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Maglie da leggenda

Le divise più belle di ogni tempo


di Sandro Solinas

C’era un tempo in cui le vecchie magliette indossate dai giocatori sul campo non avevano né
scritte né marchi commerciali, solo il vistoso stemma della squadra orgogliosamente appuntato
sul petto (rigorosamente a sinistra). I più fortunati, anzi i più bravi, potevano occupare il tanto
spazio rimanente con scudetti e scritte celebrative. Poi venne il logo dello sponsor tecnico che
inizialmente, diciamolo, faceva tanto figo e non era neppure così ingombrante. Allora le strisce
verticali erano strette strette, i calzoncini terribilmente corti, i portieri e gli arbitri vestivano di
nero e la numerazione dei giocatori titolari non osava superare il fatidico numero undici,
indossato insindacabilmente dall’ala sinistra. Il terzino destro aveva il due, il regista il dieci, il
centravanti il nove… insomma ci siamo capiti, da lì non si scappava. Oggi quelle divise in lana o
cotone che hanno fatto la storia del calcio non esistono più, rimpiazzate o camuffate da
anonime ed effimere casacche tecnologiche imposte da sponsor e designer. Sic transit gloria
mundi. A ben vedere le nuove maglie non sono poi neanche male, colorate e arditamente
vivaci come novelle icone futuriste, sicuramente assai più pratiche e funzionali delle vecchie
casacche di un tempo. Ma la tradizione, si sa, è un'altra cosa e i colori della squadra – quelli
veri – li puoi trovare solo marchiati sulla pelle del tifoso, indifferenti allo scorrere del tempo,
alle mode, ai Blatter e ai risultati conquistati dai giocatori sul campo. A voler classificare le più
belle maglie di sempre ci hanno provato in molti, per ultimi gli inglesi del Times che, come
prevedibile, non si sono allontanati molto da casa nella loro ricerca. Qui riprendiamo il discorso
attraverso un’ottica differente, permettendoci qualche licenza cromatica e diverse incursioni in
terreni inesplorati. Si parte.

Hall of fame
Una classifica di merito, per quanto soggettiva e arbitraria, va pur fatta e allora togliamoci
subito il pensiero. La maglia più bella di tutte è quella degli Azzurri, non si discute. Al limite
possiamo disquisire sulla foggia delle divise indossate dai nostri eroi nel corso degli anni, dalle
prime casacche spartane degli albori fino alle ultime versioni moderne realizzate in maniera
meno anonima seppur con risultati spesso discutibili. Memorabili le chiare tonalità dei primi
anni, accompagnate dallo stemma sabaudo e poi dal fascio littorio, con cui l’Italia di Pozzo

faceva tremare il mondo conquistando il titolo mondiale nel ’34 e nel ’38. Divine le casacche
naïf degli anni Sessanta - quando i calzettoni erano ancora neri - e Settanta, queste ultime
legate indissolubilmente ai ricordi dell’impari sfida con i rivali brasiliani allo Stadio Azteca. Da
dimenticare invece in fretta buona parte degli ultimi modelli, in particolare gli obbrobri della
Nike, pur apprezzando gli sforzi creativi rivolti a rendere più originali le divise della squadra.
Tornando alla Seleção, il posto d’onore nella nostra personale classifica spetta doverosamente
alle divise verde-oro indossate dalla Nazionale brasiliana a partire dal 1954, non tanto come
opportuno tributo alle magie mostrate sul campo da Pelé & C. a ritmo di samba, quanto per
aver saputo esaltare un’audace quadricromia (maglia gialla con risvolti verdi, calzoncini blu,
calzettoni bianchi) fino ad allora impensabile. Al terzo posto, staccate di un niente, le celebri
casacce bianche del Real Madrid di Puskas, Gento e Di Stefano. Il bianco come icona di un
non colore che abbraccia tutte le sfumature cromatiche dell’universo pallonaro. Oltre il mito.
Identità, Orgoglio e Tradizione
Alcune squadre, più di altre, hanno saputo legare la loro storia ai colori e al disegno della
maglia indossata, uscendo dall’anonimato delle repliche e imponendosi fino a creare un
marchio distintivo, quasi una sorta di copyright sportivo. Milan, Inter e Juve, tanto per dire,
pur avendo raggiunto i vertici del calcio mondiale, non hanno saputo fare altrettanto,
inciampando in poco originali divise a strisce verticali. Chi scrive ha un debole per il Celtic,
inutile negarlo. Se ad attirarmi siano stati i loro hoops biancoverdi, il potente stemma con la
croce celtica ed il quadrifoglio o la struggente storia degli irlandesi in fuga dalla carestia non lo
so; so solo che per raggiungere Celtic Park in tempo per un Old Firm derby ho vissuto a suo
tempo la mia unica avventura on the road, un folle pellegrinaggio dettato dalla passione. Altro
che Sky TV.

Pregevole anche la scelta cromatica blau-grana (mai dire azul-grana) del Barça, una
combinazione di colori adottata da molte altre squadre, soprattutto al di là della Manica, senza
mai lasciare il segno come hanno invece fatto i colleghi catalani, aiutati dalla loro potente
identità regionale e dalla coraggiosa decisione di non cedere ai richiami dello sponsor. Degne di
menzione anche due storiche divise tra loro assai simili, quella dell’Arsenal e quella dell’Ajax,
capaci di raggiungere il vertice della popolarità nell’immaginario collettivo dei tifosi europei.

Per non dimenticare


I cattivi, si sa, hanno un fascino tutto loro e vantano da sempre una vasta schiera di
sostenitori. Odiata, temuta, rispettata, la suggestiva casacca dell’impero sovietico conserva
tuttora un indubbio charme con i suoi sinistri
caratteri cirillici impressi sul petto. Sconfitta dalla
storia ma non dall’oblìo, la rossa divisa made in
CCCP merita di apparire nella nostra giostra dei
ricordi, se non altro per il rispetto dovuto ai regimi
trapassati. Altre emozioni giungono da un passato
ancor più lontano e struggente ricordando le
casacche del Grande Torino scomparso tra le
nebbie di Superga. Gloria eterna ai ragazzi del
Filadelfia e pazienza se il colore granata a qualcuno
può sembrare freddino.

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