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Relazione seminari

Nome: Alessia

Cognome: del sarto

Classe: L39

Matricola: 56006

Tirocinio 3cfu

Il 29 settembre 2017 si è tenuto presso polo piagge un seminario


intitolato: ” vittimologia e vittime fragili” dedicato alla disciplina
vittimologica non solo come ambito della criminologia sociale,
ma anche come ambiente in cui il servizio sociale opera nella
sua quotidianità. La relatrice in un primo momento si è
concentrata nel delineare i tratti caratteristici della vittimolgia,
per poi analizzare nello specifico quali sono i soggetti più
esposti a vitimizzazione.La vittimologia, ritenuta da molti una
branca della criminologia, ha, rispetto alle altre discipline, una
storia piuttosto breve. I primi studi, infatti, fioriscono dagli anni
quaranta. Nel 1948, per esempio, H. Von Hentig scrive un’opera
dal titolo “The criminal and his victim”. Con Von Hentig
l’attenzione, prevalentemente focalizzata fino a quel momento
sull’autore del reato, sulle sue caratteristiche e sulla sua
responsabilità, si concentra invece sul carattere duale
dell’interazione criminale: reo e vittima, due soggetti che
meritano la medesima considerazione affinché si possa
intervenire in maniera adeguata nel percorso di recupero di
entrambi. Per cui la vittimologia ha sicuramente il merito di aver
messo in luce, nella diade criminale, la figura della vittima, da
intendersi, non esclusivamente come un soggetto che subisce
passivamente le conseguenze di un reato perpetrato a suo danno,
ma come parte attiva, che può addirittura diventare
preponderante durante un processo di vittimizzazione.La
maggior parte degli studiosi che, nel corso degli anni, si è
interessata a temi di natura vittimologica, ritiene che esistano
delle caratteristiche personali, che possano, in determinate
circostanze, contribuire al precipitare degli eventi. Sarebbero,
infatti, alcune variabili individuali e sociali a condizionare il
verificarsi dell’episodio criminoso e ad attirare fatalmente il
responsabile a commettere il reato. Caratteristiche fisiologiche
quali l’età e il genere, psicologiche come gli stati depressivi e
psicopatologici, e sociali connesse all’attività professionale e
alla condizione economica possono avere un ruolo predominante
nell’eziologia del crimine. È possibile dunque che la vittima non
sia completamente innocente, ma che in qualche modo partecipi
alla dinamica criminale. Specifiche condizioni come
l’appartenenza al genere femminile, la giovane età o l’anzianità,
la debolezza mentale, l’appartenenza a minoranze etniche o
razziali e ancora la depressione e la solitudine, attirino a sé il
criminale che individua nella loro vulnerabilità un facile
bersaglio, non a caso sono classificate con vittime fragili, i
minori, gli anziani, le donne, i disabili e gli stranieri. Proprio in
relazione a questi soggetti si è articolata la discussione svolta
durante il seminario, evidenziando prima la loro peculiare
condizione relativa al fatto che il minore cosi come il disabile o
l’anziano oltre ad essere deboli dal punto di vista fisico, in molti
casi non sono neppure in grado di comprendere quanto accade
intorno a loro, per poi porre in evidenza le possibili strategie
d’intervento da parte dei servizi sociali non solo per dar inizio ad
un percorso di recupero della vittima ma anche per comprendere
i segnali d’allarme di una possibile situazione d’abuso e
violenza, e per intervenire preventivamente affinché determinate
situazioni non si verifichino.Il servizio sociale deve dunque non
solo mettere in atto azioni di protezione e sostegno, ma anche di
promozione e integrazione andando dunque a rimuovere tutti
quegli ostacoli che comportano un Isolamento del soggetto e che
lo rendendo più fragile e maggiormente soggetto a violenze di
qualsiasi tipo.Facendo riferimento allo scenario odierno, gli
individui che maggiormente si trovano in condizione
“d’isolamento” di “marginalità” sono gli extracomunitari ed in
particolare quelli provenienti dal continente africano, i quali
sono soggetti a continui atti discriminatori da parte della
popolazione bianca, atti i quali possono condurre allo sviluppo
di forme di criminalità più o meno gravi.A tal proposito mi
sembra adeguato far riferimento al secondo seminario al quale
ho potuto partecipare, tenutosi il 19 marzo del 2018 intitolato: “
“L’Islam è una minaccia? Gesti radicali come risposta alla
marginalità sociale” Ad introdurre l’argomento è stato Izzeddin
Elzir presidente della comunità islamica d'Italia, Egli ha esposto
il tema partendo dalla definizione di ciò che è realmente l’Islam,
ed ha voluto precisare che, a differenza di quello che sovente si
sostiene, i mussulmani non sono solo arabi, anzi solo il 20% di
questi è islamico, il restante 80% appartiene ad altre etnie. Il
portavoce dell’Islam è Maometto, considerato dai suoi fedeli
l’ultimo profeta inviato da Dio al mondo e incaricato di far
conoscere all’umanità la sua parola. Per i fedeli dunque l’Islam è
l’insieme delle rivelazioni fatte all’umanità da Allah, queste
rivelazioni sono contenute all’interno del libro sacro, il Corano.
Dopo tale premessa su quello che è realmente l’Islam, Izzeddin
Elzir ha voluto occuparsi di un argomento molto sentito e
dibattuto soprattutto nell’ultimo periodo, che riguarda quello che
è definito comunemente come “ estremismo islamico” da
distinguere secondo la prospettiva dell’Imam da quello che
comunemente è definito come “fondamentalismo islamico”,
ovvero il ritorno ai principi fondamentali della religione.
L'estremismo islamico fa, infatti, riferimento per lo più ad un
uso strumentale della relgione da parte d’individui senza
scrupoli, uniti da sentimenti d’odio, razzismo e ambizione di
dominio politico, ad un modo di vedere la religione che fa uso
della violenza e del terrorismo, ben lontano da quanto è
contenuto realmente all’interno del Corano. Partendo da questa
prospettiva appare dunque evidente il ruolo marginale giocato
dalla religione nel determinare il fenomeno del terrorismo
islamico, fenomeno che nell’ultimo periodo si è rafforzato
sempre di più conducendo alla nascita di un nuovo gruppo di
terroristi chiamato Isis. Per lo più ad immolarsi sotto il simbolo
forte e identitario dell’isis sono i giovani, che non si riconoscono
nei valori della propria famiglia di provenienza né in quelli della
società occidentale in cui vivono. Riemerge dunque con
evidenza come il disagio, la marginalità possano condurre allo
sviluppo di forme particolari di devianza. In particolar modo
rilevante è il caso francese in cui i giovani delle banlieue, spazi
urbani che sono un concentrato di marginalità e devianza, di
disuguaglianze e ghettizzazione culturale, nell'islam radicale
paiono trovare l'unica ideologia che offre loro un'identità
antagonista e che esprime una critica totale all’Occidente. Quello
stesso Occidente che ha fatto balenare loro la promessa
dell'integrazione attraverso il consumo e la mobilità sociale, ma
che non ha saputo, o potuto, realizzarla.Tale tematica è poi stata
inserita nel corso del seminario nel tema generale delle
migrazioni, tema che nel corso del tempo si è consolidato
sempre più assumendo ad oggi una rilevanza notevole. Tale
fenomeno si presenta, infatti, come una sfida da fronteggiare la
quale difficilmente è accettata da parte della popolazione che
invece di collaborare al fine di garantire una corretta
integrazione sociale e culturale, si oppone ad ogni possibile
forma d’interazione con lo straniero considerandolo come
diverso, creando forme d’emarginazione tali da fomentare lo
sviluppo di radicalismi. Fondamentale in relazione al tema
dell’immigrazione è anche il ruolo svolto dalle varie istituzioni
della società.Nel nostro caso è di fondamentale importanza far
leva sul ruolo svolto da parte del servizio sociale, è evidente,
infatti, che la domanda d’aiuto della popolazione straniera verso
tali servizi si stia facendo più cospicua, complessa e diversificata
e come dunque la formazione degli operatori sociali debba
tenere il passo con questi cambiamenti, questo porta all’esigenza
di percorsi di formazione attenti agli atteggiamenti e alla
riflessività professionale, in relazione a questa tematica mi
sembra adeguato far riferimento all’ultimo seminario a cui ho
potuto partecipare, tenutosi il 23 marzo 2018 intitolato: “L’ etica
professionale negli odierni scenari di welfare”, in cui è emerso
come l'assistente sociale sia una figura fondamentale per
l’integrazione dei soggetti all’interno della società e proprio per
questo come debba incentrare il suo scopo su quello che è il vero
bene delle persone, individuando un punto in comune tra lui e il
soggetto ed iniziando un percorso di miglioramento, senza avere
comportamenti discriminatori o cercando di imporre quella che è
la sua soluzione al problema. Inoltre è emerso come la
“riflessività” sia fondamentale per operare in modo coerente con
i principi e i fondamenti etici della professione, e come il
professionista debba fare riferimento a quello che è il codice
deontologico, che è lo strumento attraverso cui si presenta alla
società e che lo guida nelle scelte di comportamento, nel fornire
i criteri per affrontare i dilemmi etici e deontologici e nel dare
pregnanza etica alle azioni professionali.
Dopo una trattazione relativa al tema dell'etica professionale, si è
giunti a delineare i tratti salienti della professione d’assistente
sociale, discutendo poi sull’importanza del codice deontologico
e sui principi e i valori che ispirano la professione. In ultimo la
relatrice si è dedicata all'illustrazione dello scenario di welfare
odierno, evidenziando come, Il welfare italiano, nel contesto
sociale attuale, si caratterizza per alcuni aspetti che ne
vanificano spesso gli effetti protettivi, amplificando le differenze
e le contraddizioni generando disuguaglianza sociale e
compressione dei diritti, in una polarizzazione del fenomeno che
caratterizza il divario crescente tra redditi alti e redditi bassi, tra
nord e sud e incide e amplifica le fragilità già presenti nella
popolazione quali invecchiamento, aumento della non
autosufficienza, vulnerabilità delle famiglie e povertà infantile,
immigrazione, disabilità, dipendenze, marginalità di particolari
etnie, condizioni di povertà estrema, devianza minorile e degli
adulti. In conclusione sono state poi proposte possibili
prospettive da adottare al fine di poter giungere ad un
miglioramento di tale situazione, in modo tale che sia possibile
realmente realizzare un sistema efficace ed efficiente in grado di
porre in essere politiche volte ad un contrasto della
disuguaglianze, politiche che indirettamente favoriscano il
benessere complessivo della società perché mirando al sostegno
e all’integrazione dei soggetti più deboli sono in grado di ridurre
quelle condizioni di marginalità a cui nella maggioranza dei casi
è strettamente consesso il fenomeno della devianza. Nella
redazione di tale relazione ho voluto concentrarmi per lo più sul
tema della marginalità con riferimento principalmente al tema
dell’immigrazione, questo in quanto tale tematica appare essere
estremamente rilevante nello scenario attuale, e soprattutto
perché penso che il ruolo dell’assistente sociale in tale ambito
sia di fondamentale importanza. Infatti, solitamente gli esercenti
tale professione si trovano ad operare con persone che si trovano
in condizioni di difficoltà e una gran parte di tale categoria
d’individui è rappresentata proprio dagli stranieri.Inoltre ritengo
opportuno che tale tematica possa portare a riflettere sulle
capacità che l’assistente sociale deve essere in grado di
sviluppare per operare in una società che va sempre più a
configurarsi come multiculturale, evidenziando l’importanza di
una processo formativo che permetta agli assistenti sociali di
aggiornare continuamente le proprie competenze, permettendo
loro di poter relazionarsi con maggior destrezza con persone
appartenenti a culture e nazionalità diverse.

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