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1. È veramente possibile separare le idee dal loro carattere intenzionale? Tommaso
d’Aquino definiva i concetti “id quo intelligitur”, vale a dire come i veicoli della nostra
conoscenza reale (Id quod intelligitur). Qual è il rapporto tra soggetto ed oggetto nella
conoscenza umana?
2. Un’altra questione molto importante, già emersa nel Medioevo con la discussione
tra Herveo Natalis e Guglielmo di Ockham, è la distinzione tra le idee, intese come
concetti formali del pensiero, e le idee, intese come concetti oggettivi (Tommaso De
Vio Cajetano).
Pensare o percepire un’idea o un’impressione può essere considerato unicamente
una modificazione del soggetto? In che cosa si differenzierebbero, in tal caso, le idee
fittizie da quelle innate e fattizie?
In ultima istanza, è interessante notare la poca attrattiva che questa impostazione
cartesiana ha avuto storicamente, perlomeno al di fuori dell’orizzonte fenomenista in
cui essa ha invece proliferato (Kant, Lotze, eccetera).
Gottlob Frege ha giustamente distinto, secoli dopo, la rappresentazione di un
concetto dalla sua significazione. Mentre la prima è inseparabile dall’Io, la seconda
invece è oggettiva e condivisibile (pensiamo al Teorema di Pitagora, che può essere
esposto correttamente o meno nel linguaggio matematico, sebbene non sia
sensibile).
3. Anche la parte relativa alla metafisica cartesiana crea molte perplessità. Adriano
Bausola ha sottolineato quanto poco somigli la Prova a priori di Cartesio
all’Argomento ontologico (unum argumentum) di Anselmo d’Aosta. Per Descartes noi
deduciamo l’esistenza di Dio attraverso il Principio di Causa: Dio è causa dell’Idea che
è in me. Per Anselmo, invece, l’essenza divina è un aspetto parziale dell’essere divino,
da cui noi cogliamo l’esistenza come inseparabile.
È possibile utilizzare la celebre critica di Tommaso ad Anselmo per giustificare un
rifiuto dell’impostazione cartesiana (Obiezioni di Caterus)? Oppure si tratta di
problemi diversi che necessitano quindi di soluzioni diverse?
In realtà, la tesi di Tommaso è che i concetti sono entità intenzionali astratte da entità
reali esistenti fuori di noi. E, di più, noi non possiamo pensare concetti senza percepire
oggetti. Questo accade perché o la conoscenza non sussiste, oppure se l’Io può
conoscere, allora conosce qualcosa. Afferrando qualcosa, possiamo pensare l’essenza
degli enti, costatandone l’esistenza attuale o, per contro, decretando la loro non
esistenza.
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Non è da un soggetto chiuso, secondo l’espressione di Sofia Vanni Rovighi, che
possiamo trovare la trascendenza, ma è in virtù di un soggetto aperto che coglie in se
stesso la realtà, che possiamo affermare la verità delle sostanze materiali,
domandandoci, con Leibniz, in virtù di quale causa gli enti essenziali hanno l’atto di
esistere.
La lettura della Seconda Meditazione di Cartesio, dunque, richiede da parte degli
studenti la consapevolezza di questi problemi e la individuazione di alcune risposte a
queste domande, oltre ad una rigorosa presentazione delle questioni stesse.