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Il processo formulare

Istituzioni Di Diritto Romano


Università degli Studi di Cagliari
13 pag.

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Il processo per formule
Nel corso del II secolo a.C. vennero introdotte nuove figure istituzionali, quelle del
pretore urbano (367 a.C.) e in seguito del pretore peregrino (242 a.C.).
Il pretore si occupò di esercitare la iurisdictio anche nei confronti dei peregrini e per
fare ciò, introdusse un nuovo tipo di processo, quello per formule, fondato sul suo
imperio che gli consentiva di provvedere come riteneva più opportuno purché non
violasse nessuna legge. Il processo per formule non ebbe dunque base legislativa ma
natura meramente onoraria e pretoria infatti le pretese che le parti facevano valere
attraverso esso, l'osservanza delle sentenze pronunciate e la produzione degli effetti
degli atti compiuti senza il pretore non esistevano.

Nel 130 a.C. venne emanata la Lex Aebutia che cominciò a smantellare la procedura
del processo per legis actiones ma questa venne completamente soppiantata nel 17
a.C con la Lex iulia iudiciorum privatorum che inoltre, legalizzò il processo per formule.

Iuditium legitimum Iudicium imperio continens


Le parti hanno entrambe la cittadinanza Una o entrambe le parti sono peregrine
romana
Svolgimento del processo a Roma entro Svolgimento del processo fuori da Roma
un miglio dal suo pomerium
Giudicava un giudice di cittadinanza Giudicava un collegio di recuratores o un
romana giudice peregrino
La sentenza doveva essere proninciata La pronuncia della sentenza era legata
entro 18 mesi, secondo legge all'imperio del magistrato che aveva
nominato l'organo giudicante

I soggetti del processo formulare


■ I principali magistrati erano il pretore urbano per le controversie tra romani e
il pretore peregrino per le controversie in cui almeno una parte fosse
peregrina. Se il convenuto risiedeva in un municipiu, una colonia o altre
circoscrizioni minori in cui erano presenti magistrati muniti di iurisdictio, i pretori
si occupavano solo di controversie che non potevano essere trattate da quei
magistrati locali.
■ Per le controversie riguardanti vendite e lesioni in luogo pubblico, a Roma
avevano iurisdictio gli edili curuli.
■ Le parti dovevano avere la capacità giuridica o in caso contrario occorreva che
un altro soggetto rappresentasse la parte interessata: l'adsertor in libertatem
(per gli schiavi), il tutor (per l'infans, l'impubere assente o impedito),
l'auctioritas del tutor (per la donna, ormai solo in caso di legis actio o
iudicium legitimum), il curator (per fuiosus, malato di mente e prodigo
interdetto). Anche le persone fisiche potevano farsi sostituire per atto formale
unilaterale da un cognitor o dal proprio procurator omnium bonorum (o da
uno specifico: procurator ad litem), il convenuto poteva essere sostituito da un
defensor intervenuto spontaneamente.

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Caratteri del processo formulare
■ Il processo formulare era non formalistico, l'unico requisito da rispettare era lo
schema della formula. Ogni formula era inizialmente liberamente precisabile e
combinabile dal magistrato su richiesta delle parti, congegnata per ogni singola
controversia che non era tutelabile secondo il ius civile. Successivamente le
formule vennero rielaborate e rivedute man mano che un nuovo caso dello
stesso tipo si presentava, e vennero a formarsi dei modelli che i pretori
indicarono a conclusione delle loro clausole edittali. Quest'ultime erano
chiamate actio ex edicto ma il pretore poteva anche creare nuove formule non
previste dall'editto e in questo caso erano definite actio ex decreto.
■ Inizialmente era esperibile solo a controversie per le quali non erano applicabili
le legis actio ma, data questa forma flessibile e manleabile, i cittadini romani
iniziarono a servirsi di questo processo anche per tutelare le situazioni
giuridiche soggettive fondate sul ius civile, tutelabili con le legis actiones.
■ La possibilità di redigere la formula accrebbe i poteri del magistrato che
passò dall'essere una figura di controllo formale a divenire arbitro del tenore
della formula e della possibilità dell'attore di far svolgere il processo e
conseguire la tutela processuale.
■ Il processo non aveva inizio e non proseguiva senza la volontà dell'attore
(che doveva essere titolare di capacità giuridica) inoltre, nel passaggio dalla
fase in iure a quella apud iudicem le parti si accordavano con la litis contestatio
e se ciò non avveniva, il processo non proseguiva.

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Azioni e formule
Il modello seguito dall'attore e l'attività concreta che egli seguiva, erano chiamati
actio.
Le actio formulari, a differenza del processo per legis actiones, erano specifiche per
ogni situazione ed erano contrassegnate dalle formule che contenevano gli elementi
essenziali di tale situazione. Nonostante la loro unicità, seguivano dei modelli stabiliti
negli editti dei pretori, negli edili curuli, dei governatori provinciali. Come già detto, i
magistrati avevano il potere di concedere con decreto un'actio capace di tutelare una
situazione giuridica nuova, adattando formule già previste o creandone di nuove.
Ad ogni modello riportato corrispondeva un'actio che concedeva il potere di svolgere
l'attività processuale. Questo potere era però concesso solo a colui il quale fosse il
reale titolare della situazione giuridica che richiedeva tutela, e riuscisse a provare
che questa era stata violata. Di solito si dava per scontato che la parte che voleva
richiedere un'actio, dichiarasse il vero ma, in caso contrario si diceva che si era agito
non recte.

Struttura della formula


Le formule servivano a determinare il compito del giudice, aiutandolo a determinare
la verità per poter condannare e stabilire l'ammontare della condanna. Inizialmente le
parti e il magistrato redigevano la formula nel modo che per loro appariva più
conveniente per determinare il compito del giudice ma, sulla guida dei giuristi,
vennero poi ad individuarsi delle clausole aventi ciascuna una particolare funzione,
Gaio le chiama partes formularum e ne indica quattro: demonstratio, intentio,
adiudicatio, condemnatio.
Nonostante fossero per lui fondamentali in quanto bastavano alla composizione di
qualsiasi modello, non ricorrevano in tutte le formule: solo nelle formule divisorie
potevano ricorrere tutte e quattro mentre si avevano formule costituite dalla sola
intentio (praeiudiciales formulae) o anche senza intentio dove la demonstratio
indicava gli elementi per formulare una condemnatio.
Esse erano precedute dall'indicazione del nome del iudex o dei recuperatores a cui il
magistrato e le parti conferivano il compito e il potere di giudicare. Nei modelli di Gaio
non era presente lo spazio per indicare il nome di questi ma, quando la formula
diventava oggetto della litis contestatio, essa comprendeva anche il nome dei giudici.

• La demonstratio indicava il fatto o i fatti da cui era nata la controversia (la


fonte del rapporto, il fatto giuridico che giustifica la pretesa, gli elementi che la
precisano), inclusa se l'intentio e le altre clausole non offrivano al giudice
elementi essenziali per stabilire se il convenuto dovesse essere condannato o
assolto.
• L'intentio era la parte della formula in cui veniva espressa la pretesa dell'attore
come condizione della condanna del convenuto. Gaio indica tre tipi di intentio,
due delle quali erano determinate (ricorreva uno specifico dare oportere) ma
erano rischiose per l'attore che, nel caso in cui dichiarasse una somma dovuta
o cose in numero/dimensioni maggiori di quanto effettivamente dovuto,
commetteva pluris petitio e perdeva la lite senza poterla ricominciare. La terza
era indeterminata e produceva una incertae formulae perciò doveva essere
preceduta da una demonstratio che precisasse la situazionedi dare oportere.
Una variante di quest'ultima si aveva nei casi di rapporti fondati sulla fides per
cui il giudice doveva condannare il convenuto tenendo conto di ciò che dovesse
dare/fare nei confronti dell'attore, attenendosi alla fides bona.

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• L'adiudicatio era la tipica clausola delle formule divisorie con cui il giudice
attribuiva la titolarità o proprietà solitaria di determinati beni o diritti facenti
parte dell'eredità o proprietà comune. Il giudice poteva decidere se dividere
matematicamente o proporzionalmente e anche se, in quest'ultimo caso,
condannare chi aveva ricevuto la parte maggiore a pagare il conguaglio all'altra
parte. Questa formula fu utilizzata anche per il regolamento di confini tra terreni
vicini.
• La condemnatio era l'ultima parte della formula con la quale il giudice
condannava o assolveva il convenuto. La condanna era sempre una somma di
denaro perché più facilmente eseguibile da chi volesse pagare il convenuto, ed
estinguibile in quanto il denaro poteva essere procurato anche mediante la
vendita dello stesso convenuto o del suo patrimonio. Oppure veniva indicato il
criterio con cui il giudice doveva determinare la somma con le parole seguenti,
e nel farlo era spesso limitato dal pretore che indicava la somma massima a cui
la condanna poteva ammontare (taxatio).
"quanto vale" (est, Si considerava il valore del bene al momento della litis
presente) contestatio
"quanto valse" (fruit, Si considerava il valore del bene prima della litis
passato) contestatio
"quanto varrà" (erit, Si considerava il valore del bene in riferimento al
futuro) momento successivo della litis contestatio o dalla
pronuncia della sentenza.
Se invece l'oggetto in questione non era patrimonializzabile, il giudice doveva
determinare il valore di questo secondo il bonum et aequum.

• Le praescriptiones pro reo erano delle clausole che il pretore faceva inserire
all'inizio della formula e fungevano da accertamento preliminare dei fatti addotti
dal convenuto: se questi risultavano veri, il processo non proseguiva. Questa
clausola serviva in difesa del convenuto infatti, il giudice era tenuto a
considerare qualunque fatto o circostanza che venisse da egli allegata. La
clausola cadde presto in disuso a favore delle exceptiones.

• L'exceptio era una clausola che il convenuto faceva inserire nella formula dopo
l'intentio e prima della condemnatio, per negare ciò che era dichiarato
dell'attore.
L'editto conteneva diverse exceptiones ma quella più frequente era l'exceptio
doli in cui "dolo" era inteso come qualunque comportamento contrario alla
buona fede. Nei giudizi di buona fede, il convenuto non aveva bisogno di inserire
l'exceptio doli perché il giudice doveva tenere conto del dolo dell'attore allegato
del convenuto, dovendo giudicare secondo buona fede. Nonostante le numerose
exceptiones presenti nell'editto, i magistrati potevano concederne di nuove,
modellate a seconda della situazione (exceptio in factum).
Le exceptiones solevano distinguersi in:
• Peremptoriae → erano sempre proponibili e rendevano perpetuamente
infondata l'azione.
• Dilatoriae → erano proponibili per un lasso di tempo limitato o solo in
determinate circostanze e miravano a far rinviare l'esercizio dell'azione. Se
l'attore proseguiva l'azione fino alla litis contestatio e l'exceptio risultava
fondata, perdeva definitivamente la lite e il convenuto veniva definitivamente
liberato.
• Temporales

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• La replicatio era una clausola inserita dall'attore nel caso in cui l'exceptio
risultasse iniquamente nociva per l'attore, dove indicava un altro fatto. Qualora
il convenuto venisse ingiustamente leso a sua volta, il pretore poteva
consentirgli di inserire una duplicatio in grado di annullare la rilevanza del fatto
inserito dall'attore precedentemente. Gaio parla anche della triplicatio,
costituente la risposta dell'attore alla duplicatio del convenuto.

• La praescriptio pro actore era una clausola che fu escogitata dai giuristi per
agevolare l'attore ed era usata nelle intcertae formulae in funzione di
completare la demonstratio, specificando ulteriormente l'oggetto del processo.

• La restitutio arbitratu iulicis era una clausola arbitraria inserita prima della
condanna dal giudice quando aveva accertato se la situazione giuridica
dell'attore sussisteva, per indurre il convenuto alla restitutio, preservandolo
dalla condanna.
Se la restitutio era divenuta impossibile per cause non imputabili al convenuto,
questi era condannato; se invece era possibile e il convenuto non adempiva
oppure era divenuta impossibile per cause imputabili al convenuto, il giudice
permetteva all'attore di determinare l'ammontare della condanna mediante il ius
iurandum in litem. In quest'ultimo caso, il giudice era solito a stabilire un limite
(taxatio) entro il quale l'attore poteva condannare all'aestimatio.

• La fictio era una clausola che obbligava il giudice a considerare un fatto, una
situazione o una circostanza che in realtà non sussistevano, necessari a rendere
fondata un'azione. La fictio si presentava come una proposizione ipotetica che
condizionava l'intentio se (a seconda della situazione descritta) il fatto
ipotizzato fosse o non fosse avvenuto.

• Le actiones utiles sono una categoria autonoma di actiones, configurata dai


romanisti per indicare le azioni pretorie che tutelavano determinate situazioni
giuridiche mediante adattamenti delle formule originarie che, senza tali
modifiche non erano idoneea a tutelare quelle situazioni.

La classificazione delle azioni


• Actiones in persona che corrispondono i diritti di credito
• Actiones in rem, cioè i diritti reali
• Actiones populares, sono i diritti collettivi o popolari esperibili da qualunque
cittadino ma solo una volta, e colui il quale aveva portato avanti l'azione ed era
vittorioso, doveva poi trasmettere in tutto o in parte l'importo della condanna al
popolo romano o all'altra collettività interessata

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Lo svolgimento del processo in iure
Il processo cominciava per effetto di atti compiuti dall'attore che nel loro insieme
costituivano l'actio. A risposta di ciò, il convenuto costituiva atti chiamati defensio o
infitiatio (se avevano funzione di contestare la pretesa dell'attore). L'esercizio del
magistrato era indicato con il nome di iurisdictio.

1. L'in ius vocatio


L'attore chiamava il convenuto a giudizio stragiudiziale con editio actionis. Ciò poteva
avvenire dovunque tranne che nella casa del convenuto e quest'ultimo aveva la
possibilità di rinviare la propria comparizione davanti al giudice, nominando un vindex
che aveva il compito di garantire la sua comparizione nel giorno stabilito dal pretore.
• Il vocatus non si presentava nonostante la garanzia del vindex, quest'ultimo
era soggetto ad un actio pretoria mentre il patrimonio del vocatus entrava in
possesso del vocans.
• Il vocatus non obbediva alla chiamata e non nominava un vindex, il vocans
poteva ricorrere alla forza o ottenere un'actio in factum penale dal pretore.
• Il convenuto si nascondesse per sfuggire alla in ius vocatio, il pretore
autorizzava l'attore a prendere possesso (missio in possessionem) e
procedere alla vendita del patrimonio. Stessa cosa era prevista per chi, in
un'azione in personam non compariva in giudizio e non veniva difeso da un
defensor.
Fra persone di un certo livello sociale si preferiva ricorrere al vadimonium con il quale
l'attore intimava il convenuto a presentarsi in luogo e data stabiliti (vadimonium
facere) e insieme concludevano una stipulatio avente per oggetto una somma di
denaro (summa vadimonii), che il convenuto doveva pagare nel caso in cui non si
fosse presentato. La stipulatio poteva essere rinforzata da garanti (sponsores) o da
un giuramento.

1. La postulatio actionis
Le parti si presentavano davanti al magistrato e l'attore poteva eventualmente
rinnovare la sua editio acionis in funzione di dichiarare la sua pretesa e come
intimazione ad accettare la formula edita per base del giudizio e oggetto della litis
contestatio. L'attore rivolgeva al magistrato la postulatio actionis: chiedeva di
concedergli l'azione che stava intentando e di approvare la formula indicata
nell'editto actionis.

1. L'alternativa del convenuto


Il convenuto poteva decidere di riconoscere fondata l'azione e confessare con la
confessio in iure: esplicita dichiarazione conforme al contenuto dell'intentio. Casi di
confessio:
Relativa a una somma di denaro Stessa efficacia di una sentenza di condanna
Relativa a un credito di cosa Il convenuto era condannato a pagare in base
determinata all'aestimatio della cosa.
Relativa a un'azione con clausola Il convenuto era obbligato alla restitutio o, in sua
restitutoria mancanza, a pagare una condanna pecuniaria
secondo le regole da applicarsi.
Relativa a un'azione di cosa incerta Non influiva sul processo ma fungeva da prova.
Il convenuto poteva decidere di resistere all'azione e far redigere la formula
(indefensio) nel modo che gli apparisse più favorevole. Poteva anche inserire delle
pretese mediante le mutua aziones e mutiate petitiones.

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Il convenuto poteva decidere di non rispondere e ciò portava alla paralisi del processo.
Per evitare ciò, il non respondere venne inserito ai comportamenti negativi del
convenuto i quali davano luogo a:
In caso di actio in • ductio del convenuto
personam • missio in possessio del patrimonio
In caso di actio in rem • duci vel ferri della cosa mobile
• actio exhibendum della cosa immobile o di
un di un diritto per essere sottoposta a vari
interdetti
Il giudice poteva abbreviare il processo autorizzando l'attore a deferire giuramento
(ius iurandum) al convenuto, stabilendo gli effetti della sua prestazione e del rifiuto
a prestarla.
Il giuramento era liberamente accettato o rifiutato e ciò non comportava
conseguenze se non l'indizio sfavorevole del processo.
La prestazione del convenuto portava alla denegatio actionis o all'exceptio,
mentre quella dell'attore portava a un'actio in factum (l'actio ex iureiurando) che
permetteva di ottenere la condanna del convenuto in base alla semplice prova
della prestazione del giuramento.

1. Il dibattimento in iure
Le parti svolgevano un dibattito sotto la guida del magistrato che valutava gli
elementi della causa (causae cognitio) per stabilire se l'azione fosse da
denegare, perché infondata, o avesse effetti iniqui o anche se concedere
un'azione ex decreto non corrispondente agli schemi presenti nell'editto. Il
magistrato doveva dunque valutare la postulatio actionis dell'attore e l'eventuale
postulatio del convenuto e le altre volte a correggere la formula.
Le parti dovevano inoltre fornire delle garanzie (satisdationes) sul loro
comportamento durante il processo e/o dopo la sentenza.

1. Il iudicium dare
Si procedeva alla stesura della formula e il magistrato nominava un giudice o i
recuperatores (questi ultimi erano assegnati per i processi aventi maggiore
importanza pubblica).
Il magistrato decretava con il iudicium dare l'autorizzazione allo svolgimento del
processo con l'approvazione della formula dell'attore o quella che ritenesse più
opportuna per far valere la situazione giuridica dell'attore oppure negava il
proseguimento con la denegatio actionis.

1. La litis contestatio
Le parti ponevano in essere un negozio in cui l'attore proponeva al convenuto la
formula approvata dal magistrato (dictae iudicium) e egli l'accettava (accipere).
Con questo atto, veniva manifestata la volontà delle parti e la formula diveniva
operante così da conferire al giudice o recuperatores nominati il potere e il dovere
(munus) di giudicare - si parla di un decreto del magistrato (iudicare iubere) che
ordinava al giudice di giudicare.
Gli effetti della litis contestatio:
Effetto processuale (rem iudicium deducere) → i termini della
controversi venivano sottoposti al giudice e fissati in modo non più
modificabile
Effetto conservativo → tutti gli eventi modificativi del rapporto sostanziale
tra le parti avvenuti in seguito alla litis contestatio, non potevano essere
considerati

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Effetto estintivo → fino a prima della litis contestatio sorgeva un obbligo
pecuniario (sottoposto a condicio iuris,)nei confronti del convenuto: alla
conclusione della litis contestatio se il convenuto veniva assolto nessuna
obligatio risultava sorta, se invece aveva l'obbligo di tenere una determinata
condotta, la prima obligatio si estingueva poiché il soggetto non poteva
essere vincolato da due obbligazioni contemporaneamente.
Effetto preclusivo → il vincolo sorto dalla litis contestatio era fondato sul
ius honorarium, e quindi sull'imperium del magistrato, poichè non risultava
omogeneo con i processi formulari anteriori alla lex iulia iudicium privatorum
e con quelli successivi ad essa ma non equiparati da questa alla legis
actiones. Per questo motivo la litis contestatio non poteva avere effetti
estintivi e l'attore avrebbe potuto agire nuovamente, ma il pretore concesse
al convenuto l'exceptio rei iudicate vel in iudicium deductae (eccezione di
lite giudicata o dedotta in indizio) da inserire nella formula così da
paralizzare una seconda azione da parte dell'attore.

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Lo svolgimento del processo iudicium
La seconda fase del processo era l'apud iudicem in cui le parti producevano le prove
necessarie che venivano valutate dal giudice secondo le indicazioni della formula per
emettere una sentenza. Su questa parte si hanno poche informazioni ma si sa per
certo che poteva durare fino a 18 mesi fino all'uscita di carica del magistrato che
aveva concesso il processo.
Il iudicium era fatto dal giudice nominato, che doveva sottostare agli ordini del
magistrato che lo aveva nominato: se gli veniva ordinato di sospendere il processo o di
non giudicare, il iudicium poteva venire sciolto.

1. La comperendinatio
Per una certo tempo, la seconda fase del processo cominciava con
un'intimidazione a comparire dinanzi al giudice il dopodomani. Se si presentava
una sola parte, il processo proseguiva ma il giudice doveva pronunciare la
sentenza in favore della parte presente.

1. L'assunzione delle prove


Vigeva il principio del libero convincimento del giudice infatti, di solito le parti si
servivano di maestri della retorica per persuadere i giudici a stabilire una
sentenza piuttosto che un'altra, scegliere le prove più utili valorizzando le
favorevoli e screditando le sfavorevoli.
L'attore aveva l'onere della prova perciò doveva provare gli atti o fatti costitutivi
della situazione giuridica fatta valere. Il convenuto invece doveva addurre prove
che avrebbero estinto tale situazione.
Le prove più importanti erano costituite da documenti e dai testimoni.
I documenti consistevano quasi sempre in tavolette cerate e avevano funzione
probatoria. Il loro punto debole era la possibilità di falsificazione che venne ridotta
con le garanzie di apporre il sigillo dei testimoni nella parte posteriore della
tavoletta e di legare le tavolette con una funicella che venisse annodata e
tenuta fissa sull'ultima tavoletta. Inoltre ci furono sanzioni penali regolate dalla
lex Cornelia de falsis di Silla e senatoconsulti e editti imperiali del I secolo d.C.
I testimoni erano la prova principale e più ricorrente: tra il I secolo a.C. e il II
secolo d.C. era molto frequente l'uso di testimonianze per iscritto ma la loro
efficacia probatoria era considerata meno efficace di quella delle testimonianze
orali perché più facilmente attaccabili dall'avvocato della controparte.

1. La sentenza
La sentenza era pronunziata dal giudice o dai recuperatores (a seconda del
processo). Se il giudice era indeciso poteva giurare sibi non liquere (che la causa
non gli era chiara) e farsi sostituire. Se uno dei recuperatores faceva il
giramento, valeva la decisione degli altri o della maggioranza. Nel caso in cui non
si raggiungeva la maggioranza si dispose che prevalesse la decisione in favore
della libertà o favorevole al convenuto.
La sentenza dichiarava la fondatezza o l'infondatezza dell'intentio e il provvedimento
di condemnatio o absolutio e produceva la res iudicata. Gli effetti della sentenza:
• La pronuncia era la decisione definitiva della controversia (auctoritas rei
iudicatae)
• Nel iudicium legitimum di produceva l'obligatio iudicati che si faceva valere con
l'actio iudicati esperibile solo dopo 30 giorni dopo la pronuncia della sentenza
• Nel iudicium imperio continens si produceva un vincolo di natura onorario con
una portata analoga a quella di un'obbligazione che si faceva valere con
un'actio in factum

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La sentenza poteva risultare nulla per varie cause e irregolarità processuali.

1. L'esecuzione forzata sulla persona


Fino al periodo classico l'esecuzione forzata sulla persona rimase possibile: con la
lex Iulia iudiciorum privatorum rimase possibile la manus iniectio la quale ormai
permetteva al convenuto di difendersi da solo, tranne i casi in cui interveniva il
vindex. In seguito alla lex Iulia l'attore chiedeva al giudice di poter condurre via il
convenuto e tenerlo presso di sé (ductio iussu praetoris), mantenendo il suo
stato di libertà ma sottoponendosi al potere dell'attore.

1. L'esecuzione forzata sui beni


L'esecuzione forzata sui beni divenne sempre più frequente poiché più
conveniente per l'attore per ottenere quanto a lui dovuto. Questa procedura
veniva concessa del magistrato solo secondo i casi prevista dell'editto e aveva
come funzione quella di conservare il patrimonio nello stato in cui era, evitando
alienazioni dei beni e il loro deterioramento. Svolgimento:
i. L'attore chiedeva al magistrato di poter immettersi nel possesso del patrimonio
del convenuto (missio in possessionem o in bona)
i. Il magistrato autorizzava per decreto l'attore a preparare la vendita e stabiliva
una pena pecuniaria perseguibile con un'actio in factum a carico del convenuto
che la impedisse o riprendesse i beni. Anche gli altri creditori potevano
immettersi nel possesso pur non avendo nessun titolo che li legittimasse a
chiedere personalmente la missio.
i. L'attore aveva 30 giorni (15 giorni se i beni erano di un defunto) per fare la
proscriptio bonorum la quale rendeva nota la presa di possesso, in particolare
agli altri creditori del convenuto.
Se il possesso dei creditori si protraeva oltre il termine stabilito, il
magistrato nominava un curator bonorum con il compito di amministrare
i beni
i. L'attore e i creditori nominavano insieme un magister che, sotto l'approvazione
del magistrato, stabiliva le condizioni di vendita (lex venditionis) in cui
venivano elencati i creditori e l'ammontare dei loro crediti, distinguendo quelli
che avevano privilegio di riscossione (privilegium exibendi) dagli altri detti
chirographarii.
i. Il magister procedeva alla vendita mediante un'asta i cui concorrenti potevano
servirsi dell'elenco per calcolare se fossero in grado di pagare i creditori
privilegiati e chirografari secondo il principio di par concio creditorum . Se essi
non potevano estinguere completamente il debito, si seguiva un ordine di
preferenza stabilito dal pretore o dalle costituzioni per decidere quale dei
creditori sarebbe stato soddisfatto; primo fra tutti doveva essere pagato il fisco.
i. Chi offriva il pagamento in più alta misura vinceva l'asta e otteneva la
bonorum venditio: il bonorum emptor diveniva successore pretorio del
debitore, che risultava espropriato e incorreva nell'infamia, e doveva soddisfate
i creditori nella misura stabilita oppure poteva anch'egli incorrere in un'actio in
factum.
Il debitore insolvente poteva evitare l'esecuzione forzata sui beni, con la
consecutiva infamia derivante dalla bonorum vinditio, dichiarando
davanti al magistrato di voler abbandonare i beni ai creditori mediante la
cessio bonorum. Questi ultimi venivano soddisfatti con la medesima
procedura della bonorum vinditio. Se però non venivano interamente
soddisfatti e il debitore acquistava altri beni, il magistrato autorizzava la
loro vendita.
Casi eccezionali → quando l'infans o il prodigus o il furiosus fossero eredi del
debitore oppure quando il debitore faceva parte di una famiglia senatoria, i

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creditori venivano soddisfatti senza il ricordo alla bonorum venditio e senza
infliggere al debitore l'infamia: ad opera di un curator bonorum appositamente
nominato, i beni del patrimonio veniva alienati singolarmente fino a raggiungere
la somma necessaria a saldare il debito.

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I provvedimenti integrativi dei magistrati
Le situazioni giuridiche potevano essere tutelate anche con provvedimenti dei
magistrati diversi da quelli previsti nel processo.
• Gli interdicta erano ordini emanati dal pretore su richiesta di alcuni soggetti,
nei confronti di altri soggetti perché tenessero una certa condotta che non era
indicabile nell'intentio di una legis actio o di un'actio formulare, non faceva
parte di un oportere e non poteva essere oggetto di una condanna pecuniaria.
Gli interdicta avevano iniziato ad essere emanati già nel periodo antico, quando il
processo ordinario era ancora soltanto quello di legis actiones, e nel periodo
preclassico vennero individuati tre tipi:
1. Interdicta proibitori → proibizione di usare la violenza per raggiungere un
dato risultato
2. Interdicta esibitori → comando di esibire un qualcosa che il destinatario
dell'interdictum possedeva
3. Interdicta restitutori → ristabilire un dato stato di fatto
L'interessato si rivolgeva al magistrato così da emanare un interdicta, modellato
su uno quegli schemi. Con il tempo il magistrato non poté più impiegare il suo
imperium per imporre l'osservanza degli interdicta che diventarono sempre più
contestabili infatti, se il destinatario non li osservava si doveva svolgere un
processo per accertare ciò e solo se risultava la sua inosservanza, egli poteva
essere condannato a una pena pecuniaria.
In caso di interdicta esibitorio o restitutorio, il destinatario poteva chiedere al pretore
un'actio in factum, munita di clausola arbitraria, con la quale poteva evitare la
condanna ponendo in essere la restitutio o l'exhibitio. Nel caso in cui non la chiedesse
e non eseguiva una delle due condizioni dell'interdicta, l'attore lo sfidava a
promettergli con sponsio una somma di denaro e, una volta ottenuta la promessa, la
eseguiva a sua volta.
Negli interdicta proibitori entrambe le parti dovevano promettere per sponsio e
restipulatio e non era concessa la formula arbitraria.
• Le in integrum restitutiones erano dei provvedimenti pretori grazie ai quali
veniva ripristinata (solo dal punto di vista del ius honorarium) la situazione
giuridica antecedente a un certo fatto, atto o negozio giuridico. Esse erano
previste negli editti ma il magistrato poteva comunque provvedere adattandole
ai singoli casi.
• Le missiones in possessionem erano dei provvedimenti con cui il magistrato
autorizzava un soggetto a immettersi nel possesso di beni altrui con lo scopo
cautelare, coercitivo e preparatorio di ulteriori misure (es. la vendita).
Esse portevano riguradare:
• l'intero patrimonio (missio in bona)
• il patrimonio ereditario (es. missio legatorum salvandorum causa)
• un determinato bene (missio in rem)
Il possessore acquistava poi la proprietà per usucapione.
• Le stipulationes praetoriae erano dei decreti con il quale il magistrato
intimava a un soggetto di eseguire la promessa con stipulatio di pagare il
titolare di tali interessi o di tenere un comportamento conforme ad essi, dalla
quale derivavano un'obligatio e un'actio (effetti civili). Erano in genere concluse
dai pretori ma potevano provenire anche da edili curuli e magistrati provinciali.
Erano chiamate cautiones specie se erano documentate per iscritto,
statisdationes se dovevano essere garantite da sponsores, e repromissiones
se non erano garantite.

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