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18/05

Ricapitolando: giovedì sarà dedicato sul seminario al Roxin e poi venerdì chiuderò il corso,
venerdì 25.

Il problema è vedere la dinamica, lo sviluppo di T e U cioè quando il fatto tipico diviene altresì
illecito penale.

TU

E Qui il tema è delle scriminanti nel senso che la tipicità del fatto che è il primo requisito di
base comprendente elementi sia soggettivi che oggettivi, viene valutato all’interno
cendosistemico, all’ interno del sistema penale. Il fatto tipico una volta acquisita il predicato di
tipicità diventa oggetto di giudizio per valutarne l’ulteriore requisito di liceità e antigiuridcità
per diventare illecito penale, non solo fatto tipico penalmente rilevante ma illecito penale.
Questa verifica non va fatta alla natura endopenalistica ma endosistemicaancorche che
endordinamentale nel senso che sta dentro ad un ordinamento che però in questo caso è
particolarmente ampio perché riguarda tutto il corpo normativo sia interno che
internazionale sia formale sia, a certe condizioni. informale. Addirittura potremmo dire che è
endonormativoancorche non necessariamente endogiuridico nel senso che alcune norme con
natura scriminante possono essere norme non necessariamente giuridiche ma norme sociali e
etiche. Pensiamo al problema di …, alla contrarietà a …
Il problema, quindi, delle scriminanti è un problema innanzitutto di conflitto di norme cioè si
confrontano due norme diverse, di diversa fonte, una penale, incriminatrice e una extra-
penale che hanno due caratteristiche essere l’una incriminatrice e l altra permissiva, una
restrittiva e l’ altra di liberta ma soprattutto di avere lo stesso contenuto precettivo e quindi
sono comuni nel precetto ma opposte nelle conseguenze. La norma incriminatrice per lo
stesso comportamento collega una sanzione, la norma permissiva prevede invece la necessità
di realizzare la condotta, addirittura prevede una sanzione per il mancato comportamento che
un’altra norma viceversa punisce se realizzato. Es. Si crea un problema di ordine pubblico, il
pubblico ufficiale deve intervenire, esercitando un fatto di violenza privata nei confronti di un
soggetto qualora oppure di un prevenuto che deve arrestare quindi realizzando il fatto
sequestro di persona nei confronti di un soggetto che è appunto prevenuto, e questa è la
norma incriminatrice, qualora, siccome sta agendo nell’ ambito di un dovere , adempimento di
un dovere su ordine dell’autorità competente che ordina di arrestare un soggetto, non lo
arrestasse e quindi non realizzasse il fatto tipico di sequestro di persona a quelle condizioni
risponderebbe o di omissioni di atti d’ufficio o per favoreggiamento personale o di altri tipi di
reato; quindi hanno la caratteristica di essere norme antitetiche. Un esempio classico di
conflitto di norme è quello in cui due norme confermano e contemporaneamente negano,
avendo lo stesso contenuto, una stessa situazione di fatto oppure vietano o impongono un
determinato comportamento.
Ora il conflitto di norme deve essere risolto in qualche modo per il principio di non
contraddizione dell’ordinamento e normalmente i conflitti si risolvono attraverso una
comparazione, una terza norma atta a risolvere il conflitto, dando la prevalenza all’una
piuttosto che all’altra.
Ipotesi di questo genere voi le conoscete ad esempio rispetto il concorso apparente di norme
in cui due norme sembrano applicassero contemporaneamente con modalità e conseguenze
diverse allo stesso fatto e poi c’è una terza norma che stabiliscono quale dei due prevale, non
potendosi entrambe applicare. Art 15 criterio di specialità dice che c’è una norma terza che
risolve il conflitto tra norme non potendosi entrambe applicare.
Al di fuori del sistema penalistico la norma risponde ad altri criteri che sono criteri univoci. E’
un criterio univoco è il criterio di prevalenza della norma facoltizzante su quella
incriminatrice, la scriminante prevale sempre sulla norma incriminatrice. Nel concorso
apparente di norme, invece, dipende. Lascia dubbi la possibilità di individuare questa regola.
Il problema è, però , innanzitutto, se è una regola o un principio? E se è un principio o una
regola da dove si ricava questo criterio a livello normativo? La conclusione normalmente è di
livello, almeno nel nostro ordinamento, di livello costituzionale cioè .. principio… art 13;
Se vogliamo vi è l art 13 cost secondo cui le norme permissive ampliativi di diritti consentono
di prevalere su norme che limitano i diritti quindi in definitiva le norme scriminanti quindi
sono quelle che giustificano un fatto tipico alla luce dell’ordinamento penale, di una norma
incriminatrice. Il problema è su che piano incidano queste scriminanti e perché incidono
proprio su quel piano.
Non esiste un criterio identificativo di tipo formale della scriminante. Una norma permissiva,
perché esclude la pena, non necessariamente è una scriminante. Infatti il problema più
fondamentale è identificare la scriminante nell’ ambito della categoria più ampia degli
esimenti cioè cause esterne al fatto tipico che escludono la punibilità del fatto perché tra le
esimenti vanno anche annoverate le cause che escludono la colpevolezza, vanno escluse le
cause che addirittura alla radice, ma non li sono neanche esimenti ma qualcuno le sposta su
quel fronte, che escludono la condotta, l’azione; meglio dire indubbiamente non sono
scriminanti le cause che escludono la punibilità . Vedremo poi La conseguenza sistematica ma
anche ermeneutica, di trattamento di collocare una norma come scriminante o esimente. Il
fatto è che o incide o non incide sull’ illecito. Se incide sull’ illecito le conseguenze sono
rilevanti soprattutto con quanto riguardo ad uno dei requisiti delle scriminanti, l’ assolutezza,
nel senso che la scriminante escludendo l illecita la esclude da tutto l ordinamento e salvo
eccezioni particolari senza distinzione tra i soggetti. Questo ha delle conseguenze molto
importanti perché se un esimente è anche scriminante dalla condotta tipica, lesiva, offensiva
non potrà derivare una conseguenza sul piano civile o penale. Se è una scriminante di regola,
salvo casi particolari, la scriminante si comunica al concorrente.
L’ importante è ,quindi, una volta identificata l’esimente come causa di giustificazione vedere
tutta una serie di conseguenze e queste conseguenze attengono alla natura, la natura viene
individuata in 3 predicati. Innanzitutto l’obiquità cioè le scriminanti sono norme che
provengono da tutto l ordinamento, nazionale e sovranazionale. Sono, appunto, assolute, cioè
escludono l’ antigiuridicità in qualsiasi settore giuridico civile, amministrativo ecc e infine l’
autonomia cioè le scriminanti sono norme autonome che fanno scattare quel meccanismo
antagonistico. Perché dico autonomia rispetto ad altre ipotesi anche una causa di esclusione
della colpevolezza sta dentro ad una disposizione, ad una normaperò non è una norma
autonoma, è una norma che accede , di disciplina di un determinato fatto giuridico che ha la
caratteristica di essere un’illecito penale facendo venire meno la possibilità di applicare una
pena. L illecito penale rimae per cui il soggetto concorrente sarà punibile, lo stesso soggetto
che giova di questa causa potrà eventualmente subire delle conseguenze su un altro piano, un
piano civilistico proprio perché non c’è un’ interferenza tra soggetti. Se noi immaginiamo,
pensiamo alle cause di esclusione della colpevolezza quindi il conflitto di doveri, la norma
eventualmente che valorizzi il conflitto di doveri non è che collide col precetto “non
favoreggiare un soggetto che ha commesso un reato e che è perseguito dalla giustizia”. Quel
precetto rimane integro ed è stato violato. L’ordinamento prende in considerazione il fatto
che chi ha violato quel precetto in nessun modo ingiustificato meriti la pena, debba altresi
subire la pena decidendo di non subirla proprio perché manca un requisito. Laddove per le
scriminanti il rapporto è diretto fra precetti.

“ e’ vietato causare la morte di un uomo”


“è lecito difendere la propria vita anche a costo di causare la morte di un uomo”
Sono due precetti antitetici, c’è un contrasto. Vi sono due norme totalmente autonome che si
confrontano con l’ esito che abbiamo visto.
Un altro elemento importante da mettere a fuoco è che posto che, partendo proprio
dall’autonomia, sono due norme complete in tutti i loro elementi a partire proprio dal
precetto, quindi dal comando, dal modello comportamentale cioè nell ipotesi del padre che
nasconde il figlio latitante non c’è nessun comando nei confronti del padre, un modello
comportamentale o meglio c’è un modello comportamento di base che gli imporrebbe di non
nascondere il figlio ma non c’è neanche un modello comportamentale che gli dice che tu devi
nascondere il latitante. Rimane fermo il principio statuale che se lo nascondi tu che sei padre
hai commesso un illecito ma non me la sento di punirti, senza giudicare il tuo comportamento
anzi non me la sento di giudicare in termini sanzionatori il tuo comportamento.
Laddove se il comportamento è scriminato c’è una presa di posizione dell’ordinamento che
dice “puoi realizzare l’offesa” oppure addirittura “ devi realizzare l’offesa”.
Es. “Tu guardia del corpo di un soggetto a rischio hai il dovere di uccidere, di usare le armi”
Qui c’è un conflitto di precetti, qui l’ordinamento non si trae indietro ma prende posizione
quindi si tratta di due norme antitetiche ma diverse. Sono norme precettive il caso più tipico
non è quello della norma facoltizzante ma della norma doverosa, di adempimento di un
dovere. Posta questa autonomia dal punto di vista strutturale la scriminante, il parallellismo
con cui si forma la norma penale ha due componenti: una precettiva e una comportamentale.
C’è anche un “modulo sanzionatorio” che è di tipo positivo. Come ben sapete il diritto
moderno ha ben individuato il ceppo delle sanzioni positive.
Avete mai sentito parlare di sanzioni positive? L incentivo secondo voi cosa è? O la
ricompensa?
Risposta: un movente?
Prof: No , è una sanzione positiva. Se restituisci la cosa ritrovata, il caso di un soggetto che si
riappropria della cosa altrui, se anziché appropriarsene la riconsegni al proprietario, fai la
condotta antititeica. Hai diritto ad una ricompensa. La ricompensa per questa condotta è una
sanzione positiva. Rispetto alla scriminante noi possiamo immaginare un modulo
sanzionatorio positivo antagonistico alla pena consistente nella facoltà di realizzare un’offesa
senza avere conseguenze di sorta, ne responsabilità anche risarcitoria. Quello che ci interessa
è la distinzione tra il modulo precettivo della norma scriminante dal modulo situazionale. Il
nucleo precettivo della scriminante coincide con il principio che sta alla base. Es. è consentito
difendersi a costo di offesa ad beni altrui

δp(precetto scriminante diverso dalla fattispecie scriminante) δs (fattispecie scriminante)

Norma scriminante è il principio che regola il conflitto di norme, incriminatrice e


giustificatrice.
La fattispecie scriminante, che quindi corrisponde al precetto penale, è l insieme delle
condizioni fattuali, concrete, ovviamente descritte in astratto dalla norma scriminante, alle
quali il principio scriminante è valido, funziona, e anche questa fattispecie scriminante è l’
insieme di quelle situaizoni in presenza delle quali quel principio scriminante vale. Il soggeto
per difendersi per legittima difesa deve subire un offesa ingiusta del proprio diritto attuale ecc
c’è tutta una serie di elementi in presenza dei quali il principio si concretizza male.
Quindi precetto facoltizzante o doveroso ,che corrisponde al precetto penale, versus
fattispecie scriminante o fatto scriminato che è il comportamento che viene giustificato. È
chiaro che quando c’è una situazione di questo genere, dal punto di vista strettamente
normativo,formale, non abbiamo mai una sola norma ma c’è sempre un concorso di norme. Es
art 575 e 52cp: ci deve essere il fatto tipo di cagionare la morte di un uomo combinato con
l’offesa ingiusta, attuale , proporzionata che ha come attori offensore ed offeso solo che si
invertono le parti. Secondo la norma 575 l aggressore è vittima e chi si difende è autore
dell’omicidio combinata con l’ art 52 i ruoli si invertono, nel senso che si rovesciano i ruoli
delle parti. Ad essere tutelato, però in ragione dell’art 52, del combinato disposto, dall
ordinamento è chi ha offeso il bene giuridico, chi lo ha leso. Rispetto allo stato di necessità è
piu chiaro no? Perché c’è la difesa di un soggetto incolpevole e l’autore viene tutelato
dall’ordinamento, non diventa vittima ma fa perdere il ruolo di vittima al soggetto che subito
la difesa. Il soggetto cessa di essere vittima di omicidio.
Questo problema, bisogna capire strutturalmente cosa succede sulla base della nostra
ricostruzione in termini di disvalore. Partendo dal combinato disposto.
Mettiamo fatto tipico altresi illecito comparandolo e certamente diverso dal fatto tipico non
illecito, non illecito in ragione di una scriminante.

Mettiamo il primo caso. A) Fatto tipico, illecito (art 575); B) comparandolo al fatto tipico NON
illecito, in ragione di una scriminante (575 + 52). Vediamo in cosa si differenzia
strutturalmente e poi in termini di disvalore. Assenza di scriminanti
Caso A abbiamo un disvalore di evento, è un reato doloso, disvalore di condotta.
Caso B: evento c’è; immaginiamo che il disvalore di evento ci sia; se la persona muore un
disvalore di evento c’è; la condotta indubbiamente c’è; c’è il nesso di causalità ; qui però la
conclusione è diversa poiché l’unico modo di differenza è che abbiamo NON un disvalore di
condotta, bensì un valore di condotta. Questo valore di condotta è funzione della scriminante,
nello specifico del suo precetto (la condotta è esplicazione del principio che mi dice tu puoi
autodifenderti).
A questo punto il problema riguarda l’intenzione. Qui si apre il problema del disvalore di
intenzione (c’è? Come funziona?). Innanzitutto di che intenzione parliamo? Di quale momento
intenzionale, sia nell’uno che nell’altro caso? Che ci sia o non ci sia la scriminante, il dolo del
fatto c’è, non c’è, è identico, non rileva? Il dolo del fatto è identico, perché il fatto tipico è un
fatto tipico doloso; il soggetto si deve rappresentare perfettamente l’adesione, l’oggetto della
sua condotta (l’aggressore), deve voler provocare la morte o la lesione e quindi c’è
sicuramente il dolo del fatto. C’è altresì il disvalore di intenzione?
Ragazza: ma non dovremmo parlare di disvalore di intenzione nel primo caso e di valore di
intenzione nel secondo? Prof: questo è uno dei quesiti a cui si deve poi arrivare. Prima però
occorre fare un passo indietro. Il nostro primo quesito è se nel fatto scriminato ci sia spazio
per la valorizzazione dell’intenzione, a prescindere dal disvalore o meno.
Nel fatto scriminato, il quesito è se la componente di questo fatto scriminato è rappresentata
da evento, condotta, con nesso di causalità , più intenzione (dolo)? Il dolo c’è o non c’è nel fatto
scriminato? Tenuto conto che noi abbiamo anche distinto il dolo del fatto dal dolo dell’illecito,
ossia il dolo del fatto è la rappresentazione e volontà del fatto tipico, mentre il dolo dell’illecito
è la rappresentazione e volontà del fatto tipico percepito come illecito, realizzato in assenza di
scriminanti. In ultima analisi, il dolo viene in considerazione solo rispetto al fatto illecito? Se
non c’è dolo dell’illecito, perché il fatto è scriminato, è possibile che diventi irrilevante il dolo
del fatto? (prima domanda)
E il dolo dell’illecito in ogni caso è rilevante anche quando il fatto è scriminato? (seconda
domanda)
Questa serie di problemi si incrocia e intercetta il problema dell’ERRORE. Nel nostro
ordinamento la questione è regolamentata e bisogna fare i conti con l’art 59. Ai nostri fini ha
due commi interessanti (1 e 4) poiché disciplina i rapporti tra elementi soggettivo, ossia
intenzione, e scriminante. L’art 59 è un po’ lo specchio dell’art 47 che riguarda il fatto tipico.
L’errore di fatto o di diritto esclude il dolo del fatto – e quindi riguarda la norma
incriminatrice e i suoi contenuti.
L’art 59 ha un oggetto diverso; la fonte è uguale, ossa una distorsione rappresentava, un vizio
conoscitivo, ma l’oggetto è diverso, perché qui abbiamo come oggetto la norma scriminante.
La regola qui è più articolata: ipotesi in cui sicuramente se abbiamo un errore che incide sul
dolo (salvo l’errore sul precetto, che se rileva incide sulla colpevolezza, perché riguarda una
norma e non la situazione) qui invece stiamo parlando di errori che riguardano dei fatti o dei
dati naturalistici, del reale e non del normativo. Allora se l’errore esclude il dolo, l’errore di cui
all’art 59 non può coincidere sul dolo del fatto, perché incide sulla scriminante - è un’altra
cosa. Ha un oggetto diverso (la scriminante e non il fatto tipico) e quindi non essendo dolo del
fatto, non riguardando la colpevolezza, non può che riguardare il dolo dell’illecito. Potrebbe
essere coerente dire c’è il dolo del fatto, per cui si crea un fatto tipico completo, ma non
possiede il dolo dell’illecito pertanto il soggetto si è rappresentato un fatto come tipico, lo ha
voluto realizzare ma non ha percepito che questo fatto era illecito, in quanto ha avuto un
difetto di percezione relativo alla scriminante.
Non è dolo del fatto, è dolo dell’illecito. Se noi rileggiamo l’art 59, ci rendiamo conto che se si
tratta di dolo dell’illecito, c’è una netta differenziazione di discipline, nel senso che il comma
primo, perché qui abbiamo due ipotesi, note in dottrina come scriminante ignorata e
scriminate putativa. La prima implica che il soggetto realizza fatto tipico ignorando che
agisce in una situazione scriminata; seconda ipotesi, io realizzo un fatto ritenendo di essere in
una situazione scriminata (mi rappresento erroneamente). Almeno a prima lettura, nel nostro
ordinamento la valenza di questi due errore è differenziata; la conclusione è identica, nel
senso che in nessuno dei due casi rispondo del reato, però c’è differenza profonda: nel primo
caso, il fatto tipico è scriminato, perché la scriminante esiste. Nel secondo caso il fatto non è
scriminato, perché la scriminante non c’è; nel nostro ordinamento in entrambi i casi non si
risponde del fatto commesso ma per ragioni completamente diverse che rompono l’equilibrio
interno al dolo dell’illecito.
Rispetto al dolo del fatto, o c’è o non c’è. Se non c’è il dolo del fatto, non c’è reato. Se c’è, il fatto
è tipico. Aut aut. Se c’è dolo, punito, altrimenti non punito.
Nel modello dell’art 59, che abbiamo assunto che riguarda il dolo dell’illecito, abbiamo che si
rovescia il discorso. In entrambi i casi non c’è punizione, pur in presenza in un caso di assenza
di dolo dell’illecito (scriminante putativa) e nell’altro di presenza di dolo dell’illecito.
Ricapitoliamo: se io non mi rappresento un elemento costitutivo del fatto tipico non sono in
dolo perché non mi sono rappresentato il fatto proibito; se sono in una situazione di
scriminante ignorata, non mi sono rappresentato la scriminante (scriminate putativa) -
identico caso dell’errore.
Solo che nel primo caso io ho il dolo dell’illecito, perché la scriminate c’è ma io non la vedo e
sono convinto di realizzare un omicidio illecito. Nel secondo caso il dolo dell’illecito non c’è.
Quesiti a questo punto: è giusto che sia così? E se è così come si spiega? È giusto e si spiega che
ci sia viceversa sovrapponibilità di decisione tra carenza ossia dolo del fatto e dolo
dell’illecito?
Ricapitoliamo per norme:
- 47 e 59 comma 4; hanno in comune –ds(I) solo che nel primo caso il disvalore di
intenzione equivale al dolo del fatto, nel secondo il disvalore equivale al dolo
dell’illecito.
Il trattamento è identico (non c’è pena).
Se invece paragoniamo il 59 primo comma, col 59 quarto comma, noi quest’equazione non la
possiamo scrivere. Perché nel 59 4 comma abbiamo –ds(I) del dolo dell’illecito + casomai
disvalore del dolo del fatto; mentre nel 50 primo comma, abbiamo +ds(dolo del fatto) ma
anche un +(ds del dolo dell’illecito, poiché la scriminate non l’ho vista.
Dobbiamo porci due quesiti: è ragionevole dal punto di vista politico criminale questa scelta?
Rispetto alla meritevolezza di pena. Se ha ragionato bene, perché ha ragionato bene?
Carenza del dolo del fatto VS carenza del dolo dell’illecito
È ragionevole che sia parificato il trattamento di carenza di dolo del fatto e dolo dell’illecito?
Trasformiamolo in termini di disvalore e di rapporto con l’offesa: cosa c’è di comune tra
queste due situazioni? In entrambi i casi manca l’intenzione di offesa: se non c’è il dolo del
fatto, il soggetto non si rappresenta il fatto come offensivo; se manca il dolo dell’illecito perché
il soggetto si rappresenta il fatto come offensivo ma giustificato, e quindi non come offensivo,
in entrambi i casi non possiede il disvalore d’offesa che su fronti diversi accomuna chi è in
dolo sul fatto e altresì sul dolo sull’illecito (se lo rappresenta sia come offensivo, che come
offensivo non giustificato).
In ciascuno di questi due momenti di passaggio, se interviene un elemento ostativo, il risultato
finale è che non ha l’intenzionalità di cagionare un’offesa. 1.34

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