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Il libro

Dopo essere stata liberata dalla tirannia del padre, lord Welton, che la
teneva in pugno per ricattare la sorella, Amelia Benbridge può ripren-
dere a condurre una vita normale. Ma sebbene siano trascorsi sei anni,
il suo cuore appartiene ancora al primo amore, Colin Mitchell, morto
nel tentativo di trarla in salvo. Neppure la lunga amicizia che la lega al
conte di Ware sembra lenire pena e malinconia, né la sua allettante
proposta di matrimonio. Amelia continua a struggersi, finché, a un
ballo mascherato, il misterioso conte Montoya risveglia i suoi sensi
con un bacio, fino a trascinarla in un vortice di passione. E lei non sap-
rà darsi pace, continuando a ignorare chi si cela dietro la maschera
dell’irresistibile ed esotico conte...
L’autore
Sylvia Day, pubblicata anche con lo pseudonimo Livia Dare, è ora una
tranquilla madre di famiglia, scrittrice a tempo pieno che frequenta
parecchi generi ed è tradotta in molte lingue. In precedenza ha però
avuto un’esperienza del tutto particolare: linguista russa per l’intelli-
gence dell’Esercito americano. Di padre americano e madre giap-
ponese, Sylvia è nata a Los Angeles e risiede nel Sud della California,
dove ama seguire tutti gli eventi legati alla cultura nipponica non
meno delle gite a Disneyworld. Da bambina aveva poche aspirazioni
ma chiare: diventare istruttrice di delfini oppure scrittrice di best-
seller. Ora sappiamo come è andata a finire.

Sylvia è felice di ricevere visite al suo sito, all’indirizzo


www.sylviaday.com.
Sylvia
Day

SOLTANTO
PER TE
Traduzione di
Chiara Borello
Ai miei cari amici Shelley Bradley e Annette McCleave. Grazie per
avermi regalato la vostra amicizia, per avermi sostenuta e aiutata
con le vostre idee mentre scrivevo il libro. L’ho apprezzato davvero
molto e i vostri suggerimenti sono stati preziosi.
1

Londra, 1780

L’uomo con la maschera bianca la stava seguendo.

Amelia Benbridge non sapeva dire da quanto tempo sgusciasse furt-


ivamente dietro di lei, ma ormai ne era certa.

Costeggiò con circospezione la sala da ballo dei Langston, prestando


attenzione a ogni suo movimento, simulando interesse alle cose in-
torno soltanto per poterlo studiare meglio.

A ogni occhiata, le toglieva il fiato.

In una tale confusione, qualunque altra donna non avrebbe notato


quell’avido interesse: era fin troppo facile lasciarsi trasportare dai
suoni e dai profumi del ballo in maschera. Tutti quegli abiti sfolgor-
anti, quei tessuti sgargianti e i pizzi spumosi, la moltitudine di voci che
cercavano di farsi udire sopra la musica della solerte orchestra, le
svariate essenze che si mischiavano con l’odore di cera fusa proveni-
ente dai sontuosi candelabri.

Amelia, però, non era come tutte le altre: aveva vissuto sedici anni
sotto scorta, con persone che la controllavano a vista. Era una
sensazione davvero unica essere tenuti d’occhio in quel modo, e lei di
certo non s’ingannava. Tuttavia, poteva affermare con una certa
sicurezza di non essere mai stata esaminata da un uomo così...
irresistibile.

Nonostante la distanza che li separava e la maschera che gli copriva


metà del volto, era davvero affascinante. La sola sua presenza era stata
sufficiente a incuriosirla: era alto e ben proporzionato, indossava abiti
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di ottima fattura che gli stavano a pennello e che mettevano in risalto


le cosce muscolose e le spalle larghe.

Amelia arrivò in un angolo della sala, si voltò per poterlo osservare da


una prospettiva migliore e si sollevò la maschera quel tanto che
bastava per lasciargli intravedere gli occhi, con i nastri colorati che ad-
ornavano il bastone che le ricadevano giù dalla mano guantata. Faceva
finta di osservare le persone che ballavano, ma in realtà guardava lui e
cercava di identificarlo. In fondo, era giusto: se quell’uomo disponeva
di una visuale libera, anche lei doveva poter fare altrettanto.

Era tutto vestito di nero, a eccezione delle calze candide, del foulard,
della camicia e della maschera molto semplice, priva di piume e orna-
menti, assicurata alla testa da un nastro di satin nero. Mentre tutti gli
altri uomini indossavano abiti dai colori vivaci per attirare
l’attenzione, la forte austerità di quell’individuo sembrava pensata per
confondersi tra le ombre e passare inosservato, cosa ovviamente im-
possibile. Sotto la luce di tutte quelle candele, i suoi capelli neri
rilucevano di vitalità e sembravano invitare una donna a passare le
dita tra quelle ciocche.

E poi c’era la sua bocca...

Amelia inspirò a fondo, quando la notò: era davvero peccaminosa.


Scolpita da una mano esperta, le labbra non troppo carnose né troppo
sottili, ma ferme. Sfacciatamente sensuali. Erano incorniciate da una
mascella virile e pronunciata e accentuate dalla carnagione scura.
Forse era un forestiero. Immaginava che dovesse avere un effetto dev-
astante sulla serenità d’animo di una donna, ma non lo trovava intrig-
ante solo per i suoi attributi fisici: c’era qualcosa nei suoi movimenti
felini, in quell’andatura decisa e calibrata, eppure seducente. Non pro-
cedeva a piccoli passi né ostentava quell’aria annoiata tanto
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apprezzata dall’alta società. Quell’uomo sapeva cosa voleva e mancava


della pazienza necessaria per far credere il contrario.

Al momento, sembrava che l’unica cosa che gli interessasse fosse


seguirla. La guardava con una tale intensità che Amelia riusciva a sen-
tire il suo sguardo percorrerle il corpo, passarle tra i capelli per poi
solleticarle la nuca. Lo sentiva scivolare sulle spalle nude e giù lungo la
schiena, carico di bramosia.

Non riusciva a capire che cosa l’avesse attirato tanto in lei. Anche se
sapeva di essere abbastanza carina, in fondo non era più attraente di
molte delle donne presenti quella sera. Il suo abito, benché delizioso,
con le sottogonne di spumeggiante pizzo argentato e i delicati laccetti
rosa e verdi, non era comunque il più appariscente. Inoltre, coloro che
cercavano solo un’avventura in genere non la degnavano nemmeno di
uno sguardo, data la lunga amicizia che la legava al famoso conte di
Ware; molti infatti presumevano che sarebbe diventato il suo futuro
sposo, anche se non nell’immediato.

Allora cosa voleva quell’uomo da lei? Perché non le si avvicinava?

Amelia si girò, abbassò la maschera e lo fissò dritto negli occhi in


modo tale che lui non avesse dubbi sul fatto che lo stesse guardando.
Non gli lasciò alcun dubbio, nella speranza che le sue lunghe gambe si
rimettessero in moto e lo portassero da lei. Voleva conoscere ogni par-
ticolare di lui: il suono della sua voce, il suo profumo; voleva sapere
che effetto faceva avere accanto quel corpo possente.

D’altro canto, però, voleva anche capire quali erano le sue intenzioni.
Amelia aveva trascorso tutta la sua infanzia senza la mamma, spostan-
dosi da un posto all’altro, cambiando governante così sovente da non
poter stabilire alcun legame affettivo con nessuno; era stata separata
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dalla sorella e da chiunque potesse volerle bene. L’interesse di


quell’uomo era un’anomalia a cui bisognava trovare una spiegazione.

Quella muta sfida causò una tensione improvvisa ed evidente in lui,


che sostenne il suo sguardo con gli occhi che brillavano dietro la
maschera. Passò un istante che gli sembrò eterno, ma Amelia quasi
non se ne accorse, tanto era intenta a osservare la sua reazione. Alcuni
ospiti le sfilarono davanti, bloccandole momentaneamente la visuale.
Vide il suo petto gonfiarsi mentre prendeva un profondo respiro, ma
proprio in quel momento qualcuno alle sue spalle la urtò.

— Domando scusa, signorina Benbridge.

Amelia si voltò di scatto per vedere chi l’aveva colpita e si ritrovò dav-
anti un uomo con la parrucca, vestito di satin color pulce. Farfugliò
qualcosa per tranquillizzarlo e abbozzò un sorriso, poi tornò a cercare
con lo sguardo l’uomo misterioso.

Accidenti, era scomparso!

Sbatté le palpebre, incredula. Si alzò in punta di piedi per passare in


rassegna quel mare di gente. Lui era alto, con le spalle larghe, e non
indossava la parrucca: quindi, avrebbe dovuto individuarlo con facil-
ità, e invece non riusciva a vederlo da nessuna parte.

Dov’era finito?

— Amelia.

Quella voce leggermente strascicata le era familiare; gettò una rapida


occhiata distratta al bell’uomo che le si era messo al fianco. — Sì,
milord?
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— Che cosa state cercando? — le chiese il conte di Ware, imitandola e


muovendo il collo quasi allo stesso modo. Chiunque altro sarebbe ap-
parso ridicolo, ma non lui. Era sempre impeccabile, dalla punta dei
capelli fino ai tacchi tempestati di diamanti. — È troppo sperare che
fossi io l’oggetto della vostra ricerca?

Amelia accennò un sorriso imbarazzato e abbandonò la ricerca, pren-


dendolo sottobraccio. — Stavo cercando un fantasma.

— Un fantasma? — Attraverso i fori della maschera dipinta, i suoi oc-


chi blu la canzonavano. Lord Ware aveva solo due espressioni: una di
noia mortale, l’altra di tiepido divertimento. Lei era l’unica a suscitare
in lui quest’ultima. — Si tratta di uno spettro spaventoso o di qualcosa
di più interessante?

— Non saprei. Mi stava venendo dietro.

— Tutti gli uomini vi vengono dietro, mia amata — disse lui, in-
crespando leggermente le labbra. — Quantomeno vi seguono con gli
occhi, se non possono farlo diversamente.

Amelia gli strinse delicatamente il braccio, come a volerlo rimprover-


are. — Non prendetevi gioco di me.

— Niente affatto — la rassicurò lui, sollevando un sopracciglio con aria


arrogante. — Spesso mi sembra che siate persa nei vostri pensieri, che
viviate in un altro mondo. Per un uomo, vedere una donna soddisfatta
di se stessa è estremamente affascinante. Ci fa venire voglia di penet-
rare la sua mente e di entrare in sintonia con lei.

Amelia colse una nota d’intimità nella voce di Ware, così sollevò gli oc-
chi. — Razza di un malandrino...
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Lui scoppiò a ridere sonoramente e tutti si girarono. Anche Amelia si


unì alla risata: il divertimento trasformava il conte dalla personi-
ficazione dell’aristocratico afflitto dalla noia in un uomo incredibil-
mente attraente.

Ware cominciò a passeggiare, allontanandosi insieme a lei. La loro


amicizia durava ormai da sei anni; quando l’aveva conosciuto, Amelia
aveva diciotto anni. L’aveva visto crescere e diventare l’uomo che era
oggi, l’aveva osservato mutare a mano a mano che intratteneva delle
relazioni amorose, anche se perdeva subito interesse per le sue innam-
orate, dato che erano più attratte dalla contea che avrebbe ereditato
dopo il trapasso del padre che da lui. Forse si sarebbe anche accon-
tentato di quelle relazioni superficiali se il destino non li avesse fatti
incontrare. Erano diventati subito grandi amici e ora qualunque rap-
porto meno intenso del loro non gli interessava. Si teneva qualche
amante giusto per soddisfare i propri bisogni fisici, ma per le questioni
emotive ricorreva sempre ad Amelia.

Si sarebbero sposati, lei lo sapeva. Non se l’erano mai detto, ma di


sicuro era così. Ware stava semplicemente aspettando che fosse pronta
per scavalcare i confini dell’amicizia e saltare nel suo letto. Lei lo
stimava molto per la pazienza che dimostrava, ma non era innamorata
di lui. Avrebbe tanto voluto esserlo, ci pensava tutti i giorni. Eppure il
suo cuore apparteneva a un altro e anche se la morte gliel’aveva
portato via, lei continuava a rimanergli fedele.

— Dove siete con la testa? — le domandò Ware, salutando con un


cenno del capo uno degli ospiti.

— Con voi.

— Ah, superbo — sussurrò lui, con gli occhi che gli brillavano di con-
tentezza. — Raccontatemi tutto.
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— Stavo pensando che magari potrebbe piacermi diventare vostra


moglie.

— È una proposta?

— Non saprei.

— Uhm... Be’, ultimamente ci siamo avvicinati parecchio, e questo non


mi dispiace.

— State perdendo la pazienza? — domandò lei, studiandolo


attentamente.

— No, posso aspettare.

Quella risposta le parve vaga, e aggrottò la fronte.

— Non mettetevi in agitazione — la tranquillizzò Ware, conducendola


fuori attraverso la portafinestra che dava su un’affollata terrazza. —
Per ora sono soddisfatto... se lo siete anche voi.

La fresca brezza serale le accarezzò la pelle. Fece un profondo respiro.


— Non siete del tutto sincero.

Si fermò davanti alla grande balaustrata in marmo e lo guardò negli


occhi. Lì accanto c’erano diverse coppie che discorrevano, e tutte
gettavano occhiate curiose verso di loro. Nonostante le nuvole che os-
curavano parzialmente la luna, la giacca e i calzoni color crema di
Ware rilucevano come madreperla, suscitando sguardi di
ammirazione.

— Questo non è il luogo adatto per parlare di qualcosa di tanto lieto


come il nostro futuro — osservò Ware, togliendosi la maschera e
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rivelando un profilo così nobile che sarebbe stato perfetto per una
moneta.

— Sapete che non riuscirete a dissuadermi.

— E voi sapete che questo è proprio il motivo per cui mi piacete molto
— rispose lui, con un sorriso così dolce da farla arrossire. — La mia
vita è programmata nei minimi dettagli. Tutto deve restare ordinato e
al proprio posto. Io so qual è la mia posizione e intendo soddisfare ap-
pieno le aspettative della società.

— A eccezione di una cosa: corteggiare me.

— A eccezione di questo — convenne lui, prendendole la mano


guantata, stringendola tra le sue e sistemandosi in modo tale da non
essere raggiunti da sguardi indiscreti. — Voi siete la mia principessa
che un infame pirata ha salvato dalla torre in cui era imprigionata; la
figlia di un visconte finito sulla forca per tradimento e la sorella di una
femme fatale, una donna che si ritiene abbia assassinato due consorti,
prima di sposarne un terzo troppo pericoloso per essere eliminato. Voi
siete la mia follia, la mia aberrazione, la mia trasgressione. — Fece una
pausa per sfregare il pollice nel palmo della sua mano, facendole
venire i brividi. — Per voi, invece, io rappresento un elemento ben di-
verso nella vostra vita: sono la vostra ancora; voi vi attaccate a me per-
ché vi ispiro sicurezza e tranquillità. — Alzò gli occhi e guardò oltre la
sua testa, verso le altre persone che condividevano quello spazio
all’aperto con loro. Poi riprese, chinandosi per poterle sussurrare le
parole all’orecchio. — Di tanto in tanto mi sovviene il ricordo di quella
fanciulla che con tanta spavalderia mi aveva chiesto un bacio, il suo
primo bacio, e adesso vorrei averle dato una risposta diversa.

— Davvero?

Ware annuì.
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— Sono cambiata così tanto da allora?

Lui si voltò di scatto e la trascinò giù per gli scalini, verso il giardino,
con la maschera che penzolava da una mano. Un sentiero inghiaiato
costeggiava una bassa siepe di tasso, che a sua volta circondava una
rigogliosa aiuola con al centro un’enorme fontana.

— Il tempo ci cambia tutti. Ma credo che la morte del vostro amato


Colin abbia giocato un ruolo decisivo nel vostro cambiamento.

Amelia rimase profondamente turbata udendo quel nome e si sentì as-


salire dalla tristezza e dai rimpianti. Lui era stato il suo più caro amico,
e poi l’amore della sua vita. Era un gitano, nonché nipote del cocch-
iere, ma per lei erano allo stesso livello. Da piccoli erano stati com-
pagni di gioco e poi pian piano avevano scoperto un crescente in-
teresse reciproco, che negli anni era diventato via via meno innocente.

Colin si era trasformato in un giovanotto i cui tratti esotici e la forza di


carattere l’avevano colpita in maniera sorprendente. Il pensiero di lui
dominava le sue giornate, mentre sogni di baci rubati la tormentavano
nel sonno. Colin era stato più saggio e aveva capito subito che la figlia
di un nobile e un povero stalliere non avrebbero mai potuto stare in-
sieme. Così l’aveva allontanata facendo finta di non provare nulla per
lei e le aveva spezzato il cuore, anche se, alla fine, aveva dato la vita per
salvarla.

Il respiro affannoso di Amelia riempiva il silenzio intorno. A volte,


poco prima di addormentarsi, si concedeva di pensare a lui. Apriva il
proprio cuore e lasciava fluire i ricordi: quei baci rubati nel bosco, il
desiderio struggente e la bramosia. Da allora, non aveva più provato
quelle sensazioni e sapeva che non ne sarebbe più stata capace. L’in-
fatuazione giovanile era svanita, mentre l’amore per Colin era cres-
ciuto sempre più e non l’aveva mai abbandonata. Non era un fuoco
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ardente, ma qualcosa di più soave: una sorta di adorazione accentuata


dalla gratitudine per essersi sacrificato per lei. Intrappolata tra gli
scagnozzi del padre e gli agenti della Corona, Amelia sarebbe potuta
morire, se Colin non l’avesse portata via, spinto dall’amore al punto da
azzardare quella mossa sconsiderata che gli era costata la vita.

— State di nuovo pensando a lui — sussurrò Ware.

— Sono così trasparente?

— Come il vetro — rispose lui, le strinse la mano e lei gli rivolse un sor-
riso affettuoso.

— Forse credete che la mia reticenza nasca dall’affetto che ancora


provo per Colin, mentre invece è l’affetto che provo per voi a
trattenermi.

— Ah, sì?

Amelia sapeva di averlo stupito. Si avviarono nuovamente verso la ten-


uta, seguendo il sentiero. Dalle porte aperte giungevano un bagliore
sfolgorante e le meravigliose note di strumenti a corda, invogliando gli
ospiti che passeggiavano all’aperto a unirsi ai festeggiamenti. Alcuni si
dirigevano verso il giardino sul retro, proprio come avevano fatto loro,
ma nessuno si allontanava troppo.

— Sì, milord. Temo di potervi sottrarre al vostro grande amore.

Ware sogghignò. — Come siete buffa — osservò, con un sorriso


sghembo. Era così bello che lei si soffermò un attimo a guardarlo, am-
mirata. — Quando avete quello sguardo sognante mi perdo in rif-
lessioni curiose, ma questo è il massimo dell’interesse che riservo agli
affari di cuore.
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— Non sapete cosa perdete.

— Perdonatemi se posso apparire insensibile, ma se quel che mi perdo


è la malinconia che vi attanaglia, preferisco farne a meno. Su di voi è
attraente e vi conferisce un alone di mistero che trovo irresistibile.
Temo che invece su di me non sortirebbe lo stesso effetto; anzi,
sospetto che sembrerei un povero disgraziato, cosa che non mi posso
permettere.

— Il conte di Ware in disgrazia?

Lui alzò le spalle in gesto di scherno. — Lo so, è quasi impossibile.

— Già, quasi.

— Capite, Amelia? Voi siete perfetta per me. Gioisco della vostra com-
pagnia, della vostra sincerità e della possibilità di poter conversare lib-
eramente di tutto. Non esiste incertezza o paura di un litigio per un
nonnulla. Voi non potete ferirmi e io non posso ferire voi, perché non
associamo le azioni ai sentimenti. Se posso agire senza pensare non lo
faccio perché voglio farvi del male, e voi lo sapete bene. Terrò in es-
trema considerazione il nostro legame finché vivrò.

Ware si fermò un istante quando raggiunsero l’ultimo scalino che li


avrebbe portati di nuovo in terrazza. La loro piccola parentesi di ma-
gica intimità era quasi terminata. Il fatto che Amelia volesse trascor-
rere del tempo da sola con lui era un ulteriore impulso al matrimonio.
L’unica cosa che continuava a negargli era un incontro carnale.

Lei era perseguitata dal ricordo dei baci appassionati scambiati con
Colin, ma al contempo non poteva rischiare di compromettere il suo
rapporto con Ware. Temeva che qualcosa tra loro potesse rompersi. Il
conte era intelligente, affascinante, perfetto. Che aspetto avrebbe
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avuto, tutto paonazzo e scompigliato? Avrebbe gridato di piacere?


Come si sarebbe mosso? Cosa si sarebbe aspettato da lei?

Era l’apprensione a suscitare quelle paure, non certo l’aspettativa.

— E il sesso? — domandò, con un filo di voce.

Ware girò la testa di scatto e si fermò con il piede a mezz’aria: i suoi


profondi occhi azzurri brillavano di divertimento. Poi ridiscese sul
gradino sottostante e la guardò negli occhi. — Cosa intendete dire?

— Non avete paura che sarà... — S’interruppe, mentre tentava di tro-


vare le parole giuste.

— No — rispose il conte. Quella negazione era colma di rassicurazioni.

— No? — ripeté Amelia, incredula.

— Il sesso non desta alcuna preoccupazione in me. Impazienza, sì.


Ansia, no — le spiegò il conte, avvicinandosi e chinandosi su di lei,
mentre la sua voce diventava un sussurro intimo. — Se il motivo è
questo, non abbiate esitazioni. Siamo giovani, possiamo sposarci e as-
pettare, oppure aspettare e poi sposarci. Anche quando avrete l’anello
al dito, non vi chiederò di fare nulla se non lo vorrete. — Fece una
smorfia. — Fra qualche anno, tuttavia, potrei non essere più tanto in-
dulgente. Prima o poi dovrò generare la mia prole, e vi trovo estrema-
mente adatta per questo compito.

Amelia inclinò la testa di lato con aria pensierosa, poi annuì.

— Bene — disse Ware con evidente soddisfazione. — I progressi, per


quanto piccoli, sono pur sempre progressi.

— Forse è ora di fare le pubblicazioni.


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— Accipicchia, questo è un progresso enorme! — esclamò Ware, con


eccessivo brio. — Di questo passo, arriveremo sicuramente da qualche
parte.

Amelia scoppiò a ridere e lui le fece l’occhiolino con uno sguardo


malandrino.

— Vedrete, saremo felici insieme — le promise.

— Lo so.

Ware si aggiustò di nuovo la maschera sul viso; Amelia nel frattempo


si guardò intorno, seguendo la linea della balaustrata in marmo, e notò
una pianta d’edera che si arrampicava su per la parete in mattoni.
Questo percorso visivo la condusse verso un’altra terrazza più in basso
che non era illuminata, probabilmente per dissuadere gli ospiti dall’al-
lontanarsi troppo dalla sala da ballo. Pareva però che quell’escamotage
non avesse funzionato con almeno due persone, o forse non se ne
curavano. In ogni caso, ad Amelia non importava sapere perché si
trovavano lì, ma piuttosto chi erano.

Nonostante il buio, riconobbe il fantasma dalla maschera bianca dal


modo in cui i suoi capelli e i suoi abiti si fondevano con l’ambiente
circostante.

— Milord — sussurrò, allungando una mano alla cieca e afferrando


Ware per un braccio. — Vedete quei gentiluomini laggiù?

— Sì.

— Il gentiluomo con il mantello nero è quello che era tanto interessato


a me poco fa.
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Il conte la guardò con estrema serietà. — Avete fatto luce sulla ques-
tione, ma ora sono davvero preoccupato. Quell’uomo vi ha
importunata?

— No — rispose lei, stringendo le palpebre mentre i due uomini si sep-


aravano e prendevano direzioni opposte: il fantasma si stava al-
lontanando mentre l’altro veniva verso di loro.

— Eppure c’è qualcosa in lui che vi turba — aggiunse Ware, pren-


dendole la mano tesa e sistemandosela sull’avambraccio. — E la sua
presenza qui è davvero curiosa.

— Sì, concordo.

— Nonostante siano ormai passati anni da quando siete stata liberata


dalla prigionia impostavi da vostro padre, ritengo che sia saggio rim-
anere in guardia. Quando si è imparentati con un infame criminale,
qualunque sconosciuto è sospetto. Non possiamo accettare strani per-
sonaggi che vi ronzano intorno. — Ware si avviò rapidamente verso la
sala. — Forse è meglio che rimaniate vicina a me per il resto della
serata.

— Non ho motivo di temerlo — ribatté fiaccamente Amelia. — Credo


che sia stata più la mia reazione ad avermi stupita, piuttosto che il suo
interesse verso di me.

— Avete reagito? — chiese Ware, fermandosi di colpo sulla porta e tir-


andola di lato. — In che senso?

Amelia si posò la maschera sul viso. Come poteva spiegargli che era ri-
masta ammirata dalla sua stazza possente e dalla sua presenza senza
dare molto peso a cosa stava facendo? — M’intrigava. Volevo che si av-
vicinasse per vedere chi era.
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— Devo preoccuparmi se un altro uomo è riuscito a catturare la vostra


immaginazione così in fretta? — chiese il conte con una punta di diver-
timento nella voce.

— No — rispose lei con un sorriso. La serenità che le trasmetteva la


loro amicizia era davvero impagabile. — Proprio come io non mi pre-
occupo quando voi siete interessato ad altre donne.

— Lord Ware!

Si voltarono entrambi verso il gentiluomo che si avvicinava, facilmente


riconoscibile per la statura e la corporatura massiccia: quello era sir
Harold Bingham, un magistrato di Bow Street.

— Sir Harold — lo salutò Ware.

— Buonasera signorina Benbridge — disse il magistrato, rivolgendole


un sorriso gentile. Si diceva che avesse il pugno di ferro, ma era con-
siderato anche equo e saggio.

Ad Amelia piaceva abbastanza.

Ware accostò la bocca al suo orecchio e parlò a bassa voce. — Volete


scusarmi un istante? Vorrei parlare del vostro ammiratore con lui.
Magari riusciamo a scoprire la sua identità.

— Certo, milord.

I due uomini si appartarono in un angolo a poca distanza e Amelia las-


ciò vagare lo sguardo per la sala alla ricerca di qualche volto familiare.
Individuò un gruppo di conoscenti proprio lì accanto e si avviò verso
di loro.

Dopo alcuni passi, si fermò e aggrottò la fronte.


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Doveva assolutamente sapere chi si celava dietro la maschera bianca.


La curiosità la stava divorando e il dubbio continuava a ronzarle in
testa, rendendola irrequieta. Quell’uomo l’aveva guardata con grande
intensità, e lei non riusciva a scacciare il pensiero della sensazione che
aveva provato quando i loro occhi si erano incontrati.

Così, girò sui tacchi e si diresse fuori, scendendo di nuovo la scalinata


fino al giardino sul retro, dove c’erano altri ospiti in cerca di un attimo
di sollievo dalla calca. Invece di prendere il sentiero che aveva per-
corso con Ware o di andare sulla terrazza buia, Amelia svoltò a sinistra
e si ritrovò in uno spazio semicircolare bordato da una siepe di tasso,
al centro del quale campeggiavano una statua di Venere e una panca a
forma di mezzaluna.

Si fermò accanto alla statua ed emise un fischio simile al verso di un


uccello: era il richiamo per gli scagnozzi di suo cognato. Era sorvegli-
ata a vista e temeva che lo sarebbe stata per sempre. Quella era l’inev-
itabile conseguenza dell’essere imparentata con un pirata e un con-
trabbandiere del calibro di Christopher St John.

A volte non sopportava la mancanza di intimità che ciò comportava:


avrebbe tanto voluto poter condurre una vita semplice, ma in alcune
occasioni, come quella sera, era felice di godere di una protezione in-
visibile. Sapere di non essere mai esposta ad alcun pericolo le faceva
vedere il suo fantasma sotto un’altra luce. Inoltre, avere accanto gli
uomini di St John le concedeva anche l’opportunità di ottenere un
aiuto ulteriore per togliersi quella curiosità.

Prese a battere i piedi con impazienza sulla ghiaia mentre aspettava e


così non sentì l’uomo avvicinarsi, ma si accorse della sua presenza per-
ché le si rizzarono i capelli sulla nuca. Si voltò di scatto, trattenendo a
stento un grido di sorpresa.
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Eccolo lì, all’entrata dello spazio semicircolare: era alto e scuro di


carnagione e vibrava di una potenza che sembrava quasi incontenibile.
Sotto la fioca luce lunare, i suoi riccioli neri rilucevano come le piume
di un corvo e i suoi occhi brillavano con la stessa intensità che l’aveva
spinta ad andare a cercarlo. Indossava un mantello lungo fino ai piedi
e la fodera in satin grigio creava un sorprendente contrasto con i suoi
abiti neri, permettendole di apprezzare appieno la sua figura.

— Vi stavo cercando — disse lei in un bisbiglio, sollevando il mento.

— Lo so.

La voce del fantasma era profonda, e aveva uno strano accento.


Doveva essere un forestiero, e questo spiegava anche la sua carnagione
scura.

— Non temete — le disse. — Volevo solo scusarmi per essere stato


scortese.

— Io non ho paura — ribatté Amelia gettando un’occhiata oltre la


spalla, nel punto in cui si erano radunati altri ospiti.

Lui fece un passo indietro e si produsse in un inchino elaborato.

— Questo è tutto quello che avete da dirmi? — gli domandò lei quando
capì che stava per andarsene.

— Che altro dovrei fare?

— Be’, io... — Amelia aggrottò la fronte e distolse un attimo lo sguardo,


mentre tentava di mettere insieme le parole. Era difficile restare lucidi
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con lui così vicino. Se da lontano le era sembrato affascinante, da vi-


cino le toglieva il fiato. Era così tenebroso...

— Non intendo trattenervi — le sussurrò lui in tono rassicurante.

— Siete stato scortese.

— Sì, lo so. Prima vi stavo fissando.

— Me ne sono accorta.

— Vi prego di perdonarmi.

— Non ce n’è bisogno; non mi avete causato alcun turbamento.

Amelia era in attesa che lui facesse qualcosa, e quando lo vide indicare
il giardino sul retro, scosse il capo in segno di diniego e fece una smor-
fia, contrariata dalla sua apparente fretta di sbarazzarsi di lei.

— Io sono Amelia Benbridge.

L’uomo s’irrigidì visibilmente. Dopo un attimo di esitazione, allungò la


gamba e le rivolse nuovamente un inchino. — Molto piacere, signorina
Benbridge. Io sono il conte Reynaldo Montoya.

— Montoya — bisbigliò lei, provando come suonava quel nome nella


propria bocca. — Avete un cognome spagnolo, eppure il vostro accento
è francese.

Lui sollevò il capo e la studiò più attentamente, accarezzando con gli


occhi il suo corpo, dalla sommità dell’elaborata acconciatura fino alle
scarpette da bambina. — Il vostro cognome è inglese, eppure nelle
vostre fattezze c’è un che di straniero — le fece notare a sua volta.
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— Mia madre era spagnola.

— E voi siete incantevole.

Amelia inspirò a fondo, sorpresa di come quel semplice complimento


l’avesse scossa. Sentiva certe frasi tutti i giorni e per lei avevano tanto
valore quanto i commenti sul tempo, ma in bocca a Montoya quelle
parole assumevano una sfumatura più sensuale e profonda.

— Pare che debba di nuovo porgervi le mie scuse — osservò il conte,


con un sorriso. — Permettetemi di accompagnarvi dentro, prima che
mi copra nuovamente di ridicolo.

Lei allungò istintivamente le braccia verso di lui, poi si ricompose e af-


ferrò il manico della maschera con entrambe le mani. — State andando
via?

Lui annuì e la tensione nell’aria si fece ancora più palpabile. Non c’era
motivo di indugiare, eppure Amelia percepiva che entrambi volevano
restare.

Era come se qualcosa li trattenesse.

— Perché? — chiese Amelia dolcemente. — Non mi avete ancora chi-


esto di ballare, non avete ancora flirtato con me e non avete neanche
fatto un accenno casuale a dove andrete in futuro, in modo che pos-
siamo rivederci.

Montoya si avvicinò. — Voi siete troppo sfacciata, signorina Benbridge


— la ammonì in tono burbero.

— E voi siete un codardo.

Lui inspirò a fondo.


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Una leggera brezza le accarezzò le spalle, sollevandole i ricci lunghi ed


elaborati che le ricadevano sulla schiena. Il conte si soffermò un at-
timo sulla sua chioma lucente, per poi spostare lo sguardo sul suo
seno.

— Mi guardate come si guarda un’amante.

— Davvero? — La sua voce si era fatta più bassa, e l’accento era di-
ventato più marcato. Sembrava che volesse sedurla, oppure che si
rivolgesse alla sua amata. Amelia si lasciò avvolgere dal calore di quel
suono: le ricordava la sensazione che si prova in inverno, quando si
rincasa da una fredda giornata e si gusta il tepore del camino acceso.
L’effetto era davvero sconvolgente.

— Voi sapete come si guarda un’amante?

— Io so molte cose. Tuttavia, siccome avete deciso di non approfondire


la nostra conoscenza, non le scoprirete mai.

Lui incrociò le braccia sul petto: nonostante fosse un gesto di sfida,


Amelia sorrise, perché in questo modo le stava manifestando la sua in-
tenzione di rimanere, almeno per un altro po’. — E lord Ware? — le
chiese.

— E allora?

— Voi siete sua promessa sposa a tutti gli effetti.

— È vero — convenne lei, serrando la mascella. — Serbate vecchi ran-


cori nei confronti di lord Ware? — Il conte non rispose e lei prese di
nuovo a battere il piede sul terreno. — Proviamo una strana attrazione
reciproca, conte Montoya; oserei definirla viscerale. Siete molto at-
traente e direi che siete abituato a suscitare l’interesse delle donne. Da
parte mia, posso affermare con assoluta certezza che una cosa simile
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non mi è mai capitata. In genere non vengo corteggiata da uomini così


belli...

— Mi ricordate una persona che conoscevo — la interruppe lui. — Una


donna alla quale tenevo molto.

— Ah. — Amelia non riuscì a nascondere la delusione nell’apprendere


che l’aveva scambiata per un’altra. In realtà non era interessato a lei,
ma a una donna che le somigliava.

Voltandosi, si lasciò cadere sulla piccola panca e prese a sistemarsi le


sottane con aria assente, poi a rigirarsi la maschera tra le dita.

— Ora tocca a me porgervi le mie scuse — disse, inclinando la testa per


incontrare il suo sguardo. — Vi ho messo in una strana posizione e vi
ho indotto a restare, mentre voi desideravate andare via.

Ora che era messa di sbieco, Amelia sperava di riuscire a intravedere il


suo volto oltre la maschera. Nonostante le mancasse quel particolare,
c’era qualcosa che l’attirava in lui: il suono della sua voce, la forma
maliziosa delle sue labbra, l’incrollabile fermezza del suo portamento...
ma forse non era davvero incrollabile. Anche lui pareva turbato dalla
sua presenza, e questo era alquanto insolito per due sconosciuti.

— Forse non era questo che desideravate sentirvi dire — osservò lui,
avvicinandosi ancora un po’.

Amelia abbassò gli occhi e guardò gli stivali e la cappa che gli fluttuava
intorno alle gambe. Vestito così era davvero inquietante, eppure non le
incuteva alcun timore. Fece un gesto noncurante, come a voler chi-
udere un discorso che non sapeva più portare avanti. Il conte aveva ra-
gione: era troppo sfacciata, ma non tanto spudorata da ammettere
apertamente che trovava esaltante il pensiero che nutrisse un qualche
interesse verso di lei.
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— Spero che riuscirete a trovare la donna che state cercando — disse


infine.

— Temo che non sarà possibile.

— E perché?

— L’ho perduta molti anni or sono.

Percependo una nota struggente nelle sue parole, lei tentò di consol-
arlo. — La vostra perdita mi addolora. Anch’io ho perso una persona
cara e so come ci si sente.

Il conte sedette accanto a lei; la panca era piccola ed erano costretti a


stare così vicini che le sottane di Amelia toccavano la sua cappa.
Quella situazione era molto inopportuna, eppure lei non protestò. Al
contrario, inspirò a fondo e scoprì che lui sapeva di sandalo e agrumi.
Era un odore intenso e virile e gli si addiceva.

— Siete troppo giovane per poter condividere il mio dolore — le


sussurrò.

— Voi sottovalutate la morte. Non si fa scrupoli e non guarda in faccia


nessuno, non importa quanti anni abbiano le persone che si porta via.

I fiocchetti che decoravano il manico della maschera danzarono, tras-


portati da un leggero soffio di vento, e si posarono sulla mano del
conte. La vista di quei piccoli scampoli di satin color lavanda, rosa e
azzurro sul nero profondo colpirono l’attenzione di Amelia: chissà
cos’avrebbero pensato i passanti vedendo il voluminoso abito di pizzo
argentato decorato con fiorellini multicolori vicino a quella totale as-
senza di colore.
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— Voi non dovreste stare qui fuori da sola — disse lui, passandosi i
fiocchi tra il pollice e l’indice. Non riusciva a sentirli, attraverso i
guanti, e questo caricava di sensualità quel gesto, come se il desiderio
di accarezzare qualcosa di suo fosse irresistibile.

— Io sono abituata alla solitudine.

— E vi piace?

— È una cosa familiare.

— Questa non è una risposta.

Amelia lo osservò e notò tutta una serie di piccoli particolari visibili


solo da molto vicino: le ciglia lunghe e folte incorniciavano due occhi
dal taglio a mandorla bellissimi ed esotici, che celavano uno sguardo
carico di ombre.

— Com’era la donna per la quale mi avete scambiata? — gli domandò a


un tratto.

Montoya abbozzò un sorriso, e sul suo volto comparvero per un attimo


due fossette. — Vi ho fatto prima io una domanda — disse in tutta
risposta.

Lei emise un profondo sospiro soltanto per poter rimirare ancora un


po’ l’increspatura bellissima delle sue labbra. Amelia non capiva per-
ché non si abbandonasse mai a un sorriso aperto, e si domandava al
contempo come fare per strappargliene uno. — Molto bene, conte. In
risposta alla vostra domanda, ebbene sì, mi piace stare da sola.

— Molte persone trovano insopportabile la solitudine.

— Perché non hanno immaginazione. Io, invece, ne ho fin troppa.


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— Ah, sì? — L’uomo si sporse verso di lei. Quella posa fece tendere i
calzoni sui muscoli possenti delle sue cosce. La cappa di satin creava
un forte contrasto, permettendole di cogliere ogni sfumatura. — E su
cosa fantasticate?

Amelia deglutì a fatica, rendendosi conto che non riusciva a staccargli


gli occhi di dosso. Il suo interesse verso di lui era più che mai carnale.

— Uhm... — Amelia alzò gli occhi al cielo, confusa dalla direzione dei
propri pensieri. — Invento delle storie. Favole e cose simili.

Non ne aveva la certezza, dato che la mezza maschera gli copriva parte
del volto, ma ebbe l’impressione che avesse sollevato un sopracciglio.
— E le scrivete anche?

— A volte.

— E poi cosa ne fate?

— Mi avete fatto fin troppe domande e non avete ancora risposto


all’unico quesito che vi ho posto io.

Gli occhi scuri di Montoya brillarono di divertimento. — Stiamo ten-


endo il conto?

— Voi sì — lo accusò lei. — Io mi sto semplicemente attenendo alle


vostre regole.

“Eccola! Una fossetta!”

— Lei era molto audace — mormorò lui. — Proprio come voi.

Amelia arrossì e distolse lo sguardo, già follemente innamorata di quel


piccolo solco sulla sua guancia. — E questo vi piaceva?
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— Lo adoravo.

Lei fu percorsa da un brivido a sentire il tono d’intimità nella sua voce;


poi lui si alzò e allungò una mano. — Voi avete freddo, signorina Ben-
bridge. Dovreste tornare dentro.

— Verrete anche voi? — domandò Amelia, guardandolo dritto negli


occhi.

Il conte scosse il capo.

Lei allungò il braccio e appoggiò le dita nel suo palmo affinché l’aiu-
tasse ad alzarsi. La sua mano era grande e calda, la sua presa forte e
sicura. Lei esitò un attimo prima di lasciarla andare e fu felice di per-
cepire che lui condivideva la stessa emozione. Rimasero fermi per
qualche secondo, in contatto; il solo rumore che riempiva l’aria era
quello dei loro respiri, finché non giunsero alle loro orecchie le am-
malianti note di un minuetto.

Montoya strinse la presa e sussultò. Amelia sapeva che i loro pensieri


viaggiavano nella stessa direzione, così, portandosi la maschera al
volto, si produsse in una profonda riverenza.

— Un ballo — disse quando vide che non si muoveva. — Danzate con


me come se fossi la donna che avete perso.

— No. — Il conte esitò giusto lo spazio di un battito del cuore, poi si


sporse in avanti per farle il baciamano. — Preferisco ballare con voi.

Amelia rimase toccata da quella risposta e le parole le morirono in


gola, improvvisamente prosciugate da quel gesto. Ebbe soltanto la
forza di alzarsi e cominciare a muovere i piedi, avvicinandosi e al-
lontanandosi da lui, facendo delle piccole giravolte e poi girandogli at-
torno. La ghiaia scricchiolava e quasi copriva la musica, ma Amelia la
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conosceva a memoria e si mise a canticchiarla a bocca chiusa. Presto


lui la imitò, la sua voce profonda era un perfetto accompagnamento,
tanto da rendere la melodia quasi magica.

Le nuvole si aprirono e un brillante raggio di luna illuminò il loro pic-


colo universo, colorando la siepe di una tonalità argentea e facendo as-
sumere una sfumatura madreperlacea alla maschera del conte. Il
fiocco di satin nero che gli teneva legati i capelli si confondeva tra i ric-
cioli scuri, talmente erano simili in colore e luminosità. Le sottane
frusciarono contro la cappa fluttuante e l’odore di colonia si mescolò al
suo profumo, mentre si lasciavano trasportare da quel meraviglioso
momento. Amelia era come prigioniera di quell’incanto, e sperò che
non finisse mai.

Poi, l’inconfondibile verso di un uccello ruppe quel bozzolo di intimità:


quelli erano gli uomini di St John che lanciavano un segnale di
avvertimento.

Amelia inciampò, ma il conte riuscì ad afferrarla. Lei abbassò un brac-


cio, trascinando giù anche la maschera, e sentì l’alito caldo e profu-
mato di brandy dell’uomo accarezzarle le labbra. La differenza di
statura faceva sì che i suoi seni gli arrivassero al ventre; se voleva ba-
ciarla doveva piegarsi in avanti, e lei si ritrovò a desiderare che lo fa-
cesse, ansiosa di provare l’esperienza di incontrare quella bocca
perfetta.

— Lord Ware vi starà cercando — le sussurrò Montoya, senza toglierle


gli occhi di dosso.

Lei annuì senza fare alcuno sforzo per divincolarsi, guardandolo a sua
volta negli occhi. Osservava e aspettava.

Proprio quando ormai era quasi certa che non l’avrebbe baciata, Mon-
toya accolse quel muto invito e sfregò le labbra contro le sue. Poi, le
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loro bocche si incollarono, lui emise un gemito e Amelia si lasciò sfug-


gire di mano la maschera, che cadde a terra tintinnando.

— Arrivederci — disse lui prima di scappare via in un turbinio di seta


nera, sparendo oltre la siepe e confondendosi tra le ombre. Sbalordita
da quell’improvvisa uscita di scena, Amelia girò lentamente la testa
verso il giardino e vide Ware avvicinarsi a rapide falcate, seguito da al-
cuni gentiluomini.

— Che cosa state facendo qui fuori? — le domandò in tono brusco, pas-
sando in rassegna con apprensione lo spazio circostante. — Mi stavo
dannando a cercarvi.

— Mi dispiace — fu tutto ciò che riuscì a dire lei. I suoi pensieri ormai
erano tutti rivolti a Montoya, che aveva chiaramente riconosciuto quel
fischio di avvertimento.

Per un attimo era stato reale, ora invece era sfuggente, proprio come il
fantasma a cui lei l’aveva associato. E molto sospetto.

— Potreste spiegarmi cos’è successo l’altra notte, se non vi arreca


troppo disturbo?

Dentro di sé Amelia si struggeva, ma non lo diede a vedere e si


produsse in un radioso sorriso. — Spiegarvi cosa?

Christopher St John, pirata, assassino e contrabbandiere famoso, con-


traccambiò il sorriso, mentre i suoi occhi blu come zaffiri la scrutavano
con uno sguardo tagliente. — Sapete molto bene a cosa mi riferisco —
rispose, scuotendo il capo. — A volte somigliate così tanto a vostra
sorella che la cosa risulta allarmante.
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Ciò che era allarmante era quanto fosse bello St John: sembrava una
divinità, mentre la sua mente era diabolica. Nonostante vivesse a casa
sua, Amelia non si era ancora abituata alla sua avvenenza.

— Oh, che cosa carina da dire! — gridò, convinta di ogni singola pa-
rola. — Grazie molte.

— Civetta. Ora smettetela.

Chiunque altro avrebbe avuto difficoltà a estorcerle informazioni che


non desiderava condividere, ma il pirata sapeva essere persuasivo.
Con i capelli e la pelle dorata, quelle labbra sottili e sensuali e quegli
occhi brillanti, pareva un angelo. Di certo solo un essere celestiale po-
teva possedere forme così perfette.

Gli unici segni del fatto che fosse mortale erano le rughe che gli con-
tornavano la bocca e gli occhi, frutto evidente di una vita piena di pre-
occupazioni. Da quando aveva sposato sua sorella si erano un po’ spi-
anate, ma non sarebbero mai sparite del tutto.

— Ho notato uno strano interesse da parte di un uomo. Lui se n’è ac-


corto e si è avvicinato per darmi delle spiegazioni.

Christopher si appoggiò contro lo schienale della sedia e storse le lab-


bra. Dietro di lui c’era un’ampia finestra che dava sul cortile sul retro,
se così si poteva definire. In effetti, l’erba era stata rasata in modo da
impedire a chiunque di avvicinarsi di soppiatto alla casa. Quando si
avevano tanti nemici non si poteva mai abbassare la guardia, special-
mente per frivole ragioni estetiche.

— Che spiegazione vi ha dato?

— Dice che gli ricordo un perduto amore.


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Lui fece un verso di disappunto. — Un trucchetto intelligente e senti-


mentale che ha quasi messo in imbarazzo Ware e che per poco non ha
causato un terribile scandalo. Non riesco a credere che ci siate cascata.

Amelia arrossì, sentendosi nuovamente colpevole, ma riuscì


comunque a ribattere. — Era sincero! — Non riusciva a credere che
qualcuno potesse fingere così bene di essere triste. Si rendeva conto
che qualcosa non tornava, ma credeva alla risposta emotiva che aveva
avuto vedendolo.

— I miei uomini l’hanno seguito, l’altra sera.

Amelia annuì, in attesa. — E...

— L’hanno perso.

— Com’è possibile?

Christopher sorrise di fronte al suo stupore. — È possibile, se si è cons-


apevoli di essere seguiti e si è stati addestrati a svanire nell’ombra.
Quell’uomo non è del tutto immacolato, Amelia.

Lei si alzò, con la fronte aggrottata, e Christopher fu costretto a fare al-


trettanto. Si voltò per osservare il resto della stanza, persa nei suoi
pensieri. L’apparenza poteva ingannare, certo: quella stanza e il crim-
inale al quale apparteneva ne erano un esempio perfetto. Tinteggiato
in varie sfumature di rosso, crema e oro, lo studio poteva essere di
proprietà di un pari, come d’altronde tutto il resto della dimora. Nulla
tradiva la sua vera natura, ovvero quella di quartier generale di un
grande giro di contrabbando.

— E allora cosa voleva da me? — domandò; aveva impressi in modo


nitido nella memoria gli eventi della sera precedente. Riusciva a sen-
tire il profumo esotico della pelle dell’uomo e quello strano accento
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che l’aveva messa in subbuglio. Le sue labbra erano ancora solleticate


dall’incontro con quelle di lui, proprio come i seni al ricordo del suo
petto muscoloso.

— Qualunque cosa: poteva essere un avvertimento nei miei confronti,


o forse peggio.

— Sarebbe a dire?

— Sarebbe a dire quello di sedurvi e rovinarvi agli occhi di Ware. Op-


pure portarvi via e poi usarvi per ricattarmi.

Il verbo “sedurre” usato in abbinamento al misterioso conte mascher-


ato le faceva uno strano effetto: avrebbe dovuto spaventarla, invece
era tutto l’opposto.

— Sapete bene quanto me che il vostro incontro con Ware è stato una
vera benedizione: non solo vi ha liberata dalla prigionia di vostro
padre, ma ha anche ignorato il vostro passato scandaloso e i vostri
legami familiari. — Il pirata tamburellava le dita sulla scrivania così pi-
ano da non far quasi rumore. — I vostri figli godranno di ogni vantag-
gio e il primogenito maschio un giorno diventerà conte. Qualsiasi cosa
possa mettere a repentaglio il vostro futuro è fonte di preoccupazione
per me.

Amelia annuì e distolse nuovamente lo sguardo, sperando di riuscire a


nascondere come si sentiva, sapendo che la sua relazione con Ware era
ridotta a un puro beneficio materiale. Era consapevole che la loro uni-
one avrebbe rappresentato un enorme vantaggio per lei. Tuttavia, es-
sendo sua amica, desiderava solo il meglio per lui, e sapeva di non
esserlo.

— Cosa volete che faccia?


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— Non andate in giro da sola. Se si fa di nuovo vivo, non consentitegli


di avvicinarsi troppo. — I tratti del suo volto si fecero meno severi.
Quel giorno indossava un completo blu, un colore che s’intonava bene
con la pelle abbronzata e con il panciotto finemente ricamato che gli
fasciava il torace. — Non intendo punirvi, voglio solo assicurarmi che
non corriate rischi.

— Lo so. — Amelia aveva trascorso tutta la vita in una prigione dorata


e ora si sentiva lacerata tra il senso di sicurezza che il suo passato le
dava e l’insofferenza per tutte quelle restrizioni. Cercava di mantenere
un certo contegno, di seguire le regole, ma a volte era difficile con-
formarsi. Sospettava che questo fosse dovuto al sangue che le scorreva
nelle vene; se avesse potuto, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe
cambiato di sé. — Posso prendere congedo? Tra poco Ware sarà qui
per una cavalcata nel parco e mi devo ancora cambiare.

— Certo. Divertitevi.

Christopher osservò Amelia mentre lasciava la stanza, poi ritornò al


suo posto, per alzarsi un istante dopo quando la moglie fece il suo in-
gresso in una profusione di sottane rosa antico. Come sempre, al solo
vederla il suo cuore prese a battere più forte, in un misto di attrazione
e gioia allo stato puro.

— Sei meravigliosa, oggi — le disse, facendo il giro intorno alla


scrivania per abbracciarla.

Come aveva fatto sin dalla prima volta che si erano incontrati, Maria si
abbandonò contro di lui con quel corpo lussureggiante e caldo che lui
adorava. — Lo dici tutti i giorni — sussurrò, ma il suo sorriso era carico
di soddisfazione.

— Perché continua a essere così — mormorò lui, le appoggiò le mani


sulla schiena e la strinse ancora di più: nonostante la differenza di
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statura, erano fatti l’uno per l’altra, come due tasselli di un puzzle che
si incastrano alla perfezione.

Maria aveva gli stessi capelli lucidi e corvini della sorella, ma questa
era l’unica cosa che le accomunava. Amelia aveva preso dal padre, il
defunto visconte Welton, gli occhi verdi e un fisico slanciato e asciutto.
Maria, che grazie Dio era figlia di un altro uomo, somigliava alla
madre spagnola: aveva gli occhi scuri ed era bassa e formosa.

Maria e Christopher erano una coppia sorprendente: si completavano


in un modo che suscitava molti commenti, ma le dicerie si con-
centravano in particolare sulla loro reputazione. Lei era stata la si-
gnora Winter ed era ancora nota come la “vedova di ghiaccio”, una
donna che si diceva avesse assassinato i due precedenti mariti. Chris-
topher era il suo terzo e ultimo consorte, l’amore della sua vita, e sov-
ente veniva sbeffeggiato per essere ancora in vita.

“Siete sopravvissuto a un’altra nottata nel letto di vostra moglie” lo


schernivano.

Christopher sorrideva e non rispondeva. Non era vero, ma non voleva


smentire quell’idea, benché sbagliata. Poche persone avrebbero potuto
comprendere come morire tra le sue braccia ogni notte lo facesse
rinascere.

— Ho sentito l’ultima parte della conversazione che hai avuto con


Amelia — disse lei. — Credo che tu stia guardando la cosa dalla pros-
pettiva sbagliata.

— Ah, sì? — Ecco in che cosa erano davvero affini: tanto erano diversi
all’esterno, tanto si assomigliavano nel profondo: due menti criminali
e scaltre. — Cosa mi sono perso?
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— Tu vedi solo l’interesse che l’uomo mascherato aveva per Amelia. E


lei, invece? Che interesse ha per lui? È questo che mi preoccupa.

Christopher la scrutò aggrottando la fronte. Ammirò con aria intenta


l’acconciatura sofisticata e i ricci che le ricadevano sulle orecchie e
sulle spalle, il petto rigoglioso che affiorava dal corsetto scollato e bor-
dato di fiocchi. — È sempre stata curiosa, ed è così che ha conosciuto
Ware.

— Sì, ma ha permesso a quell’uomo di baciarla. Uno sconosciuto. Per-


ché? Si è lasciata struggere dal desiderio per il suo amore gitano per
tutti questi anni, tenendo Ware in stallo. Che cos’ha quest’uomo da
averla spinta a compiere un gesto simile?

— Mmm... — Abbassando il capo, Christopher si impadronì della sua


bocca per darle un bacio lungo e appassionato. — Mi piangeresti con
tanto trasporto, se dovessi morire? — le domandò, con le labbra incol-
late alle sue.

— No. — Maria gli rivolse uno di quei sorrisi carichi di mistero che lo
ammaliavano.

— No? — ripeté.

— Niente e nessuno potrà mai portarti via da me — rispose lei, mentre


gli accarezzava il petto. — Morirei insieme a te: sarebbe il solo modo
per lasciarti andare.

Il cuore di Christopher si gonfiò così tanto d’amore che per un attimo


credette di rimanerne sopraffatto. — E così, la tua sorellina è attratta
da quell’uomo come non le è mai accaduto con nessun altro. Cosa sug-
gerisci di fare?
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— Aumentare la sorveglianza su di lei e trovare quell’individuo. Voglio


sapere chi è e che intenzioni ha.

— Consideralo fatto. Hai altri piani per il pomeriggio?

— Sì, sono abbastanza impegnata.

Christopher sperò di essere riuscito a mascherare la delusione. Nono-


stante anche lui avesse un elenco piuttosto lungo di cose da fare, non
gli sarebbe dispiaciuto trascorrere qualche ora in compagnia di sua
moglie. Era una delizia fare l’amore nel bel mezzo della giornata, con
le tende tirate e il sole che invadeva la stanza, specialmente quando lei
stava sopra e lo cavalcava alla luce del giorno.

Sospirando sonoramente, Christopher la lasciò andare. — Goditi la


giornata, amore mio.

— Questo dipende da te. — I suoi occhi brillavano di un luccichio mal-


izioso. — Vedi, la mia agenda dice: “fare l’amore dalle due alle quattro”
e per farlo avrei bisogno del tuo aiuto.

Christopher ebbe subito un’erezione. — Al vostro servizio, madame.

Lei fece un passo indietro e guardò la patta dei suoi calzoni. — Sì, lo
vedo. Possiamo ritirarci?

— Lo vorrei tanto — bisbigliò lui, con il sangue che gli ribolliva già
nelle vene.

In quel momento sentirono un colpo alla porta e si voltarono.

— Salve, Tim — disse Maria, sorridendo al gigante che teneva la testa


reclinata per riuscire a passare oltre la soglia.
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L’uomo accennò un inchino. — Volevate vedermi? — bofonchiò, rivolto


a Christopher.

— Sì. — Tim era uno dei suoi luogotenenti più fidati; aveva una pazi-
enza infinita e ci sapeva fare con il gentil sesso. La sua passione per le
donne era evidente; loro se ne accorgevano e si aprivano con lui più di
quanto non facessero con altri uomini. Lo ascoltavano e si fidavano di
lui, e questo avrebbe reso più semplice mantenere Amelia sulla retta
via.

Christopher abbassò lo sguardo per guardare Maria negli occhi. — As-


pettami vestita — sussurrò. — Voglio essere io a spogliarti, uno strato
dopo l’altro.

— Come se fossi un regalo — rispose lei in tono canzonatorio.

— Lo sei. Tu sei la cosa più preziosa che possiedo. — Christopher le


diede un bacio sulla punta del naso e si allontanò. — Devo discutere
con Tim del suo nuovo incarico. Dovrà sorvegliare Amelia.

Lei gli rivolse un sorriso d’intesa, un’immagine da serbare nella me-


moria. — Sei così intelligente che riesci sempre ad anticipare le mie
preoccupazioni. Non hai bisogno che ti stimoli ad agire.

— Invece no — la smentì lui. — Tu mi sproni sempre, e io ne sono fe-


lice. — Fece una pausa e poi proseguì sottovoce. — Tra poco te ne darò
la dimostrazione.

Maria sfiorò con la punta della dita il suo palmo, mentre le loro mani
si separavano. — Ci vediamo a cena, Tim — disse, passandogli accanto
con passo seducente, mentre lasciava la stanza.

— Certo, madame.
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Tim guardò Christopher con un sorriso sghembo. — Conosco quello


sguardo. Faremo in fretta, vero?

— Sì. Voglio che tu diventi l’ombra della signorina Benbridge.

— Mi hanno detto dell’altra notte. Non temete, con me è in buone


mani.

— Non te l’avrei chiesto se non ne fossi sicuro. — Christopher gli diede


una pacca sulla spalla, mentre lo accompagnava alla porta. — A più
tardi.

— Razza di fortunato bastardo — si lasciò sfuggire Tim sottovoce.

Christopher fece una smorfia e si avviò su per le scale.

Francia, un mese prima

— Dunque — disse Simon Quinn, posando la forchetta. — È giunto fi-


nalmente il momento.

— Già.

Era andato tutto come Colin Mitchell aveva previsto. Erano anni che
aspettava quel giorno, e adesso che era arrivato, restare seduto a ta-
vola gli pareva quasi impossibile. Nel giro di poche ore sarebbe salpato
verso l’Inghilterra per raggiungere l’amore della sua vita. Quanto
sarebbe voluto essere già con lei!

Fare baldoria era all’ordine del giorno, per tipi come lui, ma anche se
era cresciuto in un chiassoso campo gitano, Colin preferiva comunque
le serate tranquille. Era Simon che cercava posti rumorosi. Diceva che
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rendevano impossibile origliare, e inoltre contribuivano a consolidare


quell’aspetto annoiato e disinvolto sapientemente costruito, anche se
Colin sospettava che quella predilezione fosse dettata da tutt’altra ra-
gione. Simon non era felice, ed era facile fingere di esserlo quando si
era circondati dall’allegria generale.

In fondo, quello era ancora uno dei pochi posti che Colin tollerava:
pulito, ben illuminato, e il cibo era delizioso. Tre enormi candelabri
scendevano giù dalle travi di legno del soffitto e nell’aria si spandeva il
profumo di diverse pietanze appetitose che si mescolava a quello delle
prosperose cameriere. Le risate sonore e il chiacchiericcio facevano a
gara per farsi sentire sopra l’orchestra che suonava freneticamente in
un angolo remoto della sala, lasciando loro una relativa intimità in
mezzo a quel fracasso. Sembravano due gentiluomini vestiti di tutto
punto che si godevano la cena.

— Pensavo che il sentimento che provavi per la bella Amelia fosse


sfiorito con gli anni — buttò lì Simon. Nella sua voce si sentiva ancora
un leggero accento irlandese. Si portò il bicchiere colmo di vino alla
bocca e osservò Colin. — Sei cambiato molto rispetto al ragazzino che
eri quando sei venuto a cercarmi, tanti anni fa.

— Vero. — Colin sapeva che Simon non voleva che andasse via: era
una pedina troppo importante per i suoi giochetti. Avrebbe saputo ad-
ottare qualunque travestimento, dovunque. Gli uomini si fidavano di
lui e le donne lo trovavano irresistibile: erano creature dotate di un
forte intuito, e appena percepivano che il suo cuore era impegnato,
cercavano ancora di più di conquistarlo. — Ma c’è una parte di me che
non è mai cambiata.

— Forse lei è cambiata. Era una ragazzina, quando vi siete lasciati.


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— Già allora era in continuo mutamento — rispose Colin con un’alzata


di spalle. — Questo non fa che rendere più profondi i miei sentimenti.
— Come poteva spiegare tutte le sfaccettature che aveva visto in lei
negli anni?

— Che fascino possiede per tenerti così schiavo? La contessa ti adora,


eppure per te non è altro che un diversivo.

Nella mente di Colin si materializzò un’immagine della bellissima


Francesca, e sorrise. — Anch’io lo sono, per lei. Le piace il fatto di non
sapere mai chi si presenterà alla sua porta o che travestimento userò.
Io vado bene per soddisfare le sue fantasie più sfrenate, ma queste si
limitano alla stanza da letto. È troppo orgogliosa per pensare a un
uomo con le mie origini in un ruolo diverso da quello che ricopro ora.

Una volta, mentre svolgeva un incarico affidatogli da Simon, Colin si


era infilato nella prima stanza che aveva trovato a un ballo. Lì c’era
Francesca, che si stava godendo una piccola tregua dalla folla. Lui le
aveva fatto l’inchino, aveva sorriso e si era tolto la parrucca; poi aveva
rivoltato al contrario gli abiti dalla fattura speciale e sotto i suoi occhi
si era trasformato da un gentiluomo con i capelli bianchi e il mantello
nero in un mascalzone con i capelli neri e la pelle eburnea. La contessa
aveva trovato quell’episodio davvero buffo e si era prestata volentieri
al suo gioco, uscendo a braccetto in corridoio con lui, suscitando lo
stupore delle persone che incontravano, compresi i due ceffi che dav-
ano la caccia a Colin, i quali non erano riusciti nemmeno a
riconoscerlo.

Quella notte stessa, lei se l’era portato a letto e ce l’aveva tenuto per
due anni, senza preoccuparsi minimamente quando si assentava per
settimane o mesi per il suo lavoro. Il loro era un rapporto di comodo e
di reciproca comprensione.
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“A volte invidio la donna che ha una presa così salda sul tuo cuore” gli
aveva confessato una volta.

Colin aveva provveduto subito a indirizzare il corso dei suoi pensieri


altrove. Non riusciva a sopportare l’idea di Amelia mentre era in com-
pagnia di un’altra donna. Gli sembrava di tradirla e sapeva per esperi-
enza che ne sarebbe rimasta profondamente ferita.

— Amelia esercita su di me lo stesso fascino che sua sorella esercita su


di te — disse Colin, incontrando gli occhi sgranati di Simon. — Forse,
se tu riuscissi a spiegarmi perché ti struggi ancora per Maria, questo
potrebbe aiutarmi a rispondere alla tua domanda riguardo ad Amelia.

Un sorriso di autocommiserazione increspò le labbra di Simon. —


Touché. Ti presenterai a lei come Colin Mitchell o come uno dei tuoi
personaggi?

Colin emise un profondo sospiro e si guardò intorno, soffermandosi


sui molti avventori e sul viavai di cameriere. Per Amelia, lui faceva
parte del passato... una parte ormai morta e sepolta. Era un amico
d’infanzia che era diventato un uomo e che l’aveva amata con tutto se
stesso. Lei aveva contraccambiato quel sentimento con la stessa pas-
sione selvaggia, totale e irrefrenabile dell’adolescenza. Lui aveva cer-
cato di starle lontano, di respingerla e di convincersi che andava al di
là delle sue possibilità. Era un gitano e uno stalliere al servizio del
padre di Amelia, lord Welton, e non c’era futuro per loro.

Alla fine, non era riuscito a mantenere le distanze. Il visconte era una
specie di mostro e la usava per ricattare Maria, la bellissima sorella,
che maritava con nobili facoltosi per poi ucciderli e impossessarsi
dell’eredità. Quando le macchinazioni di Welton avevano messo in
pericolo Amelia, Colin aveva tentato di salvarla con un gesto valoroso,
ma gli avevano sparato e l’avevano lasciato a terra, credendolo morto.
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Come si fa a risorgere dalla tomba? E anche se ci fosse riuscito, lei


l’avrebbe di nuovo accolto nella sua vita nel ruolo che avrebbe desider-
ato, ovvero di marito e amante?

— Se mi vorrà, sarà la contessa Montoya — sentenziò, riferendosi al


titolo che aveva inventato espressamente per lei. Negli anni si era
costruito quella presunta nobiltà, acquistando proprietà e accumu-
lando ricchezze sotto quelle sembianze. Non l’avrebbe fatta sposare
con il comune Colin Mitchell. Lei meritava di meglio. — Ma forse è il
suo attaccamento a Colin che mi farà conquistare il suo cuore.

— Mi mancherai — lo interruppe Simon con aria pensierosa. — A dire


il vero, non so come farò senza di te.

Quinn era stato inserito nella lista degli agenti della Corona d’Inghil-
terra perché assumeva degli incarichi che persone più prudenti non
avrebbero mai accettato. Né lui né Colin godevano di un riconosci-
mento ufficiale, e questo li sollevava da qualunque restrizione. Come
ricompensa per i loro sforzi, si tenevano la maggior parte del bottino, e
così erano diventati enormemente ricchi.

— Troverai il modo — disse Colin con un sorriso. — Come sempre. Do-


potutto, hai Cartland. Sotto certi aspetti, è molto più abile di me. Ha il
fiuto migliore di un cane. Se smarrisci qualcosa, lui è la persona più
adatta per ritrovarla.

— Ho i miei dubbi su di lui — ribatté Simon, appoggiando i gomiti sui


braccioli ricurvi della sedia e intrecciando le dita.

— Ah, sì? Non me l’avevi mai detto...

— Eri pur sempre alle mie dipendenze. Ora, invece, ti posso parlare
come a un amico con cui ho condiviso un passato comune.
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La logica era bizzarra, ma Colin non ci badò. — Che cosa ti preoccupa?

— Troppe persone del suo giro sono state ammazzate.

— Pensavo che facesse tutto parte di un piano.

— A volte sì — ammise Simon. — Lui non ha i rimorsi di coscienza che


vengono a molti quando uccidono qualcuno.

— Intendi dire che vengono a me — puntualizzò Colin in tono asciutto.

Simon sorrise, attirando l’attenzione di una donna seduta lì accanto.


D’un tratto, il suo sorriso passò da espressione di divertimento a una
promessa sensuale. Colin si voltò per soffocare una risatina. Era sor-
preso che un uomo tanto stimato potesse guadagnarsi da vivere con
mezzi così illegali.

— Non ti sei mai goduto quella parte del tuo lavoro — aggiunse Simon.

Colin sollevò il bicchiere in un finto brindisi e poi tracannò tutto d’un


fiato il liquido rosso sangue. — Ho sempre temuto che ogni vita tolta
mi si sarebbe attaccata all’anima, mi avrebbe perseguitato, e che alla
fine mi avrebbe reso inadatto per Amelia.

— Che cosa romantica! — lo derise Simon. — Una delle qualità che am-
miravo in Maria era quella di riuscire a sopravvivere nei bassifondi. Io
non potrei passare la vita con una donna pura come un giglio. Mi an-
noierei presto.

— Tu dai per scontato che l’uomo che ti siede di fronte ora sia il vero
Colin, e che quello che si strugge per Amelia sia solo un artifizio.
Magari è tutto il contrario.
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Simon aggrottò la fronte. — Allora ti prego di continuare ancora un po’


con questa farsa.

A sentire quelle parole, Colin s’irrigidì e appoggiò il bicchiere sul ta-


volo. — Che cosa vuoi?

Avrebbe fatto qualunque cosa per Simon, ma quell’improvviso pres-


agio di un pericolo imminente l’aveva reso nervoso. Aveva già caricato
le valigie sulla nave e nel giro di qualche ora sarebbe salpato per iniz-
iare la sua nuova vita, quella che aveva interrotto sei anni prima per
diventare un uomo benestante con un titolo, del prestigio e tanti priv-
ilegi. Un uomo degno di Amelia Benbridge.

— Mi hanno detto che Cartland s’incontra spesso con dei confidenti


dell’agente generale Talleyrand-Périgord.

Colin fischiò. — Cartland è una delle persone più irriverenti che io ab-
bia mai conosciuto.

— Ecco perché il suo legame con l’agente generale, che è altrettanto ir-
riverente, mi preoccupa. Voglio andare a perquisire il suo alloggio,
stanotte. Voglio farlo mentre tu sei ancora qui e mi puoi proteggere.
Ho soltanto bisogno che tu lo intrattenga, nel caso rientrasse prima.

— Dato che sa che parto all’alba, troverà strano vedermi ancora qui.

— Agirai sotto copertura. Non dovrebbe crearti problemi. Lo sanno


tutti che è un tipo solitario.

Annuendo, Colin cercò di immaginare la scena e non ci vide nulla che


potesse interferire con la sua partenza. Qualche ora sarebbe bastata
per cancellare il senso di colpa che provava abbandonando Simon.

— D’accordo. Ti aiuterò.
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— Eccellente — rispose Simon, allungando il bicchiere verso una


cameriera per farsi versare dell’altro vino. — Sono in debito con te.

— Sciocchezze — tagliò corto Colin. — Non potrò mai ripagarti per


tutto quello che hai fatto per me.

— Mi aspetto di essere invitato al matrimonio.

— Contaci.

Simon sollevò il bicchiere. — Alla bellissima signorina Benbridge.

Colin, vibrante di aspettative per il futuro, tracannò tutto d’un fiato il


suo vino.

— Cos’hai in mente? — borbottò Colin qualche ora dopo, mentre


scivolava tra le ombre di un vicolo seguendo Cartland a debita
distanza.

L’uomo aveva lasciato la casa della sua amante qualche ora prima, e da
allora pareva vagare senza meta. Siccome continuava a procedere, pur
per larghi giri, verso il suo appartamento, Colin gli stava appresso per-
ché non poteva permettere che facesse ritorno mentre Simon era
ancora là.

La temperatura era gradevole, il cielo punteggiato da qualche nuvola;


la luna piena era bassa sull’orizzonte e illuminava bene tutta la zona,
se non era coperta dai palazzi. Ciononostante, Colin avrebbe preferito
essere nella sua cabina a riposare, per poi salire a prua e respirare a
fondo l’aria salmastra.

Cartland svoltò e Colin si fermò un istante, contando nella propria


mente finché non fu passato un lasso di tempo ragionevole per prose-
guire il pedinamento.
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Non appena girato l’angolo, però, si ritrovò in un cortile privato. Cart-


land era lì, impegnato in una discussione con qualcuno che pareva lo
stesse aspettando. Due lanterne segnalavano l’ingresso sul retro di un
locale. Una piccola fontana e un’aiuola ben curata riempivano quasi
tutto lo spazio.

Colin s’appiattì contro il muro e si strinse nel mantello per mimetiz-


zarsi meglio nell’ombra. Era alto un metro e ottanta e pesava all’in-
circa cento chili, quindi per lui non era facile, ma aveva imparato l’arte
di appostarsi e la praticava molto bene.

Caso strano, anche Cartland, pur non provenendo da una famiglia di


lavoratori, era di corporatura robusta, benché più elegante. Era
costretto a lavorare per guadagnarsi da vivere soltanto perché il padre
l’aveva lasciato senza il becco di un quattrino, ma si affannava a far
sapere a tutti che lui non scendeva in basso e non svolgeva determinati
compiti. Tranne uccidere. Quello gli piaceva fin troppo, secondo Colin;
ecco perché lavoravano in coppia solamente quando dovevano.

Scivolando lungo il muro di pietra umida, Colin si avvicinò ai due


uomini nella speranza di captare qualcosa che gli fosse utile per capire
cosa stava facendo Cartland.

— ... potete dire all’agente generale...

— ... dimenticatevi della vostra posizione! Voi non siete...

— A questo penso io, Leroux, a patto che venga ricompensato...

La discussione sembrava farsi più accesa e Cartland gesticolava an-


imatamente, mentre l’altro uomo aveva iniziato a camminare avanti e
indietro. Il suono dei tacchi che battevano sul selciato gli permise di
avvicinarsi di soppiatto. Cartland indossava sopra l’abito da sera una
cappa corta tenuta ferma da una spilla che brillava alla luce delle
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lanterne. L’altro, invece, non portava né cappello né cappotto, era


molto più basso e decisamente più agitato.

— Non avete ancora raggiunto il vostro obiettivo — disse Leroux sec-


cato. — Come osate chiedermi altro denaro quando non avete ancora
portato a termine il compito per il quale siete già stato pagato?

— Sottopagato — rispose Cartland in tono derisorio, con il volto


nascosto dal tricorno.

— Informerò l’agente generale delle vostre ridicole richieste e gli sug-


gerirò di cercarsi qualcuno più affidabile.

— Ah, davvero? — C’era nella voce di Cartland un tono che mise in al-
larme Colin, ma prima che potesse fare qualcosa, vide il profilo di una
lama luccicare e un secondo dopo il pugnale si era già conficcato nel
ventre di Leroux.

Si sentì un gemito di dolore e poi un profondo rantolo.

— Potete anche portargli un altro messaggio da parte mia — sibilò


Cartland, mentre estraeva la lama per poi pugnalarlo nuovamente. —
Non sono un lacchè di cui sbarazzarsi quando non serve più.

All’improvviso, una sagoma scura balzò fuori dall’oscurità e si abbatté


su Cartland, facendogli saltare via il cappello. Il pugnale gli scivolò
dalle mani e finì a terra tintinnando. Leroux cadde in ginocchio, ten-
endosi le mani sulle ferite sanguinanti.

I due uomini si rotolavano a terra e si picchiavano, e il suono dei colpi


rimbombava tra i palazzi. Si sentì il rumore di vesti strappate e
volarono parole rabbiose, poi Cartland riuscì ad avere la meglio e in-
chiodando l’assalitore al suolo allungò la mano per afferrare il pugnale
che giaceva a poca distanza.
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— Fermo! — Colin uscì allo scoperto e si gettò nella mischia, soll-


evando il mantello di lato per far vedere che aveva una spada.

Cartland, confuso, si tirò su e Colin vide che aveva il volto deformato


dalla sete di sangue e uno sguardo perso e freddo. L’altro uomo colse
l’occasione per colpirlo forte alla tempia con un pugno, facendolo
cadere.

Colin corse verso le lanterne che indicavano l’entrata e sguainò la


spada. — Avete molte cose di cui rispondere!

— Ma non a voi! — gridò Cartland, scalciando.

Colin scansò i colpì e lo infilzò a una spalla. L’uomo ruggì come un ani-
male ferito e prese a dibattersi furioso.

Girandogli intorno, Colin si voltò per guardare lo sfortunato Leroux,


che ormai giaceva a terra con gli occhi sbarrati e lo sguardo vuoto.

Era troppo tardi. Il messaggero di Talleyrand-Périgord era morto.

Un tremendo presagio s’impadronì di Colin, distraendolo, così non


riuscì a prevenire il colpo che gli si abbatté sul retro delle ginocchia,
facendolo cadere a terra. Istintivamente rotolò di lato per evitare un
altro assalto di Cartland, ma urtò contro il cadavere e finì nella pozza
di sangue che si stava velocemente allargando intorno a lui.

Cartland tentò nuovamente di afferrare il pugnale, ma l’altro uomo lo


batté sul tempo e riuscì a farlo scivolare via, assestandogli un calcio
con tutta la forza che aveva. Colin stava cercando di rimettersi in piedi
quando sentì delle urla provenire dalla strada vicina. Tutti e tre vol-
tarono la testa in quella direzione.
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— Un’imboscata! — borbottò Cartland, che balzò in piedi, si diresse


verso il muretto di pietra e lo scavalcò.

Anche Colin si era già tirato su e si stava mettendo a correre.

— Altolà! — gridò qualcuno.

— Più veloce! — disse l’uomo che aveva quasi salvato Leroux e che ora
stava scappando al fianco di Colin.

Insieme, imboccarono una via diversa rispetto a quella da cui era ar-
rivato Colin e che ora era piena di guardie che avanzavano con le lan-
terne in alto.

— Altolà!

Quando raggiunsero la strada principale, Colin scappò verso sinistra


in direzione della carrozza che lo stava aspettando, mentre l’altro andò
a destra. Dopo il trambusto che aveva scosso la quiete del piccolo
cortile, l’apparente tranquillità della nottata appariva innaturale e i
suoi passi sembravano risuonare troppo forte.

Zigzagò tra palazzi e stradine, infilandosi nei vicoli per ridurre le prob-
abilità di essere acciuffato. Alla fine, riuscì ad arrivare davanti alla casa
dell’amante di Cartland. Appena il cocchiere lo notò, si stiracchiò e si
tenne pronto a sganciare il freno.

— Da Quinn — gli ordinò Colin, saltando a bordo. Il veicolo partì con


uno strattone e lui si chinò in avanti per togliersi il mantello intriso di
sangue e gettarlo sul pavimento. — Maledizione!

Com’era possibile che una missione tanto semplice gli fosse sfuggita di
mano con tanta rapidità?
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“Fa’ in modo che Cartland non ritorni a casa troppo presto.” Sembrava
una bazzecola, e non avrebbe certo dovuto includere il fatto di essere
stato testimone di un omicidio.

Quando la carrozza si fermò davanti alla residenza di Quinn, Colin


saltò giù e batté il pugno contro il portone, imprecando perché ci
mettevano troppo ad aprire.

Dopo un po’ si presentò un maggiordomo tutto scarmigliato con una


candela di sego in mano. — Sì, signore?

— Voglio vedere Quinn. Adesso!

Quel tono tradiva una certa urgenza e il servitore lo fece subito acco-
modare nel salottino. Dopo qualche minuto Quinn fece il suo ingresso:
aveva la pelle arrossata e indossava una vestaglia di seta multicolore.
— Ti ho mandato a cercare ore fa. Quando ho visto che non rispondevi,
ho pensato che avessi imbarcato la tua roba e te ne fossi andato a
dormire.

— Se di sopra con te c’è una donna credo che potrei ucciderti.

Simon lo squadrò dalla testa ai piedi. — Che cosa ti è successo?

Colin gli raccontò tutto, passeggiando senza sosta davanti al fuoco che
languiva nel caminetto.

— Che diamine! — osservò Simon, passandosi una mano tra i riccioli


neri. — Doveva essere davvero disperato per scappare da noi e da loro.

— Non c’è nessun noi — ribatté Colin, puntando il dito verso l’orologio
a pendolo nell’angolo. — La mia nave salpa tra poche ore. Sono venuto
solo per dirti che è una liberazione. Se stanotte mi avessero preso, il
mio viaggio sarebbe stato rimandato di settimane, se non di mesi.
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Si sentì qualcuno picchiare alla porta ed entrambi tacquero. Non


osavano quasi respirare.

Il maggiordomo fece irruzione nella stanza, ansimante. — Una dozzina


di uomini — disse, col fiatone. — Hanno perquisito la carrozza e hanno
preso qualcosa dal suo interno.

— Il mio mantello — sibilò Colin. — Era tutto impregnato del sangue


di Leroux.

— Il fatto che siano venuti qui ci suggerisce che Cartland ti ha offerto


come bestia sacrificale — osservò Simon, mentre qualcuno all’esterno
impartiva degli ordini gridando. — Cercate di trattenerli — ordinò al
maggiordomo. — Create un diversivo che duri il più a lungo possibile.

— Sì, signore — rispose il servitore, uscendo e richiudendosi la porta


alle spalle.

— Mi dispiace, amico mio — mormorò Simon, andando verso l’oro-


logio e spostandolo, in modo tale da rivelare un passaggio segreto. —
Questo ti condurrà alle stalle. Potresti avere delle difficoltà al pontile,
ma se riesci a imbarcarti, fallo. Mi occuperò di tutto io e farò in modo
che tu ne esca pulito.

— E come? — chiese Colin, infilandosi nel cunicolo. — Cartland col-


laborava con i francesi, quindi deve godere di una certa fiducia da
parte loro.

— Troverò un modo, non temere — lo rassicurò Simon, poggiandogli


una mano sulla spalla mentre si sentivano delle voci provenire dall’in-
gresso. — Buona fortuna!

Detto ciò, Colin si avviò per il passaggio e Simon richiuse subito l’aper-
tura. Si sentì uno stridore di metallo che accompagnava la
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risistemazione del pendolo. Non udì altro, perché avanzava alla cieca
nell’oscurità, tenendo le braccia larghe e le mani appoggiate al muro.

Aveva il cuore in gola e il fiato corto; lottava contro l’ansia crescente


che derivava non tanto dalla paura di essere catturato, ma dal fatto che
non era mai stato così vicino a ricongiungersi con Amelia. Era lì, a
portata di mano, ma se non fosse riuscito a salire su quella nave
l’avrebbe persa di nuovo. La prima volta era sopravvissuto a malapena
al distacco; non sapeva se ce l’avrebbe fatta un’altra volta.

Il tunnel si fece umido e l’odore insopportabile. Colin arrivò a quello


che pareva un punto morto e imprecò. Poi udì dei cavalli che nitrivano,
alzò gli occhi e si accorse che sopra la sua testa si intravedeva una
botola. Cercò con il piede un appiglio e si issò più in alto per sollevare
il coperchio quel tanto che bastava per guardare. Vide che c’era della
paglia sul pavimento. La stalla sembrava tranquilla, a parte le bestie
che si agitavano, percependo la sua presenza. Così si tirò su, richi-
udendo subito il portello. Afferrò quindi uno dei cavalli per la criniera
e spalancò le porte della stalla. Condusse fuori l’animale, con le orec-
chie tese e gli occhi ben aperti, avanzando con circospezione.

— Ehi, tu, fermo! — gridò qualcuno alla sua sinistra.

Colin si aggrappò alla criniera e balzò in groppa al cavallo senza sella.

— Vai! — lo incitò, dandogli un colpo ai fianchi per lanciarlo al galoppo


attraverso i campi.

La brezza mattutina gli sferzava il viso e faceva danzare il suo codino.


Procedeva abbassato contro il collo dell’animale mentre correvano
lungo le strade, respirando affannosamente all’unisono. Colin sentiva
le budella contorcersi per l’ansia. Sarebbe stato davvero un miracolo
riuscire a raggiungere la nave senza intoppi. Era così vicino a lasciarsi
alle spalle quella vita, maledizione! C’era quasi.
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Si avvicinò il più possibile al pontile, poi smontò e coprì la distanza


rimanente a piedi, passando tra le casse e i barili ammassati. Era tutto
sudato, nonostante l’aria fosse fredda e lui non avesse il soprabito.

C’era quasi...

In seguito non si sarebbe più ricordato di aver percorso la passerella e


di essere disceso in cabina. Tuttavia, si sarebbe ricordato con molta
precisione di chi aveva trovato ad aspettarlo di sotto.

Aprì la porta, entrò e sobbalzò quando vide lo spettacolo che


l’attendeva.

— Ah, eccovi qui — lo salutò uno sconosciuto dall’aria viscida.

Colin si fermò sulla soglia e fissò l’individuo alto e magro che teneva
un coltello puntato alla gola del suo valletto. Doveva essere uno dei
tirapiedi di Cartland o qualcuno che lavorava per i francesi.

Poco importava: alla fine l’avevano acciuffato.

Il valletto aveva un’espressione terrorizzata e lo guardava con gli occhi


sgranati. Aveva un foulard sulla bocca come bavaglio. Era legato a una
sedia e stava tremando; l’odore acre di urina lasciava intendere quanto
fosse spaventato.

— Cosa volete? — domandò Colin, alzando le mani in segno di resa.

— Dovete venire con me.

Colin si sentì mancare. “Amelia” pensò, mentre nella mente la sua im-
magine si allontanava e si faceva sempre più sbiadita.

Colin annuì. — Certo.


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— Eccellente.

Prima che lui potesse fare qualcosa, l’uomo si mosse e tirò indietro la
testa del valletto, tagliandogli la gola.

— No! — gridò Colin, gettandosi in avanti. Ma era troppo tardi. —


Buon Dio! Perché? — chiese con voce strozzata, mentre sentiva lac-
rime di frustrazione e disperazione pungergli gli occhi.

— Perché no? — ribatté l’uomo con un’alzata di spalle. Aveva occhi di


un azzurro pallido, come il ghiaccio. Era scuro di carnagione e una pe-
luria nera lo faceva apparire sporco, anche se i suoi abiti semplici sem-
bravano puliti. — Dopo di voi.

Colin procedette all’indietro e uscì dalla cabina, certo che quella notte
sarebbe morto. La profonda tristezza che provava non era dovuta
tanto alla perdita della propria vita, quanto alla mestizia di non poter
condividere insieme ad Amelia il futuro che aveva sperato.

Gli tremavano le mani quando afferrò il mancorrente della scaletta che


conduceva al ponte. Uno strano tonfo e un gemito soffocato lo fecero
trasalire e voltare troppo in fretta, così ruzzolò giù e si ritrovò faccia a
faccia con il suo assalitore, che era svenuto.

Alzò gli occhi e vide l’uomo che si era battuto con Cartland poco prima
nel cortile. Era basso e tarchiato, molto muscoloso, e indossava abiti in
diverse sfumature di grigio. Aveva tratti aggraziati e occhi scuri e
stanchi.

— Mi avete salvato la vita — disse l’uomo. — Ve lo dovevo.

— Chi siete? — domandò Colin.

— Jacques.
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Solo il nome di battesimo, nient’altro.

— Grazie, Jacques. Come avete fatto a trovarmi?

— Ho seguito quest’individuo — rispose l’uomo, toccando con la punta


degli stivali il corpo disteso a terra. — La Francia non è più un luogo
sicuro per voi, monsieur.

— Lo so.

L’uomo gli rivolse un inchino. — Se avete con voi qualche oggetto di


valore, vi suggerisco di offrirlo al capitano per invogliarlo a spiegare
subito le vele. Io mi occuperò dei corpi.

Colin si lasciò sfuggire un sospiro stanco, cercando di combattere con-


tro la tremula speranza che danzava in lui. Sembrava che le probabilità
di mettere davvero piede sul suolo inglese diventassero sempre più fle-
bili, a mano a mano che passava il tempo.

— Andate, ora — lo spronò Jacques.

— Vi aiuterò. Dovete scendere subito dalla nave prima che vi associno


a me.

— Ormai è troppo tardi. Resterò con voi finché tutto non sarà chiarito
e non si farà luce sulla morte del mio padrone.

— Perché? — gli domandò semplicemente Colin, troppo stanco per


controbattere.

— Ora preoccupiamoci di salpare. Avremo tutto il tempo per parlare


durante la traversata.
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Incredibilmente, un’ora dopo erano in mare; ma il Colin Mitchell che


stava in piedi a prua avvolto dalla nebbia non era lo stesso che aveva
condiviso un banchetto di addio con Simon Quinn.

Questo Colin aveva una taglia sulla testa, e ciò significava che la sua
vita era in pericolo.

La staccionata era proprio davanti a lei. Doveva solo accertarsi che


la guardia fosse ancora abbastanza lontana da non poterla vedere ed
era fatta. Allungò il passo senza accorgersi dell’uomo nascosto dietro
il tronco di un grande albero e inorridì quando un braccio forte come
l’acciaio l’acciuffò e qualcuno le mise una mano sulla bocca, soffoc-
ando il suo grido di terrore.

— Basta — le sussurrò Colin all’orecchio, tenendola ferma contro il


tronco con il suo corpo robusto.

Amelia, con il cuore che scalpitava, continuava a colpirlo, furiosa per


lo spavento che le aveva fatto prendere.

— Smettila — le ordinò lui scuotendola forte e puntando gli occhi neri


nei suoi. — Mi dispiace di averti spaventato, ma non mi hai lasciato
scelta. Non mi guardi, non mi parli...

Lei smise di dibattersi quando Colin la cinse in un abbraccio: la sua


figura possente le era totalmente sconosciuta.

— Ora tolgo la mano, però tieni a freno la lingua, altrimenti attirerai


la sentinella.
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La lasciò andare e si allontanò di scatto come se lei fosse stata


un’appestata. Amelia sentì subito la mancanza di quella miscela di
odore di stalla e di sudore che Colin si portava addosso.

La luce screziata del sole gli baciava la chioma corvina e il bel volto.
Amelia non sopportava che le si contorcessero le budella e che il
cuore le battesse all’impazzata, quando lo vedeva. Con quella camicia
color malto e i calzoni marroni era davvero virile. Pericolosamente
virile.

— Volevo chiederti scusa — disse lui, con voce quasi stridula.

Lei lo guardò torva.

Colin fece un profondo sospiro e si passò le mani tra i capelli. —


Quella ragazza non significa niente per me.

Amelia capì soltanto allora che non si stava scusando per averla
spaventata a morte. — Che meraviglia! — esclamò, non riuscendo a
nascondere una punta di amarezza. — Sono proprio sollevata di
sapere che ciò che mi ha spezzato il cuore non conta nulla per te.

Lui sbatté le palpebre e allungò le mani ruvide e consumate dal la-


voro verso di lei. — Tu non capisci. Sei troppo giovane, troppo
protetta.

— Ma certo! Così ti sei trovato qualcuna più grande e meno protetta,


che ti possa comprendere — sbottò lei cercando di superarlo. —
Anch’io ho trovato qualcuno più grande che mi capisce. Siamo felici,
siamo...

— Cosa? — Il suo tono basso e minaccioso la fece trasalire, e cacciò


un urlo quando l’afferrò brutalmente per un braccio. — Chi è? —
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chiese con la faccia tirata, spaventandola di nuovo. — È quel ragazzo


che hai visto giù al torrente? Benny?

— Che t’importa? Tu hai lei.

— È per questo che sei vestita così? — domandò Colin squadrandola


dalla testa ai piedi. — È per questo che ti sei tirata su i capelli? Per
lui?

Amelia aveva ritenuto che l’occasione fosse degna di uno dei suoi
abiti migliori: quello blu notte ricamato a fiorellini rossi. — Lui non
mi vede come una bambina.

— Perché anche lui è un bambino! L’hai baciato? Ti ha toccato?

— Ha solo un anno meno di te — replicò lei sollevando il mento. — Ed


è un conte. Un gentiluomo. Nessuno lo sorprenderebbe mai a fare
l’amore con una ragazza in un vicolo.

— Ma noi non facevamo l’amore! — gridò Colin fuori di sé, tenendola


per un braccio.

— A me pareva così.

— Perché tu non ne sai niente — disse lui muovendo le dita in modo


convulso sulla sua pelle, come se non sapesse resistere all’impulso di
toccarla e al contempo non sopportasse l’idea di farlo.

— E tu invece sì?

Lui serrò la mascella in risposta al suo scherno.

Le faceva male sapere che là fuori c’era qualcuno che lui amava. Lui,
il suo Colin!
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— Perché stiamo parlando di questo? — gli chiese, tentando di liber-


arsi senza riuscirci. Aveva bisogno di allontanarsi da lui, le mancava
il fiato quando la toccava, riusciva a malapena a pensare. Soltanto il
dolore e una profonda tristezza penetravano i suoi sensi intorpiditi.

— Io ti ho dimenticato, Colin, ti sono stata alla larga. Perché devi tor-


mentarmi di nuovo?

Lui le infilò una mano dietro la nuca e l’avvicinò ancora di più a sé,
poi prese a strusciarsi contro di lei. I seni le si gonfiarono e comin-
ciarono a dolerle. A quel punto smise di dimenarsi, preoccupata di
come avrebbe reagito il proprio corpo se avesse continuato così.

— Ti ho vista in faccia — proseguì Colin. — Ho notato che ci sei ri-


masta male, e io non voglio farti soffrire.

Amelia sentì salire le lacrime agli occhi e cominciò a sbattere le


palpebre per evitare che sgorgassero.

Colin premette la guancia contro la sua e le parlò in tono contrito. —


Non piangere, non riesco a sopportarlo.

— Allora lasciami andare e stai lontano da me — rispose lei, deglu-


tendo a fatica. — Meglio ora, così magari riuscirai a trovare un posto
più prestigioso da qualche altra parte. Sei un gran lavoratore e...

— Vuoi mandarmi via? — domandò lui, cingendole la vita con l’altro


braccio.

— Sì — mormorò Amelia afferrandolo per la camicia. Avrebbe fatto


qualunque cosa pur di non vederlo più insieme a un’altra.

Colin si strusciò forte contro di lei. — Un conte… Dev’essere lord


Ware. Dannato lui!
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— Lui è gentile con me. Sorride sempre quando mi vede, e oggi mi


darà il mio primo bacio. E io...

— No! — Colin si staccò di colpo da lei, con le iridi inghiottite dalle


pupille dilatate che parevano due profonde pozze nere di tormento. —
Lui potrà anche avere tutte le cose che io non avrò mai, inclusa te, ma
perdio, non mi toglierà anche questo!

— Ma cosa...

Lui si avventò sulla sua bocca, cogliendola così di sorpresa da non


lasciarle nemmeno il tempo di reagire. Amelia non capiva cosa le
stesse succedendo, perché lui si comportasse così, perché le si fosse
avvicinato proprio in quel momento, proprio quel giorno, e la stesse
baciando come se morisse dalla voglia di assaggiare il suo sapore.

Colin premette ancora di più le labbra sulle sue, mentre le sfiorava


dolcemente la guancia per farle aprire la bocca. Lei fu percorsa da
un desiderio bruciante e il suo corpo fu scosso da un brivido violento.
Aveva paura che fosse tutto un sogno o che stesse per perdere la ra-
gione. Dischiuse le labbra e le sfuggì un gemito, quando sentì la lin-
gua di Colin, morbida come velluto tiepido, scivolare nella sua bocca.

Impaurita, trattenne il fiato, poi lui, il suo amato Colin, le sussurrò


qualcosa, mentre con la punta delle dita le sfiorava la guancia.

— Lasciami fare — bisbigliò. — Fidati di me.

Amelia si alzò in punta di piedi, abbandonandosi a lui e facendo


scivolare le dita tra i suoi riccioli setosi. Non era esperta, quindi
doveva lasciarsi guidare e permettergli di sfamarsi con dolcezza delle
sue labbra, mentre lei muoveva goffamente la lingua.
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Colin gemette, un suono carico di desiderio e di bisogno, e portò le


mani dietro la sua testa per inclinarla di più. Il loro contatto si fece
più profondo e Amelia si animò. Sentiva un pizzicore che si trasformò
ben presto in pelle d’oca. Alla bocca dello stomaco si agitava un senso
di urgenza e di sfolgorante speranza.

Colin le fece scivolare una mano lungo la schiena, prima di palparle i


glutei e di attirarla a sé. Quando lei sentì la dura protuberanza della
sua erezione, rimase senza fiato.

— Amelia... cara. — Le labbra di Colin si muovevano sul suo volto su-


dato nel tentativo di asciugarle le lacrime con i baci. — Non
dovremmo farlo. — Ma continuava comunque a baciarla e a strus-
ciarsi contro di lei.

— Ti amo — singhiozzò Amelia. — Ti amo da tanto tempo...

Lui la interruppe posando le labbra sulle sue, mentre la passione


cresceva e le sue mani vagavano sulla sua schiena. Quando lei sentì
che non riusciva quasi più a respirare, si staccò ansimando.

— Dimmi che mi ami — lo implorò, con il petto che si alzava e si ab-


bassava affannosamente. — Me lo devi! Santo cielo, Colin — gemette,
sfregando il volto solcato dalle lacrime contro il suo. — Sei stato così
indifferente, così cattivo... Io non ti posso avere e tu non dovresti de-
siderarmi. Noi non possiamo...

Colin si staccò da lei, imprecando. — Tu sei troppo giovane per me,


non ti posso toccare in questo modo. No, Amelia, non dire altro. Io
sono un servo e lo sarò sempre, mentre tu sarai sempre la figlia di un
visconte.

Lei si cinse la vita e tutto il suo corpo prese a tremare come se avesse
freddo, invece di un caldo insopportabile. La pelle era tutta tesa, le
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labbra gonfie e doloranti. — Ma tu mi ami, vero? — ripeté, con la


voce rotta dall’emozione, nonostante volesse sembrare forte.

— Non chiedermelo.

— Non puoi concedermi almeno questo? Se non ti potrò mai avere, se


non sarai mai mio, non puoi almeno dirmi che il tuo cuore appar-
tiene a me?

— Pensavo fosse meglio che mi odiassi. — Colin sollevò il viso al cielo,


con gli occhi chiusi. — Ho creduto che se tu l’avessi fatto, io avrei
smesso di illudermi.

— Illuderti di cosa? — Lei aveva messo da parte ogni cautela, adesso,


gli si era avvicinata e aveva fatto scivolare le dita sotto la camicia
per toccargli i muscoli scolpiti dell’addome.

Colin la prese per un polso e la guardò storto. — Non toccarmi.

— Anche tu nutri le mie stesse illusioni? — gli domandò Amelia sotto-


voce. — Io a volte sogno che mi baci proprio come hai fatto un attimo
fa e mi dici che mi ami più di ogni altra cosa al mondo.

— No! I miei sogni non sono dolci romanticherie infantili. Sono i


sogni di un uomo, Amelia.

— Come le cose che stavi facendo con quella ragazza? — gli chiese lei.
Le tremava il labbro inferiore, e se lo morsicò per nascondere quel
movimento rivelatore. La sua mente si affollò di ricordi spiacevoli
che andarono ad aggiungersi al subbuglio portato da quella brama
sconosciuta del proprio corpo e alle richieste pressanti del cuore. —
La sogni, ogni tanto?

— Mai — rispose Colin, tirandola di nuovo verso di sé.


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La baciò in modo meno sfrenato e vorace di prima, ma non meno


passionale. Leggere come le ali di una farfalla, quelle labbra si
muovevano sulle sue mentre la lingua si insinuava nella bocca e poi
si ritirava. Quello era un bacio riverente, e il cuore malinconico di
Amelia lo assorbì come fa il deserto con la pioggia.

— Questo è fare l’amore — sussurrò Colin, prendendole il viso tra le


mani.

— Dimmi che non hai baciato anche lei così — mormorò Amelia af-
fondandogli le unghie nella schiena.

— Non ho mai baciato nessun’altra — confessò lui premendo la fronte


contro la sua. — Solo te. Ci sei sempre stata solo tu...

Amelia si svegliò con il cuore in gola. Di nuovo quel sogno, quello stu-
pido retaggio dell’adolescenza. Gettò via le coperte e si mise a sedere
sul letto, lasciando che la leggera brezza notturna le accarezzasse la
pelle madida di sudore sotto l’impalpabile camicia da notte. Si portò le
dita tremanti alle labbra e le premette forte nel tentativo di mettere
fine al formicolio che sentiva.

Il sogno era così vivido che si era illusa di poter ancora sentire il gusto
di Colin in bocca, quel sapore esotico e inebriante che continuava ad
agognare. Erano anni che quei ricordi non la perseguitavano più e
Amelia aveva pensato che pian piano fossero svaniti, che alla fine il
tempo l’avesse guarita.

Perché si ripresentavano proprio ora? Era perché aveva acconsentito a


sposarsi? Colin stava ritornando dal passato per chiederle di non
mettere da parte il suo amore?

Chiuse gli occhi e rivide la maschera bianca e quelle labbra sensuali e


spudorate.
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“Montoya” pensò.

Anche il suo bacio l’aveva fatta fremere dalla testa ai piedi.

Doveva trovarlo. Ormai se l’era messo in testa e sarebbe andata fino in


fondo.

— Cosa dice?

Colin ripiegò attentamente la missiva e la infilò in un cassetto della


scrivania, poi guardò Jacques. — Lui ritiene che Cartland sia a capo di
un gruppo di uomini che vuole venire qui in Inghilterra.

— Non certo per riportarvi indietro vivo — osservò Jacques, andando


verso la finestra e pulendo con una mano il vetro umido per guardare
giù in strada.

Avevano preso in affitto un appartamento in un’elegante palazzina in


città, poco distante dal centro, abbastanza vicina da risultare stra-
tegica ma al contempo abbastanza distante per non dare nell’occhio.
Quella posizione consentiva anche di capire se qualcuno li seguiva,
cosa che era capitata proprio qualche notte prima, quando Colin aveva
danzato con Amelia e l’aveva baciata.

— È un bene che rimaniate chiuso in casa durante il giorno — disse


Jacques, voltandosi per guardarlo. — Siete braccato da tutti i lati.

Scuotendo il capo, Colin chiuse gli occhi e si appoggiò contro lo schi-


enale della sedia. — Sono stato uno stupido a espormi così. Ora ho at-
tirato l’attenzione di St John, e lui non si rassegnerà finché non saprà
perché ho mostrato tanto interesse verso Amelia.

— In fondo, è una bellissima donna — gli fece notare Jacques in un


tono che tradiva l’apprezzamento innato dei francesi per certe delizie.
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— Sì, lo so.

Era più che bella, era stupenda. Com’era possibile che una donna fosse
così perfetta? Due meravigliosi occhi verdi incorniciati da folte ciglia
nere. Labbra carnose tutte da baciare. La pelle liscia come la seta e il
corpo sinuoso di una donna ormai fatta, senza contare quell’aura di
sensualità che aveva sempre trovato attraente.

Adesso poteva ammettere che era andato al ballo spinto dalla speranza
di rivederla e scoprire che in realtà non era più attratto da lei. Forse la
lontananza l’aveva intenerito troppo, aveva pensato, così aveva
idealizzato il suo ricordo.

— Ma non è questo il motivo per cui l’amate — mormorò Jacques.

— No — convenne Colin. — In effetti, non lo è.

— Di rado ho visto una donna con un animo tanto appassionato.


Anch’io la contemplavo, ma non mi ha degnato di uno sguardo. Era
concentrata solo su di voi.

Colin sapeva che era successo per colpa sua. Le aveva gettato occhiate
insistenti, e questo non aveva fatto altro che accentuare la sua voglia di
incontrarla. “Guardami” aveva cercato di dirle nella mente.
“Guardami!”

Alla fine, quel richiamo muto e famelico aveva destato l’interesse di


Amelia e il contatto visivo l’aveva colto nel vivo come se lei avesse
scoccato un dardo che era andato a conficcarsi dritto al centro del suo
cuore. Anche Colin aveva percepito il fervore di cui parlava Jacques.
Quel desiderio aveva risvegliato in lui un bisogno feroce di soddisfare
ogni sua richiesta e di darle ciò che voleva, qualunque cosa fosse.

— Potreste portarla via a quell’altro — buttò lì Jacques.


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Colin era consapevole anche di questo. Quando avevano ballato in-


sieme e più tardi, quando l’aveva baciata, aveva capito che non era per
niente convinta delle sue scelte.

— Vorrei non aver mai seguito Cartland, quella sera! — esclamò, in


preda alla frustrazione che lo divorava. — Ora sarebbe tutto diverso.

Avrebbe potuto averla nel suo letto. La immaginò che si muoveva e in-
arcava la schiena sotto di lui mentre la cavalcava con ardore, risvegli-
ando in lei quella dose di lussuria che aveva sentito aleggiare sotto la
superficie. Nella sua mente, riusciva a vederla mentre gridava il suo
nome e si dimenava con la pelle imperlata di sudore.

Voleva portarla al limite della razionalità, prenderla come non avrebbe


mai nemmeno immaginato...

— A volte alcune cose avvengono per una ragione — disse Jacques,


ritornando alla scrivania e sedendosi di fronte a lui. — Avrei potuto
trascorrere tutta la mia vita in Francia, e invece ero destinato a
seguirvi fin qui.

Colin scacciò dalla mente quei pensieri libidinosi e aprì gli occhi. —
Voi siete un brav’uomo. Troppo per continuare a servire un uomo
morto.

— Monsieur Leroux ha salvato la vita a mia sorella e alla mia nipotina.


Non posso vivere sapendo che quell’assassino è ancora in giro.

— E come possiamo fare per fargliela pagare?

Il francese sorrise, portando un po’ di calore ai suoi tratti austeri. —


Vorrei ucciderlo, ma questo vi metterebbe in enorme svantaggio. Io
sono il vostro unico testimone e senza di me troverete assai difficile
provare la vostra innocenza.
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Colin non replicò. Jacques aveva già fatto fin troppo per lui.

— Così, aspetto che confessi — concluse Jacques con un’alzata di


spalle. — Mi prenderò tutto il piacere possibile nel cercare di estorcer-
gli questa confessione.

Colin si girò verso la finestra. La notte era già calata da qualche ora. A
breve sarebbe potuto uscire e andare in giro a fare domande discrete
su dove poteva trovare Cartland, prima che fosse lui a trovarlo. Ma in
quel momento aveva bisogno di riposare. — Mi ritiro per qualche ora,
poi andrò in cerca di qualche informazione. Sono certo che troverò
qualcuno con la lingua lunga.

— Forse potreste contattare l’uomo per cui lavoravate qui — gli suggerì
cautamente Jacques. — Quello che era a capo di Quinn.

Colin non aveva mai incontrato lord Eddington; non si erano mai
scambiati né una parola, né un messaggio. Tutte le comunicazioni pas-
savano attraverso Simon, e per quel che ne sapeva lui, Eddington non
conosceva l’identità delle persone che lavoravano per Simon. Non
avrebbe avuto modo di dimostrargli che era una persona fidata.

— No. Questo non è possibile — rispose con aria truce. — Noi non ci
conosciamo.

Jacques sbatté le palpebre, all’apparenza talmente incredulo da rib-


attere nella sua lingua natia. — Vraiment?

— Sì. Sfortunatamente — rispose Colin, alzandosi in piedi. — Ne ripar-


leremo dopo che mi sarò riposato.

Jacques gli fece un cenno col capo e attese finché non ebbe lasciato la
stanza, poi si avvicinò alla scrivania ed estrasse da un cassetto la
mezza maschera bianca.
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Colin non avrebbe più partecipato a nessun ballo in maschera e il fatto


che continuasse a conservarla ne tradiva il valore affettivo. Jacques
aveva visto il suo nuovo amico in compagnia della signorina Benbridge
e sapeva che quella donna contava molto per lui.

Così, decise che l’avrebbe tenuta d’occhio in modo che non le suc-
cedesse niente. Se Dio l’assisteva, lui avrebbe portato a termine il
proprio compito, Cartland avrebbe avuto quel che si meritava e Colin
la donna che amava.

Da piccola, Amelia aveva imparato come stringere amicizia con i


giganti.

Ovviamente, a quell’epoca erano solo immaginari, mentre l’uomo che


le stava di fronte in quel momento era abbastanza reale, ma lei sapeva
che era esattamente come se lo immaginava: dietro quell’aspetto rozzo
e temibile si celava una persona buona e gentile.

— Questa si chiama estorsione! — si lamentò Tim, incombendo su di


lei.

Amelia allungò il collo e vi appoggiò una mano per massaggiarselo,


visto che le doleva per lo sforzo. — No, non direi. Un’estorsione non vi
darebbe alcuna alternativa, mentre io vi sto offrendo diverse opzioni.

— E a me non piacciono per niente le vostre opzioni — rispose lui, in-


crociando le braccia sul petto.

— Non posso biasimarvi. A dire il vero, anch’io le trovo abbastanza


inutili — osservò Amelia dirigendosi verso la seduta imbottita vicino
alla finestra. Il salottino al piano superiore era gremito di gente, tutte
persone al servizio di St John. Alcuni giocavano a carte, altri parlavano
e ridevano chiassosamente, c’era persino qualcuno che ne approfittava
per fare un sonnellino, esausto dopo aver corso qua e là per tutta la
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giornata. — Sarebbe stato molto più facile se quell’uomo avesse sem-


plicemente dichiarato le proprie intenzioni — aggiunse Amelia, allar-
gando le sottane di taffettà giallo limone e sedendosi come meglio
riusciva, con il vestito da sera. — Dato che non l’ha fatto, dovremo tir-
are a indovinare, ma io non sono molto brava in questo, Tim. Non ho
pazienza.

Sollevò lo sguardo e lo osservò con un sorriso adulatore.

Tim sbuffò e aggrottò la fronte. — Non avete altro a cui pensare? Che
so... un vestito da sposa o roba simile?

— No, a dire il vero no.

In effetti a quell’epoca sarebbe dovuta essere completamente assorbita


dai preparativi per le nozze. Da quando apriva gli occhi a quando an-
dava a dormire, non avrebbe dovuto avere tempo per altro. Quella era
l’unione più attesa della stagione, e se se la fosse giocata bene sarebbe
stato un ottimo modo per accedere alla sua nuova posizione di futura
contessa.

Invece era consumata dal pensiero del suo ammiratore mascherato. Se


una cosa la intrigava, non si dava per vinta e si ripeteva che se fosse
riuscita a capire ciò che aveva spinto quell’uomo ad avvicinarla
sarebbe stata libera di concentrarsi su questioni più pressanti.

Quello era il classico nervosismo da matrimonio o il bisogno di con-


cedersi un ultimo peccato? Magari un modo per buttarsi alle spalle le
fantasie adolescenziali?

Amelia scosse il capo. Aveva già dato mille nomi a quell’incessante


ricerca di Montoya, ma la vera ragione le sfuggiva.
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— Be’, voi non farete proprio nessuna ricerca — borbottò Tim. — Non
mentre ci sono io a sorvegliarvi.

— Perfetto — rispose lei in tono suadente. — Allora informatemi


quando l’avrete trovato.

— No. — Tim serrò la mascella e assunse quell’espressione ostinata


che però Amelia sapeva essere innocua. Portava dei calzoni di fustagno
verde e un panciotto nero con delle impunture in tinta: quella era la
tenuta più colorata che gli avesse mai visto indosso. Aveva i folti
capelli grigi legati in una piccola treccia, che metteva in risalto i linea-
menti squadrati.

Amelia apprezzava molto la sua apprensione e sapeva che era dettata


interamente dall’affetto che nutriva per lei. Voleva farle fare bella
figura in qualità di suo accompagnatore al ballo dei Rothschild quella
sera. Ovviamente lui non vi avrebbe preso parte, ma sarebbe rimasto a
sorvegliare il perimetro esterno, eppure si era sforzato di vestirsi bene.

Amelia era comunque orgogliosa di lui.

— Benissimo — disse con un profondo sospiro. — Allora me lo cerch-


erò da sola e vi trascinerò con me nell’impresa, visto che volete farmi
da balia.

Tim scosse il capo. — E va bene — ribatté. — Vi dirò se lo vedo, ma non


dove né come. Ma voi fareste meglio a togliervelo dalla testa. Non vi
darà più fastidio, ve lo assicuro.

— Meraviglioso — concluse lei, battendo la mano sul posto libero ac-


canto a sé e tenendo a freno la lingua per evitare ogni ulteriore discus-
sione sull’argomento. Avrebbe rivisto Montoya da sola, che St John lo
volesse oppure no. Doveva vederlo. C’era una vocina in lei che non
smetteva di assillarla. — Venite qui e raccontatemi di Sarah. Farete di
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lei una donna onesta? — Il pavimento vibrò sotto i passi pesanti


dell’uomo che si avvicinava, e quando si mise a sedere la panca scric-
chiolò in segno di protesta. Amelia sorrise. — Vostra madre era una
donna robusta?

Lui fece una risata bonaria. — No. Era esile, ma anch’io una volta lo
ero.

Amelia ridacchiò, poi, vedendolo arrossire, decise di parlare d’altro. —


E allora, con Sarah?

Sarah era la cameriera personale di Maria da lungo tempo; era la dis-


crezione e la lealtà fatte persona. Erano anni che Tim aveva un debole
per lei, ma nessuno dei due pareva aver fretta di andare all’altare.

— Non mi vuole — rispose lui con aria cupa.

Amelia sbatté le palpebre, incredula. — E perché mai?

— Dice che faccio un mestiere troppo pericoloso e non vuole ritrovarsi


vedova con dei bambini. Sarebbe troppo dura.

— Non capisco il suo ragionamento, a dire la verità. L’amore è troppo


prezioso per buttarlo via. Aspettare sempre il momento giusto, il posto
giusto... qualcosa che non arriva mai, e così ci perdiamo quel poco di
felicità che ci spettava.

Tim la fissava.

— Non sottovalutatemi soltanto perché sono giovane — lo mise in


guardia.

— Voi dovete ancora imparare cosa vuol dire vivere.


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— La vita mi ha già intrappolata, rinchiusa e tenuta lontana da ciò che


volevo.

— C’è differenza tra guardare qualcosa attraverso un vetro oppure ten-


erla tra le mani e farsela portare via. Smettetela di tormentarvi con il
vostro stalliere. Il conte è un brav’uomo; potete contentarvi. — Tim al-
lungò il braccio e lo fece girare davanti a sé come a volerle mostrare
tutta la stanza.

Amelia sospirò. — Lo so. Gli voglio molto bene, ma non allo stesso
modo.

— Se il gitano fosse ancora vivo, probabilmente ora non vi piacerebbe


più.

— Non credo — ribatté lei. Nella mente aveva un’immagine nitida di


Colin che rideva, con gli occhi scuri carichi di gioia e amore, e un at-
timo dopo accesi di passione. Si erano scambiati soltanto dei baci, ma
avevano sentito l’ardore e il desiderio, la sensazione che quel senti-
mento sarebbe cresciuto fino a diventare di una brillantezza accecante.

Quel senso di attesa non l’aveva più abbandonata. Era rimasto imma-
colato e inesaudito... finché Montoya non l’aveva baciata.

A quel punto, aveva ripreso a pulsare. Era durato solo pochi istanti,
ma erano bastati per risvegliare in lei qualcosa a lungo sopito. Ecco,
era proprio questo che non poteva spiegarsi, che non poteva confes-
sare a nessuno, forse nemmeno a se stessa. Aveva cercato di indi-
viduare le similitudini tra i due, qualora ce ne fossero state. Era scon-
volgente rendersi conto di essere attratti dalle cose proibite, da ciò che
non si poteva e non si doveva avere.
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Infilò una mano tra le balze della sottana e afferrò il piccolo involto
che teneva in tasca, nella sciocca speranza di incontrare di nuovo
Montoya.

— Il conte di Ware è venuto a farvi visita — annunciò il maggiordomo


sulla soglia.

Tim si alzò e allungò una mano verso di lei. — È davvero un brav’uomo


— disse di nuovo.

Annuendo, Amelia lasciò andare il messaggio nascosto nella tasca e


appoggiò le dita nel suo palmo.

L’uomo con la maschera bianca la stava di nuovo seguendo.

Ne era certa: la maschera era la stessa, ma l’uomo che la indossava no.


Era più basso e tarchiato, senza contare che i vestiti, per quanto sobri
come quelli di Montoya, erano di qualità inferiore.

Chi era? E soprattutto, cosa voleva da lei?

Amelia era avvilita, ma sperava di riuscire a nasconderlo bene. Anche


se era consapevole che forse Montoya l’aveva avvicinata per un altro
motivo e non perché provasse una qualche attrazione per lei, aveva de-
ciso di credere che fosse per qualcosa di personale, nella migliore ac-
cezione che questa parola potesse avere. Anche lui aveva sofferto per la
perdita della sua amata, esattamente com’era successo a lei. Amelia
aveva provato un’affinità verso di lui, come le era capitato solo con
Ware e Colin.

Era stata tutta un’illusione?


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D’un tratto si sentì ingenua e sola, anche se la sala era piena di gente;
il conte che teneva sottobraccio era affascinante e devoto, tuttavia si
sentiva come un’isola sperduta in mezzo al mare.

— Vi sentite male? — sussurrò Ware.

Lei scosse il capo; stava cercando di distogliere lo sguardo dall’uomo


mascherato, ma non ci riusciva. Si maledisse per essere andata alla
ricerca di Montoya. Se non l’avesse fatto, avrebbe potuto continuare a
fantasticare sul fatto che lui aveva un interesse per lei, mentre ora che
quella fantasia era svanita, sentiva ancor più ardentemente la sua
mancanza.

— Volete andare a fare due passi fuori? — suggerì Ware. Si era chinato
su di lei in una posa molto intima, accettabile soltanto perché accom-
pagnata da un sorriso e da una strizzata d’occhi al gentiluomo che
stava parlando con loro. — Il discorso di sir Reginald sta annoiando a
morte anche me.

Amelia tentò di sorridere, ma sentì solo piegarsi gli angoli della bocca.
Distolse l’attenzione dall’uomo mascherato che la osservava e incontrò
lo sguardo preoccupato di Ware. — Mi farebbe molto piacere, milord.

Così, presero congedo con una scusa e si allontanarono. Come spesso


accadeva quando lui tentava di proteggerla, Amelia sentiva il cuore
gonfio di gratitudine. Pregava che quel sentimento si trasformasse in
amore e pensava che magari sarebbe accaduto dopo aver consumato il
matrimonio. Lui avrebbe avuto un certo riguardo nei suoi confronti
anche in questo senso, ne era assolutamente sicura.

Gli lanciò un’occhiata furtiva, ma lui la colse al volo e la fissò. — Tutto


ciò che faccio per voi, dolce Amelia, lo faccio per quei rari momenti in
cui mi guardate così.
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Lei arrossì e si voltò dall’altra parte, per guardare l’altro uomo che
procedeva al loro stesso passo, scivolando contro la parete all’altro
capo della stanza.

— Volete scusarmi un istante? — gli domandò sorridendo.

— Soltanto uno.

Una donna passò loro accanto e si soffermò sulla figura alta e slanciata
di Ware, tradendo un certo apprezzamento.

— Voi, diavolo tentatore che non siete altro — lo punzecchiò Amelia.

Lui le fece l’occhiolino, arretrò di un passo e le baciò la mano guantata.


— Solo per voi.

Lei alzò gli occhi al cielo, indispettita da quella plateale bugia, poi si al-
lontanò, dirigendosi verso il corridoio che portava ai salottini per la
conversazione. Si avviò con calma per essere certa che fosse facile
seguirla, poi uscì nell’ampio atrio, dove erano radunati molti ospiti. La
musica si diffondeva nell’aria attraverso le porte aperte della sala da
ballo e le candele fremevano nei candelabri sistemati lungo le pareti.

Amelia si sentiva al sicuro; trasse un profondo respiro e poi girò sui


tacchi, pronta per affrontarlo. Sollevò un sopracciglio e gli fece segno
di avvicinarsi. Lui sorrise e avanzò, ma si fermò a una certa distanza.

— La vostra maschera... — iniziò Amelia.

— Non la mia, la sua — la corresse subito l’uomo, con un marcato ac-


cento francese.

— Perché? Lui vuole me, oppure St John?


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— Non ho la minima idea di chi sia St John.

Amelia esitò un attimo: si chiedeva quanto fosse saggio il gesto che


stava per compiere. Alla fine si decise, estrasse il messaggio che teneva
nascosto e glielo allungò.

Il francese inclinò la testa di lato e la studiò attentamente, prima di


prenderlo ed esibirsi in un cortese inchino. — Mademoiselle.

— Consegnatelo a lui — gli disse Amelia. Poi sollevò il mento, lo superò


e ritornò al fianco di Ware.

— Santo Dio! Perché ci siete andato?

Colin camminava nervosamente avanti e indietro davanti al caminetto


del suo studio, imprecando tra sé.

— Perché sì — rispose Jacques, semplicemente.

— Ah, certo, perché sì — ripeté Colin, guardando l’oggetto che teneva


in mano, una miniatura di Amelia ritratta come solo una persona in-
tima poteva vederla, con la vestaglia che le lasciava scoperta una spalla
in modo provocante e si apriva quasi fino al capezzolo, i capelli sciolti,
le labbra rosse e socchiuse. Sembrava che avesse appena finito di fare
sesso con qualcuno che l’aveva cavalcata a lungo e bene.

Per chi era stata pensata quella miniatura? Non di certo per lui.
Doveva essere stata commissionata diversi mesi prima.

— Lei è bellissima, monsieur.


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Colin si fermò davanti al fuoco e appoggiò le mani contro la mensola.


Quanto gli sarebbe piaciuto averla vista! — Di che colore era vestita?

— Di giallo.

— Si è avvicinata a voi?

— In un certo senso... — Jacques si accomodò su una chaise-longue e


alzò un braccio oltre la testa, completamente a proprio agio, mentre
Colin era in balia di una forte agitazione. — È molto affascinante.

Colin emise un profondo sospiro. — Maledizione... Io volevo


mantenere le distanze!

— Perché? Per tenerla al sicuro? È guardata a vista — rispose il


francese tamburellando piano con le dita sulla cornice di legno che
bordava lo schienale della seduta. — Perché mai?

— Sua sorella e suo cognato sono criminali di fama e temono che qual-
cuno possa usarla contro di loro... e anch’io lo credo. — Colin si al-
lontanò dal camino e si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona di-
etro la scrivania.

— Pensavo che suo padre fosse una persona influente.

— Sì, era un visconte. — Colin fece una pausa, e quando vide che
Jacques aveva alzato un sopracciglio con aria interrogativa, proseguì.
— La sua avidità era superata soltanto dalla sua crudeltà. Gli im-
portava solo dei suoi desideri e dei suoi bisogni. Ha sposato una bella
vedova soltanto per poter mettere le grinfie sulla figlia, la sorella di
Amelia. Maria ha frequentato le migliori scuole, poi è stata venduta in
sposa a uomini che lui uccideva per prendere l’eredità.

— Mon Dieu! — esclamò Jacques. — E perché lei non scappava?


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— Lord Welton aveva imprigionato Amelia per convincere Maria a


collaborare.

— Spero che abbia avuto quel che si meritava. Ci sono poche altre cose
a questo mondo che trovo più odiose dei crimini contro la famiglia.

— È stato processato e impiccato. Maria nel frattempo aveva conos-


ciuto il pirata e contrabbandiere Christopher St John. Insieme, sono
riusciti a liberare Amelia e a dimostrare che Welton era implicato negli
omicidi. — Colin si passò una mano tra i capelli. — In realtà, la storia è
molto più complicata, ma vi basti sapere che St John e sua moglie han-
no molti nemici.

— Considerando i trascorsi della signorina Benbridge e la sua attuale


situazione, trovo ancora più curioso che mi abbia avvicinato.

— Amelia non è il tipo di persona che fa ciò che gli altri si aspettano da
lei — spiegò Colin, gettando di nuovo un’occhiata alla miniatura: era
una tentazione quasi irresistibile, ma doveva sforzarsi di ignorarla.

— Che cosa vi ha dato?

— Un invito. — Una richiesta per un incontro privato all’evento mu-


sicale dai Fairchild, un’altra occasione per vederla e parlarle.

— E ci andrete?

— Credo che sia meglio lasciare la città — rispose Colin, mentre


valutava altre possibili sistemazioni. Poteva andare a Bristol, luogo di
origine di Cartland, e vedere se scopriva qualcosa di interessante. Un
uomo della sua risma non poteva avere un passato cristallino. Ci
doveva pur essere qualcosa che poteva usare per farlo uscire allo
scoperto. — Non possiamo rischiare di restare fermi in un posto
troppo a lungo.
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— In effetti stavo cominciando a detestare Londra — convenne


Jacques in tono asciutto.

Colin sapeva che nonostante il francese si sforzasse di nasconderlo,


trovava ripugnante l’Inghilterra e ovviamente non vedeva l’ora di torn-
arsene a casa.

— Voi non siete obbligato a seguirmi — gli fece notare, accompag-


nando le sue parole con un sorriso per renderle meno dure. — A dire il
vero, non capisco perché siate qui.

Jacques fece spallucce. — Alcuni uomini sono nati per comandare, io


invece sono nato per servire — rispose, alzandosi. — Vado a impac-
chettare i nostri effetti personali.

— Grazie. — Colin richiuse la mano intorno alla preziosa immagine di


Amelia, poi la ripose in un cassetto accanto alla maschera. — Vi
raggiungo.

Scattando in piedi, si disse che mettere una certa distanza tra sé e


Amelia era la migliore cosa che potesse fare per lei, ma quel ritratto ri-
fiutava di abbandonare la sua mente e gli rodeva l’anima al punto da
spingerlo a chiedersi come sarebbe riuscito a sopravvivere.

Tutti sapevano che ad Amelia piaceva andarsene a zonzo. La sua infan-


zia era stata insolita e l’aveva portata a odiare la solitudine e al con-
tempo a ricercarla. Non riusciva a starsene seduta a lungo e spesso
trovava delle scuse per isolarsi, persino durante le cene più intime.
Ware comprendeva la sua voglia di gironzolare ed era per questo che
era sempre pronto a suggerirle di prendere una boccata d’aria fresca
oppure di andare a fare due passi.

Così, quando Amelia domandò di potersi assentare qualche istante, né


lui né lady Montrose, che quella sera le faceva da chaperon, vi
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prestarono attenzione. Al contrario, sorrisero e le fecero cenno di


andare.

Se solo Montoya fosse venuto...

Amelia scese le scale con passo felpato e quando sentì il suono di voci
che si avvicinavano si nascose in un’alcova. Sapeva che era rischioso
quel che stava facendo, così rimase muta, con il cuore in gola, finché le
voci non cessarono.

Sarebbe riuscito a trovare il modo di farsi vedere? La sua presenza al


ballo in maschera significava che era un uomo con una certa posizione.
Sarebbe bastato farsi presentare a lady Fairchild per ottenere un invito
a quella serata. Eppure, Amelia aveva domandato del misterioso conte
alla padrona di casa e lei l’aveva guardata con aria assente.

Questo significava semplicemente che non era stato invitato, ma non


che non si trovasse lì.

Se l’interesse che nutriva nei suoi confronti era legato in qualche modo
a St John, Amelia immaginava che disponesse di tutte le conoscenze
necessarie per ottenere l’accesso alla casa e trovare il salottino privato,
ma forse sarebbe stato meglio se non si fosse presentato. Dato che era
promessa, non poteva permettersi altri guai, eppure il suo cuore si os-
tinava a non voler considerare la situazione nel suo insieme e si con-
centrava soltanto su ciò che desiderava. Non era certa di come avrebbe
reagito se lui avesse accettato il suo invito: sapeva solo che sperava di
vederlo.

L’ansia e l’aspettativa le davano alla testa e assorbivano completa-


mente ogni suo pensiero. Quella sera aveva scelto con cura cosa in-
dossare: un abito di damasco color zaffiro scuro impreziosito da una
bordura di pizzo quasi impalpabile sul corpetto, intorno ai polsi e sulle
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balze delle sottogonne. Inoltre, tra i capelli, intorno al collo e alle dita
portava degli zaffiri, che le conferivano un aspetto da donna matura.

Se solo si fosse sentita davvero in quel modo e non si fosse trattato


soltanto dell’apparenza... Al contrario, le pareva di essere tornata
bambina, quando le mancava il fiato ogni volta che vedeva Colin, ed
era ansiosa di provare di nuovo quelle sensazioni che solo lui, fino a
quel momento, aveva saputo accendere in lei. A lungo era stata con-
vinta che nessuno sarebbe più riuscito a eguagliarlo: era al contempo
eccitante e spaventoso provare quella sensazione per uno sconosciuto
mascherato.

Mentre rifletteva, giunse al salottino che gli aveva indicato nel messag-
gio. Sarah era venuta a conoscenza di quella stanza da un cugino che
lavorava per i Fairchild. La cameriera aveva passato quell’inform-
azione ad Amelia, pensando di indicarle un luogo tranquillo in cui po-
tersi ritirare all’occorrenza.

Amelia si fermò un attimo con la mano sulla maniglia e inspirò a


fondo nel tentativo di calmare i nervi, anche se le sembrava inutile;
così si fece coraggio e sgattaiolò nella stanza. Le tende erano tirate e la
luce argentea della luna filtrava attraverso le imposte.

Rimase in attesa sulla soglia per permettere agli occhi di abituarsi alla
semioscurità e trattenne il fiato speranzosa, tendendo l’orecchio per
percepire ogni singolo rumore al di sopra del rombo del sangue che le
scorreva nelle vene, ma purtroppo non si udiva altro che il ticchettio
dell’orologio sulla mensola.

Si avvicinò alla finestra e si voltò, osservando la stanza. Due chaise-


longue, una poltrona, due sedie e tavolini di varie forme sparpagliati
qua e là... C’erano molte cose, ma mancava Montoya.
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Sospirò e prese a fregarsi le mani sulle sottane. Forse era arrivata


troppo presto, o magari lui stava incontrando qualche difficoltà all’in-
gresso. Guardò fuori, terrorizzata all’idea di vederlo lì, ma non c’era
traccia di lui.

Decise di aspettare ancora qualche minuto. Dopotutto, poteva


permetterselo.

Prese a passeggiare nervosamente su e giù e d’un tratto l’orologio batté


l’ora. I battiti del cuore diminuirono e il respiro riprese un ritmo nat-
urale. La delusione le pesava sulle spalle. Attese ancora dieci minuti,
poi capì che non poteva più indugiare oltre: se fosse dipeso solo da lei,
sarebbe rimasta lì tutta la notte, ma sicuramente gli altri erano già in
agitazione e tra poco sarebbero venuti a cercarla.

Così, si avviò verso la porta. — Bene... Ora non c’è più nulla che possa
distrarmi dai preparativi per le nozze — borbottò.

— Per chi era quella miniatura?

Amelia rimase bloccata con la mano a mezz’aria, la bocca spalancata in


un muto grido di stupore. Sentire quella voce profonda e gutturale che
l’avvolgeva come un caldo abbraccio le diede un brivido e le fece venire
la pelle d’oca. All’improvviso, un guizzo bianco le rivelò la sua posiz-
ione: Montoya stava schiacciato in un angolo, era di nuovo vestito di
nero e ciò gli aveva consentito di mimetizzarsi nell’oscurità.

— Era per lord Ware — rispose lei, colta alla sprovvista da quell’im-
provvisa apparizione e dalla consapevolezza che lui era sempre stato lì
a osservarla. Perché portava la maschera? Cosa le stava nascondendo?

— Perché l’avete fatta dipingere? — le domandò in tono burbero. —


Non mi pare il tipo di presente che una sposa illibata dona al proprio
fidanzato.
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Lei fece per avvicinarsi.

— Restate lì e rispondete alla mia domanda.

Amelia aggrottò le sopracciglia di fronte a tanta scortesia. — Volevo


solo che mi vedesse da un’altra prospettiva.

— Lui vi vedrà in tutte le prospettive dal vivo. — La sua voce tradiva


una certa amarezza, e in un certo modo questo stemperò la tensione,
consentendole di rivelargli una cosa che altrimenti non sarebbe rius-
cita a dire.

— Volevo fargli vedere che desideravo condividere con lui anche quel
lato di me — ammise.

Montoya era evidentemente teso, e il suo stato d’animo si rifletteva


anche sulla sua postura rigida. — E perché mai avrebbe dovuto
dubitarne?

— Dobbiamo parlare di lui? — lo rimbeccò Amelia, battendo il piede


con impazienza. — Visto che ve ne siete stato lì nascosto fino a ora, ad-
esso ci è rimasto poco tempo!

— Non stiamo parlando di lui — rispose Montoya in tono suadente. —


Stiamo parlando del motivo per cui un regalo così intimo, indirizzato
al vostro fidanzato, sia finito invece nelle mie mani. Volevate che
anch’io vi vedessi da un’altra prospettiva?

Amelia si accorse che si stava rigirando nervosamente la sottana tra le


dita e mise le mani dietro la schiena. — Io penso che voi mi vediate già
in maniera diversa — mormorò.

Il sorriso di Montoya la colpì come un lampo bianco nell’oscurità. — E


così se io, uno sconosciuto, riesco a vedervi come una creatura
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conturbante, perché mai il vostro futuro marito dovrebbe avere delle


difficoltà a fare la stessa cosa?

Lei trattenne il fiato, soppesando bene quell’acuta domanda. — Che


cosa volete che vi dica? Per me è inappropriato parlare di questioni
private.

— E invece inviarmi una vostra immagine provocante lo trovate


appropriato?

— Se vi turba tanto, restituitemela — ribatté lei, allungando una mano.

— Mai! Non la riavrete mai.

— E perché? — chiese lei, alzando un sopracciglio in segno di sfida. —


Pensate di usarla contro di me?

— Come se volessi concedere a qualcun altro il piacere di vederla!

Era possessivo: evidente come la luce del giorno. Amelia era sorpresa e
al tempo stesso lusingata.

— Perché lord Ware non vi vede come vorreste? — la incalzò lui,


avvicinandosi.

La sua sagoma alta emerse dall’ombra e fu inondata dalla luce lunare,


facendola sobbalzare. C’era qualcosa di rapace, ma al contempo di el-
egante, nel modo in cui camminava, con le code dell’abito che
svolazzavano al ritmo del suo passo deciso. Una potenza imbrigliata e
modellata per assumere un aspetto civilizzato. Lo rendeva ancora più
attraente e le faceva venire voglia di vederlo libero e senza restrizioni. I
suoi tratti erano austeri, le sue labbra scolpite invitavano a un
assaggio.
88/325

“Era questo che volevo” comprese Amelia d’un tratto. “Ecco perché
avevo bisogno di rivederlo.”

Voleva essere sincera con lui per raggiungere il proprio scopo. —


Siamo amici da molto tempo.

— Non è un’unione d’amore? — le domandò Montoya, fermandosi a


pochi passi da lei.

— Non dovrei rispondervi.

— E io non dovrei trovarmi qui. Non avreste dovuto indurmi a venire.

— Mi avete fatta seguire.

Lui scosse il capo. — No. Jacques ha preso l’iniziativa da solo. Io sto


lasciando la città. Ho bisogno di allontanarmi da voi prima che questa
cosa vada troppo oltre.

— Come fate ad andare via? Non siete rimasto stregato dal nostro ballo
nel giardino? — domandò lei, portandosi una mano agli zaffiri che le
ornavano il collo. — Non ripensate al bacio che ci siamo scambiati?

— Non riesco a smettere di pensarci. — Montoya si sporse in avanti,


l’afferrò e l’attirò a sé, stringendola forte, come se qualcosa in lui
avesse rotto gli argini. — Ogni mattina quando mi sveglio e ogni sera
prima di addormentarmi.

Amelia sentì quello sguardo ardente posarsi sulla sua bocca, così si lec-
cò il labbro inferiore e inalò a pieni polmoni il profumo della sua pelle.
Aveva un odore esotico, speziato, animalesco, che fece scattare
istintivamente qualcosa dentro di lei.
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— Fatelo — gli disse in tono provocatorio, mentre il petto si muoveva


contro il suo in ansiti affannosi.

Montoya imprecò sottovoce. — Voi non lo amate.

— Vorrei tanto — mugugnò lei, infilandogli le mani sotto la redingote e


appoggiandole sul panciotto. Era bollente, sembrava quasi febbricit-
ante. Riusciva a percepire quel calore anche sopra il tessuto.

— Il vostro cuore è già impegnato?

Lei emise un sospiro tremante. — In un certo senso...

— Perché proprio io?

— Perché quella maschera? — ribatté lei, odiando la sensazione di es-


sere messa a nudo a ogni sua domanda.

Lui puntò gli occhi sul suo viso. — Credetemi, non vi piacerebbe per
niente vedere il mio volto.

Amelia rimase profondamente scossa dalla fermezza della sua voce.


Un senso d’inquietudine s’impadronì di lei al punto da spingerla a fare
un passo indietro, ma lui la bloccò.

— Ora risolviamo questa cosa — le disse, accarezzandole una guancia


con la mano nodosa. — Che cosa volete da me?

— Mi avete avvicinata a causa di St John?

Montoya fece segno di no con la testa. — Il motivo è semplice: ho visto


una bellissima donna, ho perso il buonsenso e l’ho fissata, mettendola
in imbarazzo. Così ho cercato di scusarmi, ecco tutto. — Le appoggiò le
mani sulla schiena e la strinse più forte, facendole inarcare la schiena.
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Era così massiccio, così tonico che Amelia avrebbe voluto restargli vi-
cino e toccarlo senza impedimenti. Soltanto un uomo l’aveva tenuta
stretta così. Fino a qualche tempo prima, avrebbe giurato che la capa-
cità di gioire di un simile abbraccio con ogni singola fibra del proprio
essere fosse svanita insieme a Colin. Adesso sapeva che non era vero.

Che cosa straordinaria aver trovato Montoya!

O forse era più opportuno dire: che fortuna che fosse stato lui a
trovarla!

— Quella sera... vi siete accorto che stava arrivando qualcuno — gli


fece notare.

— È vero — ammise lui, stirando le labbra. — Sono un tipo losco, con


un passato torbido. Ecco perché non dovreste cercarmi.

— Bastava non venire!

Un passato torbido, che gli aveva consentito di riconoscere dei segnali


in codice che molti aristocratici non avrebbero nemmeno notato. Chi
si celava dietro quella maschera?

Lui incurvò le labbra in un’espressione divertita e Amelia gliele sfiorò


con la punta delle dita. Non intravedeva alcuna deformità oltre i fori
per gli occhi, né intorno alla bocca. L’unica cosa che riusciva a vedere
erano due cavità nere dal taglio leggermente orientale e due labbra
nate per peccare: la loro curvatura, la forma e il turgore rapp-
resentavano la perfezione. Immaginò di baciarlo per ore senza stufarsi.
Qualunque cosa fosse che non andava in lui, sarebbe riuscita a soppor-
tarla; così posò le dita sull’orlo della maschera.

— Voglio vedervi.
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— No! — gridò lui allontanandole bruscamente le mani, per poi affer-


rarle e baciarne il palmo. Il contatto con le sue labbra produceva un
leggero formicolio, percepibile anche con i guanti. — Credetemi,
sarebbe difficile da accettare.

— È per questo che non intendete farmi la corte?

Montoya si immobilizzò. — È questo che volete?

— Provate la stessa attrazione anche per altre donne? — replicò


Amelia, fissandogli la gola e vedendo che deglutiva a fatica. — A me è
successo soltanto con una persona che ho perso, proprio com’è cap-
itato a voi.

D’un tratto la sua stretta si fece più vigorosa e lui le baciò la fronte con
ardore. — L’altra volta mi avevate parlato di un amore perduto — disse
con voce roca.

— A volte è come se una parte di me non ci fosse più; è quasi insop-


portabile. Non capisco perché questo sentimento sia ancora così vivo
dopo tanti anni. Sembra quasi che inconsapevolmente io sia ancora
convinta che lui possa tornare. Ma quando sono in vostra compagnia,
penso solo a voi.

— Ve lo ricordo?

Lei scosse il capo. — Lui era pieno di vita, voi siete più contenuto, ma
in maniera... primitiva — spiegò lei, con un sorriso imbarazzato. — So
che sembra stupido...

— Siete voi a farmi questo effetto — mormorò lui, sfregando la guancia


contro la sua tempia. Le stava così vicino che il suo odore le accendeva
tutti i sensi e le faceva venire il capogiro. Amelia sentì nascere dentro
di sé un calore dolce e festante e le parve di essere rinata, dopo anni di
92/325

torpore. Il senso di colpa si innestava sulla sensazione di tradire Ware,


ma non poteva resistere all’attrazione che provava per Montoya. Era
troppo forte, troppo inebriante e travolgente.

— Mi piacerebbe tanto indagare oltre — azzardò timidamente.

— Mi state facendo delle avance, signorina Benbridge? — le chiese


l’uomo con una punta di divertimento di cui lei si innamorò all’istante.
Quello era esattamente il tipo di umorismo che tutti cercavano di imit-
are, e la sua mente già vagava alla ricerca di qualcosa che potesse
divertirlo.

— Voglio rivedervi.

— Non se ne parla nemmeno — rispose lui in tono fermo, stringendola


forte al petto. Amelia si sentiva al sicuro in quell’abbraccio forte, caldo,
meraviglioso. Due persone potevano restare abbracciate per ore? Si
lasciò sfuggire uno sbuffo derisorio: passare ore intere a baciarsi e
stringersi... Ormai era completamente alla deriva.

— Perché sbuffate?

Lei arrossì. — Non cercate di cambiare discorso.

— Dobbiamo separarci — disse Montoya, emettendo un sospiro che


aveva tutta l’aria di essere carico di rammarico. — Ormai è molto
tempo che mancate alla festa.

— Perché non vi siete mostrato subito, quando sono arrivata?

Montoya tentò di allontanarsi, ma lei lo trattenne. Standogli accanto,


aveva un certo potere. Era chiaramente combattuto tra la voglia di
stringerla forte e l’impulso di scappare.
93/325

Amelia sfoderò un sorriso da donna matura. — Non riuscite a las-


ciarmi andar via, vero?

— È vanità quella che ho appena sentito nella vostra voce?

— O forse voglia di evasione?

L’improvvisa apparizione di una fossetta sul suo volto le fece venire le


farfalle allo stomaco. — Se le circostanze fossero diverse, niente po-
trebbe impedirmi di rendervi mia.

— Ah, sì? Vi fareste avanti con nobili intenzioni oppure tentereste di


sedurmi, proprio come adesso?

Se c’è qualcuno che sta tentando di sedurre qualcun altro, quella siete
proprio voi.

— Davvero? — Amelia sentiva i seni gonfi e pesanti premerle contro il


corsetto. Aveva la bocca secca e le mani sudate. Era lei a sentirsi og-
getto di un’opera di seduzione. Era possibile che anche il corpo di
Montoya si stesse infiammando allo stesso modo per lei? — E cosa
starei facendo?

— Perché? — domandò lui con un sorriso provocante. — Sareste in


grado di fare di più?

— Sì. Vi piacerebbe?

— Quand’è che siete diventata così civettuola?

— Magari lo sono sempre stata — ribatté lei, facendogli gli occhi dolci.

Montoya si fece pensieroso. — Ware riesce a tenervi a bada? — chiese,


prendendola per i polsi e allontanandole le mani dal petto.
94/325

Amelia aggrottò la fronte, mentre lo guardava dirigersi verso la porta.

— Siete un pericoloso fardello — disse lui, stringendo le palpebre e ab-


bassando la mano sulla maniglia.

— Io non sono un fardello — ribatté lei con le mani sui fianchi.

— Senza qualcuno che vi tenga costantemente d’occhio, vi caccerete


sempre nei guai.

Amelia inarcò un sopracciglio. — È una vita che sono guardata a vista.

— Eppure eccovi qui a sedurre uno sconosciuto con delle miniature


provocanti e a comportarvi in modo alquanto inappropriato.

— Bastava non venire! — ripeté Amelia battendo un piede a terra, irrit-


ata da quel tono di sufficienza.

— Avete proprio ragione, infatti non lo farò più.

Quel tono era troppo familiare. Montoya le aveva chiesto se le ricor-


dava Colin. Fino a quel momento, no. Era diverso di corporatura, la
sua voce aveva un’inflessione e un accento per nulla simili, e anche il
suo passo aveva qualcosa di particolare. Colin marciava pesantemente,
come a voler imporre la propria presenza. Montoya, invece, aveva
un’andatura regale, una maniera più pacata di esprimere il proprio
potere.

Eppure quell’ostinata determinazione a volerla mettere da parte... Be’,


in quello erano davvero uguali. Da ragazzina, non poteva far altro che
tollerare quell’atteggiamento, ma ora non più.
95/325

— Come volete — rispose, avvicinandosi e facendo dondolare i fianchi.


— Se per voi è così facile andare via e lasciarvi tutto alle spalle, allora è
meglio che andiate.

— Non ho detto che sia facile — ringhiò lui.

Amelia appoggiò la mano sulla sua, sopra la maniglia. — Arrivederci,


conte Montoya.

Lui girò la testa di lato e lei sospirò, premendo le labbra sulle sue.
L’uomo rimase immobile e le lasciò prendere il comando, inclinando il
capo per rendere più profondo il contatto. Il suo respiro si fece più af-
fannoso e la pelle gli si incendiò, eppure continuava a rimanere fermo.
Lei non sapeva come procedere e senza il suo aiuto si sentiva goffa e
impacciata, o forse si stava scervellando troppo sulla questione.

Così decise di lasciarsi andare: chiuse gli occhi e concesse all’istinto di


prendere il sopravvento. Gli poggiò delicatamente le mani sulle spalle
e lui fu percorso da un brivido. Poi gli passò la lingua sul labbro inferi-
ore. Amelia sentiva lo stomaco contorcersi follemente per il piacere e
la paura. E se qualcuno li avesse scoperti? Che giustificazione avrebbe
trovato?

In fondo, non le importava. Era troppo bello poter fare di lui ciò che
voleva; anche se se ne stava lì immobile, infatti, non cercava di fer-
marla. Allungò le braccia dietro di lui e si sfilò un guanto, poi affondò
le dita tra i suoi capelli e quando furono ancora più vicini perse com-
pletamente la ragione. Spalancò di colpo la bocca e insinuò la lingua
all’interno, gustandosi quel sapore come se si trattasse del suo dolce
preferito, poi gli tirò il codino e lui imprecò.

La lingua del conte si muoveva con la sua, scivolava morbida ed esper-


ta nella sua bocca, facendola gemere. Quel suono delicato fece scattare
qualcosa in lui: così, la prese e la sbatté contro la porta con un
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movimento tanto repentino che Amelia quasi non se ne accorse. Si rit-


rovò con il corpo di un uomo grande, grosso ed eccitato che la teneva
inchiodata al pannello e la baciava con ardore.

— Dannazione a voi! — sibilò tra i denti. — Io non posso avervi.

— Non ci avete nemmeno provato.

— Ma se non ho fatto altro! Questo però non cambia il fatto che la mia
condizione mi rende inadeguato e pericoloso per voi.

Montoya le mise una mano dietro la nuca e si impossessò con un gesto


famelico della sua bocca. Quello era un bacio misterioso, carico di in-
tenti sessuali. Delizioso. Amelia si abbandonò contro la porta e se lo
gustò. La stuzzicava con la lingua, la mordicchiava e l’accarezzava con
le sue labbra dolcissime. Lei lo accoglieva con passione e reclamava
con dei piccoli mugugni altri baci che non facevano che accrescere il
suo ardore.

Tra di loro c’erano una maschera e infiniti segreti. C’era il muro che si
ergeva tra due sconosciuti che non condividevano altro se non quel
singolo momento, eppure lei sentiva uno strano legame.

Era solo puro piacere? Come poteva essere, se non lo vedeva nem-
meno per intero? Eppure il sangue le ribolliva nelle vene, i seni le dol-
evano e tra le gambe si sentiva bagnata. Quella lussuria faceva parte di
qualcosa di ben più grande.

— Amelia — sussurrò lui con voce roca, un alito caldo sulla sua pelle
sudata. Sfregò le labbra sulla sua guancia, dalla mascella fino allo
zigomo e poi più su. — Vorrei spogliarvi, adagiarvi sul letto e baciarvi
dappertutto.
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Lei fu percorsa da un brivido per il modo sensuale in cui aveva pro-


nunciato il suo nome e per le immagini che quelle parole suscitarono
nella sua mente. — Oh, Reynaldo...

— Devo lasciare la città per impedire che questo accada. Non avevo al-
cun diritto di spingermi così in là. Non ora.

— E quando, allora? — Tormentata dalla brama e dal corpo che re-


clamava quel desiderio inappagato, Amelia gli avrebbe promesso qua-
lunque cosa pur di rivederlo.

— Voi avete Ware, un amico di lunga data che può darvi ciò che io non
posso.

— Magari potremmo essere amici.

— Non mi conoscete abbastanza bene da potermi chiamare in quel


modo.

— Allora desidero approfondire la vostra conoscenza. — La sua voce


era puro miele. Non le era mai capitato di comportarsi così, ma fun-
zionava: se ne accorgeva perché lui la stringeva più forte. — E vorrei
che faceste altrettanto con me.

Montoya si tirò indietro e Amelia d’un tratto capì che era la maschera
a eccitarla. Strano, ma vero: non la trovava allarmante, ma confort-
ante. Si sentiva troppo esposta e quella maschera, in un certo senso,
offriva un riparo anche a lei.

— L’unica cosa che dovete sapere sul mio conto — disse lui con voce
roca — è che ci sono persone che vorrebbero vedermi morto.
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— Quest’affermazione sicuramente spaventa le altre donne — ribatté


lei, avvicinando di nuovo le labbra alle sue. — Ma io convivo tutti i
giorni con questi problemi.

— Non riuscirete a farmi cambiare idea — borbottò il conte, leccandole


il labbro superiore e facendo esattamente tutto il contrario di quel che
predicava.

— Io stavo cercando di andarmene. Siete stato voi a trattenermi!

— Ma siete stata voi a baciarmi!

Amelia fece spallucce. — La vostra bocca era sulla mia traiettoria. Non
ho potuto schivarla.

— Voi siete un vero impiccio. — Chinando il capo, lui le scoccò un ul-


timo, dolce bacio al quale Amelia si abbandonò a occhi chiusi. — Ora
dobbiamo separarci, prima che ci scoprano.

Lei annuì: ormai si era assentata troppo a lungo. — Quando vi rivedrò?

— Non lo so. Dopo il vostro matrimonio, forse. O magari mai più.

— Perché? — Gli aveva rivolto quella domanda infinite volte, quella


sera, e non riusciva a ottenere risposta. Possibile che non riuscisse a
capire quanto fosse bello sentirsi così vivi insieme? Lei non aveva
compreso quanto fosse assopita finché non l’aveva incontrato.

— Perché Ware può darvi ciò che io non posso.

Amelia era sul punto di replicare quando la maniglia cigolò. Trattenne


il fiato, rimanendo immobile. Montoya, al contrario, si allontanò rapi-
damente e fu inghiottito di nuovo dall’oscurità. Amelia si scansò, con-
sentendo alla porta di aprirsi.
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— Milord — sussurrò, facendo la riverenza.

Ware entrò e aggrottò la fronte. — Che cosa ci fate qui? Ho passato al


setaccio tutta la casa alla vostra ricerca — disse, scrutandola. — Avete
qualcosa da dirmi, vero? — chiese subito dopo, serrando la mascella.

Amelia fece un cenno quasi impercettibile con il capo e allungò una


mano tremante verso di lui, che la prese e la condusse fuori della
stanza, soffermandosi ancora un attimo sulla soglia per dare un’ultima
occhiata. Non notando nulla di strano, la portò via da Montoya, verso
un futuro molto meno ordinario di come era stato negli ultimi giorni.

— Ecco, questo è tutto — concluse Amelia, rigirandosi il cucchiaino tra


le dita.

Il conte di Ware allungò la mano e la depose su quella della sua fidan-


zata per farla smettere. — Non è il caso di essere nervosa — sussurrò,
ripercorrendo nella propria mente ciò che gli aveva appena raccontato.

— Non siete arrabbiato con me? — domandò lei, osservandolo con gli
occhi verdi pieni di stupore e apprensione.

— Non posso certo dire di essere felice, ma non sono nemmeno arrab-
biato — rispose Ware, abbozzando un sorriso e sistemandosi meglio
sulla sedia.

Erano in terrazza, a casa di St John, e sorseggiavano una tazza di tè


prima del loro consueto giro a cavallo nel parco. Lui aveva trascorso le
ore precedenti il loro incontro in trepidante attesa perché voleva par-
larle. Sapeva che aspetto aveva una donna dopo un incontro appas-
sionato, perciò apprese con tristezza che le confessioni di Amelia non
facevano che confermare i suoi sospetti.
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— Non so che fare — gli confessò Amelia con aria sconsolata. — Temo
di essermi spinta troppo in là.

— E io temo di non potervi essere molto d’aiuto — ammise lui. — Noi


siamo amici, tesoro mio, ma io sono prima di tutto un uomo e non mi
piace sentire che provate per un perfetto sconosciuto sentimenti che
invece non provate per me.

Lei gli strinse forte la mano, mentre le guance le si accendevano di un


rosso vivo. — In questo momento, neanch’io mi piaccio molto. Voi mi
siete molto caro, lo siete sempre stato e non meritate il trattamento
che vi ho riservato. Spero che, in cuor vostro, possiate perdonarmi.

Ware fissava con aria assorta il giardino sul retro, anche se in realtà
non si poteva definire propriamente così: era più un prato costellato
qua e là da qualche bassa aiuola. — Siete perdonata — disse a un
tratto. — E apprezzo la vostra sincerità. Al posto vostro non credo che
sarei riuscito a rivelarvi tutto. Tuttavia, non posso avere una fidanzata
che si comporta in questo modo, soprattutto in occasioni pubbliche.

Lei fece un cenno di assenso e assunse l’espressione di una bambina in


castigo. Anche se sapeva che quel rimprovero era necessario, Ware
non era felice di doverglielo muovere.

— Amelia, dovete decidere una volta per tutte se desiderate diventare


mia moglie oppure no. Se volete andare avanti con i preparativi,
dovete comportarvi in modo adeguato e agire in buona fede — le disse,
alzandosi in piedi e facendo roteare le spalle per sciogliere la tensione.
— Dannazione! Non voglio sentirmi come se vi stessi costringendo a
sposarmi.

Anche Amelia scattò in piedi e le sottane di mussola a fiori le ricaddero


giù con grazia. — Siete arrabbiato — osservò, alzando una mano. — Lo
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capisco. Ne avete tutti i diritti. Se mi aveste fatto una cosa simile, sarei
stata furiosa allo stesso modo.

Andò verso la balaustrata di marmo e vi appoggiò le mani. Lui la seguì


e le si mise accanto, con la schiena rivolta verso il prato.

Era incantevole, quel pomeriggio, pensò lui, come d’altronde ogni


giorno. Aveva i boccoli neri incipriati che le ricadevano sulle spalle, un
incarnato eburneo, gli occhi verdi come giada e le labbra rosse come il
vino. Una volta le aveva confessato che lei era l’unica donna a ispirarg-
li delle poesie, e poi erano scoppiati a ridere. Amelia apprezzava la sua
stravaganza. Ware era stravagante soltanto con lei.

— Se ci sposiamo — gli sussurrò — avete intenzione di restarmi fedele?

— Questo dipende da voi — rispose il conte, studiandola attentamente.


— Se vi sdraiate e mi supplicate di fare alla svelta, probabilmente no. A
me piace fare sesso, Amelia. Lo desidero e non ho intenzione di rinun-
ciare a questo piacere per nulla, nemmeno per mia moglie.

— Ah — fece lei, distogliendo lo sguardo con un sospiro.

Un soffio di vento le scompigliò dolcemente i capelli e un boccolo le


sfiorò la pelle nuda all’altezza delle spalle, facendole venire i brividi.
Non tremava perché aveva freddo, ma per la sensazione di quella
carezza. Ware notò la sua reazione; non si lasciava mai sfuggire un
dettaglio, e li catalogava a uno a uno per poterli usare in futuro.
Amelia era una creatura sensuale e dotata di tatto, e lui apprezzava
queste due qualità; non aveva mai cercato di cambiarla, fiducioso del
fatto che un giorno sarebbe stata sua. Quel giorno avrebbe potuto in-
segnarle come sviluppare quel lato di sé solo per lui.

Ora, aveva altro a cui pensare.


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— Credo che insieme potremmo divertirci molto — le disse, dandole


un dolce buffetto sulla mano. — Penso che il sesso tra noi potrebbe es-
sere più che perfetto, ma soltanto se vi aprirete a me completamente,
senza pudore e senza riserve. Se il talamo nuziale sarà accogliente, non
andrò altrove. Non sono il tipo che si lancia alla conquista di altre
donne; voglio semplicemente fare sesso divertendomi. Se posso farlo
con la mia donna, tanto meglio. Mi costerà meno fatica.

Era certo di averla scioccata con tanta franchezza, ma erano le parole


giuste per descrivere quanto gli piacesse quel passatempo, ed era
meglio che lei se ne rendesse conto subito. Non ci sarebbero stati rap-
idi amplessi e mugugni al buio, bensì tanta luce e la pelle sudata e
arrossata per molte ore.

— È questo che si intende per passione a letto? — gli chiese Amelia,


con quella che aveva tutta l’aria di essere una genuina curiosità. —
Solo degli istinti animali a briglia sciolta? Non c’è altro?

Lui ci mise un attimo a capire dove voleva andare a parare. — Vi rifer-


ite agli sguardi che si scambiano vostra sorella e St John? Oppure a
come si guardano i Westfield?

— Sì. Sono... come dire? Indecenti, ma al contempo romantici.

— Voi non siete l’unica a notare quell’affetto e a desiderarlo — rispose


lui, con un tenero sorriso.

— Anche voi?

Ware fece spallucce, incrociò le braccia sul petto e appoggiò il fianco


contro la balaustrata. — A volte. Ma non mi consumo per averlo né
soffro per la sua mancanza. Voi, invece, credo di sì.

Lei annuì, sincera come mai prima di allora.


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— Comincio a capire che il mio approccio diretto, mirato ad adularvi,


non è stato il migliore — disse il conte. — Sono partito dal presupposto
che la fine miserevole del vostro primo amore vi avrebbe resa più in-
cline verso una relazione più... stabile, mentre invece voi volete l’esatto
opposto, vero?

Lei si allontanò e prese a camminare avanti e indietro. Si comportava


sempre così quando era agitata. In quelle occasioni, gli ricordava un
animale in gabbia che vagava per scacciare la noia. — Ma io non so
cosa voglio, è proprio questo il problema! — esclamò, gettandogli uno
sguardo che lo gelò.

— Sono soddisfatto. Non chiedo altro.

— Lo siete davvero? — lo incalzò Amelia. — Oppure accettate il fatto


che l’amicizia sia tutto ciò che può avere una persona nella vostra
posizione?

— Conoscete già la risposta alla vostra domanda.

— E chi sposerete, se non me?

— Non ne ho idea e non intendo pensarci finché non sarà strettamente


necessario... o forse mi state suggerendo di valutare un’alternativa?

Amelia si fermò di colpo e soffiò come avrebbe fatto un gattino indis-


pettito. — Io vorrei essere pazza di voi. Ma perché non spetta a me
deciderlo?

— Forse avete cattivo gusto? — la canzonò il conte, mentre lei gli


faceva la linguaccia. — Se è quella maschera a eccitarvi — mormorò
con uno sguardo languido — posso indossarne una, a letto. Certi
giochetti possono essere davvero divertenti.
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Lei sgranò gli occhi, sorpresa, e lui le fece l’occhiolino.

Amelia si portò le mani sui fianchi, per fargli capire che era seccata,
poi inclinò la testa di lato. — State insinuando che forse è soltanto
l’aura di mistero a intrigarmi tanto, milord?

— Dico solo che è una possibilità — rispose lui, mentre il sorriso pian
piano appassiva sul suo volto. — Intendo fare delle ricerche sul vostro
ammiratore. Vediamo se riusciamo a smascherarlo.

— Perché?

— Perché non fa per voi, Amelia. Da dove viene? Da una terra strani-
era? Avete sempre sognato di avere una famiglia. Vi siete appena
ricongiunta con vostra sorella, che razza di futuro potreste avere con
quell’uomo? Senza contare che forse sta tentando di arrivare a me ser-
vendosi di voi.

Lei prese di nuovo a camminare e lui stette lì a osservarla, affascinato


dalla grazia dei suoi movimenti e dal modo in cui le sottane danzavano
magicamente intorno alle sue gambe lunghe. — Tutti sembrano cre-
dere che Montoya non sia interessato a me, ma piuttosto alle persone
che mi circondano. Trovo alquanto umiliante apprendere che proprio
chi dice di amarmi escluda che un altro uomo possa desiderarmi.

— Riesco a fare ben altro che pensarci, Amelia. Lo sento. Non scambi-
ate la mia gentilezza per mancanza di interesse nei vostri confronti.

— Anche St John è sulle sue tracce.

— Se quell’uomo si nascondesse nei bassifondi, St John potrebbe


anche riuscire a scovarlo, ma mi avete detto che il conte è una persona
colta e indossa abiti di fattura pregiata. È più facile che abbia le mie
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stesse frequentazioni, piuttosto che quelle del pirata. Forse la mia


ricerca sarà più fruttuosa.

— E cosa farete se lo trovate? — chiese Amelia, tradendo un certo


sospetto nella voce.

— Mi state chiedendo se gli farò del male? — Quella domanda non era
frivola, dato che Ware era uno spadaccino di fama. — Può darsi.

Il meraviglioso volto di Amelia si deformò in una smorfia. — Lo


sapevo! Non avrei dovuto dirvi niente — urlò.

Ware andò verso di lei. — Sono contento che mi abbiate detto la verità.
Il nostro rapporto sarebbe stato compromesso in modo irreparabile se
mi aveste raccontato una bugia per nascondere la vostra colpa. —
Quando le fu accanto, inspirò a fondo per riempirsi le narici del suo
innocente profumo di caprifoglio. Sospettava da tempo che il suo
corpo assomigliasse al suo fiore preferito, fragrante e dolce come miele
sulle labbra. Le prese il viso tra le mani e glielo sollevò in modo che lo
guardasse negli occhi. C’era qualcosa di nuovo che si agitava sul fondo
di quelle cavità verdi che lo risucchiavano. — Resta il fatto che
quell’uomo sapeva che siete mia e si è preso comunque delle libertà.
Questo è un grave affronto, tesoro mio. Posso perdonare voi, ma non
lui.

— Ware... — Le sue labbra si dischiusero e brillarono nella screziata


luce pomeridiana.

Lui si piegò in avanti per adagiare la bocca sulla sua e lei sussultò,
quando capì le sue intenzioni.

— Buon pomeriggio, milord!


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Amelia e Ware si scostarono di scatto; Maria e suo marito li stavano


raggiungendo in terrazza con al seguito una cameriera che portava un
nuovo servizio da tè.

— Che magnifica giornata! — esclamò il pirata con la sua tipica voce


roca. — Abbiamo pensato di unirci a voi e di goderci insieme questo
bel sole.

Ware afferrò al volo l’avvertimento e con un leggero cenno del capo


fece ancora un passo indietro. Maria gli rivolse un sorriso, compiaciuta
della propria perspicacia. In genere una donna riserva quel tipo di sor-
riso al proprio amante dopo una folle nottata, ma nel caso della si-
gnora St John, quello era l’unico che sapesse sfoggiare, e faceva parte
del suo irresistibile fascino.

— La vostra compagnia ci rallegra molto — dichiarò Ware, avviandosi


insieme ad Amelia verso il tavolo.

Trascorsero il resto della giornata a parlare di cose futili insieme ai St


John, e più tardi continuarono a farlo con le persone che incontrarono
durante la loro passeggiata nel parco. Tuttavia, una parte della mente
di Ware era impegnata a studiare le proprie mosse per conquistarsi da
un lato i favori di Amelia e dall’altra per acchiappare l’uomo mascher-
ato che aveva cercato di portargliela via.

— Siete certo che si chiamasse Simon Quinn?

— Sì — rispose il locandiere, posando un’altra pinta di birra sul


bancone.

— Grazie — disse Colin, afferrando il boccale e dirigendosi verso un ta-


volo nell’angolo. Sapere che qualcuno lo stava cercando lo infastidiva,
tanto più se si spacciava per Quinn. Poteva essere Cartland, oppure
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uno dei suoi, anche se il locandiere sembrava abbastanza sicuro che


non avesse un accento francese.

In ogni caso, non poteva far altro che sedersi e aspettare, avvalendosi
della tecnica di travestimento in cui era così bravo. Un uomo della sua
stazza non riusciva mai a mimetizzarsi del tutto, ma poteva dare meno
nell’occhio camminando un po’ curvo per nascondere la statura e le
spalle larghe. Si era anche lasciato i capelli sciolti, in modo da sem-
brare più rozzo.

Già quel posto permetteva di confondersi tra la folla: le luci erano


basse per non far vedere il sudiciume. Le sedie dagli schienali diritti e i
tavoli rotondi in noce scuro contribuivano a rendere l’ambiente losco.
L’aria era satura dell’odore di birra e di olio bruciato proveniente dalla
cucina. C’era un viavai continuo; alcuni erano clienti abituali con cui
Colin aveva già scambiato qualche parola in passato.

Tanto tempo prima, nella sua vita precedente, frequentava luoghi


simili insieme a suo zio Pietro. Trascorrevano il loro pomeriggio libero
a parlare e Colin si ricordava dei saggi consigli di quell’uomo buono e
onesto. Quanto gli mancava! Pensava spesso a lui e si domandava che
cosa stesse facendo. Era stato lui a insegnargli a essere forte e a com-
portarsi con onore, due qualità che gli avevano sempre permesso di
cavarsela.

Serrò i pugni sul tavolo. Un giorno si sarebbero rivisti e lui l’avrebbe


ringraziato per i suoi preziosi insegnamenti, liberandolo dalla
schiavitù di essere un servo e facendolo vivere negli agi. La vita era
troppo breve e lui voleva che il suo amato zio se la godesse il più
possibile.

— ’Sera — lo salutò qualcuno, distogliendolo dai suoi pensieri.


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In piedi accanto a lui c’era un anziano gentiluomo che passava la mag-


gior parte del suo tempo nelle taverne lungo la strada, offrendo la pro-
pria compagnia a chi gli pagava qualcosa da bere o da mangiare. A
volte udiva delle conversazioni che poi riferiva dietro il compenso di
qualche moneta, ed era ben consapevole che Colin sarebbe stato più
che disposto a dargliele.

— Sedetevi qui — gli disse infatti, indicando una sedia di fronte a lui.

Le ore volarono via veloci. Colin scambiò due parole con chiunque lo
trovasse familiare. Per molti quello era solo un modo per intascare un
po’ di quattrini o per farsi offrire una pinta di birra. Purtroppo non ap-
prese nulla di interessante riguardo a Cartland, ma quell’atteggia-
mento servì comunque per rendere più credibile il proprio
travestimento.

Alla fine, l’uomo che più sperava di vedere fece il suo ingresso avvolto
in un pesante mantello nero. Simon Quinn sedette al bancone, poi si
voltò e vide Colin che agitava la mano per attirare la sua attenzione.

— Santo Cielo! — esclamò, avvicinandosi e slacciando la spilla a forma


di rana che teneva abbottonata la cappa. — Ti ho cercato per tutta
Londra, sono mezzo morto di fame e tu eri qui, nel mio quartiere?

Colin, abbozzò un sorriso. — Sì, perlomeno nelle ultime ore.

Simon imprecò tra i denti e si lasciò ricadere sulla sedia, mentre gli
servivano una birra e qualcosa da mangiare. — Ho una notizia buona e
una cattiva — annunciò.

— Chissà perché la cosa non mi sorprende — ribatté Colin in tono


mesto.

— Qualcuno mi ha tradito, in Francia.


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— Cartland ha spifferato tutto?

— A quanto pare, sì. Credo che sia così che ha provato la propria
fedeltà.

— Quell’uomo non è fedele a nessuno se non a se stesso.

— Verissimo — convenne Simon, portandosi un pezzo di carne alla


bocca e masticandolo avidamente.

— Bene, questa era la cattiva notizia. Quella buona?

— Sono riuscito a ottenere la grazia per tutti, te compreso.

— Com’è possibile, se ci stanno dando la caccia?

Simon gli rivolse un sorriso sinistro. — Leroux era molto prezioso per
l’agente generale, al punto che catturare il suo assassino è diventato
più importante che scovare le spie inglesi. Mi hanno permesso di an-
dare via a patto che facessi ritorno con il colpevole. In più, per essere
certi che non scappassi, hanno trattenuto tutti quelli che Cartland ha
nominato.

Colin si irrigidì. — Mio Dio... Allora dobbiamo agire in fretta.

— Sì — confermò Simon, finendo di bere la sua birra. — E c’è dell’altro.


Mi hanno imposto ancora due condizioni. Prima di tutto, devo per-
suadere lord Eddington a rilasciare una spia francese che tiene pri-
gioniera. Poi dobbiamo riuscire a convincere un membro del gruppo di
Cartland, un certo Dépardue, a testimoniare che Cartland ha confes-
sato di aver commesso il crimine.
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La prima cosa pareva improbabile e la seconda estremamente difficile,


ma Colin aveva intenzione di cogliere al volo qualunque occasione gli
venisse offerta.

“Vorrei approfondire la vostra conoscenza” gli aveva detto Amelia. Se


solo avesse potuto farlo succedere davvero!

— Mi pare che tu l’abbia presa troppo bene — disse Simon, dando un


morso a un pezzo di pane. — In fondo, non è molto.

— Ho visto Amelia — gli confessò Colin. “L’ho toccata, l’ho tenuta tra
le braccia e ho assaggiato il suo sapore” aggiunse nella sua mente.

Simon rimase bloccato con la forchetta a mezz’aria. — E quindi?

— La situazione è complicata, ma sono fiducioso.

Deponendo le posate, Simon fece un cenno alla cameriera perché gli


portasse dell’altra birra. — Come ha preso il tuo ritorno
dall’oltretomba?

Colin si lasciò sfuggire una risata carica di mestizia prima di raccon-


targli com’erano andate le cose.

— Una maschera? — gli domandò l’amico quando il racconto terminò.


— Di tutti i travestimenti di cui sei capace, hai scelto una maschera?

— All’inizio era perfetta, visto che eravamo a un ballo in maschera.


Poi, in un’altra occasione, l’ha vista addosso a Jacques e gli si è avvi-
cinata. Mi è parso opportuno indossarla una terza volta, date le
circostanze.

— Assomiglia moltissimo a sua sorella, più di quanto credessi — osser-


vò Simon, incurvando le labbra e abbozzando il sorriso che gli veniva
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spontaneo ogni volta che pensava a Maria. — Tuttavia, non riesco a ca-
pire perché sei fiducioso, visto che non ha idea di chi tu sia.

— Sì, in effetti questo è un piccolo intoppo — convenne Colin.

— Piccolo? Amico mio, tu sei il mago degli eufemismi! Credimi, non la


prenderà bene; anzi, quando scoprirà che non sei stato casto anche se
hai continuato a dannarti per lei per tutto per questo tempo, avrà la
prova che non la ami.

Colin emise un sospiro e sprofondò ancor di più nella sedia. — Questo


faceva parte del tuo piano! Sei stato tu a dirmi che dovevo diventare
un uomo facoltoso per farla felice.

— Anche per fare la tua felicità. Avresti sempre messo in dubbio il tuo
valore, se ti fossi unito a lei da sottoposto — obiettò Simon, rivolgendo
un sorriso alla ragazza che gli aveva appena portato una pinta di birra;
poi ritornò serio e studiò Colin per un attimo. — Ho sentito dire che è
stata promessa in sposa al conte di Ware.

— Non ancora.

— Potrebbe acquistare un titolo nobiliare, nonostante lo scandalo sus-


citato dal padre e la reputazione della sorella. Sarebbe un bel colpo.

Colin si diede uno sguardo intorno, soffermandosi su ogni avventore


nel tentativo di memorizzarli tutti. — Peccato che non l’ami. È ancora
innamorata di me, o meglio, del ragazzo che ero.

Una bella biondina fece il suo ingresso nella sala, scendendo la scala
che conduceva alle camere da letto al piano di sopra. Indossava un
abito viola scuro e al collo portava un nastro nero con un cammeo al
centro. Sembrava una bambola. I suoi lineamenti delicati e la figura
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slanciata facevano venire voglia di proteggerla, le folte ciglia e le lab-


bra rosse suscitavano istinti carnali.

Colin sollevò le sopracciglia stupito quando lei si voltò e lo guardò


dritto negli occhi. Il suo sorriso gli fece assumere un’espressione con-
fusa e lui stette a osservarla con curiosità mentre si avvicinava e scattò
in piedi non appena si fermò al fianco di Simon, appoggiando una
mano sulla sua spalla.

— Avreste dovuto avvisarmi che eravate tornato, mon amour — gli


disse con un inconfondibile accento francese.

Simon gettò un’occhiata carica di frustrazione a Colin; senza alzarsi,


afferrò la mano della ragazza e la sospinse verso una sedia. Consider-
ato quanto gli piacevano le donne, il suo apparente disinteresse verso
una creatura tanto bella era più che sorprendente. Vista da vicino, era
veramente incantevole: gli occhi azzurri erano incorniciati da lunghe e
folte ciglia color cioccolato e lo sguardo era sottolineato dall’arco per-
fetto delle sopracciglia.

— È lui? — chiese la ragazza rivolta a Simon, esaminando Colin con


aria interessata.

Simon borbottò qualcosa.

Sul volto della ragazza spuntò un ampio sorriso che le lasciò scoperti i
denti bianchi. — Io sono Lysette Rousseau — disse, allungandogli la
mano. — Voi siete monsieur Mitchell, oui?

Colin pareva spaesato e Simon imprecò tra i denti, prima di riprendere


a mangiare. — Forse — rispose, circospetto.

— Eccellente. Se mai dovessi uccidervi, ora so chi siete e mi sarà più


facile.
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— Ma che diavolo andate dicendo?

— Che persona irritante — osservò Simon sottovoce. — Lui è


innocente.

— Lo dicono tutti — ribatté lei.

— Be’, nel suo caso è vero.

— Anche questa è una cosa che dicono tutti.

— Perdonatemi — li interruppe Colin. — Di cosa stiamo parlando?

— Lei fa parte delle garanzie che mi hanno richiesto — spiegò Simon,


indicandola con la forchetta. — Deve fare ritorno in Francia portan-
dosi dietro Cartland, oppure me o te.

— Oppure una confessione — precisò lei. — Basta che uno di voi con-
fessi. Vedete? Non sono poi tanto difficile da accontentare.

— Cristo! — esclamò Colin, esaminando la ragazza. Fu allora che si ac-


corse di una fermezza in fondo ai suoi occhi e sulle sue labbra che
prima gli era sfuggita. — Dove le trovi queste femme fatale, Quinn?

— Sono loro a trovare me — borbottò Simon, addentando con de-


cisione una patata.

— Voi vedete solo il lato negativo — disse Lysette, agitando la mano


per chiamare la cameriera. — Siamo in tre a questo tavolo e cerchiamo
tutti la stessa cosa. Io sono qui per aiutarvi.

Simon la guardò di traverso. — Se ritenete che avere questa spada


sulla testa riesca a intenerirmi, mi dispiace ma vi sbagliate di grosso.
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Colin non fu così pronto a liquidarla. — Come potete tornarci utile?

— In molti modi. — Lysette fece una pausa per ordinare del vino alla
ragazza. — Pensate ai posti in cui io potrei andare e voi no e a tutte le
persone con le quali potrei parlare, le mansioni che potrei svolgere in
qualità di donna e che voi uomini invece non potete fare. Le possibilità
sono quasi infinite — concluse, portandosi una mano al cammeo, ma
Colin non riusciva a immaginare che quella donna fosse davvero ca-
pace di uccidere.

— Cosa c’entra Dépardue con voi? — le chiese.

Il viso della ragazza si rabbuiò. — Se lui risolve la faccenda, mi eviterà


la fatica di doverlo fare io.

— L’agente generale non vuole lasciare nulla al caso — gli spiegò Si-
mon. — Dépardue sorveglia Cartland e Lysette sorveglia me. In prat-
ica, svolgono lo stesso compito. Lei è... come dire... una garanzia
ulteriore.

— Dépardue non sarebbe per niente felice di sapere che qualcuno


sospetta che lui possa fallire. — Colin si girò verso Lysette e si
domandò come avessero fatto a convincerla. — Perché lo fate?

— Ho le mie ragioni. Vi do un consiglio — disse lei, fissandolo dritto


negli occhi. — Potete star certo di una cosa: nessuno più di me vuole
che l’assassino di Leroux sia assicurato alla giustizia.

— Questa storia non mi piace. Ho già Cartland alle calcagna, e ora una
serpe tra le nostre file.

Simon gli fece un cenno d’intesa e Lysette mise su il broncio. —


Preferirei essere Eva piuttosto che il serpente — obiettò, prendendo la
coppa di vino che la ragazza le porgeva.
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— Eva era seducente — ribatté Simon.

A Colin andò di traverso la birra: non aveva mai visto il suo amico es-
sere scortese con una donna.

— Cos’avete scoperto finora? — domandò Lysette, non prestando caso


alla maleducazione di Simon e concentrandosi soltanto su Colin.

— Trascorro le mie giornate cercando di evitare Cartland, mentre di


notte gli do la caccia.

— Questo è il piano più ridicolo che abbia mai sentito — lo derise lei.

— E cosa mi suggerite di fare? Io non so nulla di queste faccende.

— Allora dovete imparare. — Lysette bevve una lunga sorsata del suo
vino rosso e poi si leccò le labbra. Si sistemò bene sulla sedia, con la
schiena diritta e il mento sollevato: si vedeva che aveva ricevuto una
buona educazione e un’ottima istruzione. — Non potete combinare ni-
ente mentre vi nascondete, perché questo è esattamente ciò che si as-
petta Cartland. Perché non prendete contatto con l’uomo per cui lavor-
ate entrambi? Di sicuro lui dispone delle risorse necessarie per
sbrigare in fretta questa faccenda.

— Quello non è il suo ruolo — intervenne Simon. — Noi gestiamo in


autonomia i nostri incarichi e ne siamo i soli responsabili. Se ci pren-
dono, rispondiamo in prima persona delle nostre azioni. Credo che
anche per voi funzioni allo stesso modo.

Per un attimo, sul volto della ragazza comparve un’espressione pensi-


erosa, che però lasciò subito spazio a un sorriso sbarazzino.

Colin non poteva fare a meno di pensare che fosse un vero pericolo:
era slanciata e femminile, ma sapeva da ciò che aveva sentito dire sulla
116/325

sorella di Amelia che l’apparenza può ingannare. — Avete altri suggeri-


menti, mademoiselle? Che so, potrei andare a cercarlo alla luce del
giorno?

— Magari indossando una maschera — aggiunse Simon, allontanando


il piatto ormai vuoto.

— E perché mai? — chiese la ragazza, squadrando Colin dalla testa ai


piedi. — Sarebbe un peccato nascondere tanta avvenenza — osservò
poi, con un sorriso malizioso. — Io vorrei vedervi tutto.

— Vedete, tesoro, è proprio per questo che non potete essere Eva. Vi
manca il sesto senso necessario per capire che quest’uomo è
impegnato.

— Potreste indossare una benda — gli suggerì lei facendogli l’occhi-


olino. — E chiamarmi con il nome che preferite.

Colin scoppiò in una genuina risata: erano giorni che non gli accadeva.

— Sta’ attento a lei — lo mise in guardia Simon.

— Credo che lascerò a te questo compito. Domani mattina parto per


Bristol. Forse, se scavo nel passato di Cartland, troverò qualcosa di
utile che possa darmi un qualche vantaggio su di lui.

— Bella trovata — disse Simon, torcendo le labbra nello sforzo di


pensare. — Io e Lysette resteremo qui e continueremo le nostre
ricerche.

— Mi sento a disagio a lasciarlo andare da solo — obiettò lei, con una


nota dura nella voce.
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— Vorrà dire che vi rassegnerete all’idea — ribatté Simon, allungan-


dosi sulla sedia con la sua solita grazia insolente: era messo di tra-
verso, con un braccio a penzoloni dietro la schiena e le gambe aperte.

— Nonostante la vostra bellezza — disse lei. — A volte non mi piacete


per niente.

— Su una cosa almeno ci troviamo d’accordo. Bene, il signor Mitchell


sposterà le sue ricerche su un altro fronte, mentre noi due contin-
ueremo a lavorare qui in città.

— Magari preferirei andare insieme a lui — disse Lysette in tono


ironico.

— Ah, davvero? — replicò Simon con eccessivo slancio, tanto da far


scoppiare Colin in una sonora risata. — Che meraviglia! Quantomeno
per me! Spiacente, amico! — esclamò, facendo spallucce e posando
una mano sul tavolo.

Senza che i due quasi se ne rendessero conto, Lysette scattò in piedi,


afferrò un coltello e lo conficcò con precisione nel piano di legno,
proprio tra l’indice e il medio di Simon, che restò immobile a fissarsi la
mano e a chiedersi quanto fosse andato vicino a perdere un dito o due.
— Maledizione — balbettò infine.

— Non fatevi beffe di me e non sottovalutatemi, mon amour — sussur-


rò Lysette, abbassandosi sopra di lui. — Vi sconsiglio di
punzecchiarmi.

— Grazie per la vostra cordiale offerta di unirvi a me — tagliò corto


Colin, alzandosi. — Ma con tutto il rispetto, temo che dovrò declinare.

Lysette lo guardò, stringendo gli occhi.


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— So che non vi fidate di me neanche un po’ — aggiunse lui. — Ma


state pur certa che ho almeno un milione di validi motivi per riscattare
il mio nome e nemmeno uno che mi spinga a darmela a gambe.

Lei non si mosse per un attimo, poi sollevò leggermente un lato della
bocca. — La vostra donna è qui.

Colin non rispose, ma d’altronde non ce n’era bisogno.

La ragazza fece un gesto grazioso con la mano per mandarlo via. — Al-
lora sono certa che non andrete lontano. Vi auguro buona fortuna.

Colin le fece un rapido inchino, s’infilò una mano in tasca e gettò al-
cune monete sul tavolo. — Pregherò per te — disse rivolto a Simon,
dandogli una pacca sulla spalla mentre si allontanava.

L’amico, in tutta risposta, lo salutò con una violenta bestemmia.

La casa era piccola ma carina, e si trovava in un quartiere rispettabile.


Il conte di Ware l’aveva acquistata tre anni prima, e da allora di rado
era rimasta disabitata.

Quella sera, le finestre al piano inferiore erano tutte buie, ma si in-


travedeva la luce di una candela che filtrava attraverso una persiana
alzata al secondo piano. Ware infilò la chiave nella toppa ed entrò.
Aveva assegnato l’incarico a due servitori fidati e discreti, marito e
moglie, di prendersi cura della casa. Di sicuro erano già andati a
dormire, e dato che non aveva bisogno dei loro servigi, Ware decise di
non disturbarli.

Lasciò il cappello sull’appendiabiti, seguito subito dopo dal cappotto.


Sotto indossava un completo da sera. Ultimamente partecipava a
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molte serate mondane, ma quella sera era stata leggermente diversa


dalle altre. Amelia era diversa e anche lui si era sentito diverso. La
consapevolezza tra loro era mutata. Lei lo vedeva sotto una nuova luce
e lo stesso era successo a lui.

Salì i gradini che lo conducevano al piano superiore e si fermò davanti


alla porta sotto la quale filtrava un po’ di luce. Sospirò e si concesse un
istante per godersi quel momento in cui il cuore prendeva a battere
più forte e sentiva crescere dentro di sé l’eccitazione. Alla fine girò la
maniglia, scivolò nella stanza e trovò la sua amante dai capelli corvini
e dagli occhi a mandorla che leggeva tranquillamente a letto.

Lei sollevò lo sguardo e i loro occhi s’incontrarono. Ware stette a os-


servarla mentre dischiudeva le labbra e cominciava a respirare in
modo più rapido. Con uno scatto deciso richiuse il libro e lui la porta
alle sue spalle.

— Milord — lo salutò Jane, gettando le coperte di lato e rivelandogli le


sue forme ben proporzionate. — Speravo proprio che saresti venuto a
farmi visita, stasera.

Ware incurvò le labbra in una smorfia maliziosa: lei lo voleva, e ciò


significava che il primo amplesso sarebbe stato rapido. Dopo si
sarebbero presi il loro tempo, ma per il momento non serviva amoreg-
giare, e questo si addiceva al suo umore.

Aveva desiderato possedere quella vedova bellissima dal primo mo-


mento in cui l’aveva vista. Quando la sua relazione con lord Riley era
finita, Ware le si era avvicinato in tutta fretta per paura che gliela por-
tassero via. Lei all’inizio si era lasciata corteggiare, era stata entusiasta
di averlo conosciuto. Stavano bene insieme e il sesso era davvero
piacevole.
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Ware si tolse la redingote e lei si slacciò la cintura della vestaglia. Qu-


alche istante dopo era seduta sul bordo del materasso con le gambe
aperte e lui la penetrava stando inginocchiato davanti al letto, pom-
pando forte con i muscoli possenti per impossessarsi di quel corpo ar-
dente. In quel vortice di piacere carnale, dimenticò per un attimo la
frustrazione e il disagio.

Ma la tregua non durò a lungo.

Un’ora dopo se ne stava disteso sulla schiena con una mano dietro la
testa, mentre una leggera brezza notturna gli accarezzava la pelle
sudata.

— È stato bellissimo — sussurrò Jane, con la voce arrochita dal pi-


acere. — Sei sempre così selvaggio, quando sei pensieroso.

— Pensieroso? — ripeté Ware, ridendo e stringendola più forte a sé.

— Sì. Lo sento quando c’è qualcosa che ti turba — spiegò lei, ac-
carezzandogli il petto.

Ware fissava il soffitto decorato di stucchi e pensò di nuovo a quanto


quella camera la rispecchiasse, con le tonalità di rosa e di crema e il
mobilio dorato. L’aveva incoraggiata a non badare a spese e a pensare
soltanto ad arredarla a piacimento, perché si era accorto, passando da
un’amante all’altra, che si può capire molto di una donna dal gusto che
possiede nell’arredamento.

— Dobbiamo parlare di cose spiacevoli?

— Possiamo trasformare le tue frustrazioni in sfinimento — rispose lei,


tirando su la testa e guardandolo con occhi divertiti. — Non mi dispi-
acerebbe affatto.
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— Nemmeno a me — disse lui, scostandole una ciocca di capelli umidi


dalla fronte.

— Anche se sarebbe soltanto una soluzione temporanea. In qualità di


donna, dovrei essere capace di aiutarti quando hai un problema che,
suppongo, ha a che fare con una femmina.

— Ma tu mi stai già aiutando — ribatté lui.

Jane sollevò le sopracciglia per esprimere il proprio scetticismo, ma


non fiatò. Così lui prese a parlarle dei propri pensieri come se fosse
un’amica e una confidente. Era una persona dolce, forse la più dolce
che conoscesse. Non era il tipo che cercava di ferire gli altri o di farsi
strada alle spese di qualcuno.

— Ma tu lo sai che un uomo della mia levatura non viene quasi mai
visto come una persona e basta? — le domandò. — Io sono possedi-
menti, denaro, prestigio, ma di rado più di questo.

Lei lo ascoltava in silenzio.

— Ho trascorso la mia gioventù nel Lincolnshire, dove mi hanno edu-


cato a pensare a me solo come al conte di Ware e non come a un indi-
viduo. Non avevo altri interessi al di fuori dei miei doveri, nessun obi-
ettivo a parte il mio titolo. Mi hanno indottrinato così bene che non mi
è mai passato per la testa di volere qualcosa di mio, qualcosa che non
avesse nulla a che fare con la contea ma che fosse semplicemente
dettato dalla mia volontà.

— Sembra un’esistenza davvero triste.

Lui si limitò a dare una scrollata di spalle e si sistemò un altro cuscino


dietro la testa. — Non avevo la minima idea che si potesse vivere in un
altro modo.
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Fece una pausa e dopo un attimo lei lo incalzò. — E poi?

— E poi, un giorno, ho scavalcato i confini della mia proprietà e mi


sono imbattuto in un monello che pescava nel mio torrente.

Jane sorrise, poi si allontanò dal suo abbraccio e si alzò dal letto per
recuperare la vestaglia e andare verso il comò a prendere qualcosa da
bere. — E chi era?

— Un servitore che lavorava nella residenza accanto alla mia. Stava as-
pettando la figlioletta del suo padrone. Avevano stretto una strana
amicizia, e la cosa mi intrigava.

— A quanto pare intrigava anche la ragazzina — osservò lei, facendo


roteare il bicchiere di brandy sopra la fiamma di una candela per
scaldarlo.

— Già! Lei era giovane, libera e ribelle. La signorina Benbridge mi ha


mostrato quanto sia diverso il mondo visto dalla prospettiva di chi sof-
fre. Non sapeva che ero nobile e mi trattava come quel servitore, con
giocoso affetto.

Jane sedette sul bordo del letto e bevve una sorsata, prima di al-
lungargli il bicchiere. — Credo che piacerebbe anche a me.

— Sì — disse lui con un sorriso. — E credo che anche tu le piaceresti.

Non si sarebbero mai incontrate, certo, ma non era questo il punto.

— Ti ammiro per aver deciso di sposarla nonostante l’onta del padre.

— E come potrei non sposarla? È stata lei a insegnarmi che sono un es-
sere umano e ho un valore in quanto tale. La mia boria aristocratica
ora è stemperata dalla mia presunzione personale.
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Jane scoppiò a ridere e si accoccolò vicino a lui. — Questa è una bella


fortuna per tutti!

Ware le passò una mano tra i capelli. — Non dimenticherò mai quel
pomeriggio in cui, con aria innocente, mi disse che ero dannatamente
bello. Per questo a volte perdeva il filo, guardandomi. Nessuno mi
aveva mai detto una cosa simile. Credo non ci sia molta gente che se lo
sia sentito dire. In genere, quando si balbetta è perché ci si sente in
soggezione, non per ammirazione verso qualcuno.

— Anch’io ti ho detto che sei affascinante — disse lei con una luce negli
occhi che confermava quanto affermava. — Ci sono pochi uomini belli
come te.

— Può darsi che sia vero. Io non mi paragono agli altri, quindi non
posso saperlo per certo — rispose lui, buttando giù una bella sorsata.
— Ma sospetto di risultare più attraente se sono io a crederci per
primo.

— Avere fiducia in se stessi è un potente richiamo.

— Siccome lei non si aspettava niente da me, io ero libero di essere me


stesso. Era la prima volta che potevo parlare liberamente, senza i vin-
coli imposti dal mio lignaggio. Con lei ho fatto pratica su come si
corteggia una donna e ho detto a voce alta cose che non mi sarei nem-
meno immaginato di poter pensare. Credo di essere diventato quel che
sono anche grazie a lei.

— Pensi di esserle debitore? — gli chiese Jane, facendo scorrere la


punta delle dita lungo la sua coscia nuda.

— In parte sì, ma la nostra relazione non è mai stata a senso unico. In-
sieme facevamo esercizi di portamento e molta conversazione. Io
avevo esperienza, in questo campo, e lei così si sentiva protetta.
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— L’hai resa più formale.

— Sì, ma ci abbiamo guadagnato entrambi.

— E ora appartiene a te — concluse Jane — perché in un certo senso è


una tua creatura.

— Ma io... — balbettò Ware, aggrottando la fronte. Era semplicemente


un senso di possesso a provocare quel malcontento? — Non sono
sicuro che le cose stiano proprio così. Una volta è stata innamorata, o
perlomeno così dice, e si strugge ancora per lui. Non ne sono felice, ma
lo accetto.

— Forse sarebbe più esatto dire che lo tolleri? — lo corresse Jane con
un dolce sorriso. — Dopotutto, lei non può provare sentimenti troppo
forti per te, se il suo cuore è altrove.

Lui tracannò d’un fiato il brandy e sentì il liquido caldo scendergli giù
per la gola, poi allungò il bicchiere verso di lei come muta richiesta di
versargliene dell’altro. — Se questo è vero, allora perché mi dà tanto
fastidio che lei sia attratta da un altro uomo?

— Non direi che sei infastidito — rispose Jane, alzando le sopracciglia.


— Forse... geloso?

Ware scoppiò a ridere. — Magari entrambi? — azzardò, agitando una


mano come per liquidare l’argomento. — Può darsi che mi senta punto
nel mio orgoglio maschile perché lei non ha mai provato un simile in-
teresse nei miei confronti. Non saprei dirlo con certezza. So solo che
per l’ennesima volta mi metto in discussione e mi domando se ho fatto
bene a concederle tempo e spazio per poter guarire dal mal d’amore.

— Chi è l’altro? — domandò Jane, fermandosi al centro della stanza.


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Ware le spiegò la situazione.

— Capisco — mormorò lei alla fine, riempiendogli il bicchiere e


riscaldando di nuovo il liquore, prima di riportarglielo. — Sai che ero
molto legata al mio defunto marito.

Il conte annuì e le fece cenno di sedersi accanto a lui battendo la mano


sul letto. Jane si arrampicò sul materasso scoprendo le gambe affusol-
ate. — Eppure sono stata tentata di sposare un altro che non amavo.

— Tu menti. Non c’è nulla che una donna non desideri più della de-
vozione e delle dichiarazioni di eterno amore.

— Noi donne sappiamo anche essere pratiche. Se offri alla signorina


Benbridge tutto ciò che desidera e che quell’altro non può darle, sarà
invogliata a scegliere te.

— Ho cercato di farle intendere che impegnarsi con un nobile straniero


significherebbe allontanarsi da sua sorella.

— Benissimo, ma per ora le hai spiegato le cose solo a voce. Ora passa
ai fatti: portala a vedere i tuoi possedimenti, acquista una casa accanto
a quella della sorella... cose di questo genere. Poi, valuta bene il suo
amore per le storie romantiche e misteriose. Metti in gioco anche
queste. Sarà facile sedurla. Tu ne sei capace e lei è molto vulnerabile.
Usa tutte le armi in tuo possesso: fiori, regali, baci rubati. Il tuo av-
versario lavora nell’ombra, tu non hai questa limitazione.

— Uhm...

— Potrebbe essere divertente per tutti e due. Un’occasione per scoprire


l’uno dell’altra cose che finora non sapevate.
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Lui allungò una mano e intrecciò le dita con le sue. — Sei davvero
astuta.

Jane incurvò le labbra nel suo sorriso seducente. — Sono una donna.

— Sì, questo lo sapevo — sussurrò Ware, appoggiando il bicchiere sul


comodino, attirandola a sé e baciandola sulla bocca, prima di spostarsi
un po’ più in giù per succhiarle un capezzolo che sbucava dalla
vestaglia.

— Ah, sì, così...

Lui sollevò la testa e sorrise. — Grazie per il tuo aiuto.

— Non sono mossa dall’altruismo, lo sai. Magari ti incupirai nel tentat-


ivo di sedurre la signorina Benbridge, e a me piaci ancora di più
quando non sei troppo controllato.

— Civetta — sussurrò il conte con voce così suadente che lei fu per-
corsa da un fremito, e questo lo incitò a trascorrere le restanti ore
prima del sorgere del sole a giocare agli amanti appassionati, con
enorme piacere di entrambi.

Amelia fece capolino da dietro l’angolo della casa, mordicchiandosi


nervosamente il labbro inferiore. Controllò se c’era Colin nel cortile
delle scuderie e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando vide
che non c’era nessuno. Si sentivano delle voci maschili trasportate dal
vento. Qualcuno che rideva e canticchiava all’interno delle stalle, e lei
ebbe la conferma che Colin era impegnato a lavorare con lo zio,
quindi poteva tranquillamente allontanarsi da casa per dirigersi
verso il bosco.

“Sto diventando brava nella fuga” pensò divertita mentre sgat-


taiolava tra gli alberi per evitare la sentinella di turno. Erano già
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trascorsi quindici giorni da quel provvidenziale pomeriggio in cui


aveva sorpreso Colin con quella ragazza. Da allora l’aveva evitato e
si era rifiutata di parlargli, quando lui aveva mandato il cuoco a
chiederle di vederla.

Forse era una cosa sciocca sperare di non rivederlo mai più, dato che
vivevano vicini, ma non c’era un’ora in tutta la giornata in cui non
pensasse a lui. Riusciva comunque a gestire il dolore, finché Colin le
stava alla larga. Non vedeva ragione per parlargli e chiarirsi.

Quando raggiunse la staccionata, la superò con un balzo e si avviò di


corsa verso il torrente, dove trovò Ware ad attenderla, senza par-
rucca e senza redingote, con le maniche della camicia arrotolate. Il
giovane conte aveva acquistato un po’ di colore, nelle ultime settim-
ane, lasciando da parte la sua vita da intellettuale per dedicarsi a im-
pegnative attività all’aperto. Con i riccioli raccolti in una coda e i luc-
cicanti occhi color fiordaliso era davvero bello, e i suoi tratti non
facevano che mettere in risalto la sua secolare ascendenza aristocrat-
ica. Ware non le faceva battere il cuore né le provocava turbamento
come Colin, ma era comunque gentile e attraente, e lei riteneva che
fosse una combinazione sufficiente a fare di lui il destinatario del suo
primo bacio. La signorina Pool una volta le aveva detto di aspettare
finché non incontrava la persona giusta. Amelia all’inizio pensava
che fosse Colin, invece lui si era rivelato un tipo diverso.

— Buon pomeriggio, signorina Benbridge — la salutò il conte con un


inchino perfetto.

— Milord — rispose lei, sollevando i lati del vestito rosa per fare la
riverenza.

— Oggi ho una sorpresa per voi.


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— Ah, sì? — disse lei, incuriosita. Amava i regali e le sorprese, perché


ne riceveva di rado. Suo padre non prendeva nemmeno in consid-
erazione le occasioni come i compleanni o altre ricorrenze in cui si
facevano dei doni.

— Sì, principessa — confermò Ware con un sorriso. — Venite con me


— aggiunse, offrendole il braccio.

Amelia era felice di poter mettere in pratica ciò che sapeva in fatto di
buone maniere. Il conte era cortese e paziente, le faceva notare gli er-
rori e l’aiutava a correggerli. Questo le conferiva eleganza e
sicurezza. Non si sentiva più come una bambina che giocava a fare la
signora, ma come una signora che voleva godersi la propria
gioventù.

Insieme, si allontanarono dal loro luogo di ritrovo e costeggiarono il


fiume finché non giunsero in una grande radura. Lì Amelia notò con
gioia che c’era un telo disteso per terra con un cesto traboccante di
tortine dal profumo delizioso e di pezzi di carne e formaggio.

— Come avete fatto? — bisbigliò sorpresa.

— Mia cara Amelia — mormorò lui, con gli occhi che brillavano. —
Sapete chi sono e chi diventerò. Io posso tutto.

Lei sapeva cosa voleva dire essere nobili e vedeva il potere esercitato
dal padre in quanto visconte, ma quello di Ware doveva essere
enormemente più grande, se si considerava che in futuro sarebbe
stato a capo di una contea.

Corrugò la fronte, cercando di trovare una risposta a quella


domanda.
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— Su, venite — la incalzò Ware. — Sedetevi qui. Prendete una tortina


alla pesca e raccontatemi com’è andata la vostra giornata.

— La mia vita è tremendamente noiosa — si lamentò lei, lasciandosi


cadere a terra.

— Allora raccontatemi una storia. Di certo farete dei sogni a occhi


aperti.

Sicuro: sognava di essere baciata da un gitano dagli occhi scuri, ma


non avrebbe mai detto una cosa del genere a voce alta. Così si
inginocchiò e nascose il viso nel cestino per non far vedere che era
arrossita. — Non ho molta immaginazione — mentì.

— Molto bene.

Ware si distese sulla schiena con le dita intrecciate dietro la nuca e si


mise a fissare il cielo. Sembrava a suo agio. Amelia non l’aveva mai
visto così. Nonostante gli abiti formali che indossava, fino alle calze
bianche e alle scarpe perfettamente lustre, era molto più rilassato
rispetto a quando l’aveva conosciuto, qualche settimana prima.
Scoprì che le piaceva di più e provò un moto di piacere al pensiero
che fosse stata lei la causa scatenante di quel cambiamento.

— Pare che tocchi a me farvi dono di una storia — riprese lui dopo un
lungo di silenzio.

— Fantastico! — esclamò Amelia, mettendosi a sedere e dando un


morso a una tortina.

— C’era una volta...

Amelia osservò le labbra di Ware muoversi mentre parlava e imma-


ginò di baciarle. Un senso di tristezza, che conosceva bene, la invase
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di colpo, come se stesse per abbandonare le sue amate fantasie ro-


mantiche per abbracciarne atre, nuove e sconosciute... ma appena le
attraversò la mente il pensiero di Colin e di quello che le aveva fatto,
la sensazione svanì. Di certo, lui non si sentiva triste.

— Vi... vi andrebbe... vi andrebbe di baciarmi? — balbettò,


togliendosi le briciole di tortina dagli angoli della bocca.

Il conte si voltò con aria sbalordita, ma sembrava più curioso che


costernato. — Vi chiedo scusa. Ho sentito bene?

— Avete già baciato una ragazza? — gli domandò lei, avida di sapere.
Lui era di due anni più vecchio e aveva solo un anno meno di Colin.
Era possibile che avesse già avuto qualche esperienza.

In Colin c’era un’inquietudine oscura che risultava seducente persino


per un’ingenua come lei; Ware, al contrario, era molto più tranquillo
e il suo fascino derivava da un’innata padronanza di sé e dalla cons-
apevolezza che il mondo era lì ai suoi piedi e lui non doveva fare altro
che prenderselo. Quindi, per quanto lei tenesse Colin in altissima con-
siderazione, doveva ammettere di essere attratta anche dal fascino
svagato di Ware.

— Un gentiluomo non parla di certe cose — rispose lui, sollevando le


sopracciglia.

— Che meraviglia! Così sono certa che manterrete il massimo


riserbo, dopo — osservò lei con un sorriso malizioso.

— Ripetete la vostra richiesta, per favore — disse Ware, scrutandola


attentamente.

— Vorreste baciarmi?
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— È un’eventualità oppure un invito all’azione?

Lei distolse lo sguardo, sopraffatta all’improvviso dalla timidezza e


dall’insicurezza.

— Amelia — la sollecitò lui in tono pacato, facendola di nuovo voltare


verso di sé. Sul suo viso dai lineamenti nobili si leggeva una profonda
gentilezza, e lei gliene fu grata. Il conte rotolò di lato e poi si tirò su.

— Non è un’eventualità — mormorò lei.

— Perché desiderate essere baciata?

— Così — rispose Amelia, facendo spallucce.

— Capisco — disse Ware, ma sembrava perplesso. — Benny sarebbe


sufficiente? O magari un lacchè?

— No!

Lui curvò le labbra in un lieve sorriso e Amelia sentì qualcosa agit-


arsi nello stomaco. Non era quel fremito che la coglieva quando ve-
deva le fossette di Colin, ma era di sicuro foriero di una nuova dis-
posizione d’animo verso il suo amico.

— Oggi non vi bacerò — le spiegò Ware. — Voglio che ci riflettiate su.


Se la penserete ancora allo stesso modo quando ci rivedremo, allora
lo farò.

— Se non vi piaccio, basta dirlo — ribatté Amelia piccata.

— Ah, mia principessina irruente — la canzonò lui prendendole la


mano e accarezzandogliela con il pollice. — Saltate in fretta alle
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conclusioni con la stessa facilità con cui vi cacciate nei guai: a pie’
pari. Vi stupirò, bella fanciulla. Vedrete, vi stupirò.

— Oh! — esclamò Amelia, sbattendo le palpebre a quelle parole cari-


che di sottintesi.

— Oh, sì — confermò lui...

Amelia sentì qualcuno bussare alla porta della sua camera da letto.
Stava dormendo tutta raggomitolata e la sua mente offuscata cercava
di ignorare quel rumore per poter continuare a restare nel mondo dei
sogni. Erano proprio i sogni a essere uno dei pochi punti in comune
che aveva con Ware e a ricordarle quanto fosse prezioso per lei il loro
legame.

Ma ecco di nuovo che qualcuno picchiava alla porta con più insistenza.
Amelia fu catapultata di nuovo nella cruda realtà e rimpianse la per-
dita delle reminescenze notturne.

— Amelia?

Era Maria, la sola persona in tutta la casa a cui non poteva negarsi.

Rispose con voce impastata, si tirò su a fatica e vide la porta aprirsi


mentre sua sorella faceva il suo ingresso.

— Ciao bambolina — le disse, avvicinandosi con una grazia che le


aveva sempre invidiato. — Mi dispiace svegliarti, ma ho aspettato
comunque che fosse mattino inoltrato, prima di farlo. Purtroppo, temo
di non avere tutta la pazienza che avresti sperato.

— Adoro come ti sta quel vestito — borbottò Amelia, osservando come


l’abito in mussola color crema si abbinasse perfettamente alla pelle
olivastra di Maria.
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— Grazie. — La sorella sedette sulla chaise-longue accanto alla fines-


tra. — Hai passato una bella serata?

Le sovvennero immagini di Ware, sfolgorante nel suo abito da sera. La


sera prima era stata l’ultima di una serie di eventi mondani, ma leg-
germente diversa dalle altre. Lui era diverso. Qualcosa era cambiato, e
Amelia sentiva che niente sarebbe più stato lo stesso.

Ware si stava facendo strada con manovre esperte, portandola ad an-


alizzare la situazione in modo freddo e razionale. Dopo un’infanzia
trascorsa tra fughe e ipocrisie, gli era grata per quella sua trasparenza,
ma in questo caso non faceva altro che accrescere i suoi sensi di colpa
e la sua confusione.

— È stata piacevole — rispose infine.

— Mmm... — fece Maria, scettica. — Ultimamente sei molto


malinconica.

— Sei venuta per parlarmi di questo?

— Lord Ware ti ha quasi baciata, ieri pomeriggio in terrazza, eppure tu


non sembravi più ansiosa del solito di vederlo. Come faccio a non
chiederti spiegazioni?

Amelia chiuse gli occhi e lasciò ricadere la testa sul cuscino.

— Condividi con me le tue angosce — la esortò Maria. — Magari dopo


ti sentirai meglio. Mi piacerebbe poterti aiutare.

Amelia riaprì gli occhi e si mise a fissare le tende di seta del baldac-
chino, ripensando a un tempo lontano. Anche la sua stanza di bam-
bina era dipinta in diverse tonalità di blu e lei aveva deciso di decorare
quella camera con gli stessi colori, come a voler dichiarare l’intenzione
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di riprendere i rapporti con la sorella proprio nel punto in cui erano


stati brutalmente interrotti. Suo padre le aveva tenute separate per
molti anni, ma quel luogo per lei rappresentava una sorta di riscatto
per tutto il tempo perduto.

— Non c’è nulla da fare, Maria. Non mi puoi aiutare perché non si può
più fare niente per sistemare le cose.

— Che ne è del tuo ammiratore mascherato?

— Ho deciso di non rivederlo.

Maria fece una pausa, prima di insistere. — L’ultima volta che mi avevi
parlato di lui non eri così risoluta nei tuoi intenti. Vi siete visti di
nuovo, vero? Lui è venuto a cercarti.

Amelia girò la testa e puntò gli occhi in quelli della sorella. — Sono
stata io ad attirarlo e lui si è adirato per il mio comportamento al
punto che adesso vuole lasciare la città per starmi lontano e per im-
pedirmi di raggiungerlo di nuovo.

— Ha dimostrato di avere a cuore la tua reputazione, eppure mi sem-


bri turbata — osservò Maria, con aria confusa. — Perché?

— Perché non voglio che se ne vada! — gridò Amelia, alzando le mani


al cielo. — Voglio conoscerlo meglio e mi dispiace moltissimo di non
avere quest’opportunità. So che sto facendo preoccupare sia te sia
Ware, ma non riesco a ignorare questa infatuazione né a fare finta che
non mi pesi essere messa da parte. Ne ho avuto più che abbastanza di
questo atteggiamento con mio padre.

— Amelia... — cominciò a dire Maria, allungando una mano verso di


lei. — Che cos’ha di tanto speciale quell’uomo da averti rapita in
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questo modo? È attraente? No... non ti alterare. Sto solo cercando di


capire.

Amelia sospirò. Tutte le ore di sonno perdute e l’inappetenza degli ul-


timi giorni venivano a reclamare il conto. Non riusciva a farsi una ra-
gione del fatto che Montoya se ne stesse andando via e starsene lì con
le mani in mano non faceva altro che allontanarlo ancora di più da lei.
Quel pensiero la tormentava e la rendeva scorbutica.

— Aveva di nuovo la maschera — rispose infine. — Non ho idea di che


faccia abbia, e non me ne importa nulla. Sono attratta dal modo in cui
mi parla, mi tocca... mi bacia. Ha una sorta di timore reverenziale nei
miei confronti, un misto di desiderio e bramosia. Non credo che si
possa fingere un simile grado di affezione, perlomeno non fino a quel
punto.

Maria aggrottò la fronte e distolse lo sguardo. I riccioli neri presero a


danzarle sulle spalle scoperte, tradendo il suo disappunto. — Come
può provare certi sentimenti per te se vi siete visti solo due volte?

— Dice che gli ricordo un amore perduto, ma oltre a ciò sento che mi
desidera — spiegò Amelia, tirando su le lenzuola. — Sicuramente,
all’inizio mi ha avvicinata per questo motivo, ma la seconda volta è
venuto per me.

— Come fai a esserne certa?

— Non sono certa di niente, e adesso suppongo che non potrò esserlo
mai più — rispose Amelia. Fissò la porta aperta che dava sul boudoir
per paura che la sorella indovinasse troppo delle sue emozioni guard-
andola in faccia.

— Perché sta partendo? — chiese Maria in tono più dolce. — Ti ha


detto perché, e soprattutto dov’è diretto?
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— Ha detto che rischia la vita.

— A causa di St John o di qualcun altro?

Amelia strinse forte le coperte. — Lui non ha niente a che vedere con
tuo marito, o almeno così mi ha detto, e io gli credo.

— Sst! — fece Maria per calmarla, alzandosi in piedi. — So che sei


turbata, ma non riversare la tua frustrazione su di me. Io sono qui per
aiutarti.

— E come? — ribatté Amelia in tono di sfida. — Vuoi aiutarmi a


trovarlo?

— Sì.

Amelia rimase paralizzata dalla sorpresa e guardò la sorella, incredula.


— Davvero?

— Ma certo — rispose Maria, drizzando le spalle, segno evidente della


sua risolutezza. — Gli uomini di St John lo stanno cercando, ma noi
abbiamo un vantaggio: tu sei la sola persona in grado di avvicinarlo.

Amelia rimase ammutolita per un attimo: non si aspettava che qual-


cuno si schierasse al suo fianco per trovare Montoya. Non avrebbe po-
tuto sperare di meglio: Maria non aveva paura di niente ed era brava a
trovare cose che non volevano essere trovate.

— Anche Ware è sulle sue tracce.

— Povero conte Montoya! — esclamò la sorella, sedendosi sul bordo


del letto e prendendo le mani di Amelia tra le sue. — Provo pena per
lui. Adocchia una bella ragazza e per questo viene braccato da tutti. St
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John lo cercherà come fa un criminale, Ware alla maniera di un no-


bile, e noi lo scoveremo come solo una donna sa fare.

— E come? — chiese Amelia, confusa.

— Andando a fare compere, ovviamente — rispose Maria con un sor-


riso che illuminò tutta la stanza. — Ci recheremo da tutti i mascherai
che troveremo e chiederemo se si ricordano del conte. Se ha sempre il
volto coperto, deve essersi procurato diverse maschere. Se così non è,
magari ne ha acquistata una di recente e chi gliel’ha venduta potrebbe
ricordarlo. Non è molto, ma è comunque un inizio. Dobbiamo fare at-
tenzione, però. Se si trova davvero in pericolo, anche noi potremmo
ritrovarci nei guai dandogli la caccia. Devi fidarti di me e starmi a sen-
tire, d’accordo?

— D’accordo — rispose Amelia. Aveva il labbro inferiore che le


tremava e se lo morsicò per nascondere quel movimento rivelatore. —
Grazie, Maria — aggiunse, stringendo forte le mani della sorella. —
Grazie infinite.

Maria l’attirò a sé e le baciò la fronte. — Io ci sarò sempre per te, bam-


bolina. Sempre.

Quell’affermazione infuse forza ad Amelia, e vi si aggrappò mentre


scivolava giù dal letto per andare ad affrontare il giorno che veniva.

I carretti, i passanti e le carrozze avanzavano oziosamente per la via. Il


sole splendeva alto nel cielo, sviluppando un piacevole tepore, mentre
una debole brezza spazzava via le nubi che avevano portato una leg-
gera pioggia mattutina. Colin era irrequieto: quell’atmosfera gli
trasmetteva tutto all’infuori della tranquillità.
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— Non dovresti preoccuparti tanto — gli disse Jacques. Avevano de-


ciso di darsi del tu, visto che ormai erano compagni in quell’avventura
sgangherata. — Non le succederà nulla. Vedrai che nessuno è riuscito
ad associarti alla signorina Benbridge.

Colin fece un sorriso triste. — Sono così trasparente?

— Oui. Specialmente quando abbassi la guardia.

Colin teneva lo sguardo fisso fuori del finestrino e osservava la gente


che si affrettava verso le proprie occupazioni giornaliere. Per quel che
lo riguardava, il suo compito era quello di lasciare la città. La carrozza
di lì a poco sarebbe partita alla volta Bristol: avevano già caricato i
bauli e regolato il conto con il padrone di casa, ma Colin non si sentiva
ancora a posto con se stesso.

Quel giorno più che mai aveva la sensazione di stare per lasciarsi alle
spalle per sempre l’amore. Pian piano stava rendendosi conto di essere
una creatura mortale, che la vita prima o poi avrebbe avuto una fine, e
il pensiero che avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni senza Amelia
lo uccideva.

— Non sono mai salito su una carrozza insieme a lei — disse, appog-
giando la mano guantata sul finestrino. — Non ci siamo mai seduti a
tavola insieme, non ho mai condiviso un pasto in sua compagnia.
Negli ultimi anni non ho fatto altro che cercare di conquistare una
posizione e un titolo che mi dessero il privilegio di trascorrere ogni
singolo istante della mia vita insieme a lei.

Jacques lo scrutava con aria triste al di sotto della tesa del cappello.
Era seduto di fronte a lui, composto e rilassato, ma pur sempre puls-
ante di energia.
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— Poco dopo la morte dei miei genitori — proseguì Colin, sempre con
lo sguardo sulla strada — mio zio fu assunto come cocchiere da lord
Welton. La paga era misera e fummo costretti a lasciare il campo no-
madi, ma lui riteneva che fosse una vita più stabile. Prima del mio ar-
rivo era stato uno scapolo convinto, ma prese molto sul serio il
compito di badare a me.

— Ecco chi ti ha insegnato cos’è l’onore — osservò Jacques.

Colin abbozzò un sorriso. — Quel cambiamento mi spaventava. Avevo


dieci anni e sentivo molto la mancanza dei miei amici, soprattutto
dopo aver perso i miei genitori da poco. Ero certo che la mia vita fosse
finita e che sarei stato infelice per sempre. Poi ho visto lei. — Se lo ri-
cordava come se fosse accaduto il giorno prima. — Aveva solo sette
anni, ma io rimasi incantato. Con quei riccioli neri, la pelle di porcel-
lana e gli occhi verdi, sembrava davvero una bambola. A un certo
punto ha allungato una mano sporca di terra, mi ha sorriso e io ho
visto che le mancava un dente. Mi ha chiesto di giocare con lei.

— Fantastico — commentò Jacques.

— Proprio così. Amelia aveva uno spirito avventuroso, era curiosa e


piena di risorse. Con lei si potevano fare mille giochi diversi e io cer-
cavo di sbrigare in fretta le mie faccende in modo da poter passare più
tempo possibile in sua compagnia. — Colin sospirò, chiuse gli occhi e
appoggiò la fronte contro il finestrino. — Ricordo ancora il giorno in
cui mi fecero fare il lacchè per la prima volta sul retro della carrozza.
Mi sentivo adulto e maturo, fiero del mio nuovo ruolo. Anche lei era
felice per me, le brillavano gli occhi dalla gioia. Poi, d’un tratto, capii
che lei stava dentro, mentre io ero fuori, e che non mi sarebbe mai
stato concesso di sederle accanto.
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— Da allora sono cambiate molte cose, mon ami. Ora non c’è più
questo divario tra voi.

— Oh, sì che c’è. Non è più di natura economica, ma esiste ancora.

— Quando hai capito che lei era innamorata di te?

— Credo da subito, proprio com’è successo a me — rispose Colin, strin-


gendo i pugni sulle cosce. — Il sentimento è semplicemente cresciuto e
mutato insieme a noi.

Non avrebbe mai dimenticato quel pomeriggio in cui avevano giocato


in riva al fiume, lui in calzoni, lei in camicetta. Amelia aveva quindici
anni, lui diciotto. Erano scivolati sulle pietre viscide nel tentativo di
acchiappare una rana ed erano caduti. Amelia era scoppiata a ridere e
lui si era voltato di scatto, e quell’immagine aveva cambiato la sua vita
per sempre: baciata dal sole e inzuppata fino alle ginocchia, con il
volto trasformato dal divertimento, sembrava una ninfa. Era ammali-
ante e seducente nella sua innocenza.

Gli era mancato il fiato, il suo corpo si era teso. Un desiderio bruciante
gli aveva incendiato il sangue nelle vene e prosciugato la bocca. Il
pene, che aveva iniziato a tormentarlo sempre più a mano a mano che
cresceva, in quel momento aveva pulsato dal desiderio. Non era ines-
perto, ma le pulsioni fisiche che aveva avuto in passato erano nulla,
paragonate al bisogno imperante scatenatosi alla vista del corpo
semisvestito di Amelia.

In qualche modo, mentre era impegnato a fare altro, lei era cresciuta e
si era fatta donna, e ora la voleva come non aveva mai voluto null’altro
nella sua vita. Aveva avvertito una stretta al cuore per quell’improvvisa
bramosia; le braccia gli dolevano dalla voglia di stringerla. Dentro di
sé, nel profondo, sentiva un vuoto e sapeva che lei avrebbe saputo col-
marlo. Era la sua metà e l’avrebbe completato. Sin da bambina era
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stata tutto per lui, e sapeva che avrebbe continuato a esserlo anche da
adulta.

— Colin? — Lei l’aveva chiamato; il sorriso era scomparso dal suo


volto, mentre una strana tensione aleggiava nell’aria.

Più tardi, quella sera, lo zio Pietro aveva notato che era strano e gli
aveva fatto molte domande; alla fine lui aveva confessato, suscitando
l’ira dell’uomo.

— Sta’ lontano da lei — gli aveva intimato, fulminandolo con lo


sguardo. — Avrei dovuto mettere fine alla vostra amicizia molto tempo
fa.

— No! — aveva gridato Colin, spaventato a morte al solo pensiero di


essere separato da lei.

Lo zio Pietro a quel punto aveva battuto il pugno sul tavolo e si era
sporto su di lui con aria minacciosa. — Lei è troppo per te. È al di là
della tua portata. Così rischi di mettere a repentaglio la nostra
tranquillità.

— Ma io l’amo! — Le parole gli erano uscite di bocca di getto, ma


sapeva che erano vere.

Lo zio, furioso, l’aveva preso per un braccio e l’aveva trascinato prima


nelle stalle e poi giù al villaggio, dove l’aveva gettato tra le braccia di
una bella prostituta che si era divertita a sfiancarlo e a prosciugarlo di
ogni istinto. Quella era una donna matura, molto diversa dalle ragazze
poco esperte con cui si era trastullato in precedenza. Alla fine Colin
aveva lasciato il suo letto con i muscoli doloranti e un tremendo
bisogno di schiacciare un pisolino.
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Quando, qualche ora dopo, era entrato barcollando nella taverna dove
l’attendeva, lo zio l’aveva salutato con un sorriso gioviale e un’espres-
sione da padre orgoglioso sul volto. — Ora hai un’altra donna da am-
are! — aveva detto solennemente, dandogli una pacca affettuosa sulla
spalla.

Colin l’aveva corretto. — Le sono grato, è vero. Ma io amo solo Amelia.

Pietro si era fatto improvvisamente serio. Il giorno successivo, quando


Colin aveva rivisto Amelia, aveva continuato a provare per lei lo stesso
desiderio struggente che l’aveva assalito giù al fiume, e così si era reso
conto che fare sesso con lei sarebbe stata tutta un’altra cosa. Amelia
riusciva a rendere le sue giornate più luminose e più gioiose; andare a
letto con lei sarebbe stata un’esperienza altrettanto coinvolgente e pro-
fonda. La bramosia che provava era quasi inspiegabile: lo rodeva den-
tro senza lasciargli pace.

Nei mesi successivi, lo zio Pietro gli aveva ripetuto ogni giorno di las-
ciarla perdere: se l’amava davvero, doveva volere soltanto il meglio per
lei, e il meglio non corrispondeva esattamente a un povero stalliere,
per di più gitano.

Così, pian piano Colin aveva trovato la forza per allontanarla, e questo
l’aveva ucciso.

Ora, mentre lasciava la città, moriva una seconda volta.

La carrozza oscillava, sobbalzava e correva lungo le strade che lo


portavano lontano dall’unica cosa che avesse mai desiderato al mondo.

— Vedrai che presto vi incontrerete di nuovo — disse Jacques sotto-


voce. — Questa non è la fine.
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— Finché c’è in ballo questa storia con Cartland, non posso nemmeno
pensare di averla. C’è un motivo se Quinn continua ad avvalersi di lui
anche se è un personaggio scomodo: Cartland è un eccellente segugio.
Se non smette di darmi la caccia, non ho futuro.

— Io credo nel destino, mon ami, e il tuo non è certo quello di morire
per mano di quell’uomo. È una promessa.

Colin annuì, ma dentro di sé non era affatto ottimista.

La mano che calzava quel guanto bianco e che stringeva il bordo del
finestrino era quella di Montoya, Amelia ne era certa.

Mentre la carrozza anonima e con l’equipaggio senza divisa le sfilava


accanto, riuscì a intravedere Jacques seduto all’interno e rimase
paralizzata dalla sorpresa, mentre un brivido di consapevolezza le cor-
reva giù per la schiena, infondendole una nuova speranza. Poi vide il
mucchio di bauli ammassati sul retro; Montoya stava lasciando la cit-
tà, proprio come le aveva annunciato.

Fortunatamente per lei ma sfortunatamente per lui, il cocchiere aveva


scelto di percorrere la strada che lei e sua sorella Maria stavano bat-
tendo alla ricerca di un indizio che potesse condurle a lui.

— Maria — disse, sempre tenendo gli occhi incollati alla carrozza per
paura di perderla di vista.

— Mmm... — rispose la sorella distrattamente. — Vedo delle maschere


nella vetrina laggiù.

Prima che potesse protestare, Amelia sentì un gaio tintinnare di cam-


panelle che annunciava l’entrata di sua sorella nel negozio.
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Anche se il marciapiede era affollato, la gente si teneva alla larga da


loro, intimidita da quell’omone di Tim.

— Tim! — gridò, indicandogli la vettura che si allontanava. — Montoya


è sulla quella carrozza nera. Dobbiamo fare in fretta, altrimenti lo
perderemo.

La sensazione che le stesse scappando di mano qualcosa di prezioso la


riempì d’ansia, così si sollevò le sottane e si mise a correre.

A poca distanza, una carrozzella stava scaricando i suoi passeggeri e


Amelia prese ad agitare la mano per attirare l’attenzione del
conducente.

Intuendo al volo cos’aveva in mente, Tim imprecò e l’afferrò per un


braccio, trascinandola avanti più veloce. — Alt! — intimò al cocchiere,
che aveva appena sollevato la frusta.

L’uomo si voltò e quando vide Tim deglutì a fatica e annuì. Tim aprì in
fretta la porta e la sospinse dentro, poi si girò e si rivolse agli altri due
scagnozzi che erano con loro. — Tornate indietro e raccontate quel che
è successo alla signora St John.

Sam, un ragazzo dai capelli rossi che era da anni al servizio di St John,
gli fece un cenno deciso col capo. — Sì, ma fate attenzione.

Tim saltò sulla vettura spingendo in là Amelia. — Questa cosa non mi


piace — borbottò.

— Sbrigatevi! — ribatté lei. — Avrete tutto il tempo per farmi la


ramanzina.
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Lui la guardò di traverso e imprecò di nuovo, poi impartì velocemente


le istruzioni al conducente, che si mise subito in moto, allontanandosi
dal marciapiede e tuffandosi nel traffico cittadino.

Le campanelle stavano ancora suonando quando Maria si fermò di


colpo sulla porta.

Un uomo alto e vestito in maniera elegante le bloccava la strada: al suo


fianco c’era una bella bionda agghindata secondo la moda francese.
Maria spostò lo sguardo dall’uno all’altra, notando che formavano
proprio una bella coppia.

— Simon! — esclamò, quando lo riconobbe.

— Gattina — rispose lui in tono affettuoso, afferrandole la mano e


portandosela alle labbra. — Sei incantevole, come sempre.

Simon Quinn era lì, in piedi davanti a lei, ed era attraente e pec-
caminoso come nessun altro uomo sapeva essere. Con quei calzoni col-
or camoscio e il soprabito verde bottiglia attirava gli sguardi di tutti.
Era muscoloso come se lavorasse nei campi, ma quegli abiti gli
stavano divinamente, facendolo sembrare un re. In passato erano stati
amanti e lei aveva deciso di frequentarlo anche quando la loro
relazione era terminata, perché teneva in alta considerazione la loro
amicizia. Per questo, nessuno si stupiva dell’intimità che c’era tra loro.

— Non sapevo che fossi a Londra — lo riprese con gentilezza. — E am-


metto che sono un po’ offesa dal fatto che tu non mi sia venuto subito
a cercare.

La ragazza francese le rivolse un sorriso che però non si rifletteva nei


suoi freddi occhi azzurri. — Quinn... — disse, scuotendo il capo e fa-
cendo dondolare i nastrini che aveva tra i capelli. — Pare che siate
solito trattare sempre malamente le donne.
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— Sst! — la zittì lui, e Maria aggrottò la fronte, perché non era abituata
a vedere Simon rivolgersi in modo brusco a una bella donna.

Le campanelle tintinnarono di nuovo e lei si spostò di lato per per-


mettere alle persone di passare, ma qualcuno la afferrò per un braccio
e Maria, colta alla sprovvista, si voltò di scatto, facendo volteggiare le
sottane, e si ritrovò faccia a faccia con Sam, visibilmente in affanno.

— La signorina Amelia l’ha visto sulla carrozza — ansimò lo scagnozzo


di St John. — Ha voluto seguirlo. Tim è andato con lei, ma...

— Amelia? — ripeté Maria incredula, guardandosi intorno e


rendendosi conto solo in quel momento che la sorella non era con lei.
Si precipitò fuori del negozio e si ritrovò sul marciapiede pieno di
gente.

— Laggiù — disse Sam, indicandole una carrozzella.

— Ha visto Montoya? — gli domandò lei, con lo stomaco in subbuglio


per l’apprensione, facendosi largo tra la folla. Simon e la bionda le
stavano dietro e ben presto altri uomini di St John si unirono a loro.
Stavano creando un po’ di scompiglio, ma a Maria non importava
nulla: l’unica cosa che contava era riuscire a raggiungere Amelia.

Quando fu evidente che non sarebbe mai riuscita a farlo correndole di-
etro a piedi, si rivolse a Sam. — Ho bisogno della mia carrozza.

— L’ho già mandata a chiamare — la rassicurò il ragazzo.

— Informate St John dell’accaduto — proseguì Maria, cercando di pre-


figurarsi cosa sarebbe accaduto nelle ore successive. — Io porterò con
me il resto degli uomini. Quando avremo trovato Amelia, qualcuno
tornerà a dirvi dove siamo.
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Sam annuì e si allontanò per andare a prendere il suo cavallo.

— Che diavolo sta succedendo? — chiese Simon, con la fronte aggrot-


tata, mentre la bionda sembrava solo vagamente interessata.

— Mia sorella si è innamorata di uno sconosciuto mascherato che ha


incontrato a un ballo qualche sera fa e ora lo sta cercando.

L’improvvisa tensione che vide sul volto di Simon non fece che
aumentare l’ansia. Se anche lui percepiva un pericolo, voleva dire che
si trattava di una faccenda seria e che non era soltanto la sua preoccu-
pazione di sorella ad agitarla.

— Da quando l’ho saputo, non faccio che crucciarmi — proseguì. — Ma


lei sembra irremovibile. Ho cercato inutilmente di farla ragionare:
vuole trovarlo a tutti i costi, e anche St John. Mi sono offerta di
aiutarla nella ricerca per tenerla sotto controllo, ma a quanto pare l’ha
visto per strada poco fa e ora gli sta correndo dietro.

— Santo cielo! — gridò Simon con gli occhi sgranati.

— Oh, ma è meraviglioso! — esclamò la sua accompagnatrice, animata


per la prima volta da un segno di vita.

— Io vengo con voi — tagliò corto Simon, facendo un cenno al lacchè


che lo attendeva, il quale si mise a correre per andare a riprendere la
carrozza.

— Non voglio coinvolgerti in questa faccenda — obiettò Maria. —


Adesso sei fidanzato, goditi questi giorni.

— Tu sei preoccupata, gattina; magari posso alleviare un po’ le tue


pene. Nei nostri piani c’era già di trascorrere qualche giorno fuori città
148/325

e non credo che alla signorina Rousseau dispiaccia questo cambio di


programma.

— No, tutt’altro — convenne la ragazza con un sorriso. — A dire il vero


piacerebbe anche a me venire. I giovani innamorati sono sempre una
bella distrazione.

Simon borbottò qualcosa, stizzito, e quell’espressione di nervosismo


dissuase Maria dal continuare a protestare. In fondo Simon era stato
suo compagno per molti anni e avrebbe potuto davvero aiutarla. Qua-
lunque fosse la situazione tra lui e la signorina Rousseau, che se la
chiarissero tra di loro. Alcuni istanti dopo, che le parvero eterni, la car-
rozza nera e lucida di St John comparve all’angolo della strada.
L’equipaggio di Simon comparve subito dietro e tutti salirono a bordo
in fretta per lanciarsi all’inseguimento.

Colin fu felice di poter mettere i piedi giù dalla carrozza: era sfinito.
Dopo diverse ore di viaggio, aveva raggiunto l’osteria della posta
subito dopo Reading. Si fermò un attimo a scrutare il cortile al chiaro
di luna. Jacques lo raggiunse e insieme entrarono per cercare una sis-
temazione per la notte.

La taverna era illuminata da una luce fioca e l’atmosfera era ab-


bastanza tranquilla. Soltanto qualche avventore si era attardato nella
sala, gli altri si erano già ritirati. Si accordarono velocemente con il
locandiere e ben presto Colin si ritrovò in una stanza piccola e poco
ammobiliata, che però era pulita.

Non appena rimase solo, la malinconia discese su di lui come un man-


tello pesante e freddo. Si trovava a un giorno a cavallo da Amelia e il
giorno successivo avrebbe aggiunto altra distanza tra loro. Frustrato
dalla piega degli eventi, pregava solo di riuscire ad addormentarsi
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presto per avere un po’ di tregua, ma dopo anni di notti passate a


sognare Amelia, ormai non ci sperava nemmeno più.

Stava per tirare le tende, quando la porta alle sue spalle si aprì. Mise
d’istinto la mano sul pugnale che teneva nascosto sotto il cappotto e si
girò di lato per essere un bersaglio meno facile da colpire.

— Montoya.

La voce dolce e femminile di Amelia lo raggelò. Temeva che qualcuno


lo stesse seguendo, ma non avrebbe mai immaginato che si trattasse di
Amelia. Ora, il pericolo che incombeva su di lui investiva anche lei.

— Dovevo vedervi. La vostra carrozza mi è passata davanti e io non po-


tevo permettere che andaste via così.

Se non si gettò subito tra le sue braccia fu soltanto grazie


all’esperienza, che gli aveva insegnato a controllare i propri senti-
menti. Al contrario, chiuse le tende, oscurando così la debole luce lun-
are, prima di voltarsi verso di lei. Se era fortunato, la brace che si stava
esaurendo nel camino non sarebbe stata sufficiente a rivelarle i suoi
lineamenti, diminuendo così le possibilità di essere riconosciuto.

Colin si era preparato mentalmente soltanto a come avrebbe reagito


Amelia, ma non aveva calcolato la propria reazione. Trovarsela lì,
ferma sulla porta e vicina a un letto, lo colpì come una mazzata in
pieno volto, facendogli salire su dalla gola chiusa un primitivo ringhio
di possesso. Quel suono la fece sussultare e la ragazza dischiuse le lab-
bra, mentre il respiro diventava più affannoso.

Colin serrò i pugni: dannazione, ma si rendeva conto dell’effetto che


aveva su di lui?
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Lei se ne restava lì, fiera e impavida, con il cappello allacciato di lato, il


corpo snello ingabbiato in una sottana di satin cangiante e delicati
pizzi bianchi. Il taglio innocente dell’abito cancellò per un attimo tutto
il tempo trascorso e lo fece eccitare. Il suo era un trasporto profondo e
totale, simile all’infatuazione adolescenziale, ma anche un amore
adulto, appassionato, che gli incendiava il sangue gitano.

— Ditemi che non avete viaggiato da sola — la aggredì, furioso all’idea


che una simile bellezza non venisse tenuta d’occhio. Lei era come un
tesoro, che andava custodito e protetto.

— Ho una scorta — rispose Amelia, e i suoi occhi brillavano nella semi-


oscurità. — Siete arrabbiato con me?

— No — ribatté Colin in tono burbero, con il cuore che gli batteva viol-
entemente nel petto..

— La maschera... In genere gli uomini risultano particolarmente at-


traenti quando indossano un vestito da sera. Voi...

— Amelia...

— Voi mi sorprendete sempre. Qualunque cosa abbiate indosso,


ovunque.

Colin chiuse gli occhi mentre quell’apprezzamento si faceva strada


dentro di lui, e involontariamente fece un passo avanti, dopodiché si
fermò. La stanza all’improvviso gli pareva troppo stretta, gli mancava
l’aria; il bisogno di togliersi tutto di dosso e spogliarla era opprimente.
La bramosia cresceva feroce e lo azzannava, impaziente di essere
soddisfatta.

— Siete felice di vedermi? — gli chiese lei con un soffio di voce.


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Colin scosse la testa e aprì gli occhi, perché non poteva sopportare il
fatto di non vederla. — Mi uccide.

Sul viso delicato di Amelia passò una dolce tenerezza che risvegliò
qualcosa di ancora più profondo in lui.

— È il desiderio che sento emanare da voi ad attirarmi così — disse


Amelia, facendo un passo avanti, ma lui alzò una mano per fermarla
prima che si avvicinasse troppo. — Finché mi vorrete, anch’io vi vorrò.

— Avrei già smesso di desiderarvi tanto tempo fa — ribatté lui con voce
roca. — Se fosse stato possibile.

Lei inclinò la testa di lato, studiandolo per un attimo. — Voi mentite.

Incapace di resisterle, Colin sorrise: era rimasta audace come una


volta.

— Voi godete nel desiderarmi — osservò lei con una punta di soddis-
fazione tutta femminile.

— Godrei se potessi avervi di più.

Quando Amelia gettò un’occhiata al letto, il suo pene si gonfiò in una


feroce erezione. Lei si leccò il labbro superiore con la punta della lin-
gua e lui si lasciò sfuggire un gemito gutturale.

— Venite con me — lo implorò, puntando di nuovo gli occhi nei suoi. —


Venite a conoscere la mia famiglia. Mia sorella e suo marito possono
esservi utili. Qualunque cosa vi tormenti, possono aiutarvi a risolverla.

Colin sentì una stretta allo stomaco. Avrebbe dovuto dirle di no: non
poteva permettersi di mettere a repentaglio la sua vita, ma la possibil-
ità di farla sua lì, in quell’istante, senza più attese, senza più
152/325

travestimenti... Era notte, c’era un letto a loro disposizione ed erano


soli: quella era la sua fantasia più segreta che prendeva forma.

Fece un passo avanti. — C’è una cosa che devo dirvi, una cosa che
farete fatica a comprendere. Avete tempo per stare ad ascoltarmi?

— Quanto volete.

— E che mi dite di quelli che sono con voi?

— Ce n’è soltanto uno, ed è di sotto a bere — Amelia sorrise. — Gli ho


mentito, sapete? Gli ho indicato un uomo e ho detto che mi sem-
bravate voi. Così, mentre lui lo teneva d’occhio, io ho fatto un po’ di
domande in giro e vi ho trovato. Voi siete unico, con un fisico così pos-
sente e slanciato. Le cameriere vi hanno notato subito, appena avete
fatto il vostro ingresso.

— E che ne sarà della vostra reputazione? Una giovane donna di nobili


origini che chiede informazioni su uno scapolo.

— Una volta che mi hanno detto dove trovarvi, le ho ringraziate per


avermi aiutata a trovare mio fratello — rispose lei, compiaciuta della
propria scaltrezza.

Colin guardò in basso. Santo Cielo! Stava succedendo per davvero?

— Lo sapete che vi siete messa in un mare di guai venendo a cercarmi,


signorina Benbridge?

— Amelia — lo corresse lei. — E la risposta è: sì, lo so.

Lui accennò un sorriso. — Allora voltatevi con la faccia verso la porta.

— Perché?
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— Perché mi devo avvicinare e non sono sicuro quanto del mio volto
voi possiate vedere con questa luce. — La vide esitare. — Siete stata voi
a venire a cercarmi. Voi mi volete e io mi concederò a voi, in tutti i
sensi, ma in cambio dovrete starmi a sentire senza fare domande.
Tutto questo vi spaventa?

Lei deglutì a fatica, con le pupille così dilatate da aver assorbito tutta
l’iride, poi scosse il capo.

— Anzi, la situazione vi eccita — bisbigliò Colin. Una brama potente lo


invase, scatenando un irrefrenabile istinto. Era sempre stato lui a con-
durre i giochi con Amelia ed era molto eccitante pensare di poter fare
altrettanto a letto. — Voltatevi.

Lei ubbidì e gli diede le spalle e Colin le si avvicinò a rapide falcate,


liberato dalla paura di essere riconosciuto prematuramente. Si schiac-
ciò contro di lei e inalò a pieni polmoni il suo profumo di caprifoglio,
appoggiando le mani sulla parete, ai lati della sua testa.

Il cuore di Amelia accelerò il battito e la vena nel collo prese a pulsarle,


attirando per un attimo l’attenzione di Colin, che però fu subito dis-
tratto dal pensiero di essere quasi riuscito a realizzare il proprio sogno.

Sarebbe stato semplice chiudere la porta a chiave, ma la situazione era


più eccitante così. Lei voleva che la prendesse, la spogliasse e che si
impadronisse del suo dolce corpo fino a saziarla.

Anche se Colin ne era consapevole, voleva comunque che fosse lei a


fargli quella richiesta a voce alta.

— Non esiste una sola possibilità che tu esca da questa stanza come
quando sei entrata — le sussurrò, passandole la lingua sul collo.
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In tutta risposta, lei allungò una mano, prese una sedia e la sistemò
sotto la maniglia, spostandosi indietro e premendo le natiche contro di
lui.

— Hai paura che qualcuno ci interrompa? — le domandò con una


punta di ironia nella voce. — Oppure vuoi semplicemente tenere alla
larga tutti?

Sapere che Amelia voleva essere libera di stare con lui da sola gli fece
gonfiare il cuore di gioia. Gli aveva già promesso la stessa cosa da
ragazza, chissà se ora avrebbe mantenuto la promessa...

— Tu presumi che lo stia facendo per lasciare fuori il mondo — rispose


lei, con un sorriso. — Magari voglio solo impedire a te di andare via.

Colin rovesciò la testa all’indietro e rise sonoramente, abbracciandola


e stringendola forte. — Come sono felice che tu sia sempre la stessa!

— Minacciarmi di voler fare l’amore con me non è sufficiente per scor-


aggiarmi — ribatté Amelia.

No, forse no, ma se avesse scoperto la sua identità si sarebbe tratten-


uta, e quel pensiero lo fece riflettere. — Devo mostrarti il mio volto e
raccontarti il mio passato prima di andare oltre.

Sentì il suo corpo irrigidirsi. — Perché? Questo potrebbe cambiare ciò


che provo per te?

— Assolutamente sì.

— Allora non dirmi niente.

— Come? — chiese lui incredulo, sbattendo le palpebre.


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— In questo momento credo che non potrei più vivere senza averti ac-
canto — gli confessò lei con un filo di voce. — E non voglio essere ri-
portata bruscamente alla realtà. Negli ultimi anni ho vissuto senza
provare emozioni. Mi sembrava quasi di vedere la vita attraverso un
velo e solo ora che sono qui con te mi accorgo di tutti i colori e le sfu-
mature del mondo.

— Dovresti tenere in grande considerazione la tua verginità — mor-


morò lui, premendo la guancia contro la sua. — Io non me ne posso
appropriare così...

A quel punto lei girò la testa e lo baciò. Colin dapprima rimase stordito
da quell’improvvisa tempesta di emozioni, poi fu trascinato nel suo
gorgo. Sentì che Amelia si muoveva, ma non riusciva a staccarsi da lei
per capire cosa stesse facendo. Le passava la lingua sulle labbra, gust-
andone il sapore dolce. Era consapevole che quella era una droga che
dava assuefazione e lo distruggeva lentamente, ma non sapeva res-
istere. Quando Amelia lo prese delicatamente per i polsi e gli appoggiò
le mani sui seni, Colin capì di non potersi opporre alla sua volontà e
soprattutto che in quel momento non poteva rivelarle chi era.

— Io riesco a vederti con il mio cuore — lo rassicurò lei, senza smettere


di baciarlo. — Ti voglio, adesso che mi sento libera, selvaggia e appas-
sionata. Sto facendo la figura dell’ingenua? Mi trovi folle? Sto cor-
rendo troppo?

A ogni parola che pronunciava, lui perdeva sempre di più il controllo.


Libera, selvaggia e appassionata: quei tre aggettivi combinati insieme
costituivano un’attrazione irresistibile per un maschio gitano. Amelia
aveva vissuto per così tanto tempo lontana dall’alta società da potersi
permettere di ignorarne tutte le restrizioni, e Colin aveva il sospetto
che ciò contribuisse alla loro affinità. In fondo, entrambi non volevano
altro che poter correre felici nei prati, senza costrizioni.
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Colin allungò una mano per slacciarle la spilla che teneva legato il
fichu. — Posso coprirti gli occhi? — le domandò, con voce roca. —
Questo raffredderebbe il tuo ardore? — Amelia tentò di voltarsi per
guardarlo in faccia, ma lui la bloccò con un bacio. — Non voglio farti
questa rivelazione adesso. Voglio che la nostra prima volta sia impec-
cabile. Ho aspettato questo momento troppo a lungo e l’ho desiderato
così intensamente che ora non voglio rovinarlo.

Lei acconsentì e rimase immobile mentre Colin le annodava il prezioso


tessuto intorno alla testa come se fosse una benda.

— Come ti senti?

— Strana.

— Non ti muovere. — Colin si allontanò un attimo e si tolse il


soprabito, si allentò il foulard e poi iniziò ad armeggiare con i bottoni
d’avorio del panciotto.

— Ti stai spogliando? — chiese lei in tono incerto.

— Sì.

Vide che fu percorsa da un brivido a quell’affermazione e sorrise.


Quanto era eccitante, con le labbra gonfie di baci e gli occhi bendati.
Era sua, poteva gustarsela tutta. Lo zio Pietro aveva cercato di al-
lontanarlo da lei insistendo sul fatto che alle donne inglesi mancava
quel fuoco di cui aveva bisogno un gitano. Colin non ci aveva già cre-
duto allora e ci credeva ancor meno in quel momento.

I seni di Amelia si sollevavano e si abbassavano al ritmo del suo


respiro sempre più affannoso, le mani si muovevano nervosamente.
Era pronta e matura, un’oasi in una vita arida come il deserto.
157/325

Colin riuscì finalmente a scrollarsi di dosso il panciotto e lo gettò sullo


schienale della sedia, poi tornò di nuovo accanto a lei. — Voglio che tu
mi dica tutto quello che ti passa per la testa, cosa ti piace e cosa non ti
piace. Se menti, me ne accorgerò: sarà il tuo corpo a tradirti.

— E allora a che serve parlare?

— Serve a te — rispose Colin, accarezzandole una spalla e poi raggiun-


gendo la fila di bottoncini in tessuto che le scendeva lungo la schiena.
— Parlare ad alta voce ti aiuterà a pensare nei minimi particolari a ciò
che ti sto facendo e ti terrà ancorata al piacere di questo momento.

— Tienimi stretta.

— Certo, lo farò — sussurrò lui, dandole un bacio sul collo. — Dare


voce ai tuoi desideri ti aiuterà a non avere esitazioni e a non arrovel-
larti su cosa si può fare e cosa no. Così capirai l’effetto che mi fa sen-
tirti godere, e a quel punto saprai cosa vuol dire congiungersi con una
persona senza essere sottomessi.

— Sembra una cosa molto intima — ansimò lei.

— Vedrai, amore, per noi lo sarà.


9

Erano da poco passate le dieci di sera quando Ware fece il suo ingresso
nello studio di Christopher St John. Il pirata continuava a fare avanti
indietro tra la scrivania e la finestra. Il conte non l’aveva mai visto
tanto agitato. Senza il panciotto e con il foulard di traverso, St John gli
appariva sconvolto e in ansia, tanto che a Ware si drizzarono subito i
capelli dietro la nuca. Sul vialetto d’ingresso c’era in sosta una carrozza
da viaggio, per cui era evidente che ben presto qualcuno sarebbe
partito per andare lontano.

— Milord — lo salutò Christopher con aria assente.

— St John. Cos’è successo?

Senza rispondere al suo quesito, il pirata girò intorno alla scrivania e


andò verso il tavolo di servizio. Ware scosse il capo e si lasciò ricadere
su una delle poltrone gemelle allineate davanti al caminetto. Era ven-
uto a prendere Amelia e gli pareva strano che lo facesse attendere. La
puntualità era una delle cose che apprezzava di più in lei.

— Per me non è facile raccontarvi quanto è accaduto oggi — iniziò


Christopher, versandosi una dose generosa di whisky.

— Non vi preoccupate. Con me potete parlare liberamente.

— Mia moglie e la signorina Benbridge sono andate in città, oggi po-


meriggio. Mi avevano detto che andavano a fare compere, ma poi ho
scoperto che in realtà stavano cercando l’uomo mascherato che ha cat-
turato l’interesse di Amelia.

Ware assunse un’espressione stupita. — Capisco.


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— Per qualche strano caso, il conte Montoya, ammesso che questo sia
il suo vero nome, stava lasciando la città, così la signorina Benbridge
ha preso una carrozzella e si è lanciata al suo inseguimento... e mia
moglie l’ha seguita.

— Santo Dio!

— Credo che abbiate bisogno di un po’ di alcol, milord.

Il conte ci rifletté un istante, poi scosse il capo. — Mi sono informato


anch’io. Speravo che lady Langston mi aiutasse a fare un po’ di luce
sull’identità di quell’uomo, ma sulla lista degli invitati non figurava
nessun conte Montoya.

Christopher arricciò le labbra in una smorfia di disgusto. — Non so più


cosa fare per uscire da questa situazione. Se quell’uomo avesse voluto
farle del male oppure sedurla, che senso avrebbe avuto lasciare
Londra?

Tra tutte le emozioni che affollavano la mente di Ware c’erano gelosia


e senso di possesso, ma anche rassegnazione. Una parte di lui sapeva
che anche se Amelia si era decisa a sposarlo, in realtà voleva... di più.
Non aveva idea di cosa le mancasse, ma a dire il vero la loro relazione
non sarebbe più potuta andare da nessuna parte e non avrebbe portato
a una felice conclusione senza prima aver colmato quel vuoto.

— Sono sorpreso di trovarvi ancora a casa — disse. — Amelia non è


mia moglie, eppure sento un forte bisogno di andare a cercarla.

— Anch’io vorrei tanto poterlo fare — obiettò Christopher, gettandogli


un’occhiataccia. — Ma non so dove sia. Sto aspettando notizie.
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— Vi prego di perdonarmi, non intendevo offendervi. La mia era solo


un’osservazione. — Ware fece una pausa prima di proseguire. — Vorrei
venire con voi, se non avete obiezioni.

Il pirata sembrava sul punto di controbattere, poi il disappunto sparì


dal suo volto, e annuì. — Se volete, venite pure, ma i vostri abiti non
sono adatti.

— Vado subito a cambiarmi e a preparare i bagagli. Viaggerò leggero.


Se partite prima del mio ritorno, lasciatemi un messaggio e vi
raggiungerò.

— Certo, milord — disse Christopher, abbozzando un sorriso carico di


commiserazione e alzandosi a sua volta. — Devo scusarmi anch’io con
voi. Avete fatto molto per Amelia rivolgendole le vostre attenzioni, e
sia io sia la signora St John ve ne siamo infinitamente grati, e di certo
anche Amelia.

— St John — lo interruppe Ware con una risatina mesta. — In questo


momento, l’incolumità di Amelia viene prima del mio orgoglio.

Si strinsero la mano in segno di mutuo rispetto, poi il conte corse via, e


mentre la sua carrozza lasciava la residenza del pirata, Ware cominciò
a stilare una lista mentale di cosa portarsi dietro.

Lo spadino e la pistola rientravano nell’elenco. Se l’onore di Amelia


era stato offeso, lui considerava suo diritto e suo dovere punire
l’offesa.

Mentre Colin le allargava le sottane, non poteva fare a meno di


pensare che quella notte avrebbe cambiato per sempre le cose tra loro.
— Hai una cameriera con te?
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Il fatto di essere bendata poteva rendere alcune donne timide o in-


certe, ma quello non era il suo caso. — No. Ho visto la tua carrozza e ti
ho seguito — rispose Amelia con voce ferma e decisa.

Colin era combattuto tra l’impulso di farla subito sua e la volontà di


proteggerla come se fosse la cosa più preziosa che possedeva. — È
evidente che ti stai lasciando trasportare dalle emozioni e che non ra-
gioni più. Domani potresti pentirtene.

— Io so cosa voglio — rispose lei in tono risoluto.

— Allora lascerai perdere Ware — disse lui, sfilandole prima una


manica del vestito e poi l’altra. — E sarai solo mia.

— Credo che sarà più probabile il contrario.

Sorridendo, Colin si chinò e le tirò giù la gonna. Amelia fece un passo


di lato, senza fretta, tenendosi in equilibrio contro la porta. Lui si go-
dette il piacere di vederla con indosso solo le sottogonne e appoggiò
con calma il vestito su una poltrona lì accanto, facendo del suo meglio
per non sgualcirlo.

— Sei così calmo — mormorò Amelia. — Così controllato. Di sicuro hai


avuto molte storie.

— Questa non è una storia — rispose lui, voltandosi e squadrandola


dalla testa ai piedi. Era ancora troppo vestita per i suoi gusti, ma
sapeva che la stava vedendo come nessun altro l’aveva mai vista
prima.

Lei si mise una mano sul fianco e Colin vide spuntare un sopracciglio
sopra la benda. — E chi ti dice che io non voglia una storia?
162/325

— Be’, posso dirti per certo che con me non ce l’avrai — dichiarò lui,
avvicinandosi e sollevandola da terra. — Anzi, non ce l’avrai mai, per-
ché nessuno verrà a letto con te, dopo di me.

Amelia scoppiò a ridere e gli gettò le braccia al collo. — Mio... Quanto


sei delizioso quando diventi possessivo.

— Aspetta a dirlo quando sarò dentro di te. Allora sì che vedrai quanto
posso essere delizioso.

— Smettila di scherzare — replicò lei, ansimando. — Di questo passo,


sarà giorno prima che io riesca a spogliarmi.

— Non è necessario che tu sia nuda, possiamo farlo anche con i vestiti
addosso. Basta che ti tiri su le sottane e mi sbottoni i calzoni, e io ti
sbatterò contro la porta.

— Se il tuo intento è quello di spaventarmi, sappi che è difficile rius-


circi. — Nella sua voce non si percepiva alcuna ansia, soltanto una
rinnovata risolutezza. — Io sono cresciuta in ambienti a dir poco rus-
tici, dove ho visto animali di ogni tipo fare cose inimmaginabili.

Lui soffocò una risata nascondendo la testa dietro il suo collo.

— Non ridere alle mie spalle — lo rimproverò Amelia. — La tua minac-


cia è infondata. Lo so che non ti prenderai la mia verginità in modo
così rude. Mi adori troppo.

— Avete ragione, vostra altezza — ammise Colin, inginocchiandosi per


baciarle i piedi.

Mentre lei rideva di quel gesto, prese a salire pian piano, scivolando
tra la massa di sottogonne e baciandole le gambe fasciate dalle calze. A
163/325

un certo punto, la risata si trasformò in un sussulto e in un gemito


trattenuto.

Sentire il suo odore in quella parte intima lo fece impazzire, allungò un


dito per toccarla e rimase sorpreso di trovarla calda e bagnata. Amelia
trasalì per quell’audace carezza e perse l’equilibrio, cadendo contro la
porta con un tonfo.

— Non voglio farlo in piedi! — protestò.

Dandole un ultimo bacio nell’incavo del ginocchio, Colin si liberò delle


sottane e si alzò in piedi, poi la fece voltare e prese a slacciarle il cor-
setto in modo da avere un attimo di tregua per riprendere il controllo.
Si concentrò sulla respirazione e su di lei, cercando di ignorare
quell’istinto animale che lo stava divorando.

Alla fine, lei rimase solo con la camicetta, così trasparente che si ve-
deva tutto, e quell’immagine poco definita lo fece eccitare ancora di
più.

— Voglio che tu ti tolga da sola il resto — le disse, facendo un passo


indietro.

— Perché?

— Perché mi piace.

— Non è facile come dirlo. È la prima volta che sono nuda davanti a un
uomo.

— Fallo — le ordinò lui. Aveva un disperato bisogno di vederla tutta.

Senza replicare, Amelia si sfilò le scarpe. Quando si abbassò per slac-


ciarsi i gancetti delle calze, la camicetta si sollevò e Colin fu percorso
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da un fremito. Ogni suo movimento suscitava in lui ricordi del pas-


sato: nessun’altra donna poteva competere con lei. Si stava togliendo i
vestiti in maniera innocente, non era esperta e le sue mosse non erano
volte a sedurre, eppure riuscivano a turbarlo.

La desiderava al punto da provare quasi dolore, così si aprì la patta dei


pantaloni e si prese il pene in mano. Era grosso e duro, bagnato sulla
punta dalla voglia di lei. Cominciò a muovere la mano su e giù e gli
sfuggì un gemito. Quando sentì quel suono, Amelia si immobilizzò, per
paura di aver fatto qualcosa che non andava.

— Cosa c’è?

— Niente — la rassicurò lui con voce rotta. — Va tutto alla perfezione.

Lei stette ad ascoltarlo attentamente, modulando il respiro in modo


tale da cogliere ogni sfumatura nella sua voce. — Che cosa stai fa-
cendo? Sento che ti muovi.

— Mi sto accarezzando l’uccello.

La mente le si affollò di immagini solo parziali a causa della sua ines-


perienza, poi percepì uno strano pulsare tra le gambe e istintivamente
strinse le cosce per farlo smettere. — Perché lo fai?

— Perché mi fa male, amore. Ce l’ho duro e pronto per te, più duro e
pronto di quanto sia mai stato in vita mia.

— Posso toccarlo?

Lui emise un suono soffocato e prese a masturbarsi più vig-


orosamente. — Prima spogliati.
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Amelia ubbidì e si tolse tutto in fretta, cercando di non pensare alle


proprie imperfezioni. Diversamente da Maria, non era formosa e non
aveva il fisico adatto a soddisfare un uomo. Era alta, magra e con i seni
piccoli. Era troppo attiva: preferiva andare a cavallo e tirare di
scherma piuttosto che starsene seduta a giocare a carte o a prendere il
tè.

— Santo Dio! — esclamò lui quando Amelia lasciò ricadere la cam-


icetta a terra.

Lei tentò di coprirsi con le mani, ma Colin l’afferrò per i polsi e gliele
scostò. — Non nasconderti mai da me.

— Sono nervosa.

— Amore mio... — Colin l’abbracciò forte e Amelia sentì la sua erezione


premerle contro la pancia. Era liscio come la seta, ma duro come una
roccia e caldo. Anche se quel contatto la sconvolgeva, il proprio corpo
pareva deliziato da quella sensazione e si sentì ancora più umida tra le
gambe.

— Sei così bella... In ogni centimetro. Ho sognato di vederti proprio


così, nuda e disponibile. Quanto erano misere le mie fantasie rispetto
alla realtà!

— Sei gentile — bisbigliò lei, appoggiandogli la fronte sul petto.

Colin le mise la mano sul pene e le serrò le dita su di esso. — Un uomo


non si sente così di fronte a un’amante che non è alla sua altezza. —
Amelia prese a palparlo e accarezzarlo, a strizzarlo ed esplorarlo. —
Così mi farai venire — sussurrò lui, ansimando.
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— Se così ti faccio godere, voglio andare avanti — disse lei. Voleva dav-
vero soddisfarlo, dargli un piacere unico che gli rimanesse impresso
nella mente e che le permettesse di legarlo indissolubilmente a lei.

— Civetta.

Amelia s’irrigidì quando sentì la sua mano grande e calda afferrarle un


seno. Il capezzolo, già turgido a causa dell’aria fresca, s’indurì ancora
di più.

— Guarda, mi sta giusto nel palmo — osservò lui, cominciando a


muovere i fianchi per seguire il ritmo delle sue carezze. — Tu sei fatta
per me, Amelia.

Lei sussultò quando Colin le prese il capezzolo tra il pollice e l’indice e


glielo strizzò, provocando brividi di piacere. Tutto diventò più intenso
e le emozioni la risucchiarono in una spirale, facendola muovere in
maniera ancora più febbrile.

— E come reagisci prontamente ai miei stimoli — aggiunse lui. Un at-


timo dopo, Amelia gemette forte mentre lui prendeva a succhiarle la
dolce sommità del seno. Le sue mani si serrarono in modo ancora più
convulso sul pene, lui ansimò e quella vibrazione le fece perdere del
tutto il controllo.

Colin le circondò la vita con le sue braccia forti e la spinse all’indietro,


sostenendola mentre continuava a rendere omaggio alle sue rotondità
perfette, compiendo movimenti circolari con la lingua e succhiando
con foga.

Proprio come le aveva anticipato, le si svuotò la mente e rimase solo


una creatura tutta desiderio e bramosia. La mancanza di pensieri
razionali la legò ancora più forte a lui. C’era solo un altro uomo a cui
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aveva pensato di potersi concedere in quel modo. Montoya non aveva


la minima idea delle emozioni che suscitava in lei.

— Dimmi che ti piace — sussurrò lui, spostandosi sull’altro seno. —


Lasciati andare, Amelia, non restartene in silenzio.

Le mordicchiò il capezzolo turgido e lei emise un gridolino, poi comin-


ciò a leccarla dappertutto con ardore. Non le bastava ancora: lei prese
a contorcersi, a dimenarsi e inarcò la schiena nel tentativo di essere
baciata ancora più intensamente.

— Cosa vuoi? — le domandò in un bisbiglio. — Di cos’hai bisogno?


Dimmelo e io te lo darò.

— Succhiamelo — mugolò lei. — Ti prego... non ce la faccio più...

Lui ubbidì e Amelia sussultò quando le sue labbra si chiusero su un


capezzolo. Il pene le fremeva tra le mani e un liquido caldo le bagnò la
punta delle dita. Incuriosita, andò alla ricerca della fonte, un piccolo
foro sulla punta. Prese ad accarezzarlo proprio lì con il pollice e lui fu
percorso da un brivido e succhiò con maggiore intensità.

Non potendo vederlo, tutti gli altri sensi erano più accesi che mai.
Amelia sentì le narici riempirsi del suo odore e questo fece crescere
ancora di più il suo desiderio. La sua pelle erano così sensibile che
persino il minimo spostamento d’aria le faceva venire la pelle d’oca.

— Ti prego — lo supplicò.

Lui indugiò ancora un attimo sul capezzolo, poi si tirò su, la prese tra
le braccia e la portò verso il letto.

Simon era già di pessimo umore quando la carrozza di Maria lasciò la


strada principale per entrare nel cortile di una taverna nella cittadina
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di Reading. Due degli uomini di St John erano andati avanti. Se


avevano fortuna, magari sarebbero tornati con qualche informazione
in più, magari sarebbero riusciti ad avvistare Amelia.

Avevano trascorso la giornata arrovellandosi su dove potesse essere fi-


nita la ragazza. Sapevano che il tizio che aveva dato loro un passaggio
li aveva scaricati poco dopo, rifiutandosi di viaggiare fuori città. A quel
punto, erano saliti su un’altra carrozza e avevano proseguito il loro
viaggio. Gli eventi avevano preso una piega del tutto inaspettata. Ciò
che turbava di più Simon era un’altra cosa: l’avevano informato che al-
cuni francesi si stavano muovendo nella loro stessa direzione.

Poteva darsi che non volesse dire niente, oppure che si trattasse di
Cartland.

Simon avrebbe voluto raccontare tutto a Maria dopo cena, ma si sen-


tiva in debito con Colin, che aveva rischiato la vita per lui in più di
un’occasione. Così, decise di tenere a freno la lingua, quando si salut-
arono e si avviarono ciascuno verso la propria stanza.

Né lui né Lysette avevano il necessario per viaggiare. Non un cambio


d’abiti né un servitore. Non disponevano nemmeno del veicolo adatto,
e questo gli aveva causato un forte mal di schiena.

Per fortuna, Colin aveva accennato di voler andare a Bristol, e questo


in un certo modo gli dava un vantaggio. Era riuscito a convincere
Maria a muoversi verso quella destinazione, mentre di nascosto rispe-
diva un lacchè a casa a informare il suo valletto di quel cambio di pro-
gramma. Il servitore, nel frattempo, si sarebbe occupato anche di
regolare i conti, di fare le valigie, di mandare a chiamare la cameriera
di Lysette e di raccattare le sue cose.

Pensando a lei, girò la testa e la osservò, seduta accanto al fuoco.


Erano stati costretti a condividere la stessa stanza per necessità: erano
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in tanti e avevano occupato tutte le camere disponibili. Maria si era


opposta vivamente, sostenendo che il marito aveva diversi scagnozzi
disseminati nella zona che avrebbero potuto ospitarli, ma Simon aveva
insistito perché non si allontanassero troppo dalla strada, anche se
Maria non si era dichiarata d’accordo. Tuttavia, non voleva che
scoprisse che le aveva mentito riguardo alla sua “vacanza”, e lo
stratagemma sarebbe stato svelato se si fosse accorta che indossava
sempre gli stessi abiti.

Un leggero sospiro attirò di nuovo la sua attenzione su Lysette. Era


raggomitolata su una poltrona, in camicia da notte, con le ginocchia
raccolte e una coperta in grembo. Si era sciolta i riccioli dorati, che ora
le ricadevano sulle spalle, incorniciandole il viso dalla carnagione
chiara. Stava leggendo, come faceva spesso; divorava libri di storia con
una voracità che Simon trovava intrigante. Perché tanto interesse
verso il passato? Avevano a malapena il tempo di fare le loro indagini,
eppure lei si era portata dietro un libro.

Andò verso il letto con espressione accigliata e si tolse di dosso gli


abiti, restando con la biancheria. Poi scivolò sotto le lenzuola e la
studiò di sottecchi, contemplando la sua delicata bellezza dorata,
domandandosi perché la trovasse così attraente. Era la prima e unica
volta nella sua vita che la bellezza di una donna non riusciva a dis-
trarlo dai suoi tormenti interiori, e questo era davvero sorprendente,
considerato che Lysette poteva fare a gara con Maria, quanto ad
avvenenza.

Le due donne erano simili sotto molti punti di vista, ma ciò non faceva
che accentuare le loro differenze. Maria era risoluta, aveva una volontà
di ferro, forgiata da un’incrollabile determinazione. Lysette, invece, a
volte sembrava insicura sul percorso da seguire. Simon non riusciva a
capacitarsi di come quella ragazza un attimo prima adorasse la vita
che faceva e subito dopo la disprezzasse.
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Il suo istinto gli diceva che c’era qualcosa che non andava in lei, e col
tempo aveva imparato a fidarsi ciecamente di quello che sentiva.
Lysette era un’assassina al soldo di qualcuno e la freddezza si con-
faceva perfettamente alla professione che aveva scelto, eppure
quell’apatia verso gli altri a volte era intervallata da rari momenti di
confusione e rimorso. Simon sospettava che fosse un po’ tocca, ma era
difficile provare allo stesso tempo compassione e avversione.

— Come avete fatto a farvi ingaggiare da Talleyrand? — le domandò.

Lei trasalì, guardandolo di traverso. — Pensavo che steste dormendo.

— Evidentemente no.

— Be’, comunque non lavoro per Talleyrand.

— E per chi, allora?

— Questo non vi riguarda — rispose lei, con un sorrisino.

— Oh, io invece credo proprio di sì.

— E voi per chi lavorate?

— Per nessuno e per tutti. Sono un mercenario.

— Mmm...

— Anche voi? — insistette Simon, quando vide che non rispondeva.

Lysette scosse il capo e assunse di nuovo quell’aria un po’ persa. I suoi


abiti erano di ottima fattura e di tessuti pregiati, il portamento e le
maniere impeccabili. Una volta viveva sicuramente in un altro
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ambiente. Simon sapeva perché Maria si era data alla vita criminale,
ma perché l’aveva fatto anche Lysette?

— Perché non vi trovate un marito ricco e vi divertite a svuotargli le


tasche? — le chiese.

Lei arricciò il naso. — Che noia!

— Be’, questo dipende dal marito, no?

— Non importa, non mi interessa.

— Forse fare l’amante sarebbe più adatto a voi?

— Non mi piacciono molto gli uomini — sentenziò lei, sorprendendolo.


— Perché mi fate questa domanda?

Simon fece spallucce. — Perché no? Non ho altro da fare.

— Dormite.

— Preferite la compagnia delle donne?

Lei lo fissò per un istante, poi sgranò gli occhi. — No! Preferisco la
compagnia dei libri, ma se non è possibile averla, la mia seconda scelta
sono gli uomini, nel senso che intendete voi.

Lui sorrise.

— Perché non pensate a Cartland e mi lasciate in pace? — gli suggerì


Lysette.

Il buonumore svanì in un istante. — Credete che riuscirà a trovare


Mitchell?
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— Credo che sia impossibile il contrario, visti tutti gli uomini che gli
danno la caccia. Cartland ha a disposizione un nutrito gruppo di per-
sone. Non mi stupirei se stesse tenendo d’occhio tutte le strade prin-
cipali fuori e dentro Londra. Non sarei venuta con voi se avessi
pensato che si trattava di una banale bega di famiglia.

— Ovvio — mormorò Simon; il piccolo moto di calore che aveva


provato per lei era scomparso subito. Era così che andavano le cose tra
loro: per un attimo la trovava attraente e subito dopo la detestava. — E
che mi dite di quell’uomo che sta con Cartland? Come si chiama... Ah,
sì, Dépardue! Pensate a lui?

— Il meno possibile.

C’era qualcosa sotto, riusciva a intuirlo dalla strana incrinatura nella


sua voce. — È vostro rivale, vero?

— No — rispose lei seccamente. — Non lo è. Se va bene a lui, non è


detto che vada male a me.

— Allora perché non mandarlo avanti ed evitare di macchiarvi la


coscienza?

— Faccio quel che devo — rispose lei, sulla difensiva. — So che non vi
piace che io riesca a mettere da parte le emozioni per portare a ter-
mine il mio incarico, ma questo è l’unico modo per uscirne viva.

Simon emise un profondo sospiro e si appoggiò contro il cuscino. —


Sopravvivere come tentiamo di fare noi non significa essere per forza
spietati. Che senso avrebbe vivere, se non si avesse un cuore?

Lei richiuse il libro con uno schiocco. — Non cercate di farmi la pre-
dica! — urlò. — Voi non sapete proprio niente della mia vita!
173/325

— Allora raccontatemi qualcosa — la invitò lui in tono pacato.

— Che ve ne importa?

— Ve l’ho già detto: non ho nient’altro da fare.

— Volete fare sesso?

Lui tirò su la testa di scatto, sorpreso. Lysette lo stava guardando con


le sopracciglia alzate.

— Con voi? — domandò lui, incredulo.

— C’è forse qualcun altro, qui?

Con profondo rammarico, Simon considerò che gli sarebbe tanto


piaciuto farsi una bella cavalcata, ma non con Lysette. Però non si
sarebbe di certo fatto sfuggire quell’occasione. — Penso che
potremmo...

Lei sgranò gli occhi di fronte alla sua evidente riluttanza. Poi scoppiò a
ridere, un suono melodioso e ritmato che lo incantò. Chi l’avrebbe mai
detto che una creatura tanto fredda potesse avere una risata così
calda? — Non volete venire a letto con me? — gli domandò.

— Saprei essere all’altezza della situazione — ribatté lui, offeso.

Lysette lo fissò con insistenza tra le gambe. — Non mi pare.

— Non prendetevi mai gioco della virilità di un uomo se non volete


costringerlo a dimostrarvi il contrario, cavalcandovi come si deve. —
Lei si adombrò, deglutì e poi distolse lo sguardo. Simon sentì montare
la rabbia e si mise a sedere sul letto. — Stavo scherzando.
174/325

— Ma certo.

Sfregandosi la mascella, Simon imprecò tra sé. Non riusciva proprio a


capire le donne, erano troppo volubili. — Forse potremmo riportare la
nostra conversazione su argomenti meno pericolosi...

— Sì, credo che sarebbe meglio — disse Lysette, lanciandogli un’occhi-


ata veloce.

Lui rimase in attesa che dicesse qualcosa; poi, visto che restava in si-
lenzio, prese la parola. — Io intendo catturare Cartland e metterlo dav-
anti a Mitchell, così potrete notare quanto sono diversi. Se conosco
Cartland, spera di sbarazzarsi di Mitchell prima che riveli il suo
segreto.

— Se esiste davvero un segreto — azzardò lei.

— Perché non credete a quel che vi diciamo?

— Non prendetevela a male. Non credo nemmeno a Cartland.

— E a chi credete, allora? — ribatté lui, seccato.

— A nessuno. E non credo che vi comportereste diversamente, se foste


al mio posto.

— Ma voi avete conosciuto Mitchell. È un giovanotto onesto, con un


gran cuore.

— Sono certa che ci sono persone pronte a dire la stessa cosa anche di
Cartland.

— Cartland è un bugiardo e un assassino!


175/325

— Questo lo dite voi, ma una volta non lavoravate insieme? Non gli
portate un certo rancore per avere rivelato i vostri loschi affari in
Francia? Voi avete le vostre ragioni per volerlo morto, e questo rende
sospetto tutto ciò che dite contro di lui.

Simon si lasciò ricadere sul cuscino borbottando qualcosa e tirò la


tenda.

— Adesso vi è venuto sonno?

— Sì!

— Allora bonne nuit.

Simon sbuffò e si girò su un lato.

10

Amelia fu percorsa da un brivido quando la schiena nuda toccò il


copriletto freddo e per un attimo non sentì più il calore di Montoya
avvolgerla. Se teneva lo sguardo puntato verso il basso, c’era un pic-
colo spiraglio attraverso il quale riusciva a intravedere la stanza e il
bagliore del fuoco che bruciava nel camino, ma a lei non interessava
vedere nulla, così serrò le palpebre.

S’immaginava Montoya come una creatura dai tratti esotici, forte,


bello e austero. Dentro di sé bruciava dal desiderio di dargli piacere;
voleva sentirlo ridere e riempirlo di baci sulle fossette che gli
spuntavano sul viso nelle rare occasioni in cui sorrideva.

All’improvviso, le si affacciò alla mente un ricordo vivido di Colin in


tutta la sua gloria e si irrigidì, sorpresa.
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— Che succede? — sussurrò lui. Amelia capì che aveva smesso per un
attimo di spogliarsi perché non sentiva più alcun rumore.

Lei inspirò a fondo e cercò di riportare i pensieri al presente. Magari


era così che doveva andare: forse era normale pensare al suo primo
amore proprio nel momento in cui si stava imbarcando in una simile
avventura con un altro. Le mancava l’esperienza per poterlo affermare
con certezza.

— Sento freddo senza di te — mentì, allungando le braccia verso di lui.

— Tra un attimo sarai calda e bagnata — mormorò lui, salendo sul


letto.

Amelia sentì un bel tepore sul fianco e un attimo dopo lui le baciava
dolcemente una spalla e poi l’accarezzava seguendo le dolci curve e gli
avvallamenti del suo corpo.

— Ho paura che sia tutto un sogno — bisbigliò. — Ho paura che se chi-


udo gli occhi, quando li riaprirò tu non ci sarai più.

— Sono tutta in subbuglio — gli confessò Amelia, mettendo le mani


sulla pancia, giusto sotto l’ombelico.

Lui appoggiò le mani sulle sue e gliele strinse. — Tra poco sarò proprio
lì, dentro di te — le spiegò, muovendosi in punta di dita verso la pe-
luria riccioluta tra le gambe. Così le fece il solletico e lei scoppiò a
ridere, poi, quando lui premette di nuovo le labbra sulle sue, sentì che
anche lui stava sorridendo. — Ti amo — le sussurrò, prima di im-
padronirsi della sua bocca.

Amelia ebbe l’impressione che il cuore smettesse di batterle, e questo


la distrasse per un attimo dall’avanzata delle sue dita, ma quando
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tentò di allargarle le gambe sussultò e le serrò d’istinto, voltando la


testa di lato.

A quel punto, il significato di quelle due parole che le aveva sussurrato


poco prima la colpì con una forza sorprendente: non avrebbe mai
pensato di udirle di nuovo, perlomeno non dalla bocca del suo amante.
Sentì le lacrime salirle agli occhi e solleticarle le palpebre.

— Apri le gambe — le disse, baciandole il collo. — Lascia che ti dia


piacere.

Amelia cominciò a tremare: quell’assalto ai suoi sensi e al suo cuore la


scuoteva nel profondo. — Reynaldo...

— No — la interruppe lui, salendole sopra e baciandola con più ardore.


— Chiamami come vuoi, ma non così. Caro, tesoro...

— Amore...

— Sì — confermò lui, spingendo la lingua più a fondo e sentendola


gemere. — Apri le gambe — le chiese di nuovo. — Voglio vederti...
toccarti...

A sentirlo parlare con tanta passione, Amelia non seppe resistergli e


ubbidì, inarcando la schiena mentre lui iniziava a sfregare quel punto
morbido e pulsante che implorava di avere la sua attenzione.

I suoi baci si fecero sempre più appassionati a mano a mano che con-
tinuava a massaggiarle il sesso bagnato e dolente con stupefacente
maestria, muovendosi al tempo della lingua.

Amelia si contorceva e si aggrappava a lui, in balia di quel piacere, cer-


cando ancora di lottare contro la crescente tensione che l’agitava.
Sentire i muscoli degli avambracci che si tendevano e si flettevano non
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faceva che aumentare la consapevolezza di quanto quelle carezze


fossero erotiche e intime.

Un dito scivolò ancora più a fondo e prese a muoversi in modo circol-


are intorno alla vulva.

— Com’è morbida — disse Montoya in tono quasi reverenziale. — Sta


risucchiando il mio dito con avidità. — Per provarle che aveva ragione,
spinse ancora un po’ di più e Amelia gridò, mentre il suo corpo
spasimava per quella delicata intrusione.

— Dio mio, è così stretta e bagnata — mormorò lui con voce roca. — Se
entro dentro di te, mi ucciderai.

Amelia allungò una mano e gli toccò il pene, domandandosi come


avrebbe fatto ad accoglierlo: era grosso e duro e lei sentiva già un forte
bruciore per un solo dito.

Lui gemette quando Amelia chiuse le dita sul membro: bruciava dal
desiderio ed era pronto per penetrarla.

— Stai per venire. Senti com’è contratta la clitoride? — le disse, toccan-


dole con la punta del pollice quel rigonfiamento, per poi scivolarle
dolcemente dentro.

Amelia cominciò a gemere mentre lui entrava e usciva, penetrandola


ogni volta sempre più a fondo. Sentiva i seni che le dolevano e la pelle
che iniziava a sudare per il tocco esperto di quel massaggio. Dalla gola
le sfuggivano ansiti disperati e alla fine si aggrappò a lui, cercando di
attirarlo a sé.

— Dimmi cosa vuoi che ti faccia — sussurrò l’uomo. — Dimmi cosa ti


piace.
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— I miei capezzoli...

— Sono bellissimi, e così turgidi! Fanno venire voglia di succhiarli.

— Sì! — gridò Amelia, inarcando la schiena in un palese invito.

— Dillo, amore mio — la sollecitò lui, spingendo il dito ancora più a


fondo. — Dimmi cosa vuoi.

— Voglio...

— Sì?

— Voglio la tua bocca sul mio seno.

— Mmm... Con piacere.

Amelia sentì un forte calore bruciarle la pelle e una strana tensione


impossessarsi dei suoi lombi, sempre maggiore a ogni bacio, a ogni
carezza, a ogni movimento del pollice.

L’orgasmo la sorprese, togliendole il fiato. Il corpo si tese, il cuore


prese a martellarle contro le costole, il sangue le rimbombò nelle orec-
chie quando lui ruppe la barriera che li separava. In mezzo a quella
tempesta di sensazioni Amelia non si accorse quasi di aver perso la
verginità e le lacrime che stava versando non erano di dolore, ma di
una gioia così travolgente da essere quasi insopportabile.

Mentre ritornava in sé, sentì che le sussurrava parole dolci e pensò di


essere stata fortunata ad aver condiviso la sua prima volta con un
uomo che provava una simile passione per lei e che gliene ispirava al-
trettanta. Quel che sarebbe potuto essere un dovere si trasformava così
in una gioia.
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Nella sua testa, una moltitudine di emozioni si affollava e lottava per


essere espressa a parole, ma la gola era serrata e Amelia non riusciva a
parlare.

Così, lo abbracciò e lo tenne stretto.

Colin stette ad ascoltare il suo cuore che riprendeva a battere normal-


mente e capì di non averla mai amata tanto. Per lui era stata come la
dea dell’amore, una creatura ardente e appassionata con il corpo
arrossato e lucido, disinibita, selvaggia e ardente, proprio come lei vol-
eva essere. Nata per fare sesso.

Con lui.

Nessun altro uomo sarebbe riuscito a sbloccarla. Amelia gli aveva con-
fessato di sentirsi viva soltanto accanto a lui. Morbida e calda, bagnata
e vogliosa. Desiderosa di essere toccata.

— È stato... bellissimo.

Colin sfregò la faccia contro il suo seno e rise, con il cuore gonfio di
gioia. Anche a lui pareva di essersi finalmente risvegliato dopo anni di
torpore. Amelia l’aveva inseguito perché aveva bisogno di innescare in
lui il desiderio per liberare anche il proprio.

— La tua faccia scotta — si lamentò, spingendolo via.

Colin s’immaginò di poter davvero imprimere sulla sua pelle un mar-


chio a fuoco e quell’immagine gli fece pulsare il pene, che protestava
per l’attesa, ma la fantasia che aveva nutrito per anni non era quella di
essere appagato. Voleva appagare lei. Prima che fosse giorno, voleva
legarla a sé e farla sua schiava attraverso il desiderio e la passione, e
insegnarle tutte le sfaccettature del sesso. Conquistare il suo amore
sarebbe stato il premio finale, ma era essenziale anche darle piacere.
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— Posso scaldarti anche in qualche altro posto?

Lei s’inumidì le labbra e Colin si avventò su di lei, passandole la lingua


sul bordo di quella bocca carnosa. Quella era una provocazione, un
suggerimento.

Lei trattenne il fiato, capendo quali erano le sue intenzioni. — Stai


scherzando?

— Non scherzo mai. Voglio assaggiare il tuo gusto. Dentro e fuori.

Gli parve quasi di riuscire a sentire il suo cervello che analizzava e


valutava quella proposta.

— Per me è più facile pensare di essere io ad assaggiarti piuttosto che il


contrario.

Colin fu percorso da un fremito a quel pensiero e si lasciò cadere sulla


schiena per evitare di rovinarle addosso.

— Ti piacerà — lo rassicurò lei, vedendo la sua reazione. — La bocca di


una donna è tanto diversa dalla sua vagina?

— Mi piace che tu sia così curiosa. Promettimi che lo sarai sempre.

— Magari un giorno sarò io a insegnarti qualcosa.

— Sirena, tu mi hai già incantato. Che altro intendi farmi?

Amelia passò le dita sui muscoli scolpiti del suo addome e poi gli ac-
carezzò il pene eretto. Colin emise un profondo sospiro mentre lei si
metteva a sedere e si girava verso di lui, tentando di togliersi la benda.

— Non ancora — la bloccò Colin.


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— Ma adesso sono pronta.

— Io non ancora.

Lei pareva sul punto di protestare, ma poi cambiò idea e prese a


muovere le mani su e giù sul suo pene. Lui strinse i denti e afferrò il
copriletto.

— Voglio fare a te quel che tu hai fatto a me — gli sussurrò.

— Sai che gli uomini sono meno difficili da accontentare.

— Ma la sensazione è la stessa, no?

Lui sorrise. — Immagino di sì.

Amelia incrociò le gambe e cominciò ad accarezzarlo e a palparlo con


entrambe le mani. Lui sentì una sensazione paradisiaca nascere all’al-
tezza del pene, diffondersi lungo la colonna vertebrale e spaccargli il
cuore. C’era una strana riverenza nel suo tocco, una sorta di
soggezione.

Lei gli passò un dito lungo una vena pulsante e lui gemette, un suono
basso e gutturale.

— Dimmi cosa ti piace. Dimmi come posso soddisfarti.

— Lo stai già facendo — rispose Colin, accarezzandole la schiena.

— Allora dimmi come farti godere ancora di più.

— No, altrimenti verrò tra le tue mani.


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— O forse nella mia bocca? — domandò Amelia, inclinando la testa di


lato.

— Non stasera — rispose lui, quasi strozzandosi per l’emozione. Sentì i


testicoli sollevarsi e se li sistemò con un veloce strattone.

Lei rimase un attimo interdetta, poi capì. — Perché l’hai fatto? — gli
chiese, toccandogli anche lei i testicoli, passandoseli tra le dita e
strizzandoglieli un po’.

Diversamente da quanto era accaduto poco prima, quando era stato


lui a toccarsi, le carezze di Amelia sortivano tutto un altro effetto.
Colin si sentiva come se i testicoli stessero cercando di rientrargli nel
ventre, così le scostò la mano. — Maledizione, non farlo!

— Mi piaceva — spiegò lei con quel tono adorante che lo faceva


impazzire.

Colin stava per perdere la ragione, così la spostò di lato e le montò


sopra, sistemandosi tra le sue cosce. La benda di fortuna si mosse, ma
lui l’afferrò prontamente e la rimise al suo posto.

— Sei così bello — mormorò Amelia, toccandogli le spalle. — Sei così


forte e tonico, dappertutto.

Lui avvertì una nota di ansietà nella sua voce, che cercò subito di
calmare. — Vedrai che ti piacerà — le promise, appoggiando la testa su
una mano e allungando l’altra per massaggiarle la carne morbida della
vagina. Lei gemette e mosse i fianchi. — Quello che hai provato prima
non è nulla a confronto di come ti sentirai quando sarò dentro di te.

Amelia fece scivolare le braccia intorno al suo collo e lo attirò a sé. —


Voglio farlo, voglio farlo con te.
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— Sì — disse lui, leccandole il bordo dell’orecchio e facendola rabbrivi-


dire. — Sei una donna davvero sensuale, per come ti muovi, per come
mi guardi, per come sei fatta.

— Sono troppo alta — obiettò lei.

— Tu sei perfetta. Alcune donne sono fatte per andare bene con qua-
lunque uomo, invece tu sei fatta apposta per me. Mi fai incendiare il
sangue, inneschi una passione cocente, le tue gambe sono eleganti e
slanciate, le tue forme ben proporzionate.

Infilò un dito tra le sue gambe per vedere se le faceva male. Il gemito
di piacere che ricevette come risposta fu l’incoraggiamento di cui
aveva bisogno; così sistemò il pene proprio davanti alla piccola fes-
sura. Un po’ di liquido spillava dalla punta, segno che era bramoso e
pronto per farsi strada dentro di lei, ma non era necessario: Amelia era
bagnata e calda. Gli bastò un movimento d’anca per scivolare dentro.

— Oh, mio Dio! — ansimò lei.

Il corpo di Colin fremette a quel caldo abbraccio che lo accolse e si dif-


fuse in tutto il corpo, fino a incendiargli i sensi. Un brivido lo percorse
su per la schiena e lui s’irrigidì per non entrare troppo bruscamente.
Lei aveva bisogno di un attimo per abituarsi a quella nuova presenza.

Amelia lo afferrò per i fianchi e cominciò a oscillare in un modo che gli


fece quasi perdere il controllo.

— Santo cielo! — esclamò, mentre il suo membro cominciava a zampil-


lare nel tentativo disperato di alleviare un po’ la tremenda pressione
sui testicoli.
185/325

— Lo voglio tutto dentro — lo implorò Amelia, e lui fu così felice che


s’impossessò della sua bocca con ardore. Lei accolse la sua lingua suc-
chiandola con fervore.

Colin la inchiodò al letto con il proprio peso, sprofondando ancora un


po’ dentro di lei, mentre le teneva il viso tra le mani cercando di mit-
igare la bramosia.

— Amelia... — balbettò, sfregando la guancia sudata contro la sua. —


Se fai così, non riuscirò mai a...

— Sento un dolore dentro — disse lei ansimando, stringendolo ancora


più forte. — E tu non ci sei neanche arrivato.

— Tu sei stretta e inesperta, mentre io ce l’ho grosso e duro. Se vado


troppo veloce ti farò male, e dopo sentirai bruciare.

— È troppo grande...

— Ma no, dannazione! — Colin non voleva essere sgarbato, ma la sua


vagina vogliosa gli stava risucchiando la punta del pene, innescando
degli istinti primitivi che stavano avendo la meglio su di lui e sul gen-
tiluomo che aveva imparato a essere.

— Allora fammelo vedere. Forse così sarò meno ansiosa. Ogni carezza
è amplificata, ora che sono privata della vista.

Colin s’immobilizzò. Anche se non era il momento, voleva che quella


notte niente andasse storto, che tutto fosse perfetto per lei. Si sentiva
in paradiso e non desiderava altro se non condurre lì anche lei. — Ho
paura di quel che potrebbe succedere, se mi vedessi ora. Credo che
non potrei sopravvivere a un tuo rifiuto.

— Hai una delle tue maschere con te?


186/325

— Vuoi che esca? Sei pazza? Proprio adesso che sono dentro di te?

— Non completamente. Non come vorresti. — La sua voce prese quella


nota supplichevole alla quale lui non sapeva resistere.

“Se va avanti di questo passo, mi ucciderà” pensò, con uno strano mis-
cuglio di orgoglio e ironia. Nel letto come nella vita, lei non sarebbe
mai stata passiva. Da un lato lui temeva il giorno in cui avrebbe raggi-
unto la maturità sessuale, perché non avrebbe più potuto resistere
all’assalto della sua femminilità! Adesso non l’aveva neanche ancora
messo tutto dentro, eppure si sentiva già morire.

— Mi eccita vederti con la maschera — sussurrò Amelia, passandogli


un dito sulle labbra. — Che bocca sensuale! L’ho sognata tante volte e
ho desiderato che mi baciasse dappertutto e mi sussurrasse parole
sconce.

Colin fu percorso da un fremito di desiderio, e con un colpo di reni la


penetrò ancora un po’ di più. Amelia si stava sciogliendo nel suo ab-
braccio, con i capezzoli turgidi che sfregavano contro il suo petto.

— Vorrei tanto poterti vedere. Ti prego, non dirmi di no — proseguì lei,


poggiando le mani sulle sue natiche e attirandolo a sé per farlo
scivolare più a fondo.

A mano a mano che si addentrava nella vagina, Colin sentiva le pareti


diventare sempre più rigide: i suoi tessuti di vergine opponevano un
po’ di resistenza, prima di adattarsi e di plasmarsi per poterlo
accogliere.

— Ti prego... — insistette lei, con brama struggente. — Non abbandon-


armi nelle tenebre proprio ora.
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Imprecando sottovoce, Colin si ritirò e il suo corpo fremette per


quell’improvvisa mancanza. Scese dal letto e si diresse a grandi falcate
nervose verso l’armadio dove c’era la sua valigia. Si mise a frugare alla
ricerca della maschera che aveva conservato come segno tangibile di
quei momenti rubati trascorsi insieme a lei.

Guardò un attimo quell’oggetto di un bianco impeccabile, provando


una strana avversione per ciò che rappresentava: una barriera tra lui e
la donna che amava. Quanto avrebbe voluto intuire, quando l’aveva
acquistata, dove l’avrebbe portato quell’inganno! Dare solo una sbirci-
ata veloce ad Amelia, che per lui era come un sorso d’acqua nel
deserto: ecco cosa si era illuso di fare quando aveva adottato quel
travestimento.

— Sbrigati — lo spronò Amelia, con quella voce roca da seduttrice con-


sumata: ciò che le altre donne dovevano studiare e praticare a lungo, a
lei veniva naturale.

Colin si piazzò la mezza maschera sul volto e se la legò dietro la testa


con i nastrini di satin nero, poi sistemò il codino. Alla fine si prese un
attimo per osservarla, sapendo che dopo aver lasciato quella stanza
non sarebbe più stato lo stesso.

Lei si appoggiò contro la pila di cuscini, con le braccia e le gambe in-


crociate, finalmente senza benda. Nei suoi occhi verdi lui vide una pas-
sione, un desiderio e una gratitudine così grandi da togliere quasi il
fiato.

Le mostrò il pene duro e i muscoli scolpiti. La vide deglutire e capì


quanto doveva sentirsi in soggezione. Lei era alta, ma lui la superava
di parecchio. Aveva il corpo temprato dalla frequente attività fisica, e
soprattutto gli pareva di essere un animale in calore: le vene gli
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pulsavano sottopelle e si massaggiò rapidamente il membro per darsi


un po’ di sollievo.

— Vedermi ti eccita oppure ti spaventa? — le domandò.

Amelia si passò la lingua sulle labbra. — Non ho paura. Sono nervosa e


forse anche un po’ in ansia, ma non ho paura di te.

— Sei una donna coraggiosa — osservò Colin, compiaciuto, avvicinan-


dosi. Saltando tutti i preliminari, s’inginocchiò sul letto e le si parò di
fronte, scostandole un braccio per poter prendere in bocca un capezzo-
lo e succhiarlo.

Lei fece scivolare le mani dietro la sua nuca per non farlo allontanare.
— Vieni dentro di me — sussurrò. — Detesto questa sensazione
d’incertezza.

Colin le aprì le gambe, esponendo alla vista la vulva. Anche Amelia


riusciva a vedere bene da quella posizione, ma prima che avesse il
tempo di paragonare la propria fessura rosa alla circonferenza e alla
lunghezza del suo pene, lui era già entrato dentro, spingendo la testa
grossa in quella morbida fenditura.

Amelia sussultò e gli conficcò le unghie nelle cosce.

Lui la sostenne per i fianchi e si fece strada dolcemente, spostando lo


sguardo dal punto in cui i loro corpi si univano al suo splendido viso.
Aveva la schiena rivolta al fuoco morente nel camino e non dis-
tingueva bene i colori, ma riuscì a intravedere un velo di sudore imper-
larle la fronte.

— Ti sto facendo male? — chiese, rendendosi improvvisamente conto


che la stava stringendo troppo.
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— No — rispose Amelia con un filo di voce, dondolando i fianchi per


farlo entrare tutto. Era così calda e stretta che gli sembrava di penet-
rare un pugno chiuso.

Le prese una mano e gliel’appoggiò sulla clitoride. — Toccati qui — le


ordinò.

Con sua profonda meraviglia, dopo un attimo di esitazione lei eseguì il


comando senza imbarazzo, muovendo le dita lunghe e affusolate sulla
pelle umida.

La sua vagina rispose come si era aspettato, permettendogli di andare


più a fondo. Amelia gemeva a ogni spinta, inalando quell’aria satura
dell’odore di sesso e caprifoglio. Poi cominciò a contorcersi e gridare,
trasportata dalla libidine, e lui si domandò se sarebbe riuscito a en-
trare tutto dentro senza venire. Con un’ultima spinta disperata la pen-
etrò a fondo e quella sensazione gli fece venire le lacrime agli occhi.

Si fermò e lei prese a muovere i fianchi per continuare a sfregarsi con-


tro di lui. Il verso che gli sfuggì di bocca era più animale che umano, e
lei fu scossa da un brivido, come se quello fosse un incitamento a con-
tinuare così.

A quel punto Colin la bloccò con le mani, lanciandole uno sguardo


penetrante al di là della maschera. Aveva le labbra serrate e la mas-
cella rigida.

— Perché ti sei fermato? — domandò lei con voce stridula.

— Perché sono sul punto di esplodere, e non voglio farlo senza te.

— Anch’io sono pronta! — gridò Amelia.


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— Ora montami tu — le ordinò Colin in tono brusco, mettendosi a


sedere sul bordo del letto con lei a cavalcioni e il pene tutto a fondo. Si
appoggiò sui gomiti e si offrì: che disponesse di lui come voleva.

L’immagine era davvero erotica, con quella fila di muscoli e il petto vil-
loso bagnato di sudore. E poi c’era la maschera. Buon Dio, quella sì
che aggiungeva un’aura di mistero.

— Io...

— Subito! — ringhiò lui, facendola trasalire.

Amelia sollevò il mento, raccogliendo la sfida. Pensò che forse gli


avevano sfregiato il viso per qualche sgarbo commesso di recente, ed
era per questo che non voleva mostrarsi. Forse lei era la prima a
scivolare tra le sue lenzuola dopo che gli avevano inflitto quella ferita,
e questo non faceva che rendere più emozionante il loro incontro.

In quell’istante decise che l’avrebbe amato con tutta se stessa, meglio


di qualunque altra donna. Sarebbe arrivata fino a quel tormento che
percepiva dentro di lui e l’avrebbe lenito con la propria passione,
mostrandogli che era il cuore e non il corpo a guidarla verso di lui.

Così si aggrappò alle sue spalle per mantenere l’equilibrio, si tirò su


sulle ginocchia e si sollevò, facendo scorrere la vagina intorno al suo
pene. Quando si abbassò, la sensazione della grande testa del pene che
sfregava contro quel punto fremente dentro di lei la fece sussultare
con violenza.

— Ecco — mormorò lui, guardandola attraverso le folte ciglia nere. —


Vedi come sono perfetto per te? Sono fatto apposta per darti piacere.

Mordendosi il labbro inferiore, lei ripeté quel movimento, spingendosi


sempre più a fondo. Il suo pollice s’imbatté in una cicatrice che gli
191/325

segnava la spalla. La accarezzò sempre dondolandosi su di lui, ta-


stando quella forma circolare dal contorno slabbrato. C’era qualcosa
che la disturbava in quel segno sulla pelle, creandole uno strano
turbamento...

Poi lui parlò e ogni pensiero svanì.

— Dolce Amelia, tu sei mia.

Lei si sollevò e lo abbracciò, continuando a fare su e giù e gemendo per


la sensazione dei capezzoli turgidi che si sfregavano contro la peluria
ruvida del suo petto.

Lo reclamava, proprio come lui reclamava lei.

Colin la tenne stretta a sé, sussurrandole parole di incoraggiamento,


muovendo i fianchi con spinte vigorose che le toglievano il fiato e le
facevano perdere la ragione.

A mano a mano che acquistava confidenza, Amelia aumentava il


ritmo; aveva il fiatone per lo sforzo, e il sudore cominciava a colarle in
mezzo ai seni.

— Ti voglio così tutti i giorni — biascicò lui, le parole rese indistinte dal
piacere. — Voglio che tu ti senta vuota quando non sono dentro di te.
Che ti senta affamata come se stessi per morire di fame, senza di me.

Amelia sapeva che si sarebbe sentita esattamente così. In balia di quel


desiderio, si dimenava sulla sua erezione come se non avesse fatto al-
tro nella vita.

Lui le mordicchiò il collo e lei urlò; tutti i muscoli si tesero


regalandogli una sensazione meravigliosa che lo fece gemere a sua
volta.
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Era lui a renderla così infuocata, con il suo corpo possente e gli occhi
socchiusi dietro la maschera, le labbra inumidite dal suo sapore. Era
bellissimo e giaceva lì, disteso sulla schiena, felice di lasciarsi cavalcare
da una donna il cui solo scopo era raggiungere l’orgasmo.

— Scopami — gli sussurrò, appoggiando le labbra sulla sua guancia,


rimanendo stupita lei stessa di come quella parola le fosse uscita di
bocca con facilità.

Colin fu percorso da un forte fremito.

— Fammi venire — disse lei ansimante, continuando a cavalcarlo. — Ti


voglio... Ti voglio tutto, ho bisogno di te...

In un baleno lui la capovolse e la montò, inchiodandola al letto. Con i


piedi per terra e tenendosi al copriletto, prese a incalzarla con spinte
decise, strappandole a ogni colpo un grido di piacere.

Le stava sopra e la guardava, respirando affannosamente, con i mus-


coli dell’addome che guizzavano e le natiche di lei che si contraevano
quando si sollevava per seguire il suo ritmo.

Amelia avvertì una tensione crescente nel ventre: sembrava formare


un nodo stretto che le fece rovesciare la testa all’indietro e che alla fine
si sciolse in un turbinio di sensazioni che la invasero, bruciandole la
pelle e serrandole i polmoni, diffondendosi in rapide ondate.

Colin emise un gemito gutturale e si fermò, e lei protestò, continuando


a dondolare i fianchi in preda a quel delirio, con le lacrime agli occhi.

Lui riprese a muoversi, aumentando la forza e l’intensità delle spinte


finché il suo membro non si gonfiò e lui gemette a denti stretti, con il
corpo fremente mentre riversava il proprio seme caldo e denso dentro
di lei.
193/325

Era stato selvaggio, primitivo e bellissimo. Si abbandonò contro


Amelia, pelle contro pelle, puntellandosi sugli avambracci, mentre i
loro umori si mischiavano.

— Ti amo — le sussurrò, leccandole via le lacrime dalle guance. — Io ti


amo.

Amelia non rispose, allungò le mani e slacciò i nastrini che tenevano


legata la maschera.

11

La stanza era immersa nell’oscurità: il fuoco che languiva nel camino


riusciva a malapena a illuminare la zona circostante la grata. Si faceva
fatica a vedere qualcosa, eppure il sesto senso di Simon gli diceva che
qualcosa non andava.

Girando con circospezione la testa, si accorse che il letto era vuoto e


sospirò piano, sempre cercando di mantenere il respiro profondo e ca-
denzato del sonno.

Era stato qualcosa a svegliarlo, e dato che dormiva con una donna che
si era dichiarata pronta a ucciderlo, se fosse stato necessario, sapeva
che ignorare quel rumore non sarebbe stato saggio.

Guardò verso la finestra e vide qualche ciocca dorata brillare nella luce
lunare. Lysette aveva scostato leggermente le tende ed era intenta a
fissare qualcosa giù in strada.

— Che cosa state facendo? — le domandò sottovoce, mettendosi a


sedere sul letto.

— Ho sentito dei rumori.


194/325

— E cos’avete visto?

— Tre uomini a cavallo — rispose lei, chiudendo le tende. — Uno è en-


trato un attimo, credo a chiedere informazioni al locandiere, poi si
sono subito rimessi in marcia.

Simon fu percorso da un brivido, così gettò di lato le coperte e andò


verso il camino. — Dubito che qualcuno si preoccupi di chiedere in-
dicazioni a quest’ora della notte.

— È la stessa cosa che ho pensato io.

— Siete riuscita a sentire cosa dicevano? Erano francesi?

Lei accese un fiammifero e ci fu un breve guizzo di luce, poi il lumicino


di una sola candela illuminò la stanza. — Credo che fossero inglesi.

Lui aggrottò la fronte, con lo sguardo rivolto verso il fuoco tremolante.


— Forse dovrei andare a chiamare Maria.

— Non ce n’è bisogno. Hanno proseguito per la loro strada, non sono
tornati indietro. Qualunque cosa stiano cercando, non l’hanno ancora
trovata.

Proprio quando un debole tepore cominciava a irradiarsi dal camino,


Simon si alzò e si avvicinò a Lysette: sembrava stanca e una ruga le
solcava la fronte. Si era buttata addosso il cappotto sopra la camicia da
notte e se lo teneva stretto al petto.

— Bene, allora torniamo a dormire — disse, indicandole il letto. —


Sono ancora tutto ammaccato per quel dannato viaggio in carrozza e
preferisco passare ancora un po’ di tempo disteso.
195/325

Lysette assentì fiaccamente e si lasciò ricadere sulla poltrona su cui Si-


mon l’aveva sorpresa a leggere un libro. — Bonne nuit.

— Dannazione! Avete dormito lì.

— Oui — rispose lei, sbattendo le palpebre.

— Apposta?

— Oui.

Simon si passò una mano tra i capelli, cercando di mantenere la


calma. — Guardate che non mordo, non russo e non sbavo! Non in-
tendevo offendervi quando ho detto che non avevo alcun interesse a
rotolarmi tra le lenzuola con voi. Il letto è assolutamente sicuro.

— Magari il letto lo è — ribatté Lysette, impassibile. — È su di voi che


ho qualche dubbio.

Lui aprì la bocca per controbattere, poi invece sollevò le braccia al


cielo. — Bah! Allora marcite su quella sedia.

Aveva freddo, così si diresse velocemente verso il letto e s’infilò sotto le


lenzuola ormai fredde e si raggomitolò tutto nella speranza che si scal-
dassero presto.

— Dannata voi — borbottò, guardandola di traverso. — Qui sotto


farebbe molto più caldo, se fossimo in due.

— Voi avete più motivi per volermi morta che viva — osservò lei in un
tono fin troppo calmo.
196/325

— In questo momento non c’è niente di più vero. La sola ragione per
cui non vi strangolo è perché ciò mi priverebbe del calore del vostro
corpo.

Lei serrò le labbra.

— Tutto questo è ridicolo, Lysette — aggiunse Simon. Era troppo ar-


rabbiato e non sarebbe di sicuro riuscito a prendere sonno. Dormire su
quella poltrona dopo un’intera giornata di viaggio non era davvero da
lei. Era una persona alquanto pratica, proprio come tutti coloro che
vivevano di espedienti. — Perché dovrei uccidervi proprio ora?

Lei fece spallucce, ma il fatto che continuasse a guardarsi intorno con


aria nervosa tradiva una certa inquietudine. Con un sospiro, scostò di
nuovo le coperte, si avvicinò a lei e non rimase per niente sorpreso
quando Lysette estrasse un pugnale da sotto il cappotto.

— Mettetelo via.

— State indietro.

— Non sono attratto da voi — ripeté lui. — E anche se lo fossi, non ho


bisogno di gettarmi su una donna che non mi vuole.

Lysette aggrottò le sopracciglia con espressione sospettosa. — Ho


detto che sto bene qua.

— Bugiarda. Non mi posso permettere di trascinarmi dietro voi


mentre cerco di riscattare il nome di Mitchell. Dovete essere in grado
di pensare a voi stessa.

— State tranquillo, non sarò di peso — reagì lei piccata.


197/325

— Lo vedremo! Dopo una notte passata senza dormire e al freddo vi


ammalerete e sarete inutile.

— So badare a me stessa. Tornatevene a letto e lasciatemi in pace!

Simon avrebbe voluto replicare, ma poi decise di restarsene zitto e,


scuotendo la testa, scivolò di nuovo sotto le coperte, voltandole la schi-
ena. Qualche minuto dopo la candela si estinse e la sentì russare
piano.

Lui rimase sveglio ancora un po’, cercando di capire qualcosa in più di


quel rompicapo che si faceva sempre più intricato.

Amelia studiò l’uomo mascherato che stava disteso accanto a lei e si


domandò quanto fosse profondo il suo sonno.

— Aspetteremo che sorga il sole prima di togliere la maschera — le


aveva detto.

Lei gli aveva domandato perché non in quel momento, ansiosa di


vedere oltre quella barriera che si era fatta inopportuna. Ormai le
aveva preso il cuore e l’innocenza, ma ciò che avevano condiviso non
poteva essere più di una semplice infatuazione, perché di sicuro non
era amore, se non poteva vederlo in viso.

— Voglio che questa serata sia impeccabile — le aveva spiegato, rit-


raendosi dal suo corpo e andando verso il portacatino dietro il para-
vento nell’angolo. Aveva fatto ritorno con un asciugamano bagnato e le
aveva lavato le gambe, poi si era pulito a sua volta prima di raggiun-
gerla di nuovo nel letto. — Domani mattina mi spoglierò completa-
mente davanti a te, rinvigorito anche dai ricordi di una nottata per-
fetta e magnifica trascorsa tra le tue braccia.
198/325

Alla fine, anche se con riluttanza, lei aveva accettato perché non voleva
bisticciare per una questione di poche ore.

Con la schiena appoggiata alla testiera del letto e lei accoccolata vicino,
lui le aveva chiesto di raccontargli qualcosa di bello riguardo al suo
passato e Amelia aveva scelto di parlargli di Colin e di come le avesse
insegnato a vincere la paura dell’altezza facendola arrampicare su un
albero mentre giocavano a nascondino.

— Mi era passato davanti diverse volte — gli aveva detto, con la guan-
cia appoggiata sul suo petto, proprio sopra il cuore. — Da una parte
speravo che mi trovasse, perché avevo paura a restare lì appesa a quel
ramo, ma dall’altra il desiderio di sorprenderlo era troppo grande e
non volevo che mi scoprisse.

— No, tu volevi vincere — l’aveva corretta, accarezzandole la schiena e


accompagnando le sue parole con quella risata bassa e gutturale che le
era piaciuta dal primo momento in cui l’aveva sentita.

— Anche quello, sì — aveva ammesso Amelia con un sorriso. —


Quando lui alla fine si è arreso, ero soddisfatta di me. Come premio
per avere sconfitto la mia paura mi sono fatta comprare un fiocco
nuovo, che gli è costato tutto il suo stipendio.

— Doveva amarti davvero tanto.

— Credo proprio di sì, anche se non me l’ha mai detto. Avrei dato qua-
lunque cosa per sentirglielo dire.

— I fatti contano di più delle parole.

— L’ho pensato anch’io. Conservo ancora quel fiocco. È una delle cose
a cui tengo di più.
199/325

— Come credi che sarebbe la tua vita, adesso, se non vi foste mai
divisi?

Lei aveva sollevato la testa e i suoi occhi avevano incontrato lo sguardo


interrogativo del conte. — Me lo sono immaginato in mille modi diver-
si. La cosa più probabile era che St John prendesse Colin sotto la sua
protezione.

— Così vi sareste sposati?

— Ci ho sempre sperato, ma questo dipendeva da lui.

— Di sicuro te l’avrebbe chiesto — aveva detto lui con convinzione.

— E come fai a esserne tanto certo?

— Ti amava moltissimo, non ho dubbi. Tu eri semplicemente troppo


giovane, all’epoca, e lui non era nella posizione di poterti fare una pro-
posta di matrimonio... L’ami ancora?

Lei aveva esitato, domandandosi se fosse saggio confessare di provare


ancora qualcosa per lui mentre stava a letto con un altro uomo.

— Dimmi sempre la verità — l’aveva incalzata Montoya. — Vedrai che


così non sbaglierai.

— Una parte di me lo amerà per sempre. È anche grazie a lui se sono


diventata quella che sono. Lui è parte di me.

A quel punto, Montoya le aveva dato un bacio dolcissimo e lei, innam-


orata e senza fiato, gli aveva chiesto a sua volta di raccontarle qual-
cosa, aspettandosi che le parlasse di un perduto amore. Invece non fu
così.
200/325

Il conte aveva deciso di parlarle della sua vita e del lavoro pericoloso
che svolgeva al servizio della Corona. Aveva viaggiato in lungo e in
largo per il continente, senza avere una vera casa o una famiglia,
finché non aveva deciso di dare le dimissioni. E invece era rimasto in-
vischiato in un intrigo e ora rischiava la vita.

— Ecco perché ho cercato di mantenere le distanze da te — le aveva


rivelato. — Non volevo infangare il tuo nome con i miei errori.

— È così che ti sei sfregiato? — gli aveva chiesto Amelia, facendo scor-
rere delicatamente le dita sul bordo della maschera, proprio nel punto
in cui toccava la pelle.

Lui si era irrigidito. — Cosa?

Dispiaciuta per averlo contrariato, lei era subito corsa ai ripari. —


Posso capire le tue paure, ma le cicatrici non incidono minimamente
sull’affetto che provo per te.

— Amelia... — Sembrava che gli mancassero le parole.

La conversazione era morta lì e lui era scivolato nel sonno, tenendola


abbracciata. Lei era rimasta sveglia, con la testa affollata da mille pen-
sieri. Stava pensando a come si sarebbe potuta giustificare con Ware e
con Maria e come chiedere l’aiuto di St John. Passava in rassegna tutti
i dolori che la sua nuova consapevolezza di donna portava con sé e cer-
cava di immaginarsi come sarebbe stata la sua relazione con Montoya
una volta che fossero state chiarite tutte le incognite che li circon-
davano. Si domandava anche quali conseguenze avrebbe avuto il com-
portamento oltraggioso che aveva tenuto nell’ultima settimana.

Soltanto Maria poteva capire che razza di mostro fosse stato lord
Welton. La faceva star male sapere che nelle sue vene scorreva il
sangue di quell’individuo. Da fuori era uguale a lui, quindi magari gli
201/325

assomigliava anche sotto altri aspetti, di cui non si accorgeva? Era ter-
ribile rendersi conto che tutto ciò che aveva fatto negli ultimi giorni
era stato dettato semplicemente dall’egoismo. Era passata sopra ai
sentimenti e alle ansie di quelli che le volevano bene, ovvero Ware,
Maria e St John, per correre dietro a Montoya. Ma allora era davvero
figlia di suo padre?

Fissò le fiamme guizzanti nel camino e ripensò alla maschera, scervel-


landosi su chi poteva nascondersi lì sotto. La tentazione di dare una
sbirciatina era troppo forte. Tentò di giustificare quell’azione
pensando che era stata la sua misteriosa identità, e non un difetto del
suo carattere, a spingerla ad agire in modo tanto avventato.

E se Montoya avesse avuto il sonno leggero? E se l’avesse sorpresa a


spiarlo e fosse andato su tutte le furie? Era certa che sarebbero volate
parole pesanti.

Magari c’era un modo per verificare se stava dormendo


profondamente...

Sollevò una mano e l’adagiò sulla sua coscia, accarezzandolo


dolcemente. Il muscolo guizzò, ma lui non fece altri movimenti.
Amelia riprovò di nuovo, aumentando un po’ la pressione. Questa
volta, lui rimase del tutto immobile.

Una speranza si accese in lei. L’aveva amata a lungo ed era risaputo


che i viaggi in carrozza erano molto stancanti.

Fece scorrere uno sguardo ammirato sul suo addome scolpito. La cica-
trice sulla spalla era più visibile, ora, dopo che aveva attizzato il fuoco
per scacciare quel freddo strisciante. Si fermò un attimo a osservare il
segno lasciato da una pallottola e indovinò, dalla dimensione e dalle
molte linee che s’irradiavano intorno, che doveva essere stata davvero
una brutta ferita.
202/325

Depositò un bacio in quel punto, sfregando delicatamente le labbra


sulla pelle rovinata. Lui aveva cominciato a respirare in modo diverso
e i capezzoli si irrigidirono sotto i suoi occhi.

Com’era affascinante il corpo umano! Quella notte aveva imparato


davvero molte cose sul proprio, e sentiva un bisogno impellente di
scoprire tutto anche su quello di Montoya.

Con il ricordo ancora vivido e bruciante di loro due che facevano


l’amore, tirò fuori la lingua e leccò la pelle scura, scoprendo che era
salata e più compatta della sua. Pian piano stava iniziando a piacerle
tutto di lui.

Imitando quello che il conte aveva fatto con i suoi seni, dischiuse le
labbra e gli succhiò dolcemente i capezzoli. Lui si mosse, ma non come
si era aspettata.

Aveva una gamba gettata sulla sua, con il ginocchio piegato e la coscia
sollevata. Amelia sentì che il suo pene si stava ingrossando e girò la
testa per sbirciare il rigonfiamento sotto le lenzuola. Il sangue le si in-
cendiò nelle vene; prese a muoversi in modo goffo e, cosa ancora più
sorprendente, sentì la bocca riempirsi di saliva come se avesse l’acquo-
lina. Gettò un’occhiata furtiva alla sua faccia con gli occhi socchiusi.
Sembrava che stesse dormendo, attraverso i fori della maschera nulla
lasciava credere che fosse sveglio, ma lei aveva il coraggio di andare
avanti nell’esplorazione?

La curiosità ebbe il sopravvento, e non stette ad arrovellarsi troppo


sulla domanda, ma si avventurò con la mano ancora più in basso, fino
a esporre al proprio avido sguardo il pene in tutta la sua magnificenza.

— Tu giochi con il fuoco, amore mio.


203/325

Colta di sorpresa, Amelia trasalì, alzò gli occhi e vide che lui la stava
guardando con aria maliziosa.

— Da quanto tempo sei sveglio?

— Veramente devo ancora addormentarmi — rispose lui, con un sor-


riso malandrino che fece sbucare di nuovo le fossette.

— E allora perché sei rimasto in silenzio?

— Volevo vedere fino a che punto ti saresti spinta — spiegò lui. Alzò
una mano, le afferrò un boccolo e se lo passò tra le dita. — Che gattina
curiosa che sei — sussurrò.

— E ti dispiace?

— Per niente. È fondamentale che tu mi tocchi.

Prendendo quelle parole come un’autorizzazione a procedere, Amelia


focalizzò di nuovo la propria attenzione sulla sua erezione e con un
dito tracciò tutto il percorso dalla punta fino alla radice. Sorrise
quando lo vide gemere sotto il suo tocco.

— Trovo sorprendente che tu sia riuscito a entrare dentro di me — gli


confessò.

Il ricordo della sensazione estatica del contatto con la sua vagina gli
mozzò il fiato e Colin non riuscì a rispondere. Era molto eccitato e
riusciva a contenersi soltanto per forza di volontà. Quando lei aveva
iniziato a toccarlo, pensava che l’avesse fatto per caso; poi aveva soll-
evato il capo e l’aveva marchiato per sempre posando le labbra sulla
ferita che l’aveva quasi ucciso. Quello era il segno del colpo di pistola
che li aveva separati tanti anni prima, il colpo che aveva ricevuto nel
tentativo di salvarla.
204/325

Amelia scivolò verso il basso, fermandosi al livello dell’inguine e las-


ciandosi dietro una leggera scia bagnata. Sapere che le bastava vederlo
per eccitarsi così gli fece tendere i testicoli, mentre una goccia di li-
quido affiorava sulla punta del membro.

Trattenne il fiato mentre lo mangiava con gli occhi: sarebbe stata tanto
temeraria?

Giusto lo spazio di un battito del cuore ed ecco la risposta: Amelia es-


trasse la lingua e leccò via la gocciolina che imperlava la punta. Colin
si lasciò sfuggire un profondo sospiro per quella sferzata di piacere.

Lei lo esaminava stringendo le palpebre e lui pensò che conosceva


bene quello sguardo: stava valutando attentamente se raccogliere la
sfida che le si presentava. Sorrise perché capì in quell’istante che non
aveva mai cercato di superarlo, ma solo di essere al suo livello.

— Prima non mi hai risposto — disse d’un tratto, massaggiandogli la


base del pene con il pollice e l’indice. — La bocca di una donna è di-
versa dalla sua vagina?

— Sì.

— In che modo?

— In tanti modi diversi. La vagina avvolge ogni centimetro del pene, si


espande e si contrae, ed è morbida come la seta più pregiata. La bocca,
al contrario, lo abbraccia succhiandolo, la lingua è più ruvida e il mus-
colo più agile. È un po’ come un dito che stimola un punto sensibile —
concluse lui, indicando la parte subito sotto il glande. — Come questo.

— E tu cosa preferisci? — lo incalzò Amelia, muovendo la mano verso


l’alto e poi di nuovo verso il basso.
205/325

— Entrambi sono un piacere unico.

— Questa non è una risposta — ribatté lei, continuando a coccolarlo.

— Così mi confondi, non riesco a pensare.

Lei si fermò e aspettò che tornasse in sé.

— Le mie preferenze variano a seconda dell’umore. Ci potrebbero es-


sere delle occasioni in cui voglio perdermi dentro di te, abbracciarti e
sentirti muovere sopra di me, succhiarti i capezzoli e cibarmi dei tuoi
baci, stare a guardarti mentre vieni e dopo stringerti forte a lungo.

Mentre lui parlava, Amelia si sentiva sempre più umida tra le gambe.
Come se anche lui ne fosse consapevole, la sua voce si fece più roca. —
Altre volte, invece, può darsi che ricerchi solo il mio piacere, e vederti
implorare soddisferà la parte primitiva e selvaggia che c’è in me,
mentre mi rimetto completamente nelle tue mani. Resterò indifeso e
mi donerò a te del tutto.

— Potrebbe piacermi — sussurrò lei con un sorriso malizioso.

— E chi lo sa. Forse sì, o forse no. A molte donne non piace. Non ri-
escono a capire la forza di quest’atto, si sentono umiliate e usate. Ad
altre semplicemente non piace il sapore dello sperma.

— Mmm...

Conosceva quel verso e ciò che significava: lei voleva scoprire che tipo
di donna era, ma sfortunatamente il tempo a loro disposizione era
finito.
206/325

— Ora devi rivestirti e tornare a casa prima che qualcuno ci veda.


Quando sarà il momento giusto, ci incontreremo di nuovo e io ti
mostrerò la mia faccia e ti svelerò i miei segreti.

— Ma non ho ancora finito con te — si lagnò Amelia, mettendo su il


broncio. Era così seducente da farglielo drizzare completamente.

— Mi presterei con molto piacere a farti da cavia per i tuoi esperimenti


sessuali, tesoro, ma questi giochetti richiedono tempo e non vanno in-
terrotti, e purtroppo noi non godiamo di questo lusso.

— Parli dei nostri futuri incontri con troppa sicurezza — osservò


Amelia, fissando il suo pene e cominciando di nuovo a coccolarlo.

Colin mise una mano sulla sua per fermarla. — Non vedo come po-
trebbe essere diversamente. Ti suggerisco di fare altrettanto.

— Ma non mi hai ancora detto quali sono le tue intenzioni.

— Intendo spazzare via tutti gli ostacoli che ci impediscono di stare in-
sieme — le promise Colin, ubriaco d’amore e di cocente possessività. —
Poi ti voglio corteggiare come si deve, in pompa magna. Voglio stupirti
con la mia stravaganza e mettere il mondo ai tuoi piedi — aggiunse, ac-
carezzandole il dorso della mano. — Infine, quando anche l’angolo più
recondito del tuo cuore traboccherà d’amore per me, ti sposerò.

L’amava. Non riusciva a immaginare di vivere senza di lei, non dopo


quella notte, eppure non poteva sbilanciarsi a farle troppe promesse
finché aveva una taglia sulla testa.

Nonostante tutto questo, al culmine dell’orgasmo migliore della sua


vita, aveva riversato in lei tutto il suo seme e ora non poteva più torn-
are indietro.
207/325

La guardò in faccia e non riuscì a interpretare i suoi pensieri. —


Amelia...

Lei gli appoggiò la guancia sulla coscia. — Nella vita è meglio non in-
dugiare e cogliere l’attimo — sussurrò. — Io ho imparato a mie spese
che a volte non c’è nessun domani.

Lui rimase colpito da quella malinconia e allungò le braccia verso di


lei, fremendo al contatto con il suo corpo nudo. Il desiderio sessuale si
tramutò nel bisogno più complesso di restare aggrappato a qualcosa di
prezioso, per quanto sfuggente.

Il nuovo giorno si stava avvicinando ma nessuno dei due riusciva a


staccarsi dall’altro.

12

Maria fu svegliata da qualcuno che bussava alla porta. All’inizio era in-
tontita e ci mise qualche secondo a capire dove si trovava, poi il ri-
cordo del giorno precedente e della lunga notte insonne si abbatté su
di lei. Scattò a sedere sul letto, gettò via le coperte e corse verso la
porta.

— Christopher! — gridò con gioia, buttandosi tra le braccia del marito


che la strinse forte e, sollevandola da terra, la riportò in camera. —
Come hai fatto a trovarmi così in fretta? — gli chiese poi, mentre richi-
udeva la porta.

— Maledizione, ci avrei messo anche meno, se fossi stata in uno dei


miei presidi e non in questo tugurio! Perché diamine sei venuta qui?

— Simon ha insistito.
208/325

Aveva tentato di suggerirgli di usare una delle molte case di proprietà


del marito nella zona; non erano grandiose, erano solo dei piccoli cot-
tage abitati da chi viveva di rendita grazie a St John. Quei posti erano
sicuri e confortevoli e si trovavano di solito in posticini tranquilli, dove
si facevano poche domande e dove passavano poche persone. Erano
soprannominati “taverne” sia per il servizio che offrivano sia per l’an-
onimato che un nome tanto generico garantiva loro, ma in realtà ser-
vivano a salvare la vita a molti.

— Dannato lui! — esclamò Christopher, prima di baciarla con ardore, e


quando si rese conto che era senza fiato e completamente abban-
donata su di lui, scosse il capo: — Ragazzina esasperante. Perché mi
devi dare il tormento ficcandoti sempre in qualche guaio?

— Non è colpa mia! — protestò lei, togliendogli il cappello e gettandolo


di lato.

— Già, come no? — La portò in braccio fino al letto e la fece distendere


e il suo sguardo si accese quando vide che indossava solo la camicia da
notte. — Se non avessi assecondato Amelia nella sua fantasia, ora non
dovremmo darle la caccia e soprattutto io non avrei dovuto trascorrere
la notte in una carrozza fredda.

— Sarebbe andata comunque da sola, ne sono certa — disse Maria in-


filandosi sotto le coperte.

Christopher attizzò il fuoco, poi si tolse il panciotto e gli stivali e


scivolò nel letto insieme a lei, con indosso solo calzoni e camicia.

— Spiegami come hai fatto a trovarmi così in fretta — gli chiese di


nuovo Maria, raggomitolandosi al suo fianco.

— Quando Sam è tornato e mi ha detto dove eravate andate, ha men-


zionato anche Quinn, allora ho mandato alcuni uomini alla ricerca del
209/325

posto in cui alloggiava e quando l’hanno scoperto, hanno trovato il suo


valletto che faceva i bagagli. Così l’ho seguito, ed eccomi qui.

Maria sollevò la testa e lo guardò con espressione corrucciata. — Ma


com’è possibile? Non avevamo la minima idea che saremmo venuti in
questa locanda finché non l’abbiamo trovata per caso.

— Evidentemente Quinn lo sapeva. Il suo valletto e la cameriera per-


sonale della donna francese sono venuti direttamente qui. Sei stata
proprio tu a dirmi che lui ha insistito.

— Sì, voleva che restassimo vicino alla strada. — Adesso che ci


pensava, Simon l’aveva pregata perché si fermassero nella prima loc-
anda che incontravano subito prima di Reading; Maria aveva prot-
estato dicendo che quel luogo era fatiscente, ma lui aveva replicato che
aveva mal di schiena e che il suo stomaco brontolava.

— Continuo a non capire — insistette, mettendosi a sedere e guard-


ando Christopher disteso accanto a lei. — Il nostro incontro nel ne-
gozio è stato del tutto casuale, ne sono sicura, e anche se mi sbagliassi,
Simon non poteva prevedere che Amelia sarebbe fuggita.

— Ma se sapeva chi stava cercando e dove poteva essere diretto


quell’uomo... — Christopher lasciò la frase a metà affinché Maria
traesse le proprie conclusioni.

— Mi aveva detto che intendevano fare una vacanza, eppure tu dici che
il suo valletto e le valigie non erano ancora pronti. Perché questo truc-
chetto? Perché ha fatto finta di volermi aiutare, se invece aveva i suoi
motivi per lanciarsi in questo inseguimento?

— Glielo chiederemo tra un paio d’ore, quando ci alzeremo.

— Un paio d’ore?
210/325

Lui l’attirò di nuovo a sé. — Sto facendo sorvegliare la sua camera, e


adesso è ancora troppo presto. Ho mandato alcuni uomini in
avanscoperta. Non c’è nulla di tanto urgente che non possa essere rim-
andato a più tardi. Ho bisogno di riposo, altrimenti sarò fuori uso per
il resto della giornata. E poi, perdonami se te lo faccio notare, anche tu
mi sembri provata.

Maria si accoccolò tra le braccia di suo marito con un po’ di riluttanza.


Lei era una donna che agiva in fretta: era così che era riuscita a restare
in vita. — Non riesco a dormire bene senza di te — ammise.

Lui la strinse più forte e le diede un bacio sulla fronte. — Sono con-
tento di sentirtelo dire.

— Devo essermi abituata al fatto che russi.

— Io non russo!

— E come fai a saperlo, se dormi?

— Qualcuna me l’avrebbe detto.

— Forse erano troppo sfinite e si addormentavano subito.

Borbottando qualcosa, lui le salì sopra e la inchiodò al letto. Maria lo


guardò con aria innocente. Nessuno osava prendersi gioco del temuto
pirata, tranne lei. Scatenare la sua ira era una golosa tentazione a cui
non sapeva resistere, perché più si agitava, più diventava focoso.

— Se avete bisogno che qualcuno vi porti allo sfinimento, madame —


ribatté lui sbottonandosi i calzoni — sono più che capace di portare a
termine questo compito.

— Hai detto che eri fuori uso e che avevi bisogno di un sonnellino.
211/325

Christopher le alzò la camicia e prese il suo pube tra le mani. In un


istante, era calda e cremosa per lui, e cominciò a gemere mentre il
marito la coccolava. A quel punto, con un sorriso arrogante, lui al-
lontanò la mano e al suo posto sistemò il pene.

— Questo ti sembra fuori uso? — le sussurrò, infilandolo tutto dentro.

— Oh, Christopher! — esclamò lei, sopraffatta dal piacere. Dopo quasi


sei anni di matrimonio, la loro passione non si era smorzata nemmeno
un po’. — Ti amo tanto. Ti prego, non ti addormentare senza farmi
venire...

— No, dovrai pagare per quello che hai detto — replicò lui con la voce
impastata dal desiderio.

E si accertò che così fosse, e fu stupendo.

Colin stava asciugando il rasoio quando uno strano rumore attirò la


sua attenzione e lo fece immobilizzare, con i nervi già in tensione per
un possibile confronto.

Amelia era tornata nella sua stanza già da un po’, ma dubitava che
stesse dormendo. Era curiosa e impaziente di natura, e siccome la con-
osceva fin troppo bene, immaginava che in quel momento stesse cam-
minando avanti e indietro per la stanza, guardando di continuo l’oro-
logio e contando i minuti che la separavano dal momento in cui le
avrebbe rivelato la propria identità.

Eccolo di nuovo. Questa volta l’aveva sentito distintamente: sembrava


qualcuno che grattava sulla porta.

Appoggiando il rasoio accanto al catino, afferrò un asciugamano e


mentre si stava ancora asciugando la faccia il suo valletto aprì la porta
e sulla soglia apparve Jacques, con un’espressione sinistra.
212/325

— Hanno trovato la signorina Benbridge, mon ami.

— Chi? — domandò Colin, restando di sasso.

— Degli uomini stamattina sono arrivati e hanno parlato con il gigante


che viaggia insieme a lei e poi sono tornati indietro.

Colin annuì con un sospiro. — Hai fatto sistemare la sala da pranzo


come avevo chiesto?

— Sì.

— Grazie, scenderò tra un attimo.

La porta si richiuse con un leggero scatto e Colin si sbrigò a finire di


lavarsi e farsi la barba. Aveva promesso ad Amelia che le avrebbe for-
nito una spiegazione e intendeva dargliela senza essere interrotto.

Fece un cenno al valletto per indicargli che era pronto e si girò per
consentirgli di infilargli la redingote che aveva scelto di indossare. Era
un capo superbo, che ricordava il piumaggio di un pavone maschio.
Era evidente che quel completo finemente ricamato, che comprendeva
calzoni e panciotto con trame argentate, doveva essere molto costoso.
Il Colin Mitchell che Amelia ricordava con tanta tenerezza non
avrebbe mai potuto permetterselo, e ora lui lo sfoggiava come chiara
dimostrazione della sua ascesa sociale. Il suo sogno di diventare una
persona benestante ora si era trasformato in realtà, e Colin voleva che
lei lo vedesse subito.

Agghindato e sicuro di sé, lasciò la sua stanza e imboccò le scale che


conducevano alla sala principale. Ci volle un secondo per identificare
l’omone che accompagnava Amelia: il gigante stava seduto su una se-
dia, con lo schienale appoggiato al muro, e si guardava intorno con
213/325

aria truce; quando Colin gli si avvicinò, lo scrutò con uno sguardo
indagatore.

— Buongiorno, sono il conte Montoya — lo salutò Colin, fermandosi


davanti al tavolo.

— ’Giorno.

— Ho diverse cose da spiegare alla signorina. Potreste concedermi


l’opportunità di farlo?

L’uomo fece una smorfia. — Che cos’avete in mente?

— Ho riservato la sala da pranzo per noi due. Lascerò la porta accost-


ata, ma vi chiederei di restare fuori.

Il gigante si alzò in piedi: lo sorpassava di parecchi centimetri in al-


tezza. — Questo andrebbe bene sia a me sia alla mia spada.

Colin annuì e fece un passo indietro, ma mentre l’altro stava per pas-
sare oltre, allungò una mano. — Vi prego di darle questo da parte mia
— disse, consegnandogli alcuni oggetti. Dopo una breve esitazione,
l’omone li prese e si avviò giù per le scale.

Quando se ne fu andato, Colin si diresse verso la sala da pranzo e si


preparò mentalmente a sostenere la conversazione più difficile di tutta
la sua vita.

Nel momento stesso in cui Maria mise piede nella sala della taverna,
Simon seppe di essere nei guai. Anche se aveva tutta l’aria di una
donna che era appena stata appagata sotto le lenzuola, tutto lasciava
presagire che il suo stratagemma fosse stato scoperto, e il fatto che
fosse accompagnata da Christopher St John fu un’ulteriore conferma
del suo timore.
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— Che bel modo di iniziare un nuovo giorno! — esclamò Lysette con


una punta di ironia. Di solito, lui detestava quel tono, ma in quel caso
era un vero sollievo, dopo la strana nottata che avevano trascorso.

Simon emise un sospiro rassegnato e si alzò in piedi.

— Buongiorno — li accolse, facendo un inchino a quella coppia sor-


prendente: la combinazione tra i capelli biondi di St John e i tratti
spagnoli di Maria li rendeva davvero affascinanti.

— Quinn — borbottò St John.

— Simon — mormorò Maria, mettendosi a sedere sulla sedia che suo


marito le offrì e congiungendo le mani sul tavolo. — Tu conosci l’iden-
tità dell’uomo con la maschera. Chi è?

— È il conte Reynaldo Montoya — rispose Simon, riprendendo il


proprio posto. — Ha lavorato per me a lungo.

— Perché parlate al passato? — intervenne St John. — Adesso non la-


vora più per voi?

Simon a quel punto raccontò di quanto era successo con Cartland.

— Buon Dio! — esclamò Maria, con gli occhi pieni di terrore. —


Quando Amelia mi ha detto che quell’uomo era in pericolo, non imma-
ginavo fino a che punto. Perché non me l’hai detto? Perché mi hai
mentito?

— È complicato — rispose lui, odiandosi per aver tradito una fiducia


che di rado lei riponeva in qualcuno. — Non sono autorizzato a divul-
gare i segreti di Montoya. Mi ha salvato la vita in diverse occasioni e gli
devo quantomeno il mio silenzio.
215/325

— E che ne sarà di mia sorella? — gridò Maria. — Tu sai quanto sia im-
portante per me. Sapevi che era in pericolo e non me l’hai detto... — La
sua voce s’incrinò. — Pensavo che fossimo amici.

Il pirata allungò una mano e la posò su quella di sua moglie; quel gesto
d’affetto turbò enormemente Simon. Di tutte le donne che c’erano al
mondo, per lui nessuna contava più di Maria.

— Volevo aiutarti a ritrovarla e poi riconsegnartela perché la mettessi


al sicuro — spiegò. — Così, io e Montoya avremmo potuto portare a
termine il nostro incarico.

Maria strinse le palpebre, furiosa. La collera irradiava dal suo corpo ed


era in netto contrasto con l’immagine fanciullesca creata dal vestito a
fiori. — Avresti dovuto dirmelo. Se l’avessi saputo, avrei gestito la cosa
in tutt’altro modo.

— Sì, l’avresti fatta cercare da una dozzina di uomini e questo avrebbe


allertato Cartland, mettendola ancora più a rischio.— Non puoi
saperlo!

— È vero, ma conosco bene Cartland. Anche lui ha lavorato per me, e


si dà il caso che ritrovare oggetti smarriti o persone scomparse sia
proprio il suo forte. Vedere un mucchio di gente che passa al setaccio
ogni angolo della nazione desterebbe già i sospetti di qualunque semp-
liciotto, e Cartland non è esattamente uno sprovveduto.

Il pirata si inserì nella discussione. — E voi cosa mi rappresentate, si-


gnorina Rousseau? — domandò, stemperando un po’ la tensione.

— Io faccio da giudice — rispose lei, agitando una mano con aria


noncurante.

— E all’occorrenza anche da boia — aggiunse Simon.


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— Interessante — osservò St John, aggrottando la fronte.

Maria spinse indietro la sedia e si alzò, costringendo gli altri due a fare
altrettanto.

— Ho perso già fin troppo tempo. Devo trovare Amelia prima che la
trovi qualcun altro.

— Lascia che venga con te — disse Simon. — Posso esserti d’aiuto.

— Hai già fatto fin troppo, grazie!

— Lysette ha visto tre uomini a cavallo che prendevano informazioni


nel cuore della notte — proseguì Simon in tono grave. — Tu hai
bisogno di tutto l’aiuto possibile. Mentre voi pensate all’incolumità di
Amelia, io posso occuparmi di Cartland e di Montoya.

— Insieme a me — intervenne Lysette. — Non capisco perché non pos-


siamo contattare la persona per cui lavorate qui in Inghilterra. Po-
trebbe essere una risorsa preziosa che non abbiamo ancora preso in
considerazione.

— La rete di contatti di St John è più ampia e affidabile — obiettò Si-


mon. — Sono più pronti a entrare subito in azione.

— Maria — disse il pirata, poggiandole una mano sulla schiena. —


Quinn saprebbe riconoscere i due uomini, noi no. Procederemmo alla
cieca, senza di lui.

Lei rivolse di nuovo una rapida occhiata a Simon. — Perché Montoya


indossa quella maschera?

Facendo attenzione a restare impassibile, Simon gli propinò la scusa


che Colin gli aveva preparato. — L’aveva usata per quel ballo e poi
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l’aveva di nuovo indossata per sfuggire ad Amelia. Non voleva metterla


in pericolo. Ci tiene a lei.

Maria sollevò una mano per fermarlo; non voleva che aggiungesse
altro.

— C’è un’ulteriore complicazione — osservò St John, attirando tutti gli


sguardi su di sé. — Lord Ware forse ci sta seguendo.

— Non è possibile! — gridò Maria.

— Chi è lord Ware? — domandò Lysette.

— Maledizione! — esclamò Simon. — L’ultima cosa di cui abbiamo


bisogno è che venga ferito un nobile.

— Voleva unirsi a noi — spiegò il pirata. — Ma quando il valletto di


Quinn è partito, non ho potuto aspettarlo. Lui ha insistito per sapere
dove stessi andando e io sono rimasto sul vago, nella speranza che de-
sistesse; invece si è dimostrato molto più tenace di chiunque altro
della sua razza.

Maria sospirò, sconfortata. — Questo è un altro buon motivo per


sbrigarci.

— Ho inviato un messaggio a Londra. In questo momento, Pietro starà


già caricando la carrozza da viaggio. Dovremmo riuscire a batterli sul
tempo.

Sfortunatamente per lui, Simon non poteva cambiare veicolo e doveva


accontentarsi di quel che c’era, anche se la sua schiena non ne era
molto contenta.
218/325

Mentre il sole faceva capolino all’orizzonte, loro si prepararono a


partire alla volta di Reading.

Amelia si precipitò ad aprire la porta appena sentì bussare.

— Tim! — urlò, sorpresa e neanche troppo felice di vederlo. Forse vol-


eva che partissero subito, e ciò l’avrebbe costretta a raccontargli tutto
riguardo a Montoya e alla notte precedente.

Lui gettò una rapida occhiata ai suoi capelli tutti scarmigliati e ai


vestiti spiegazzati e imprecò con tanta forza da farle sgranare gli occhi.

— Mi avete mentito, ieri sera — la accusò, facendosi largo ed entrando


nella stanza.

Lei sbatté le palpebre, incredula: come faceva a saperlo? Poi vide che
stringeva in mano qualcosa e quell’ultima domanda perse subito im-
portanza. — Fatemi vedere — disse, con il cuore che svolazzava. Tim
aveva la maschera. Com’era possibile? E soprattutto, perché?

Lui rimase a fissarla per un istante, poi le consegnò l’oggetto a lei tanto
caro, insieme a un biglietto.

Amore mio,

eccoti la maschera. La prossima volta che ci incontreremo


non la indosserò.

Servo tuo, M.

Amelia si sentì male al solo pensiero che Montoya potesse essersene


andato.
219/325

— Santo cielo! — esclamò, stringendosi la maschera al petto. — È


partito?

Tim scosse la testa. — No, è di sotto che vi aspetta.

— Devo andare subito da lui.

Corse verso il letto intonso dove c’erano il corsetto e le sottogonne.


Montoya non aveva fatto in tempo a rivestirla completamente, aveva
troppa paura che li scoprissero. Lei aveva sperato di poter chiamare
una cameriera, ma a questo punto sarebbe stato Tim ad aiutarla.

— Credo che dovreste aspettare l’arrivo di St John — disse Tim. — Sarà


qui tra poco.

— No — protestò lei, bloccandosi con la mano a mezz’aria. Il tempo


che poteva trascorrere insieme a Montoya era troppo prezioso e la
presenza di sua sorella e suo cognato non avrebbe fatto che con-
fonderla ancora di più. — Devo parlargli. Da sola.

— Siete già stata sola con lui — osservò l’uomo, gettando un’occhiata
eloquente al letto. — St John mi farà la pelle per questo, e non voglio
irritarlo ancora di più.

— Voi non capite: io non ho ancora visto Montoya in faccia, e non po-
tete pretendere che io affronti una simile rivelazione in compagnia di
due persone che sono già alterate.

Lui rimase a fissarla per un attimo, con la mascella serrata e i pugni


chiusi. — Poco fa l’ho ammirato perché è venuto a cercarmi, mentre
adesso vorrei squartarlo. Non avrebbe dovuto toccarvi!
220/325

— Sono stata io a volerlo — spiegò Amelia, con le lacrime agli occhi. —


Sono stata io a spingerlo a farlo. Sono stata un’egoista e ho pensato
soltanto ai miei bisogni.

Proprio come suo padre, dannato lui e il sangue che le scorreva nelle
vene. Aveva creato un putiferio soltanto perché non aveva pensato che
a se stessa.

— Per favore, non piangete — la supplicò Tim con aria triste.

Era stata lei a metterlo a disagio. Doveva riuscire a sistemare le cose, a


cominciare da Montoya, la figura centrale che era stata l’inizio della
sua discesa verso la follia.

— Devo vederlo prima che arrivino gli altri — ripeté Amelia, infil-
andosi la sottana e il corsetto e voltandogli la schiena. — Ho bisogno
del vostro aiuto per vestirmi.

Tim brontolò qualcosa mentre le si avvicinava, e a giudicare dal suo


umore, Amelia fu felice di non aver capito cosa stesse dicendo.

— Credo che alla fine sposerò Sarah — le confessò lui, poco dopo, tir-
ando così forte i lacci del corsetto da toglierle il fiato. — Sono troppo
vecchio per queste cose.

Amelia non riusciva a parlare. Tim aggrottò la fronte, poi si rese conto
che lei era sul punto di svenire, così allentò un po’ il corsetto e borbot-
tò qualcosa in segno di scusa.

— Spero che adesso sarete felice — aggiunse. — Siete riuscita a con-


durmi all’altare!

Amelia si tirò su le sottogonne, raccolse da terra il vestito e infilò le


braccia dentro le maniche.
221/325

Tim prese ad armeggiare con i bottoncini sulla schiena con le sue dita
tozze.

— Vi voglio molto bene — gli disse lei, guardando oltre la spalla. —


Non so se ve l’ho mai detto, ma è così. Siete un brav’uomo.

Tim arrossì.

— Farà meglio a sposarvi, se è questo che volete — biascicò, confuso. —


Altrimenti, lo infilzo come un pesce e lo sventro.

Quella era una sorta di richiesta di pace e lei la accolse con piacere. —
Sarò felice di aiutarvi, se necessario.

Lui sbuffò, ma Amelia si accorse che in realtà si era lasciato sfuggire


un mezzo sorriso. — Non ha idea del guaio in cui si è cacciato.

— Speriamo che sopravviva tanto a lungo da potersene rendere conto.

Quando Tim le disse che aveva finito, Amelia s’infilò in fretta le calze e
le scarpe e corse verso la porta. Mentre scendeva le scale con tutto il
contegno che le riusciva, d’un tratto si sentì mancare l’aria e la testa
prese a girarle.

Sapeva che gli istanti successivi avrebbero cambiato per sempre il


corso della sua vita. Sentiva quasi l’impulso di tirarsi indietro e scap-
pare, ma non poteva farlo: l’attrazione che provava verso Montoya era
così forte che temeva persino di non riuscire mai più a rivivere una
sensazione simile. Una parte del suo cuore inneggiava silenziosamente
al tradimento del suo primo, vero amore. L’altra era più vecchia e sag-
gia e capiva che l’amore che provava per l’uno non negava ciò che
aveva sentito per l’altro.
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Quando arrivò davanti alla porta della sala da pranzo esitò un attimo,
poi appoggiò la mano tremante sulla maniglia. Nella migliore delle
ipotesi, sarebbe stata solo nervosa. Stava per incontrare l’uomo che
l’aveva vista e toccata come mai nessuno, e ad aumentare la tensione e
la preoccupazione c’era il fatto che per la prima volta le avrebbe rivel-
ato il proprio volto.

Inspirò a fondo per farsi forza e bussò.

— Avanti.

Prima che le mancasse il coraggio, entrò nella stanza cercando di


fingere un passo sicuro. Si fermò sulla soglia e si diede uno sguardo in-
torno, soffermandosi sul fuoco crepitante nel caminetto, sul tavolo cir-
colare apparecchiato con cura e sulle pareti adorne di pittoreschi
quadri. Lui era di spalle, in piedi davanti alla finestra; aveva le mani
allacciate dietro la schiena, indossava un delizioso soprabito in satin
multicolore e aveva i boccoli neri legati in un codino che gli finiva
giusto tra le scapole.

Vestito sontuosamente, rifulgeva in quella stanza semplice. Quando si


voltò, Amelia rimase paralizzata dallo shock.

“Non può essere lui” pensò, sull’orlo di una crisi di nervi. “È


impossibile.”

Le sembrò che il cuore smettesse di battere, che l’aria le si congelasse


nei polmoni e che i pensieri si facessero confusi come se avesse
ricevuto una botta in testa.

“Colin!”

Ma com’era possibile?
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Sentì le ginocchia cedere e tentò di aggrapparsi a una sedia, ma la


mancò e si accasciò sul tappeto, gridando, mentre l’istinto di soprav-
vivenza cercava di prendere il sopravvento per costringerla a respirare.

— Amelia! — Colin si gettò in avanti, ma lei sollevò una mano per


fermarlo.

— Sta’ lontano da me! — gridò con voce stridula, la gola serrata dallo
sgomento.

Il Colin Mitchell che aveva conosciuto e amato era morto.

“Allora com’è possibile che sia proprio qui di fronte a te?” le chiedeva
una vocina insistente.

“Non può essere lui... Non può essere lui” continuava a dirsi.

Si ripeteva quella litania nella mente, incapace di sopportare il pen-


siero di tutti quegli anni trascorsi lontani l’uno dall’altra, della vita che
lui poteva aver fatto, delle notti e dei giorni, dei sorrisi e delle risate...

Quell’inganno era così ben congegnato che lei non credeva Colin ca-
pace di tanto. Eppure, se guardava quell’uomo bellissimo e pericoloso
che le stava di fronte, il suo cuore le sussurrava un’amara verità: “Lo
riconoscerei tra mille, quello è il mio amore.”

Come aveva fatto a non accorgersene?

“Perché lo credevo morto. L’ho pianto a lungo.”

Senza la maschera, i suoi tratti da gitano non lasciavano ombra di


dubbio: era cresciuto, il suo viso si era fatto più spigoloso, ma c’era
ancora traccia del ragazzo che lei aveva tanto amato. Lo sguardo, tut-
tavia, era quello di Montoya: amorevole, desideroso, consapevole.
224/325

L’amante con cui aveva condiviso il letto era Colin...

Le sfuggì un singhiozzo e si coprì la bocca con una mano.

— Amelia...

Il tono addolorato con cui lui pronunciò il suo nome la fece singhioz-
zare ancora più forte. Non aveva più quell’accento straniero, adesso,
ma la voce che lei aveva udito tante volte nei suoi sogni. Era più pro-
fonda, più matura, ma indubbiamente era quella di Colin. Distolse lo
sguardo perché non riusciva a sopportare la sua vista.

— Non hai niente da dirmi? — le chiese Colin in tono pacato. — Nes-


suna domanda? Nemmeno un insulto?

Decine di parole lottavano per prendere forma, in particolare due dav-


vero preziose, ma lei le tratteneva con forza, non volendo rivelare
quanto stesse soffrendo. Puntò gli occhi su un quadretto che raffig-
urava un lago; la bocca le tremava e cercò di nascondere quel movi-
mento rivelatore mordendosi il labbro.

— Sono stato dentro di te — aggiunse Colin. — Il mio cuore batte


all’unisono con il tuo. Se non mi vuoi parlare, puoi almeno guardarmi?

La sua muta risposta fu una prima lacrima. Vedendola, lui imprecò e


fece per avvicinarsi a lei.

— No! — urlò lei, alzando una mano. — Non avvicinarti.

Colin serrò la mascella e Amelia vide i muscoli guizzare nervosamente.


Com’era strano vedere il suo primo amore racchiuso dentro la
raffinatezza e la maturità di Montoya. Sembrava lo stesso, eppure era
diverso. Era più alto, più grosso e più vitale. E incredibilmente at-
traente, dotato di un fascino con cui pochi potevano competere. Lei
225/325

aveva sognato tante volte il giorno in cui finalmente sarebbe diventato


suo marito e l’avrebbe avuto tutto per sé.

— Io lo sogno ancora — sussurrò lui, rispondendo alle parole che non


si era nemmeno accorta di aver pronunciato. — E soprattutto lo de-
sidero ancora.

— Mi hai fatto credere di essere morto — lo accusò lei, incapace di as-


sociare il Colin che ricordava con quell’uomo vestito di tutto punto.

— Non ho avuto scelta.

— Saresti potuto tornare da me in qualunque momento, invece non ti


sei fatto vivo per anni...

— Sono tornato appena ho potuto.

— Sì, sotto forma di un altro uomo! — gridò Amelia scuotendo viol-


entemente il capo, mentre nella mente riviveva le ultime settimane. —
Ti sei preso gioco dei miei sentimenti in modo meschino e mi hai fatto
affezionare a una persona che non esiste.

— Ma io esisto! — ribatté Colin tirando su le spalle e sollevando il


mento. — Non ho fatto nessun giochetto, con te. Ogni parola che è us-
cita dalla bocca di Montoya, ogni carezza, proveniva dal mio cuore.
Quel cuore batte in entrambi, noi siamo una cosa sola e tutti e due
siamo follemente innamorati di te.

Lei respinse quelle parole agitando una mano. — Hai fatto finta di es-
sere straniero e mi hai fatto credere di essere sfigurato.

— L’accento era solo una finzione, è vero. Era un modo per non farti
scoprire la verità prima del dovuto. Tutto il resto è frutto della tua
immaginazione.
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— Non scaricare la colpa su di me! — ribatté lei, tentando di rimettersi


in piedi. — Ti sei persino fatto compiangere da me per quel che ti era
successo. Hai una vaga idea di quello che ho passato e di quanto ho
sofferto, in queste settimane? Ero convinta di tradire Colin, innamor-
andomi di Montoya.

Lui si adombrò e Amelia si odiò per la strana soddisfazione che


provava nel vedere che le sue parole avevano avuto presa. — Il tuo
cuore non è mai stato raggirato — le disse bruscamente.

— Non è vero, tu...

— E invece sì! Ti ricordi che nome hai gridato al culmine del piacere?
Quando ero tutto dentro di te, ricordi che nome ti è affiorato alle
labbra?

Amelia deglutì a fatica mentre nella mente ripercorreva tutti gli istanti
e le sensazioni vissute con lui. Si ricordò della cicatrice sulla spalla e
del modo in cui l’aveva inspiegabilmente turbata.

— Tu mi stavi portando alla follia — lo accusò.

— Volevo dirtelo, ho cercato di farlo.

— Potevi aspettare ancora un po’ — lo aggredì lei con sarcasmo. — Ti


ho quasi supplicato di rivelarmi la tua identità.

— E intavolare questa discussione subito dopo aver fatto l’amore? Mai!


L’altra notte ho coronato il mio sogno più grande. Niente avrebbe po-
tuto indurmi a rovinarlo.

— E invece ora l’hai fatto! — sibilò lei, tremando. — Mi sembra di aver


perso due persone che amavo in una volta sola, perché il Colin che
conoscevo è morto e Montoya non era altro che una menzogna.
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— Ma non è una menzogna!

Colin tentò nuovamente di avvicinarsi e Amelia afferrò una sedia e la


mise tra loro, ma anche se era grande e massiccia non costituì un osta-
colo, perché lui la buttò a terra con una manata.

A quel punto lei si voltò per scappare via, ma Colin la prese per un
polso e la strinse in un forte abbraccio, e Amelia si abbandonò tra le
sue braccia, sopraffatta e devastata da un fiume di emozioni.

— Ti amo — le sussurrò Colin con le labbra appoggiate alla sua tempia.


— Ti amo.

Amelia aveva pregato tanto di sentirgli dire quelle parole, che ora le gi-
ungevano misere e in ritardo di secoli.

13

La carrozza non era ancora entrata nel cortile della locanda indicata
dai loro uomini che Maria era già con il cappello e i guanti in mano,
pronta a scendere giù.

— È strano vederti così in ansia — le sussurrò Christopher. Aveva le


palpebre socchiuse e si poteva pensare, a torto, che fosse insonnolito,
ma lei lo conosceva troppo bene per cadere in quell’inganno.

— Sono sollevata di avere appreso che almeno ha avuto il buon senso


di portarsi dietro Tim, però resta ancora da risolvere la questione di
Montoya e Ware — spiegò Maria. — Anche se la mia adolescenza è
stata tutt’altro che felice, sono contenta di non aver avuto il tempo per
imbarcarmi in storie tanto tormentate.

— Tu stavi aspettando me — mormorò Christopher, prendendole una


mano prima che s’infilasse il guanto e baciandone il dorso.
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— Ne è valsa la pena.

La carrozza si fermò e Christopher balzò giù per aiutarla a scendere. —


Sono sorpresa che Tim non sia qui fuori ad aspettarci — osservò
Maria, appoggiandosi a suo marito.

— Anch’io — convenne lui, gettando uno sguardo al cocchiere. — Pi-


etro, sistemate i cavalli e poi scaricate la valigia della signorina
Benbridge.

— Hai pensato proprio a tutto — si complimentò Maria,


abbracciandolo.

— No, ho pensato solo a te — la corresse lui, guardandola negli occhi


con la stessa intensità che aveva fatto saltare le sue difese tanti anni
prima.

Rimasero in attesa che Simon e la signorina Rousseau li raggiun-


gessero, poi entrarono nella taverna silenziosa.

— Io vado a cercare Tim — disse Christopher, avvicinandosi al


bancone. Fece un cenno a uno degli uomini che le stava accanto e in-
sieme uscirono a parlare con il locandiere.

— Che cosa sta succedendo? — domandò Lysette a voce alta.

— Ordiniamo qualcosa da mangiare — disse Simon. — Sto morendo di


fame.

— Voi avete sempre fame — borbottò Lysette.

— Sopportare voi, mademoiselle, comporta un notevole dispendio di


energie.
229/325

I due proseguirono il loro battibecco mentre si allontanavano, las-


ciando Maria sola insieme a un uomo della scorta ad attendere che
Christopher facesse ritorno. Dopo qualche minuto lui riapparve se-
guito da Tim, che aveva un’aria contrita.

— Dov’è Amelia? — chiese lei, correndo loro incontro.

— A quanto pare il suo fantomatico ammiratore ha deciso di gettare la


maschera.

— Ah! — Maria girò lo sguardo su Tim, che sembrava al contempo ad-


dolorato e furioso. — E quindi?

— Adesso sono nella sala da pranzo privata a parlare — le spiegò


Christopher. — Hanno lasciato la porta mezza aperta per decoro, ma
da quel che si sente, non si mette troppo bene per lui.

— E perché?

— Quando si è avvicinato a me — disse Tim — mi è sembrato che fosse


una faccia familiare, ma non riuscivo a collocarlo, poi mi è venuto in
mente quando l’ho sentito parlare.

— Che significa? — lo incalzò Maria, continuando a spostare lo


sguardo dall’uno all’altro. — Chi è? Lo conosciamo?

— Vi ricordate i disegni che vi avevo fatto a Brighton? — le chiese


l’omone, riferendosi al tempo in cui Christopher l’aveva corteggiata.
Dopo un tentativo fallito di trarre in salvo Amelia, Tim aveva usato la
sua eccellente memoria e l’abilità nel disegno per farle dei ritratti dei
servitori.

Maria annuì, ripensando a quei disegni sorprendenti. — Sì, certo.


230/325

— L’uomo che sta parlando con lei è uno di loro.

Maria aggrottò la fronte, sforzandosi di ricordarseli tutti: c’erano un


ritratto di Pietro e Amelia, uno della governante e di un giovane stal-
liere... — Non è possibile — farfugliò, scuotendo la testa. — Quel
giovanotto era Colin, il ragazzo che è morto nel tentativo di salvarla.

— Il nipote di Pietro, vero? — domandò Christopher alzando un


sopracciglio. — Se abbiamo dei dubbi sulla sua identità, possiamo
sempre chiedere a lui. Saprà riconoscerlo.

— Santo cielo — mormorò Maria, girando sui tacchi per andare a cer-
care Simon. Quando lui la vide, subito gli brillarono gli occhi, poi si
adombrò e il sorriso che gli incurvava le labbra sensuali lasciò il posto
alla rassegnazione.

— Vuota il sacco — gli ordinò lei, consapevole che sapeva qualcosa che
non le aveva rivelato e furiosa al solo pensiero di ciò che doveva aver
passato sua sorella.

Simon si alzò e le offrì una sedia che si trovava tra lui e la signorina
Rousseau. — Forse ti andrebbe di sederti — disse con aria fosca. — Po-
trebbe volerci un po’ per spiegarti tutto.

— Lasciami, Colin.

Con uno sforzo, Amelia si divincolò singhiozzando. Sentire quel corpo


possente schiacciato in modo tanto passionale contro la sua schiena
era al contempo una benedizione e un tormento. Aveva i nervi a fior di
pelle ed era sospesa tra una gioia incontenibile e selvaggia e un senso
di abbandono troppo simile a ciò che aveva provato quando era stata
affidata alle cure negligenti del padre.
231/325

— Non posso — rispose Colin, avvilito, premendo forte la guancia bol-


lente contro la sua. — Ho paura che se ti lascio, te ne andrai per
sempre.

— Infatti è quello che farò — sussurrò lei, in preda alla disperazione. —


Ti lascerò proprio come tu hai fatto con me.

— Ma non capisci che non avevo scelta? Quello era l’unico modo per
poterti avere — ribatté Colin, la voce quasi un lamento. — Se non me
ne fossi andato a far fortuna non saresti mai stata mia e io non avrei
potuto sopportarlo. Ero disposto a tutto, anche ad allontanarmi da te
per un certo periodo.

Lei cercò di liberarsi dalla sua stretta. Ogni volta che inspirava, si
riempiva i polmoni del suo profumo, che risvegliava i ricordi della
notte appassionata trascorsa insieme, tormentandola in maniera quasi
insopportabile. — Lasciami!

— Prima promettimi che non cercherai di scappare e che resterai qui


ad ascoltarmi.

Amelia annuì, sapendo di non avere scelta e consapevole che dovevano


chiudere quel discorso prima che ciascuno potesse andare avanti con
la propria vita.

Lo guardò dritto in faccia, tenendo il mento sollevato nel tentativo di


restare impassibile, nonostante le lacrime scendessero copiose a
rigarle le guance. Da parte sua, Colin non faceva alcuno sforzo per nas-
condere il proprio supplizio. Gli si leggeva in faccia che era in preda
allo sconforto e alla disperazione.

— Avrei potuto pensarla diversamente — disse lei in tono piatto. — Se


mi avessi parlato del tuo desiderio di farti una vita da solo e mi avessi
messa a conoscenza dei tuoi piani invece di tagliarmi fuori del tutto.
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— Su, Amelia, sii onesta — disse lui, serrando le mani dietro la schiena
per combattere contro il desiderio di buttarle le braccia al collo. — Non
mi avresti mai permesso di andare via, e se mi avessi chiesto di re-
stare, io non sarei stato capace di rifiutare.

— E perché dovevi andare via a tutti i costi?

— Come avrei fatto a mantenerti con la mia misera paga da stalliere?


Come avrei fatto a donarti il mondo, se non possedevo nulla?

— Io mi sarei accontentata di qualunque cosa; mi bastava stare con te!

— E che mi dici della notte? — aggiunse lui in tono di sfida. — Come


l’avresti presa se ti fossi ritrovata a battere i denti per il freddo, perché
dovevamo razionare il carbone? E di giorno? Saresti stata disposta ad
alzarti all’alba per spaccarti la schiena fino al tramonto?

— Avresti potuto scaldarmi tu, proprio come hai fatto la notte scorsa —
ribatté Amelia. — Vorrei passare così ogni notte fino alla fine dei miei
giorni. Chi se ne importa del carbone, se ci sei tu a riscaldarmi sotto le
lenzuola? E per quel che riguarda il giorno, alla fine di ciascuno avrei
saputo che il momento in cui ti avrei riabbracciato si avvicinava
sempre di più.

— Ma tu ti meritavi di meglio!

Amelia pestò un piede per terra con violenza. — Non spettava a te de-
cidere che io non fossi in grado di vivere una vita simile. Non stava a te
decidere che non fossi abbastanza forte per affrontare questa cosa.

— Non ho mai dubitato nemmeno un istante che tu non saresti stata


pronta a fare questo sforzo per me. Ciò che temevo era che io non fossi
in grado di vivere in quel modo.
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— Ma se non ci hai nemmeno provato!

— Non potevo! — esplose Colin, in tono sempre più concitato. — Come


avrei potuto guardare le tue mani arrossate e screpolate? Come avrei
potuto sopportare il pensiero di sapere che quando eri sola rimpi-
angevi la tua vita di agi e tranquillità?

— L’amore comporta dei sacrifici.

— Non quando chi li fa è soltanto uno. Non sarei riuscito a vivere


sapendo che il mio egoismo ti aveva condotta verso un’esistenza
infelice.

— Ma allora non capisci! — esclamò Amelia, portandosi le mani al


cuore. — Io sarei stata felice, se c’eri tu al mio fianco.

— E così io mi sarei odiato per il resto dei miei giorni.

— Ora mi è tutto chiaro. — Nuovamente afflitta, Amelia si domandava


come avesse potuto sbagliarsi così tanto sul loro amore. — Se non ci
fossimo mai incontrati, tu saresti stato felice della vita che facevi, non
è così?

— Ascolta...

— La tua infelicità deriva da me e dalle aspettative che avrei potuto nu-


trire nei tuoi confronti.

— No, questo non è vero.

— E invece sì. — Amelia sentiva una morsa allo stomaco che le impe-
diva quasi di respirare. — Mi dispiace — mormorò. — Vorrei che non ci
fossimo mai incontrati, così saremmo potuti essere felici.
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Lui strabuzzò gli occhi. — Santo cielo, non dire mai più una cosa
simile! Tu sei la sola cosa che abbia mai portato un po’ di felicità nella
mia vita.

D’un tratto, Amelia si sentì vecchia e stanca. — Lasciare la tua patria e


la tua famiglia, battere il continente in lungo e in largo rischiando la
vita per raccogliere informazioni per la Corona... e questa tu la chiami
felicità? Sei solo un povero illuso.

— Maledizione! — sbottò Colin, scuotendola per le spalle. — L’ho fatto


per te, e ne è valsa la pena. Lo rifarei mille volte, se questo potesse ser-
vire per rendermi degno di averti.

— Io non ho mai ritenuto che tu fossi indegno di me e tu non hai mai


nutrito un simile sentimento finché non mi hai incontrata. Questo non
è amore, Colin. Non so cosa sia, ma di certo non è amore.

L’improvvisa calma di Amelia lo sorprese e lo rese ancora più nervoso,


mentre cercava di trovare un modo per tenerla legata a sé. L’altra
notte erano stati così vicini come solo due persone che si amavano po-
tevano sperare di essere, e adesso erano distanti come due sconosciuti.
— Qualunque dubbio questa rivelazione possa insinuare nella tua
mente, ti prego di non sminuire quel che provo per te. Io ti amo, ti ho
amata sin dal primo istante e non ho mai smesso di farlo, nemmeno
per un secondo.

— Ah, sì? — ribatté Amelia. Si asciugò le lacrime tenendo le mani così


ferme da far sorgere in lui una strana inquietudine. — E allora cosa mi
dici del tempo che hai trascorso ad affinare la tua bravura a letto, che
mi hai mostrato con tanta abilità, l’altra notte? Anche in quei momenti
mi amavi?

— Sì, maledizione! — gridò lui, attirandola a sé, premendo tutto il


corpo contro il suo. — Persino in quegli istanti amavo te. Per un uomo
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il sesso è solo sesso, è una valvola di sfogo per alleggerirsi di un po’ di


sperma e sentirsi rinvigoriti. Non ha nulla a che vedere con sentimenti
più nobili.

— Vuoi dire che significa solo soddisfare i propri bisogni, come hai
fatto con quella ragazza nel retrobottega? L’altra notte, a ogni tocco, a
ogni carezza, mi sono chiesta con quante donne ti fossi intrattenuto
per essere tanto bravo.

— Gelosa? — replicò lui in tono sferzante, con il cuore che gli san-
guinava, terrorizzato al pensiero che potesse lasciarlo. Gli parlava con
aria distaccata, senza tradire alcuna emozione, come se non gliene im-
portasse nulla di lui. — Preferivi essere tu a soddisfare i miei bisogni
più basilari senza che provassi niente?

— Sono gelosa, è vero, ma anche triste. — I suoi bellissimi occhi erano


vuoti e spenti. — Ti sei fatto la tua vita senza di me, e a volte sei stato
anche felice. Non dovevi tornare. Quelle donne non ti hanno fatto de-
siderare di diventare una persona diversa, né tantomeno lo voglio io.

— Io non ho mai pensato a loro — giurò Colin, prendendole il volto tra


le mani. — Mai, nemmeno una volta. Ho sempre e solo pensato a te, a
quanto ti volevo. Sognavo che ci fossi tu al posto loro. Era un male in-
curabile. Ho imparato delle cose, sì, sono diventato esperto, è vero, ma
l’ho fatto solo per te, per essere tutto tuo, per poterti soddisfare in tutti
i modi. Volevo essere tutto ciò di cui avevi bisogno, tutto ciò che volevi.

— Che tristezza. Mi spezza il cuore sapere che ti ho impedito di essere


felice.

Furioso per la propria impotenza e confuso dalla piega che stava pren-
dendo quella conversazione, Colin la tenne ferma e la baciò, insinuan-
dosi con decisione in quella cavità calda e bagnata per gustare il suo
dolore e la sua sofferenza, la sua amarezza e la sua rabbia. Ingioiò
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tutto, sfregando la lingua contro la sua, prima di succhiarla con


passione.

Lei si aggrappò alle sue spalle, gemendo e tremando. Il suo corpo era
incapace di resistergli, persino in quel momento. Era una debolezza di
cui lui odiava servirsi, ma a cui ricorreva senza esitare, se necessario.

— La mia bocca è solo tua — disse con voce roca, sfregando le labbra
umide sulle sue. — Non ho baciato altre se non te. — Le afferrò una
mano e se la posizionò sul cuore. — Senti come batte forte? È per te.
Ogni singola cosa che ho fatto l’ho fatta pensando a te.

— Fermati — gli ordinò lei, ansante, con il seno che si alzava e si ab-
bassava contro il suo torace.

— E i miei sogni — proseguì lui, appoggiando la fronte contro la sua. —


Nei miei sogni ci sei sempre stata tu. Aspiravo solo a diventare una
persona migliore, per poter essere degno di te.

— E quando arriverà quel giorno, Colin?

Lui si tirò indietro e la guardò accigliato.

— Dopo tutti questi anni, riesci ancora a trovare dei motivi per ten-
ermi lontana, tranne l’altra notte, quando ti ho forzato la mano —
proseguì Amelia tra i singhiozzi, e lui percepì una strana risolutezza in
quelle parole disperate. — Credo che vediamo l’uno nell’altra soltanto
ciò che vogliamo vedere, ma alla fine il divario che si è creato tra noi è
troppo ampio e non si può colmare inseguendo vane illusioni.

Colin sentì un freddo glaciale piombargli addosso, fatto alquanto


grottesco, visto che aveva il suo corpo caldo stretto a sé. — Che cosa
significa?
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— Che sono stanca di essere messa da parte e di finire nel dimentic-


atoio. Ho passato così tutta la vita, e ora mi rifiuto di continuare a
farlo.

— Amelia...

— Ti sto dicendo che quando lasceremo questa stanza ci diremo addio


per sempre.

Simon distolse l’attenzione dalle mappe che aveva davanti quando


udì picchiettare alla porta. Alzò gli occhi e guardò con cipiglio il
maggiordomo. — Sì?

— C’è un giovanotto che chiede di lady Winter, signore. Gli ho detto


che in casa non c’era nessuno, ma non vuole andarsene.

Simon si tirò su. — E chi sarebbe?

Il servitore si schiarì la voce. — Sembra uno zingaro.

La sorpresa paralizzò la lingua di Simon per un istante, prima che


riuscisse di nuovo a parlare. — Fatelo entrare.

Ci volle qualche secondo per togliere tutti i documenti dal tavolo, poi
Simon si sedette e attese. Poco dopo un ragazzo con i capelli neri en-
trò nello studio.

— Dov’è lady Winter? — Le spalle larghe e la mascella contratta las-


ciavano intendere la sua ferma determinazione a trovare chi stava
cercando.

Simon si appoggiò contro lo schienale della sedia. — Dalle ultime not-


izie che mi sono giunte, è in giro per l’Europa.
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Il ragazzo aggrottò la fronte. — La signorina Benbridge è con lei?


Come posso trovarle? Sapete dove sono?

— Ditemi prima il vostro nome.

— Colin Mitchell.

— Bene, signor Mitchell, vi andrebbe di bere qualcosa? — chiese Si-


mon, alzandosi e andando verso la fila di bottiglie sul tavolo di fronte
alla finestra.

— No.

Nascondendo un sorriso, Simon si versò due dita di brandy in un bic-


chiere, si voltò e si appoggiò contro il mobile, incrociando i piedi.
Colin era sempre fermo nello stesso punto e si guardava intorno, sof-
fermandosi brevemente su qualche oggetto, a caccia di indizi che gli
fornissero le risposte che cercava. Era un giovanotto di una bellezza
esotica, con un fisico possente, e Simon immaginò che fosse proprio
questo a renderlo tanto attraente agli occhi delle donne.

— Cosa farete se troverete la bella Amelia? — domandò. —


Lavorerete nelle stalle? Vi prenderete cura dei cavalli?

Colin sgranò gli occhi, inducendolo a sorridere.

— Sì, so chi siete, anche se mi avevano detto che eravate morto. — Si-
mon si portò il bicchiere alla bocca e mando giù il liquore tutto d’un
fiato. Sentì un bel tepore nello stomaco e sorrise. — E così intendete
lavorare come suo sottoposto, struggendovi per lei a distanza? O
magari sperate di rotolarvi con lei nel fieno finché non si sposerà con
un altro, oppure rimarrà incinta di voi?
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Si stiracchiò, posò il bicchiere e si tenne forte al mobile, pronto per


l’assalto che si aspettava, e che nonostante tutto lo sorprese per la
sua potenza. Fu sbattuto giù e rotolò insieme al ragazzo, che lo
teneva avvinghiato. Cozzarono contro un tavolino e fecero cadere di-
verse statuine di porcellana, che si infransero sul pavimento.

Simon attese qualche istante prima di sollevare una mano in segno di


resa.

— Smettetela — gli ordinò. — E ascoltatemi. — Ora parlava in tono


schietto.

Colin si fermò, anche se era ancora stravolto dalla rabbia. — Non


permettetevi mai più di parlare così di Amelia!

Tirandosi su, Simon gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi. —
Sto solo cercando di puntualizzare una cosa ovvia: voi non avete
nulla da offrirle, nulla con cui mantenerla, nessun titolo che le possa
dare prestigio.

La mascella e i pugni serrati tradivano il suo odio per quella triste


verità. — Lo so.

— Bene — continuò Simon, sistemandosi i vestiti e riprendendo il suo


posto dietro la scrivania. — Ora, che ne direste se mi offrissi di
aiutarvi a conquistare ciò di cui avete bisogno per essere degno di
lei? Soldi, una dimora adeguata, magari anche un titolo proveniente
da qualche paese lontano che potrebbe adattarsi alle caratteristiche
fisiche della vostra stirpe... Eh?

Colin rimase immobile, serrando le palpebre con avido interesse. — E


come?
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— Io sono coinvolto in certe... attività che potrebbero essere adatte a


un giovane con il vostro potenziale. Ho sentito che siete quasi riuscito
a trarre in salvo da solo la signorina Benbridge. Con la dovuta pre-
parazione, potreste essere una bella risorsa per me. Non farei questa
offerta a nessun altro, perciò ritenetevi fortunato.

— Perché proprio io? — chiese Colin, sospettoso e con una punta di


disprezzo. Simon era felice di quel leggero cinismo: un ragazzino alle
prime armi non gli sarebbe servito a nulla. — Non mi conoscete e non
sapete di cosa sono capace.

— Ma so molto bene fin dov’è pronto a spingersi un uomo per una


donna.

— Io l’amo.

— Appunto. Infatti sareste disposto ad andare a cercarla anche in


capo al mondo. Questa è la dedizione di cui ho bisogno. In cambio vi
farò diventare un uomo ricco.

— Ma ci vorranno anni — ribatté Colin, passandosi una mano tra i


capelli. — Non so se riuscirò a resistere.

— Concedetevi del tempo per maturare. Lasciate che lei veda tutto
quello che si è persa finora. Poi, se vi vorrà ancora, almeno sarete
certo che ha preso la sua decisione con il cuore di una donna, non con
quello di una bambina.

Il ragazzo rimase immobile per qualche attimo; il peso della sua in-
decisione era quasi palpabile.

— Provateci — lo incalzò Simon. — Che male può farvi?


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Alla fine, Colin emise un profondo sospiro e si lasciò ricadere sulla se-
dia davanti a lui. — Avanti, vi ascolto.

— Eccellente! — esclamò Simon. — Allora, io pensavo che...

— Perché non mi hai detto niente? — gli domandò Maria quando Si-
mon ebbe terminato di raccontarle tutto, fissandolo come se lo vedesse
per la prima volta nella sua vita.

— Se te l’avessi detto — rispose Simon in tono gentile — ti saresti ten-


uta questa informazione per te? Ovviamente no, l’avresti detto ad
Amelia, e non toccava a me svelare questo segreto.

— Ti rendi conto di quanto ha sofferto mia sorella?

— Sono desolato, ma purtroppo non potevo fare nulla per alleviare il


suo dolore.

— Potevi almeno dirmi che era vivo! — sbottò Maria.

— Mitchell aveva tutti i diritti di guadagnarsi da solo la stima di


Amelia. Non possiamo biasimarlo per aver cercato di conquistare la
donna che amava nel solo modo che gli era concesso. Credo di essere
l’unico qui a comprendere appieno le sue motivazioni. Dopotutto, ciò
che fa della sua vita non è affar tuo.

— Ma è affar mio — tuonò qualcuno alle loro spalle — visto che ri-
guarda anche la signorina Benbridge.

Maria si girò e vide l’uomo che si avvicinava. — Lord Ware — lo salutò,


avvertendo un colpo al cuore.

Era vestito in modo disinvolto, come non l’aveva mai visto prima, ma
si intuiva dal suo incedere rigido e dalla mascella serrata che il suo
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umore non rispecchiava affatto la sua mise. Non indossava la par-


rucca, aveva i capelli legati con un fiocco all’altezza della nuca e
portava gli stivali, invece delle solite scarpe con il tacco.

— Questo sarebbe il suo fidanzato? — chiese Lysette.

— Milord — disse Christopher. — La vostra dedizione mi sorprende.

— Fino a prova contraria — rispose il conte con aria torva — mi ritengo


responsabile del benessere della signorina Benbridge.

— Erano anni che non mi divertivo così tanto! — esclamò Lysette.

Maria chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Christopher, che era in


piedi dietro di lei, le appoggiò una mano sulla spalla e le diede una
strizzatina per incoraggiarla.

— Qualcuno potrebbe spiegarmi cosa sta succedendo? — domandò


Ware.

Lei guardò Simon, il quale sollevò entrambe le sopracciglia. — Come


ve lo posso dire in modo gentile?

— Bando ai convenevoli. Non sono né uno stolto né un minorato.

— Lui sta per entrare a far parte della nostra famiglia — puntualizzò
Christopher.

— Vero — confessò Simon. Gli illustrò brevemente tutti gli avveni-


menti che avevano portato a quel momento, guardandosi bene dal
nominare personaggi come Eddington.
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— E così, quest’uomo con la maschera sarebbe Colin Mitchell? —


chiese Ware. — Quello per cui la signorina Benbridge aveva una cotta
da ragazza? E lei non sa che è lui?

— Adesso sì — disse Tim.

— Mitchell glielo sta raccontando proprio adesso — gli spiegò


Christopher.

Sentirono un tonfo alle loro spalle, si voltarono e videro Pietro, in


piedi sulla soglia, con la bocca spalancata e una valigia per terra ai suoi
piedi. — Non è possibile! — gridò, incredulo. — Colin è morto.

Maria gettò un’occhiata a Simon.

— La cosa si fa sempre più interessante — gongolò Lysette.

— Siete una creatura davvero vile — le disse Simon in tono duro.

Maria alzò gli occhi e fece cenno al marito che voleva alzarsi. — Devo
andare a vedere come procedono le cose.

— Non ce n’è bisogno — rispose il marito, tenendo lo sguardo fisso


oltre la sua spalla.

Tutti si girarono in quella direzione, verso il corridoio che conduceva


alla sala da pranzo, e videro comparire Amelia, con gli occhi e il naso
rossi e i capelli in disordine, l’immagine di una ragazza a cui era ap-
pena stato spezzato il cuore.

Dietro di lei c’era Colin, e quando lo videro tutti rimasero sconcertati.


Indossava abiti eleganti e aveva un portamento nobile; nella sua figura
slanciata non c’era più traccia del servo che era stato. Era un uomo in-
credibilmente bello, con occhi scuri e sensuali incorniciati da lunghe
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ciglia folte e una bocca voluttuosa incastonata su una mascella scol-


pita. Anche lui sembrava ferito e lacerato dal dolore, e Maria provò
un’enorme pena per entrambi.

— Amelia — sussurrò Ware, in ansia.

Lei puntò gli occhi nei suoi, sentendo salire le lacrime, e il conte si las-
ciò sfuggire un verso rabbioso.

— Colin — disse Pietro in tono contrito, accrescendo il trauma di tutte


quelle rivelazioni.

Distratta dall’inatteso risvolto degli eventi, Maria non riuscì a pre-


vedere che Ware potesse avvicinarsi a Colin, finché non lo vide diriger-
si verso di lui a lunghe falcate. — Voi vi ritenete un gentiluomo?

— Certo — rispose Colin, serrando la mascella.

— Allora dimostratemelo — ribatté il conte, gettando un guanto ai suoi


piedi.

— Con piacere.

— Santo cielo — bisbigliò Maria, portandosi una mano alla gola.

Christopher andò verso il conte. — Sarò lieto di farvi da secondo, mi-


lord — gli disse.

— Vi ringrazio.

— E io starò al fianco di Mitchell — intervenne Simon.

— No! — gridò Amelia, spostando lo sguardo atterrito sulle facce adir-


ate dell’uno e dell’altro. — Tutto questo è assurdo.
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— Non puoi fare nulla per impedirlo — disse Maria, tentando di tras-
cinarla via.

— Perché? Non è necessario.

— E invece sì.

— Io ho una residenza a Bristol — disse Ware. — Vi suggerisco di in-


contrarci là, dove avremo come pubblico solo gente fidata.

Colin annuì. — Stavo giusto andando lì, quindi per me va benissimo.

— Sono io la causa di tutto questo — mormorò Amelia, gettando un’oc-


chiata supplichevole alla sorella. — È stato il mio egoismo a condurci a
tanto. Come posso fare per mettere fine a questa cosa?

— Quel che è fatto è fatto — disse Maria, accarezzandole con dolcezza


la schiena.

— Voglio andare con loro.

— Non sarebbe per niente saggio.

Christopher si voltò verso di lei e Amelia lesse nei suoi occhi tutta la
sua disapprovazione: non riusciva a comprendere perché voleva che
andassero via, ma avrebbe avuto occasione di fare chiarezza in seguito.
Si fidava ciecamente e sapeva che la sua felicità e il suo benessere
erano sempre al primo posto, per lui.

— Voglio andare con loro — ripeté Amelia con maggior forza.

— Taci — bisbigliò Maria. — Ne riparleremo dopo che avrai fatto un


bagno caldo e ti sarai cambiata.
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Amelia non insistette oltre e insieme si avviarono verso la sala da


bagno. Erano tutti talmente immersi nei propri pensieri da non notare
l’uomo seduto nella penombra su una poltrona in un angolo; nessuno
si accorse della sua presenza nemmeno quando lasciò la stanza.

Non appena mise piede fuori, Jacques si calcò il cappello in testa e si


allontanò con aria noncurante verso la carrozza che lo attendeva poco
più in là sul ciglio della strada.

Quando la raggiunse, aprì la porta e guardò al suo interno. — Mitchell


è stato sfidato a duello.

— Saltate tu e raccontatemi tutto — lo invitò Cartland con un sorriso.

14

Amelia restava sempre sorpresa di scoprire come un uomo imponente


e pieno di vita come Christopher St John sapesse, in certi casi, farsi
così piccolo da passare inosservato. In quel momento, per esempio, si
notava appena che stesse condividendo lo stesso sedile con Maria,
mentre avanzavano verso Bristol. Aveva tenuto a freno la lingua
mentre lei apriva il suo cuore alla sorella, e Amelia gli era grata per es-
sere rimasto in silenzio. Poche persone avrebbero creduto che quel
noto fuorilegge fosse in grado di sopportare per ore i lamenti amorosi
di una donna in lacrime, eppure lui ci riusciva, e anche bene.

— Gli hai detto che non vi sareste più rivisti? — le domandò Maria in
tono gentile.

— Fin quando Ware non l’ha sfidato a duello, era quello il mio intento
— rispose Amelia, parlando attraverso il fazzoletto che teneva ac-
costato al naso. Il giorno prima, mentre andavano a Swindon, si era ri-
fiutata di parlare, e solo adesso si sentiva pronta per affrontare
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l’argomento senza scoppiare a piangere copiosamente. — È meglio così


per tutti e due.

— Non mi sembri molto felice però.

— Crescendo, imparerò a esserlo... e anche Colin. Nessuno può essere


felice facendo finta di essere ciò che non è.

— Magari lui non stava fingendo...

— Non m’importa. Il Colin di adesso nutre gli stessi dubbi da cui era
lacerato quello di una volta. Nonostante tutto quel che ha fatto, ha
continuato a credere fino a pochi giorni fa che Ware fosse la scelta
migliore per me. Ha sempre deciso riguardo al mio futuro senza con-
sultarmi, e ora ne ho abbastanza. Non voglio più essere trattata come
una bambina.

— Così consenti al tuo passato di offuscare il tuo presente.

— Maria... ma lo difendi? — domandò Amelia stupita. — Come puoi


farlo? Io non vedo nulla di buono nelle sue azioni. Lui è ricco, certo:
basta guardare tutte le cose che possiede; ma accettare che tutto
questo valga il mio dolore e il mio struggimento mette un prezzo al
mio amore, e io non posso permetterlo.

— Io non giustifico le sue azioni — precisò Maria. — Ma sono convinta


che lui ti ami e che abbia agito pensando di fare la cosa più giusta per
te. Inoltre, credo che anche tu lo ami. Di sicuro ci dev’essere qualcosa
di buono in tutta questa storia, no?

Amelia si passò una mano sulle sottane guardando fuori del finestrino.
Colin e Jacques erano sulla carrozza che seguiva, insieme a Simon e a
Lysette, mentre Ware stava in testa e conduceva la carovana. Era in-
trappolata tra quei due uomini, in senso sia figurato sia letterale.
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— Sono giunta alla conclusione che la passione non è come la


descrivono i poeti — disse a un tratto.

Si sentì qualcuno tossire in modo strozzato, ma quando Amelia guardò


in direzione di St John, il suo volto era del tutto impassibile.

— Dico sul serio — ribadì. — Prima di queste due settimane, la mia vita
era ordinata e tranquilla. Io vivevo serena e Ware era soddisfatto,
proprio come lo eravate voi. Anche Colin conduceva un’esistenza che
lo stava portando da qualche parte. Ora, invece, siamo tutti nel caos.
Non avete idea di quanto mi rattristi l’idea di somigliare a lord Welton
non solo fisicamente, ma anche nell’anima.

— Non dire stupidaggini — la riprese Maria in tono duro.

— Non mi sono comportata esattamente come avrebbe fatto lui,


pensando soltanto ai miei interessi? Dovrei ubbidire, invece che in-
seguire le mie fantasie. Così, almeno, farei una vita più decorosa.

Gli occhi scuri di Maria erano colmi di preoccupazione. — Sei troppo


tesa. Il viaggio è stato lungo e la scomodità della locanda di Swindon
ha contribuito a renderti nervosa, ma siamo quasi giunti a Bristol. Lì
potrai riposare per un giorno o due.

— Prima o dopo il duello? — chiese Amelia in tono ironico.

— Bambolina...

In lontananza si udì un grido, poi la carrozza svoltò. Sporgendosi


fuori, Amelia vide un lungo vialetto ben curato che conduceva a una
piazzola circolare al cui centro si ergeva un’imponente fontana. La lus-
suosa residenza che si intravedeva era bellissima, con il grazioso
colonnato e il grande portico costeggiato da rigogliose aiuole.
249/325

La fila di carrozze si fermò proprio davanti alla scalinata d’ingresso e


la porta si aprì, lasciando uscire uno sciame di servitori in livrea grigia
e nera. Christopher fu il primo a scendere, poi aiutò Maria e Amelia.

— Benvenuti — disse Ware avvicinandosi. La sua bocca s’incurvò leg-


germente mentre si portava la mano guantata di Amelia alle labbra.
Era davvero elegante, con quei calzoni azzurro chiaro e la redingote
dello stesso colore dei suoi occhi: Il sorriso forzato che lei gli rivolse
celava un sincero apprezzamento per il suo fascino.

— La vostra casa è deliziosa, milord — disse Maria a bassa voce.

— Grazie. Spero che la troverete ancora più deliziosa quando sarete


entrati.

A quel punto, tutti si voltarono verso la carrozza di Colin. Amelia si ir-


rigidì, aspettandosi che la guardasse con aria supplichevole come
aveva fatto per tutta la giornata precedente.

Sfortunatamente, anche se si era preparata, niente poteva mitigare


l’effetto che aveva su di lei, e quando lo vide balzare giù dalla carrozza
e avanzare col suo passo sensuale, lo maledì per quella sua grazia fer-
ina che la metteva in subbuglio. Ora che sapeva come quella sensualità
si manifestasse a letto, la risposta del suo corpo era ancora più viol-
enta, così distolse lo sguardo nel tentativo di nascondere l’irrefrenabile
attrazione che provava per lui.

— Milord — disse Colin con una punta di disprezzo. — Se qualcuno


potesse cortesemente fornirmi le indicazioni per raggiungere la loc-
anda più vicina, mi metterei subito in viaggio. Il signor Quinn farà
ritorno qui più tardi per definire tutti i dettagli.

— Vorrei che vi fermaste qui — rispose Ware, lasciando tutti di stucco.


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Amelia lo guardò a bocca aperta.

— Impossibile — rispose Colin.

— E perché? — ribatté il conte, sollevando entrambe le sopracciglia.

— Ho le mie ragioni.

— Cioè? — intervenne Christopher con un tono che mise in allarme


Amelia. A quanto pareva, lui riusciva a scorgere qualcosa in quello
scambio di battute che a lei sfuggiva. — Lasciate che vi aiuti.

— Non è necessario — disse Colin in tono brusco. — Tenete al sicuro la


signorina Benbridge. Questo è tutto ciò di cui necessito.

— Se siete in pericolo — osservò Maria — preferirei che restaste qui... o


forse anche noi dovremmo andare in una locanda?

— Vi prego — intervenne Ware con il suo solito aplomb. — Sarete tutti


più al sicuro qui che in un luogo pubblico, dove c’è molta gente che va
e che viene.

— St John, posso avere un minuto del vostro tempo? — chiese Colin.

Christopher annuì, si allontanarono insieme e presero a confabulare.


Non si riusciva a sentire niente di quel che si dicevano. A un tratto i
toni si fecero più animati e la conversazione più accesa.

— Cosa sta succedendo? — chiese Amelia rivolta alla sorella.

— Vorrei tanto saperlo.


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— Lasciate che la signora Barney vi conduca nelle vostre stanze —


disse Ware, indicando la governante che attendeva sul gradino più
basso con un ampio sorriso.

— Voglio sapere cosa succede — insistette Amelia.

— Andate — sussurrò Ware, appoggiandole una mano sulla schiena e


sospingendola verso la scalinata. — Prometto che vi racconterò tutto
non appena ne verrò a conoscenza.

— Davvero? — chiese lei, guardandolo al di sotto della tesa del


cappellino.

— Certo. Vi ho mai mentito?

Amelia capì al volo il messaggio. “Io non sono Mitchell, non vi ho mai
raccontato una sola bugia.” Gliene fu grata e abbozzò un sorriso di
ringraziamento. Maria si unì a lei e insieme si avviarono su per le
scale, seguendo la signora Barney.

Colin stette a osservare lord Ware che accompagnava Amelia verso la


casa, cercando di combattere contro la tentazione di strappargliela
dalle mani. Non riusciva a sopportare di vederla insieme a un altro
uomo. Era una cosa che lo scavava dentro come se gli avessero buttato
addosso un acido che lo bruciava e lo consumava, lasciandogli un
grande vuoto dentro.

— Credo che dovreste restare qui — disse Christopher, distogliendo la


sua attenzione dalla schiena di Amelia.

— Ma voi non capite! Ci stanno seguendo da quando abbiamo lasciato


Reading. Se mi tengo a distanza, lei sarà al sicuro.
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— A meno che non abbia in mente di seguirvi di nuovo — obiettò il


pirata. — A quel punto, sarebbe molto più vulnerabile.

— Maledizione, non ci avevo pensato — rispose Colin, allungando una


mano, posandosela sulla nuca e iniziando a grattarsi furiosamente il
collo. — Ora però è di pessimo umore, e non credo che lo farà.

— Ma non possiamo averne la certezza, né voi né io. Perciò, credo che


sia meglio procedere con cautela.

— Non potete fare niente per tenerla a freno? — chiese Colin. — Cart-
land non deve avvicinarla. Se dovesse sospettare quanto è importante
per me, si servirebbe di sicuro di lei.

— Voi siete riuscito a tenerla a bada? No, e allora non aspettatevi mir-
acoli da me — rispose Christopher con un sorriso stanco. — Mia
moglie è considerata una delle donne più pericolose d’Inghilterra e ha
insegnato tutto quello che sa alla sorella. Amelia è in grado di af-
frontare il migliore spadaccino e sa lanciare un coltello meglio di chi-
unque altro, persino di me. Se decide di seguirvi, troverà di sicuro un
modo.

Colin sbatté le palpebre, incredulo, poi fece un gesto di rassegnazione.


— È strano, ma la cosa non mi sorprende per niente.

— Mi sarebbe piaciuto conoscere la loro madre. Doveva essere una


donna straordinaria.

— Io non ho tempo per socializzare — borbottò Colin. — Potrei essere


il cacciatore o la preda, e quest’ultimo ruolo non mi si addice molto.

— Capisco.
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— Vorrei che la signorina Rousseau credesse a ciò che dice Jacques ri-
guardo agli eventi di quella notte, ma lei si rifiuta di farlo e non
capisco il motivo. Perché non gli dà credito? Come può credere a
Cartland?

— Non so che cosa stia cercando, ma io vi darò tutto il supporto pos-


sibile. Questa sera non preoccupatevi di nulla: lasciate che i miei
uomini inizino a setacciare la città; voi vi unirete a loro domattina.
Credo che trascorrere una nottata tranquilla in famiglia farà bene ad
Amelia e la distoglierà dalla tentazione di corrervi dietro.

Il pensiero di passare una serata in compagnia di Amelia e lord Ware


era un tormento senza eguali.

— Allora, vi fermate qui con noi? — chiese Ware, raggiungendoli. —


Ho fatto preparare delle stanze per voi e per i vostri amici.

— Grazie, lo dirò agli altri — fu tutto ciò che Colin riuscì a dire prima
di girare sui tacchi e allontanarsi.

Christopher lo guardò andare via e notò la postura rigida e la rabbia


evidente nel suo modo di camminare. — Lui l’ama.

— Lo so.

Christopher si voltò e vide che anche il conte lo stava scrutando con gli
occhi socchiusi. — Io invece so perché voglio che rimanga, ma non
capisco perché anche voi lo vogliate.

— La differenza tra noi due sarà più evidente in un confronto diretto —


rispose Ware, guardandolo dritto negli occhi. — Io sono la scelta
migliore per lei, e se mai dovessi dubitarne anche per un solo istante,
mi farei da parte. Per me ciò che conta è la sua felicità, e non credo che
lui sia capace di farla felice.
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— Guardate che sarà un avversario formidabile. Negli ultimi anni se l’è


cavata soltanto grazie al suo ingegno e alla sua bravura con la spada.

— Anch’io ho delle buone capacità — rispose il conte in tono pacato. —


Ma le ho acquisite in modo più civile.

Christopher gli fece un cenno di assenso e insieme si avviarono verso il


portone d’ingresso. Tim si stava occupando di scaricare i bauli e Colin
stava guardando con aria accigliata Simon, che aiutava Lysette a
scendere dalla carrozza.

Si domandava se anche altri uomini passassero attraverso tutte quelle


peripezie nel tentativo di maritare la minore delle figlie. Scuotendo la
testa, salì i gradini e andò dritto verso la stanza assegnata a lui e a sua
moglie. Sapeva che Maria era già lì ad attenderlo, pronta a elaborare
insieme a lui una strategia per i giorni successivi, e quel pensiero gli
strappò un sorriso.

Dopo aver fatto un bagno ed essersi cambiata d’abito, Amelia non si


sentiva ancora del tutto rinfrancata, così sgusciò fuori dalla sua cam-
era e sgattaiolò lungo il corridoio. Maria le aveva detto di fare un son-
nellino prima dell’ora del tè, ma lei non riusciva proprio a dormire.
Sentiva il bisogno di camminare, sgranchirsi le gambe, respirare aria
fresca e schiarirsi le idee. Da bambina aveva imparato che una bella
passeggiata aveva il potere di alleviare molti dolori e sapeva che in
quel momento era proprio ciò che faceva al caso suo.

— Amelia.

Si fermò di colpo quando udì il proprio nome. Si voltò e si ritrovò fac-


cia a faccia con lord Ware, che le fece un inchino. — Milord.

— Posso unirmi a voi? — le chiese lui, gettando una rapida occhiata ai


suoi stivali.
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Per un istante Amelia fu tentata di rispondergli di no in tono gentile,


ma poi cambiò idea: per quanto desiderasse restare sola, Ware mer-
itava una spiegazione e anche l’opportunità di riprenderla per il suo
comportamento, se voleva.

— Ne sarei onorata.

Mentre le si avvicinava, le rivolse il suo solito sorriso carico di charme.


Indossava abiti informali, da gentiluomo di campagna, e aveva un as-
petto più rilassato, che gli donava molto. Le ricordava quando si erano
conosciuti, nel Lincolnshire, e il sorriso che gli rivolse era davvero
genuino.

— Siete splendida quando sorridete anche con gli occhi — sussurrò il


conte.

— È perché voi siete così bello — rispose lei.

Ware si portò la sua mano alle labbra e guardando oltre la sua spalla
vide Colin al fondo del corridoio, che li scrutava con sguardo infuoc-
ato. Attirandola a sé, la condusse verso la gradinata che li avrebbe
portati prima al piano inferiore e poi al giardino sul retro.

Colin fissava Ware che si allontanava, stringendo Amelia come se fosse


sua proprietà, e sentì montare una furia così brutale che gli fece quasi
paura.

— Dovresti trovarti qualcosa che ti tenga occupato, mon ami — gli sug-
gerì Jacques, facendolo trasalire con la sua improvvisa apparizione. —
Potresti compiere qualche azione scellerata, di cui poi ti pentiresti, se
continui a pensare incessantemente a lei.

— Io non ho fatto altro che pensare a lei, sempre — ribatté Colin. —


Era la mia unica ragione di vita.
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— Ma ha bisogno di tempo, e io ammiro la tua forza d’animo nel voler-


glielo concedere.

— Non si tratta di forza d’animo — puntualizzò Colin serrando i pugni.


— È solo che non voglio uccidere un uomo di fronte a lei.

— Alors devi uscire di scena, distrarti dedicandoti a qualche nuova


mansione.

Colin inspirò a fondo e annuì: aveva pensato la stessa cosa quando


aveva visto Amelia e Ware insieme e si era costretto a distogliere lo
sguardo per non guardarli. — Era proprio questo il mio intento, infatti
ti stavo cercando.

— Che cosa vuoi che faccia? — domandò Jacques con il suo solito
ghigno.

— Io non posso andare in città: esiste l’eventualità che Amelia mi


segua. È meglio che rimanga qui, per ora.

— Capisco.

— St John sta inviando qualcuno a Bristol per chiamare a raccolta i


suoi uomini. Unisciti a loro e assumi il comando delle ricerche. Digli
cosa cercare e come muoversi, e se trovate qualcosa degno di nota av-
visami subito.

Jacques gli fece un cenno affermativo e si avviò immediatamente giù


per le scale, mentre Colin imboccava quelle dedicate alla servitù. Passò
attraverso le cucine ignorando gli sguardi stupiti dei servitori e uscì
dalla stanza delle consegne, dirigendosi verso le scuderie.
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A ogni passo si sentiva più pesante, con il cuore greve per il confronto
che l’attendeva; sapeva che sarebbe potuto uscirne più malconcio di
quanto fosse accaduto durante la discussione con Amelia.

S’intrufolò nelle stalle senza far rumore e inspirò a fondo l’odore fa-
miliare di fieno e cavalli. Gli animali si misero a soffiare dal naso e a
pestare gli zoccoli, infastiditi dalla sua presenza. Lui si diede uno
sguardo intorno alla ricerca della cabina dello stalliere e vacillò
quando ne individuò l’entrata. Un uomo era appoggiato contro lo stip-
ite della porta e lo fissava con ostilità.

Il tempo era stato clemente con Pietro. A parte una leggera pancetta, il
suo corpo era ancora tonico e possente. Alcuni fili argentati gli ador-
navano i capelli e la barba, ma la sua pelle era liscia e senza rughe.

— Zio — mormorò Colin, con la gola stretta dall’emozione e dal dolore.

— Il mio unico nipote è morto — rispose Pietro in tono freddo.

Colin sbatté le palpebre, a quel rifiuto. — Mi sei mancato tanto.

— Bugiardo! Mi hai fatto credere di essere morto.

— Mi avevano offerto la possibilità di cambiare vita — spiegò Colin, al-


lungando una mano come muta richiesta di comprensione. — Era
un’offerta irripetibile, che non ho potuto rifiutare.

— E io? — gli chiese Pietro, tirandosi su. — E la pena che mi hai dato?
Non conta niente per te?

— Perché, pensi che io non abbia sofferto? — ribatté Colin, ferito da


quelle parole di biasimo pronunciate da una persona a cui voleva bene.
— Sarei anche potuto essere morto davvero.
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— E allora perché l’hai fatto? — gli domandò lo zio, avanzando verso di


lui. — Mi sono sforzato di capirlo, ma non ci riesco proprio.

— Prima non avevo nulla da offrire a nessuno, non potevo offrire una
vita agiata alle persone che amavo.

— Di che agi parli? Forse intendevi disagi, come quelli che io ho patito
per averti perso!

— Pensa alla libertà di non fare niente, a una vita di viaggi e di


scoperte. Ora posso darti tutto questo, prima no.

Una smorfia di dolore alterò i bei tratti di Pietro. — Io sono una per-
sona semplice. Un tetto sulla testa, un po’ di cibo, una famiglia... Ecco
di cosa ho bisogno per essere felice.

— Vorrei tanto che anche i miei bisogni fossero così facili da soddis-
fare. Io voglio far felice Amelia e questo era l’unico modo per poterla
avere.

— Colin — disse lo zio, singhiozzando. — Tu l’ami ancora...

— Non saprei fare altrimenti. Lei è parte di me, proprio come i capelli
e la pelle.

— Avrei dovuto crescerti nel campo. Così non avresti desiderato cose
che sono al di là della tua portata.

Colin sorrise e gli lanciò un’occhiata intensa. — Io e Amelia ci


saremmo comunque incontrati da qualche parte.

— È la tua indole gitana a parlare.

— Sì.
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Ci fu un lungo silenzio, in cui entrambi cercarono le parole giuste. —


Da quanto tempo sei in Inghilterra? — chiese infine Pietro.

— Qualche settimana.

— Tutti questi giorni e non sei nemmeno venuto a trovarmi! — es-


clamò l’uomo, scuotendo il capo. — Non ti riconosco più. Il ragazzo
che ho allevato io era più attento ai sentimenti degli altri.

Colin rimase molto turbato da quelle parole, così allungò una mano e
la posò sulla spalla dello zio. — Non te la prendere. Se ho fatto così,
non è perché non ti volessi bene, ma perché provavo un amore folle
per lei. Avrei fatto qualunque cosa, sarei andato anche all’altro capo
del mondo per poter avere Amelia.

— Pare che tu sia riuscito nel tuo intento — osservò Pietro in tono pa-
cato. — Hai una bella carrozza e degli abiti eleganti.

— Adesso mi sembra di avere sprecato il mio tempo. Lei è arrabbiata


proprio come lo sei tu. Non so se mi perdonerà, e se non lo farà sarà
stato tutto inutile.

— Non proprio tutto. Avrai pur sempre me.

Colin sentì salire le lacrime e le scacciò via. Suo zio lo fissò per un at-
timo e poi, con un profondo sospiro, lo abbracciò forte.

— C’è ancora un po’ del vecchio Colin dentro di te — borbottò.

— Mi dispiace per il dolore che ti ho arrecato — sussurrò Colin con


voce strozzata. Aveva la gola chiusa e non riusciva quasi a parlare. —
Ero concentrato solo sul mio obiettivo e non ho pensato a nient’altro.
Volevo tutto e ora mi ritrovo con un pugno di mosche.
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Pietro scosse il capo e fece un passo indietro. — Non ti arrendere


proprio adesso. Hai sudato tanto per arrivare sin qui.

— Potrai mai perdonarmi? — Se riusciva a riconquistare l’affetto di


uno, magari ce l’avrebbe fatta anche con l’altra.

— Forse — rispose lo zio, accennando un sorriso. — Ho sei cavalli da


sellare.

— Sono a tua disposizione — disse Colin, incurvando le labbra a sua


volta.

— Vieni. — Pietro gli passò un braccio intorno alle spalle e lo tirò verso
la sua cabina. — Prima ti devi cambiare i vestiti.

— Posso sempre comprarmene degli altri, se sciupo questi.

— Ma quanto sei ricco?

— In modo quasi osceno.

Pietro fischiò. — Allora raccontami come ci sei riuscito.

— Ma certo! Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

Era tardo pomeriggio. Il sole stava calando oltre l’orizzonte e la cena


era quasi pronta. Quella sera, gli ospiti di casa Ware avrebbero
mangiato prima rispetto all’orario a cui erano abituati in città, poi
avrebbero trascorso la serata nel salottino tentando di ignorare la ten-
sione crescente. Senza dubbio non sarebbe stato piacevole, ma Ware
capiva perfettamente le correnti emotive che tormentavano tutti,
tranne lui. Al conte interessava solo Amelia e riteneva che lei fosse la
sposa più adatta per lui. Era l’unica cosa che lo legava a quella
combriccola.
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— Mitchell si è fermato da noi — disse ad Amelia, mentre passeggia-


vano nel giardino sul retro.

— Ah.

Lei continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé. Con un profondo


sospiro, il conte si fermò, costringendola a fare altrettanto.

— Confidatevi con me, vi prego. Questo è sempre stato il punto forte


della nostra amicizia.

Amelia abbozzò un sorriso incerto, poi si voltò e lo guardò negli occhi.


— Mi dispiace per quello che vi ho fatto — confessò, attanagliata dal
rimorso. — Se potessi tornare indietro e cambiare il corso degli eventi
in quest’ultima settimana, lo farei volentieri. Anzi, vorrei poter tornare
indietro di qualche anno e sposarvi subito.

— Addirittura! — esclamò lui, attirandola a sé e posandole delicata-


mente le mani sui fianchi. Alle sue spalle, una rigogliosa rosa rampic-
ante si avvolgeva intorno a un arco che conduceva a un piccolo stagno.
I soffioni volavano trasportati dalla brezza leggera e creavano uno
sfondo meraviglioso per una donna altrettanto meravigliosa.

— Sì. L’ho pianto per tutto questo tempo e lui invece se la spassava. Ha
pensato che fosse molto più facile lasciarmi da parte, e io sono stanca
di essere lasciata da parte. Prima mio padre, ora Colin...

Amelia si liberò dalla sua stretta e riprese a camminare, le lunghe


gambe che si muovevano con un’eleganza soave ma sicura.

— Io non vi ho mai abbandonata — disse Ware, sottolineando un fatto


che sapeva giocare a suo favore. — Mi piace troppo stare in vostra
compagnia. Ci sono poche persone preziose per le quali provo la stessa
cosa.
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— Lo so. Che Dio vi benedica! È per questo che sono molto affezionata
a voi — rispose Amelia con un sorriso stentato. — So che potrò sempre
fare affidamento su di voi: è questo che mi ha convinta. Voi non cer-
cate di essere ciò che non siete. Mi spronate a comportarmi in modo
decoroso e a tenere un atteggiamento adeguato a una signora. Sono
certa che ci intenderemo a meraviglia.

Ware aggrottò la fronte, mentre soppesava le sue parole. — Amelia,


vorrei approfondire le vostre considerazioni riguardo al decoro e all’at-
teggiamento giusto. Perdonatemi, ma trovo alquanto strano che men-
zioniate questi tratti del mio carattere come la cosa più attraente che
vedete in me. Pensavo che foste più attirata dalla nostra amicizia e dal
fatto che stiamo bene insieme.

Lei s’immobilizzò di colpo, facendo dondolare le sottane intorno ai


piedi. — Negli ultimi giorni mi sono resa conto di una cosa: ho una
tendenza a compiere azioni sconsiderate, proprio come lord Welton, e
ho bisogno di vivere in un certo ambiente per poter trattenere questi
impulsi egoistici.

— E io rappresenterei il giusto ambiente.

— Proprio così.

— Lui si sfregò la mascella. — Mentre invece Mitchell non fa che fo-


mentare la vostra natura... sconsiderata?

— Istigare sarebbe il verbo più adatto.

— Capisco — disse Ware, mestamente. — Il suo ruolo mi pare più di-


vertente del mio.

— Ma no! — lo riprese lei, con aria offesa, facendolo scoppiare a ridere.


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— Perdonatemi, amore mio, ma devo essere onesto. Prima sottolineate


il fatto che io non cerco di essere chi non sono, diversamente da
quanto fa il signor Mitchell. Subito dopo affermate che inibisco una
parte del vostro carattere di cui non andate fiera. Questo non vuol dire
cercare di diventare qualcun altro, in un certo senso?

Il labbro inferiore cominciò a tremarle, come le succedeva sempre


quando si innervosiva. — Volete che mi getti tra le sue braccia? — gli
domandò, con le mani sui fianchi. — È questo che state cercando di
dirmi?

— No. — Dal volto del conte scomparve immediatamente ogni segno di


divertimento e decise di mettere a nudo le sensazioni che provava. —
Penso che non sia la persona giusta per voi. Penso che non vi meriti e
ritengo anche che non sia in grado di farvi condurre un’esistenza fe-
lice, ma questo non significa che io intenda accontentarmi di avervi
solo a metà.

Amelia sbatté le palpebre. — Parlate così perché siete arrabbiato.

— Non con voi — rispose Ware goffamente, allungando di nuovo una


mano e afferrandola per un gomito. — Ma potrei anche prendermela
con voi, e non vorrei arrivare a tanto. Mi rammarica sapere di non
avervi tutta per me. Se sceglierete me, io saprò farvi felice. La
domanda a questo punto è: anche voi saprete rendermi felice? Io mi
chiedo se sarà mai possibile, visto che continuo ad aspettare il ritorno
di quella ragazzina sfacciata che mi ha chiesto di baciarla.

— Ware... — Amelia tentennò, prendendogli il viso tra le mani e las-


ciando che le si strofinasse contro, inspirando il dolce profumo di
caprifoglio della sua pelle. — Io non vi merito.

— Chi ve l’ha detto? Mitchell? — le domandò lui, abbracciandola e


posandole la guancia sulla fronte. — Ora è meglio che vada. Ho delle
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faccende da sbrigare, e voi avete bisogno di un po’ di tempo per


pensare.

— Io non voglio che vi sfidiate a duello.

— Ormai è troppo tardi, ma mi fermerò alla prima ferita, ve lo pro-


metto. — Sotto le sue mani, il conte sentì la schiena di Amelia
rilassarsi.

— Grazie.

Ware asciugò la lacrima solitaria che le scendeva giù dalla guancia e


fece un passo indietro.

— Sono sempre a vostra disposizione. Non esitate a venire da me per


qualunque cosa.

Amelia annuì e lo guardò andare via. Quando scomparve, diede uno


sguardo intorno e si sentì sola e sperduta. Nessuno la capiva, e soprat-
tutto nessuno comprendeva quanto si sentisse ferita dal fatto che Colin
fosse riapparso dopo così tanti anni.

Rimase paralizzata da quell’improvvisa constatazione.

C’era solo un’altra persona che amava Colin quanto lei, una persona
che doveva essere rimasta altrettanto devastata dal suo ritorno.

Rendendosi conto che Pietro aveva bisogno di qualcuno che lo con-


solasse, proprio come lei, Amelia si sollevò le sottane e corse verso le
scuderie.

15
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François Dépardue assunse un’espressione vagamente annoiata


quando mise piede nella locanda di Bristol. Infilò la scalinata che con-
duceva alle stanze al piano superiore, bussò alla porta che gli era stata
indicata e attese che qualcuno gli dicesse di entrare.

— Allora? — gli domandò Cartland in tono impaziente. Sulla scrivania


c’erano numerose cartine sparpagliate.

Fu solo con un immane sforzo che François riuscì a trattenersi dall’in-


vestirlo di insulti. A mano a mano che passava il tempo, quell’inglese
insolente e arrogante gli piaceva sempre meno. Si era lamentato con i
suoi superiori e li aveva pregati di tenere in custodia Cartland finché
lui non fosse riuscito ad accertare chi fosse il vero colpevole dell’assas-
sinio di Leroux, ma era stato tutto inutile.

— Se ci sta mentendo — gli avevano risposto — ce l’avrete a portata di


mano e sarà più facile per voi eliminarlo.

Così avevano insistito affinché Cartland prendesse parte alle ricerche,


e quel maledetto inglese aveva subito presunto di essere a capo del
gruppo. Aveva un ottimo fiuto ed era un assassino spietato, ma tutte
queste doti erano offuscate dal fatto che si credeva, a torto, sempre su-
periore a tutti.

— Pare che Mitchell soggiorni da lord Ware. Ci sono guardie dapper-


tutto: sorvegliano la casa, immagino perché con loro c’è Christopher St
John.

Cartland sorrise. — Il conte teme che Mitchell sia un codardo e se la


dia a gambe prima del duello.

— Se lo dite voi...
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Cartland si rabbuiò. — Penso che la presenza della signorina Rousseau


abbia rovinato il vostro umore.

“Lysette” pensò François sorridendo. In passato era stata del tutto in-
nocente, ma lui e i suoi uomini si erano premurati di farla diventare
tutt’altro che onesta. Oltre al desiderio di fare giustizia per il povero
Leroux, la sua unica soddisfazione in quella missione penosa era il
pensiero di poterla rivedere.

Sentì il sangue ribollirgli nelle vene per l’aspettativa. Lei si sarebbe ri-
bellata, come aveva sempre fatto, e avrebbe combattuto contro di lui.
Diventava sempre più brava. Più gli resisteva, più lui la trovava at-
traente. Ora che gli Illuminés, per i quali lavorava, gli avevano asseg-
nato l’incarico di accertarsi che o Cartland o Mitchell pagassero per la
morte di Leroux, immaginava che possedere il suo corpo sarebbe stato
ancora più dolce.

Forse gli Illuminés erano convinti che fosse contento di avere il loro
supporto, ma si sbagliavano: a lui non piaceva essere secondo a nes-
suno. Era così che vedeva la loro interferenza nella questione.

— Avete suggerimenti su come procedere? — domandò.

— Potremmo disfarci delle guardie usando me come esca. Poi po-


tremmo attaccare la casa di notte e ucciderlo.

— Ma così non sapremo mai se è davvero lui il colpevole.

— È ovvio che io sia innocente! — abbaiò Cartland, scattando in piedi.


— Altrimenti, non mi avrebbero mandato qui alla ricerca di Mitchell.

— E allora perché anche la signorina Rousseau si trova qui? — obiettò


François. — Credete davvero che sia qui soltanto per tenere d’occhio la
situazione e per spalleggiarmi? Non penso che siate così stupido. Nulla
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è stato lasciato al caso, tutto è stato architettato con cura, anche il fatto
che io e Quinn siamo insieme a lei. Voi siete convinto che la vostra spia
— aggiunse indicando con un cenno del mento l’uomo tarchiato seduto
in un angolo — vi dia un vantaggio di qualche sorta, ma non è così.

— Quindi cosa suggerite di fare? — ribatté Cartland, paonazzo.

François esitò un attimo, poi fece spallucce. — Mitchell è stato sfidato


a duello a causa di una donna. Forse è lei la chiave per farlo
confessare.

Cartland sbiancò. — Volete prelevare la cognata di St John? Siete


ammattito?

— Di certo non può essere tanto temibile come lo dipingono — rispose


François con aria di superiorità.

— Voi non avete idea di quel che dite — borbottò Cartland, cercando di
assumere di nuovo un portamento determinato. — Dopotutto, però...
forse avete ragione — convenne, con un sorriso compiaciuto. —
Penserò a qualcosa. Datemi solo un po’ di tempo.

François alzò di nuovo le spalle, ma dentro di sé stava già studiando


un piano. — Bene. Io vado di sotto a mangiare un boccone. Uno di voi
due vuole unirsi a me?

— No, abbiamo da fare.

— Come volete.

Cartland stette a osservarlo con gli occhi stretti mentre lasciava la


stanza.
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— Sta diventando d’impiccio — disse poi. — Dato che non posso ucci-
derlo con le mie mani, dobbiamo trovare un altro modo per indurlo a
rovinarsi da solo.

— Mandatelo a catturare la ragazza — rispose Jacques, semplicemente.


— Dato che è stata una sua idea, non potrà dirvi di no.

Cartland abbozzò un sorriso mentre valutava la cosa. Se Mitchell o St


John si occupavano di Dépardue al posto suo, ciò non avrebbe fatto al-
tro che rafforzare la sua innocenza.

— Potete fare in modo che abbia accesso alla casa?

— Mais oui.

— Eccellente. Allora sbrigatevi.

Amelia incrociò Pietro mentre usciva dalle scuderie, tenendo un


cavallo per le briglie. Per un istante rimase sorpresa dal constatare
quanto assomigliasse a Colin: non se n’era mai resa conto perché il ri-
cordo del suo amore adolescenziale era troppo ancorato al passato.
Ora che l’aveva rivisto da adulto, le somiglianze erano innegabili e
persino un po’ dolorose. Sentì salire le lacrime e, nonostante si
sforzasse a ricacciarle indietro, le riempirono gli occhi, offuscandole la
vista. Se le sfregò via con un gesto rabbioso.

— Signorina Benbridge! — esclamò Pietro, con gli occhi scuri velati da


una leggera commiserazione. — Fa male, lo so.

Lei annuì. — Come vi sentite?

— Arrabbiato — ammise lui. — E tuttavia ringrazio il cielo di avermelo


restituito. Se nutrite ancora un po’ d’amore verso il ragazzo che è stato,
forse anche voi provate la stessa cosa?
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— Sono felice che sia vivo — riuscì a dire Amelia. — C’è nulla di cui ab-
biate bisogno?

Gli angoli della bocca dell’uomo si sollevarono. — È molto gentile da


parte vostra pensare a me in questo momento. Ora capisco perché lui
vi adori tanto.

Amelia sentì il volto incendiarsi per quella lusinga.

— È innamorato di voi da sempre, signorina Benbridge — aggiunse Pi-


etro, con la voce profonda velata da una leggera inflessione gitana, nel
tentativo di consolarla. — All’inizio, avevo tentato di dissuaderlo, ma
lui non mi stava a sentire. Penso che voglia dire davvero qualcosa, se
siete ancora così legati dopo tanti anni.

— Questo non cambia il fatto che lui si senta inferiore a me.

Lui la fissò per qualche secondo, poi fece un cenno di assenso. — Vi


andrebbe di aiutarmi?

— Ma certo! — rispose Amelia con slancio, facendo un passo avanti. —


Di cosa avete bisogno?

— Potete riportare questo cavallo nella stalla? Ne ho ancora un paio da


far girare, prima che tramonti il sole.

Lei prese le redini. Pietro fece uno strano sorriso.

— Grazie — le disse piano.

Amelia si voltò e s’incamminò verso la stalla, e soltanto quando mise


piede all’interno capì qual era stato l’intento di Pietro: si fermò,
trattenendo il fiato, in un misto di sorpresa e di emozione
incontenibile.
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Anche se era girato di spalle, non c’erano dubbi che fosse Colin. Era a
torso nudo, con le gambe fasciate in un paio di calzoni logori e i
polpacci avvolti negli stivali lucidi. I muscoli possenti guizzavano e si
flettevano sotto la pelle imperlata di sudore mentre spazzolava con
foga i fianchi di un cavallo.

Amelia fu travolta inaspettatamente dai ricordi d’infanzia e rimase


tanto sconcertata da cadere quasi in ginocchio. La vista dei segni lasci-
ati dalle sue unghie su quella pelle dorata aggiunse un richiamo car-
nale a quel corpo bellissimo che desiderava tanto fare suo.

Mentre stava lì a rimirarlo, d’un tratto lui si arrestò. Amelia respirava


affannosamente, Colin girò la testa e in un attimo si ritrovarono faccia
a faccia.

— Amelia!

Lui si tirò su e si voltò, mostrandole quel petto che lei aveva venerato
con la bocca e con le mani.

Santo cielo, era divino! Bello e virile da farle quasi male al cuore.

— Sei sola? — le chiese.

— Profondamente sola.

Colin rimase colpito da quell’affermazione e fece per avvicinarsi.

— Resta dove sei — gli intimò Amelia.

Lui serrò la mascella e si fermò. — Ti prego, stai qui con me, parliamo.

— E cosa abbiamo da dirci? Io ho ascoltato le tue motivazioni e ho


compreso perché ti sei comportato in quel modo.
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— Allora c’è una speranza per noi due?

Amelia scosse il capo.

I bei lineamenti di Colin vennero stravolti dall’angoscia. — Guardami


— le disse, con la voce rotta dall’emozione. — Guarda dove sono. È qui
che sarei rimasto se non me ne fossi andato: a strigliare i cavalli di St
John mentre tu trascorrevi la tua vita in una tenuta a cui io non avrei
avuto accesso. Come potevamo stare insieme? Dimmelo!

Amelia si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo.

— E se lasciassi perdere tutto? — le domandò con tanta disperazione


da mandarle il cuore in mille pezzi. — E se riprendessi il mio posto da
servitore? Allora mi rivorresti?

— Che tu sia maledetto! — gridò lei. — Perché devi cambiare per pi-
acere a me? Perché non puoi semplicemente essere te stesso?

— Ma questo sono io! Questo è l’uomo che sono diventato, eppure non
è ancora quel che vuoi!

— Chi se ne importa di quel che voglio io! — urlò Amelia, avvicinan-


dosi a grandi falcate. — E di quel che vuoi tu, cosa mi dici?

— Io voglio te!

— Allora perché hai fatto così in fretta ad abbandonarmi? Se mi vuoi


davvero, lotta per me. Ma fallo per te, non per me.

Amelia gli allungò le redini e lui le catturò la mano. — Ti amo.

— Evidentemente non abbastanza — sussurrò lei, liberandosi dalla


stretta. Poi si voltò e scappò via in un vortice di pizzi e sottane.
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Colin rimase fermo, con lo sguardo fisso verso la porta, chiedendosi


cos’altro poteva fare, cos’altro poteva dire per riconquistare il suo
cuore. Le aveva tentate tutte e aveva perso...

Una figura scura apparve sulla soglia, e lui accantonò per un attimo le
sue emozioni. — St John.

Il pirata lo fissava con uno sguardo indecifrabile. — È stato avvistato


un uomo a cavallo che si aggirava sulle colline qui intorno. L’ho fatto
seguire fin giù in città.

— Grazie.

— Tra poco sarà servita la cena.

— Non credo che riuscirò a mandare giù nulla. — Non sarebbe riuscito
a sopportare di stare a guardare Ware mentre trattava Amelia come se
fosse sua.

— Allora porterò io le vostre scuse.

— Ve ne sono infinitamente grato.

— Avete mai avuto la sfortuna di incontrare lord Welton?

— Solo una volta, di sfuggita.

— Cosa vi ricordate di lui? C’è un particolare che vi aveva colpito


particolarmente?

Colin aggrottò la fronte, nel tentativo di riportare alla memoria quel ri-
cordo ormai lontano. — Sì, ricordo di aver pensato che non c’era calore
nei suoi occhi.
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— Tutto l’opposto della signorina Benbridge.

— Per la miseria, lei è assolutamente un’altra cosa!

— Eppure adesso sembra convinta di assomigliargli, o perlomeno ri-


tiene di essere capace di diventare più simile a lui. Qualunque azione
che compie spinta dal desiderio e non dalla ragione viene interpretata
da lei come una debolezza.

Colin assimilò quell’informazione, valutandola con attenzione. Amelia


era una creatura appassionata, ma erano stati separati proprio quando
era venuta a conoscenza della natura infame del padre. Di sicuro
scoprire che Welton era un essere spregevole l’aveva cambiata, alter-
ando il suo modo di vedere le cose. Lui stava tentando di corteggiare la
ragazza che lei era stata, ma che non esisteva più. Bisognava che pren-
desse in considerazione anche questo.

— Ware è la scelta più ragionevole per lei — ammise, anche se non ne


era più così convinto; la vitalità di Amelia nasceva dal fuoco che le ar-
deva dentro, che andava attizzato e non estinto dal decoro che le
sarebbe stato imposto diventando la moglie di Ware.

— Sì — convenne il pirata. — Lo penso anch’io.

Detto ciò, se ne andò in silenzio com’era arrivato, abbandonando Colin


alle sue riflessioni.

Amelia rimase seduta rigida per tutta la cena, ben consapevole del
fatto che Colin aveva deciso di non essere presente. La discussione che
avevano avuto nelle scuderie continuava a tormentarla. Parlava poco,
e questo non faceva che contribuire al malumore generale di quella
compagnia già non propriamente entusiasta. Nonostante ci si mettesse
d’impegno, non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di Colin
che lavorava nella stalla, un ruolo che avrebbe ancora ricoperto per
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tutta la vita se fosse rimasto alle sue dipendenze. Quella constatazione


la turbò molto.

Così decise di ritirarsi presto, nella speranza che la stanchezza avesse


la meglio, ma il destino continuava ad accanirsi contro di lei. Non rius-
cendo a prendere sonno, si rigirò per diverse ore nel letto prima di ab-
bandonare definitivamente l’impresa e sgusciare fuori delle lenzuola.
Si gettò una vestaglia sopra la camicia da notte e si avviò in punta di
piedi verso la biblioteca.

L’ora era tarda. Tutti erano andati a dormire così aveva la casa tutta
per sé. Le era capitato spesso di gironzolare di notte nella residenza di
St John, trovando un certo conforto in quel silenzio e in quel senso di
solitudine che le ricordavano la sua infanzia. Lasciò volare la fantasia
inventando storie bizzarre, frugando nella memoria alla ricerca di pas-
saggi di alcuni romanzi che aveva letto, finché non giunse alla
biblioteca.

La porta era accostata e una luce tremolante lasciava presumere che


qualcuno all’interno avesse acceso il fuoco. Si sentì percorrere da un
brivido di consapevolezza che le fece venire la pelle d’oca e le suggerì
di rimandare il piacere della lettura e a fare ritorno nella sua stanza.
Rimase un attimo ferma, combattuta tra la voglia di entrare e il desid-
erio di tranquillità.

Da quando Colin era entrato di nuovo nella sua vita, aveva agito senza
curarsi di null’altro se non dei propri desideri. Tuttavia non poteva ig-
norare la correlazione tra lei e suo padre, così serrò la mascella con de-
terminazione. Probabilmente nella biblioteca c’era Ware, e vederlo
l’avrebbe fatta tornare con i piedi per terra e avrebbe mitigato il tur-
bine di emozioni che non sapeva come gestire.
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Decise quindi di entrare con passo felpato. Notò subito un braccio che
sporgeva da una poltrona e una mano massiccia che stringeva un
calice di cristallo. A giudicare dal colore scuro della pelle, doveva ess-
ersi sbagliata sull’identità di chi stava occupando la stanza, ma
ciononostante decise di non tornare sui suoi passi. C’era qualcosa nel
modo in cui quell’individuo teneva il bicchiere che la turbava. Il li-
quido ambrato era pericolosamente inclinato e raggiungeva quasi il
bordo, minacciando di riversarsi sul prezioso tappeto inglese.

Nella stanza c’era un bel tepore, e le pareti erano tutte tappezzate di


scaffali, dai quali sbucavano volumi consunti di valore inestimabile.
C’era un sovraffollamento di mobili sparpagliati qua e là e una sovrab-
bondanza di tavoli di servizio. Quella biblioteca veniva utilizzata dav-
vero, non era una pura ostentazione di ricchezza. Nonostante l’immin-
ente e inevitabile confronto con l’uomo in poltrona, l’odore della per-
gamena e della pelle e il silenzio di quel luogo di studio e riflessione le
trasmettevano una certa serenità.

Fece il giro intorno alla poltrona e vide Colin seduto scomposto, con le
gambe allungate e i piedi appoggiati su uno sgabello; non indossava né
redingote né panciotto e aveva il collo scoperto. Le rivolse uno sguardo
vacuo, con gli occhi privi di qualunque emozione, e accostò il bicchiere
alle labbra. Aveva un graffio sopra un sopracciglio con del sangue
rappreso.

— Cos’è successo? — gli domandò lei, sottovoce. — Come mai sei


ferito?

— Sta’ lontana da me! — ringhiò lui. — Sono in un luogo buio e ho


alzato parecchio il gomito. Ti avverto che non risponderò delle mie
azioni, se ti avvicinerai ancora.
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Sul bracciolo di una bella sedia intagliata lì accanto, Colin aveva


gettato gli indumenti, lo spadino e un pugnale.

— Dove sei stato?

— Veramente devo ancora uscire — ribatté lui, tenendo lo sguardo


fisso sul caminetto.

Amelia percepì una nota di tristezza e disperazione nelle sue parole e


non poté non provare una grande pena per lui e per se stessa. — Sono
felice che tu non sia andato da nessuna parte.

— Ah, davvero? — Colin girò la testa. La luce tremolante del fuoco


rendeva i suoi lineamenti duri e i suoi occhi freddi. — Io no.

— Cos’avresti potuto fare, in queste condizioni?

— Non ho motivo di evitare Cartland: devo affrontarlo e risparmiare


tutti voi dal pericolo che la mia presenza comporta.

— E la tua vita non conta? — obiettò Amelia. — Se ti consegnerai a lui,


morirai.

Un sorriso sghembo gli increspò le labbra. — Se non ho alcuna sper-


anza di averti, forse un tale destino sarebbe una benedizione.

— Come puoi dire una cosa simile? — esclamò Amelia portandosi una
mano alla bocca e cercando di ricacciare indietro le lacrime.

Lui si lasciò sfuggire una bestemmia. — Vattene. Non sono di com-


pagnia, in questo momento.

— Ho paura a lasciarti solo. — Amelia temeva davvero che si ar-


rendesse e si consegnasse a Cartland.
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— Non ci credo. In fondo, non l’hai già fatto?

Lei stava quasi per controbattere, ma fu frenata dal fatto che Colin era
di umore nero. Le era capitato di vedere St John in condizioni simili,
in passato, e si era sempre domandata come facesse sua sorella ad
avere la forza di consolare una persona tanto afflitta.

“Lui ha bisogno di me” le avrebbe semplicemente detto Maria.

Era ovvio che anche Colin in quel momento aveva bisogno di qualcuno
che lo consolasse, e siccome lei lo aveva allontanato, non gli era ri-
masto altro che la bottiglia per affogare i propri dispiaceri.

Gli si avvicinò tenendo le spalle ben diritte, tirando su un angolo della


vestaglia. Quando fu vicina, gli prese il mento con una mano, mentre
con l’altra lo ripuliva del sangue. Lui rimase immobile, con aria
guardinga; la tensione che lo attanagliava irradiava dal suo corpo e si
impossessava di quello di Amelia, trasformando ogni respiro in un an-
sito e allertando tutte le terminazioni nervose.

D’un tratto Colin girò la testa e le baciò l’interno del polso e lei rimase
come paralizzata dalla sua lingua che si muoveva avanti e indietro
sulla pelle sensibile.

Il bicchiere cadde a terra con un tonfo e riversò il suo contenuto sul


tappeto. In un attimo lui le fu addosso, il corpo possente che impri-
gionava il suo, spingendola sul pavimento.

— Ti voglio — sussurrò, mentre si avventava con voracità sul suo collo


con le labbra calde. — Ti voglio così tanto che mi sento morire.

— Colin... — Avere sopra di sé un metro e ottanta di maschio forte-


mente eccitato innescò in lei un fuoco ardente. — Non dovremmo...
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— Non c’è nulla che possa fermare questa cosa — disse Colin, apren-
dole la vestaglia e prendendo tra le mani il suo seno. — Tu sei mia.

Amelia guardò verso la porta che aveva lasciato aperta, quando era en-
trata. — La porta...

Lui dischiuse le labbra sul suo capezzolo, sopra la camicia da notte, e


Amelia gemette e gli tirò i capelli. — Ricordi quella notte? — sussurrò,
con la faccia tra i suoi seni. — Ricordi la sensazione di me dentro di
te... come ti riempivo, quanto ero a fondo?

Amelia fu percorsa da un brivido di passione: il sangue le ribolliva


nelle vene, i seni erano gonfi e doloranti. Lui le pizzicava i capezzoli,
provocando delle ondate di bramosia che la scuotevano tutta.

Si sistemò sopra di lei e invase la sua bocca, inondandola del sapore di


brandy e di spezie esotiche. Lei si lasciò sfuggire un gemito, aggrap-
pandosi alla sua lingua insistente nel tentativo disperato di dissetarsi a
quella fonte proibita.

Sentì che lui aveva poggiato una mano sulla sua coscia. La brezza della
sera le accarezzò la pelle bollente. Mentre tutto il suo corpo si tendeva
e si dibatteva nell’attesa di essere sfiorato da quelle mani benedette,
Amelia fremeva. Colin insinuò un ginocchio tra le sue gambe per farg-
liele aprire e lei, con naturalezza e senza vergogna, si offrì a lui, spa-
lancando le cosce per concedergli accesso alla carne pulsante.

Colin alzò la testa e la guardò in faccia mentre la toccava nelle parti più
intime. — Senti come sei bagnata — disse, con il petto che si alzava e si
abbassava rapidamente. Infilò due dita a fondo e Amelia inarcò la
schiena, trasportata da quell’implacabile piacere. — Tu sei fatta ap-
posta per me.
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La sensazione era quasi insopportabile; così gli gettò le braccia al


collo. — Vieni dentro di me. Riempimi tutta.

Lo sguardo di Colin si fece più scuro, le iridi inghiottite dalle pupille


dilatate. — Ci sono così tante cose che potrei farti, così tanti modi di
darti piacere... Posso mostrarti cosa ti perdi, se ci lasciamo?

— Sei stato tu a lasciarmi per primo!

— Ma sono tornato. — Il suo tono suadente era in netto contrasto con


il dolore che gli si leggeva negli occhi. — E tu? Tornerai suoi tuoi
passi? Se riesco a creare una dipendenza tra il tuo corpo e il mio, tu
tornerai da me?

Il labbro inferiore cominciò a tremarle e lui le passò la lingua sul


bordo, lasciando dietro di sé una scia calda al gusto di liquore. Le sue
dita entravano e uscivano, accrescendo l’ardore della sua amata con
dolce abilità. Era qualcosa di profondamente intimo, ma diverso da
ogni altra esperienza passata: le emozioni che si celavano al di sotto
non erano speranza e piacere, ma disperazione e dolore.

— Sarei disposto a tutto — disse in un bisbiglio soffocato — se sapessi


che esiste anche solo una probabilità che tu torni ad amarmi.

— Non ho mai smesso di farlo — singhiozzò lei, con le lacrime che


scendevano giù lungo gli zigomi fino a bagnarle i capelli. — Il prob-
lema non è questo.

— Il mio maggiore rimpianto è che nonostante tutti i miei sforzi io non


sia ancora abbastanza per te — le confessò Colin, appoggiando la
guancia alla sua.

Amelia girò la testa e lo baciò: non intendeva discutere delle differenze


tra loro in quel momento: le pareva già abbastanza scosso. Lui accettò
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quel bacio con evidente disperazione; il cuore gli batteva così forte che
Amelia riusciva a sentirlo al di sopra del proprio battito galoppante.
Colin continuava a flettere i muscoli per infilare le dita nella vagina
pulsante e bagnata e lei gemeva piano, un suono flebile che indicava la
resa di una donna al piacere, trasformandolo dal ragazzino indifeso
del passato all’uomo risoluto del presente. La rassegnazione divenne
ribellione, la disperazione bramosia. Quando lui si voltò nuovamente e
incrociò il suo sguardo, nei suoi occhi Amelia lesse una smania
incontenibile.

— Se solo potessi vedere ciò a cui sto assistendo io ora — mormorò, ac-
carezzandole la clitoride con un tocco esperto.

Lei trattenne il fiato e d’istinto sollevò i fianchi, nel tentativo di


aumentare un po’ la pressione di quello sfregamento.

— Sei sempre ingorda. Sempre appassionata. Tu bruci per me, Amelia,


come se anche nelle tue vene scorresse un po’ di sangue gitano.

Le mordicchiò il mento, poi si spostò verso il basso, tracciando un sen-


tiero con la punta della lingua lungo il suo collo, fino allo sbarramento
creato dal bordo di pizzo della camicia da notte. Si tirò su, inginocchi-
andosi e incombendo su di lei in un modo che la incantò. Se ne stava
lì, tutta in disordine e con le gambe aperte, lasciandosi toccare da
quest’uomo che non era suo marito. La licenziosità di quella posa non
faceva che aumentare il suo ardore.

Lui le sollevò la camicia da notte, sempre più su, finché i capezzoli tur-
gidi non vennero baciati prima dall’aria e poi dalla sua bocca. La lin-
gua di Colin era uno strumento di tortura e di godimento che le sollet-
icava la sommità del seno facendola aggrappare ai suoi capelli per at-
tirarlo a sé.
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Non avrebbe mai creduto di poter fare un giorno l’amore con il suo
bellissimo, esotico Colin. Come poteva resistergli? Si lasciò trasportare
dal desiderio e della passione di lui, che la liberavano di ogni inibiz-
ione e la mettevano alla mercé di ogni sua richiesta.

— Che bel seno — bisbigliò Colin, disseminando di baci la piccola val-


lata tra quei promontori golosi, prima di prenderglielo tra le mani e di
titillare i capezzoli con il pollice e l’indice. — È così morbido e dolce.
Starei qui a toccarti per delle giornate intere...

Il solo pensiero di essere l’oggetto di tutti i suoi desideri la eccitò al


punto che Amelia prese a muoversi al ritmo delle sue mani, impazi-
ente di raggiungere l’orgasmo. — Ti prego...

Lui le morsicò piano un capezzolo, strappandole un gemito di sor-


presa, poi si spostò più in basso, per passare la lingua intorno
all’ombelico. — Aspetta.

— No, adesso — lo implorò lei. — Ti prego, subito.

Colin si accosciò nuovamente, privandola del proprio calore e delle


proprie carezze, e sorrise quando vide che stava per protestare, fa-
cendo apparire quelle fossette che lei tanto amava. Si tirò fuori la cam-
icia dai pantaloni e se la sfilò dalla testa, scoprendo la pelle abbronzata
e i muscoli scolpiti del ventre e dell’addome e facendole venire l’acquo-
lina in bocca. Amelia aveva sempre amato quel corpo, adorava il modo
in cui il duro lavoro l’aveva reso possente.

— Se mi guardi così, posso andare avanti tutta la notte — le disse, poi


appoggiò le dita sulla patta dei calzoni e liberò la sua erezione. In
quell’istante, qualsiasi buon proposito avesse sfiorato la mente di
Amelia svanì e si concentrò esclusivamente sull’uomo che aveva di
fronte. Era come una fantasia che prendeva forma, con il petto nudo e
il membro orgogliosamente ritto e bramoso.
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Lei si leccò le labbra e si mise a sedere.

— Amelia... — Nella sua voce si nascondeva un avvertimento, ma non


fece il minimo movimento per allontanarsi mentre lei si sistemava per
accoglierlo nella bocca.

— Giusto un assaggino — mormorò, prima di appoggiare la lingua sul


piccolo foro sulla punta.

Colin sibilò tra i denti.

La pelle in quel punto era davvero morbida e quel sapore, salato e


fortemente maschile, era davvero afrodisiaco. Con un piccolo gemito,
Amelia circondò con le labbra il glande e lo succhiò leggermente.

— Mio Dio! — gridò lui, mentre tutto il suo corpo era percorso da un
brivido.

Ringalluzzita dalla sua risposta e dal forte desiderio di averlo alla pro-
pria mercé, Amelia piegò la testa continuando a leccarlo e gustando la
sua essenza più intima.

Colin era certo di morire dal piacere che Amelia gli dispensava con
tanto entusiasmo. Sembrava persa in quell’atto, più concentrata a sod-
disfare se stessa che lui. Era paonazza, l’eccitazione aveva reso vitrei i
suoi begli occhi verdi, le labbra gonfie e rosse si stiravano intorno al
glande.

— Sì — gridò, mentre lei continuava a succhiarglielo. — La tua bocca è


il paradiso... Prendimelo tutto... Sì, così...

Il corpo era violentemente scosso dalla potenza di quel piacere,


tremava, bruciava, anelava a una boccata d’aria. Vedere il proprio
pene risucchiato da quelle dolci labbra era qualcosa di celestiale.
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Appena un’ora prima, era sicuro che non l’avrebbe mai più potuta toc-
care, abbracciare o sentire la sua vagina calda e bagnata avvolgerlo
mentre veniva. Il dolore per quella perdita era quasi insopportabile.
Perdere tutto, persino la speranza, e rimanere senza nulla in mano per
poi ritrovarsi di colpo lì, con le brache calate e il pene duro e pulsante,
con Amelia, l’amore della sua vita, che rendeva quel servizio alla sua
bramosia con tanto fervore non faceva che trasformare l’estasi gen-
erata da quella bocca succulenta in un’intensa agonia.

— Amore mio... non so quanto durerò ancora... — Colin aveva una


voce gutturale, biascicava quasi le parole, ma lei lo sapeva già. Lui se
ne accorse dal modo in cui lo toccava, dal modo in cui lo guardava.

— Vieni... — bisbigliò, un alito caldo che gli accarezzava la pelle umida.


Serrò le dita intorno al suo membro e cominciò a muoverle su e giù,
inviandogli un brivido di piacere lungo le gambe e facendo sollevare i
testicoli. Insinuando le dita tra la peluria, li prese in mano e cominciò
ad accarezzarli.

Gli sfuggì un gemito, mentre la tensione diventava sempre maggiore.


— Ti verrò in bocca... maledizione...

La sua bocca vogliosa avvolse la punta del pene con una coccola pic-
cante, fatta di calore umido e golose suzioni. Colin si sentì mancare il
fiato e gli si annebbiò la vista, mentre d’istinto l’afferrava per la nuca e
sfregava il membro su quella lingua guizzante, con la mano di Amelia
che gli impediva di andare troppo a fondo. Lei emetteva dei gemiti che
sembravano una sensuale supplica, e la vibrazione si diffondeva lungo
tutta la sua erezione, spingendolo sempre più verso l’orgasmo.

A un certo punto esplose, riversando il seme dentro la sua bocca, con


le dita intrappolate tra i suoi capelli. Oltre il folle battito del cuore e i
forti ansiti, sentì Amelia gemere mentre ingoiava quel liquido caldo,
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continuando a succhiare e mungere il pene finché non fu completa-


mente appagato.

Lo lasciò dandogli un’ultima succhiata più lunga, con le labbra imper-


late del suo seme e incurvate in un sorriso soddisfatto. Colin stette a
fissarla stupito, la mente persa tra i fumi dell’alcol e dell’orgasmo. Il
cuore, però, era più vivo e lucido che mai.

Aveva davvero creduto che con il sesso sarebbe riuscito a smorzare


l’affetto che provava per lei, diventando più padrone di sé? In quel mo-
mento l’amava più che mai, con un trasporto sconsiderato.

Perderla? Giammai.

La spinse via e scivolò giù tra le sue cosce, aprendole le gambe per aff-
ondare la faccia nel paradiso umido e scivoloso della sua vagina, lec-
candola e insinuandosi tra le labbra gonfie per sfregarle la clitoride.

— Colin! — gridò lei. Nella sua voce si nascondeva una bramosia


sospesa tra l’eccitazione e la sorpresa.

Lui sorrise, poi la baciò con ardore, girando la testa per ficcare la lin-
gua in quella fessura che sembrava fatta apposta per accogliere il suo
membro, lasciandosi pervadere e intossicare dal suo sapore.

— No... Ti prego!

La nota di panico lo spinse a sollevare il capo. La fissò e vide una luce


selvaggia in quei suoi grandi occhi verdi. — Che c’è?

— Ti prego, fermati.
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Colin aggrottò la fronte, accorgendosi che aveva le guance arrossate e


le tremavano le gambe. Nonostante fosse eccitata, tentava ancora di
resistergli.

— Perché?

— Non riesco a pensare...

Ragionare, fare pensieri razionali: ecco ciò che voleva. Averlo in pugno
le dava potere, mentre abbandonarsi ai suoi servigi la rendeva
vulnerabile.

— Tu pensi troppo — ribatté lui, con voce roca. — Lasciati andare. Lib-
era la donna che mi ha portato a letto senza guardare in faccia niente e
nessuno.

— Tu pretendi tro... troppo — borbottò Amelia, cercando di


divincolarsi.

— Sì, ti voglio tutta, ogni centimetro... — disse Colin, dandole un pi-


acere infinito con le sue labbra avide, cibandosi di lei, abbeverandosi
alla sua fonte, respirando a pieni polmoni il suo odore primigenio.
L’innato desiderio che nutriva per lei lo scuoteva nel profondo, gli
faceva gonfiare il membro come se lei non l’avesse appena prosciugato
di tutte le sue forze.

Amelia si contorceva, si aggrappava alle sue spalle chiedendo pietà,


con la voce rotta dalla passione. Si trovava sull’orlo di un baratro che
la terrorizzava e le pareva che lui cercasse di spingerla giù, senza darle
tregua né spazio per tirarsi indietro.

La sua lingua la tormentava di piacere, guizzando e dandole dei col-


petti, portandola sempre più in là. Le sue labbra era chiuse sulla
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clitoride, la succhiavano e la tiravano. E poi i suoi gemiti! Quegli ansiti


e quei versi di piacere la facevano impazzire.

Cercò di concentrarsi sulla barba che le solleticava l’interno delle cosce


finché dovette cedere alle furiose contrazioni del suo grembo e prese a
muovere i fianchi.

— No... no... no... — Ansimò, cercando di allontanarlo ma al contempo


infilando le dita tra i suoi riccioli e tirandolo forte a sé, in modo che
non potesse più lasciarla.

Colin le fece scivolare le mani sotto i glutei e la sollevò, modificando


l’angolazione e inducendola ad allargare di più le gambe, poi infilò la
lingua in quella cavità pulsante e lei fu invasa da una forte ondata di
piacere, lasciando ricadere le braccia sul pavimento e affondando le
unghie nel tappeto.

— Colin!

Era devastata, ma lui non era ancora soddisfatto. Non le diede nem-
meno il tempo di riprendere fiato che le salì sopra, facendosi strada
dentro di lei con il suo membro caldo e duro.

— Sì — gemette, cingendola per le spalle e tenendola ferma, mentre af-


fondava tutto dentro di lei con grazia sensuale. — Dio mio, che bello...

Amelia ansimava e si contorceva, accettando quell’invasione con avid-


ità mentre i suoi tessuti gonfi si aprivano sotto quelle spinte incess-
anti. Lui la teneva ferma, con una mano appoggiata alla spalla e una
sul fianco; la dominava, la possedeva, la marchiava come sua proprietà
privata.

— Mia — ripeteva, entrando e uscendo con calma, mentre dentro di sé


era in preda a un turbinio di emozioni.
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C’era qualcosa di strano su quel volto tirato, paonazzo e sudato: in


parte sofferenza e in parte piacere. Era così austero e concentrato,
pensò lei. Così risoluto. I suoi occhi brillavano di passione. Era una
visione fortemente erotica.

Colin stava facendo l’amore con lei. Era vivo e tra le sue braccia, den-
tro di lei. Le stava sussurrando frasi dolci e parole d’amore,
realizzando quel sogno che lei credeva svanito per sempre.

Ecco di nuovo salire quella tensione che la faceva guizzare e serrarsi


ancora di più intorno al pene. D’un tratto sentì la cintura sfregarle
contro la coscia e udì il rumore degli stivali che battevano sul pavi-
mento. Solo allora si accorse che anche lui era ancora mezzo vestito,
proprio come lei. Quella fu l’ultima cosa che pensò prima di essere tra-
volta dall’orgasmo.

— Ecco — disse lui con dolcezza, guardandola con un sorriso ferino,


continuando a spingere con vigore per prolungare il suo piacere
quanto più a lungo possibile. Amelia era in balia di quell’ondata di
sensazioni che diffondeva una scarica lungo tutto il corpo, rendendolo
ipersensibile.

Quando si rilassò, ormai sazia, a quel punto lui pensò al proprio pi-
acere, riversando la testa all’indietro e tendendo il collo.

Amelia lo osservò proprio come Colin aveva fatto con lei poco prima,
le gambe avvolte intorno a quei fianchi infaticabili e le mani appoggia-
te sulla sua vita per tenerlo stretto a sé.

Colin d’un tratto aumentò il ritmo e lei seppe che stava per raggi-
ungere il culmine. Ansimava e si muoveva più rapido, finché non
esplose dentro di lei con un fiotto di liquido caldo, gemendo forte e
fremendo.
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— Santo Dio — balbettò, tremando e sfregandosi contro la clitoride


gonfia e facendola venire una seconda volta, entrandole nelle ossa, nel
cuore e nell’anima, rendendoli così una cosa sola.

— Amore mio — bisbigliò, abbracciandola e avvolgendola con il suo


profumo. — Non ti lascerò mai... Tu sei mia.

Lei lo mise a tacere con un bacio disperato.

16

Amelia si svegliò di soprassalto quando sentì qualcuno poggiarle una


mano sulla bocca. Spaventatissima, tentò di divincolarsi conficcando
le unghie nel polso del suo assalitore.

— Sta’ ferma!

Al suono di quella voce si immobilizzò e strabuzzò gli occhi, con il


cuore che le batteva all’impazzata e il cervello ancora mezzo ad-
dormentato che cercava di capire perché Colin fosse lì, sopra di lei, al
buio.

— Ascolta — sibilò lui, continuando a tenere d’occhio la finestra. — Ci


sono una dozzina di uomini, là fuori. Non so chi siano, ma non lavor-
ano per tuo padre.

Lei girò la testa di lato per liberarsi la bocca. — Cosa?

— Mi hanno svegliato i cavalli. Quei ceffi hanno fatto il giro dalle


stalle. — Colin si ritrasse e balzò giù dal letto. — Io sono sgattaiolato
fuori dal retro e sono venuto a prenderti.
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Imbarazzata all’idea che la vedesse con indosso solo la camicia da


notte, Amelia afferrò le coperte e le tirò su. Colin gliele strappò di
mano.

— Muoviti! — la incitò.

— Ma cosa stai dicendo?

— Ti fidi di me? — la interrogò lui. I suoi occhi scuri brillavano


nell’oscurità.

— Sì.

— Allora fa’ come ti dico e tieniti le domande per dopo.

Amelia non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo, ma capì


che non scherzava. Annuì e scivolò giù dal letto. La camera era illu-
minata solo dalla luce della luna che filtrava dalla finestra. La sua
folta chioma le scendeva lungo la schiena in una spessa treccia mezza
disfatta; Colin la prese e se la passò tra le dita. Poi si scosse.

— Mettiti qualcosa addosso — le ordinò. — Svelta!

Amelia andò di corsa dietro il paravento e si svestì, poi si infilò la


camicetta e il vestito che aveva indossato di giorno.

— Muoviti!

— Non riesco a chiuderlo, ho bisogno della mia cameriera.

Colin allungò le mani dietro il paravento, l’afferrò alla cieca per un


gomito e la trascinò verso la porta.

— Ma sono scalza!
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— Non c’è tempo — ribatté lui, aprendo la porta per sbirciare nel
corridoio.

Amelia non riusciva a vedere niente, ma sentiva delle voci di uomini.


— Cosa...

Con un gesto repentino, Colin si voltò e le tappò di nuovo la bocca,


scuotendo il capo. Lei fu colta alla sprovvista e ci mise un attimo a
capire, poi fece un cenno per fargli intendere che non avrebbe più
parlato.

Dopo qualche secondo Colin si avviò lungo il corridoio con passo felp-
ato, tenendola per mano. A un tratto si immobilizzò e lei fece altret-
tanto. Al piano di sotto anche il vocio cessò. Sembrava che la casa
stesse trattenendo il fiato, in attesa.

Colin si portò un dito alle labbra, poi la sollevò e se la caricò in


spalla. Tutto quello che seguì fu un ricordo sfocato. Sospesa con la
faccia rivolta al pavimento, Amelia perse l’orientamento e non riuscì
a capire come avesse fatto a portarla fino al pianoterra. Poi sentì un
grido al piano superiore, quando gli intrusi scoprirono che lei non
c’era, e il rimbombare di passi. Colin imprecò e si mise a correre,
sballottandola tanto da farle venire male al collo, precipitandosi
verso il portone e poi giù lungo lo scalone esterno.

Altre grida, altri passi concitati. Rumore di spade e le urla della si-
gnorina Pool che squarciavano la notte.

— Eccola là! — esclamò qualcuno.

Amelia vedeva il suolo sfilare via veloce davanti ai suoi occhi.

— Da questa parte!
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Sentire la voce di Benny fu un vero sollievo. Colin virò bruscamente e


lei riuscì a intravedere i suoi inseguitori, che furono subito inter-
cettati da altri uomini: alcuni li conosceva, altri no. Quel diversivo
permise loro di dileguarsi. Ben presto non ebbero più nessuno alle
calcagna, così Colin la rimise a terra. Amelia si guardò intorno con
gli occhi spalancati per capire dove si trovava e vide Benny a cavallo
e Colin che stava montando in groppa a un altro animale.

— Vieni! — gridò, allungando una mano, mentre con l’altra teneva le


redini. Lei tese le braccia e Colin la issò a cavallo, sistemandola dav-
anti a sé. Amelia sentiva quelle gambe possenti sfregare contro le
sue, mentre l’animale si lanciava al galoppo.

Si teneva con tutte le sue forze, con lo stomaco compresso contro la


sella, ma purtroppo la loro fuga non durò a lungo. Appena uscirono
in strada, uno sparo risuonò nell’oscurità. Colin sobbalzò e imprecò.
Amelia cacciò un urlo, vide il suo mondo vacillare, scivolare e crol-
lare giù, fino a schiantarsi al suolo.

Poi, più nulla.

Amelia si ridestò con una mano sulla bocca e qualcuno che le sussur-
rava all’orecchio.

— Zitta! C’è qualcuno in casa.

La voce di Colin era il solo riferimento nella semioscurità. Per alcuni


istanti, rimase sospesa tra l’orrore e la paura, poi la sensazione del
corpo di Colin schiacciato contro la schiena e le sue braccia forti che
l’avvolgevano le diedero quel conforto di cui aveva bisogno.

Pian piano, si fece strada la lucidità e gli occhi abituati al buio si sof-
fermarono sugli stucchi dorati del soffitto.
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Erano distesi sulla chaise-longue della biblioteca. A giudicare dai


tizzoni quasi estinti nel caminetto, doveva aver dormito per almeno un
paio d’ore.

Si girò nel suo abbraccio e lo guardò in faccia. — Chi sono? — gli sus-
surrò all’orecchio.

Colin scosse il capo, con gli occhi neri che brillavano.

Amelia rimase immobile ad assorbire la tensione che attanagliava la


figura di Colin, poi sentì un rumore: stivali che calpestavano il
parquet.

Stivali. A quell’ora?

Il cuore passò dal ritmo regolare del dormiveglia a un battito forsen-


nato. Diversamente dal suo sogno, adesso era Colin a trovarsi in
pericolo.

Lui le scoccò un bacio rapido, poi scivolò giù e si abbottonò i calzoni


stando inginocchiato, dopodiché afferrò la camicia e se la infilò in
fretta, prima di allungare la mano verso lo spadino.

Anche lei sgusciò giù dalla chaise-longue e si sistemò la camicia da


notte.

— Chiudi la porta, quando vado via — le sussurrò lui, sguainando


lentamente l’arma per non fare rumore.

Amelia si mosse in punta di piedi verso un oggetto che luccicava de-


bolmente accanto al panciotto e alla redingote. Era il pugnale di Colin.
Nel momento stesso in cui serrava le mani sull’impugnatura, lui le fu
dietro.
293/325

— No.

— Fidati di me — mormorò lei, premendo la guancia contro la sua.

— La mia serenità dipende dalla tua incolumità.

— E tu pensi che per me sia diverso? — ribatté Amelia, sfiorandogli


una guancia con mano tremante, percorrendo una linea invisibile che
conduceva al punto in cui appariva una bellissima fossetta, quando era
felice. — Stai tranquillo. Dopotutto, io sono la sorella della “vedova di
ghiaccio”, ricordi?

Seguì un lungo silenzio, durante il quale lui considerò attentamente


quelle parole.

— Lascia che ti aiuti — aggiunse lei sottovoce. — Come facciamo ad an-


dare avanti se continui a lasciarmi indietro?

Capiva quanto fosse preoccupato al solo pensiero di saperla in peri-


colo: provava la stessa cosa nei suoi confronti.

Alla fine, Colin le fece un cenno con la testa e lei, premendo velo-
cemente le labbra sulle sue, estrasse la lama dalla custodia.

“Ti amo” le disse lui senza emettere alcun suono, con la bocca sulla
sua.

Amelia gli prese una mano e ne baciò il palmo.

Colin si liberò dalla sua stretta e si diresse verso la porta. Doveva


averla chiusa mentre lei dormiva. Abbassò la maniglia e la aprì quel
tanto che bastava per dare una sbirciata nel corridoio. I cardini erano
ben oliati e non cigolarono.
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In un attimo sparì e lei contò fino a dieci, prima di seguirlo.

Sentire l’elsa del pugnale contro il corpo le infondeva coraggio. Strisciò


lungo la parete fino a raggiungere le scale, con tutti i sensi in allerta. Il
rumore del vento e il richiamo di un predatore notturno, forse un gufo,
la tenevano ancorata alla realtà. Cercava di respirare piano. L’istinto di
sopravvivenza e il bisogno di proteggere Colin avevano preso il
sopravvento sulle emozioni. Regnava uno strano silenzio, tutt’intorno,
poi all’improvviso udì un leggero rumore di passi proprio davanti a sé
e si arrestò, accovacciandosi nell’oscurità.

Alla sua destra, qualcosa catturò la sua attenzione, così afferrò il pug-
nale, pronta a colpire. Il suo braccio era saldo, i nervi tesi. Non aveva
mai ucciso nessuno, ma voleva prima agire e poi preoccuparsi delle
conseguenze.

Sollevò il braccio, concentrandosi sul piccolo cono di luce lunare che


illuminava l’ultimo gradino.

Anche se non si udiva alcun rumore, sapeva che l’intruso si stava avvi-
cinando lentamente a quella zona illuminata.

Vicino, sempre più vicino...

All’improvviso, Colin si lanciò su qualcosa. Amelia capì che si trattava


di lui dalla camicia bianca che brillò sotto la luna. Si schiantò contro
una sagoma ben mimetizzata al buio che Amelia non aveva notato,
dalla sua posizione. Un forte fragore indicò che i due erano finiti con-
tro un oggetto fragile, mandandolo in mille pezzi.

Amelia scattò in piedi e attraversò il corridoio, raggiungendo la parete


opposta, pronta a sferrare un buon colpo, ma era troppo buio per po-
ter distinguere l’uno dall’altro in quel groviglio di membra; così non le
restò che pregare.
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Una porta al piano superiore si aprì e lei riuscì a stento a soffocare un


sospiro di sollievo. Qualcuno si avvicinava portando una lanterna, e
quella poca luce fu sufficiente per illuminare una lama sollevata,
troppo corta per essere lo spadino di Colin. Amelia sollevò un braccio e
colpì, spostando il peso all’indietro per sfruttare tutta la forza
possibile.

La lama affondò nella carne e un grido di dolore riempì l’aria, mentre


il coltello che avrebbe dovuto trafiggere Colin finiva a terra, tintin-
nando sul parquet.

Christopher si precipitò giù dalle scale con la pistola spianata. Maria


gli stava dietro e brandiva un fioretto.

L’atrio pian piano fu invaso dalla luce, rivelando il bersaglio di Amelia


che, stringendosi le mani al petto, era caduto in ginocchio. Barcollò
ancora per qualche istante, prima di rovinare a faccia in giù.

— Maledizione! — imprecò Colin, correndo al suo fianco. — Bel colpo!

— Ottimo davvero, Amelia — si congratulò Christopher, guardando il


corpo riverso ai suoi piedi.

— Che diamine sta succedendo qui? — tuonò Ware, scendendo di


corsa le scale, seguito da Simon e Lysette.

— Dépardue — disse Lysette. Si inginocchiò accanto a lui e lo girò sulla


schiena. — Comment te sens-tu?

— Lysette — rantolò lui, aprendo gli occhi.

La ragazza afferrò il pugnale e lo estrasse, per poi colpirlo di nuovo,


questa volta al cuore.
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Il rumore della lama che trapassava le costole e il breve urlo straziato


di Dépardue fecero venire la pelle d’oca ad Amelia. — Mio Dio! —
gridò, sentendosi mancare.

Lysette sollevò ancora una volta il braccio e affondò una seconda volta
la lama. Simon si gettò su di lei e la strattonò. — Basta! Non vedete che
è morto?

Lysette tentava di divincolarsi, urlando parolacce in francese, infine


sputò sul cadavere.

Quello spettacolo lasciò tutti sbigottiti e senza parole per alcuni istanti,
poi Christopher si schiarì la gola. — Bene... quest’uomo non rapp-
resenta più alcuna minaccia. Sicuramente, però, non era solo. Dev’es-
serci qualcun altro.

— Vado a controllare di sotto — disse Colin, e guardò Amelia. — Va’


nella tua stanza e chiudi a chiave la porta.

Lei annuì. La vista di quell’uomo morto e della pozza di sangue che


rapidamente si stava formando ai suoi piedi le faceva venire il
voltastomaco. Pian piano, l’effetto delle proprie azioni cominciava a
prendere forma.

— Guardate cos’ho trovato!

Tutti si voltarono verso l’atrio e videro apparire Tim, che teneva


Jacques per la collottola.

— Se la stava svignando — tuonò il gigante.

In effetti, Jacques era vestito di tutto punto.

— Non me la stavo svignando! — protestò.


297/325

— Credo che sia stato lui a far entrare quello — disse Tim, indicando
l’uomo a terra.

— E così c’è un traditore tra le nostre file? — chiese Christopher in


tono minaccioso.

Amelia fu percorsa da un brivido.

— Ça alors! — gridò Lysette, alzando in aria le mani, una delle quali


era coperta di sangue. — Vogliamo continuare a perdere tempo con lui
quando ce ne possono essere degli altri, là fuori?

— Ne abbiamo presi tre, oltre a questi due — disse Tim.

Il volto di Colin si irrigidì. — Allora li interrogheremo tutti. Qualcuno


dovrà pur dirci qualcosa di utile.

Lysette soffiò dal naso. — Absurde.

— E cosa suggerite di fare? — domandò Simon con eccessiva gen-


tilezza. — Torturarli a fuoco lento per giorni? Questo soddisferebbe
maggiormente la vostra sete di sangue?

Lei agitò una mano con insofferenza. — Perché darvi tanta pena? Ucci-
detelo e basta.

Jacques sogghignò. — Voi riuscireste a mangiare anche i vostri figli!

Christopher sollevò le sopracciglia.

— Lei lavora con me — spiegò Jacques, cercando di liberarsi dalla


stretta di Tim. — Io, perlomeno, posso testimoniare l’innocenza di
Mitchell nell’omicidio di Leroux. Lei, invece, non ha niente in mano.
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— Come, prego? — intervenne Colin. — Voi due lavorate insieme?

Amelia si allacciò le braccia intorno al torace, scossa dai brividi.

— Maledetto! — sibilò Lysette.

Jacques sorrideva, trionfante.

— Credo che dovremmo tenerli divisi — suggerì Colin, e Christopher


annuì.

— Io mi occuperò di Lysette — propose Simon con voce dura.

Quando la ragazza trasalì, Amelia si voltò e tentò di combattere contro


un improvviso moto di simpatia per lei.

— Vieni, bambolina — le sussurrò Maria, prendendola sottobraccio. —


Andiamo a preparare il tè e a procurarci un po’ di liquori per gli
uomini. Ci aspetta una lunga nottata.

Colin fissava incredulo l’uomo che aveva creduto suo amico fino a
qualche istante prima, mentre pian piano prendeva forma il piano or-
dito alle sue spalle. — Collaboravi con la signorina Rousseau sin
dall’inizio, vero? Già da prima che ci incontrassimo alla locanda qual-
che giorno fa.

Jacques sorrise. Era legato a una sedia dorata e damascata nello studio
di Ware, con i polpacci uniti e le mani dietro la schiena. — Non ci
siamo visti per la prima volta alla locanda. In realtà, la conosco già da
un po’.

— Ma avete fatto finta di non conoscervi — ribatté Simon. Lysette si


era dimostrata più risoluta nel voler mantenere il silenzio, così l’aveva
299/325

lasciata in una stanza per gli ospiti e si era unito agli altri per interrog-
are Jacques.

— Dovevamo farvi credere che questa faccenda riguardasse Cartland e


l’assassinio di Leroux — spiegò il francese.

— Perché, non era proprio questo il punto? — obiettò Christopher.

— No. Gli Illuminés volevano mettere fine alle vostre indagini e al


vostro lavoro in Francia; eravate diventati troppo scomodi. Così mi
hanno mandato qui per scoprire da chi prendevate ordini.

Colin rimase raggelato. — Gli Illuminés? — ripeté, incredulo. Aveva


sentito parlare di quella setta di illuminati che cercava di conquistare
potere attraverso canali nascosti, ma quelle voci parevano prive di fon-
damento. — Cos’hanno a che vedere con Leroux?

— Nulla. A dire il vero, che Cartland abbia ucciso Leroux è stata una
complicazione.

— Come sarebbe a dire? — domandò Simon, che si era seduto su un di-


vanetto. Indossava un abito da sera e teneva un sigaro in mano.

— Gli Illuminés sono venuti a conoscenza del fatto che Mitchell stava
facendo ritorno in Inghilterra — proseguì Jacques. — Così, io mi sono
assicurato una cabina a bordo della stessa nave, con l’intento di
stringere amicizia con lui durante la traversata. Speravamo che questo
espediente potesse aiutarci a capire per chi lavorava qui. La sera in cui
Colin doveva imbarcarsi l’ho seguito e ne ho approfittato subito per di-
ventare suo amico.

— Affascinante — mormorò Christopher.

— E Lysette? — chiese Simon.


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— Il mio obiettivo era Mitchell — rispose Jacques. — Mentre voi


eravate quello di Lysette. Agli Illuminés non piace lasciare niente al
caso.

— Maledizione! — gridò Colin, in preda alla frustrazione. — E stasera?


Che mi dici di stasera? Che ruolo giocava Dépardue in questa storia?

— Era stato incaricato di scoprire la verità sulla morte di Leroux. Si


tratta di una faccenda personale che riguarda l’agente generale.

— Quindi sono ancora ricercato, in Francia — sbottò Colin. — E qual-


cuno deve pagare per l’assassinio di Leroux. Io non mi sono ancora
cavato da questo impiccio, né tantomeno tu o la signorina Rousseau.

— Già — convenne Jacques con un sorriso mesto.

— Per di più, Dépardue è morto.

— Non ti crucciare per questo, mon ami. Lei può confermarti che era
tutt’altro che una brava persona. Non permetterò mai che sia tu a
pagare per i crimini commessi da lui, te l’avevo promesso sin
dall’inizio.

— Ma non siete stato proprio voi a far entrare Dépardue in casa mia?
— obiettò Ware. — Perché?

— Cartland l’aveva inviato a cercare la signorina Benbridge. Io mi sono


offerto di aiutarlo al solo scopo di mettergli i bastoni tra le ruote.
Speravo di smascherarlo e ucciderlo, aumentando così la vostra fidu-
cia in me.

— Non capisco — s’intromise Christopher, avvicinandosi. — Perché


Cartland si fidava di voi?
301/325

— A causa di Dépardue. Quando io e Mitchell eravamo ancora a Lon-


dra, ho chiesto di Cartland e invece mi sono imbattuto in Dépardue.
Così gli ho detto che lavoravo al fianco di Lysette per trovare l’assas-
sino di Leroux. Sapendo che c’era anche lei, Dépardue si è insospettito
e questo mi ha aperto un varco con Cartland, il quale aveva bisogno di
qualcun altro sul fronte francese.

— E adesso dov’è Cartland? — chiese Colin.

— Alla locanda. Aspetta notizie.

Colin e Simon si scambiarono un’occhiata, poi Simon si alzò. — Vado


subito a cambiarmi.

— Vengo con voi — disse Christopher.

— Io resterò qui con le donne — propose Ware, abbozzando un sorriso.


— Anche se dubito che avranno bisogno della mia protezione.

Colin lasciò la stanza e si diresse a rapide falcate verso la biblioteca.

— Pare che tu abbia la vendetta a portata di mano — buttò lì Simon,


che l’aveva seguito.

— Sì, finalmente. — L’aspettativa gli faceva rombare il sangue nelle


vene e accelerava i battiti del cuore. La barriera che lo separava da
Amelia esisteva ancora, ma sentiva ancora sulla pelle il suo odore, e
questo gli infondeva fiducia. Lei lo amava; tutto il resto sarebbe venuto
da sé.

I due si separarono non appena giunti alla scalinata, e Colin andò a re-
cuperare la redingote che aveva lasciato in biblioteca. Serrò i pugni in-
torno alla guaina che di solito conteneva il pugnale e ripensò per un
istante al momento in cui Amelia gli era venuta in soccorso,
302/325

difendendolo con tutte le sue forze. Quella stessa mattina aveva


pensato di non poterla amare più di quanto già non facesse, ora invece
si rendeva conto che si stava innamorando di nuovo di lei, della donna
che era diventata.

Per la prima volta ebbe la certezza che non c’era nessun altro uomo
adatto a lei, e anche se ci fosse stato, che andasse al diavolo. Amelia
era sua, solo sua, e con un po’ di perseveranza l’avrebbe portata a cre-
dere la stessa cosa di lui.

S’infilò gli abiti in fretta e uscì dalla stanza. Ware era in piedi in fondo
alla scala, con gli occhi fissi sul punto in cui poco prima giaceva il ca-
davere di Dépardue. Era già stato ripulito tutto, ma Colin temeva che
quell’immagine avrebbe perseguitato il conte per anni.

Sentendo il rumore di passi, Ware girò la testa e strinse gli occhi


quando lo vide.

— Se riuscite a catturare Cartland — gli disse in tono gelido — non vi


rimane altro da fare, qui. Eccetto una cosa.

— Ci vediamo all’alba? — suggerì Colin. Quel duello era un ulteriore


impedimento che si frapponeva tra lui e il suo futuro con Amelia,
quindi preferiva sbrigare il più presto possibile quell’incombenza. —
Resteremo di sicuro alzati tutta la notte, così nessuno avrà un vantag-
gio sull’altro.

Gli fece l’inchino e corse verso le scuderie, spronato dal pensiero che
quel giorno il sole poteva segnare l’inizio di una nuova vita per lui.
Trovò Christopher che lo attendeva con una dozzina di uomini, ai
quali si aggiunse Simon.

Nel giro di meno di mezz’ora, un piccolo plotone marciava verso la


città.
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17

Cartland sentì il rumore di diverse paia di stivali che battevano sul pa-
vimento, così impugnò in fretta la pistola appoggiata al tavolino lì di
fianco. Spedire Dépardue e altri quattro in avanscoperta era stato un
azzardo di cui avrebbe volentieri fatto a meno, ma a volte erano
proprio i rischi maggiori a dare i frutti migliori.

Rimase lì seduto, con l’arma in pugno, ad attendere che qualcuno bus-


sasse. Quando udì un leggero picchiettio sulla porta, diede il permesso
di entrare e uno dei suoi si precipitò dentro.

— Signore — disse l’uomo, con il fiatone. — Magari sono troppo


sospettoso, ma tre gentiluomini armati fino ai denti sono appena en-
trati nella taverna.

Cartland infilò la pistola nella cintura e prese la giacca. — Meglio es-


sere sospettosi che avventati — disse, afferrando lo spadino e dirigen-
dosi verso la porta. — Gli altri sono sotto?

— Sì, e due nelle stalle.

— Eccellente. Seguitemi.

Avanzando a passi decisi e rapidi, Cartland si avviò giù per la scala di


servizio. In fondo c’era l’uscita sul retro, ma invece di imboccarla
svoltò a sinistra e s’infilò in cucina passando dalla porta per le con-
segne. Era sempre meglio non abbassare la guardia.

La porta era accostata e lasciava entrare una leggera brezza nella cu-
cina bollente. Cartland non riusciva a vedere altro che buio, oltre un
piccolo cono di luce che filtrava dall’esterno, ma decise di mettersi a
correre per aumentare le probabilità di scamparla, qualora gli avessero
304/325

teso un’imboscata. Una volta avvolto dalle tenebre, sarebbe stato in


salvo.

D’un tratto, avvertì un grugnito alle sue spalle: lo scagnozzo che aveva
al seguito era stato atterrato.

Colto alla sprovvista, incespicò sulla ghiaia e si voltò barcollando, con


la pistola spianata e uno sguardo predatore.

— Che piacere rivedervi! — gridò Colin.

La luce lunare illuminava il viottolo e un corpo disteso a terra con un


pugnale che gli sbucava da dietro la schiena. Il suo tirapiedi si contor-
ceva e gemeva.

— Voi! — farfugliò Cartland, cercando di vedere il suo nemico.

— Sì, proprio io — rispose Colin, rimanendo sempre nell’ombra.

L’eco prodotta dagli edifici circostanti rendeva difficile individuare il


punto in cui si nascondeva, mentre invece lui si trovava allo scoperto.

— I francesi non crederanno che io sia colpevole. Si fidano di me —


urlò, agitando la pistola davanti a sé.

— Permettetemi di dubitarne.

Si udì un tonfo a sinistra, e Cartland sparò un colpo in quella


direzione; solo quando una pietra rotonda rotolò giù e si fermò ai suoi
piedi, capì che era un trucco. Se non si fosse lasciato prendere dal pan-
ico, avrebbe agito con più astuzia. Il cuore sembrava congelato dalla
paura.
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La risata di Colin riempì la notte, poi il gitano fece la sua apparizione,


avvolto in un mantello svolazzante degno di un fantasma. Brandiva in
ciascuna mano un’arma: una era una pistola, e questo non gli lasciava
altra scelta che arrendersi o morire. Così lasciò scivolare giù dalle dita
ormai prive di forza la pistola fumante, che cadde a terra tintinnando.

— Io posso aiutarvi — si affrettò a dire. — Potrei difendervi e riscattare


il vostro nome.

I denti bianchi di Colin brillarono nell’oscurità. — Certo che lo farete:


tornerete in Francia e pagherete per i crimini commessi.

Amelia si svegliò di soprassalto. Era quasi l’alba. Il cuore le tamburel-


lava nel petto come se avesse corso per dieci miglia, e non riusciva
proprio a spiegarsi il perché.

Rimase distesa per un attimo, sbattendo le palpebre e fissando la


tenda. Lasciò vagare lo sguardo annebbiato sui tasselli dorati dei bordi
del letto mentre tentava di riprendere a respirare normalmente.

D’un tratto, sentì un rumore inconfondibile che la riempì d’orrore:


quello di due spade che cozzavano l’una contro l’altra.

Per un momento, temette che non fossero riusciti a catturare Cartland,


ma non si udivano grida né altri rumori.

“Il duello!” pensò un istante dopo.

— Anne! — gridò, chiamando la sua cameriera e buttandosi giù dal


letto.

Corse verso la finestra, tirò le tende e imprecò, vedendo il cielo grigio e


rosa.
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Si precipitò verso l’armadio e tirò fuori uno scialle. — Anne! — gridò di


nuovo. La porta si aprì e lei si girò di scatto, in agitazione. — Perché
non mi avete svegliata prima... Ah, Maria...

— Amelia.

La nota di compassione nella voce della sorella le fece venire la pelle


d’oca. — No! — gemette, scansandola e dirigendosi verso il corridoio.

— Bambolina, aspetta!

Ma lei non ascoltava: si mise a correre, quasi investendo una cameri-


era, prima di svoltare l’angolo e precipitarsi giù per le scale. Quando
raggiunse il piano inferiore, il tipico tintinnio dei fioretti le fece
raggelare il sangue nelle vene. Aveva quasi raggiunto la portafinestra
che conduceva alla terrazza sul retro e al giardino, quando qualcuno
l’afferrò da dietro e la strinse forte. Tentò di gridare, ma sentì una
grossa mano poggiarsi sulla sua bocca.

— Mi dispiace — borbottò Tim. — Non posso permettere che li distur-


biate mentre combattono. È così che gli uomini perdono la vita, qual-
che volta.

Amelia si dibatteva, non voleva nemmeno pensare che uno dei due
potesse rimanere ferito. Nonostante si dimenasse come una pazza,
Tim era un gigante e lei non aveva la minima possibilità di liberarsi.
Intanto il rumore metallico non cessava, acciaio contro acciaio, fa-
cendola trasalire ripetutamente tra le braccia di Tim, che la stringeva
più forte, sussurrandole qualche parola di conforto che però non sort-
iva l’effetto desiderato.

Poi, all’improvviso, calò il silenzio.


307/325

Amelia aveva paura che persino il respiro potesse impedirle di per-


cepire il minimo suono proveniente da fuori.

Tim la trascinò verso una finestra e scostò di qualche centimetro l’im-


posta. Un alito di vento freddo s’insinuò in quel piccolo varco, fa-
cendola rabbrividire.

— Siete voi il migliore.

Era la voce di Colin, e il labbro inferiore prese a tremarle contro il


palmo di Tim.

— Voi siete la scelta più assennata — proseguì Colin, in tono contrito.


— Siete stato costante e sincero con lei. Nonostante i miei molti
possedimenti, le vostre ricchezze e il vostro titolo costituiscono una
garanzia maggiore per Amelia. Potete darle cose che io non posso of-
frirle. E infine, cosa ancor più importante, non accetta di buon grado
l’affetto che nutre nei miei confronti, mentre vede con gratitudine
l’idea di un futuro insieme a voi.

Amelia girò la faccia e premette la guancia bagnata dalle lacrime con-


tro il petto di Tim. Colin la stava lasciando, come aveva già fatto altre
volte in passato.

Tim le tolse la mano dalla bocca.

— Lasciatemi andare — piagnucolò lei con voce rotta. — Vi prometto


che non andrò fuori.

Il gigante la mise giù e si voltò, allontanandosi.

— Bambolina. — Maria l’aspettava a braccia aperte in fondo alle scale e


Amelia si tuffò in quell’abbraccio, con le ginocchia molli, obbligando
entrambe a scivolare giù e sedersi su un gradino.
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— Io ci avevo sperato — mormorò Amelia con voce strozzata, il petto


schiacciato da una pena paragonabile soltanto al dolore che aveva
provato quando aveva saputo che Colin era morto. — Mi detesto per
averci creduto. Perché non imparo nulla dal passato? Le persone che
amo non sono fatte per restare nella mia vita. Se ne vanno tutte, tutte,
tranne te... Soltanto tu sei rimasta al mio fianco...

— Su, su, sei troppo agitata.

Due braccia possenti l’afferrarono e la tirarono su: era Tim. Amelia si


accoccolò contro di lui e si lasciò trasportare di nuovo in camera sua,
con Maria al seguito.

Colin si esibì in un profondo inchino e puntò gli occhi in quelli di


Ware, che stava effettuando lo stesso gesto. Sentiva il sangue sgorgare
dalla ferita superficiale inflittagli dal suo avversario, ma non gliene im-
portava nulla. Ware si era preso la sua rivincita, ed era tutto ciò che gli
avrebbe concesso. Doveva accontentarsi solo di questo, perché lui vol-
eva tenersi la posta in palio.

— A dispetto di tutte le cose che giocano a vostro favore, milord, vi ho


concesso questo duello, ma non ho intenzione di cedervi la signorina
Benbridge. Lei nutre un profondo affetto per me, da sempre, e credo
che i miei sentimenti verso di lei siano chiari a tutti.

— Ed è per questo che l’avete lasciata sola per tutti questi anni? —
ironizzò il conte.

— Io non posso cambiare il passato, ma vi posso garantire che d’ora in


poi nulla potrà più portarmela via.

Ware strinse gli occhi blu e la tensione tra loro si fece palpabile. Poi
sollevò gli angoli della bocca in una smorfia. — Forse non siete la per-
sona che pensavo.
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— Forse no.

Si fecero un altro inchino, poi lasciarono il prato, prendendo ciascuno


la propria strada, dirigendosi verso la nuova vita che attendeva
entrambi.

Per Amelia, la mezz’ora successiva trascorse in un baleno. Maria


l’aveva costretta a mandare giù un po’ di tè accompagnato da una dose
generosa di laudano.

— Ti calmerà i nervi — le aveva sussurrato.

— Vi prego, andatevene via — aveva protestato Amelia, dando dei buf-


fetti sulle molte mani che cercavano di darle conforto toccandole la
fronte.

— Ti leggerò qualcosa sottovoce — propose Maria. — E manderò via la


tua cameriera.

— No, va’ via anche tu. Voglio stare sola!

Alla fine si arresero tutti e lasciarono la stanza. Amelia si rannicchiò su


se stessa e scivolò in un sonno senza sogni causato dalla medicina.
Sfortunatamente, però, quella tregua non durò a lungo. Poco dopo,
un’altra mano le scostò i riccioli dalla fronte.

— Suppongo di dover biasimare soltanto me stesso per la tua man-


canza di fiducia.

La voce di Colin la lambì come una carezza. Amelia si accoccolò vicino


a lui, muovendo le mani a tentoni, e lui gliele afferrò e gliele strinse.

— Pensavo che avresti dormito fino a tardi, stamattina — le disse, tir-


ando giù le lenzuola. — Volevo risparmiarti ogni possibile disagio.
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La sollevò e l’appoggiò sul suo petto forte e caldo. Il profumo della sua
pelle, così terribilmente maschile, la spinse a nascondere il volto
solcato dalle lacrime nell’incavo della sua spalla.

Non si rendeva bene conto di quel che stava accadendo: forse stavano
scendendo le scale, perché sentiva un’aria fresca solleticarle la pelle.

— Nella mia carrozza c’è una coperta — bisbigliò Colin. — Tra un


minuto starai di nuovo bene.

In effetti, qualche istante dopo erano sulla vettura, che partì scricchi-
olando sulla ghiaia. Colin la teneva in grembo e la scaldava con il suo
corpo. Le lacrime le sfuggivano attraverso le palpebre chiuse e Amelia
pregava di non risvegliarsi mai più da quel bellissimo sogno.

— Ora riposa — le disse Colin, dandole un bacio sulla fronte.

E lei ubbidì, cedendo al dolce oblio offerto dal laudano.

Fu l’improvvisa assenza di movimento a risvegliarla. Amelia aprì gli


occhi e si guardò intorno, stordita.

— I cavalli sono stanchi e io sto per morire di fame — le spiegò Colin.


Sentire la sua voce profonda le fece riprendere subito conoscenza.

“Il duello...”

Si tirò su di scatto, sbatté la testa contro il suo mento ed entrambi si


lasciarono sfuggire un grido di dolore.

— Ahi, dannazione — borbottò Colin, risistemandosela di nuovo in


grembo come se fosse una piuma.
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Amelia aveva lo sguardo allucinato e osservò per un attimo l’interno


della carrozza di Colin prima di sporgersi fuori del finestrino. Erano
fermi nel cortile di quella che aveva tutta l’aria di essere una locanda.

Gli rivolse un’occhiata preoccupata mentre lui si sfregava il mento. —


Dove siamo?

— Per strada.

— Per andare dove?

— A sposarci.

— Cosa?

Lui sorrise, rivelando quella fossetta che le ricordava tanto il ragazzo


di cui era stata follemente innamorata. — Hai detto che non c’era sper-
anza di proseguire insieme il nostro cammino, se continuavo a las-
ciarti indietro, e siccome non avevo più motivo di approfittare dell’os-
pitalità di lord Ware, ho pensato che fosse tempo di partire.

Lei lo fissò per un istante che sembrò durare in eterno, cercando di


comprendere appieno le sue parole. — Non capisco... Non vi siete af-
frontati stamattina?

— Sì.

— E non ha vinto lui? Non gli hai detto che era lui il migliore? Buon
Dio, sto perdendo la ragione?

— Sì, sì e... no — rispose Colin, stringendola più forte. — Gli ho con-


cesso la prima ferita — le spiegò. — Ne aveva diritto. — Amelia aprì la
bocca per protestare e lui appoggiò le dita sulle sue labbra. — Lasciami
finire.
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Lei rimase immobile, come a voler assumere la stessa espressione ser-


ia del volto di lui, poi annuì e si liberò dal suo abbraccio per andare a
sederglisi di fronte. Forse così sarebbe riuscita a fare ordine nella pro-
pria mente.

Fu allora che si accorse di indossare la camicia da notte. Colin, invece,


portava un bellissimo completo di velluto verde scuro. Amelia faceva
ancora fatica ad associare il Colin di adesso a quello di una volta, ma
non aveva difficoltà a riservargli tutto il proprio amore. Vederlo la
riempiva di gioia, com’era sempre stato.

— Non avrebbe senso negare che Ware possa offrirti cose al di là della
mia portata — proseguì Colin, con un misto di amore e determinazione
negli occhi scuri. — È vero, ho detto questo stamattina, ma mi sono
reso conto che non mi importava nulla, in realtà.

— Ah, no? — mormorò Amelia, portandosi una mano allo stomaco che
gorgogliava.

— No — ripeté lui incrociando le braccia e mettendo in mostra i mus-


coli possenti che lei trovava così eccitanti. — Io ti amo e intendo pren-
dermi ciò che voglio. Tutto il resto può andare al diavolo.

— Colin...

— Io ti ho rapita, Amelia, sono fuggito insieme a te come avrei sempre


voluto fare. Tra poco, saremo marito e moglie.

— E io non ho voce in capitolo?

— Puoi dire sì, se ti va, altrimenti non parlare.

Amelia scoppiò a ridere, mentre le lacrime le rigavano il volto. Lui si


sporse in avanti e appoggiò un gomito sul ginocchio.
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— Dimmi che queste sono lacrime di gioia.

Colin... — gemette lei, tra i singhiozzi. — Come posso dirti di sì?


Sbarazzarmi di Ware in modo così ignobile è proprio il genere di com-
portamento in cui mio padre eccelleva. Non riuscirei a vivere sapendo
di essermi comportata così da egoista, forse potrei addirittura arrivare
a odiarti per avermi indotta a compiere un’azione tanto scellerata.

— Amelia — disse lui, irrigidendosi. — Dirti che Ware non vuole altro
che la tua felicità potrebbe alleviare la tua pena e spingerti ad ac-
cettare, ma non è ciò che voglio.

Lei aggrottò la fronte.

— Sì, è vero, stiamo facendo tutto in modo avventato — aggiunse lui. —


Stiamo cogliendo l’attimo facendoci trasportare dal nostro amore
senza curarci minimamente del resto del mondo. Noi siamo così: è
questo che ci rende simili. Io e te non siamo fatti per reprimere le
nostre emozioni.

— Non si può vivere in questo modo.

— Sì, invece; basta non fare del male agli altri. — Colin si era infervor-
ato e lei rimase stupita da tanta passione. — Ware non ti ama, perlo-
meno non quanto me, e per di più nemmeno tu lo ami. Temo che tu
non voglia bene neanche a te stessa. Non come dovresti, almeno. Mi
hai accusato di essere diventato qualcun altro, eppure anche tu sei
colpevole dello stesso reato. Hai tentato di trasformarti in una donna
servizievole e conformista, ma questa non è la tua vera essenza. Non
provare vergogna per un lato della tua personalità che io amo così
tanto!

— Welton era un essere spregevole — piagnucolò Amelia. — Io non


posso diventare come lui!
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— Non sarai mai come lui — ribatté Colin prendendole le mani. — Tu


sei piena di amore per la tua famiglia e i tuoi affetti, tuo padre invece
amava soltanto se stesso. Sono due cose ben diverse.

— Ware...

— Ware sa cosa sto facendo. Poteva fermarci, se voleva, ma non l’ha


fatto. In ogni caso, sono pronto a cambiare, pur di averti. Ora penso
solo a te e a questa giornata decisiva. Fa paura, lo so. Dobbiamo uscire
dalle gabbie che ci siamo costruiti e avventurarci verso l’ignoto, ma lo
faremo insieme.

Amelia era stata imprigionata per così tanto tempo che una parte di lei
odiava quella restrizione, mentre l’altra le era grata perché proprio
questo le aveva impedito di diventare come Welton. — Mi conosci
bene... — bisbigliò.

— Sì, meglio di chiunque altro. Una volta mi avevi detto di credere che
ero abbastanza, per te; ora sono io a chiederti di farlo. Fidati di me: sei
priva di qualunque somiglianza col carattere di tuo padre. Fidati
quando ti dico che sono abbastanza intelligente da amare una donna
meravigliosa. Fai il salto insieme a me, Amelia. Sono aggrappato al
nostro amore con tutt’e due le mani, nonostante tutti gli elementi che
giocano a nostro sfavore. Fai lo stesso anche tu: abbraccia la tua vera
natura e fuggi via con me. Conquistati la libertà con me, Amelia.

Lei sostenne il suo sguardo per qualche secondo, con la vista annebbi-
ata dalle lacrime, poi si gettò tra le sue braccia.

— Sì — singhiozzò, premendo la guancia contro la sua. — Liberiamoci.

Christopher, Simon e Ware stavano discutendo animatamente quando


Maria piombò nella stanza con le sottane in una mano, mentre nell’al-
tra sventagliava una lettera.
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Gli uomini scattarono in piedi; Christopher e Simon si avvicinarono a


lei con aria preoccupata, mentre Ware alzò appena un sopracciglio.

— Ho trovato questa sul cuscino di Amelia. È fuggita insieme a


Mitchell!

— Come, prego? — domandò Simon, sbattendo le palpebre.

— Davvero? — chiese Christopher, abbozzando un sorriso.

— Dice che ha intenzione di sposarla — disse Maria, rileggendo velo-


cemente il messaggio. — Sono già in viaggio verso nord.

— È meglio che ci affrettiamo, altrimenti ci perderemo le nozze — in-


tervenne Ware.

— Voi ne eravate al corrente? — esclamò Maria, allibita.

— Diciamo che ci speravo — la corresse Ware. — Sono felice che sia fi-
nalmente tornato in sé.

Maria aprì la bocca, poi la richiuse.

— Bene, non indugiamo oltre — disse Christopher, prendendola per un


braccio e sospingendola verso la porta. — Dobbiamo fare i bagagli.
Dirò a Tim di tenere d’occhio Jacques e la signorina Rousseau, dur-
ante la nostra assenza.

— Verso nord — borbottò Simon. — Posso viaggiare sulla vostra car-


rozza, milord?

— Certamente.
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Maria non riusciva ancora a capacitarsi della situazione e continuava a


guardare in direzione di Ware.

— Questo è un lieto evento, signora St John — disse il conte, seguen-


doli. — Dovreste sorridere, come sto facendo io.

— Certo, milord — mormorò Maria, gettando una rapida occhiata al


marito, che le fece un cenno di assenso, infondendole forza. A quel
punto fece spallucce e scoppiò a ridere, poi si tirò su le sottane e si av-
viò di corsa su per le scale.
Epilogo
— Salpiamo tra un paio d’ore — disse Simon, rigirandosi tra le dita il
fiocco colorato di un cuscino. — I miei bauli e il mio valletto sono già a
bordo e ho rinchiuso Lysette nella mia cabina.

Era seduto nel grande salotto della nuova residenza londinese di Colin,
con le pareti tinteggiate di azzurro e oro. Amelia aveva decorato la
stanza aggiungendo un tocco di colore: cuscini foderati in tessuti
preziosi, piccole statue e alcune ciotole di fattura gitana, regalo di
nozze di Pietro. Lo stile non era propriamente alla moda; anzi, molti
l’avrebbero considerato terrificante e sinistro, ma loro due amavano
quello spazio e vi trascorrevano molto tempo insieme.

“Abbraccia la tua vera natura” le aveva detto, e lei stava imparando pi-
an piano ad accettare il lato incosciente del proprio carattere, quello
che aveva cercato di mettere a tacere troppo a lungo. Aveva accan-
tonato ogni paura di diventare come suo padre, e Colin, dal canto suo,
non lasciava più che il timore di non essere alla sua altezza lo
condizionasse.

— I francesi hanno acconsentito a liberare i tuoi uomini in cambio


della signorina Rousseau e di Cartland? — domandò Colin, accomod-
andosi su una sedia.

— Sì, ma vogliono anche Jacques. Per ora porto con me soltanto


Lysette. Gli restituirò gli altri due quando avrò la certezza che rispet-
teranno i patti.

— Non ti invidio per niente — borbottò Colin con una smorfia. — Non
credo che la signorina Rousseau sia una prigioniera modello.
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— È patetica, ma tutta questa faccenda m’intriga davvero molto.

— Perché sei un mascalzone — rispose Colin con una risata. — Quando


farai ritorno?

— Non lo so. Forse dopo essermi assicurato che gli altri vengano rilas-
ciati, o forse mai. Magari viaggerò un po’.

— Tu sei troppo prezioso per i tuoi uomini. È una cosa che ti ho


sempre invidiato.

— Non sono più i miei uomini. Ho rassegnato le dimissioni — obiettò


lui, e annuì per confermare le proprie parole di fronte allo sconcerto di
Colin. — Già, proprio così. Lavorare per Eddington è stato un bel pas-
satempo, ma ora devo trovare un altro modo per divertirmi.

— Sarebbe a dire?

— Salterà fuori qualche impiccio, prima o poi — rispose Simon con un


sorriso malizioso. — Vederti tutto agghindato con il tuo abito da sera
mi ha ricordato quanto io sia poco adatto alla vita sociale. Per me
sarebbe una noia mortale.

— Ma se avessi al tuo fianco la donna giusta...

Simon rovesciò la testa all’indietro, prorompendo in una sonora risata,


un suono pieno che fece sorridere anche Colin.

— Per fortuna non ho mai detto simili sciocchezze! — esclamò, alzan-


dosi. — Nemmeno quando ero innamorato pazzo di Maria.

Anche Colin scattò in piedi, arrossendo. — Spero che un giorno potrò


ricordarti ciò che hai appena detto e farti rimangiare tutto.
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— Deve ancora passarne di tempo, prima che quel giorno arrivi, mio
caro amico, e probabilmente nessuno dei due vivrà tanto a lungo.

Mentre Simon si voltava per lasciare la stanza, Colin provava una


grande tristezza per la loro separazione: Simon era un vagabondo per
natura e temeva che si sarebbero visti di rado. Dopo tutto quello che
avevano passato insieme, lo considerava come un fratello, e gli sarebbe
mancato da morire.

— Arrivederci, amico mio — gli disse Simon, dandogli una pacca sulla
schiena quando raggiunsero l’atrio. — Ti auguro molta gioia, e spero
che dalla vostra unione nascano tanti pargoli.

— Anch’io ti auguro ogni bene.

Simon si toccò la fronte con la mano tesa in segno di scherzoso saluto,


poi se ne andò via, verso la prossima avventura.

Colin rimase a fissare la porta chiusa per qualche istante.

— Tesoro.

La voce suadente di Amelia gli procurò un brivido lungo la schiena. Si


voltò e l’accolse con un sorriso; era ferma a metà delle scale con in-
dosso soltanto la vestaglia. I capelli erano raccolti in una complessa
acconciatura, con dei piccoli brillanti tra le onde incipriate.

— Devi ancora vestirti? — le domandò.

— Sono quasi pronta.

— Non mi pare proprio.


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— Mi sono dovuta fermare quando Anne è andata a prendere le ultime


cose per il mio completo... e per il tuo.

Lui ridacchiò. Conosceva molto bene quello sguardo malizioso.

Amelia sollevò con grazia il braccio sinistro, facendo brillare alla luce
del candeliere lo smeraldo dell’anello di fidanzamento: tra le mani
stringeva dei nastrini di satin nero dai quali pendeva una maschera bi-
anca dall’aspetto familiare.

Colin sentì ogni muscolo del proprio corpo tendersi.

— Se preferisci, possiamo andare al ballo in maschera come avevamo


programmato. So che ti ci vuole un po’ di tempo per vestirti.

Lui si avviò verso la scalinata a grandi falcate. — Mi ci vorrebbe decis-


amente meno tempo a spogliarmi.

— Vorrei che indossassi questa.

— Se l’ho tirata fuori c’è un motivo.

— Che malandrino!

Colin fece i gradini due alla volta e la prese tra le braccia, gustandosi la
sensazione di quel corpo morbido abbandonato contro il suo. — E così
sarei io il malandrino? Siete voi, contessa Montoya, che mi distogliete
da un importante evento mondano in favore di una nottata licenziosa.

— Non riesco a resisterti — ammise lei, posandogli la maschera sul


volto e allacciandogliela dietro la testa. — Nutro una passione troppo
forte per te.
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— Allora assecondala — mormorò Colin, baciandole il collo. — Te ne


prego.

Lei scoppiò a ridere, una risata carica di gioia e di amore che gli riempì
il cuore per le molte ore successive che trascorsero insieme, accom-
pagnata da altri suoni, ugualmente meravigliosi.
Ringraziamenti
A Kate Duffy, per avermi sopportata e guidata. Quando avevo bisogno
d’aiuto, tu c’eri sempre. Non avrei mai finito questo libro se non ci
fossi stata tu.

A Nadine Dupont, per avermi aiutato con i termini francesi. Qua-


lunque errore presente nel libro è imputabile soltanto a me.

Ai fantastici ragazzi all’altro capo della maliziosa finestra di chat: gra-


zie dell’aiuto e dell’amicizia.

A Patrice Michelle, Janet Miller e Mardi Ballou, per la solidarietà.

Sono davvero grata a tutti voi. Un grazie di cuore!


Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può es-
sere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o
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previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non
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era è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno
essere imposte anche al fruitore successivo.

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Soltanto per te (I Romanzi Extra Passion)

di Sylvia Day

Titolo originale: A Passion for Him

© 2007 by Sylvia Day

Italian language rights handled by Agenzia Letteraria Internazionale, Milano, Italy.

© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Ebook ISBN 9788852031212


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COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | GRAPHIC DESIGNER:


VALENTINA CANTONE | © JON PAUL/LOTT REPRESENTATIVES
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