuova accusa di plagio14.
Qualcuno cerca anche un legame con l’«energia Vril» di Edward
Bulwer-Lytton (1803-1873), con il figlio del quale Saint-Yves strinse
rapporti, come abbiamo visto, all’epoca del suo soggiorno a Jersey15.
Non è questo, comunque, il contesto per menzionare tutta la se-
rie di successive occorrenze del termine Asgarttha/Agarttha/Agarthi,
da Ferdinand Ossendowsky in Beasts, Men and Gods, New York
1922, a René Guénon in Le Roi du Monde, Parigi 1927, in poi: per ap-
profondimenti si vedano Godwin, «Introduzione», cit. e Arktos, cit.,
in particolare le pp. 83-87, e relativi riferimenti bibliografici.

Il Vattano

Ad ogni modo, in Mission de l’Inde Saint-Yves parla di una lin-


gua universale, il Vattano16, ai cui misteriosi caratteri il Popolo dei
Dwija, i due volte nati, si dedica nella solitudine delle proprie celle
sotterranee nel regno di Agarttha. Questa lingua universale, cui già si
accennava in Mission des Juifs, va senz’altro confrontata con quanto
afferma Fabre d’Olivet, che, cioè,

Les Langues particulières ne sont que des dialectes d’une Langue


universelle, fondée sur la nature, et dont une étincelle de la Parole
divine anime les éléments. On peut appeler cette Langue, que ja-
mais nul peuple n’a possédé en entier, la Langue primitive.17

Il riferimento qui, come esplicitato da Saint-Yves in Mission de


l’Inde, è al versetto iniziale del vangelo di Giovanni, tradotto dallo
stesso Saint-Yves come «In principio era il Verbo (la Potenza della
Manifestazione creatrice), e il Verbo era in Lui gli Dèi; e Lui gli Dèi
era il Verbo».
Riguardo a questa Lingua universale, specifica poi Saint-Yves
che «nelle lingue antiche, gli stessi oggetti erano descritti seguendo la
loro natura grazie ai simboli verbali assoluti che evocavano il caratte-
re reale degli esseri, delle cose, della loro formazione e della loro

14
Si veda Godwin, «Introduzione», cit., p. 20.
15
Si vedano Saunier, op. cit., p. 347 e Godwin, Arktos, cit., pp. 84-85.
16
Ossendowsky, op. cit., parlerà di «Vattanan».
17
La langue hebraïque restituée et le veritable sens des mots hébreux rétabli et
prouvé par leur analyse radicale, Parigi 1815, vol. I, p. 60.

108
composizione. Inoltre, ricondotta alle sue radici nel Verbo vivente, la
matesi e la morfologia dell’Espressione dorica erano un atto divi-
no che sottometteva, come dice Mosè, ogni cosa nella Natura
all’Intelligenza e alla Scienza umane»18.
E Fabre d’Olivet proseguiva nella sua descrizione di questa
lingua:

Cette Langue, dont toutes les autres sortent comme d’un tronc
unique, n’est composée que de racines monosyllabiques,
s’attachant toutes à un petit nombre de signes. A mesure que les
langues particulières se fondent les unes dans les autres, et
s’éloignent de leur souche primitive, les mots s’y altèrent de plus
en plus: il est donc essentiel de comparer beaucoup de langues
entre-elles, pour obtenir l’intelligence d’une seule.19

In Mission de l’Inde Saint-Yves non dirà più nulla sul Vattano,


ma nella sua opera, pubblicata postuma nel 1911 a Parigi, sempre a
cura degli «Amici di Saint-Yves», L’Archéomètre. Clef de toutes les
religions et de toutes les Sciences de l’Antiquité. Réforme synthétique
de tous les arts contemporains, ne tratterà più diffusamente.
L’Archeometro, come si specifica già nel titolo dell’opera,

est un outil qui a cette qualité particulière, d’être le même pour


tous les arts; c’est en même temps la clé de l’échelle sonométri-
que du musicien, de la gamme des couleurs du peintre et la clé
des formes de l’architecte.20

Quanto al Vattano — della cui parola l’etimologia viene spiega-


ta, in uno dei taccuini conservati alla Sorbona, nei termini seguenti:
«Vat significa “parlare, dire, condividere, misurare, distribuire, svi-
luppare, connettere, legare”, vata significa “cerchio, sfera, parità di
forma e dimensione”. Tan significa “dispiegare”»21 — più che con-

18
Il regno di Agarttha, cit., pp. 80-81.
19
Ibid.
20
L’Archéomètre, cit., p. 133
21
MS. 1823, Notebook 2, f. 44, apud J. Godwin, «The Creation of a Univer-
sal System: Saint-Yves d’Alveydre and His Archeometer», versione online pro-
dotta e pubblicata da A. Godwin con il permesso dell’autore sulla base di J. God-
win, «La Genèse de l’Archéomètre: Documents inédits de Saint-Yves d’Alveydre
rassemblé et introduits par Joscelyn Godwin», L’Initiation, 2 & 4, 1988, pp. 61-
71, 153-166, e di una versione inglese abbreviata dello stesso, Id., «The Creation
of a Universal System: Saint-Yves d’Alveydre and His Archeometer», Alexandria,
1, 1991, pp. 229-249.

109
centrarsi sulla lingua stessa e sulle sue strutture, Saint-Yves si dedica
all’alfabeto vattaniano, che più lo interessa per gli sviluppi
dell’Archeometro e che è l’alfabeto dei primi Patriarchi di razza
bianca22.
Esso è costituito di 22 lettere, aventi anche una doppia trascri-
zione, ed è, nelle sue parole, morfologico, che è più che geometrico,
disegnando, attraverso le proprie forme alla volta rigide o flessibili,
l’oggetto che designa o nominandone la forma tramite regole ben
precise; in altre parole, parla esattamente attraverso le proprie forme,
tutte generate dal Punto, dalla Linea, dall’Angolo, dal Cerchio e dal
Quadrato. Secondo l’autore i segni zodiacali e quelli planetari pro-
vengono da qui, come pure la costruzione della sfera o del planisfero
che li contiene: perciò la funzione e la posizione cosmologiche di o-
gni lettera dipendono dalla sua affinità di forme con i segni astrali, la
cui posizione è essa stessa determinata astronomicamente. Ne con-
segue anche che la posizione delle lettere, che si collocano in tal
modo spontaneamente e non per mano d’uomo, i loro raggruppa-
menti binari, ternari, e così via, e tutti i loro rapporti reciproci sono
«autologici» e non «antropologici»23.

22
In L’Archéomètre, cit., a p. 242, dice, infatti: «Les alphabets de 22 lettres hé-
rités des Patriarches de race blanche étaient une table d’équivalents commune à
tous les Temples universitaires de leurs Eglises». E aggiunge a p. 148: «Parmi les an-
ciens alphabets antérieurs aux civilisations anarchistes gréco-latines, nous classons
ceux de 22 lettres numérales comme équivalents typiques de la Parole. Nous les
nommons Solaires et Solaro-lunaires, étant bien entendu que ces noms astraux ne
sont que des signes de correspondance entre le Monde de la Gloire et le Monde as-
tral. […] Nous classons comme Lunaires les alphabets de 28 lettres, comme Horai-
res zodiacaux ceux de 24, comme Mensuel zodiacaux ceux de 30, comme Décani-
ques ceux de 36, etc., toujours sous les réserves précédents, et en rapportant tous
ces nombres à XXII comme Etalon».
23
Si veda ibid., p. 148: «L’alphabet des premiers Patriarches est celui que
nous employons sur l’Archéomètre, pour les raisons suivantes. Il est morphologique,
c’est-à-dire plus que géométrique; et, par ses formes rigides ou flexible à volonté, il
dessine l’objet qu’il nomme, ou en nomme sa forme, suivant des règles inutiles à ex-
poser ici. Les Signes zodiacaux et planétaires en proviennent, ainsi que la construc-
tion de la sphère ou du planisphère qui renferme ces signes. Par conséquent, la
fonction et la place cosmologiques de chaque lettre sont déterminées par sa parenté
de forme avec les signes astraux, dont la position est elle-même déterminée astro-
nomiquement. Il en résulte que les lettres se plaçant ainsi et non de main d’homme,
leur position, leurs groupements binaires, ternaires, etc., tous leurs rapports entre
elles, enfin, sont autologiques et non anthropologiques. Nous y adjoignons, sur
l’Archéomètre, les alphabets syriaque, assyrien dit hébreu, samaritain et kaldéen,
tous solaires, solaro-lunaires, de XXII équivalents littéraux et numériques».

110
Per scendere ancor più in dettaglio, secondo Saint-Yves le XXII
lettere di cui si compone l’alfabeto vattaniano e da cui discendono
gli alfabeti siriaco, assiro o meglio ebraico, samaritano e caldeo, tutti
solari o luni-solari, o meglio zodiaco-solari24, sono suddivise in tre
gruppi, di III lettere, riferentisi alla Potenza costitutiva, VII lettere,
planetarie (o piuttosto VI planetarie attorno ad una solare), e XII let-
tere, zodiacali25.
Usando un metodo cabalistico, ne conclude che le III lettere co-
stitutive dicono «la Divinità», DeVA, risultato della somma di 1 + 60
+ 400 = 461, le XII involutive «la Vita assoluta», ÉVÉ, 565, le VII
evolutive «la Condizionalità divina», DeVaTa, 469, cioè il dono della
Vita e le condizioni di questo dono divino26. Naturalmente con lo
stesso metodo si può costruire a poco a poco un intero vocabolario,
di cui il II libro dell’Archéomètre dà ampie esemplificazioni.
E sulla validità di questo metodo Saint-Yves scriveva, in una let-
tera datata 10 gennaio 1901 all’indirizzo di Papus:

Toutes les Universités religieuses, asiatiques et africaines, mu-


nies d’alphabets cosmologiques, solaires, solaro-lunaires, horai-
res, lunaires, mensuels, etc., se servent de leurs lettres d’une
manière cabalistiques. Qu’il s’agisse de Science pure, de Poésie
interprétant la Science ou d’Inspiration divine, tous les livres
antiques, écrits dans des langues dévanagaries et non pracrites,
ne peuvent être compris que grâce à la cabbale de ces langues.
Mais celles-ci doivent être ramenées aux XXII équivalents

24
Ibid., pp. 159-60: «J’appelle zodiac-solaires les Alphabets organiques de
XXII Lettres, tells que le Syriaque liturgique, l’Assyrien des Juifs, le Samaritain, etc.
J’ai choisi ce genre d’alphabets parce qu’il est scientifiquement régulier comme pro-
cessus de lettres et de nombres correspondants, auquel on peut aussi ramener tout
alphabet empirique ou vulgaire. Et, dans ce type alphabétique, j’ai choisi le plus an-
tique, l’Adamique, inconnu en Europe, mais conservé par les Brahmes sous le nom
de Vattan. Je l’ai adopté parce qu’il est exact, non seulement comme processus de
lettres et de nombres, mais aussi comme processus de Formes. C’est un Alphabet
morphologique, ou parlant exactement par ses Formes toutes générées du Point, de
la Ligne, de l’Angle, du Cercle et du Carré» (enfasi dell’autore).
25
Ibid., p. 152: «Ainsi, sur XXII lettres, III se rapportent à la Puissance consti-
tutive. Les XIX qui restent se référent aux Puissances distributives de l’harmonicité
et de l’organicité universelles. Sur ces XIX, XII sont involutives, VII sont évolutives,
dans le Monde de la Gloire ou du Verbe, et, conséquemment, dans celui des Cieux
astraux. Autrement dit, XII lettres sont zodiacales, VII sont planétaires, ou plutôt
VI planétaires évoluant autour d’une solaire - ce que Juifs et Grecs ignoraient».
26
V. ibid., p. 164: «Les nombres de trois letters constitutive disent: la Divinité.
Les nombres des 12 involutives disent: la Vie absolue. Les nombres des VII évolutives
disent: la Conditionnalité divine, le don de la Vie et des conditions de ce don divin».

111
schématiques, et ceux-là à leurs positions cosmologiques exac-
tes. La cabbale des Juifs est donc motivée par toute la constitu-
tion antérieure de l’Esprit humain; mais elle a besoin d’être ar-
chéométrée, c’est-à-dire mesurée par son Principe régulateur
contrôlée sur l’Instrument de précision du Verbe et de sa Syn-
thèse primordiale.27

Basti qui citare a titolo esemplificativo il passo dell’Archéomètre


in cui si legge: «Dans la langue de Vatan, qui est le Votan dans tous
les dialects issus de cette langue sacrée, à travers toutes les dynasties
votanides, l’eau se dit ATL, racine du mot Atlante» (p. 243).
In alcuni articoli usciti nella rivista La Gnose fra il 1910 e il 1912
sotto il nome Palingénius, cioè René Guénon, il quale, però, proba-
bilmente era solo il direttore della rivista e non l’autore degli articoli
stessi, verranno chiariti, specificati e sviluppati gli argomenti trattati
da Saint-Yves nel suo L’Archéomètre.

Questo alfabeto, che fu la scrittura primitiva degli Atlantidi e


della razza rossa, la cui tradizione fu trasmessa all’Egitto e
all’India dopo la catastrofe in cui scomparve Atlantide, è la tra-
duzione esatta dell’alfabeto astrale […]. È questo alfabeto, di
cui Mosé aveva avuto conoscenza nei Templi d’Egitto, che di-
venne il primo alfabeto ebraico, ma che si modificò in seguito
nel corso di secoli, per scomparire completamente nel periodo
della cattività di Babilonia. L’alfabeto primitivo degli Atlantidi
è stato conservato in India, ed è mediante i Brahmana che è
giunto fino a noi; quanto alla lingua atlantidea, essa stessa aveva
dovuto dividersi in diversi dialetti, che divennero forse anche
con il tempo delle lingue indipendenti, ed è una di queste lin-
gue che passò in Egitto; questa lingua egizia fu l’origine della
lingua ebraica, secondo Fabre d’Olivet.28

Circa la suddivisione delle lettere vattaniane, infine,

risulta che le lettere madri o costitutive corrispondono all’idea di


Divinità, le lettere planetarie all’idea di Principio, e in particolare

27
Apud Papus, La Cabale. Tradition secrète de l’Occident, Parigi 19032, p. 14.
28
René Guénon (Palingénius), L’Archeometra, Roma 1990, pp. 12-13 = La
Gnose, 9, 1910, p. 185, dove aggiunge pure che «Esso comprende tre lettere costitu-
tive (che corrispondono alle tre persone della Trinità, o alle tre prime Séphiroth, che
sono i tre primi numeri donde derivano tutti gli altri), sette planetarie e dodici zo-
diacali, ossia in tutto ventidue caratteri che corrispondono alle ventidue lettere della
seconda lingua di cui parla il Phil. Inc.».

112
di Principio attivo, e infine le lettere zodiacali a quella di ambien-
te vitale nel quale si esercita l’azione del Principio.29

Il Senzar

Contemporaneamente agli anni della maggior produzione di


Saint-Yves d’Alveydre, H.P. Blavatsky (1831-1891) pubblicava le
sue opere, dove, fra l’altro, parla del Senzar, la lingua originale in
cui sarebbe stato scritto il libro di Dzyan. Nelle parole della Bla-
vatsky: «Senzar. The mystic name for the secret sacerdotal language
or the “Mystery-speech” of the initiated Adepts, all over the
world» 30.
A ben vedere, del Senzar non possediamo altro che indiretti
accenni da parte della teosofa, ma nessuna informazione diretta.
Ad ogni modo, ciò che si può dedurre, come ha ben spiegato John
Algeo in Senzar: The Mystery of the Mystery Language, Londra
1988, è che il linguaggio dei Misteri è ciò che ora viene chiamato
simbolismo e che, parlando direttamente al nostro inconscio, può
solo imperfettamente essere tradotto nel linguaggio ordinario, che è
un prodotto della mente. I simboli, al contrario, sono prelinguistici
e prelogici e ci parlano in maniera irrazionale e perciò immediata.
Il Senzar non sembrerebbe essere una lingua nel senso di un sem-
plice sistema codificato di comunicazione, ma piuttosto una moda-
lità di significazione simbolica che si può applicare ad ogni sistema
linguistico.
Inoltre, si può dire che il devanagari del sanscrito o i geroglifici
dell’antico egizio esprimano in modi differenti il simbolismo pri-
mordiale del Senzar. Afferma, infatti, Madame Blavatsky in The
Voice of the Silence, London-New-York 1889, pp. 6-7, che

The sacerdotal language (Senzar), besides an alphabet of its


own, may be rendered in several modes of writing in cypher
characters, which partake more of the nature of ideographs
than of syllables.

E bisogna senz’altro distinguere la lingua primordiale dei Mi-


steri dell’intera umanità, il Senzar, dalle varie lingue dei misteri del-

29
Ibid., p. 22.
30
H.P. Blavatsky, The Theosophical Glossary, Londra 1892, p. 295.

113
le culture individuali, lingue sacre quali il latino, l’ebraico e il san-
scrito.
Sarà senz’altro apparsa evidente la confusione con cui vengono
utilizzati termini quali «linguaggio» o «ideogramma»: questa ambi-
guità, riguardante soprattutto l’apparente confusione fra linguaggio
orale e scrittura, è peculiare anche del Vattano e della scrittura vat-
taniana nell’opera di Saint-Yves. Del Senzar Madame Blavatsky di-
ce anche che è segreto, distribuito su tutto il globo e usato da adep-
ti iniziati, e questo ancora una volta concorda con quanto afferma
Saint-Yves del Vattano.
Ma Madame Blavatsky va oltre rispetto a Saint-Yves, pur rima-
nendo sulla stessa lunghezza d’onda, citando Ralston Skinner, dal
suo The Hebrew-Egyptian Mystery and the Source of Measures, Cin-
cinnati 1875, il quale afferma che

The peculiarity of this language was that it could be contained


in another, concealed and not to be perceived, save through
the help of special instruction; letters and syllabic signs pos-
sessing at the same time the powers or meanings of numbers,
of geometrical shapes, pictures, or ideographs and symbols,
the designed scope of which would be determinatively helped
out by parables in the shape of narratives or parts of narra-
tives; while also it could be set forth separately, independ-
ently, and variously, by pictures, in stone work, or in earth
constructions. 31

L’identificazione fra lingua e scrittura poggia, quindi, proprio


sul carattere simbolico del Senzar e del Vattano, le cui scritture, o
almeno quella vattaniana, come abbiamo visto in precedenza, van-
no interpretate alla luce di valori, relazioni e simbologie astrali ben
precise.
In conclusione, le convergenze fra Saint-Yves e Blavatsky sono
più forti di quel si potrebbe pensare, almeno per quel che riguarda
questo aspetto particolare. Difficile pensare che si tratti di semplice
caso fortuito: non dimentichiamo che il cuore dell’opera di
Madame Blavatsky si colloca fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli
anni ’90 dell’800, proprio all’apice della produzione dello stesso
Saint-Yves.

31
Skinner apud H.P. Blavatsky, La Dottrina Segreta, Roma 2006, pp. 232-233,
traduzione italiana di The Secret Doctrine, 1888.

114
Alfabeto vattaniano

115
Conclusione

La scrittura vattaniana ancora non è stata realmente oggetto di


uno studio dettagliato32 che prenda in considerazione anche tutte le
fonti manoscritte depositate alla Sorbona: in Mission de l’Inde, ad
esempio, Saint-Yves compose con questo alfabeto una dedica al
Sovrano Pontefice, la quale ancora attende di essere completamen-
te decodificata33.
Il Vattano, la lingua sacra universale dei misteri del regno di
Agarttha, è espressione della Sinarchia, concetto che finirà per assu-
mere, nel ’900, le più fosche e ambigue valenze. Ma quali che siano i
suoi sviluppi successivi e soprattutto la sua origine, se, cioè, frutto di
plagio, delle farneticazioni di un folle, delle fantasie di un genio, del-
la mistica ispirazione di un adepto, o semplicemente della onesta ri-
cerca di un uomo di studio, la sua idea è entusiasmante per tutte le
sue implicazioni. Tema di fondo dell’intera opera di Saint-Yves
d’Alveydre e filo conduttore della sua vita, essa rappresenta il tenta-
tivo della concretizzazione della sfera spirituale entro la sfera umana:
un progetto di armonizzazione di tutti gli aspetti dell’esistenza uma-
na, intellettuali, spirituali, politici, militari, giuridici, economici e so-
ciali, in un unico coeso corpo mistico. Mistico perché sacralizzato da
una idea spirituale e perciò sacralizzante la realtà quotidiana.

32
Ma si veda l’articolo dedicato al Vattano di M. Jay e J. Godwin, «Licked by
the Mother Tongue», Fortean Times, 97, aprile 1997, citato in Godwin, «Introdu-
zione», cit., p. 31, n. 68.
33
Si veda la nota 12 a p. 14 di Godwin, «Introduzione», cit., in cui l’autore so-
stiene di avere identificato nel gruppo inferiore la firma di Saint-Yves, «Marquis de
Saint-Yves d’Alveydre», e nella parte superiore «Dev Brahma», mentre la parte cen-
trale rimane tuttora incomprensibile.

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