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Dante, la Bibbia, il diritto.

Sulle tracce di Uzzà nel pensiero teologico-giuridico medievale


Author(s): SARA MENZINGER
Source: Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society, No. 133 (2015), pp.
122-146
Published by: The Johns Hopkins University Press
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/26425600
Accessed: 04-01-2021 12:29 UTC

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Dante, la Bibbia, il diritto.
Sulle tracce di Uzza nel pensiero
teologico-giuridico medievale*

SARA MENZINGER

te e Virgilio si ritrovano nella prima delle sette cornici che


Dopo essersi inerpicati
compongono il Purgatorio, doveper
i superbiuna
scontanotortuosa
la propria salita tra le rocce, Dan
alterigia. Un'alta parete di marmo raffigura proverbiali esempi di umiltà
scolpiti con tale maestria, agli occhi del poeta, da superare non Policleto,
ma la Natura stessa al confronto.1 Siamo nelle terzine che descrivono ciô
che Dante stesso definisce "visibile parlare", la celebre espressione con
la quale il poeta assegna un potere comunicativo verbale al messaggio
marmoreo impartito da alcuni esempi di umiltà pietrificati.2Tra le prime
sculture, i poeti vedono rappresentata la storia di Uzzà,3 il quale—stando
alia narrazione biblica—, unitosi al corteo di Israeliti al seguito del carro
che trasportava leTavole della Legge nel viaggio per Gerusalemme voluto
da Davide, allungô una mano per sorreggere il carro inclinatosi a causa
dell'intemperanza dei buoi che lo trainavano: il gesto, anziché guadagnare
ad Uzzà l'approvazione divina, causô la sua morte, fulminato da Dio seduta
stante per l'arroganza e l'irriverenza dimostrata.4
Fuor da componimenti poetici, Dante ricorse nuovamente a questo
exemplum biblico in una delle sue epistole più militanti, per discolparsi
dalle accuse di nemico della Chiesa che da tante parti gli venivano mos
se.5 Nel polemico dialogo che instauré con i Cardinali italiani nel 1314,
Dante li denunciava infatti di aver fatto imboccare alia Chiesa la strada

sbagliata e immaginava di venire da loro additato come un novello Uzzà


che si fosse inopinatamente intromesso negli affari ecclesiastici. Tuttavia,

Vol. 133:122-146 © 2015 Dante Society of America

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affermava, non era a raddrizzar l'Arca che egli puntava, la cui salvaguardia
spettava solo a Dio, bensi a riportare sulla corretta strada i buoi, cioè, nella
sua spiegazione, gli ecclesiastici e in particolare i cardinali, colpevoli di
avere allontanato la Chiesa dalla retta via.6

La popolarità di queste righe, appartenenti a una delle epistole più


note di Dante proprio per l'alta densità politica dei suoi contenuti, Ven
ne amplificata dal figlio Pietro Alighieri, non solo nell'ambito délia sua
attività esegetica dell'opera paterna, ma anche nei propri componimenti
poetici. Negli anni giovanili, infatti, quando Pietro risiedeva a Bologna
per conseguire presso lo Studium una formazione in ius civile, si cimentô
con la composizione di rime dal tono spesso polemico, motivato dal
risentimento per la condanna di cui il trattato paterno délia Monarchia era
stato oggetto.7 Uno degli esempi più eloquenti di taie produzione è rap
presentato dalla canzone Non si pud dir che tu non possi tutto, "plasmata sul
pensiero délia Monarchia e sui risentiti accenti dell'Epistola XI"8 dantesca,
corne attesta l'esplicito richiamo a Uzzà da parte di Pietro,9 in evidente
dialogo con le parole del padre nella lettera ai cardinali.
Colpisce come, a distanza di circa un trentennio dalla morte di Dante,
Yexemplum di Uzzà ricorra in un'altra epistola politica redatta dal célébré
Cola di Rienzo (m. 1354), il quale, ispirandosi largamente a quella dan
tesca,10 compose in Boemia una lettera dai toni decisamente accesi nel
1351." Dopo circa tre anni di allontanamento forzato da Roma, Cola
infatti si rivolse al Cardinale Guido di Boulogne parafrasando tacitamente
Yexemplum di Uzzà, per discolparsi dalle accuse che avevano determinato
il suo esilio e cercare di riabilitare la propria figura.12
Quale messaggio veicolava la storia di Uzzà? Perché in momenti
particolarmente significativi delle loro biografie vi ricorsero autori di
eccezionale statura politica e intellettuale? In quale misura la narrazione
biblica dialogava con convinzioni politiche filoimperiali e ghibelline, che
certamente condivisero questi personaggi?
Per rispondere a tali interrogativi è necessario confrontarsi con le
numerosissime interpretazioni di cui Yexemplum di Uzzà fu oggetto fin
dall'Alto Medioevo, quando nei commentari teologici aile Sacre Scrittu
re cominciô a circolare una complessa spiegazione metaforica del passo.
L'approdo del lungo viaggio compiuto nei secoli da Uzzà è rappresentato
dal Decretum di Graziano (m.intorno alla metà del XII sec.),fondamentale
opera di diritto canonico composta intorno al 1140 e presto assunta a rife
rimento dai canonisti prima di Bologna e poi di tante altre scuole italiane

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ed europee.13 L'interpretazione fornita da Graziano rappresenta uno dei


tanti passi del Decretum che ebbero un successo postumo nel pensiero
politico-giuridico Due e Trecentesco, perché fonte di argomentazioni
autorevoli in sostegno di scottanti questioni ideologiche. Comprendere
l'uso che ne fece Dante contribuisce a spiegare i complessi rapporti che
egli intrattenne con il diritto civile e canonico, fondamentalmente ani
mati dalle sue convinzioni politiche anti-bonifaciane e dalla implacabile
denuncia délia strada fallace che, ai suoi occhi, aveva imboccato la scienza
giuridica canonica a partire soprattutto dalla metà del Duecento.
Attraversando strade tortuose che cercheremo di ricostruire, Yexemplum
di Uzzà, nell'interpretazione grazianea, assurse di fatto a manifesto del
principio di non interferenza tra potere secolare ed ecclesiastico, un prin
cipio che, nei due secoli successivi a Graziano, fia sostenuto da coloro che
maggiormente si opposero alle tesi ierocratiche. In particolare da Dante,
il cui ripetuto ricorso a taie figura biblica possiede un significato politico
che non sembra sinora essere stato oggetto di un'attenzione specifica da
parte délia critica letteraria.

§ L'exemplum di Uzzà nei Moralia in Job di Gregorio Magno

L'incomprensibilità e la spietatezza del giudizio divino nei confronti di


Uzzà non mancarono di colpire la sensibilità dei lettori medievali délia
Bibbia, che furono da subito tormentati da dubbi non solo sul significato
del passo, ma su quali fossero effettivamente gli eventi che si erano veri
ficati: Uzzà era morto perché non doveva toccare l'Arca o perché si era
rifiutato di trasportarla? Non doveva toccarla perché non apparteneva
alla gente di Aaron o perché la notte precedente l'aveva trascorsa con sua
moglie? Era un sacerdote o un laico? Era stato fulminato da Dio sull'o
mero e la spalla perché si era rifiutato di collaborare a trasportare l'Arca
insieme al fratello, ponendola su un carro? Queste ed altre varianti con
cui la punizione di Uzzà venne raccontata nei testi teologici dell'Alto
Medioevo, trassero spunto dalla lettura sincronica di fonti diverse, ed in
particolare dall'associazione dei Paralipomeni ai passi délia Bibbia presenti
nei Libri dei Re.14 Aile varianti testuali si aggiunse la complessità del mes
saggio di un passo in cui il giudizio divino appariva dawero imperscruta
bile. Uzzà aveva compiuto un gesto apparentemente benevolo sostenendo
l'Arca delle Leggi che stava sul punto di rovesciarsi: perché veniva punito
da Dio con la morte? Le risposte si polarizzarono complessivamente su

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due assi, l'uno, di origine più antica, privilégiante il tema délia gerarchia
tra superiori e inferiori, l'altro la coppia semantica intangibilità/contami
nazione. Entrambi vennero declinati perô in modi estremamente variabili,
applicando gli schemi superiore/inferiore e intangibilità/contaminazione
a sfere radicalmente diverse.

La prima interpretazione estesa délia vicenda di Uzzà risale a Grego


rio Magno (m. 604) che, inserendola nei suoi Moralia in Job, contribui a
richiamare grande attenzione su questo passo biblico nei secoli a venire
per l'enorme successo che, come è noto, arrise all'opera di Gregorio
stesso.15 Prima di analizzare nei dettaglio taie interpretazione, sembra
interessante rilevare la presenza di Gregorio nelle medesime terzine del
canto decimo del Purgatorio in cui figura il passo su Uzzà, dove il pontefice
viene da Dante collegato alla leggenda délia salvezza di Traiano, terzo e
ultimo bassorilievo 'letterario'—Uzzà era nei precedente, il secondo—che
conclude la serie di exempla di umiltà con funzione terapeutica, inta
ghati nella parete di marmo délia terrazza dei superbi.16 Considerato il
peso attribuito all'interpretazione gregoriana dai commentari teologici
successivi e l'identificazione operata da Gregorio del peccato di Uzzà
con la presunzione di un soggetto inferiore di volere interferire con una
sfera superiore, la vicinanza tra Uzzà e Gregorio Magno, nelle terzine del
Purgatorio, è suggestiva.
Nei Moralia in Job, Gregorio prendeva le mosse da un tacito presup
posto: se Dio aveva punito con la morte Uzzà, ciô non poteva significare
altro che l'evento sul quale questi era intervenuto non andava modificato,
perché intrinsecamente buono. Il racconto biblico venne pertanto un
po' forzato da Gregorio, dando una valenza positiva a quello che le Sacre
Scritture presentavano invece come un pericolo da scongiurare: l'insta
bilità dell'Arca che aveva rischiato di ribaltarsi per l'andatura irruenta
dei buoi. L'irruenza cominciô ad essere considerata come espressione di
libertà; l'instabilità, come manifestazione di forza e movimento.17 All'ori
gine del peccato di Uzzà vi era dunque il fraintendimento di ciô che per
volontà di Dio stava awenendo, un fraintendimento che scaturiva dalla
frequente incapacità da parte degli inferiori non solo di comprendere, ma
anche di apprezzare azioni o affermazioni compiute da superiori.
Gregorio richiamava cosi l'attenzione su due fondamentali questioni:
la separazione delle sfere coinvolte nella storia di Uzzà e la facoltà di
giudicare l'una sull'altra. L'importanza attribuita alla distinzione tra sfere
irriducibili emerge chiaramente da due espressioni usate nei Moralia in

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Job che saranno destinate ad avere particolare fortuna nei secoli successi
ve l'ascrizione di Uzzà alla categoria dei subditi e l'esemplificazione dei
superiori con i sancti. Le azioni dei santi, proprio perché compiute da
persone eccelse, sono spesso incomprensibili agli uomini semplici, che
non colgono la superiorità degli eventi dei quali sono spettatori. Anzi, li
giudicano erroneamente, e per questo illecito giudizio possono incorrere
nella morte.

La distinzione operata da Gregorio tra subditi e sancti evocava distin


tamente la spartizione tra potere laico ed ecclesiastico che papa Gelasio
(m. 496) aveva formulato circa un secolo prima nell'ambito della sua
teoria dualista.18 Se ciô non sorprende, considerato che il principio di
non interferenza divenne la cornice dei rapporti tra Impero e Papato per
tutto l'Alto Medioevo, sembra tuttavia interessante richiamare il clima
culturale in cui Gregorio si volse alia composizione dei Moralia in Job:
con ogni probabilità, infatti, egli procedette a una stesura embrionale
dell'opera prima di divenire pontefice, più precisamente alia fine degli
anni Settanta del Cinquecento, quando rivesti per circa sei anni la carica
di ambasciatore permanente a Costantinopoli per conto del suo prede
cessore, Pelagio II (m. 590).19 II lungo soggiorno costantinopolitano si
colloca dunque a distanza di circa quindici anni dalla morte di Giustiniano
(m. 565) e a poco più di vend dall'inizio della redazione delle Novellae,20
l'ultima sezione, in ordine cronologico, del Corpus iuris civilis giustinianeo.
Che due pilastri della tradizione giuridica e morale-teologica medievale
siano stati composti non solo nell'arco degli stessi decenni (555-590 ca.),
ma probabilmente nel medesimo luogo (Costantinopoli), è un elemento
che invita a non sottovalutare la circolarità di argomenti presenti in filoni
di pensiero che tendiamo invece ad analizzare separatamente. Basti ricor
dare che la visione gelasiana, che sottende l'interpretazione di Gregorio
del passo di Uzzà, era stata ampiamente accolta nella seconda meta del
VI secolo dalle Novellae giustinianee, che restituivano a chiare lettere il
principio per cui sacerdozio e Impero, dona Dei, non dovessero ostacolarsi
a vicenda, spettando al primo il compito di amministrare la sfera divina,
al secondo di presiedere quella umana.21 Una prospettiva che, proprio per
il tramite delle Novellae, influenzerà tutta la tradizione civilista bassome
dievale e sarà fondamentalmente adottata da Dante nella discussione dei
rapporti tra Chiesa e Impero nella Monarchia.22
Se il testo di Gregorio esercitô una grande influenza sui commenti teo
logici successivi che si confrontarono con il passo di Uzzà, non mancarono

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interpretazioni che imboccarono strade decisamente alternative. Salviano


di Marsiglia (V sec.), per esempio, riprese la vicenda di Uzzà sullo sfondo
dei problemi di integrazione tra Romani e Barbari, al centra notoria
mente délia sua opera De gubernatione Dei. Ciô che lo attraeva délia nar
razione biblica era in questo caso il contrasto tra gravita délia punizione
e statura eminente del peccatore, l'idea cioè che figure illustri andassero
incontro all'irrogazione di pene gravi anche per reati lievi, proprio in
virtù del rango che ricoprivano:23 un principio che ben si accordava alla
retorica svalutazione délia cultura romana in favore di una più semplice
ma autentica natura barbarica, permeante nella sua opera.
Ma la stagione in cui la storia di Uzzà conobbe grande popolarità è
un'altra, nell'ambito di un dibattito che sembrerebbe a prima vista dialo
gare poco con i suoi contenuti: la grande querelle sul culto delle immagini
che tra VIII e IX secolo fu al centra degli incontri e scontri tra la cultura
carolingia e quella bizantina.

§ L'interpretazione di Uzzà sullo sfondo délia lotta iconoclasta tra VIII e


IX secolo

Nell'ambito degli scontri generati dal movimento iconoclasta bizanti


no, che segno profondi dissidi in Oriente e contaminé presto la cultura
altomedievale occidentale, la storia di Uzzà sembrô fungere da catalizza
tore di opposte correnti di pensiero ed essere utilizzata a fini divergenti
tanto dagli iconofili, quanto dagli awersatori delle immagini. Per quanto
distanti dal Trecento dantesco, le opere dei grandi intellettuali carolingi
esercitarono una notevole influenza sulla teologia dei secoli successivi,
nella quale confluirono, almeno in parte, argomenti sviluppatisi proprio in
questa epoca.24 Non sappiamo in che misura Dante avesse familiarità con
le tensioni iconoclaste che girarono attorno all'interpretazione di Uzzà,
nelle quali tra breve ci addentreremo; desta pero interesse l'inclusione di
questa figura proprio nelle sculture del "visibile parlare", di quelle sculture
cioè dotate per il poeta di un preciso potere espressivo iconico, all'interno
di un canto, il X del Purgatorio, fondamentalmente incentrato sul dialogo
tra arte e vita, sul rapporto tra rappresentazione e realtà.
In uno dei suoi scritti più militanti, Giovanni Damasceno (m. 749), il
maggiore autore che in Oriente si schierô contra la politica iconoclasta
degli imperatori di Bisanzio, aveva insistito particolarmente sulla presenza
concreta, non simbolica, di Cristo nell'Eucaristia.25 La presenza corporale

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di Cristo era un argomento che si ricongiungeva alla contrapposizione


tra rappresentazione ed essenza di ciô che veniva raffigurato, ampiamente
affrontato dal Damasceno nella sua opera e al centra del dibattito sul
valore delle immagini. Anima délia reazione iconofila, Giovanni giunse
a sostenere la liceità persino délia raffigurazione di Dio, contrawenendo
a precetti dell'Antico Testamente in materia di irrappresentabilità divina.
Le opere del Damasceno influenzarono il secondo Concilio di Nicea
(787), convocato in reazione a quello svoltosi venticinque anni prima in
periferia di Costantinopoli, a Hiéria (753), proprio per rettificare ciô che
in quest'ultima sede era stato ratificato. Se a Hiéria si era tentato di ren
dere ufficiali, da un punto di vista dottrinario, le idee iconoclaste di Leone
l'Isaurico (m. 741) e del figlio CostantinoV (m. 775), Nicea incarné la
reazione a tale linea, animata dall'imperatrice Irene (m. 803), in cerca di
alleanze occidentali con i pontefici ed i Carolingi. Il secondo Concilio
di Nicea sanci pertanto la legittima presenza nelle chiese di immagini
sacre, la cui venerazione doveva intendersi rivolta a ciô che l'immagine
stessa rappresentava.26 Il pontefice Adriano I (m. 795), che in Nicea vide
la restaurazione dell'ortodossia, ne incoraggiô la veloce traduzione degli
Atti che cominciarono a circolare presto in Occidente in versione latina,
in una traduzione tuttavia pessima e foriera di molti fraintendimenti.27
La legittima presenza di immagini nei luoghi di culto, sancita a Nicea,
apparve infatti sbilanciata verso una adorazione delle immagini stesse che,
per rischi di idolatria, cominciô a preoccupare Carlo Magno, complice
anche il deterioramento dei rapporti politici tra i Carolingi, CostantinoVI
e la madré Irene a Bisanzio.28 Fu in questo clima che vennero composti i
cosiddetti Libri Carolini, un testo che, pur condannando le idee iconocla
ste, prendeva notevoli distanze dalle (presunte) posizioni semi-idolatriche
che sembravano invece essere prevalse a Nicea: una preoccupazione cosi
viva per Carlo da spingerlo contestualmente a convocare un concilio a
Francoforte (794) ispirato proprio dai temi dei Libri Carolini.29
La vicenda di Uzzà venne intensamente commentata nelle opere di
questa epoca, perché l'assimilazione dell'Area al Corpus Domini, da inten
dersi in senso simbolico o concreto, richiamava temi scottanti délia diatri
ba sulle immagini. Il peccato di Uzzà tese cosi a scindersi in due correnti
interpretative diverse: chi guardô con sospetto aile tesi del secondo con
cilio di Nicea che, a causa dell'errata traduzione degli Atti, sembravano
attribuire un peso sproporzionato al culto delle immagini, vide nel gesto
di Uzzà l'errore di colui che, confidando solo in testimonianze concrete,

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aveva interferito con l'imperscrutabile volontà divina, sostenendo l'Arca


che apparentemente sembrava sul punto di rovesciarsi. Uzzà incarnava l'in
comprensione délia onnipresenza divina e la conseguente inclinazione
ad adorare soltanto cio che era manifesto. Questa prima corrente è ben
esemplificata dai Libri Carolini, dove il racconto biblico venne assunto a
monito per chi tributava troppa importanza aile prove visibili dei misteri
délia fede:"a chi poteva essere assimilato Uzzà—che senza confidare nella
guida di sacerdoti e Leviti, voile prestare un sostegno nuovo all'Area—se
non a coloro che, ignari délia dottrina dei Santi Padri, stavano cercando
in diverse parti del mondo di introdurre l'adorazione delle immagini nella
religione cristiana? Colui che presuntuosamente aveva preteso di sostenere
l'Arca era dunque incorso nella morte, perché chi crede che Dio—ovun
que présente e ammirabile—abbia bisogno di qualcosa <di tangibile> in
cui essere adorato e venera Dio stesso nelle testimonianze visibili, rischia
la vita per la resistenza che oppone a vitali ammonimenti."30
A taie linea interpretativa se ne affiancava tuttavia un'altra, che echeg
giava l'importanza attribuita dal Damasceno alla presenza corporale, non
simbolica, di Cristo nell'Eucaristia e dunque, per traslato, in qualsiasi
espressione di ciô che nelle Sacre Scritture fosse assimilato al Corpus
Domini?1 Secondo taie visione, esposta in uno scritto dubbio di Beda
(m. 735),ampiamente accolta dal noto enciclopedista benedettino Raba
no Mauro (m. 856) e ripetuta dal teologo e poeta carolingio Walafrido
Strabone (m. 849), il gesto di Uzzà rappresentava la sacrilega pretesa da
parte di un uomo di accostarsi troppo a Cristo, di cui l'Arca era corporis
figura.32 Il richiamo alla presenza corporale di Cristo ed il problematico
nesso intercorrente tra immagine simbolica e incarnazione contribuisce a
spiegare l'interesse per il passo biblico da parte di un quarto autore attivo
nella stessa epoca, il discusso vescovo Claudio di Torino (m. 823) il quale,
mentre si andava acquietando la discussione sul culto delle immagini in
Francia, riapri vivacemente la questione in Italia, schierandosi con forza
contro l'uso delle raffigurazioni nei luoghi sacri.33
Tutti questi autori definiscono Uzzà sacerdos, una qualifica assente sia
dalle Sacre Scritture, sia dal risalente commento di Gregorio Magno nei
Moralia in Job, in cui veniva piuttosto ricordata l'appartenenza di Uzzà ai
Leviti ma non la fiinzione sacerdotale. L'identità di sacerdos era stata anzi
espressamente negata da Giuseppe Flavio (I sec.) nelle Antichità Giudaiche,
che aveva escluso la possibilità che Uzzà fosse un sacerdote.34 La defini
zione di levita fu invece reputata sinonimo di sacerdote dagli interpreti

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d'epoca carolingia, probabilmente perché, tra le funzioni dei Leviti, la


Bibbia menzionava quella di assistere e collaborare alio svolgimento dei
riti, benché il discorso sulla tribù di Levi fosse in realtà più articolato
nell'Antico Testamento.

Seppure su posizioni ideologiche diverse, tanto l'incerto autore identi


ficato con Beda, tanto Rabano Mauro, quanto il vescovo Claudio, inqua
drano la storia di Uzzà in un contesto più vasto, rendendola esemplifi
cativa dei rapporti tra Ebrei e Cristiani, tra Antico e Nuovo Testamento,
tra Legge e Spirito.35 Il ricorso intenso ail'exemplum di Uzzà diviene cosi
funzionale ad enfatizzare l'importanza del senso delle parole, e non dei
verba in sé, di ciô che le immagini veicolano, anziché délia loro materiale
rappresentazione, dell'interpretazione spirituale piuttosto che letterale
delle Scritture: un approccio che caratterizza in particolare l'opéra di
Rabano, che alla lettura storica del testo biblico uni programmaticamente
la dimensione allegorica. Metaforicamente, affermano tutti e tre questi
autori, l'Arca simboleggia la Chiesa, i buoi coloro che intendono propa
garla: chi vi si oppone sta dunque arrestando lo spirito libero di propaga
zione del Vangelo, cercando di costringerlo nei dettami délia Legge. La
Legge è quella mosaica alla cui osservanza i discendenti di Giudea legava
no la salvezza: Uzzà impersonava questa convinzione, interferendo dunque
con coloro che, seguendo il messaggio del Vangelo, sostenevano invece
che andassero interpretati spiritualmente i precetti su sabati, neomenie,
circoncisione e sacrifici. Il suo gesto di raddrizzare l'Arca fu pertanto con
dannato da Dio perché reputato esemplificativo di una contaminazione
tra legge mosaica e spirito evangelico, e délia volontà di una parte del
popolo di Giudea di correggere gli errantes, coloro cioè che agivano circa
fidem liberandosi délia stretta osservanza dei precetti délia Legge in forza
del messaggio cristiano. Un termine, errantes, che per inciso trasmetteva
il duplice significato di vagare e sbagliare, dell'azione cioè e délia sua
condanna da parte degli Ebrei, i buoi che, vagando in direzione incerta
fuori da un tracciato prestabilito, sbagliavano. Ma i buoi incarnavano il
libero spirito del Vangelo, le oscillazioni dell'Arca la dinamicità, pertanto
Uzzà aveva meritato la sua punizione. La contrapposizione Legge/Spirito
è particolarmente enfatizzata attraverso il richiamo a un passo degli Atti
degli Apostoli in cui si narravano i timori dei seguaci di Paolo che si tro
vava in procinto di salire a Gerusalemme: come avrebbero preso i Giudei
che vi abitavano, zelanti sostenitori délia Legge, la predicazione di chi
invitava apertamente a sottrarsi aile consuetudini? Era consigliabile che

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Paolo si sottoponesse ad alcune di esse, per dimostrare in prima battuta la


sua osservanza délia Legge e mettersi al riparo da tale accusa.36 Di nuovo
è sottolineata l'importanza di una comprensione spirituale del senso dei
precetti mosaici, da interpretare, e non da applicare pedissequamente.

§ Rivalità tra ecclesia e secolo e campagne di moralizzazione ecclesiastical


l'interpretazione di Uzzà tra la fine del IX e l'XI secolo

Come testimoniano i commenti di poco successivi, taie interpretazione


conteneva in nuce un argomento che poteva essere sfruttato a tutt'altro
fine: la contaminazione tra sfera laica ed ecclesiastica. A stimolare questa
trasposizione fu con ogni probabilità la coppia oppositiva Legge/Spirito
che, incrociando quella subditi/sancti cui era ricorso originariamente Gre
gorio Magno, e che era stata ripresa intensamente a partire dalla metà del
IX secolo, ben si prestava ad esemplificare le rivalità tra secolo ed ecclesia.
Nell'ambito delle denunce ecclesiastiche d'epoca tardo-carolingia contro i
crescenti poteri délia feudalità franca, la storia di Uzzà venne presto inqua
drata nella cornice dei conflittuali rapporti tra clero ed aristocrazia laica.
Lupo di Ferrières (m. 862 ca.), che si formé a Fulda sotto il magistero di
Rabano Mauro e divenne un personaggio di spicco del clero carolingio,
fu tra i primi ad inserire le peripezie dell'Arca nel quadro degli attacchi
contro gli oppressors ecclesiae:37 nei canoni del concilio diVer (844) da lui
redatti, Uzzà è sorprendentemente utilizzato per denunciare le azioni dei
laici che si appropriano di terre e luoghi ecclesiastici.38 Benché non sia
detto ancora esplicitamente, la figura di Uzzà cominciava cosi a spogliarsi
delle vesti di sacerdote con le quali finora era stabilmente comparso nei
commentari delTVIII e IX secolo, per giungere ad esemplificare il potere
secolare. Se per Beda e Rabano Mauro il grande peccato del "sacerdote"
Uzzà era consistito nella mancanza di rispetto délia distanza tra l'uomo e
la sfera divina, a partire da Lupo di Ferrières il peccato si identifica invece
con l'illecita azione di un laico che si intromette nella sfera ecclesiastica
senza rispettarne i confini.
Taie interpretazione verrà rafforzata dal grande ispiratore del movi
mento monastico cluniacense Oddone di Cluny (m. 942/3), il quale,
attualizzando nel X secolo le catégorie ideate da Gregorio Magno, con
tribui a trasfigurarne in parte i connotati: coloro che Gregorio aveva
definito sancti, per esemplificare la dialettica tra superiori ed inferiori, si
trasformano, nelle parole di Oddone, in magistri e poi più espressamente

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in praelati. La morte di Uzzà diviene cosi la condanna simbolica di quei


sudditi che sottomettono i prelati—dei quali invece dovrebbero eseguire
gli ordini—e sono pertanto allontanati dai vivi.39 L'accento è posto da
Oddone tutto sull'illecita facoltà da parte dei subditi di giudicare i magistri/
praelati, che solo a Dio devono rendere conto delle loro azioni.
Se l'invadenza del giudizio dei laici costituisce la componente stabile
che da questo momento in poi si lega all'interpretazione di Uzzà,Attone
diVercelli (m. ante 964) e il grande canonista Ivo di Chartres (m. 1116)40
vi aggiunsero presto un altro elemento destinato a durare: la criminaliz
zazione della condotta dei buoi. Per la prima volta, a partire dal X secolo,
l'irruenza dei buoi, interpretata tradizionalmente in termini positivi come
l'andatura libera e incontenibile di coloro che propagavano ilVangelo,
torna—come originariamente nelle Sacre Scritture—a rappresentare la
causa scatenante di un rischio decisamente da scongiurare: il ribaltamento
dell'Arca. Se Uzzà è accusato di temerarietà, ciô che dawero interessa
Attone e Ivo è pero quello che sta awenendo all'Area, vale a dire la Chiesa,
la cui stabilità è compromessa non dal potere laico (che certo non deve
interferire con quello ecclesiastico) ma dalla cattiva condotta dei buoi,
cioè i sacerdoti colpevoli di assumere un comportamento peccaminoso
e reprensibile.41 Se Uzzà, afferma Ivo nel suo Decretum, è stato punito
con la morte per aver provato a raddrizzare l'Arca, quanto maggiore è il
peccato di chi, con la propria condotta, ne ha messo a rischio la stabilità
cercando di farla precipitare?42 Conformemente alla grande campagna
di moralizzazione ecclesiastica di cui, a livelli diversi, sia Attone (come
animatore della cosiddetta 'riforma episcopale' del X secolo) che Ivo (in
seno alla Riforma gregoriana) si fecero interpreti, la storia di Uzzà è in
loro funzionale alla denuncia di quelle che vedono come le vere piaghe
che affliggono la Chiesa, la corruzione e i vizi diffusi nelle gerarchie eccle
siastiche: il peccato di un sacerdote, infatti, non solo è condannabile in sé,
ma stinge anche sul vescovo onorevole che abbia ordinato il sacerdote,
compromettendo la reputazione del vescovo stesso.

§ La separazione dei poteri: l'ingresso di Uzzà nel diritto canonico con


il Decretum Gratiani

Nessuna di queste interpretazioni contrastanti prevalse né si affermé in


forma esclusiva nel XII secolo, come attestano le parole del noto teologo
e cancelliere della scuola cattedrale di Parigi, Pietro Comestore (m. 1179),

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che nella sua Historia Scholastica riassunse in breve i dubbi generati da


tante spiegazioni différend stratificatesi per secoli: secondo alcuni Uzzà
era morto perché, non essendo sacerdote, aveva toccato l'Arca; altri riferi
scono che la punizione era stata la conseguenza del suo rifiuto di portare
l'Arca a spalla, ponendola su un carro; gli Ebrei infine riconducono la
condanna alla impurità di Uzzà, che aveva trascorso la notte precedente
con la moglie.43
La gemmazione del diritto canonico dalla teologia, che si verificô
nel corso del XII secolo, comporté la valorizzazione di aspetti diversi
dell'exemplum biblico da parte dei teologi da un lato, e dei primi canonisti
dall'altro. A Parigi, il teologo Pietro Cantore (m. 1196) sviluppô il tema
dell'impurità di Uzzà combinandolo perô fortemente con elementi inter
pretativi riconducibili aile discussioni teologiche sull'iconoclastia dell'VIII
e IX secolo: se Uzzà era morto per avère toccato l'Arca, rappresentazione
figurale del Corpus Domini, quanto maggiore era il peccato di chi assu
meva il vero corpo di Cristo neU'Eucaristia, senza esserne degno? Se il
peccato di Uzzà si riduceva all'essersi accompagnato la notte precedente
alla moglie, che dire d'amanti d'uomini, concubine e prostitute che non
indugiavano ad assumere il corpo di Cristo?44
I testi di diritto canonico, invece, si concentrarono soprattutto su uno
dei contesti che abbiamo visto a tratti riemergere nel corso del lungo
viaggio compiuto dall' exemplum di Uzzà a partire dal VI secolo, vale a
dire il giudizio. La rielaborazione più articolata è tramandata dal Decretum
di Graziano che inseri la vicenda di Uzzà in un'ottica tutta processuale,
nell'ambito di una quaestio dedicata alla liceità delle diverse tipologie di
accusa e di testimonianza sia dei laici contro i chierici, sia degli inferiori
contre i superiori, all'interno délia gerarchia ecclesiastica. In questa pro
spettiva, la punizione biblica assumeva il seguente significato: nessun laico
puo accusare un uomo religioso né correggere comportamenti sottoposti
solo al giudizio di Dio, intromettendosi in una sfera che certamente non
gli compete. Sull'interpretazione metaforica dei singoli elementi del rac
conto biblico, il Decretum restituisce tuttavia interpretazioni divergenti: se
è pacifica l'idea che l'Arca delle Leggi simboleggi gli uomini di chiesa e il
levita Uzzà i sudditi laici, per alcuni l'inclinazione del carro è espressione
delle colpe dei chierici—come avevano sostenuto Ivo di Chartres e Atto
ne di Vercelli—per altri, l'effetto del peso delle colpe degli uomini che
gravano sulle spalle dei padri e dei dottori délia chiesa; i buoi recalcitranti
sarebbero allora gli uomini che sbagliano, mettendo in pericolo l'Arca

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facendola inclinare.45 L'esposizione di punti di vista divergenti rispecchia


l'impostazione dialettica del Decretum, in cui la prima scienza canonica
tende a definirsi attraverso la costante contrapposizione di contrari: il testo
punta a restituire una discussione (una quaestio appunto) più che a fornire
una soluzione autoritativa certa, valorizzando il dissenso tra posizioni
contrastant!46 Nell'Epistola ai Cardinali, Dante récupéra la prima corrente
di pensiero documentata dal Decretum, criminalizzando il comportamento
del clero ed identificando con esso i buoi.47
Resa esemplificativa dei rapporti tra sacerdozio e mondo laico, l'in
terpretazione fornita dal Decretum délia vicenda di Uzzà, che la vastissima
circolazione dell'opera tese a stabilizzare, giunse definitivamente a sotto
lineare l'esigenza di separazione assoluta tra potere spirituale e temporale.
La sostanziale ripetizione degli equilibri politico-giuridici altomedievali
rese il Decretum un testo in linea con le posizioni familiari ai civilisti
bolognesi ed extra-bolognesi che si andavano contemporaneamente con
frontando in maniera sempre più serrata con i testi del Corpus iuris.™
Tanto più che, in ambienti scientifici diversi da Bologna—dove fino alla
metà del Duecento si tese a guardare con diffidenza aile fonti estranee
al diritto romano, perché percepite come inquinanti del grande lavoro
filologico compiuto sugli antichi testi legali dalla scuola dei glossatori
fondata da Irnerio (m. post 1119) -, lo studio del diritto si svolse all'in
segna di un grande eclettismo e Graziano fa frequentato intensamente
anche da esperti civilisti.49 Questi ultimi apprezzavano in particolare del
Decretum l'idea tardoantica di spartizione delle competenze tra sfera laica
ed ecclesiastica, formalizzata dal pontefice Gelasio alla fine delV secolo.
Il cosiddetto 'dualismo' gelasiano si basava esattamente sulla convinzione
che esistessero duae dignitates, entrambe preordinate da Dio e designate
aU'amministrazione di sfere disgiunte attraverso una paritaria divisione di
compiti in campo soprattutto giurisdizionale: la sfera spirituale, affidata al
Pontefice, e quella secolare di cui rimaneva fondamentalmente responsa
bile l'Imperatore. L'inclusione di taie principio nella sezione delle Novel
laeso del Corpus iuris civilis fece dei testi giustinianei un robusto canale di
divulgazione delle tesi gelasiane nell'Alto Medioevo, considerata anche
la relativa fortuna di cui godettero le volgarizzazioni delle Novellae in
paragone a tante altre parti délia compilazione di Giustiniano che, se non
furono del tutto dimenticate, come accadde al Digesto fino al XII secolo,
andarono tuttavia incontro a drastiche mutilazioni e semplificazioni.51

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L'inquadramento ideologico fornito da Graziano fu condiviso com


plessivamente da tutti quei canonisti che, fino alla pubblicazione del
Liber Extra (1234) di Gregorio IX (m. 1241), posera al centra délia
propria riflessione dottrinaria il Decretum, costruendovi sopra apparati
e commenti che guadagnarono loro appunto il nome di 'decretisti'. La
crescente dimestichezza con lo strumentario romanistico, promossa tra gli
altri da Uguccio da Pisa (m. 1210), uno dei più illustri autori di questa
generazione, sorti l'effetto persino di rafforzare l'influenza degli schemi
gelasiani sul pensiero giuridico ecclesiastico,52 enfatizzando le idee duali
ste53 e giungendo a posizioni che di fatto "did not materially differ from
the civilian standpoint."54

§ L'uso politico di Uzzà nella propaganda di Innocenzo III e la trasfor


mazione del pensiero canonico nel corso del Duecento

Le cose cambiarono radicalmente, sul versante canonico, già dal primo


decennio del Duecento, quando le enfatiche posizioni ierocratiche soste
nute da Alano Anglico e la linea politico-ideologica adottata da Innocenzo
III (m. 1216) nel corso del suo pontificato resero manifesta l'inversione
di rotta che si era consumata nelle collezioni di decretali emesse dai papi
successivi a Graziano (1160-1234 ca.)—collezioni in cui si, avevano pre
valso gli orientamenti teologici ierocratici di marca gregoriana.55 Da un
punto di vista strettamente giuridico, il superamento delle tesi di Gelasio
incoraggio la teorizzazione di complesse sovrapposizioni tra diritto civile
e canonico in risposta alla necessità di coordinamento tra i due sistemi.
All'antica idea di sfere separate si sostitui il paradigma unitario dell'wfrw
mque ius in base al quale il diritto canonico e il civile si rivolgevano ai
medesimi destinatari ma in veste il primo di fideles, il secondo di cives. Una
visione maggiormente efficace che tuttavia, nello sforzo di raggiungere
un'integrazione dell'eredità romana con le leggi cristiane, tese di fatto a
tradursi, con la canonistica délia seconda metà del Duecento, in forme
di invadenza del pensiero spirituale nel campo laico, fino a sfociare nelle
note posizioni estremiste del pontificato di Bonifacio VIII.56 La dilagante
categoria del 'peccato', nella quale vennero progressivamente fagocitate
fattispecie sempre più numerose di reati, fu—stando alle denunce di tanti
civilisti, da Odofredo (m. 1265) a Cino da Pistoia (m. 1336)—il pretesto
sul quale fece leva la giurisdizione ecclesiastica per guadagnare spazio alle
spese di quella secolare.57

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L'awio di questo processo si coglie bene nella célébré metafora degli


astri utilizzata da Innocenzo III, esemplificativa délia posizione che
abbracciô il pensiero canonico aile soglie del XIII secolo, quando a una
visione sostanzialmente orizzontale dei rapporti tra poteri universali, si
sostitui un'immagine fortemente gerarchica, in conseguenza di un'ascesa
delle pretese del mondo spirituale su quello secolare: il grado di subal
ternità dell'Impero rispetto al Papato venne cosi equiparato alla distanza
intercorrente tra la luna e il sole, una distanza che, nel corso del Duecento,
si tenté persino di definire in termini esatti, ricorrendo a dati matematico
astrologici tratti dagli studi sui testi tolemaici.58
A distanza di circa un cinquantennio dalla composizione del Decretum,
l'uso da parte di Innocenzo III délia figura di Uzzà contribui a proiettare il
principio délia separazione dei poteri nell'agone politico sia internaziona
le che, più specificamente, italiano. Scagliandosi contre il rifiuto opposto
da Giovanni Senzaterra (m. 1216) di riconoscere l'arcivescovo di Canter
bury nella persona di Stephan Langton, Innocenzo III chiese infatti nel
1207 di ricordare al re d'Inghilterra la punizione che aveva colpito Uzzà,
che esemplificava il divieto per un sovrano temporale di intromettersi nel
diritto délia Chiesa.59 In termini del tutto analoghi il pontefice si rivolse
a Federico di Svevia l'anno successivo (1208/9), quando Federico compi
uno dei primi atti che anticipé i conflitti che lo avrebbero poi irrimedia
bilmente contrapposto alla politica pontificia nei decenni seguenti. Poiché
Federico non collaborava a risolvere la vacanza dell'arcidiocesi palermi
tana nella direzione auspicata da Roma, Innocenzo gli indirizzô infatti
una lettera minacciosa in cui lo esortava a considerarsi soddisfatto dei suoi

poteri temporali (quae tarnen habes a nobis), ammonendolo di non estende


re le sue pretese al campo spirituale (quae ad nos pertinent), ricordandogli
la triste sorte toccata a Uzzà e ad Ozia.60 La menzione di quest'ultimo,
forse suggerita a Innocenzo dall'assonanza Oza! Ozia, sortiva l'effetto di
raiforzare l'identificazione di Uzzà con il mondo secolare, considerato che
nel secondo libre delle Cronache il re biblico Ozia è riferito regnare con
successo sullo Stato di Giuda, prima di essere punito da Dio con la lebbra
per avere interferito con le funzioni sacerdotali.61
Sia nell'intervento inglese che in quello contre Federico, Innocenzo
omette la qualifica di levita per Uzzà e l'omissione potrebbe essere inten
zionale: nell'antecedente bolla Per venerabilem (1202), infatti, producen
dosi nell'esegesi di un passo del Deuteronomio, il pontefice aveva definito
i Leviti fratres nostri, qui nobis iure Levitico in executione sacerdotalis officii

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coadiutores existunt per alludere al ruolo di coadiutori del papa esercitato


dai cardinali del suo tempo.62 Tale riferimento aile funzioni dei Leviti—e,
per traslato, del collegio cardinalizio—contribui a fare del termine 'levita'
non solo un appellativo strettamente assimilato aile gerarchie ecclesiasti
che, ma veicolante adesso anche un significato nuovo: nella propaganda
ierocratica del tardo Duecento, infatti, la precedenza anagrafica di Levi
(fondatore délia tribù di Levi) rispetto a Giuda (fondatore dello stato
ebraico), rispettivamente designati dal libro délia Genesi (29,34-35) come
terzo e quarto figlio di Giacobbe, fu utilizzata come una delle tante prove
per dimostrare la superiorità délia Chiesa sull'Impero. Nelle lettere del
1207/8, il riferimento da parte di Innocenzo III alla punizione di Uzzà
come monito ai sovrani laici di non interferire con la sfera ecclesiastica

mal si accordava dunque all'identità levita che a partire dalla Per venerabiletn
del 1202 il pontefice aveva teso ad associare ai cardinali. Non fil un caso,
quindi, se nel 1208 Uzzà venne da lui associato al re dello stato di Giuda,
Ozia, per condannare l'azione di Federico di Svevia, futuro imperatore e
a breve strenuo awersatore délia politica pontificia.
Ciô contribuisce a confermare l'importanza seminale dell'uso ideo
logico delle catégorie bibliche da parte di Innocenzo per gli imminenti
scontri tra Chiesa e Impero, tra sostenitori dell'uno e dell'altro partito.
Lo dimostra la confiitazione da parte di Dante di quello che nel terzo
libro délia Monarchia egli classifica come il secondo grande errore délia
propaganda ierocratica nei testi decretalistici, la confiisione cioè tra nascita
ed autorità nella contrapposizione di Levi a Giuda, confusione dovuta
a un errato uso del sillogismo: i due figli di Giacobbe, afferma Dante,
venivano interpretati dai canonisti del suo tempo come i padri l'uno del
sacerdozio, l'altro del potere temporale; partendo dal presupposto che la
Chiesa stava aU'Impero come Levi a Giuda, giungevano perô all'errata
conclusione secondo cui, poiché Levi aveva preceduto Giuda nella nascita,
la Chiesa precedeva l'Impero per autorità.63 Queste righe sono sufficienti
a mostrare la densità di argomenti politici che, a partire da Innocenzo in
poi, evocava l'appellativo 'levita', un'espressione che non solo Innocenzo,
ma Dante stesso evitô di utilizzare quando ricorse a.W exemplurn di Uzzà
nella Epistola ai Cardinali italiani.
L'uso di passi biblici per screditare convinzioni ierocratiche è fré
quente in Dante, che alle tesi più ardite délia scienza canonica oppose
spesso una lettura tecnica, da un punto di vista teologico-giuridico, delle
Scritture.64 La contestazione dell'assegnazione di poteri vicariali al papa

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e délia conseguente facoltà di deporre l'imperatore, espressa in un noto


passo délia Monarchia che poggia sull'interpretazione del ruolo di Samuele
nella deposizione di Saul, costituisce uno degli esempi più eloquenti di
tale tecnica, dove, per inciso, Dante tradisce notevole dimestichezza con
la dottrina giuridica civilista.65

§ L'ideologia del Decretum di Graziano e il suo successo nel pensiero


politico trecentesco

Fu proprio la lettura politica cui poteva prestarsi il racconto biblico a ren


dere attraente agli occhi di Dante la storia di Uzzà. L'uso che egli infatti
compie ddïexemplum nella Lettera ai Cardinali italiani attesta la diretta
conoscenza dell'interpretazione circolante in testi teologici e giuridici del
suo tempo, primo fra tutti il Decretum di Graziano, opera da lui ammirata
al punto da sembrare di volerne promuovere un rilancio agli inizi del
Trecento.66 Le posizioni di Graziano sorprendono ancora oggi per la
scarsa permeabilità al pensiero di Gregorio VII (m. 1085), intensamente
divulgate da testi teologici circolanti già a cavallo dei secoli XI e XII tra
Francia e Italia.67 Le nuove tesi ierocratiche penetrarono poco nell'opera
grazianea che, nel XII secolo, si configura più corne un monumento al
passato che come un avamposto delle innovative teorie canonistiche. La
svolta ideologica che si consumé invece con i decretalisti—cosî definiti
perché specializzati prima sulle Decretales extravagantes raccolte nelle Quin
que compilationes antiquae e poi sul Liber Extra di Gregorio IX—£u epocale:
segnô la fine di quell'equilibrio gelasiano che, nato originariamente per
arginare il cesaropapismo tardoantico, addolcitosi in epoca carolingia per
esprimere il rapporto quasi fusionale tra Chiesa e Impero, e rilanciato ana
cronisticamente nel XII secolo da Graziano e i decretisti, in armonia con
le riscoperte fonti romane civilistiche, aveva a lungo costituito lo schema
di riferimento sulla falsariga del quale si erano organizzati i rapporti tra
Chiesa e Impero fino all'XI secolo e all'awento di Gregorio VII.
Tra il XIII e il XIV secolo, il principio di non interferenza di marca
gelasiana assunse dunque una coloritura politica che prima gli era estra
nea perché, quantomeno in Italia, cominciô ad essere invocato in tutti
quegli ambienti scientifici e politici che si opponevano aile sempre più
ambiziose rivendicazioni provenienti dal versante ecclesiastico. Difficil
mente si comprenderebbe il significato délia posizione conferita da Dante
a Graziano, nella Divina Commedia, se non si tenessero presenti queste

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tensioni sullo sfondo: vi è un filo diretto che collega l'assegnazione al


canonista di un posto in Paradiso con i passi più schiettamente politici
del sedicesimo canto del Purgatorio68 e délia Monarchia nei quali Dante, in
aperta polemica con i decretalisti, si fece sostenitore délia teoria dei due
soli. I soli che splendevano a Roma e che sono rievocati, non a caso, nella
stessa Epistola ai Cardinali in cui Dante si appella alla storia di Uzzà per
discolparsi dall'accusa di nemico délia Chiesa.69
Benché non vi sia dubbio che tali posizioni, ed in particolare il cosid
detto principio di non interferenza, siano confluite in quello che si usa
definire 'ghibellinismo', alimentando un'ideologia politica funzionale a
scontri concreti che, a partire dagli ultimi decenni del Duecento, awe
nivano quotidianamente tra città o famiglie rivali, sembra tuttavia ridut
tivo, allô stato attuale delle conoscenze, risolvere le convinzioni di tanti
intellettuali trecenteschi nello schema binario filo-imperiale/filo-papale.
Guardando agli interscambi tra politica e diritto awenuti nell'ambito di
quella specifica stagione délia storia comunale, risulta evidente l'inade
guatezza di etichette che oggi appaiono piuttosto datate.
La contrapposizione di Graziano ai decretalisti, dell'antica e ammirata
scienza canonica alla nuova, attesta la centralità delle catégorie giuridiche
bassomedievali nel pensiero non solo di Dante, ma di tutto l'universo
politico tardo-comunale. Una manifestazione di quel fenomeno limpida
mente teorizzato da Brian Tierney secondo cui, fino alla traduzione dal
greco al latino délia Politica di Aristotele, awenuta per opera di Guglielmo
di Moerbecke nella seconda metà del Duecento, stentô ad affermarsi un
filone di scrittura prettamente politico nell'Occidente medievale latino.70
Ciô naturalmente non significa che fino al XIV secolo maturo la politica
non fu oggetto di riflessione intensa, ma piuttosto che le idee politiche
bassomedievali tesero a circolare poco in forma autonoma, e a viaggiare
invece a rimorchio di testi dottrinari teologici e giuridici. Una prospettiva,
per inciso, che consente di mettere in secondo piano l'annosa questione
dei possibili studi legali di Dante, la cui familiarità con il diritto rappre
senta piuttosto una componente dell'identità di intellettuale trecentesco.71

NOTES

*Rjngrazio Diego Quaglioni per i preziosi consigli e suggerimenri fornirimi nel corso dell
razione di questo testo.
1. Purg. 10.28-33.

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2. La mera funzione ornamentale dei bassorilievi è stata problematizzata daTeodolinda Barolini,


secondo la quale: "God produced (. . .) the miracle of a visual medium that is endowed with the
verbal medium of speech. (. . .) Dante means to appropriate for the visual sculptures the aural pro
perties of language: they somehow speak, and as a result, they somehow live.": The Undivine Comedy.
Detheologizing Dante (Princeton: Princeton University Press, 1992), 123—24, ma cfr. l'intero capitolo
6 dell'opera ("Re-presenting what God presented: arachnean art of the terrace of pride"), 122-42,
sul ribaltamento della gerarchia tra arte e natura e il rapporte tra Dio artista e realismo dantesco. Più
recentemente, gli exempta marmorei danteschi sono stati messi in relazione da Giorgio Inglese con la
scultura narrativa toscana coeva—per es. i pulpiti di Giovanni Pisano—in cui, come aveva affermato
Sicardo di Cremona nel Mitrale, gli altorilievi sembrano assolvere la funzione di indurre il fedele a
un comportamento virtuoso: Dante Alighieri, Commedia. Purgatorio, Revisione del testo e commento
di Giorgio Inglese (Roma: Carocci editore, 2011), 138—39.
3. Purg. 10.49-57:"Per ch'i' mi mossi col viso, e vedea / ... un'altra storia ne la roccia imposta; /
per ch'io varcaiVirgilio, e fe' mi presso, / acciô che fosse a li occhi miei disposta. / Era intagliato li
nel marmo stesso / lo carro e ' buoi, traendo l'arca Santa, / per che si teme officio non commesso".
4. 2 Sam, 6,4-8.
5. Non siamo lontani, da un punto di vista cronologico, dal completamento della cantica del
Purgatorio a cui appartiene la prima traccia di intéressé per Uzzà precedentemente menzionata; il
Purgatorio venne infatti ultimato da Dante tra il 1314 e il 1315: Giorgio Inglese, Vita di Dante. Una
biografia possibite (Roma: Carocci editore, 2015), 129-31.
6. Forsitan "quis iste, qui Oze repentinum supplicium non formidans, ad arcam, quamvis labantem, se
erigit?" indignanter obiurgabitis. Quippe de ovibus <in> pascuis Iesu Christi minima una sum; quippe nulla
pastorali auctoritate abutens, quoniam divitie mecum non sunt. Non ergo divitiarum, sed "gratia Dei sum id quod
sum", et "zelus domus eius comedit <me>" . . . Nec Oze presumptio, quam obiectandam quis crederet, quasi
temere prorumpentem me infitit sui tabe reatus; quia ille ad arcam, ego ad boves calcitrantes, per abvia distrahentes,

attendo. Ille ad arcam proficiat qui salutiferos oculos ad naviculam fluctuantem aperuit: Dante Alighieri, Opere,
ed. diretta da Marco Santagata, vol. 2 (Milano: Mondadori, 2014), Epistole, a cura di Claudia Villa,
Epist. 11 (Cardinalibus ytalicis . . .), 1480-89, 1482-84. Su questo passo dell'Epistola, cfr. Peter S.
Hawkins, Dante's Testaments. Essays in Scriptural Imagination (Stanford University Press, 1999), 51-52.
7. Cfr. Francesco Mazzoni, "Pietro Alighieri interprete di Dante," Studi danteschi, 40 (1963):
279-360; per la condanna della Monorchia da parte del cardinal legato Bertrando del Poggetto, riferita
da Bartolo da Sassoferrato e da Boccaccio, cfr. Pier Giorgio Ricci,"Monarchia," in Endclopedia Dantesca,
III (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1971), 993-1004; Beniamino Pagnin,"Poggetto, Bertran
do del," in Endclopedia Dantesca, IV (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana,1973), 571-72; Diego
Quaglioni, lntroduzione alia ed. della Monarchia, in Dante Alighieri, Opere, vol. 2, cit., 809-97,809—14.
8. Francesco Mazzoni, "Alighieri, Pietro," in Endclopedia Dantesca, I (Roma: Istituto dell'Enci
clopedia Italiana,1970), 148.
9. Pietro Alighieri, "Non si puö dir che tu non possi tutto," in AA.W, Poesia italiana: il Trecento,
a cura di Piero Cudini (Milano: Garzanti, 1978), 32-33, w. 22-29: "Oza facesti presso da le rote /
morto cader,drizando il carro torto / de l'arca santa al porto, / ché nullo usurpi ufficio altrui collato. /
Poi come ha usurpato / oggi ben vedi il braccio spirituale / l'ufficio altrui e il gladio temporale, / e
come il mondo tutto n'è confuso".

10. Cfr. il commento all'Epist. 11 di Claudia Villa, in Dante Alighieri, Opere, vol. 2, Epistole,
1557-60.

11. Alio stesso periodo risale il commento alia Monarchia attribuito a Cola di Rienzo da Pier
Giorgio Ricci, secondo il quale il testo fu composto in Boemia tra il 1347 e il 1352: Ricci, "Cola
di Rienzo," in Endclopedia Dantesca, II (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970). Per una
dettagliata ricostruzione della biografia e dell'azione politica di Cola: Jean-Claude Maire Vigueur,
"Cola di Rienzo," in Dizionario Biografico degli Italiani 26 (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1982), 662-75.
12. Epistolario di Cola di Rienzo, a cura di Annibale Gabrielli, Fonti per la Storia d'ltalia, 6 (Roma:
Istituto storico italiano, 1890), Epist. 46, 204-18, 206-207: Dicet aliquis forte mihi: "quid tua refert, o
minime avium, qualitercumque area Romanae reipublicae recaldtrantibus deferatur a bobus? Et velis presumptuosa

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Dante, la Bibbia, il diritto menzinger

tu manu illam erigere, quae non nisi forsan suprema dispensatione sic trahitur, et quod dispensatorie agitur,
tenere tu repenses? An putas, ovis una, totum romanum gregem plus suo pastore diligere, plus cognoscere, melius
confovere?" Pater, quippe non puto; sed Romani curam pontificis, quamquam ad romanum ovilem tam debito
quam necessario primo versatur et potior, tarnen confluentibus, aliorum implicatam tumultibus et in illiusmet
informatione delusam, suspicor earn minime attendere posse, minus inspicere et.. . minus curare vulnera palliata.
Nec timere ad erigendum arcam manus erexeram arrogantes, qui diutius ruinam eius certissimam, remedium
contemplatus et causam, executionem iudicii mei primo tentans in Curia, non reprobatam fore speravi, sed per
summum pontificem velut probabilem aaeptatam.
13. Per una sintesi dell'attuale dibattito storiografico sulla composizione del Decretum: Orazio
Condorelli, "Graziano," in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII-XX secolo), I (Bologna: Il
Mulino, 2013), 1058-61.
14. La storia di Uzzà era narrata nel II Libro dei Re (corrispondente al II libro di Samuele
nell'edizione moderna: 2 Sam 6,4-8) e nei Paralipomeni (1 Cr 13,7-11); con significative varianti,
è citata anche da Giuseppe Flavio: Antichità giudaiche, a cura di Luigi Moraldi (Torino: Utet, 2006),
lib. 7,78-83.
15. Sull'influenza dei Moralia in Job nel Medioevo, cfr. René Wasselynck, "Les compilations des
Moralia in Job du VIIe eau XIIe siècle," Recherches en Théologie Ancienne et Médiévale 29 (1962): 5-32,
e Id.,"L'influence de l'exégèse de saint Grégoire le Grand sur les commentaires bibliques médiévaux
(VIIe-XIIe s.)," Recherches en Théologie Ancienne et Médiévale 32 (1965): 157-204.
16. Purg. 10.73-96, su cui cfr. Robert Hollander, Allegory in Dante's Commedia (Princeton, New
Jersey: Princeton University Press, 1969) 297-300;Teodolinda Barolini, The Undivine Comedy, 127-30;
Nancy J. Vickers, "Seeing is Believing: Gregory, Trajan, and Dante's Art," Dante Studies 101 (1983):
67-85.

17. Gregorius Magnus, Moralium Libri sive Expositio in Librum beatiJob, 5.11, § 24 (PL 75.691-2):
Saepe enim, quia intelligi non valent, deterioribus displicent velfacta vel dicta meliorum: sed eo ab eis non temere
reprehendenda sunt quo apprehendi veraciter nequaquam possunt. . . . Saepe multa afortibus dicuntur, quae
infirmi idcirco dijudicant, quia ignorant. Quod bene bobus caltitrantibus inclinata ilia testamenti area signavit,
quam quia casuram credens Levites erigere voluit, mox sententiam mortis accepit (II Reg. VI, 7). Quid est nam
que mens justi, nisi area testamenti? Quae gestata a bobus caldtrantibus inclinatur; quia nonnunquam etiam
qui bene praeest, dum subjectorum populorum confusione concutitur, ad dispensationis condescensionem ex sola
dilectione permovetur. Sed in hoc, quod dispensatorie agitur, inclinatio ipsa fortitudinis, casus putatur imperitis.
Unde et nonnulli subditi contra hanc, manum reprehensionis mittunt, sed a vita protinus ipsa sua temeritate
deficiunt. Levites ergo quasi adjuvans, manum tetendit, sed delinquens vitam perdidit, quia dum infirmi quique
fortium facta corripiunt, ipsi a viventium sorte reprobantur.Aliquando etiam sancti viri quaedam minimis conde
scendentes dicunt, quaedam vero summa contemplantes proferunt; dumque vim vel condescensionis vel altitudinis
nesciunt, audacter haec stulti reprehendunt. . . perdit vitam, qui arcam Dei tumide sublevat, quia nequaquam
quis sanctorum corrigere recta praesumeret, nisi deseprius meliora sensisset. Cfr. anche lib. 25,16 (PL 76.344).
18. Come è noto, Gelasio espose la teoria del dualismo dei poteri nel 494, nella Epistola Gelasii
papae adAnastasium Augustum, édita in Epistolae Romanorum pontificum genuinae..., I, a cura di Andreas
Thiel (Brunsbergae, 1868), 349-58,350-52.
19. Cfr. Sofia Boesch Gajano, "Gregorio I, Santo," in Enciclopedia dei Papi, I (Roma: Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2000), 546-74. L'incarico a Costantinopoli era motivate dalle preoccupa
zioni pontificie nei confronti della crescente pressione militare longobarda in Italia.
20. Che oggi si tende a far risalire al 556 o poco dopo, nella versione greca, tradotta poi in
latino prima della fine del VI secolo. Per un'approfondita ricostruzione del dibattito in merito, cfr.
Luca Loschiavo,"Il codex graecus e le origini del Liber authenticorum" Zeitschrift der Savigny-Stiftung für
Rechtsgeschichte. Romanistische Abteilung 127 (2010): 115-71.
21. Nov. 6,praef, che esamino in seguito. Sull'adesione di Gregorio Magno ai prineipi gelasiani,
cfr. quanto afferma Quaglioni in merito alla discussa attribuzione a Gregorio del Commentario al
I Libro dei Re, dal quale emerge chiaramente "la forza di un manifesto del dualismo fondamentale
tra il sacro e il secolare." Diego Quaglioni, "La «Politeia biblica» nella tradizione gregoriana," in Per
Gabriella. Studi in ricordo di Gabriella Braga, IV, a cura di Marco Palma e Cinzia Vismara (Cassino:
Università degli studi di Cassino, 2013), 1519-39,1528.

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22. Cfr. Anthony K. Cassell, The Monorchia Controversy: An Historical Study with Accompanying
Translations of Dante Alighieri's Monorchia, Guido Vernani's Refutation of the "Monorchia" Composed by
Dante, and Pope John XXIl's Bull Si fratrum (Washington, DC: The Catholic University of America
Press, 2004), 7-8.
23. Salvianus Massiliensis, De Gubernatione Dei, 6.10 (PL 53.119): Quanta autem vitia Romanorum
sint quibus barbarae gentes non coinquinantur, licet hactenus satis dixerim, addam tomen multa quae desunt. . .
Semper enim per dignitatem iniuriam petferentis crescit culpa facientis: quia necesse est quanto maior est persona
eius qui contumeliam patitur, tanto maior sit noxa ejus qui facit. Et hinc est quod legimus in lege (Exod. XXI),
etiam eos qui videntur contra mandatum sacrum levia fecisse, severissime tamen esse punitos. Ut intelligeremus
scilicet nil ad Deum pertinens leve esse ducendum; quia etiam quod videbatur exiguum esse culpa, grande hoc
faciebat Divinitatis iniuria. Denique Oza ille levites Dei quid contra mandatum coelestefecit, quod vacillantem
arcam Domini sustinere tentavit (II Reg. VI)? Nihil enim hinc erat lege praeceptum. Et statim dum sustinebat,
exstinctus est.

24. Cfr., per es., infra, ciô che afferma Pietro Cantore alia fine del XII secolo.
25. Sancti Joannis Damasceni De Fide Orthodoxa 4.13, De sacrosanctis et immaculatis Domini mysteriis,
§ Christi verum corpus, non figura (PG 94.1147-50): nec veris panis et vinum, Christi corporis et sanguinis
figura sunt (absit!), sed ipsum Domini corpus deitate dotatum; cum ipse Dominus dixerit: "Hoc est", non figura
corporis, sed "corpus meurn", neque figura sanguinis, sed "sanguis meus". Sulle sorti del De fide Orthodoxa
in Occidente e la traduzione di Burgundione da Pisa nel 1148-1150, cfr. Joseph De Ghellinck, Le
mouvement théologique du Xlle siècle (Bruges: Editions de Tempel, 1948), 374-85.
26. Cfr. Casimir-Achange Emereau,"Iconoclasme," in Dictionnaire de Théologie Catholique, 1 (Paris:,
Letouzey et Ané, 1921), 575-95.
27. Cfr. Venance Grumel,"Images (Culte des)," in Dictionnaire deThéologie Catholique, 7,766-843,
775-82, e Opus Caroli Regis contra synodum (Libri Carolini), herausgegeben von Ann Freeman unter
Mitwirkung von Paul Meyvaert, Hannover 1998 (MGH Leges: 4, Concilia;T. 2, Suppl. 1), Einleitung,
1-12,1.
28. Cfr. ibid., 3, e l'esteso lavoro di Thomas F.X. Noble, Images, lconoclasm, and the Carolingians
(Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2009).
29. Sulla reazione di papa Adriano I alle esternazioni di Carlo Magno, Emereau, "Iconoclasme,"
7—10; Grumel, "Images," 779—82; Noble, Images, lconoclasm, 254—60.
30. Libera traduzione del seguente passo dei Libri Carolini (o Opus Caroli Regis contra synodum,
ed. cit.), lib. IV, cap. XXI, 541: Quid ergo est arce Testamenti Domini, que a Domini gubernabatur, ne casum
pateretur, manum velle subponere, nisi catholice religioni, que a Domino utique regitur ne inter huius vitae
itinera titubet, imaginum adorationem velle admittere? Aut cui adsimilari potest Oza, qui absque sacerdotum et
conlevitarum consilio quadam pesumptibili cura novum arce Domini voluit sustentaculum prestare, nisi istis, qui
absque sanctorum patrum doctrina et consacerdotum per diversas mundi partes constitutorum consensu arroganti
quadam et superciliosa intentione novam Christiane religioni imaginum adorationem nituntur inserere? Perdidit
igitur vitam, qui arcam Dei tumide sustentare affectavit, quia, qui Deum, qui ubique totus est, ubique mirabilis,
re aliqua indigere, in qua adoretur, credit eumque in rebus visibilibus adorat, cavendum est, ne tunc vitam perdat,
cum eius vitalibus monitis procaci mente resistit. Levites ergo isdem rede Oza dicitur qui robustus inteipretatur;
quia presumptores quique nisi audaci mente robustos se crederent, neququam synodos in quibus adorandarum
imaginum nova constitutio censeretur, agitarent.

31. Si veda il commento latino al passo sull'Eucaristia del De Fide Orthodoxa (4.13), dove i
discorsi di Damasceno sono esemplificati proprio con la storia di Uzzà: Ad haec Oza extendens cum
minori quam parerat reverentia manum, qua ruinam minitantem arcam, ob récalcitrantes qui earn vectabant boves
sustentaret, subitanea morte percussus ante arcam concidit. Erat autem area quaedam umbra duntaxat etfiguram
horum misteriosum, quae in se proportione excellentiam habent maiorem. Siquidem sacratissimum Christi corpus
vera est ilia area, in qua habitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter et in qua omnes thesauri sapientiae et
scientiae sunt absconditi (S. Johannes Damascenus, Theologia quatuor Libris Explicata et adiecto ad litteram
commentario elucidata, Paris: ex officina Henrici Stephani, 1512), 161v.
32. Sacerdos quoque qui arcam inconsiderata temeritate tetigit, ausus sui reatum immatura morte purgavit.
Ubi intueri necesse est quantum delinquat, qui ad corpus Domini reus accesserit, si devotus ille sacerdos morte
muletatur, qui arcam illam, Dominici videlicet corporis figuram (I Cor. XI) minori quam debuit veneratione

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corripuit. Il passo ricorre identico in Auetor incertus (Beda ?), Aliquot quaestionum Liber, q. viii (PL
93.460), e in Rabanus Maurus, Commentaria in libros Regum, 2.6 (PL 109.83), e Id., Commentaria in
Libros II Paralipomenon, 1.13 (PL 109.340). Sull'attribuzione del testo a Beda, cfr. Paul Lehmann,
"Wert und Echtheit einer Beda abgesprochenen Schrift," Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der
Wissenschaften 4 (1919): 3—21; sul significato che assume in esso il passo di Uzzà e sulla consonanza
delle idee di Beda con quelle del Damasceno: Peter Darby, Bede and the End ofTime (Farnham: Ashgate,
2012), 112—14, e cfr. Bede: a Biblical Miscellany, trans, with notes and introduction by William Trent
Foley and Arthur G. Holder (Liverpool: University of Liverpool Press, 1999),162-63.
33. Per un inquadramento della sua figura: Giuseppe Sergi, Claudio, in Dizionario Biografico degli
Italiani 26 (Roma: Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1982), 158-60; per le reazioni sollevate dalle
sue opere: Grumel, "Images", 780-81, che sottolinea la condanna del clero franco delle posizioni di
Claudio da parte, tra l'altro, dell' allievo di Rabano,Walafrido Strabone che, in reazione alle posizioni
iconoclaste del vescovo di Torino, toma a sottolineare la presenza corporale di Cristo nell'Arca:
Notandum quantum delinquat qui corpus Domini indigne accipit, si dévolus sacerdos interiit qui arcam Dominici
figuram corporis minori quam debuit veneratione corripuit (PL 113.651).
34. Antichitàgiudaiche,cit.,7.81, che rappresenta una delle fonti su Uzzà nella teologia medievale
latina, come attesta la diretta citazione (dicit Josephus eum percussum, quia tetigit arcam cum sacerdos non
esset) da parte per esempio di Pietro Comestore neWHistoria Scholastica che cito infra.
35. Le tre versioni sono coincidenti, tanto da rendere difficile stabilire la paternità del seguente
brano, che circolô evidentemente molto nel IX secolo: :. . . congregavit David omnes electos ex Israel
triginta millia, quia Dominus Ecelesiam primitivam ex Israel instituit, non quidem omnem Israel, sed electos
quosque sibi consocians. . . . Erat quidem prius area in domo Aminadab, . . . qui interpretatur pater meus
spontaneus, vel Abraham patrem ftdei, vel Moysen legislatorem significat . . . Elata ergo f oris area ludebat
David, et omnis Israel coram Domino diversis musicorum generibus ... ; ubi sacerdos, qui arcam incautius
quasi corrigendo tetigit, mox a Domino percussus occubuit, quia Judaeorum populus dum gentibus invidet,
salutis se mutiere privat, dum Legem vult Evangelio miscere utriusque sibigratiam tollit. Et tenuit earn, inquit,
quoniam cakitraverant boves (II Reg. VI). Boves quippe calcitrare est, praedicatores Evangelii liberius circa
fidem agere, neque secundum consuetudinem Legis ingredi, sed Sabbata, neomenias, äreumeisionem, victimasque
spiritualiter interpretari. Quos velut errantes corrigere tentabant, qui descendentes de Judaea docebant fratres:
Quia nisi circumtidamini secundum morem Moysi, non potestis salvifieri (Act. XV). Et de quibus Jacobus ad
Paulum: Vides, inquit, frater, quot millia sunt in Judaea, qui crediderunt, et omnes hi aemulatores sunt legis
(Act. XXI): Beda, Aliquot quaestionum liber, q. viii, (PL 93.460-61); Claudius Taurinensis, Quaestiones
super Libros Regum, Hb. II (PL 104.694-95); Rabanus Maurus, Commentaria in libros Regum, 2.6 (PL
109.83-85), e cfr. Id., Commentaria in Libros II Paralipomenon, 1.13 (PL 109.338): Et bene scriptum est,
David dixisse, quod non requisierint earn in diebus Saut, quia permanente Synagogae statu temporibus Veteris
Testamenti, quasi non requisierunt arcam Domini, quia spiritualem sensum, qui latebat in littera, illa populo
ad apertum producere non potuit, sicut sub gratia Novi Testamenti manifestatum est credentibus in Christum;
il testo prosegue su Uzzà ancora fino a col. 341.
36. Act.Ap. 21,17-28.
37. Sul profilo di Lupo nell'ambito del mondo intellettuale carolingio, cfr. Alberto Ricciardi,
L'epistolario di Lupo di Ferrières. Intellettuali, relazioni culturali e politico nell'età di Carlo il Calvo (Spoleto:
Centra italiano di studi sull'alto Medioevo, 2005).
38. Lupus Ferrariensis, Canones Concilii Vernensis, M GH LL Capit. 2,385-86 (PL 119.618): Votum
ergo alterius quomodo quisquam Deo audet auferre haereditatem pauperum qua temeritate praesumit invadere?
Unde alii suas animas redemerunt, cur inde alii suas perdunt? Itaque quaedam loca venerabilia, quod nunquam
antea auditum est, laid ex integro possident, quorumdam partem sibi vindicant, quorumdam praedia multipli
citer divisa in haereditatem sibi dari fecerunt. . . Oza percussus est propterea quod nutantem arcam sublevare
praesumpsit, quam längere nefas erat. Rideat hoc aliquis, nisi, quod summo dolore dieimus, quidam oppressores
Ecclesiae dignum suis moribus exitum nostro etiam tempore invenerunt.. .Et quisquam tarn audax et desperatus
invenitur, qui possessions Dei ad certissimam perniäem suam oaupet et invadat?
39. Odo Cluniacensis, Collationum Libri Très, 1.20 (PL 532-33): Quod enim magistri a subditis
reprehendi non debeant, bette bobus calcitrantibus inclinata illa testamenti, quae redores significat, area figuravit.
Quam quia casuram credens Oza levites erigere noluit, mox sententiam mortis aeeepit, in humero percussus, quo

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ex praecepto legis earn ferre debuerat: quia nimirum dum subditi contra praelatos, quorum imperia ferre debuerant,

manum submissions mittunt, a sorte viventium reprobantur.


40. Per un inquadramento delle loro figure, cfr. rispettivamente, Laurent Chevailler, "Yves de
Chartres," Dictionnaire de droit canonique, 7 (Paris, 1965), 1641-66, e Arsenio Frugoni, "Attone di
VerceUi," Dizionario Biografico degli Italiani 4 (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1962), 567—68.
41. AttonisVercellensis De pressuris ecclesiasticis libellus, pars I, De iudidis episcoporum (PL 134.64):
Multi denique sacerdotum culpam zelo Dei persequi se profitentur, sed dum indiscrete hoc agunt, sacrilegiifacinus
incurrunt, et dum praecipites quasi ad emendandum munt, ipsi quoque deterius multo tnagis cadunt: unde et in
libro Regum de area Domini legitur, quia postquam venerunt ad aream Nachor, extendit manum Oza ad arcam
Domini, et tenuit eam, quoniam cakitrabant boves, et declinaverant eam; et iratus indignatione Dominus contra
Ozam, et percussit eum super temeritatem; qui mortuus est ibijuxta arcam Domini (II Reg. VI, 6). Quid enim
per arcam melius quam saneta Ecclesia designatur? Quid per boves, quam dissidentes sacerdotes? Quid per Ozam,
nisi aliquem temerarium intelligimus?
42. Ivo Carnotensis Decretum, pars II, cap. 116 (PL 161.192): Oza levites arcam Domini, quam por
tare ipse debuerat, quasi ruentem sustentare voluit, et percussus est (II Reg. VI). Quid de te futurum putas, qui
stantem arcam Domini praeeipitare conatus es? Quanto episcopus qui te ordinavitprobabilis est, tanto tu amplius
detestandus, quod talem hominem fefellisti.
43. Petrus Comestor, Historia Scholastica, Hist. lib. II Regum, cap. 9 (PL 198.1330): Dicit Josephus
eum percussum, quia tetigit arcam cum sacerdos non esset. Alii dicunt, quia posuerat arcam super plaustrum, cum
humeris portare debuisset. Hebraei tradunt quod ea nocte dormierat cum uxore sua. Su Pietro Comestore e
più in generale la lettura politica della Bibbia nei commentari teologici del XII secolo, cfr. Philippe
Bue, L'ambiguïté du Livre. Prince, Pouvoir, et Peuple dans les commentaires de la Bible au Moyen Age (Paris:
Beauchesne, 1994), 350-67.
44. Petrus Cantor Verbum abbreviatum, opus moralem, cap. 30 (PL 205.108): Si Oza, quia manum
extendit ad arcam figuraient, ne declinaret bobus recalcitrantibus, a Domino ad mortem percussus est, quanto
magis percuti debeat a Domino, qui indigne veram arcam, scilicet corpus Domini, confiât vel sumit? Ille tamen
ex debito officio, quia de Levi, scilicet genere erat et sacerdos, accessit ad sublevandam arcam, sed indigne. Tradunt
enim Hebraei, quia nocte praecedenti concubuerat cum uxore. Quanto magis autem punientur accedentes ad corpus
Christi, masculorum, concubinarum vel meretricum concubitores?
45. Decr. Grat., C.2 q.7 c.27: Item legitur in libro Regum, quod cum archa Domini reduceretur de Gabaa
in Hierusalem, bubus recaltitrantibus archa inclinata est, cui dum Oza Levites manum adhiberet, ut eam erigeret,

a Domino percussus interiit. Per archam intelliguntur prelati, per Ozam subditi, per inclinationem archae casus
prelatorum intelligitur, per ilium, qui manum adhibuit, intelliguntur reprehendentes uel accusantes vitam doctorum,

qui a Domino percussi intereunt.j. 3. His ita respondetur: Verum est, per archam significari prelatos, et per Ozam
subditos. Illud verofalsum est, quod per inclinationem archae significetur casus prelatorum ... Per archam ergo
inclinatam intelliguntur, qui subditorum culpas misericorditerportant, et eorum infirmitati humiliter conpatiuntur.
Unde bene dicitur, quod bubus recalcitrantibus archa inclinata est. Boues quippe récalcitrantes subditos significant
suis doctoribus non obedientes, quibus dum prelati conpatiuntur, quasi bubus recalcitrantibus archa inclinatur.
Leuita, qui manum adhibuit, significat illos, qui misericordiae compassionem in prelatis suis reprehendunt, eosque
in seueritatis amaritudinem erigere uolunt. Unde bene "Leuita"ille Oza dicitur. . . .
46. Cfr. Diego Quaglioni, "Il nuovo ordinamento della Chiesa: decretisti e decretalisti," in II
Contributo italiano alla storia del Pensiero—Diritto (2012), 59-66. Secondo Claudia Di Fonzo ("Dante
et la tradition juridique romaine et medievale," Chroniques italiennes 23 (2/2012), l'impostazione del
Decretum favorisce una certa inclinazione di Dante verso la conciliatio contrariorum, riscontrabile a più
riprese nella sua opera.
47. Cfr. supra.
48. Cfr. la disamina delle glosse civilistiche alla Novella Quomodo oporteat episcopos presentata da
Filippo Cancelli, "Diritto romano in Dante," in Enciclopedia Dantesca 2 (Roma: Istituto dell'Enciclo
pedia Italiana, 1970), 472-79, tra le quali, per es., la gl. Conferens generi: Ergo apparet quod nec papa in
temporalibus nec imperator in spiritualibus se debet immiscere. Numquid ergo Papa temporalem iurisdictionem
in iis quae sunt Imperii.
49. È il caso, ad esempio, di Giovanni Bassiano e Rolando da Lucca: cfr. Ennio Cortese, "Bas
siano, Giovanni," in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII—XX secolo), I (Roma: Istituto

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dell'Enciclopedia Italiana), 191-93, e Sara Menzinger, "Verso la costruzione di un diritto pubblico


cittadino," in Emanuele Conte/Sara Menzinger, La Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca. Fisco,
politica, scientia iuris (Roma:Viella, 2012), cxxv-ccxviii, cxli-cxlii.
50. Cfr., in particolare, la Novella Quomodo oporteat episcopos (Nov. 6=Auth. coll. 1.6), praef:
Maxima quidem in hominibus sunt dona dei a superna collata dementia sacerdotium et imperium, illud quidem
divinis ministrans, hoc autem humanis praesidens.
51. Luca Loschiavo, "La Riforma gregoriana e la riemersione deU'Authenticum. Un'ipotesi in
cerca di conferma," in Proceedings of the Thirteenth International Congress of Medieval Canon Law, a cura
di Peter Erdö e Szabolcs Anzelm Szuromi (Città delVaticano: Monumenta Iuris Canonici, 2010),
159-70; Id.,"La riscoperta deü'Authenticum e la prima esegesi dei glossatori," in Novellae Constitutiones.
L'ultima legislazione di Giustiniano tra oriente e occidente da Triboniano a Savigny, a cura di Luca Loschiavo,
Giovanna Mancini e CristinaVano (Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2011), 111-39.
52. Cfr. Antonia Fiori, "Uguccio da Pisa", in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (Xll-XX
secolo), II (Bologna: II Mulino, 2013), 1997-99.
53. Per la consonanza tra le idee di Uguccione e le tesi espresse da Dante nel III libro della
Monorchia, cfr. Cassell, Monarchia Controversy, 13-16, benché Richard Kay, nella recensione al volume
di Cassell (The Catholic Historical Review 90.4 (2004): 772-73), metta in dubbio la diretta conoscenza
di Dante dell'opera di Uguccione e veda in Graziano e nei primi decretisti il principale punto di
riferimento per Dante.
54. Walter Ullmann, Medieval Papalism. The Political Theories of the Medieval Canonists (London:
Methuen, 1949), 142.
55. Ovidio Capitani,"Spigolature minime sul III della Monarchia" (1978), confluito in Id., Chiose
minime dantesche (Bologna: Patron, 1983), 57-82,61-64.
56. Cfr. Ennio Cortese, II diritto nella storia medievale, II (Roma: II Cigno, 1995), 197-245.
57. Secondo Odofredo (ad C. 1.1.8), il papa rationepeccati intromittit se de omnibus: Cancelli,"! )intto
romano in Dante"; per Cino: ecclesia sibi usurpavit ratione peccati totam iurisdictionem: Luigi Chiappelli,
Vita e opere giuridiche di Cino da Pistoia (Pistoia: Bracali, 1881), 136.
58. Cfr. Cassell, Monarchia Controversy, 86-91; Diego Quaglioni, "Luminaria, Duo," in Endclopedia
Federidana (Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2005), 320-25. L'espressione duo luminaria magna
venne utilizzata da Innocenzo III nella decretale Solitae destinata all'imperatore di Costantinopoli, che
entra a far parte della Compilatio III (1210) e successivamente del Liber Extra (1234); secondo Othmar
Hageneder il paragone era stato tracciato per la prima volta dal pontefice nel 1198, in una lettera indi
rizzata a un console fiorentino e priore della Lega toscana: Hageneder, "Das Sonne-Mond-Gleichnis
bei Innocenz III.Versuch einer teilweisen Neuinterpretation," Mitteilungen des Instituts für Osterreic
hische Geschichtsforschung 65 (1957): 340—68, ora in Id., H sole e la luna. Papato, impero e regni nella teoria
e nella prassi dei secoli XII e XIII, a cura di Maria Pia Alberzoni (Milano:Vita e Pensiero, 2000), 33-68.
59. Innocentii III Romani Pontihcis. Regestorum sive Epistolarum Uber dedmus,n. 160 (PL 215.1254):
Nobilibus viris universis magnatibus inAnglia constitutes . . . Quodrca nobilitatem vestram monemus attentius et
propensius exhortamur. . . quatenus apud eumdem regem fidelibus persuasionibus et salubribus consiliis insistatis
. . . ac recolens quod Oza pro eo quod in arcam, devote quidem, sed indigne, manus extenderat, a Domino sit
percussus, ad ealesiastica iura manum mittere non praesumat. Per il contesto in cui si inserisce questa lettera,
cfr. Werner Maleczek, "Innocenzo III," in Endclopedia dei Papi, II (Roma: Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2000), 326-50. Per una contestualizzazione del caso inglese nel quadro dei rapporti tra Chiesa
e regni secolari rivendicati in Europa da Innocenzo III, cfr. Cassell, Monarchia Controversy, 9-12.
60. Innocentii III Romani Pontificis, Regestorum sive Epistolarum liber undedmus, n. 208 (PL
215.1523-24): Unde nimirum timemus . . . imitari veils vestigia crudelium tyrannorum . . . cum non tua sorte
contentus, nostram praesumpseris usurpare, iurisdictionem in clericos exercendo. Temporalibus enim debueras esse
contentus, quae tarnen habes a nobis, et non ad spiritualia, quae ad nos pertinent, extendere manus tuas. Nesds
quod cum Oza arcam foederis temere tetigisset, a Domino correptus interiit, et Ozias rex, dum adolere vellet
incensum leprae macula est respersus?
61. 2 Cr. 26,15-23.
62. Cfr. John A. Watt, "Hostiensis on Per venerabilem: the role of the College of Cardinals," in
Authority and Power: Studies on Medieval Law and Government presented to Walter Ullmann on His

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Dante Studies 133,2015

Seventieth Birthday, a cura di Brian Tierney e Peter A. Linehan (Cambridge: Cambridge University
Press, 1980), 99-114.
63. Mon. 3.5, a cura di Quaglioni,1281-82: Assummunt etiam argumentum de lictera Moysi, dicentes
quod de femore Iacob fluxit figura horum duorum regiminum, quia Levi et Iudas: quorum alter fuit pater sacerdotii,

alter vero regiminis temporalis. Deinde sic arguunt ex hiis: sicut se habuit Levi ad ludam, sic se habet Ecclesia ad
Imperium; Levi precessit ludam in nativitate, ut patet in Lictera: ergo Ealesia precedit Imperium in auctoritate.
Sul passo e più in generale su questo discorso, cfr., Cassell, Monarchia Controversy, 93.
64. Per l'uso politico delle argomentazioni bibliche nel Basso Medioevo e "the infiltration of the
biblical-latinised ideas into the vocabulary of the acting governments", cfr. Walter Ullmann, "The
Bible and principles of government in the Middle Ages," in La Bibbia nell'Alto Medioevo (Spoleto:
Centra italiano di studi sull'alto Medioevo, 1963), 181-228.
65. Mon. 3.6, a cura di Quaglioni, 1286-97, con ampio apparato di commento in nota nel quale
è menzionata l'influenza delle idee di Azzone (poi conduite in una glossa di Accursio) sulla distin
zione tra nunzio e vicario: cfr. anche Id., ibidem, Introduzione, 861-65, e Id.,"^4r(e di bene e d'equitade.
Ancora sul senso del diritto in Dante (Monarchia, II v 1)," Studi Danteschi 76 (2011): 27-46,29—33.
66. Per l'importanza conferita da Dante al Decretum di Graziano, cfr. quanto afferma Diego Qua
glioni a proposito del IV trattato del Convivio (Conv: 4.12.9:. . . E che altro intende di medicare l'una e
l'altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare alia cupiditade che, raunatido ricchezze, cresce?
Certo assai lo manifesta e l'una e l'altra Ragione, se Ii loro cominciamenti, dico della loro scrittura, si leggono)
il quale correttamente identifica nel proemio del Decretum il 'cominciamento' del diritto canonico, e
non in quello del Uber Extra come a lungo è stato ripetuto; sulla scorta di questa acquisizione e della
valorizzazione del commento di Pietro Alighieri, Quaglioni ("L'una e l'altra ragione. Note sull'univer
salismo giuridico di Dante", in corso di stampa in: Miscellanea Stickler) récupéra l'interpretazione dei
due fori nel senso di canonico e civile (Par. 10.103-105), in contrasta con l'interpretazione prevalente
a partire da Francesco Brandileone, "Perché Dante colloca in Paradiso il fondatore della scienza del
diritto canonico," Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei 6.2 (1926): 65-149.
67. Cortese, II diritto nella storia medievale, II, 217-19.
68. Purg. 16.103-114:"Ben puoi veder che la mala condotta / è la cagion che'l mondo ha fatto
reo, / e non natura che'n voi sia corrotta. / Soleva Roma, che'l buon mondo feo, / due soli aver, che
l'una e l'altra strada / facean vedere, e del mondo e di Deo. / L'un l'altro ha spento; ed è giunta la
spada / col pasturale, e l'un con l'altro seme / per viva forza mal conven che vada; / perô che giunti,
l'un l'altro non teme: / se non mi credi.pon mente a la spiga, / ch'ogn'erba si conosce perlo seme".
69. Quod ut gloriosa longanimitas foveat et defendat, Romam urbem, nunc utroque lumine destitutam,
nunc Annibali nedum alii miserandam, solam sedentem et viduam prout superius proclamatur, qualis est, pro
modulo vestre ymaginis ante mentales oculos qffigatis oportet: Dante Alighieri, Opere, vol. 2, Epistole, a cura
di Claudia Villa, Epist. 11 (Cardinalibus ytalicis. . .), 1480-89,1486.
70. Brian TierneyRe/içion, Law and the Growth of ConstitutionalThought. 1150-1650 (Cambridge:
Cambridge University Press, 1982), 29-30; Id., The Crisis of Church and State. 1050-1300 (Toronto:
University ofToronto Press, 1988),98-99.
71. In questa interessante prospettiva si colloca il lavoro di Justin Steinberg, Dante and the Limits
of the Law (Chicago: University of Chicago Press, 2013), che si interroga sull'operatività di alcune
macro-categorie giuridiche (reputazione, arbitrio, privilegio, contratto) nel pensiero dantesco.

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