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6 febbraio 2021 - 13:08 > Versione online

Meno sfuso, più surgelati e prodotti


tipici, così la pandemia ha cambiato la
nostra spesa

inCronaca
byDomenico Sottile6 Febbraio 2021, 06:00
Sui siti di settore è tutto un fiorire di indagini per comprendere come sono cambiate le
abitudini di spesa degli italiani durante la pandemia e per capire, soprattutto, cosa
succederà quando l’emergenza sarà finita. I consumatori continueranno a ordinare la
spesa su internet? Il gusto di cucinare permarrà anche quando saranno aperti i
ristoranti? L’attenzione a scegliere alcuni prodotti si consoliderà? Su una cosa i
sondaggi per le ricerche di mercato e i dati forniti dalla grande distribuzione concordano:
c’è durante la pandemia un’attenzione maggiore a ciò che si mette nel carrello, un po’
per questioni economiche, perché il budget di molti si è ridotto, un po’ perché il cibo è
diventato l’unica occasione per gratificarsi.
Secondo i dati forniti da Conad, durante la pandemia la quota di chi ha scelto i prodotti
con offerte speciali è cresciuta dell’11% rispetto all’anno precedente, ma è cresciuta
anche (+12%) la percentuale di vendita dei prodotti a marchio “green”, sia per quanto
riguarda l’attenzione agli imballaggi, sia per quanto riguarda la filiera. Un dato
interessante, sottolineano da Conad, riguarda la linea delle specialità alimentari tipiche
di alcune regioni, costituita da 405 eccellenze alimentari di 19 regioni italiane, le cui
vendite sono aumentate rispetto all’anno precedente del 17%.
Secondo Roberta Bartoletti, docente di sociologia dei consumi all’ Università di
Urbino, “la fiducia nei prodotti tipici è caratteristica del rapporto degli italiani con il cibo,
ma la paura della pandemia ha giocato un ruolo fondamentale: in un momento di
incertezza, la scelta di qualcosa che si conosce, che ricorda anche posti in cui si è stati
bene dà sicurezza”. Un altro motivo per la scelta delle specialità alimentari regionali è
l’impossibilità di spostarsi tra regioni: per studenti e lavoratori fuori sede l’acquisto al
supermercato ha compensato il fatto di non poter tornare dal fine settimana trascorso nel
paese d’origine con i sott’olio della famiglia o i biscotti tipici.
La pandemia spinge l’e-commerce, ma il negozio fisico piace ancora
04 Febbraio 2021

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6 febbraio 2021 - 13:08 > Versione online

Insieme a una scelta accurata del prodotto a marchio c’è stata la propensione
all’acquisto di prodotti confezionati rispetto agli sfusi. I dati forniti da una rilevazione
commissionata da Coop indicano infatti che il 41% degli intervistati ha detto di aver
acquistato più surgelati, il 33% di aver acquistato più carne e pesce confezionati e meno
sfusi e il 32% più pane confezionato. Questi dati sono confermati anche da Conad, che
ha registrato un aumento del 70% degli acquisti di salumi e formaggi a marchio
preconfezionati e una “consistente” diminuzione delle vendite in tutti i banchi salumeria.
Questa tendenza si spiega in gran parte con due esigenze: la prima è quella che Coop
ha chiamato “safe attitude”, cioè la tendenza a ritenere più sicuri da contaminazioni i
prodotti confezionati. C’è stata però, nel primo periodo della pandemia, quando fuori dai
supermercati si formavano lunghe file, anche la necessità di fare in fretta, di non
attardarsi a imbustare la frutta e la verdura o di non rimanere davanti al banco
salumeria.
Comprare online, oppure prendere la frutta nella vaschetta di plastica, non sono stati
comportamenti attuati a cuor leggero, tanto che il 57% dei consumatori è preoccupato
per l’aumento dei rifiuti e l’89% ritiene che bisognerebbe ridurre gli imballaggi del cibo.
La professoressa Bartoletti osserva: “Stiamo ancora studiando i dati, anche perché
ormai la situazione di emergenza si è prolungata, ma con fasi molto diverse. Un aspetto
di cui bisogna tenere conto – dice – è l’offerta del territorio, ciò che si aveva a
disposizione, poiché abbiamo indicazioni che ci sia stata anche una riscoperta dei piccoli
negozi e dei mercati all’aperto”.
Quanto alla permanenza di certi comportamenti, la sociologa conclude: “Bisognerà
capire come finirà la fase di shock: alcune abitudini resteranno se il consumatore ha
scoperto qualcosa, se si è sviluppata una maggiore competenza negli acquisti. Di certo,
in questa fase fare la spesa, scegliere, è stato un momento importante della nostra
quotidianità privata delle forme di routine. Per molti, il momento della spesa ha
rappresentato l’unica possibilità di passare dalla sfera privata a quella pubblica, per
questo è stato spesso vissuto con più consapevolezza e attenzione”.
Fonte: http://www.repubblica.it/rss/cronaca/rss2.0.xml

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