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Capitolo 16

Dave Brubeck, un pianista californiano che agiva nell’area di San Francisco, compiva esperimenti analoghi,
nel tentativo di nobilitare il jazz inserendo in esso fughe, contrappunti e sconfinamenti (anche se meno arditi
di Tristano) nell’ambito politonale e poliritimico.
Nato a Concord in California, studiò dall’età di 4 anni con la madre, che era pianista classica.
Passò poi al violoncello, sotto lo sguardo attento di due fratelli maggiori, anch’essi insegnanti di musica.
A 13 anni Dave aveva già scoperto la sua passione per il jazz, e suonava in complessini dixieland o swing.
A 20 anni era leader di una band di dodici elementi al College of Pacific.

Perfezionò poi gli studi al Conservatorio di Oakland, sotto la guida del compositore europeo Darius Milhaud
e seguì anche gli insegnamenti di Arnold Schoenberg.

Con un simile background possiamo intuire quali fossero le sue potenzialità.


Già nel 1946 formò un proprio ottetto jazz, la cui musica presentava:

A. fughe
B. imitazioni e canoni
C. contrappunti
D. procedimenti politonali
E. ampio uso dei poliritmi

Suoi discepoli in questo primo periodo di attività furono:

A. il sassofonista tenore Dave Van Kriedt


B. il clarinettista Bill Smith
C. il sassofonista contralto Paul Desmond

Il gruppo, chiamato semplicemente “The Eight” compiva esperimenti analoghi a quelli di Lennie Tristano a
New York.

Una delle prime incisioni a suo nome, risalenti a quel periodo fu “Fugue on a bop theme”, brano composto
da Van Kriedt, ma la seduta si svolse a nome del pianista, che era il musicista più conosciuto.

Talvolta la formazione si riduceva all’essenziale, diventando un trio più convenzionale, completato da:

A. il vibrafonista e percussionista Cal Tjader, affermatosi poi nel campo del latin jazz.
B. Il contrabbassista Ron Crotty

Colpito dalle incisioni “Cool” di Miles Davis, si convinse che la propria strada fosse continuare a
sperimentare, cercando un proprio linguaggio ed un sound originale

Dopo questa prima fase varie traversie e guai fisici portarono Brubeck ad un periodo di stasi; quando riprese
a suonare, nel 1951, si presentò alla guida di un nuovo quartetto che presentava come solista al sax alto
l’amico e già collaboratore negli “Eights”, Paul Desmond.

Solista essenziale, capace di creare linee melodiche memorabili, che quasi reinventavano idi volta in volta i
temi da cui partivano le improvvisazioni usando pochissime note; il suo pregio maggiore fu quello di evitare
i manierismi di Charlie Parker, punto di riferimento stilistico in quegli anni.
Desmond, come ebbe a dire Brubeck, “selezionava le note con una perfetta combinazione tra intelligenza e
attenzione alla purezza del suono e non voleva abbagliare nessuno”.

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Brubeck e i suoi musicisti risiedevano nell’area di San Francisco, città della California diventata a partire
dagli anni Cinquanta un centro culturale assai importante negli Stati Uniti ed uno dei bastioni liberali della
società americana.

Il quartetto, che aveva una certa aria di nobiltà e una seriosità quasi accademica, divenne molto conosciuto
nell’ambiente dei college; i primi album furono registrazioni live dei loro concerti, tenuti davanti a un
pubblico di universitari estasiati e presentavano un repertorio composto principalmente da standard
rielaborati.
Successivamente Brubeck cominciò a presentare propri brani; uno dei primi fu “The Duke”, tra le sue
composizioni più note, inizialmente intitolata “The Duke meets Darius Milhaud”, dal momento che
contrapponeva i due mondi del Jazz e della musica classica:

A. la melodia richiama chiaramente lo stile di Ellington


B. il brano ha un’introduzione dodecafonica e nel bridge presenta un passaggio politonale.

Un altro aspetto che lo interessò profondamente fu la ricerca sui tempi dispari; prima di lui c’erano stati gli
esperimenti di Benny Carter, condotti negli anni Trenta sul tre/quarti e nello stesso decennio Fats Waller
aveva inciso il suo bellissimo”The Jitterbug Waltz”.

Fino a quel momento però il Jazz si era espresso quasi interamente in quattro/quarti.

Nel 1956 Sonny Rollins aveva pubblicato il suo “Valse Hot” e tre anni dopo Bobby Timmons, pianista già
dei Jazz Messengers del batterista Art Blakey, propose al sassofonista Cannonball Adderley una sua
composizione in tre/quarti, intitolata “This Here”.

Ma gli esperimenti di Brubeck e Desmond, che avevano definito via via sempre meglio il loro quartetto, con
l’aggiunta del contrabbassista Richard Wright e soprattutto con il batterista Joe Morello, andarono assai più
lontano, fino a far guadagnare un enorme successo al gruppo.

Infatti nel 1959 venne dato alle stampe l’album”Time Out”, che conteneva, oltre alla celebre “Take Five”
(composizione di Desmond), altri capolavori, come:

A. “Blue Rondò à la Turk”, vero e proprio concerto a metà tra classico e jazz, basato su un ritmo di
9/8, di origine mediorientale; pare che Brubeck si fosse ispirato ad un musicista di strada ascoltato
dalla finestra del proprio appartamento a San Francisco.
B. Three To Get Ready, una delicata sonatina che presenta un’alternanza di battute in 3/4 e 4/4,
C. “Cathy’s Waltz”, un bellissimo valzer dedicato alla nascita della figlia Kathy (infatti nel titolo ci fu
un errore di stampa)
D. “Unsquare Dance”, una sorta di danza primitiva in 7/4

Di sicuro però il pezzo forte era “Take Five”, un brano originalissimo per quel tempo, poiché basato su un
ritmo in 5/4 inventato dal batterista Joe Morello.
Quello che sarebbe stato il brano più noto del repertorio del quartetto negli anni a venire non era una sua
composizione, e ciò suonava beffardo per Brubeck, che era un grande compositore.

La paternità del brano (che molti attribuiscono erroneamente al pianista) fu assai controversa: Joe Morello
rivendicava anche lui qualche diritto, perché aveva creato quel particolare pattern ritmico, inventando
praticamente l’andamento e il “groove” del pezzo.
La composizione invece fu depositata solamente da Paul Desmond, che sostanzialmente aveva aggiunto la
melodia.
Il metro 5/4 era talmente innovativo, così inconsueto da affascinare il pubblico e sorprendere perfino i
musicisti, tanto che molti jazzisti dell’epoca non sarebbero stati in grado di suonarlo.

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Brubeck comporrà successivamente qualcosa di ancor più difficile da eseguire, un brano in 11/4, intitolato
per l’appunto “Eleven Four”, assai arduo ma certamente una prova di abilità per ogni musicista.
Il successo di “Time Out” fece guadagnare a Brubeck la copertina illustrata del “Time”, nota rivista
americana, primo musicista di Jazz in assoluto a ricevere questo onore.

A seguito di tale exploit il pianista raccontò di essere stato svegliato alle 7 di mattina da una telefonata:
era Duke Ellington che, avendo ascoltato il disco aveva sentito l’urgenza di fargli i complimenti.
La musica realizzata dal quartetto di Dave Brubeck riassume un po’ tutti gli stili finora descritti a proposito
degli anni Cinquanta:

A. può essere ricondotta al genere Progressivo, per la presenza di tratti musicali europei
B. è sicuramente Cool nelle sonorità e nelle scelte timbriche e di fraseggio
C. ugualmente è ascrivibile all’area musicale denominata West Coast per il periodo in cui si sviluppò, le
similitudini esistenti ed anche per la contiguità geografica

Non è sbagliato vedere l’opera del quartetto di Dave Brubeck come uno delle principali fonti di ispirazione
dei complessi che alla fine del 1960 che crearono il genere “Rock Progressivo”; i gruppi che realizzarono
quella musica studiarono a fondo le polimetrie esplorate dal pianista, nonché le ingegnose architetture
ritmiche create dallo storico quartetto guidato dal grande compositore.

Il movimento West Coast

A chiudere idealmente la panoramica sugli stili jazzistici che si affermarono nella prima metà degli anni
Cinquanta parliamo del movimento West Coast; esso fu costituito essenzialmente da una folta schiera di
musicisti provenienti dalle orchestre bianche di Stan Kenton e Woody Herman.
I più importanti di essi furono:

A. il trombettista ed arrangiatore Shorty Rogers


B. il batterista Shelly Manne
C. il sassofonista e clarinettista Jimmy Giuffre
D. Il contraltista Art Pepper
E. Il sassofonista e flautista Bud Shank
F. Il trombonista Milt Bernhardt
G. Laurindo Almeida, nome completo Lurindo Jose de Araujo Almeida Nobiega Neto, conosciuto ai
più come Laurindo de Almeida, chitarrista brasiliano.
H. Il sassofonista polistrumentista Bob Cooper

Soprattutto loro costituirono il primo nucleo di musicisti californiani che conquistarono la fama e diedero al
Jazz ulteriore linfa vitale.

A partire dal 1950, e grazie all’iniziativa dell’impresario Gene Norman ci furono una serie di incisioni
guidate dal trombettista ed arrangiatore Shorty Rogers, che alcuni videro come l’inventore dello stile
denominato “West Coast” stile, per quanto riguarda il linguaggio orchestrale.

A esso si contrapponeva comunque l’East Coast, lo stile tipico di New York, più acceso, diretto discendente
del bebop, di lì a poco ribattezzato come Hard bop.
Il jazz della West Coast era comunque una musica assai rifinita, levigata, inconfondibilmente bianca; non era
eccitante e piuttosto immobile, eppure, nonostante fosse sofisticata e per niente ballabile riusciva
perfettamente comprensibile per il grande pubblico del jazz, che la seguì per qualche anno.

Prima degli anni ’50 la California era stata una terra di frontiera, in cui il jazz di New Orleans era arrivato
presto ed aveva attecchito particolarmente.

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Freddie Keppard, Jelly Roll Morton e Kid Ory vi avevano risieduto a lungo.
Anche Ben Rollack, con Benny Goodman adolescente, Louis Armstrong, Jack Teagarden e Red Nichols
avevano aiutato a diffondere il jazz in California.
Infine, prima della stagione d’oro della West Coast anche Parker e Gillespie erano stati ad Hollywood.
Come il bebop aveva avuto un locale, il Minton’s Playhouse come quartier generale, il movimento West
Coast ebbe il suo centro focale al Lighthouse, a Hermosa Beach, vicino Los Angeles.
Il bar, che sorgeva a due passi dal mare, aveva conosciuto giorni migliori ma fu improvvisamente risollevato
dalla direzione artistica di Howard Rumsey, un ex musicista che aveva suonato il basso nell’orchestra di
Stan Kenton.

Rumsey iniziò ad organizzare delle jam session nei week end, coinvolgendo dei bravissimi jazzisti locali,
accomunati dall’intenzione di collaudare i nuovi stilemi bop filtrati dal progressive e dal cool jazz; le cose
andarono subito bene e molti di quei musicisti intravidero la possibilità di un ingaggio semi-permanente che
consentisse loro di abbandonare la vita “on the road” e di stabilizzarsi, per di più suonando ciò che
maggiormente li interessava: il jazz moderno.

Uno dei personaggi principali fu il trombettista Shorty Rogers, vero nome Milton Michael Rajonski, che era
anche un grande arrangiatore.
Nel 1951 era già diventato una presenza fissa nel locale.

Si suonava dalle due del pomeriggio fino alle due del mattino; il luogo cominciò ad essere frequentato da
gente alla moda ed uomini di spettacolo che si spostava dalla vicina Hollywood, oltre che da migliaia di
bagnanti che dall spiaggia potevano affacciarsi ed ascoltare la musica bevendo una birra.

Ulteriore popolarità godette il club quando l’etichetta discografica Contemporary firmò un contratto con
Rumsey, cominciando a riportare su disco quelle atmosfere estremamente gradevoli.

Shorty Rogers compariva al fianco di:

A. i sassofonisti Jimmy Giuffre e Bob Cooper


B. il trombonista Milt Bernhardt
C. lo straordinario batterista Shelly Manne, che aveva avuto esperienze sia con Woody Herman che
con Stan Kenton.

In realtà per i limiti tecnici dell’epoca le registrazioni furono effettuate in studio (Rogers raccontò che
qualcuno ogni tanto faceva partire un urlo, un “yeah” o qualcosa di simile per ricreare un po’ l’atmosfera che
poteva esserci in quei pomeriggi al locale di Hermosa Beach.

Il Lighthouse divenne per tutti i musicisti che lo frequentavano:

A. un luogo di apprendimento
B. di sperimentazione
C. di creatività
D. di studio
E. di divertimento, per tutte le cose folli che accadevano

Il livello era straordinariamente alto; al pianoforte potevano avvicendarsi:

A. Hampton Hawes
B. Pete Jolly
C. Marty Paitch (poi diventato un eccelso arrangiatore)

Chiunque sedesse alla tastiera non cambiava il mood e il sound del gruppo.

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Talvolta si vedevano Gerry Mulligan o Maynard Ferguson, il trombettista specialista dei bisacuti che
diverrà ancor più celebre molti anni dopo eseguendo il celebre tema musicale composto da Bill Conti per il
film “Rocky” con Sylvester Stallone.

Tra i solisti più interessanti citiamo due sassofonisti:

A. Art Pepper, che aveva uno stile volutamente opposto a quello imperante di Charlie Parker, con un
fraseggio spezzato, interrotto da improvvise pause, contemporaneamente lontano anche dalle
tortuosità armoniche espresse dall’atro specialista bianco suo coevo, coinvolto da Davis nelle
registrazioni dell’Orchestra Capitol, Lee Konitz.
B. Bud Shank, che era anche un ottimo flautista, tra i primi a sperimentare la commistione con la
musica brasiliana, grazie alla sua collaborazione con il chitarrista Laurindo Almeida, incontrato
nell’orchestra di Stan Kenton

Rogers e Jimmy Giuffre erano inoltre creatori di numerose partiture interessanti; assai prolifici erano
entrambi studenti del professor Wesley La Violette ed applicavano sera dopo sera ciò che avevano imparato
nei loro studi di arrangiamento e composizione.
Rogers diventò il principale esponente del movimento West Coast nel 1951, grazie all’album “Modern
Sounds” e soprattutto vari dischi incisi in seguito a capo di formazioni eterogenee, dalla big band al nonetto,
denominate “Giants”.

Molti interpretarono le atmosfere di “Modern Sounds”, del 1951, come una derivazione malcelata da “Birth
of the Cool”; ciò era dovuto principalmente alla presenza in organico del corno francese e del basso tuba.
In realtà invece si trattava piuttosto di uno sviluppo delle sonorità dell’orchestra di Woody Herman, in cui il
trombettista aveva militato in precedenza, producendosi anche nella scrittura di alcuni arrangiamenti.
Infine Shorty Rogers divenne assai popolare incidendo per la Rca un album dal titolo esplosivo “Cool and
Crazy”, in cui lo sperimentalismo della sua scrittura toccò i vertici assoluti.
Il limite di tutta quella mirabile produzione fu che nessuno riprese le sue composizioni, risuonandole e
facendole diventare dei classici, per cui sono rimasti relegati in quell’ambito e via via dimenticati.

Un altro personaggio di spicco del movimento fu Shelly Manne; il batterista divenne il fulcro del genere
Californiano (o West Coast) quando Shorty Rogers cedette alle lusinghe dello show business, lavorando per
il cinema e la televisione fino agli anni Ottanta.
Manne in particolare aprì un proprio club, lo Shelly Manne Hole, che divenne in breve il più vivo centro
jazzistico dell’Ovest.
Il club ospitò tantissimi ospiti di passaggio in California e soprattutto delle formazioni da lui imbastite, che
misero in luce altri solisti di vaglia, come:

A. Richie Kamuca, tenorista di origine hawaiiana


B. Bill Perkins, anche lui specialista del sax tenore.

Shelly Manne fu un batterista dalle caratteristiche esplosive: il suo temperamento lo impose come uno dei
batteristi più personali ed incisivi della storia del jazz.
Dotato di una grande musicalità e supportato da una buona tecnica strumentale è rimasto celebre per
l’imprevedibilità del suo groove: sfruttò infatti sistematicamente lo spostamento del battere, dando così
l’impressione di far capovolgere il tempo.

Jimmy Giuffre dal canto suo mise su un gruppo veramente innovativo; grazie all’incontro con il chitarrista
Jim Hall, innovativo nel linguaggio e nell’approccio allo strumento, lontano dalla verbosità e poco
appariscente, mise su un bellissimo trio, completato dal bassista Ralph Pena, poi sosituito da Jim Atlas:
insieme a loro mischiò la musica folkloristica, il blues del “suo” Texas, con il contrappunto generando un
sound che strizzava l’occhio contemporaneamente al jazz e al country.

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Nel frattempo, anticipando i tempi rispetto a molti californiani, si era trasferito nuovamente a New York.

Il grande exploit del trio arrivò nel 1956, con la registrazione di “The Train And The River”, una sorta di
ossessionante danza degli indiani d’America, uno dei primi pezzi dal sapore modale.
Il gruppo subito dopo conobbe un’ulteriore evoluzione eliminando il contrabbasso e aggiungendo il
trombonista a pistoni Bob Brookmeyer: divenne un inedito trio formato da due strumenti a fiato e chitarra,
ispirato liberamente al sound di Aaron Copland, soprattutto proponendosi come uno dei primi esempi di
jazz creativo, alla base di tante sperimentazioni successive fatte dallo stesso clarinettista e dai suoi epigoni.
Tutto ciò rende Giuffre molto progressive, molto cool, oltre a confermarlo tra i protagonisti assoluti del
movimento west coast.

Ma il gruppo più raffinato e particolare fu quello concepito dal batterista Chico Hamilton;
a metà degli anni Cinquanta l’ex batterista del Pianoless Quartet di Mulligan era desideroso di trovare un
nuovo sound, sperimentando una formazione con strumenti poco ortodossi.
Lavorando con la cantante Lena Horne scoprì che il pianista della formazione Fred Katz era anche
violoncellista; coinvolse immediatamente il suo collega di ritmica con Mulligan, il contrabbassista Carson
Smith e completò l’organico con il flautista Buddy Collette e l’onnipresente chitarrista Jim Hall.
In seguito nel gruppo il posto di Buddy Collette fu preso da Eric Dolphy.
Il jazz del quintetto di Chico Hamilton fu definito “Jazz da camera”, quasi l’equivalente di ciò che fu il
Modern Jazz Quartet rispetto al Cool; ma le implicazioni del progetto erano realmente innovative, poiché
al di là della straordinaria bellezza del sound, che risultava magico e affascinante, presentava i presupposti
per un tipo di improvvisazione libera, anticipando così (anche se con sonorità differenti) le innovazioni del
Free Jazz.
La grande interazione esistente tra i musicisti consentiva di creare musica facilmente: bastava una frase a
generare risposte, fughe, sviluppi diacronici; le idee generate da un solista tornavano a lui completamente
trasformate, mentre il leader alla batteria (spesso con i mallets) tesseva dei morbidi ma ossessivi tappeti
poliritmici, giocando sapientemente sulle dinamiche.
Il più famoso brano del gruppo fu “Blue Sand” di Buddy Collette, un esempio di atmosfera semilibera,
basato su un esercizio di flauto.

La musica della West Coast espresse altri grandi talenti:

A. Gorge Shearing, pianista inglese non vedente, che oltre alla personale maniera di suonare i “block
chords” impostava il sound delle proprie formazioni sugli unisoni di piano, chitarra e vibrafono. Con
lui iniziò la carriera suonando la chitarra il belga Jean Baptiste “Toots” Thielemans, poi diventato
il più grande solista di armonica a bocca di tutti i tempi.
B. Il trio del vibrafonista Red Norvo, con il chitarrista Tal Farlow e Charlie Mingus al contrabbasso
C. Buddy De Franco (clarinettista bianco).
D. Il clarinettista John La Porta
E. I trombonisti Frank Rosolino, Carl Fontana
F. Il trombettista Conte Candoli
G. Il pianista André Previn
H. I bassisti Red Mitchell e Leroy Vinnegar
I. Il batterista Mel Lewis
J. Il chitarrista Barney Kessel

Se un limite si può trovare nella musica che si fece in California per buona parte degli anni Cinquanta è
quello di aver riproposto sostanzialmente sempre lo stesso suono orchestrale, piacevole e colorito ma alla
fine monotono, perché troppo distaccato, probabilmente troppo “cool”.
Dopo la felice parentesi che abbiamo descritto i più famosi jazzisti fecero ritorno all’Est, a New York, dove
si stava aprendo la nuova stagione del bop, anche se si sarebbe chiamato diversamente.

Coloro che rimasero, continuarono per anni a riprodurre sé stessi, ottenendo una musica sempre più insipida
e monotona.

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