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LOG._TO.

_ Philosophy and cognitive economy_Tversky & Kahneman

Homo (neuro)oeconomicus. Dalla teoria neoclassica alla svolta cognitiva

FRANCESCO CIRIOLO

L’economia cognitiva si presenta come lo studio delle effettive capacità cognitive nella
risoluzione di problemi e nell’elaborazione di informazioni, tenendo conto di più fattori, quali il
contesto, la memoria, credenze, emozioni, modelli mentali e qualsiasi altra caratteristica che possa
incidere in un agente economico.
E’ importante da subito premettere che l’economia cognitiva non è da considerarsi
un’alternativa all’economia neoclassica, come instancabilmente viene evidenziato dai pionieri di
questi studi, Tversky e Kahneman, ma, semmai, una presa di posizione a favore dei dati empirici
che (spesso) possono divergere, o costituire una buona approssimazione rispetto alle teorie
neoclassiche. Concetto centrale di queste ultime è la teoria della scelta razionale per la quale un
qualsiasi agente economico, dato un numero di beni, opterà per il migliore, massimizzando la
propria utilità. E’ proprio l’utilità, infatti, ad essere il concetto centrale per lo studio della razionalità
nella teoria della scelta, non più identificata con il benessere personale ma denotante le semplici
preferenze di un individuo. Per quanto concerne questo approccio all’economia, McFadden (1999)
distingue fra due idee di razionalità: la teoria della scelta e l’idea del consumatore codificato.
Entrambe sono espressione della teoria della scelta razionale: infatti, se la prima concepisce la
preferenza di un paniere di beni come direttamente proporzionale alla sua utilità (Taussing 1912), la
seconda presuppone la proprietà di invarianza delle preferenze, definibile secondo assiomi su un
dato campo di scelta (Debreu 1959).
La teoria della scelta razionale ha in sé almeno tre punti di rilevante importanza: (i) la
massimizzazione dell’utilità attesa; (ii) la coerenza degli agenti a partire dalle loro preferenze e
dalle loro scelte; (iii) l’identificazione dell’utilità con l’interesse personale dell’agente. La teoria
della scelta razionale giustifica le azioni di un agente economico in base alla razionalità normativa,
ignorando i processi effettivi di elaborazione cognitiva. In breve, in questa prospettiva, desideri,
aspettative e credenze non denotano affatto stati mentali o stati psicologici introspettivi, ma assiomi,
funzioni e calcoli di probabilità. Ne deriva che razionali saranno tutte quelle credenze che
soddisfano tali formalizzazioni, compiendo la scelta migliore che massimizza l’utilità.
Seguendo von Neumann e Morgersten (1944), la teoria dell’utilità attesa
 È normativa;

 Francesco Ciriolo 2008


 È spiegata seguendo modelli matematici;
 Presuppone che la razionalità (normativa) sia alla base del comportamento di
qualsiasi individuo.
I comportamenti degli agenti economici vengono elaborati seguendo delle “costanti”, cioè
avendo come modello degli schemi comportamentali predeterminati. Da ciò discende che queste
formalizzazioni vengono elaborate senza osservare chi, di fatto, agisce in un contesto economico.
Desumere una teoria dai dati empirici equivaleva a scadere nel “soggettivismo” psicologico della
“psicologia dei valori”(Schumpeter 1954).
Il consolidamento di questa posizione ha come parametro l’homo oeconomicus.
Quest’ultimo non è un individuo reale, ma un modello idealizzato di agente economico le cui
caratteristiche sono la razionalità e la massimizzazione della propria utilità. Questa prospettiva ha
suscitato un vivo interesse da parte degli economisti, dimostrato ad esempio dagli studi della scuola
di Chicago e dalle sue evoluzioni in ambito economico-normativo. Questo è il caso di un’altra
metamorfosi dell’homo oeconomicus, l’uomo di Chicago (Becker 1976). Tuttavia, è proprio in tale
contesto che si rafforza un altro tipo di metodologia, propensa più al controllo sperimentale della
teoria che ai postulati normativi della teoria della scelta. Il “paradosso di Allais” (1953) e gli studi
di Simon (1959) mostrano come dei soggetti sottoposti ad un esperimento sulla scelta in condizioni
di rischio, violino sistematicamente alcuni assiomi dell’utilità della scuola di Chicago e della
behavioral decision theory di von Neumann.
Infatti, nella teoria dell’utilità attesa, i soggetti vengono sottoposti a situazioni alternative,
ma oltre a essere informati in modo ottimale sugli esiti di ogni scelta, eseguono calcoli complessi di
probabilità al fine di operare la scelta che massimizza l’utilità. Il lavoro di Tversky e Kahneman
mostra i limiti di tale sistema, avvalendosi di una metodologia sperimentale e descrittiva in grado di
tener conto dei processi (e dei limiti) cognitivi, mirando allo studio effettivo delle capacità dei
decisori. In accordo con Simon (1972) la decisione, più che rappresentare dei canoni normativi, sarà
l’esito di un processo di problem-solving con più fattori concorrenti, quali il contesto, le
rappresentazioni, le capacità di calcolo e tutti gli elementi tipici dell’elaborazione cognitiva.
A tal proposito, McFadden (1999), in tutta risposta all’uomo di Chicago, propone l’uomo di
K-T, mostrando quanto sia riduttivo dedurre assiomi confrontandoli con la loro intrinseca coerenza,
invece di compararli con dati empirici in grado di invalidare o meno una qualsiasi teoria economica.
Kahneman e Tversky partendo dalle intuizioni, ovvero da tutti quei “pensieri e preferenze che
vengono in mente senza molta riflessione” (Kahneman 2002), giungono a conclusioni molto
originali circa le euristiche del giudizio, gli effetti di framing e la scelta in condizione di rischio.

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Le prime analisi non tardarono a divergere dagli economisti della teoria della scelta. Infatti, i
soggetti non sono in grado di compiere complessi calcoli per valutare quale scelta sia la migliore.
Anche se ciò fosse possibile tuttavia alcune informazioni sarebbero più accessibili di altre, ed è per
questo che la dimensione di accessibilità è un concetto centrale per orientarsi nella scelta. In breve,
afferma Kahneman, se a un soggetto viene mostrata contemporaneamente una lettera verde molto
più grande di una blu, allora la dimensione di accessibilità per il colore verde sarà maggiore rispetto
a quella blu. Nella “psicologia della decisione”, afferma McFadden, si nota un notevole
allontanamento dai parametri della scelta razionale, con una presenza di anomalie cognitive
sistematiche e prevedibili, dove le capacità dei decisori sono lungi dal garantire un ordine di
credenze obbiettivo e una scelta coerente fra preferenze.
Altri esperimenti condotti in laboratorio mostrano la violazione sistematica dei capisaldi
della teoria della scelta, tra cui il principio di invarianza, secondo il quale se un esito è preferibile a
un altro, l’ordine di preferenze non può essere modificato dal modo in cui le opzioni sono messe a
confronto.
Invece, nel processo psicologico di decisione:
 un soggetto focalizza determinati attributi rispetto ad altri (specialmente gli
aspetti negativi come dimostrato da Shafir, 1993);
 inverte le sue stesse preferenze, violando il principio di transitività
(Lichtenstein, Slovic 1971);
 con l’endowment effect si attibuisce un valore maggiore al bene acquisito
rispetto a come era stato valutato in precedenza (Thaler 1980);
 nel processo di decisione più che valutare in modo ottimale ogni possibilità, il
soggetto segue delle regole euristiche che conducono a errori sistematici e, dunque,
prevedibili (Tversky, Kahneman 1973, 1974).
Consapevoli di ciò Tversky e Kahneman (1979) propongono un modello alternativo rispetto
alla teoria dell’utilità attesa: la prospect theory. Quest’ultima è una teoria descrittiva che evidenzia
le principali violazioni della teoria dell’utilità, come, ad esempio, l’effetto isolamento, l’effetto
incertezza e l’effetto riflesso.Riprendendo quanto detto, dalla prospect theory si ricava che (i) la
funzione di utilitànon dipende dal livello di ricchezza (come lo è stato per Friedman 1959), ma dalle
variazioni della ricchezza stessa e da come esse vengono presentate; (ii) lo status quo, il punto di
riferimento iniziale (come la situazione di partenza al momento della decisione), influenza
notevolmente i decisori; (iii) il punto di vista attraverso cui essi decidono non è mai “neutro”, ma
immerso nel contesto e in un ambiente, in cui precedenti decisioni di terzi possono influire
notevolmente.

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Con la prospect theory, essendo una teoria descrittiva (e induttiva), si giunse a formulare
una funzione di valore fra perdite e guadagni, molto differente rispetto alla teoria dell’utilità. Essa
descrive una linea convessa in caso di perdite e concava nei guadagni, a dimostrazione che il
comportamento dei decisori è avverso al rischio in caso di guadagni e propenso nel caso di possibili
perdite. Tali fattori portano alla conclusione che le preferenze sono determinate dal modo in cui esse
sono presentate e in minima misura dal calcolo probabilistico dei decisori. Ciò ci introduce al
concetto di framing, di incorniciamento, poichè “la presentazione dell’informazione influisce sul
modo in cui questa è elaborata” (McFadden 1999). Nell’esperimento di Tversky e Kahneman
(1984) ai soggetti veniva posto il seguente scenario: il nostro paese deve fronteggiare una malattia
che potrà uccidere 600 persone. Nel fronteggiarla ci sono due programmi diversi, A e B. Col
programma A saranno salvate 200 persone, nel B, invece, c’è una sola probabilità su tre di salvarle.
Il 72% dei soggetti sottoposti all’esperimento scelgono A, preferendo salvare con certezza 200
persone. In un altro esperimento vengono proposti due altri programmi, C e D. Col programma C
muoino 400 persone, con il D c’è una probabilità su tre che non morirà nessuno, e due su tre che
non sarà salvata nessuna delle 600. In questo caso il 78% dei soggetti preferisce D a C. Tuttavia,
entrambe le opzioni delle coppie sono identiche. Sia in A che in C, 200 persone saranno salvate e
400 periranno, in B e D c’è una probabilità su tre di salvarle. Ciò equivale a dire che posti di fronte
a perdite e guadagni rispondiamo in modo differente, violando un altro principio della scelta
razionale.
Il lavoro di Kahneman e Tversky e il recente di Camerer et al (1997), mostrano
che tale comportamento può trovare spiegazione nell’avversione alle perdite e nel
framing effect, in cui è il contesto (la cornice) ad avere un’importanza fondamentale
nella scelta fra due opzioni identiche.
Con Popper si potrebbe dire che De Martino (De Martino et al. 2006) “corrobori”, con
altrettanti dati empirici, i precedenti studi di Kahneman e Tversky in una versione aggiornata,
avvalendosi della risonanza magnetica funzionale (fMRI). Scopo dello studio è monitorare l’attività
cerebrale di 20 individui mentre si esegue un esperimento di tipo economico. Le modalità sono le
seguenti: a ognuno viene consegnato un budget di 50 sterline e vengono offerte due possibilità, o
avere un’alta probabilità di perdere 30 sterline o un’alta probabilità di conservarne 20. Ciò significa
che le probabilità sono le stesse in entrambe i casi. Tuttavia gran parte dei soggetti hanno scelto
l’opzione che prefigurava un guadagno, e cioè conservare le 20 sterline. L’esito è stupefacente. Non
solo si è notato che cambiando contesto cambiano anche le nostre decisione riguardo a due opzioni
identiche, ma grazie alle immagini della fMRI si è cercato di indagare neurobiologicamente il
fenomeno framing. Tutti i 20 soggetti esaminati hanno mostrato un’intensa attività dell’amigdala,

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quindi un forte apporto emotivo. Ma parte di essi, coloro che mostravano una tendenza più
razionale e che quindi avevano compreso l’uguaglianza fra le scelte, oltre all’amigdala era attiva
anche la corteccia prefrontale orbitale e mediale. La corteccia prefrontale se non annulla, almeno
indebolisce l’effetto cornice. Il ruolo svolto dall’amigdala era ben noto ancor prima dei risutati di
De Martino. Damasio (2000) in Emozione e coscienza, afferma significativamente che nei pazienti
con lesioni all’amigdala “l’apparato decisionale è indebolito in misura impressionante”.
Dal nostro punto di vista tali studi sono fondamentali, soprattutto per spiegare il ruolo
decisionale e la sistematicità degli errori economici. La neuroeconomia si occupa appunto dei
processi neurali che stanno alla base della decisione. Lo studio di Damasio (1994), sebbene nato
con intenti neuroscientifici in senso stretto, è importante per aver indagato il rapporto fra emozione
e ragione, mettendo in luce quanto l’emozione influisca nel ragionamento e nella decisione. Su base
neurologica, ai pazienti con deficit nell’attività decisoria sono associati dei disturbi in ambito
emotivo. Per spiegare il deficit, Damasio propone l’ipotesi del marcatore somatico, dove
l’emozione risulta un fattore decisivo nel ragionamento, tanto da “marcare” le azioni nel soggetto in
buone e cattive. Prendiamo il classico caso di Phineas Gage, capo-cantiere per la costruzione delle
ferrovie nel Vermont, dove un’esplosione fece partire una sbarra trapassandogli il cranio.
Informando lo stesso medico dell’accaduto, il suo stato era apparentemente normale, non
presentando alcun deficit cognitivo. Tuttavia, dopo essere tornato a lavoro “Gage non era più lui”.
Egli presentò notevoli cambiamenti di personalità, non rivelandosi come la persona responsabile e
premurosa di un tempo. Da allora si dimostrò un uomo inaffidabile, disinibito, con scarsa
propensione verso il comportamento sociale e, soprattutto, incapace di prendere le tipiche decisioni
organizzative da capo-cantiere.
Con l’analisi computerizzata del cranio di Gage, Damasio individua con precisione le parti
coinvolte nella lesione. La sbarra, trapassando il cranio di Gage, risparmiò il corpo calloso, l’area di
Wernike, le aree motorie e sensoriali, danneggiando, però, la corteccia prefrontale anteriore-sinistra.
Golberg (2004) definisce l’area cerebrale interessata, come il “direttore d’orchestra” per le proprietà
che la caratterizzano: un’estensione della connettività con altre regioni cerebrali dove mandare o
ricevere informazioni (emotività inclusa), responsabile, inoltre, delle attività cognitive superiori
(ragionamento). Una lesione a tale area, come dimostrato da Gage, comporta deficit emotivi
associati a disturbi di personalità, incapacità di prendere decisioni “ragionevoli”, oltre alla riduzione
del problem solving. Dunque senza lesioni all’amigdala e alla corteccia somato-sensoriale, l’apporto
emotivo è notevolmente cambiato. Come mai? Bechara, Damasio et al (2000) dimostrano che le
emozioni marcano dal basso (botton-up) gli individui che sono posti di fronte a scelte, attivando i
ricordi di esperienze passate (un po’ come le idee humeane rispetto a una nuova impressione, ma

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ben più forti). Ora, la corteccia pre-frontale in condizioni di scelta, associa l’esperianza passata con
gli stati somatici.
A questo proposito, Camille et al (2004) hanno esaminato il ruolo della decisione fra
pazienti normali e pazienti con lesioni alla corteccia orbito frontale nell’esperienza di regret, di
rimpianto, giungendo a formulare l’ipotesi che l’emozione è mediata cognitivamente, senza botton-
up. La corteccia orbito frontale integra componenti conoscitive ed emozionali lungo il processo di
decisione.
Ma come mai per un soggetto è così rilevante l’ambiente esterno e la società in cui vive?
Com’è possibile il rimpianto, l’empatia e, non per ultime, le scelte condivise? La risposta a queste
domande proviene da un esperimento di Rizzolatti et al (1996) su una scimmia, il cui studio,
inizialmente condotto per monitorare l’attività motoria, giunse ad un esito inaspettato. Infatti, la
regione F5 dell’animale veniva attivata sia nel compiere che nell’osservare un’azione. Vi è, quindi,
una rappresentazione dell’azione e un “sistema specchio” per le azioni esterne. Nella corteccia
cerebrale dell’uomo i neuroni specchio si trovano nell’area premotoria ventrale, nel lobulo parietale,
nel solco temporale superiore e nelle regioni afferenti all’area di Broca. Le funzioni del sistema
specchio sono eterogenee, riguardanti lo sviluppo del linguaggio, il giudizio morale, l’empatia,
l’imitazione, l’altruismo, il riconoscimento di azioni e di emozioni altrui. Tutto ciò porta ad
affermare che tali correlati neurali rappresentano il collegamento fra il sé e l’ambiente sociale,
riuscendo a riconoscere le emozioni e a influenzare le nostre scelte. Tale scoperta ha un forte peso
in neuroeconomia notando come i soggetti interpretano dei comportamenti come ingiusti, fino a
inferirne la loro erroneità.
Sanfey et al (2003) hanno analizzato con la fMRI il processo di decisione di 19 studenti
durante il gioco dell’ultimatum. Questo gioco consiste nell’offrire a un soggetto una certa somma a
condizione che ne offra una parte ad un altro giocatore. Se quest’ultimo accetta viene data la somma
pattuita, altrimenti nessuno dei due riceverà alcunché. Il gioco è impensabile se lo si spiega come
massimizzazione dell’utilità, ma ha una ragion d’essere in rapporto al comportamento sociale
“marcato” come giusto o ingiusto. Infatti, nella maggior parte dei casi il soggetto offre una
parcentuale pari o poco inferiore al 50%. La fMRI ha osservato una forte attività dell’insula
anteriore dei soggetti a cui venivano proposte delle offerte ingiuste.
Tale area è correlata a emozioni negative come il rifiuto, il disgusto e altri sentimenti
spiacevoli. La sorpresa è derivata nell’aver notato che assieme all’attività dell’insula anteriore era
correlata quella della corteccia prefrontale dorsolaterale, riguardante il ragionamento e la
pianificazione dell’azione. Le offerte ingiuste vengono rifiutate quando l’insula anteriore è più
attiva rispetto alla corteccia prefrontale e accettate nell’attivazione contraria. Nella risoluzione di

 Francesco Ciriolo 2008


tale conflitto interviene la corteccia cingolata anteriore, dove vengono elaborati i pericoli ed i
problemi cui un individuo è soggetto nel normale decorrere delle proprie esperienze.
Un altro esempio di ultimatum è stato condotto a Colonia da Ockenfels (2000), cercando di
spiegare i comportamenti di soggetti in un mercato in cui gli agenti che vendono e comprano merce
sono dei perfetti sconosciuti. Si tratta del mercato di eBay, la web company quotata in borsa, con
milioni di utenti, inserzioni e, soprattutto, uno scambio da miliardi di dollari. Possiamo immaginare
eBay come una grande gioco dell’ultimatum dove il compratore può accettare o rifiutare il prezzo
proposto dal venditore. Cercando di spiegare come ciò avvenga, sono stati presi 100 studenti con
precedenti acquisti sul sito e divisi in 50 coppie (ogni coppia costituita da un venditore e da un
compratore). Infine, ai venditori veniva chiesto di dare 20 dollari agli acquirenti. Ora, nella maggior
parte dei casi, i venditori proponevano un prezzo equo di 10 dollari con un consenso di 49 dei 50
acquirenti, spiegando quanto il valore di equità, opportunità e ingiustizia sia decisivo, come
dimostrato in precedenza da Sanfey. E’ significativo che la rivista Scientific American, analizzando
l’esperimento scriva che, per gli economisti “this is a borderline miracle, because it contradicts the
concept of Homo oeconomicus as a rational, selfish person who single-mindedly strives for
maximum profit” (http://www.sciam.com/article.cfm?id=is-greedgood&print=true). Infatti, tale
mercato, seguendo le direttive della teoria della scelta razionale, dovrebbe essere inesistente e
qualora ci fosse, un individuo perfettamente razionale ricevuto il denaro non spedirebbe nulla in
cambio (per massimizzare i propri profitti), né tanto meno l’acquirente sarebbe disposto al
pagamento.
Kandel (2006), Nobel per la medicina per i suoi studi sulla memoria, auspica che nel futuro
si arrivi a collegare l’attività neurale con la sociologia. Come può un mucchio di miliardi di cellule
composte di fosforo, ossigeno, idrogeno ecc. generare dei comportamenti sociali e aggregati?
Ad oggi non abbiamo risposte definitive in proposito, ma sempre nuove congetture che non
possono sottovalutare l’apporto delle neuroscienze.

Milano, Gennaio 2008

 Francesco Ciriolo 2008

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