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"Il regime comunista in Romania, un sistema totalitario dalla sua istituzione fino al suo crollo, era

basato sulla costante violazione dei diritti umani, sulla supremazia di un'ideologia ostile
all'apertura della società, sul monopolio del potere esercitato da un piccolo gruppo di individui,
sulla repressione, l'intimidazione e la corruzione"

Nel 1944 i comunisti contribuirono a far cadere il governo di Antonescu e l’Armata Rossa
attraversò il confine. Nel 1946 il Partito comunista vinse le elezioni, nel 1948 fu emanata la nuova
Costituzione che garantiva libertà di espressione solo agli autorizzati dal Governo. Veniva abolita la
Chiesa Greco-Cattolica e introdotta la collettivizzazione delle terre, con deportazione dei contadini.
Dopo un periodo di tensioni con Mosca, dove era in corso la destalinizzazione, nel 1967 divenne
Presidente Nicolae Ceausescu, che si fece promotore del “Comunismo nazionale”. Negli anni ‘70,
la “Piccola rivoluzione culturale” scatenò le prime espressioni di dissenso organizzato. Negli anni
’80 fu introdotto un rigido razionamento dei beni di prima necessità e si fece più ferreo il controllo
sulla società. Voci di dissenso erano quelle di Constantin Noika, Ana Blandiana, Doina Maria
Cornea. Nel marzo 1989 la BBC diffuse la “Lettera dei sei”, una critica alla politica interna firmata
da ex leader del partito. La manifestazione di protesta del 17 dicembre a Timisoara venne stroncata
a cannonate. Il 21 dicembre a Bucarest un comizio di Ceausescu finì tra i fischi, il dittatore si
rifugiò nella sede del Comitato centrale. Il 25 dicembre 1989 Ceausescu e sua moglie furono uccisi
nel bunker di Targoviste, dopo un processo sommario.

In Romania i comunisti ottennero un ruolo significativo nella vita politica dall’agosto 1944, quando,
a fianco dei raggruppamenti democratici e del re Michele, fecero crollare il governo filo-nazista del
maresciallo Ion Antonescu. Una settimana dopo l’Armata Rossa attraversò il confine: l’esercito
sovietico rimase nel Paese per 14 anni. L’Unione Sovietica fece pressioni affinché il Partito
comunista, che in precedenza era illegale, entrasse nel Governo e i politici non comunisti fossero
eliminati dalla scena. Dal gennaio 1945 i tedeschi etnici, cittadini rumeni che vivevano in Romania
da 800 anni, furono deportati nelle miniere di carbone di Donbas: 70 mila uomini e donne furono
obbligati a lasciare le proprie case e un quinto di loro morì di stenti, per incidenti sul lavoro o
malnutrizione.
Nelle elezioni del 9 novembre 1946, i comunisti ottennero l'80% dei voti. Dopo la vittoria
eliminarono i partiti centristi e il potere passò totalmente nelle loro mani. Tra il 1946 e il 1947
centinaia di funzionari pubblici, militari e civili, vennero processati con l’accusa di aver sostenuto il
regime del generale Antonescu, molti furono condannati a morte per crimini di guerra. Nel
dicembre 1947 Re Michele si ritirò in esilio dopo essere stato costretto ad abdicare, il 13 aprile 1948
fu emanata la Costituzione della Repubblica Popolare Rumena che proibiva e puniva ogni
associazione di natura fascista o anti-democratica e garantiva la libertà di stampa, di parola e di
assemblea solo a chi era autorizzato dal Governo. La Chiesa greco-cattolica rumena venne abolita
attraverso una fusione con la Chiesa ortodossa, di fatto controllata dal regime.

Nei primi anni del dopoguerra gli accordi “SovRom” fecero nascere molte imprese sovietico-
rumene, consentendo l’esportazione in Urss dei prodotti rumeni a prezzo politico. In tutti i
ministeri, c'erano "consiglieri" sovietici che dipendevano direttamente da Mosca e detenevano i
reali poteri sovietici, informatori e agenti segreti controllavano la società. Nel 1948 fu introdotta la
collettivizzazione forzata delle terre, e i contadini che non intendevano cedere i campi
volontariamente furono "convinti" con la violenza, intimidazioni, arresti e deportazioni. Il 1 giugno
1948 le banche e le maggiori imprese vennero nazionalizzate. Gli oppositori politici subirono il
carcere, le torture e persero la vita. Il 18 giugno 1951 cominciò la deportazione dei contadini del
Banato (Transilvania sud-orientale, al confine con la Jugoslavia): circa 45 mila persone raccolsero i
propri averi e li caricarono su carri bestiame sotto scorta armata e vennero deportate nelle pianure
orientali. Questa azione volle indurre gli ultimi contadini autonomi ad entrare nelle fattorie
collettive. All’interno del partito si giunse ad uno scontro tra sue diverse anime, che portò
all’eliminazione dei gruppi “dissidenti” con la linea sovietica. Nel partito c’erano tre importanti
correnti, tutte staliniste: i "Moscoviti", tra loro Ana Pauker e Vasile Luca, che avevano trascorso gli
anni di guerra nella capitale sovietica, i "Comunisti Prigionieri" di Gheorghe Gheorghiu-Dej, che
erano stati nelle carceri rumene durante la guerra, e gli stalinisti "Comunisti del Segretariato", tra
cui Lucretiu Patrascanu, che si erano nascosti durante gli anni di Antonescu e avevano partecipato
al Governo del 1944. Dopo la morte di Stalin, e probabilmente anche a causa delle politiche anti-
semite del tardo stalinismo (la Pauker era ebrea), Gheorghiu-Dej e i "Comunisti Prigionieri" ebbero
la meglio. La Pauker fu espulsa dal partito (insieme ad altri 192.000 membri); Patrascanu fu
torturato con l’amputazione di una gamba, accusato di revisionismo e giustiziato con un processo
farsa.

Gheorghiu-Dej, rigoroso stalinista, non gradì le riforme introdotte in Unione Sovietica da Chruscev
dopo la morte di Stalin nel 1953. Inoltre, non condivise l'obiettivo del Comecon di portare la
Romania nel Blocco Orientale attraverso un programma di sviluppo dell'industria pesante. Chiuse i
maggiori campi di lavoro, abbandonò il progetto del Canale Danubio-Mar Nero, pose fine al
razionamento e aumentò i salari dei lavoratori. Questi provvedimenti e il risentimento dovuto al
fatto che i territori storici della Romania erano rimasti nei confini dell'URSS, portò la Romania di
Gheorghiu-Dej su una via relativamente indipendente e nazionalista, anche se il Paese aderì al Patto
di Varsavia nel 1955. Quando il regime comunista raggiunse la stabilità, aumentarono gli arresti
soprattutto tra le élite pre-belliche: gli intellettuali, gli uomini di chiesa, gli insegnanti, gli ex politici
anche con orientamenti di sinistra, come la Pauker e Patrascanu. Nacque un sistema di campi e
prigioni per i lavori forzati sul modello sovietico dei Gulag. La ripresa dell’inutile progetto del
Canale Danubio-Mar Nero divenne il pretesto per l'edificazione di numerosi campi di lavoro. Tra i
più famosi ci furono Sighet, Gherla, Pitesti e Aiud; ne furono istituiti alcuni anche nelle miniere di
alluminio sul Delta del Danubio.

La tristemente famosa prigione di Pitesti divenne l'epicentro di un particolare "esperimento"


comunista, con torture psicologiche e fisiche che portavano al crollo totale dell'individuo e
trasformavano le vittime in carnefici. Per i paesi del blocco comunista la “Rivoluzione ungherese”
del 1956 fu un momento cruciale che indicò la necessità di un cambiamento: la maggior parte degli
stati prese le distanze dalle rigide regole dello stalinismo in favore di un “comunismo dal volto
umano”. Dej sfruttò il disgelo voluto da Khroutchev e la condanna dello stalinismo per rafforzare la
propria posizione nel Partito. Durante la rivoluzione di Budapest, il governo rumeno offrì il proprio
sostegno all’URSS, in cambio l’Unione Sovietica nel 1958 ritirò le proprie truppe dalla Romania,
anche grazie alla fiducia di Mosca nel nella capacità del Governo di soffocare ogni iniziativa anti-
comunista, rafforzata da alcune modifiche al codice penale che inasprivano le pene per le attività
anti-comuniste. Dopo la rivoluzione del 1956, Gheorghiu-Dej lavorò a stretto contatto con il nuovo
leader ungherese, János Kádár. In cambio, Kádár rinunciò alle pretese sulla Transilvania. In questa
regione si unificarono le scuole ungheresi e rumene a Cluj. Dopo il 1956, in Romania iniziarono le
purghe politiche e si diffuse il terrore: ogni iniziativa di opposizione fu duramente sanzionata,
crebbe il numero dei campi di lavoro. Si spensero nel sangue le proteste contro la nazionalizzazione
e la collettivizzazione: chi si opponeva era perseguitato, torturato, ucciso o deportato. Anche a
seguito di queste repressioni, presero vigore alcuni gruppi di resistenza armata, soprattutto nelle
province di Galac, Tulcza, Mures, Gorj, Dolj, Bacau, Dambovita e Arges. Queste organizzazioni
non costituivano una reale minaccia per il regime ma avevano un enorme valore simbolico. La
resistenza armata nacque immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale grazie ai
partigiani che si rifugiarono sui Carpazi, in piccoli gruppi che riunivano persone molto diverse tra
loro per estrazione sociale e orientamento politico: c’erano ex ufficiali dell’esercito, studenti,
contadini, medici operai, alcuni di loro avevano fatto parte della Guardia di Ferro di estrema destra,
altri invece erano comunisti.
Un altro importante elemento per la formazione dell’opposizione rumena è costituito dalla nascita,
alla fine degli anni ‘50, di un “comunismo nazionale”. I primi passi in questa direzione furono
compiuti da Dej, poi, dal 1965, Nicolae Ceausescu fece del comunismo nazionale la linea guida del
governo rumeno. Nicolae Ceausescu divenne Capo del Partito Comunista nel 1965, dopo la morte
in circostanze non chiare di Dej a Mosca, e Capo dello Stato nel 1967. Fin dai primi anni del suo
governo Ceausescu seppe efficacemente sfruttare il nazionalismo nel gioco politico: appellandosi ai
sentimenti antisovietici della gente si conquistò la simpatia della società. Al comunismo nazionale
si accompagnò una certa liberalizzazione dell’economia. Nell’aprile 1964 la Romania rifiutò un
nuovo accordo “SovRom”, che prevedeva lo sfruttamento “congiunto” rumeno-sovietico del delta
del Danubio, e che di fatto avrebbe colpito l’integrità territoriale dello Stato. Ad ottobre il segretario
del Partito operaio rumeno ottenne il ritiro dei consiglieri sovietici dalle istituzioni partitiche e
statali rumene. Vennero rilasciati i prigionieri politici, per dare l’impressione che il terrore fosse una
conseguenza della politica sovietica e che la Romania si stesse invece incamminando verso un
sistema liberale.

Il 22 marzo 1965 il Plenum del Comitato Centrale del Partito Operaio Rumeno elesse all’unanimità
Nicolae Ceausescu primo segretario del partito. Ceausescu sfruttò il processo di liberalizzazione per
eliminare tutti gli oppositori, accusandoli di essere responsabili del terrore degli anni’50. Nel 1967
la Romania allacciò rapporti diplomatici con la Repubblica Federale Tedesca e l’anno successivo
condannò l’invasione della Cecoslovacchia rifiutandosi di inviare l’esercito. La grande popolarità
che Ceausescu si guadagnò grazie a questa politica, a poco a poco divenne un culto della personalità
mentre il suo governo diventava sempre più autoritario e i rigidi controlli della polizia soffocavano
sul nascere qualsiasi critica al regime. Dopo la visita del 1971 nella Corea del Nord, Ceausescu
sviluppò una visione megalomane di completa ristrutturazione della nazione, la cosiddetta
“sistematizzazione” o “Piccola Rivoluzione Culturale”. Una grande parte di Bucarest fu rasa al
suolo per far posto al gigantesco complesso della Casa del Popolo e all’annesso Centro Civico.
L'edificio con le sue immense dimensioni taglia la città in due. Costruire il Palazzo e il Centro
Civico richiese la demolizione di circa un quinto dei distretti storici di Bucarest. Fu raso al suolo un
intero quartiere con 40 mila edifici, molti di enorme valore artistico, storico e architettonico, fra cui
19 chiese cristiane ortodosse, 6 sinagoghe e templi ebrei e 3 chiese protestanti, Ciononostante,
Ceausescu continuava a godere del rispetto internazionale: i presidenti degli Stati Uniti e della
Francia, l’imperatore giapponese, la regina d’Inghilterra e molti altri continuavano ad esprimere
pubblicamente l’ammirazione per il capo del governo rumeno e per la sua politica indipendente da
Mosca. Questo rendeva particolarmente difficile per l’opposizione interna la lotta contro un regime
accettato dalla comunità internazionale. Negli anni ‘80 per ripagare i prestiti stranieri e terminare la
costruzione del Palazzo del Popolo si razionarono i beni di prima necessità in modo sempre più
drastico di anno in anno. Dal 1985 furono questo provvedimento si estese anche al petrolio,
all’energia elettrica, al gas e al riscaldamento. Nacque il mercato nero e le sigarette divennero la
seconda valuta del Paese: erano utilizzate per comprare qualsiasi cosa. Contemporaneamente, il
controllo sulla società si fece sempre più rigido: le conversazioni telefoniche erano spiate, la
Securitate arruolò molti nuovi agenti, la censura divenne più ferrea. Secondo alcuni rapporti, nel
1989 un rumeno su tre era un informatore.

Le prime espressioni significative di un movimento dissidente comparvero all’inizio degli anni’70.


Dopo la visita di Ceausescu in Cina e nella Corea del Nord, il Partito introdusse una serie di
restrizioni politiche: questa “rivoluzione culturale” in miniatura pose fine alla libertà di parola che
era stata ottenuta alla fine degli anni ‘60, e diede il via a iniziative di dissenso organizzate. Nel 1970
il poeta Anatol E. Baconski pubblicò su una rivista letteraria austriaca un articolo in cui protestava
contro la censura in Romania, l’anno successivo il poeta Dan Desliu si espresse pubblicamente
contro la politica del governo. Nel 1977 scoppiò una protesta nelle miniere di Lupeni, che si diffuse
in tutta la pianura dello Jiu. Gli scioperi furono soffocati con la violenza e le deportazioni di
centinaia di operai. Nel febbraio 1979 Ionel Cana e Gheroghe Brasoveanu fondarono il Sindacato
Libero dei Lavoratori Rumeni. Nonostante il loro arresto, ad aprile il sindacato poteva contare su un
numero consistente di aderenti di tutto il Paese. Molti furono costretti all’esilio, ma altri, come
Carmen Popescu, riuscirono a rimanere nel Paese e a diffondere all’estero notizie sulle violazioni
dei diritti umani. Questo portò all’acutizzarsi delle repressioni con il rafforzamento della Securitate:
secondo i dati ufficiali i servizi segreti utilizzavano 70 mila agenti ma si suppone che il loro numero
fosse maggiore. Con il rafforzarsi del potere del regime, aumentarono anche le repressioni contro le
minoranze nazionali: nel 1972 quella tedesca creò Timisoara il “Gruppo Operativo Banat”,
costituito da scrittori francofoni del Banato, che intendeva proporre iniziative culturali indipendenti.
I partecipanti subirono dure repressioni: il fondatore William Totoka fu incarcerato, altri, tra cui il
premio Nobel Herta Muller, andarono in esilio. Un problema a parte è costituito dalla minoranza
ungherese, vittima di un programma di assimilazione totale. Negli anni ’70 un ex esponente del
partito comunista, Karoly Kiraly, inviò al partito numerose lettere di protesta contro il processo di
assimilazione forzata e contro lo stesso Ceausescu, trasmesse da Radio Europa Libera.

Benché la Chiesa Ortodossa Rumena collaborasse con lo Stato (ci sono prove che alcuni ecclesiasti
fossero ufficiali della Securitate), molti religiosi presero posizione contro le limitazioni alla libertà
di fede. Uno di loro, Gheorghe Calciu-Dumitreasa, fu arrestato nel 1979 e rilasciato solo nel 1984, a
seguito delle proteste internazionali. Nel 1948 era stata abolita la Chiesa Greco Cattolica, e una
parte consistente del clero era forzatamente passata alla Chiesa Ortodossa. I vescovi erano stati
arrestati, molti erano morti in carcere. Tuttavia, alcune comunità greco-cattoliche continuarono a
esistere clandestinamente, mentre una parte dei fedeli entrò nella Chiesa cattolica di rito latino.
Anche le Chiese protestanti dovettero lottare per vedere riconosciuti teoricamente i propri diritti: nel
1974 furono arrestati alcuni pastori battisti che avevano preso posizione contro le limitazioni alla
vita religiosa. Il regime si servì molto spesso della psichiatria contro gli oppositori. Alcuni membri
dell’Associazione degli Scrittori, benché aderenti a un’organizzazione di partito, rivendicarono il
diritto alla libertà di pensiero, rifiutarono le rigide convenzioni del realismo socialista e la
glorificazione del regime e dei suoi capi, diventando così il simbolo del rifiuto dell’ideologia, anche
a prezzo della propria carriera. Una delle rappresentanti più significative di questo gruppo fu la
poetessa Ana Blandiana, i suoi versi erano un’aperta critica al regime. Molto importante divenne
anche il ruolo di alcuni filosofi, come Constantin Noika e il cosiddetto “Gruppo di Paltinis” raccolto
attorno a lui, particolarmente popolare fra i giovani. La figura di dissidente più importante degli
anni ’80 è sicuramente quella di Doina Maria Cornea, professore di Romanistica all’università di
Cluj, che nonostante le persecuzioni di cui fu incessantemente oggetto, espresse sempre con
coerenza la propria opposizione al regime. In questi anni si intensificarono i tentativi di creare un
movimento dissidente di ampio respiro che però fallirono quasi tutti per le dure azioni messe in atto
dalla polizia segreta. Gli anni ’80 si caratterizzarono per una grave crisi economica e per il
progressivo peggioramento delle condizioni di vita. Alla notizia di una nuova diminuzione dei
salari, il 15 novembre 1987 migliaia di lavoratori scesero per strada a Brasov protestando contro
Ceausescu. La repressione fu immediata: gli organizzatori e i partecipanti furono arrestati e
allontanati dalla città. La notizia si diffuse presto nel Paese e all’estero, con numerose lettere aperte
in Occidente.

Il 20 gennaio 1989 alcuni giornalisti del quotidiano “Romania Libera”, furono accusati di essere
coinvolti con l’editoria clandestina e arrestati. Nell’ultimo periodo del regime di Ceausescu le
iniziative del movimento dissidente si intensificarono, e crebbero le attese della società, anche per le
notizie trasmesse dalle radio libere sui cambiamenti negli altri Paesi del blocco sovietico. Nel marzo
1989 la BBC diffuse la cosiddetta “Lettera dei sei” in cui sei ex leader comunisti criticavano la
politica interna di Ceausescu: la collettivizzazione delle campagne, il folle piano di distruzione di
Bucarest, lo strapotere delle Securitate, la censura e le intercettazioni telefoniche. Il 17 marzo il
quotidiano francese “Liberation” pubblicò un pamphlet di Mircea Dinescu che descriveva la
situazione del Paese. In maggio, durante l’incontro a Parigi della Conferenza per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa, Gabriel Andreescu fece uno sciopero della fame di due settimane per
protestare contro il regime. Due mesi dopo fu presentata alla Commissione per la Difesa contro la
Discriminazione e la Difesa delle Minoranze il rapporto sulle violazioni dei diritti umani di Dumitri
Mazilu. Con questo gesto eclatante Mazilu, ex diplomatico e ufficiale della Securitate, iniziò a
combattere contro il regime. Nell’ottobre 1989 Doina Maria Cornea insieme a un folto gruppo di
dissidenti spedì in Occidente una lettera aperta contro la rielezione di Ceausescu a segretario del
partito. Nel frattempo nel Paese si scatenò una violenta ondata di arresti. L’unica risposta di
Ceausescu ai cambiamenti in atto negli altri paesi del blocco sovietico fu l’aumento della
repressione e del terrore. Il 14 dicembre a Jasi si tenne una manifestazione contro Ceausescu, gli
organizzatori furono arrestati. Il 17 dicembre un gruppo di Ungheresi transilvani, a cui si unirono
anche numerosi Rumeni, si raccolse a Timisoara davanti alla casa del pastore protestante Laszlo
Tokes condannato all’esilio. Il governo rispose con i carri armati, uccidendo 100 persone. Il 20
dicembre il dittatore condannò gli eventi di Timisoara con un discorso alla radio. Il giorno seguente
un comizio di Ceausescu davanti alla sede del Comitato Centrale di Bucarest finì nel caos e fra i
fischi, il leader fu costretto a rifugiarsi all’interno dell’edificio. Scoppiarono alcuni petardi e la
Securitate sparò sulla folla. La mattina del 22 dicembre fu annunciato il suicidio del generale
dell’esercito Vasile Milea. La popolazione prese d’assedio il palazzo dove erano rinchiusi Nicolae
ed Elena Ceausescu, che fuggirono in elicottero dal tetto. Contemporaneamente furono occupate la
radio e la televisione, che cominciarono a trasmettere in diretta la cronaca degli eventi. A sera si
costituirono i primi reparti armati di rivoltosi ai quali si unì l’esercito che invase la sede della
Securitate. Il 25 dicembre. Nicolae ed Elena Ceausescu furono condannati a morte al termine di un
processo sommario nel bunker di Targoviste, dove si erano rifugiati. La sentenza fu eseguita
immediatamente.

La fine degli anni '80 in Romania vedeva esacerbarsi tutti i problemi sistemici del regime comunista
instauratosi quattro decenni prima. La popolazione nutriva un profondo risentimento per il grave
calo del tenore di vita, la riduzione delle libertà civili, l'isolamento internazionale del paese, le
erratiche politiche statali e gli abusi quotidiani; erano in molti a sentirsi sull'orlo della disperazione.
Per i romeni, la libertà nell'accezione della Dichiarazione universale dei diritti umani aveva un solo
significato: la defezione in Occidente. Oltre il confine del Danubio, oltre il confine di terra
finemente arato per rilevare qualsiasi impronta, oltre le onde del Mar Nero: solo lì c'era la libertà.
Alcuni trasformavano questa ricerca della libertà in un'ossessione personale. Il proposito si
estendeva a tutta la popolazione a prescindere dall'età. Questo potrebbe spiegare perché molti
disertori erano minorenni. Con il senno di poi, è facile giudicarli giovani sconsiderati in cerca di
adrenalina. Quello che non è facile è mettersi nei loro panni, immaginarsi oggi, dalla nostra
prospettiva di persone che godono di accesso all'istruzione e all'informazione e del discernimento e
la libertà di scelta che loro non avevano, che cosa significasse vivere in una società recintata.
Allenarsi, raccogliere informazioni, procurarsi mappe, racimolare denaro, contattare guide, nuotare
vasche su vasche, ottenere i documenti e sperare. Chi decideva di scappare attraversando a nuoto il
Danubio aveva i documenti legati al corpo in un sacchetto di plastica: l'unico tesoro. I più fortunati
avevano famiglia o amici in Occidente, e i loro indirizzi erano il loro pass per l'esterno: una piccola
garanzia che non sarebbero stati restituiti alle autorità romene.
Negli anni '80 la fuga era un sogno di massa, che molti conservavano in silenzio, perché qualunque
confidente si sarebbe potuto rivelare una spia. La brutalità del sistema politico si fa più evidente in
questi dettagli diabolici: chi spiava chi? Molti ex fuggitivi, andando a visionare i propri file della
Securitate (ora sotto la custodia del Consiglio Nazionale per lo Studio dei file Securitate, o
CNSAS), sono rimasti sconvolti nello scoprire che le spie erano i loro mariti e mogli, figli e figlie,
fratelli e sorelle, suoceri e anche vicini di casa, colleghi di lavoro, amici o sacerdoti. Il quadro di
repressione che trasuda da queste carte meriterebbe un'inchiesta giornalistica a parte.
Giovani e meno giovani erano arrivati a preferire il rischio della possibile morte sul confine o nel
Danubio alla vita nella gabbia che era diventata la Romania. La fuga era il sogno di molti. Il
risultato? Dal 1985, la Romania ha registrato una migrazione senza precedenti, con persone disposte
a tutto per attraversare il confine: un'emorragia umana in atto fin dal 1948-1949, ma mai ai livelli
registrati nei tardi anni '80.
La possibilità di emigrare legalmente non era un'opzione percorribile, ad eccezione dei rari casi di
persone in grado di rivendicare un diritto al ricongiungimento familiare permanente. La libertà di
movimento nella Romania comunista non impediva solo i viaggi all'estero, ma anche gli
spostamenti all'interno del paese: ogni viaggio verso una località di frontiera doveva essere
motivato e notificato alle autorità.
Gli appartenenti alle minoranze tedesca ed ebraica avevano la possibilità di emigrare legalmente,
ma ad un prezzo: la Repubblica Federale di Germania e Israele pagavano una somma per ogni
individuo a cui il regime comunista permetteva di lasciare la Romania. Agli altri non rimaneva che
cercare di attraversare illegalmente il confine, a piedi o a nuoto.
Molti di questi disertori, tuttavia, non sopravvivevano al tentativo di fuga verso la libertà: venivano
uccisi dai colpi di pistola sparati dalle guardie di frontiera, picchiati a morte o annegavano nel
Danubio.
Secondo il codice penale dell'era comunista, attraversare il confine era reato. Chi ci provava, se
restituito alle autorità romene da parte dei vicini paesi comunisti, veniva incriminato ai sensi
dell'articolo 245 del codice penale, con una reclusione da sei mesi a tre anni. Questo articolo fu
abrogato con la legge-decreto 12 del 10 gennaio 1990, appena dopo la caduta del regime di Nicolae
Ceaușescu.
Testimoni e statistiche indicano che a mietere più vittime tra il 1988 e il 1989 era il confine romeno-
jugoslavo, seguito da vicino da quello bulgaro-jugoslavo, dove molti, in particolare tedeschi dell'est,
morivano nel tentativo di raggiungere la Germania Ovest.
I media stranieri, in particolare Radio Free Europe, dedicavano grande attenzione ai fuggiaschi
romeni. Questi erano anche gli unici canali d'informazione per scoprire che cosa succedeva dietro la
cortina di ferro. Su Radio Free Europe si potevano ascoltare lettere inviate dai disertori o dalle
famiglie afflitte dalla scomparsa dei loro cari. Ma tutti i media stranieri erano molto attivi sul tema,
e già dal 1985 il confine romeno era considerato il più sanguinoso in Europa. La stampa di
Ungheria e Germania Ovest dava copertura approfondita delle morti nel tentativo di attraversare il
confine.
Il quotidiano ungherese Magyar Hirlap scrisse nel 1988 che 4000 cittadini romeni avevano
attraversato quell'anno il confine verso l'Ungheria. Nel numero del 30 dicembre 1988, la
pubblicazione della Germania Ovest Niedersachsische definì il confine della Romania come il più
sanguinoso d'Europa. Secondo il Frankfurter Allgemeine Zeitung, sempre nel 1988 circa 400
disertori sarebbero stati uccisi dalle guardie di frontiera; l'articolo fu ripreso da The Oregonian  con
il titolo "I profughi romeni meritano di essere riconosciuti come tali". Inoltre, il quotidiano
jugoslavo Večernje Novosti  pubblicò diversi articoli sui disertori romeni, stimando oltre 4000
vittime nel solo 1989.
30 anni dopo la caduta del comunismo, lo stato rumeno deve ancora formulare una posizione
ufficiale sulla questione dei fuggiaschi uccisi o arrestati e successivamente maltrattati dalle autorità.
Si tratta di un vero e proprio buco nero nella storia recente della Romania: una ferita collettiva
lasciata senza medicazione. Una "meningite morale", nelle parole di una delle persone che
intrapresero la fuga. Questo non può non avere conseguenze: è uno dei motivi per cui il paese è
bloccato e non riesce ad andare avanti.
I fuggitivi sono stati uccisi al confine durante tutto il regime comunista, ma il picco è stato
raggiunto negli ultimi anni: 1988-1989.
Le persone che hanno dato gli ordini e quelle che li hanno eseguiti con eccesso di zelo sono ancora
qui e sono ancora capaci di intendere e di volere.
Nessuno li ha mai messi di fronte alle loro responsabilità.

La Romania, nascosta per cinquant’anni dietro il muro del comunismo, ha attraversato momenti
decisivi, incompresi e poco studiati. Un tempo considerata il “granaio d’Europa”, per la sua
ricchezza agraria, la Romania è passata ad essere uno dei Paesi più provati dal blocco comunista.
Dopo l’89 sono stati fatti passi importanti: l’ingresso nella NATO, l’ingresso nell’UE, ma ci sono
ancora tanti altri passi da compiere in vari settori.

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