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VANGELO DI PAOLO

1° Sessione

Vangelo: eu = buono, bene, positivo, bello ,grande. Evangelion significa buona notizia, lieto annuncio, che
coincide con la persona di Cristo.
Che cosa significa Vangelo di Paolo? La buon notizia che San Paolo ha contribuiti a diffondere in ordine a Gesù
Cristo. Si tratta dell’esperienza personale di Paolo del Cristo Risorto.
Che rapporto c’è tra il vangelo di Gesù Cristo il vangelo di Paolo?
Un po’ di storia: Paolo non è un traditore di Gesù Cristo, neanche il “vero fondatore” del cristianesimo, inventando
una religione diversa da quella che Gesù avrebbe pensato. Così si pensava prima che si studiasse Paolo. Evitiamo questi
equivoci. Con il libro dell’americano Davis, 1948, Paolo e il Giudaismo Rabbinico, si venne a comprendere che le
esegesi di Paolo derivavano dalla formazione semitica, anche se ha scritto in greco; che Paolo faceva delle
comparazioni rabbiniche come facevano gli evangelisti, che hanno scritto in greco ma pensavano in ebraico. Quindi
dagli anni ’50 in poi, gli esegeti contemporanei si erano messi a studiare l’ebraismo di Paolo, figlio del mondo ebraico.
Non più il Paolo traditore del cristianesimo ma Paolo figlio della sinagoga. Oggi siamo i testimoni di una terza fase degli
studi su Paolo, dall’ 1880 in poi, con il processo di tesi-antitesi-sintesi, in cui vede Paolo come figlio di tre culture, e
quindi c’è in lui la dimensione rabbinica sostanziale ma soprattutto, c’è una religiosità ebraica che è indiscutibile. Ma
c’è anche un ricorso alla formazione grammaticale greca: sintattica, filologica, oratore-retorica del mondo ellenistico, e
Paolo usa questi mezzi, però senza rinunciare al suo sfondo semitico-ebraico. Se c’è un momento di rottura in Paolo,
non l’incontro con l’ellenismo, ma è l’incontro con Cristo, è la conversione. Questo non lo ha fatto più un ebreo al
cento per cento. L’appartenenza ebraica è qualcosa che è scritto nel DNA: sono costitutivi dell’ebraismo: la tradizione
dei Padri, la fede di Abramo, il senso della terra, l’alleanza, popolo eletto, privilegiato. Anche se un ebreo si converte a
un'altra religione, rimane profondamente un ebreo: “Gli ebrei hanno perso un elemento senza che i cristiani ne
avessero acquistato un altro, o vice versa.”

Paolo proclama un unico Vangelo di Gesù Cristo che ha approfondito, sistematizzato, teologizzato dal
pensiero di Paolo con la preoccupazione pastorale delle chiese da lui fondate.

Vediamo ora le similitudini tra l’AT e il NT per quanto riguarda la centralità del vangelo.

IL CUORE dell’ANTICO TESTAMENTO:

1. Torah – è la Legge; i primi 5 libri dell’AT che noi cristiano chiamiamo Pentateuco: Gen, Es, Lev, Nu, Deut.
È il messaggio centrale della Bibbia per gli ebrei. Rimane la Legge fondamentale, il cuore teologico e
spirituale dell’AT.
2. Profeti – sono i libri profetici (profeti scrittori o non, profeti anteriori o posteriori). Il primo libro è il libro di
Giosue che comincia con le parole emblematiche: “mediterai giorno e notte le parole di questa Torah” (Gs
1,8). Significa che tutte le parole dei libri profetici non è un’aggiunta alla Torah, non porta niente di nuovo
alla Torah, ma la medita, riflette, la attualizza; cioè prende il cuore del vangelo dell’antica alleanza che è la
Torah e lo attualizza nella storia.
3. Scritti – sono i libri sapienziali dell’AT. Il primo è il libro dei Salmi: “Beato l’uomo che … giorno e notte
medita la Torah del Signore” (Ps 1). Tutti i libri sono in riferimento ai valori della Torah.

IL CUORE del NUOVO TESTAMENTO:


Qualcosa di simile accade nel NT. Qual è il centro del NT?
È il messaggio e la persona di Gesù Cristo. L’esperienza umana e divina dell’incarnazione, mistero
pasquale, insegnamento in parabole, i racconti delle opere di guarigione, di perdono, insegnamento
compiuti da Gesù nella sua vita terrena.

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Tutto questo lo troviamo nel VANGELO, la BUONA NOTIZIA, il LIETO MESSAGGIO di GESU’.
1. I QUATTRO VANGELI canonici: Mt , Mc, Lc, Gv = sono il racconto della persona e del messaggio di
Gesù fino al mistero pasquale. Corrispondono per il NT alla Torah dell’AT. Il VANGELO è la NUOVA
LEGGE, la NUOVA TORAH, il fondamento della nuova alleanza.
2. I Libri del NT
 Atti degli Apostoli – sono il vangelo della Chiesa primitiva, cioè il proseguimento del compimento,
dalla Pentecoste in poi, della missione del Figlio nella Chiesa. Raccontano la storia di Paolo e dei
discepoli, delle origini della comunità cristiana primitiva, e dell’attività missionaria di Paolo. Allora,
gli Atti non aggiungono niente alla storia di Gesù, ma fanno riferimento ad essa,; sono il
prolungamento della vita di Gesù nella storia della Chiesa primitiva. La missione dello Spirito non
porta novità (nel senso che non c’era nel vangelo) ma “prenderà del mio e ve lo annunzierà… vi
guiderà alla verità tutta intera” (Gv). Lo Spirito Santo prende dal vangelo di Gesù e ci porterà a
penetrare più profondamente in esso.
 Lettere Apostoliche: Lettere paoline; le 3 lettere di Giovanni; Giacomo (Es. tema della fede e delle
opere), ecc. Le lettere fanno riferimento alla persona e vangelo di Gesù; sono le esplicitazioni
pastorali per insegnare come ricevere pienamente e vivere il vangelo di Gesù. Ci aiutano ad entrare
più profondamente nella persona di Gesù.
 Apocalisse – Giovanni lo chiama: “il libro di questa Profezie”. Non è tanto una preveggenza del
futuro, ma è una chiave di lettura della storia presente alla luce della morte e risurrezione del
Signore Gesù. È un ulteriore rimando al Vangelo. Parla più della storia presente della chiesa di ogni
epoca e di ogni luogo, che soffre la persecuzione. Es. “Come vive la persecuzione restando fedele al
vangelo di Gesù?” “Come continuare a credere - nel momento delle prove, sofferenze, croce - nella
parola di Gesù che ha detto “Io sono con voi fino alla fine del mondo?”.
L’Apocalisse è un libro profetico per dire che: in tutte le storie il Vangelo è vivo ed operante; il
mistero pasquale di Gesù è il cuore della tua esperienza, del tuo cammino di fede, verso il
compimento definitivo (escatologia).

Il centro rimane il Vangelo. Anche per Paolo dobbiamo dire lo stesso.


Gal 2,20 “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo
nella carne la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me.”
Vuol dire che il centro e il cuore della vita di Paolo da un certo punto della sua vita in poi (la sua conversione) è
la persona di Gesù. Nel momento che Gesù – che nel mistero pasquale ha compiuto completamente questo
amore – ha amato l’umanità e ha dato se stesso per essa. Dal momento che questo vangelo per l’umanità
diventa un vangelo “PER ME” (come se fossi l’unica persona nel mondo degna di questo amore), cioè
l’esperienza personale dell’amore, allora possiamo parlare di VANGELO DI PAOLO. Nel senso di come Paolo si
è lasciato investire e toccare il cuore, cambiare la vita dell’accoglienza del Vangelo di Cristo.

DUE FILTRI di Chiave di Lettura per Capire il Vangelo di Paolo:


1. La persona di GESU’ – quello che ha detto e fatto
2. La persona di PAOLO – la sua vita, incontro personale con Cristo, sua missione concreta.

Le domande fondamentali per entrare nell’esperienza di Paolo:


Come sei stato toccato dall’esperienza di Cristo morto e risorto? Che cosa ha significato questo incontro e
questa esperienza per te e per la tua vita di fede? Come l’hai raccontata, annunciata, testimoniata? Come
sei diventato testimone della morte e risurrezione di Cristo?

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La teologia non è solo questione di “mente”, cioè di fede che riflette su se stessa. Il teologo non è il cervello del
teologo. Chi è il teologo? È la persona che vive l’esperienza di fede di Gesù Cristo e la comunica e la
trasmette, prima di tutto con quella che è che con quello che scrive e insegna. La tradizione orientale ha
privilegiato questo nome “teologo” non per chi studia o insegna teologia, ma per chi vive il mistero di Cristo.
Teologo, in senso proprio per la grande tradizione, è Paolo; per l’oriente cristiano è l’apostolo e evangelista
Giovanni, perché è colui che ha penetrato più addentro dell’esperienza di questo mistero di fede: l’incontro
con l’Amore vivo. Giovanni usa una firma: “il discepolo che Gesù amava”, e non il contrario. “Gesù che mi ha
amato fino a dare la sua vita per me!” Questa è la teologia sia di Paolo che do Giovanni. Di conseguenza,
questa li ha portato a riflettere, a parlare, insegnare, a testimoniare, comunicare questa esperienza. E ci
mettono in guardia: di stare attenti perché si comunica soltanto quello che si vive per esperienza. Altrimenti
rimani un freddo ripetitore, ma non lo trasmette da persona a persona, da vita a vita.
Quella che troviamo nelle lettere di Paolo, non è un dottrina, ma è una testimonianza della sua esperienza. In
questo senso possiamo chiamare Paolo un “teologo”.

LA PERSONA DI SAULO / PAOLO


Chi è Paolo?

CONTESTO e CRONOLOGIA:

Anno 30 d.c. Paolo era giovane.


Atti 8, 1-3 “Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione [di Stefano]. In quel giorno scoppiò una violenta
persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni
della Giudea e della Samaria.  Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui.  Saulo intanto
infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione.”

Metà anni 50 d.c. Paolo si definisce vecchio.


Filemone 1,9  “preferisco pregarti in nome della carità, così qual io sono, Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero per
Cristo Gesù”
Non c’è racconto della nascita fisica di Paolo, perché gli Atti raccontano la sua nascita come apostolo tra le genti
che avviene durante la doglie del parto della chiesa primitiva nascente. La chiesa esce dalla struttura giudaica per
andare ad annunciare il Vangelo alle “genti”, non più al popolo d’Israele come tale. Lo Spirito ha suscitato un
personaggio per annunciare come testimone il messaggio di Gesù Cristo.
Paolo nasce a Tarso (attuale Turchia) a cavallo tra il 5-10 dc. Si chiamava Paolo di Tarso di Cilicia, con il nome
ebraico di Saulo: Šaūl (come il nome del primo re d’Israele). Tarso è un centro/metropoli molto importante, ricca e
fiorente: commerciale, agricola mediterranea, lavorazione di ferro, artigianale, tessile. Saulo era benestante. Il
nome della regione Cilicia, deriva da cilicium (Lat.), un panno di peli di capra. Paolo era un conciatore di peli, un
fabbricatore di tende, lavorazione tessile (Atti 18).
Da 333 a.c., a Cilicia (e tutta la regione mediterranea) era entrata l’ellenismo con Alessandro Magno: influsso forte
della lingua e cultura greca; tutti i vangeli sono scritti in greco perché nonostante gli autori erano ebrei-semiti,
parlavano già il greco per 3 secoli: era la lingua greca koine (comune), che si usava per i contatti culturale e
documentazioni. Scrivendo in greco era l’unico modo per diffondere le idee e mentalità semitiche. Si viveva con la
matrice culturale ebraica ma con influsso culturale greco; quindi si respirava questa cultura mista.
Negli Atti si raccontava certe tensioni tra le genti di diverse culture. Ci sono dei nomi di matrice mista: Simone,
Giuda (nomi ebraici); Andrea [=coraggioso] , Filippo [=amante dei cavalli] (nomi greci). Nel tempo di Gesù, in Palestina
erano già molto diffuse le Scuole Ellenistiche: ginnasio, palestre, teatro.
Con Ottaviano Augusto, nel momento in cui nasce Gesù, era stata promossa in modo particolare la cultura greca, le
istituzioni greche, le politiche romane promuovevano la cultura greco-romana. Quando Paolo nasce c’era un

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ambiente sociale culturalmente solida e consistente, religioso-ebraico in cui la religione si basava sulle Scritture
Sacre degli ebrei (AT); aveva possibilità culturali notevoli. Quando Paolo scrive (con furbizia) “non sono venuto a voi
con dottrina e con la retorica… sono venuto tra voi meschino…”, non significava questo sul serio, perché lui era un
uomo molto ricco di cultura. Voleva solo dire che gli bastava Gesù Cristo morto e risorto. Paolo usava tutti gli
strumenti che la formazione gli ha fornito: la retorica, l’esegesi biblica che conoscevano i Rabbini del suo tempo,
della Scuola di Gamaliele a Gerusalemme. Però ad Atene ha fatto l’esperienza di fallimento nella sua missione
apostolica: “su questo ti sentiremo un’altra volta”; perché si era inorgoglito e ha tentato di fondare tutto sulla
retorica, sapienza umana, dimenticando per il momento il Cristo crocifisso.
Come un buon fariseo, zelante, riceve la formazione principale a Gerusalemme, alla scuola del Rabbino Gamaliele,
che è uno dei maestri più rinomati del 1 sec d.c. Appartiene alla corrente rabbinico contemporaneo di Gesù.
C’erano due correnti della Tradizione Rabbinica Farisaica (che si litigavano su tutto): (1) Hillel: qui appartengono
Gamaliele e Paolo; era più moderata, meno rigida, meno osservante del fariseismo (2) Šammay. Paolo si era mai
vantato di aver avuto questa radice cultura delle Sacre Scritture (di fronte a quei super-apostoli. Cf. 2 Cor 11ss)
perché il su punto di partenza è sempre Cristo.
Paolo, vive in questo ambiente ellenistico, parla e scrive correntemente la lingua greca, e in modo non tanto
semplice. La sua conoscenza delle S. Scritture è quella della traduzione greca dei LXX (dall’ebraico). Il suo
appartenere questo ambiente fa sì che lui abbia un’apertura mentale notevole; fa sì che Dio abbia preparato la
persona adeguata per annunciare il Vangelo alle genti.
Paolo appartiene a Tre mondi culturali: mondo religioso-ebraico, al mondo culturale-greco, e anche un cittadino
romano (mondo romano). La cittadinanza romana era un privilegio riservato a pochi ebrei, che permetteva in
contesti particolari di avere privilegi, diritti, riconoscimenti che collocavano la persona cittadino romano molto al di
sopra dei civili comuni. Probabilmente l’ha ereditato dal suo nonno. Paolo non fa raramente ricorso a questa sua
prerogativa. Es. nel processo, prigionia: diritto di ogni cittadino romano ad appellarsi a Cesare, per questo viene a
Roma (ultimo o penultimo viaggio, se non è andato in Spagna).
Questi tre mondi vuol dire per Paolo grande possibilità culturale di annunciare il Vangelo fuori ai confini e distretto
d’Israele, grande capacità dialettica e retorica, grandi conoscenze, grandi possibilità di viaggiare, grande capacità di
utilizzare di volta in volta la propria appartenenza a un mondo o a un altro. Però conservando, dal momento della
sua conversione, la propria identità strutturale, la propria verità religiosa di fondo.
Paolo è un uomo fortemente fedele a se stesso e alla propria verità, sia prima sia dopo la conversione . Prima
della conversione Paolo non era un uomo moralmente depravato. Paolo, prima dell’evento a Damasco, faceva quel
che faceva perché era convinto di dar gloria a Dio; pensava che la Legge lo portasse a render gloria a Dio uccidendo i
cristiani. La sua conversione non è nell’ordine morale ma nell’ordine della GRAZIA.

2° Sessione

A. Tra gli anni 34-36 dc l’evento centrale, costitutivo dell’incontro con Cristo sulla strada di Damasco.

B. Dal 36-46 dc è il primo periodo cristiano di Paolo. Cf. Gal 1,13-2,14. Qui Paolo parla degli anni precedenti che
è l’esperienza del nascondimento. Dopo la conversione Paolo si ritira nel deserto. È un elemento comune a tante
vocazioni profetiche e missioni nell’AT e NT. Es. 1 Re 17,1: Dio chiede a Elia “vai a nasconderti al torrente Cherit..”
C’è un periodo di gestazione, nascondimento all’origine di ogni missione. Ogni missione si nutre prima di tutto di
silenzio, di preghiera, solitudine.

Il NASCONDIMENTO CRISTIANO di Paolo: la fecondità della missione per Paolo è resa più evidente
da due particolari.

Primo: il fatto che Paolo veniva da un capovolgimento radicale – perseguitava i cristiani in nome del Dio d’Israele;
allora serviva questo periodo formativo per cambiare mentalità, anche per lasciarsi affidare ad altri per essere
formato. Infatti, sarà accompagnato nel primo viaggio missionario da Barnaba, che da garanzia e sicurezza a Paolo
nel ministero pastorale, e per dare fiducia alla comunità cristiana.
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Secondo: veniva dall’accostamento all’esempio biblico di Elia. La vocazione di Elia era strana; compare sulla scena
biblica in modo improvviso: “Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Gàlaad, disse ad Acab: "Per la vita del Signore, Dio
di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io". 
(letteralmente Eb.: “se non sulla parola della mia bocca”). Elia, di carattere impulsivo, irruente come Paolo, prende
l’iniziativa; non c’era un mandato da Dio. Il profeta era colui che doveva riferire la “parola che esce dalla bocca di
Dio”. Allora, Dio gli chiede di aspettare e a nascondersi, e impara a lasciarsi nutrire, per conoscere chi è il Signore e
chi è il profeta.
La stessa cosa succede per Paolo: la conversione per lui è questo passaggio dall’IO al TU; cioè cambiar il
fondamento, la piattaforma su cui fondare la vita religiosa, spirituale, e apostolica di Paolo. Paolo non si era
presentato al re come Elia, ma perseguitava i cristiani in buona fede. Perciò da questa sua situazione che il Signore
Gesù è entrato nella sua vita: Guarda che non è il tuo progetto di vita che ti fa un buon ebreo e buon uomo
religioso, non è il tuo merito e le tue opere che ti santificano, ma c’è prima di tutto il comandamento nel Dt 6 che
dice al buon Israelita (e un buon Israelita lo ripete 3 volte al giorno) “Ascolta, Israele, il Signore tuo Dio è l’unico Dio:
tu Lo amerai con tutto il tuo cuore….”.

Allora, la prima necessità della conversione (per un buon ebreo e cristiano) è questo nascondersi per ascoltare:
lasciati formare, insegnare, che la Parola di Dio parli a te, lasciati incontrare da Dio che entra in dialogo con te.
Es. Lc 10,38-42: episodio di Marta e Maria. Marta che è zelante e lavora molto, però è frantumata interiormente
perché è tutta presa dai molti servizi. Gesù loda non tanto la vita contemplativa rispetto ala vita attiva, non la
preghiera rispetto al lavoro, però dice chiaramente che Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta: è la
parte dell’ASCOLTO: ascoltare prima di fare. Il tuo zelo che ti porta al fare, è un falso zelo (di orgoglio, superbia) che
ti porta fuori strada.

Lc 10,25-37: La Parabola del Samaritano: Un dottore della legge domanda: “ Maestro, che cosa devo fare per
ereditare la vita eterna?”
Mette il fare come il fondamento della vita spirituale. È la domanda del Saulo di Tarso prima della conversione.
Gesù risponde con altre domande non focalizzata sul fare. “Che cosa sta scritto nella legge? Come vi leggi?” cioè,
come ti avvicini all’ascolto. Cioè, prima ascolta ciò che Dio ti dice, poi fai quello che hai ascoltato. Come leggi? C’è
un modo di leggere dei farisei e degli scribi che in realtà è senza l’interiorità, non ascoltano, non obbediscono. Il
verbo ebraico Shema = ascoltare, interiorizzare, custodire, e fare, mettere in pratica. Non esiste nella lingua ebraica
un verbo che vuol dire obbedire. A Gesù non interessa tanto il fare ma la docilità: mettiti in atteggiamento di
ascolto, prima di tutto, della volontà di Dio (preghiera, discernimento); ma questo ascolto non è sterile. Al dottore
della legge Gesù ha detto: "Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai". Ma è un fare che viene dopo l’ascolto, come
conseguenza.
Nella Parabola del Samaritano, il Levita e il Sacerdote non si sono avvicinati all’uomo ferito perché pensavano di dar
gloria a Dio non toccando il sangue del ferito. Perché c’era la legge di purità rituale a chi è di turno nel Tempio di
non contaminarsi col sangue di un uomo ferito. Il dramma è che sono convinti che Dio chiede a loro di non aiutare,
di non amare.
Se il fare non nasce da un ascolto attento, sincero, umile, senza pretese, senza pregiudizi, senza sapere che cosa mi
verranno a dire – rischia di produrre dei mostri nella religiosità. Paolo era così: uccide pensando che si rende gloria a
Dio. Allora, immediatamente dopo la conversione, a Paolo serviva questo nascondimento, per formare l’uomo e il
credente Saul, prima ancora di formare l’apostolo e il missionario Paolo.

C. Dal 46 dc in poi parte l’avventura apostolica e missionaria di Paolo. Conosciamo tre viaggi apostolici di Paolo.

 46-49 dc - PRIMO VIAGGIO MISSIONARIO


Cf. Atti 13-14: Al termine del viaggio, nell’anno 49 dc, c’è un evento importante che si legge in Atti 15 e Galati 2
che è il CONCILIO DI GERUSALEMME. È la pietra miliare importante dal punto di vista personale di Paolo perché è il
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momento di confronto con la prima comunità apostolica primitiva, e anche di scontro. Paolo dimostra il suo
carattere forte, determinato, tenace, quando questa determinazione e tenacia sono messe al servizio dell’ascolto.
Non è più farsi forte nelle proprie idee, ma farsi forti nell’ascolto di Dio, che è convinto di ciò che Dio vuole
attraverso di lui.

 Da 49-52 dc: SECONDO VIAGGIO MISSIONARIO


Non sono lunghi viaggi di tre anni, ma c’è una lunga sosta nella comunità di Corinto. Atti 15-18: Anno 51 dc.
collochiamo la NASCITA DEL NUOVO TESTAMENTO, con la composizione della 1 Tessalonicesi di Paolo (che è
ritenuta il primo libro scritto del NT, prima ancora dei Vangeli). Si vede anche la testimonianza come si tende verso
la parousia: all’inizio degli anni 50 dc, alcuni cristiani aspettavano come talmente immanente il ritorno glorioso del
Cristo glorioso, la parousia, l’escatologia, il giudizio finale, che molte lasciavano la loro attività, abbandonavano le
loro famiglie e case per aspettare il ritorno di Cristo oziando allegramente, e alcuni digiunavano, soffrivano,
facevano penitenza, ecc. La Chiesa Madre è Gerusalemme, ma la culla del cristianesimo nascente è l’Antiochia,
dove per la prima volta i discepoli furono chiamati “cristiani”). Paolo, dopo la sosta in Antiochia nel 54 dc, Polo
riparte pr una terza spedizione missionaria.

 Da 54 dc: TERZO VIAGGIO MISSIONARIO


Comprende una lunga sosta alla città di Efeso. Con Corinto e Efeso il cristianesimo/vangelo è entrato in Europa.
Atti 18-21. Il viaggio si conclude in maniera burrascosa perché nel 58, proprio a Gerusalemme Paolo viene arrestato
e le fasi del processo viene raccontato in Atti 22-23. Accade che Paolo prigioniero a Cesarea marittima, si appella a
Cesare per diritto romano e quindi viene trasferito a Roma. Periodi certi sono 58-67 dc. della prigionia di Paolo:
arresto a Gerusalemme, prigionia a Cesarea marittima, e trasferimento in Italia. Nel trasferimento in Italia, ci sono
stati i naufragi alle isole di Malta, lo sbarco a Pozzuoli, e, secondo la tradizione il martirio a Roma verso il 67 dc. Ci
sono le ipotesi del progetto di viaggio in Spagna che ne parla Paolo stesso.
Gli ultimi capitolo degli Atti parlano della prigionia e del viaggio Atti 24-28, che si conclude con il naufragio e la
prigionia.

Conclusione: La Biografia sommaria di Paolo si trova in:


1) Atti degli Apostoli
[Tra 5-10 dc: Nascita di Paolo; non c’è negli Atti]
34-36 dc: Evento di Damasco: Conversione di Paolo
36-46 dc: Nascondimento nel deserto……………..……………………………………………... Galati 1,13-2,14
46-49 dc: Primo viaggio missionario (Concilio di Gerusalemme) ……………………… .Atti 13-14
49-52 dc. Secondo viaggio missionario (Nascita del NT con la 1 Tess.) ……………… Atti 15-18
54 dc in poi: Terzo viaggio missionario …………………………………………………………….. Atti 18-21
58-67 dc: Prigionie di Paolo ……………………………………………………………………………… Atti 22-23
67 dc: Martirio a Roma Atti 24-28
2) Galati 1,13-2,14 - Primo periodo cristiano di Paolo

Ora bisogna collocare Due Punti di Vista particolari:


1. L’Epistolario paolino (Corpus Paulinum): come strumento di conoscenza di Paolo e del Vangelo di Paolo.
2. L’Episodio della conversione: che cosa è significato per Paolo nel racconto biblico.

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L’EPISTOLARIO PAOLINO

 Comprende 14 Lettere che non sono tutti di Paolo: Formano il Corpus Paulinum

 7 Lettere Proto-Paoline : sono attribuite a Paolo come autore/scrittore. Non è detto che siano gli unici, può
darsi che alcune lettere siano di Paolo. Però la paternità paolina di queste altri documenti è messa in
discussione.
 Romani: lettera dottrinale
 1- 2 lettere ai Corinzi: ma in realtà ci sono altre due lettere ai Corinzi che sono andate perdute,
ma i Corinzi le hanno ricevute probabilmente.
 Galati
 Filippesi
 1 Tessalonicesi
 Filemone

 6 Lettere Deutero-Paoline o Pseudo-Paoline: vanno sotto il nome di Paolo ma forse non sono di Paolo.
Sono canoniche e sono nate al tempo paolino.
 Efesini
 Colossesi
 2 Tessalonicesi
 1 - 2 lettere a Timoteo
 Tito

 Lettera agli Ebrei: non è di Paolo

Che cosa vuol dire Genere Letterario?


Vuol dire che quando uno si accinge a redigere uno scritto letterario, si usano delle tecniche o si osservano delle
regole particolari, o linguaggio particolare a secondo dello scopo che si prefigge. [Es. Quando si narra un
incidente, questo stesso avvenimento può avere diversi generi letterari: verbale della polizia, testimonianza
oculare, articolo di giornale, lo storico].
Quelle di Paolo sono maggiormente lettere, epistole, che fondamentalmente è una lettera profana con alcune
caratteristiche particolari.

QUATTRO PARTI FONDAMENTALI DELLA LETTERA (in genere e anche di Paolo)


1. Introduzione: saluti; è più teologico
2. Parte Dottrinale: il contenuto del vangelo di Paolo, approfondisce il kerygma
3. Parte Parenetica: esortativa, morale
4. Conclusione: più dedicata ai saluti finali

SCHEMA CLASSICO GRECO/EBRAICO DEL SALUTO INTRODUTTIVO:


1. Mittente: (per gli ebrei shalom, benedizioni)
2. Destinatario
3. Contenuto del Saluto: formula di saluto: chairein (rallegrati), charis; (Lat) salve, vale,
Paolo fonde insieme queste diverse metodologie, ma lo fa arricchendo a volte in modo inusuale.
Esempio:

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Mittente: Paolo…. ai Tessalonicesi…. Saluti! Ma, Paolo aggiunge qualche cosa che già dice chi è Paolo; pace,
benedizioni, saluti; fa riferimento a Cristo Signore, allo Spirito Santo. Di per sé ha già una dimensione teologica
notevole.

DITTICO: due tavole dello stesso documento:

1. Parte DOTTRINALE: Es. Gal, Rom. sono molto dense e sviluppate. Questa parte approfondisce il contenuto
kerygmatico; è il Vangelo di Paolo, l’annuncio missionario. È la parte che dice Chi è Cristo?
Che cosa è la Chiesa? Che fa lo Spirito Santo nella Chiesa e nei cuori dei credenti?
2. Parte PARENETICA: significa esortazione, etica, morale. È la parte più pratica: dei consigli di vita cristiana. Come
comportarsi da cristiani?

Perché Paolo usa queste due sezioni nelle sue lettere? Che rapporto hanno?
Perché stanno in un rapporto di causa e effetto, un rapporto consequenziale. Per Paolo, prima, viene l’annuncio,
dottrina (INDICATIVO), poi dopo, viene la morale (IMPERATIVO). Il vangelo di Paolo è kerygma; Buona notizia!
Indicativo: “Cristiano, tu sei figlio di Dio; scopri la tua dignità di figlio di Dio.”
Imperativo: “Se sei figlio, allora di conseguenza, vivi da figlio!”
Benedetto XVI: Deus Caritas Est: “Il cristianesimo non è una serie di norme, non è una raccolta di precetti o di
leggi, non è codice morale; ma la morale del cristiano è conseguenza della sua dignità” [e del suo essere figlio di
Dio].

Perché Paolo scrive alle comunità cristiane?


Paolo scrive per: formare, educare, annunciare il Vangelo di Cristo (Paolo è l’uomo sia del kerygma sia della
catechesi, però rinuncia a questo secondo compito), per radicare nella fede, consolidare nella vita evangelica,
correggere, rimproverare, incoraggiare, esortare, consolare, per la gioia di ringraziare: “sono contento del vostro
cammino”, “sono contento di essere stato con voi”, per la gioia di condividere.
Al di là della preoccupazione relazionale di Paolo per i suoi interlocutori, c’è sempre la preoccupazione al ruolo della
paternità e figliolanza, cioè di padre della fede, di colui che li ha generati alla fede in Cristo Gesù. Paolo scrive
sempre a partire dalla coscienza di essere ministro di Cristo, responsabile della crescita e della diffusione del
Vangelo di Cristo nelle varie comunità cristiane.

CARATTERISTICHE DEL SALUTO di PAOLO


Normalmente nel saluto iniziale si scrive chairein (rallegrarsi, gioire). Paolo usa non il verbo, ma il sostantivo charis,
GRAZIA, perché insiste sulla gratuità dell’amore di Dio. Paolo fa sempre riferimento all’esperienza di conversione.
Questa grazia è così potente che condiziona, investe tutta la vita quotidiana di Paolo, anche i saluti che fa.
In Gal 2,20 “Mi ha amato e ha dato Se stesso per me!”
Paolo si presenta, più che uno che saluta, come un Sacerdote che benedice la comunità. Le lettere erano scritte per
essere lette e commentate nell’assemblea liturgica, nella catechesi, perché il presidente della comunità le leggesse
e le spiegasse, come una specie di lectio divina (prima ancora che le lettere di Paolo venissero a far parte del
canone delle scritture ispirate). Paolo ha questo rapporto con le singole comunità e i singoli personaggi. È il
Sacerdote che benedice, il mediatore della grazia divina e l’annunciatore del Vangelo.
Talvolta, questa introduzione serve anche a introdurre la lettera stessa. Cf. 1 Cor. Vuole dire che per lui il saluto
introduttivo è più che una formalità. Fin dalle prime battute ha la coscienza di scrivere, in quanto ispirato, centrato
sul messaggio del Vangelo che annuncia, è centrato anche sull’interlocutore a cui scrive, perché non scrive le stesse
cose, e non a tutte nello stesso modo. C’è il tempo per ogni messaggio e c’è un messaggio per ogni comunità, e c’è
un linguaggio per ogni messaggio, per ogni destinatario.

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Paolo è doppiamente sintonizzato quando scrive, sia con il Vangelo a cui vuol essere fedele, ma vuol essere fedele
anche alla comunità/persona a cui scrive, anche se non ha conosciuto personalmente l’interlocutore. A Paolo
interessa che il Vangelo raggiunga tutti.
RoCoCo GalEFi ColTeTe; TimTim TiFilEb; GiaPiPi; GioGioGio; Giu; Ap

LA CONVERSIONE DI PAOLO
3° Sessione

Chi è Paolo?
La conversione è l’argomento della coscienza che Paolo ha di se stesso come uomo, cristiano, missionario, apostolo,
annunciatore del Vangelo. Dobbiamo far riferimento a quell’evento sulla strada di Damasco. La conversione di
Paolo è un evento talmente personale che lo sappiamo soltanto attraverso le testimonianze, dai riferimenti biblici.

DUE CLASSI DI TESTI:


A. Triplice racconto dagli Atti degli Apostoli nei capitoli 9, 22, 26 – in modo diretto.
B. Due testi: 1 Cor 15,3ss e Gal 1,11ss – in modo indiretto

A. TRIPLICE RACCONTO DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLI: Modo diretto


Le componenti antropologiche e teologiche (meno quelle psicologiche).
Togliamo subito un equivoco di fondo: quel che è cambiato non è un fatto esterno della condotta di Paolo: prima
perseguitava i cristiani, poi si è convertito e ora si allea ai cristiani e non li uccide più. La conversione non è a un
livello morale, ma a un livello assiologico, cioè di scala di valori. Qual è il valore fondamentale su cui basare la mia
religiosità? Il valore ultimo da cui partire e dare importanza nella mia umanità?
Dal punto di vita morale, non è come quello di S. Agostino: da una vita dissoluta a una vita buona. Perché dal punto
di vista soggettivo, della sua coscienza, Paolo viveva una vita già morale: un buon giudeo, un buon fariseo, talmente
zelante dell’osservanza della legge che perseguitava coloro che si mettevano contro la legge ai suoi occhi. Da questo
punto di vista cambia semplicemente l’appartenenza, dal giudaismo al giudeo-cristianesimo.
Dal punto di vista assiologico, cambia il fondamento della vita spirituale e religiosità di Paolo. Prima della sua
conversione, era il merito il fondamento: quello che faccio, che realizzo, era la sicurezza della legge. Non è un
prospettiva del tutto sbagliata o cattiva moralmente, ma è limitata. Paolo si accorge che quello su cui si fondava non
poteva essere la salvezza. Le mie opere, giustizia, l’ osservare la legge, non può bastare per salvarmi.
Ora il valore supremo diventa l’esperienza della grazia. Questa è la conversione per Paolo. Fare esperienza della
grazia che capovolge la logica della legge, del merito. Che questa grazia mi è stata data gratuitamente, che sono
amato così come sono. Io, ultimo, persecutore dei cristiani, faccio esperienza di Dio che scende dal trono e mi viene
incontro senza sulla via di Damasco e mi dice. “Tu sei quello che sei, tu sei pieno di difetti, tu hai una visione parziale
della giustizia della tua e della Mia, ma io ti amo al punto che sono morte per te per salvarti.” Questo è il
capovolgimento radicale della vera conversione di Paolo.
Al nuovo testamento non interessa tanto raccontarci ciò che è avvenuto di preciso a Paolo sulla via di Damasco:
l’apparizione concreta, la visione, ciò che ha sentito, quanto è durata, i testimoni. Ci sono anche delle indicazioni di
questo tipo, ma quello principale è che questo avvenimento segna il capovolgimento dal primato del merito e della
legge al primato della grazia. Ma non è semplicemente di grazia, ma ESPERIENZA DI GRAZIA! Paolo si converte nel
momento in cui tocca con mano, nella propria carne, nella propria vita concreta la verità di questo primato della
grazia: che la grazia è una persona viva, che si presenta sulla sua strada. E proprio in quella strada, in quella sua
umanità, in quella logica e mentalità, la grazia lo previene. E l’incontro della persona di Gesù Cristo Risorto,

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l’incontro con il mistero pasquale di Cristo. Allora, fare l’esperienza della grazia e l’evento fondamentale della sua
conversione.

Se leggiamo in parallelo i tre racconti degli Atti, troviamo una serie di elementi comuni.

Atti 9 Atti 22 Atti 26

E avvenne che, mentre era in viaggio e Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a In tali circostanze, mentre stavo andando a
stava per avvicinarsi a Damasco, Damasco, verso mezzogiorno, Damasco con autorizzazione e pieni poteri
all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse da parte dei sommi sacerdoti, verso
attorno a me; mezzogiorno
[4] e cadendo a terra udì una voce che gli
diceva: "Saulo, Saulo, perché mi [7] caddi a terra e sentii una voce che mi [13] vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo,
perseguiti?". diceva: Saulo, Saulo, perché mi più splendente del sole, che avvolse me e i
perseguiti? miei compagni di viaggio.
[5] Rispose: "Chi sei, o Signore?". E la
voce: "Io sono Gesù, che tu perseguiti! [8] Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io [14] Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo
sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. una voce che mi diceva in ebraico: Saulo,
[6] Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà Saulo, perché mi perseguiti? Duro è
detto ciò che devi fare". [9] Quelli che erano con me videro la luce, per te ricalcitrare contro il pungolo.
ma non udirono colui che mi parlava.
[7] Gli uomini che facevano il cammino con [15] E io dissi: Chi sei, o Signore? E il
lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la [10] Io dissi allora: Che devo fare, Signore? Signore rispose: Io sono Gesù, che tu
voce ma non vedendo nessuno. E il Signore mi disse: Alzati e prosegui perseguiti.
verso Damasco; là sarai informato di tutto
[8] Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, ciò che è stabilito che tu faccia. [16] Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono
non vedeva nulla. Così, guidandolo per apparso infatti per costituirti ministro e
mano, lo condussero a Damasco, [11] E poiché non ci vedevo più, a causa del testimone di quelle cose che hai visto e di
fulgore di quella luce, guidato per mano dai quelle per cui ti apparirò ancora.
miei compagni, giunsi a Damasco.

La prima differenza sostanziale: La PERSONA di Paolo.


Il Cap. 9 è raccontato in terza persona. Luca che lo narra. nel Cap. 22 e 26, il racconto passa ad essere in prima
persona. Ma qui non è Paolo che parla in prima persona. È Luca che lo fa parlare in prima persona, il che vuol dire
che Luca attribuisce in tutta la storia dei 28 capitoli degli Atti degli Apostoli un’importanza eccezionale a questo
avvenimento. È l’unico che viene ripetuto per ben tre volte con vari particolari. Il far parlare a Paolo in prima
persona ha un forte impatto sul lettore. E come se Luca dicesse: “Fermati su questo racconto perché ti racconta la
persona che l’ha vissuta”. Luca con più probabilità l’avrà sentito raccontare da Paolo. E vuole insistere che nella
storia della chiesa primitiva l’evento più importante è la conversione di un uomo. Raccontando le meraviglie della
diffusione del Vangelo negli Atti fuori della terra d’Israele, non solo fino al Concilio di Gerusalemme ma nella
missione apostolica tra i pagani in quasi tutto l’Europa, in fondo, Luca non fa altro che annunciare: “Guardate che
meraviglie può compiere la conversione di un solo uomo, di una sola persona che supera la logica del merito e si
lascia toccare il cuore e cambiare tutto!”

Primo elemento comune nei tre racconti è la metafora della LUCE:


La visione della luce sta magnificando, amplificando: c’è qui una tecnica narrativa simbolica importante. Significa
che: più va avanti la storia della chiesa e la missione di Paolo, più si chiarisce la coscienza di questo senso della
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chiamata e conversione; più diventa contagiosa questa conversione. La conversione, l’evento di Damasco
storicamente inteso, non è un evento del passato, bensì un seme destinato a crescere e dare frutto. È una luce
iniziale destinata a crescere nella vita di Paolo e delle vicende della storia della Chiesa. È una conversione intesa nel
senso dinamico, cioè delle conseguenze di questa conversione. Questa è una funzione simbolica-narrativa che ha le
sue conseguenze dal punto di vista teologico. Ci aiuta a capire come Luca vuole che intendiamo la conversione di S.
Paolo.

Che cosa significa dal punto di vista teologico-simbolico l’elemento della luce?
Nella Sacra Scrittura, e nell’opera Lucana, la luce ha due caratteristiche primordiali:
(1) La luce è segno di vita (anche dal punto di vista psicologico-morale), soprattutto nell’opera giovannea.
(2) La luce è rivelazione, segno di conoscenza; ci permette di vedere, aver accesso alla realtà.
È con questo secondo che Luca intende la conversione di Paolo perché, per Paolo, la conversione non è stato un
atto di volontà, una decisione o scelta sua, ma è stata una illuminazione: Cristo il Risorto gli è venuto incontro, si è
fatto conoscere a lui. La luce è un elemento fondamentale per il momento della conversione. L’accento è su Dio, su
Cristo che si rivela. Non è assente del tutto del simbolo della luce come vita perché è sempre quell’irrompere della
rivelazione, conoscenza, incontro personale con Cristo che ha segnato per Paolo, non solo una vita nuova, ma la
stessa possibilità di vivere in pienezza. Quindi la luce mantiene questa duplice portata teologica.

Secondo elemento comune: CADERE A TERRA


Non c’è il cavallo ma c’è il racconto che Paolo cade a terra. Qui non c’è soltanto un fatto fisico. All’origine dobbiamo
supporre un’esperienza spirituale-mistica particolare in cui probabilmente e realmente Paolo cade a terra. Se è
caduto solo lui o tutti, questa ha poca importanza per la nostra teologia. Però dal punto di vista spirituale,
l’esperienza di Paolo non è soltanto quel cadere a terra; è stato tutto il processo interiore che è venuto di
conseguenza. La maturazione interiore - sofferenze, dubbi, domande, le azioni spirituali - a cui Paolo ha dovuto
sottostare: è un processo interiore molto lungo. Però c’è un elemento iniziale che è il cadere a terra: la luce lo
folgora, lo colpisce in modo tale da farlo cadere a terra. È uno espediente letterario molto usato dalla Bibbia, sia
dell’AT che nel NT. Nell’AT ci sono molti racconti teofanici, di apparizioni della divinità, del Dio d’Israele, in cui
l’uomo cade a terra, o per lo spavento, terrore, timore davanti all’esperienza del divino, oppure si prostra a terra
volontariamente in adorazione. Questa è la condizione dell’uomo davanti a Dio: cadere a terra. Paolo raggiunge con
la conversione quella che è la dimensione vera dell’uomo davanti a Dio. Paolo si prostra a terra, ma è talmente
sconvolto, accecato, riverberato, stupito, sorpreso da questa luce, che cade a terra. Gli cade un sistema di valori,
una mentalità, un modo di vita, una appartenenza religiosa al popolo e alla legge d’Israele. Quindi, questo atto non
sottovalutiamo tanto come un cadere da cavallo, un fatto fisico, ma l’inizio di un processo di conversione che ha
sconvolto radicalmente la vita di Paolo, la sua scala di valori. Non solo lo sconvolgimento di scala di valori ma di un
raggiungere l’umiltà. L’umiltà deriva da humus, terra. L’essere impastato di humus è la condizione creaturale,
simbolicamente, di peccatore di ogni uomo.

Terzo elemento comune: La VOCE DAL CIELO


Udire la voce dal cielo chiarisce il perché del cadere a terra, cioè faccio esperienza del Dio che mi parla. La voce, il
parlare di Dio è un altro elemento di rivelazione, perché parlando, faccio conoscere qualcosa e soprattutto mi faccio
conoscere. Il Dio che parla è il centro della rivelazione del Dio d’Israele. “Una voce dal cielo mi diceva”: cioè, Paolo
prende coscienza che Dio entra in dialogo personale con lui e si presenta espressamente come il vero Dio d’Israele
e non un altro. . È la conferma del Dio vero che lui ha attinta dalla lettura, meditazione e studio dell’antica alleanza;
del Dio in cui crede, il Dio dell’AT che era Parola, al punto che il comandamento principale del Dio d’Israele è
“Ascolta Israele!” “Shema” (Dt. 6), Dio parla, l’uomo è colui che ascolta.
Nel NT, Giovanni ha sottolineato la missione dell’umanità di Cristo, dell’incarnazione, come una missione di
rivelazione; il Prologo dice: “In principio era il Logos”… che viveva interamente nel cuor di Dio e che si è fatta carne,
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nell’umanità di Gesù Cristo. Dio è Parola nel profondo del suo essere. Dio è amore, ma proprio perché è Amore è
volontà di comunione, desiderio di relazione, di manifestarsi con l’altro anche fuor da Sé, dalla Trinità.
Nell’economia della salvezza, Dio è Parola.
“Una voce dal cielo”: dice tutta la verità dello sconvolgimento della vita di Paolo: Ho conosciuto chi è questo Dio!
Che ho fieramente servito perseguitando i cristiani; che ho studiato a traverso l’approfondimento quotidiano della
Scrittura alla scuola di Gamaliele. Adesso, non è più l’oggetto di studio ma è una persona viva che mi parla, che
entra in comunione con me. Da punto di vista antropologico, il parallelo di questa esperienza di Paolo con
l’esperienza della donna Samaritana (Gv 4): quando essa desidera conoscere chi è il Messia che deve venire, Gesù le
risponde “Sono Io che ti sto parlando”, che ho preso l’iniziativa di entrare in comunione con te; non sei tu che ha
cercato ma. Il parlare per primo è il segno di questo Dio che è mosso dalla volontà di comunione, di dialogo con
l’uomo.
Questa è la prima esperienza di Paolo nel momento della conversione. Prima, Paolo ha studiato questo Dio da
fariseo osservante della Legge e conoscitore di essa: ha approfondito Dio, ha capito bene com’era fatto, come si
chiamava, cosa lo caratterizzava .. Adesso questo Dio diventa animato, che personalmente gli parla e lo chiama per
nome.
Anche le parole che Dio dice nella visione della luce dal cielo a Paolo si ripetono tale quale nei tre racconto con una
amplificazione nel terzo racconto. La domanda fondamentale è espressa nei tre capitoli 9,22,26.

"Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Due elementi da sottolineare:

(1) La Chiamata per nome "Saulo, Saulo…”: sentirsi chiamare per nome sulla via di Damasco significa: (a) Dal
punto di vista del Nome in se stesso: significa la chiamata personale; vivere un’esperienza di amore personale,
irripetibile, unica, esperienza della conversione che non è quella che vivono tutte nell’esperienza religiosa. “È una
chiamata per me”, questo ha capito Paolo. (b) il nome viene ripetuto, quasi come uno sguardo penetrante (da
radiografia!) di amore e di rimprovero allo stesso tempo. Dal punto di vista soggettivo, del rapporto tra Cristo e
Paolo: è un’esperienza come quello di incontrare una persona che ti guarda con quello sguardo interiore, che ti
legga e che dolcemente ti rimproveri, ti dica la verità di quello che stai vivendo. L’obbiettivo è come dire: “Fermati!
Accorgiti di quel che stai vivendo.” Il linguaggio biblico conosce questa ripetizione immediata. Es: Quando
l’evangelista vuole sottolineare l’importanza delle parole di Gesù: “In verità, in verità vi dico!”. Questa ripetizione
scuote l’attenzione del lettore, costringe a fermarsi; è un segnale linguistico di far attenzione che qui c’è una cosa
molto importante da non perdere.

(2) “Perché mi perseguiti?”: è il nodo della questione che ha anche fare con la chiamata non come un affare
astratto, ma an che con la condotta di vita di Paolo, soprattutto con la logica del comportamento. E come se Gesù
dicesse a Paolo: “Io ti amo così come sei. Se mi riconosci come amore personale, some Salvatore, perché mi
perseguiti?” La condotta logica è risposta all’amore che chiama personalmente. La conversione vera e autentica
nasce da qui. Non solo dall’ebraismo al cristianesimo. Ma la conversione del cuore nasce dall’esperienza personale
dell’amore che esige e richiede una risposta sulla stessa linea dell’amore. (È uguaglianza d’amore!)
Si aggiunge alla domanda: “Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo.”: cioè, non metterti in testa di fondare tutto
sulla tua volontà sulle tue scelte che sbatterai continuamente la testa contro il muro. Alla fine, sarai sempre
costretto a renderti conto di quello che è la mia strada per te. Inutile intestardirti perché Io sono un Dio e tu uomo,
io Spirito e tu carne, Io il Creatore tu la creatura. Es. il figlio prodigo della parabola (Lc 15). L’iniziativa e la condotta
di ogni uomo appartiene esclusivamente a Dio. Quindi, se Dio è Colui che “Parla”, la condizione dell’uomo è la
docilità dell’ascolto; di rimanere figlio, obbediente, docile, lasciarsi portare dalla voce di Dio.
Paolo risponde nei tre racconti con una contro-domanda: "Chi sei, o Signore?". E la voce dal cielo risponde: "Io
sono Gesù, (il Nazareno) che tu perseguiti!”.
È una rivelazione, come l’elemento della luce, della voce. La conversione non è un cambiamento morale ma è
l’incontro con una persona. Approfonditamente, è imparare a conoscere una persona vivente. Per questo è
importante capire il processo della conversione di Paolo come una storia dinamica e non semplicemente come un
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fatto accaduto sulla strada di Damasco, ma qui è solo iniziato un processo di conoscenza di Cristo. La risposta e la
domanda dicono questo fondamentalmente: Chi sei, o Signore? Dice il bisogno di conoscere; il riconoscimento da
parte di Paolo che non conosce ancora Gesù. Paolo lo chiede perché non lo conosce ancora. Nella mentalità
semitica, chiedere il nome significa conoscere il mistero dell’identità dell’altra persona. Il nome ha qualcosa di sacro
nel linguaggio biblico. Es. Genesi 32: Giacobbe lotta con un essere misterioso. C’è la domanda sul nome alla radice
della lotta – incontro e scontro . Giacobbe pretende di sapere il nome dell’altro: “Dimmi chi sei”. Questa pretesa
rimane senza risposta dall’avversario (che si rivelerà Dio poi nella parte posteriore del racconto). Invece, l’angelo
chiede Giacobbe “come ti chiami” e Giacobbe si consegna, dice il suo nome, ricevendo in eredità un nome nuovo:
“Non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele”. L’uomo è conosciuto da Dio (rivelazione del nome da parte dell’uomo)
ma, l’uomo non può pretendere di impossessarsi del nome di Dio. Anche nel decalogo è fermo questo: Non puoi
abusare del nome di Dio. Non puoi entrare direttamente con la tua volontà nel mistero di Dio. Dio non LO si può
“comprendere” (latino: delimitare, circoscrivere, racchiudere dentro un‘idea o conoscenza).
"Chi sei, o Signore?": è la verità di ogni uomo, e dell’uomo religioso in modo particolare. È il desiderio insito nella
natura stessa dell’uomo; desiderio di conoscere l’altro, di entrare sempre di più in comunione con l’altro. (l’uomo è
capax dei).
Il Cristo Risorto si rivela: "Io sono Gesù, (il Nazareno) che tu perseguiti!”. È bellissima questo dialogo perché è come
fargli cadere in un attimo le squame dagli occhi, anche se queste se le porterà per tre giorni; l’esperienza lo
sconvo0lge talmente che deve camminare al buio per un certo periodo perché la rivelazione è progressiva, la luce di
Dio (anche nell’AT) è talmente forte che non puoi guardarla con gli occhi nudi altrimenti rimarrai accecato. Allora,
questo dialogo dice che, all’origine della conversione, c’è il desiderio umano di conoscere il mistero di Dio e Dio si
rivela come una persona, un’umanità, nel suo lato visibile: in Gesù.
“Che tu perseguiti!”: (1) È legata questa azione diretta di Dio all’azione concreto di Paolo, Cioè, il tuo penetrare
nella profondità di Dio non è senza conseguenza nell’agire pratico quotidiano. Vuol dire: la preghiera, la conoscenza
di Cristo e l’azione sono strettamente legate. (2) Paolo non perseguita direttamente Gesù, non Lo conosce neppure.
Da buon religioso osservante, perseguita e uccide i cristiani. Mt. 25 c’è la stessa identificazione tra Cristo e il povero,
tra Cristo e l’umanità oppressa. “Una volta che l’avete fatto (o non l’avete fatto) ai miei fratelli più piccoli, l’avete
fatta (o non l’avete fatta) a me”. "Io sono Gesù, (il Nazareno) che tu perseguiti!” : è questa identificazione; l’amore
di Dio e l’amore del prossimo sono due facce della stessa medaglia. Povero Paolo! Per quello cade a terra, ecc. deve
ricominciare a vederci chiaro. È un’esperienza davvero sconvolgente nella vita di Paolo. “… il Nazareno..” sottolinea
maggiormente l’umanità di Gesù, che è vissuto nel tempo e luogo concreto.
Atti 2615: “Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti.”: identifica teologicamente il
Gesù perseguitato con il Signore. “Il Signore” è un termine importante: è il Dio trascende dell’AT: il tetragramma
YHWH, il tre volte santo, viene tradotto dal LXX come il Kyrios, il Signore, la signoria, maestà di Dio, nome sacro:
applicata all’uomo Gesù di Nazareth, figlio di Dio, che è riconosciuto nella Chiesa primitiva come Kyrios, Signore,
con il mistero pasquale. Nei Vangeli Kyrios è il nome pasquale di Gesù, riferita dalla Chiesa post-pasquale, quindi
segno della divinità e potenza di Dio che vince la morte, della vittoria della risurrezione sulla morte, e quindi segno
del Cristo glorificato e asceso al cielo. Allora, l’incontro con Gesù nella conversione non è soltanto con Gesù
perseguitato, ma con Gesù Risorto, il Vivente.

Duplice dimensione della conversione di Paolo:


(1) Somiglianza: con il Dio delle Scritture dell’AT: Parola, rivelazione di vita, il Dio vivo presente..
(2) Rottura: Questo Dio ora è presente nella persona di Gesù di Nazareth, morto e risorto; il Dio che mi precede in
Galilea: ecco il dono della grazia! Che può vincere ogni ostacolo perfino la morte!

A Paolo, nel momento della conversione, viene chiesto di LASCIARSI GUIDARE DA ALTRI.
Atti 9,6: “Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare". Per Paolo è importante mettersi in
cammino e rimanere in ascolto, adesso che ha imparato chi è Gesù il Signore, il Vivente; perché al momento
opportuno gli sarà detto ciò che deve fare. Non è che adesso può fare quello che vuole e crede. Deve farsi sempre
più piccolo, figlio, in ascolto, lasciandosi accompagnare e guidare da altri. La conversione per Paolo è anche la
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rivelazione della sacramentalità dell’esperienza di fede, cioè l’importanza delle mediazioni nella vita di fede. Non
incontro Dio da solo, a tu-per-tu, anche se l’ho incontrato personalmente; questo incontro deve essere verificato e
sottoposto al discernimento, fatto crescere attraverso l’aiuto di una comunità cristiana particolare,
l’accompagnamento della Chiesa.

Atti 22,10: “Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia.”
Atti 26,16: “Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di.”
Nei racconti biblici di vocazione, essa è sempre legata a una missione particolare, servizio specifico. Due esempi:
Esodo 3 - Mosè riceve la visione e la missione. Isaia 6 - la visione nel tempio è per costituire il Profeta nella sua
missione profetica. Vedere Dio conoscerLo, fare esperienza di Dio (AT e NT) abilita ad una missione particolare. Non
è esperienza beatifica, o solitudine duratura. (come il Ritiro. All’inizio: “Gloria al Padre”… Alla fine: “come era nel
principio...”). Conoscenza e rivelazione di Dio è in ordine alla missione.
Quando Paolo dice nelle sue Lettere, o quando si racconta il suo ministero: “servo di Cristo Signore”, “apostolo per
vocazione”, “ministro”: non è un titolo onorifico, ma una conseguenza di questa vocazione e esperienza singolare.
Non solo, ma la missione e l’annuncio deve coincidere con l’esperienza. Paolo deve annunciare ai pagani “quelle
cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora” . Come Maria di Magdala al sepolcro al mattino di pasqua:
“Ho visto il Signore” e racconta anche quello che le ha detto, quello che ha toccato con mano; e non quello che ho
saputo per sentito dire. Negli Atti, i cristiani sono i testimoni della risurrezione del Cristo Risorto. C’è questo legame
profondo tra: esperienza di Dio – conversione – missione, servizio, annuncio particolare.
Una altro esempio su che cosa è la conversione di Paolo. Dal punto di vista teologico non ha tanto importanza.
Atti 9,7: “ (essi) sentendo la voce ma non vedendo nessuno”
Atti 22,7: “videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava”.
Sono due racconti divergenti. Non ha tanto importanza. È un modo letterario per affermare che: “gli altri si
accorgono di questa mia esperienza straordinaria, ma non vivono personalmente ciò che ho vissuto io”.. Dimostra
questa distanza tra l’esperienza personale e l’esperienza indiretta e non. Importante è che, storicamente, Paolo ha
incontrato il Risorto.

B. DUE TESTI molto importanti in cui Paolo parla con molto pudore della sua esperienza di conversione
a Damasco in: Modo indiretto

(1) 1 Cor 15,3-8 “Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.”
Paolo non ne parla per raccontare la vocazione e la conversione. Ma sta parlando nel contesto della
risurrezione dei morti. A questo proposito, per affermarlo con forza, attinge dalla propria esperienza, riva con
la memoria alla conversione che è stato l’incontro con Cristo Risorto: “vi ho trasmesso dunque, anzitutto,
quello che anch'io ho ricevuto (l’annuncio del Kerygma - il cuore dell’annuncio primitivo cristiano, I secolo) : che cioè Cristo morì per
i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che
apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior
parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.
Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto”. È la sua testimonianza personale, che non tocca la
parte dogmatica, ma la sua esperienza personale viva.
“Aborto” (greco ektroma): il feto, prima del parto rischia di essere espulso e viene salvato miracolosamente
all’ultimo momento dai medici. C’è una dimensione di morte e di vita miracolosa, quando non c’è più speranza
di vita. “Quando io perseguitavo fieramente i cristiani, ero incamminato sulla strada della legge del merito, ero
a rischio di morire. Ma per grazia, sono salvato miracolosamente”. Questa è l’esperienza della conversione di
Paolo. Lui riesce a parlarne anche nel contesto del dogma.
1 Cor 15,9-10 “Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo,
perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non
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è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che
loro, così predichiamo e così avete creduto.” Grazia, si può tradurre come dono; gratuità di Dio.

(2) Gal 1,11-12 “Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo;
infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Avete certamente
sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio
e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero
nel sostenere le tradizioni dei padri.  MA quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con
la sua grazia si compiacque  di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza
consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in
Arabia e poi ritornai a Damasco. ”.
Questa è la parte autobiografica-apologetica della lettera, per fedeltà al vangelo di Cristo C’è e sempre un
legame stretto fra l’esperienza della conversione e l’annuncio del vangelo. Dimostra che l’iniziativa è sempre
di Dio.
La parola “MA” - c’è stato un capovolgimento di tutto – “Dio mi scelse” – la conversione è un mistero di
elezione; com’è c’è stata l’elezione di Israele come il popolo dell’alleanza, cosi c’è stata l’elezione personale di
Paolo. Ma la scelta personale di questo amore gratuito, non accade sulla via di Damasco, in cui era Paolo a
rendersi conto. Ma “Dio mi scelse fin dal seno di mia madre” – è l’elezione eterna-personale; è il linguaggio
dell’elezione profetica (Geremia, deutero-Isaia: “Prima che tu nascessi.. prima di esser formato nel grembo.. Io
ti ho chiamato.. Io ti ho costituito profeta.. luce… Mio servo sei tu…”).
Perché c’è tanta insistenza su antico AT soprattutto sulle vocazioni profetiche sin dal seno materno, il tempo
della gestazione, il più limitato della vita dell’uomo, nascosto? Forse, simbolicamente, perché è il periodo più
vero della vita dell’uomo; in cui l’uomo non è protagonista, in cui l’uomo non fa ma viene fatto, si lascia fare,
che è il simbolo di tutto il cammino dopo la conversione. Lasciarsi fare da Dio: quando Dio irrompe nella vita
dell’uomo con la sua grazia, e ti sceglie e ti dona la missione particolare, la docilità, l’apertura, l’ascolto è la
risposta più coerente. Forse è anche per sottolineare che la vita del profeta, dell’apostolo è una vita in
continua gestazione; per rinascere a vita nuova, per diventare più adulto, più fedele ed efficace nell’annuncio
del vangelo.
“MA quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia” – come se la grazia
fosse lo strumento della vocazione; quello che ha visto, udito Paolo di questa esperienza è soltanto Dio e
Grazia. Dirà “Tutto è grazia!” “Tutto concorre al bene Dio di coloro che amano Dio”. Ma è frutto di questa
esperienza personale.
“…quando Dio si compiacque  di rivelare a me suo Figlio…” – la vocazione coincide con la rivelazione del Cristo
Risorto; “perché lo annunziassi in mezzo ai pagani” – la rivelazione personale finalizzata alla testimonianza (cf
Atti).

COSCIENZA DELLA VOCAZIONE APOSTOLICA DI PAOLO


Faremo un percorso tematico dei testi.

Che cosa Paolo ha vissuto e annunciato di quella esperienza di Damasco? Prima di tutto ha vissuto come
APOSTOLO, che ha difeso questo titolo di apostolo, la dimensione apostolica cristiana, anche se non fa parte della
comunità apostolica intesa in senso stretto. Lo difende come un apostolato “per vocazione”, per scelta di Dio e non
per volontà propria.

DUE FONDAMENTI DELLA DIFESA ESTREMA:

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(1) Paolo è cosciente e difende il fatto di trasmettere ciò che anche egli ha ricevuto.
1 Cor. 15 “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto..” – Nel linguaggio tecnico latino
della teologia, è la cosiddetta esperienza della traditio (tradere=tramandare di generazione in generazione
dalla successione apostolica nel ministero dell’ordinazione sacerdotale, ecc.). Paolo è apostolo perché è
inserito in questa tradizione apostolica, che parte da Cristo e cerca di portarLo in modo fedele e costante a
tutte le epoche dell’umanità. Il vangelo l’ha ricevuto in dono e lo tramanda a sua volta.

(2) Il fatto di essere in comunione con tutta la Chiesa. Paolo è apostolo non per proprio progetto personale
ma in questa comunione di fede e di amore con la Chiesa universale e particolare.

E allora perché ci sono questi due elementi, e perché egli stesso ha avuto esperienza diretta sulla strada di
Damasco, Paolo sa e difende il fatto di essere un apostolo di Gesù Cristo.

Fil 1,18  “Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato..” – è un inciso
fondamentale: cioè tutto è possibile e può accadere a condizione che Cristo venga annunziato (e non a
condizione che il progetto pastorale venga realizzato, che venga un bel numero di proseliti). Questa è l’unica
condizione pastorale di Paolo, perché è il criterio di discernimento per valutare la bontà e la fecondità di
un’iniziativa apostolica. Come? Possiamo parafrasarlo: il vangelo è questa Parola da annunciare e da rendere
credibile con la testimonianza della propria fede, coerenza di vita. Bruno Maggione dice: “Il vangelo è quasi
una Parola da visualizzare”. L’apostolo è colui che rende visibile il vangelo attraverso la predicazione e la
testimonianza e la coerenza di vita. È in questo senso che dobbiamo capire certe espressione di Paolo in cui
dice: “Mi propongo me stesso come esempio da imitare”. Non è nel senso “io so soltanto una virtù: l’umiltà, e
me ne vanto”. Paolo non si vanta della propria umiltà, modestia a parte. Questa è la via corretta che deve
assumere un vero apostolo; diventare vangelo vivente, e avere la coscienza di supportare ogni tribolazione,
affrontare qualsiasi ostacolo purché Cristo venga annunziato (e non è un fare a qualsiasi costo).

Come Paolo vive la propria missione di Padre e di Fondatore della comunità cristiana?

(1) Paolo cerca i centri più importanti, nelle città principali dell’Asia minore, Grecia, dove c’è più possibilità di
viaggi e spostamenti, di scambi, di commercio, e dove esiste una comunità giudaica ben costituita. E all’interno
della comunità ebraica che viene fatto il primo annuncio, e poi ai pagani. Paolo, diventa prima che
annunciatore e padre della comunità cristiana, un artefice di comunione. Ci sono infiniti casi nelle comunità
paoline di tensioni contrastanti, sorti tra i due gruppi contrapposti: quelli provenienti dal giudaismo e quelli dal
paganesimo. Possono essere gruppi di cristiani di matrici culturali diverse, di ellenisti, alessandrini,
giudaizzanti. Oppure possono essere tensioni al livello dogmatico, dottrinale. Paolo si presente sempre come
un artefice di comunione a servizio della verità del vangelo: “Purché … Cristo venga annunziato..”

Paolo fa esperienza della fatica, dei viaggi (al tempo di Paolo!), dei pericoli di vita, dai naufragi, dai briganti,
ecc; si espone all’esperienza dell’incomprensione, opposizione, persecuzione; affronta diversi processi,
prigionie. Ma in 2 Cor 4,1 presentando questi vari contrasti e difficoltà e croci dice: “non ci
scoraggiamo”. Paolo sa che la finalità è annunciare Cristo e la bellezza e la purezza del vangelo di Cristo.
Facendo questo è cosciente anche che la forza gli viene da Cristo, non da nessun altra cosa. Non ci
scoraggiamo! Anche se portiamo questo “tesoro nei vasi d’argilla” (2 Cor), facciamo esperienza della nostra
povertà, fragilità, inconsistenza, di rompere questi vasi di terracotta, portiamo l potenza, la luce e la verità del
Cristo Risorto.

Allora, l’atteggiamento richiesto all’apostolo è la paresia = coraggio apostolico, coraggio di affrontare la verità,
nemici, pericolo; libertà interiore, di spirito. Quando Paolo nel Concilio di Gerusalemme dice la verità, o ad
Antiochia affronta Pietro dicendogli “tu stai sbagliando”. La paresia nasce dalla convinzione che tutto viene da
Dio e che è Lui l’artefice dell’apostolato. Cf. 2 Cor 1.

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(2) Paolo ha la coscienza che il regno di Dio viene come un seme, granello di senapa, lievito posto nella massa
di farina. Non nasce dall’apparenza della grandezza ma nasce dalla piccolezza. Le comunità paoline
manifestano una grande organizzazione, ma non manifestano la forza della grandezza, lo splendore dei mezzi
delle risorse.
Es: Paolo ha fatto l’esperienza del fallimento all’areopago di Atene, di essere rifiutato. “su questo ti sentiremo
un’altra volta!” è l’unica volta in cui Paolo non si è affidato sul messaggio pasquale della croce, della
risurrezione di Cristo. Ha tentato un’inculturazione che nascesse dallo scendere a compromesso con la cultura
locale, partendo dai filosofi pagani e non partendo dl vangelo di Cristo. Allora anche quell’esperienza ad Atene
è servita a Paolo per convincere che il tema della croce è il contenuto e il metodo dell’annuncio evangelico.
Contenuto: è lo stesso kerygma pasquale, Cristo che è morto e risorto per i nostri peccati. Questo è l’annuncio
fondamentale della chiesa primitiva. La croce gloriosa di Cristo come contenuto dell’annuncio missionario. Con
questa esperienza di fallimento, Paolo fa l’esperienza in prima persona che la croce di Cristo diventa anche il
metodo dell’annuncio missionario. Cioè non solo il contenuto della catechesi: “Noi predichiamo Cristo, questo
crocifisso”, ma anche il metodo. La carne dell’apostolo deve entrare in questa esperienza viva del morire per
risorgere con Cristo. L’annuncio si deve bassare sulla piccolezza, povertà, fragilità, sofferenza, esperienza
concreta della croce.

DUE GENERI LETTERARI DELLE LE LETTERE DI PAOLO


4° Sessione

Ci concentreremo sul contenuto teologico degli scritti di Paolo. Tutte le Lettere di paolo che in misura minore o
maggiore, ci fanno intuire le conseguenze di quell’avvenimento, e cioè che cosa è cambiato nel cuore e
nell’atteggiamenti di Paolo in riferimento a quell’avvenimento, in forma indiretta.

(1) Lettera (è un pezzo di vita quotidiana, occasionale)


(2) Epistola (è un prodotto di arte letteraria)

Quattro forme fondamentali di scrittura della Lettera nell’epistolografia antica:

1. L’autore scrive di proprio pungo.


2. L’autore si serve di uno scriba: dettare materialmente (parola per parola)
3. Incaricare un segretario di redigere il testo dandogli il tema generale
4. Incaricare un segretario in tutto: i materiali, il tema, impianto esortativo, costruzione teologico
Nel caso di Paolo, è probabile escludere sia la prima, sia la quarta modalità. Il linguaggio paolino è facilmente
riconoscibile, però è difficile dire in concreto che qui è intervenuto Paolo parola per parola, o è affidato a un
segretario, o è una pseudo-paolina scritta dopo la morte di Paolo, ecc. Chi si scriveva di proprio pugno era povero
che non poteva stipendiare un segretario. Paolo non scriveva di proprio pugno anche per non sottrarre il tempo al
ministero e a un lavoro manuale. Inoltre, abbiamo delle testimonianze di alcune lettere, in cui Paolo mette il suo
sigillo; vuol dire che tutto il resto è stato affidato a un segretario, ma aggiunge la propria firma.
Nell’epistolario paolina, il retroterra che prepara i temi delle sue lettere così come li troviamo espressi attualmente
negli scritti paolini: è quello dell’annuncio, predicazione, catechesi nelle comunità cristiane, liturgie. Vuol dire che i
testi letterari che troviamo espressi nella lettera ai Romani, Galati, Corinzi.. per la maggior parte, trovano nel
retroterra linguistico, culturale, teologico nell’annuncio orale che era già stata fatto da Paolo, o dai suoi discepoli
nelle varie comunità, o nella catechesi affidate ai suoi discepoli da fare alle comunità. O trovano un retroterra nel
linguaggio liturgico.
Es: Nell’inizio della lettera ai Filippesi, Colossesi, Efesini: ci sono dei frammenti di un genere letterario particolare
che è un inno cristologico, ecclesiologico, sono inni che probabilmente avevano un sottofondo liturgico (così com’è
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il Prologo di Gv). Cioè è un testo che Paolo, o che Paolo ha composto, o che Paolo o Giovanni hanno trovato e
assimilato nel vangelo trovandolo già espresso nella liturgia e nella catechesi nella comunità cristiana primitiva.
Questo è molto importante perché ci dice che le comunità primitive cristiane cantavano cose solide, dense, e
dogmaticamente fondate: la centralità dea fede in Cristo morto e risorto, la verità dell’incarnazione, mistero
pasquale.

Il MITTETE, la fomula di SALUTO, e il DESTINATARIO:

Sono molto importanti per conoscere il pensiero di Paolo, la sua auto-comprensione, e la coscienza che ha della
Chiesa, della comunità cristiana nel processo di salvezza.

1. IL DESTINATARIO
Formula: Ekklesia : “Alla Chiesa di…”: … dei Tessalonicesi, … di Dio che è a Corinto, … della Galazia , …. a tutti coloro
che si trovano a Roma, … a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi…
Lettera indirizzata prima di tutto alla Chiesa, alla comunità cristiana in quanto tale. E questo è anche per una finalità
oggettiva molto pratica, destinata ad essere letta nella catechesi della comunità radunata. Quasi come un
documento magisteriale di Paolo, che si rivolgeva non ai singoli (tranne quello a Timoteo, Tito, Filemone,ecc) ma
all’assemblea ecclesiale radunata e quindi chiamata ad assimilare la dottrina contenuta nella lettera.
“Alla Chiesa di”… Corinto.. Roma … Filippi.. : è una espressione che suona strana, perché il termine ekklesia era
riservato fino ad allora alla comunità Madre, alla comunità cristiana di Gerusalemme. La comunità apostolica di
Gerusalemme è la vera e propria ekklesia fino al momento che Paolo scrive le sue lettere. Quindi, Paolo sta dicendo
che. I fedeli provenienti dal paganesimo di Tessalonica sono cristiani alla pari degli apostoli, dio Pietro, Giacomo,
Giovanni, delle colonne al Concilio di Gerusalemme; perché, tenendo sempre presente l’esperienza sulla strada di
Damasco, tutti hanno fatto esperienza dell’elezione, scelta, dono di grazia che viene da Cristo Gesù. Tutti sono santi
perché santificati. È un’indicazione teologica fondamentale: questa Chiesa non è un frammento di Chiesa, ma che
ogni comunità cristiana particolare vive l’esperienza della Chiesa universale: “Lì dove ci sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sarò in mezzo a loro”. Questa è l’esperienza di Chiesa per Paolo. È sempre forzatamente un’esperienza di
una Chiesa particolare: H.U.Von Balthasar la definisce: “L’unità del tutto nel frammento”. In un frammento
particolare si può fare esperienza della totalità . L’incarnazione è bella perché nel grembo di Maria è l’unità del tutto
nel frammento. È l’umanità particolare che contiene la divinità-fatta-carne per condividere la nostra storia umana
Per Paolo, l’unità nel tutto nel frammento significa che i fedeli della Chiesa di Corinto benché proveniente dal
paganesimo, benché moralmente dissoluta, faccia l’esperienza stessa della totalità della Chiesa universale. Però a
patto di una condizione: la Chiesa locale esaurisce il dono che è nella Chiesa universale ma a patto che sia in
comunione con tutta la Chiesa.

Passi in riferimento alla Ekklesia:

Spazio Geografico:
1 Cor 1,3 “.. alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere
santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e
loro” – è un modo polino per esprimere una verità teologica fondamentale: l’esperienza di Chiesa universale in ogni
comunità cristiana particolare a patto che viva questa comunione con la Chiesa universale.
2 Cor 1 “..alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia” -  es. a Cencre, ecc. riconoscono
Corinto come una comunità Madre, in quanto da lì il vangelo si diffondeva ai centri minori.

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Spazio teologico:
1 Tes , 2 Tes , 1 Cor , ecc.
“alla Chiesa che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo” – no è un’assemblea qualunque, ma indica
appartenenza, comunione di vita, la radice fondamentale della grazia; la salvezza non come qualità astratta ma
come rapporto interpersonale.
Paolo lega sempre in questa formula il nome di Dio al nome del Signore Gesù Cristo, il Dio che si è rivelato
nell’evento storico di Cristo. Questo è fondamentale i imprescindibile per capire la Chiesa.
QUATTRO CARATERISTICHE DELLA CHIESA:
Manifesta il “già e non ancora” della Chiesa. Già santificati, c’è la pienezza del dono del battesimo, ma non ancora
pienezza di questa santificazione, l’aspetto escatologico della Chiesa.
(1) Chiesa di Dio: Assemblea del Signore
Riprende l’espressione dell’AT kal Adonai = assemblea di Yahweh che indica un’appartenenza personale radicale a
Dio, la proprietà di Adonia.

(2) I Santificati in Cristo Gesù


1 Cor. Introd: il riferimento non è alla condotta morale dell’individuo (Corinto era una situazione tragica), ma al
primato della grazia, a quello che Dio ha dato e realizzato nel dono del mistero pasquale di Cristo Gesù in modo
particolare.
Noi abbiamo un concetto di perfezione che sta alla fine del cammino, dopo che sci siamo impegnati. La prospettiva
paolina è esattamente il contrario: la perfezione biblica significa completezza, pienezza dei doni che è stato dato fin
dall’inizio del cammino. E in modo particolare la grazia che coincide con il mistero pasquale di Gesù Cristo. Allora,
perfezione, santità, santificazione nel linguaggio paolino e biblico è qualcosa che ci precede, che sta all’inizio del
nostro cammino: significa “Hai tutti i doni di grazia che ti servono per iniziare a camminare”. Ecco perché Paolo
utilizza questo verbo come il passivo teologico, in cui si intende (anche senza metterlo) che il soggetto è Dio. È un
modo di rispetto per non nominare il nome di Dio invano. I santificati vuol dire che “coloro che Dio ha santificato”.
Così come nelle Beatitudini evangeliche… “perché saranno chiamati figli di Dio”; vuol dire “perché Dio li chiamerà
suoi figli”, ecc. ; è sottointeso il nome di Dio. Allora, i Santificati diventa il nome della Chiesa. Chiesa di Dio vuol dire
“Chiesa che Dio ha santificato”. Es: Is 5 - Dio che si prepara una vigna.. irriga.. protegge… E’ questa santificazione di
Dio che precede ogni opera dell’uomo.
“Santificati in Cristo Gesù” – con questo sigillo i cristiani sono contrassegnati per sempre. È una santificazione
ONTOLOGICO non morale. È un linguaggio liturgico-battesimale.

(3) Chiamati ad Essere Santi


Non è in alternativa o in contrapposizione alla prima definizione, ma complementari. Proprio perché sono pieni di
doni di natura e grazia per poter fare questo cammino di santificazione, sono chiamati ad essere santi: a
camminare, a mettere a frutto ai doni della grazia.
Santificati – sul piano ontologico, dunque chiamati ad essere santi – sul piano morale.

(4) Color che invocano il nome del Signore Gesù Cristo


È una ripresa del Profeta Gioele 3,5 che è la risposta liturgica, in riferimento della vita. La liturgia della vita è ciò che
in qualche modo caratterizza la comunità cristiana secondo Paolo. Sono coloro che hanno scoperto che non hanno
la sussistenza di vita se non nel Signore Gesù. Allora, invocare il nome del Signore Gesù Cristo, non è una richiesta di
aiuto, ma piuttosto la definizione stessa di cristiano: colui che si fa forte di Cristo e non dei propri meriti. Nel
sottofondo c’è sempre l’esperienza di Damasco, che ha segnato la propria esperienza della superiorità della grazia
nei confronti del merito.

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È impressionante leggere la freddezza con cui Paolo si esprime nella lettera ai Galati, a differenza della prima lettera
ai Corinzi. Ai Galati Paolo scrive: “…alle Chiese della Galazia.” Bisogna leggere tra le righe, indovinare l’animo di
Paolo, il perché di quella freddezza; come se dicesse: con il vostro comportamento state rinnegando la vostra
identità di essere figli privilegiati di Dio, quindi i santificati in Gesù Cristo.
A Filemone: Paolo scrive a uno solo (non ha tanta importanza teologica), ma menziona la Chiesa che si raduna in
casa sua; è sempre una questione ecclesiale.

2. MITTENTE

A volte mette se stesso come mittente, a volte con dei collaboratori, come Silvano, Timoteo, Sostene, ecc.

A. “Apostolo di Cristo Gesù” o “Chiamato Apostolo”

E’ la stessa cosa. Nel Benedictus si dice: “sarà chiamato figlio dell’Altissimo…”, questo chiamare è dire l’identità
stessa della persona. Nella Beatitudine: “coloro saranno chiamati figli di Dio…” e come dire saranno adottati come
figli di Dio.
“Chiamato Apostolo” è la coscienza principale della sua prerogativa missionaria, del suo servizio al vangelo di
Cristo Gesù. Ma, nelle lettere in cui compare gli altri mittenti collaboratori, Paolo usa varie modalità:
a. rinuncia alla qualifica di apostolo: Filippesi:   “Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù…”,
b. non mette niente. 1 Tes: “Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi…”;
c. distingue tra sé e gli altri: 1 Cor:  “Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il
fratello Sòstene…”; 2 Cor:  “Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo..”
d. Galati:  “Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, in virtù di Gesù Cristo e di Dio Padre
che lo ha risuscitato dai morti…” con tono polemico-apologetico, auto-difesa della verità della sua dignità
apostolica contro i falsi apostoli, gli pseudo-apostoli. Negli altri c’è il tono teologico della sua coscienza
apostolica.
È sempre un altro modo per riaffermare il primato della grazia sull’iniziativa umano e sul merito. Perché, apostolo,
è passivo teologico; significa inviato, mandato con l’autorità di Dio, che lo ha scelto e lo ha costituito apostolo di
Cristo Gesù. Da ministro di Cristo è stato mandato con pieni poteri relativi, dignità relativa, sulle chiese della
Galazia, per dire la verità sul vangelo e di disporre secondo il suo mandato e volere. È insieme teologica e
apologetica questa qualifica come apostolo mandato.

DUE DETERMINAZIONI DELLA APOSTOLICITA’ DEL SUO MINISTERO:


(1) Apostolo per volontà di Dio
(2) In virtù di Gesù Cristo

Galati: “in virtù di Gesù Cristo e di Dio Padre..” (gr.) significa nella forza e con la forza di Gesù Cristo.
“IN” (gr.) – per mezzo. Quindi qualifica sia il mittente Paolo, sia la forza e lo strumento di cui Paolo si serve per
comunicare il vangelo che non è sapienza umana. Non solo, dunque, apostolo senza intermediari umani (insiste
molto su questo per difendere il vangelo da lui annunciato), non solo che non è stato Giacomo, Pietro, Giovanni a
darmi questa missione, ma mi viene direttamente da Dio, e con la forza di Gesù Cristo Risorto.

Romani: “Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato apostolo, consacrato per annunziare il vangelo di Dio…”
Consacrato – è un linguaggio cultuale-liturgico, ma di destinazione unica, riservata esclusivamente per il vangelo di
Dio. Dice un rapporto personale di Paolo con il vangelo, anche perché il vangelo coincide con la persona di Gesù

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Cristo: quindi consacrato al vangelo di Dio. Poi inizia una lunga digressione che non è dedicata a Paolo ma al vangelo
di Dio, al contenuto, che coincide con la persona di Gesù e la sua vita storica e la risurrezione:
“il vangelo di Dio,  che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture,  riguardo al Figlio
suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne,  costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di
santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. Per mezzo di lui abbiamo
ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutti i gentili, a gloria del suo
nome;  e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo.”
Come a Paolo, anche i gentili sono chiamati da Gesù Cristo all’obbedienza della fede, e anche loro implicitamente,
sono consacrati al vangelo di Dio, a fare l’esperienza viva della morte e risurrezione di Cristo. Questo è l’unico caso
in cui Paolo scrive a una comunità che non ha fondata, non conosceva, non ha visitata. Quindi la digressione
riguarda non il chiarimento del termine “apostolo”, ma il chiarimento del termine “vangelo”. Come se Paolo si
metesse in ombra, perché “Egli deve crescere e io diminuire”, deve preparare la strada, deve indicare l’agnello di Dio
che toglie il peccato del mondo, come Giovanni Battista.
Non si tratta di annunciare delle dottrine, tanto meno di quelle dogmatiche e morali, ma di annunciare una persona
e una storia, quella del Risorto. Ricordiamoci che il Vangelo coincide con la Persona di Gesù Cristo del quale Paolo
ha fatto l’esperienza viva, e al quale Paolo è sempre stato fedele. Questo è il fondamento e contenuto parenetico-
esortativo del suo discorso. Paolo non annuncia un’altra dottrina.

B. “Paolo Servo di Cristo Gesù”

Romani:  “Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato apostolo..”


Filippesi:   Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù
Servo – un altro modo per dire l’appartenenza a Cristo; teologicamente “Gesù è il Signore”. Paolo lo dice in un
contesto culturale e sociale in cui si tollera la schiavitù. Nelle sue lettere incita gli schiavi ad obbedire pazientemente
ai padroni a non essere duri nei confronto degli schiavi. Paolo usa due sostantivi diversi: diakonos = servo, uso più
liturgico; dulos = schiavo. Sono due gradazioni diverse della sottomissione alla Signore di Cristo Gesù. Ma due modi
complementari per parlare di dulos, schiavi di Cristo Gesù. Sono due modi complementari per dire il primato di
Cristo che è entrato con la sua signoria nella mia vita concreta. Allora se il primato della grazia sul merito, della fede
sulle opere, la condizione dell’uomo e dell’apostolo che la missione nel cuore della comunità cristiana è quella di
essere totalmente in ascolto. (cf abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da
parte di tutti i gentili..”. Cioè tutti devono diventare servi e schiavi di Cristo Gesù, essere docilmente in ascolto.
Dei Verbum : “A Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede”. La vita cristiana per Paolo è la vita sotto il
dominio della signoria di Cristo. Dobbiamo appartenere a qualche padrone, scegliere a chi appartenere. A noi è
stata data la grazia di appartenere a Cristo Gesù e a diventare suoi servi, suoi schiavi (dice in altri testi), e di
chiamare tutti a questa obbedienza della fede.
[Nel Vaticano I, la teologia diceva: la fede, come risposta alla la rivelazione di Dio, è da intendere soprattutto
oggettivo. La rivelazione vuol dire che Dio ci ha rivelato determinate verità da credere, a cui dobbiamo aderire,
Sacre Scritture, dogmi, tradizione, ecc. E allora la fede era da intendere nel senso oggettivo: aderire con
l’assenso dell’intelligenza a quelle verità di fede rivelate. Il Vaticano II, ha ripreso la teologia Paolina in senso
soggettivo, interpersonale, che investe tutta la persona; cioè Dio rivela se stesso, non qualcosa. Dio dona,
comunica se stesso. Allora obbedienza della fede è intesa come adesione della tua vita a questo dono di grazia;
è l’esperienza di Damasco.]

C. “Prigioniero di Cristo Gesù” (Lettera a Filemone)


Probabile che sia una delle lettere delle prigionie, in cui fisicamente Paolo si trovi in carcere. Ma assume una valenza
simbolica: un prigioniero di Cristo Gesù; è un modo per dire servo di Cristo Gesù, vivo l’obbedienza della fede,
totalità dell’appartenenza apostolica; e lo esibisce all’inizio della lettera come titolo dell’auto-presentazione di cui

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vantarsi. Come si vanta di essere apostolo e servo di Cristo Gesù, si vanta di essere prigioniero, cioè di poter
completare nella sua carne quello che manca alle sofferenze di Cristo a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa.

ESSERE CRISTIANI PER PAOLO e LA VITA SPITIRUALE

5° Sessione

Faremo una lettura di tipo tematica di ogni lettera e non esegetica.


Che cosa significa essere cristiano secondo San Paolo? Che cosa è che costituisce l’identità cristiana?

Due Testi:

1. 1 Cor 15, 1-11 Contesto: Paolo parla della risurrezione dei morti
2. Gal 6,14-15
“Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il
mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non
circoncisione, ma l'essere nuova creatura.”

Don Doglio: Ai tempi di Paolo, la domanda Chi è il cristiano non ha la stessa risonanza nell’oggi, in cui il titolo
cristiano è quasi sinonimo di una persona, uomo: “mangia e comportati da cristiano”, cioè in modo ben educato.
Venti secoli di tradizione cristiana hanno portato tante sovrastruttura a questo titolo.
Gli critti di Paolo sono anteriori ai Vangeli, perché quando il Vangelo di Marco (50-60 dc) viene messo per scritto,
Paolo è già morto, o sta morendo, e ha già composto tutte le sue lettere. La 1Tessalonicesi, è il primo degli scritti
conosciuti nel NT. Tra 51 e metà del 60, Paolo ci fornisce i suoi scritti. Troveremo una risposta universale alla
domanda Che cosa significa essere cristiano secondo San Paolo?, dove si parla solo di Cristo Gesù. Ma non ce ne
parlano al modo dei Vangeli che parlano della vita e le azioni di Gesù. Ma ce ne parlano direttamente o
indirettamente delle esperienze di Paolo. La domanda Che cosa significa essere cristiano nella teologia di Paolo,
non può prescindere dalla domanda che cosa significa essere cristiano per la persona Paolo, il credente Paolo, il
testimone Paolo, l’apostolo Paolo, ecc. Fin dalle introduzioni dei mittenti e dei destinatari delle lettere, essere
cristiani secondo Paolo, indica una prospettiva non moralistica ma totale e totalizzante, che investe tutta la persona
e la sua storia.
Nella storia delle religioni Gesù è l’unico che si identifica pienamente con il suo messaggio. Il cristianesimo è l’unica
religione in cui la persona di Gesù e la sua storia di morte e risurrezione coincide con il contenuto con il messaggio
cristiano. Questo è importante per Paolo essendo lui il primo teologo che l’ha sperimentato, l’ha recepito, l’ha
codificato in una riflessione teologica fondamentale e che l’ha trasmesso attraverso gli scritti neo-testamentari.

Che cosa significa essere cristiano?

Se c’è questa identificazione di Gesù col messaggio cristiano, c’è anche da parte dell’apostolo Paolo questa
identificazione con il termine cristiano. Essere cristiano significa appartenere a Cristo Gesù perché afferrati da Lui, e

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lasciarsi guidare dello Spirito di Cristo. Ci sono due elementi essenziali: (1) il primato della GRAZIA (2) il primato
dell’ESPERIENZA cristiana.

1. PRIMATO DELLA GRAZIA

(1) 1 Cor 15, 1-5 Paolo scrive da Efeso, metà 5dc., durante il viaggio apostolico; affronta il tema della
risurrezione
di Gesù e dei cristiani.
“Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal
quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste
creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i
nostri peccati secondo le Scritture fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture,   e che apparve
a Cefa e quindi ai Dodici.” 
Il centro è nel mistero pasquale di Cristo: “morì… fu risuscitato”. È il primo annuncio – kerygma - degli apostoli.
“Secondo le Scritture”: aggiunge al kerygma il fatto che questo mistero pasquale corrisponde, nella sua finalità, ad
un progetto eterno di Dio, prefigurato all’AT. Quindi dice un progetto eterno di Dio prefigurato già nell’AT.
“apparve a Cefa e quindi ai Dodici”: dice il collegamento di esperienza tra il mistero pasquale del Risorto e l’identità
cristiana del discepolo, che significa, già nel kerygma paolino – che l’esperienza fondamentale della vita degli
apostoli e di Paolo è questo incontro con il Crocifisso Risorto, e nient’altro. Cristo ha dato la possibilità ai discepoli di
vederLo. Guai a mettere nell’identità cristiana una dottrina, o una norma morale. Tutti i Vangeli concludono con le
apparizioni del Cristo Risorto, che Cristo è morto, risorto e si è fatto vedere; si è fatto toccare, ha mangiato, ecc. Il
corpo del Risorto è glorificato ma che porta in sé i segni della crocifissione. Vedere, mangiare, toccare, sono
linguaggi della sensibilità. Attraverso i sensi, e più ancora i sensi dello spirito, è possibile fare un’esperienza del
Cristo Risorto vivente.

Allora, che cosa caratterizza prima di tutto l’identità cristiana?

È questa esperienza “sensibile”, viva della persona del Cristo morto e risorto nella propria vita, per GRAZIA. È
quello che Paolo ha vissuto sulla strada di Damasco.
Esperienza “sensibile”: non significa necessariamente esperienza mistica, o di un veggente, ecc. Ma è un linguaggio
per dire il modo più concreto di parlare di questo incontro con Cristo. Anche a proposito dell’incarnazione,
Giovanni parla di questo linguaggio de i sensi: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri
occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita..” (1 Gv
1ss) C’è un insistenza su questa esperienza di Cristo.
L’identità cristiana parte da questo incontro vero, sensibile, tangibile, dimostrabile, autentico; la verità dell’incontro,
che viene testimoniata dal fatto che mi cambia la vita, mi trasforma il modo di comportamento e la scala di valori.
Vedere Dio, del resto, è il desiderio dell’uomo religioso. Ma la realtà è possibile e realizzabile anche da parte
dell’uomo, anche nell’AT (Mosè vede Dio nel roveto ardente, Isaia vede Dio che gli appare nel tempio i salmi sono
pieni di desideri di contemplare il volto di Dio, “Ascolta, Israele, il Dio che ti parla”, ecc).
E’ l’esperienza il cuore dell’identità religiosa. L’esperienza spirituale che è mossa dallo Spirito di Dio: come ai
discepoli di Emmaus che diceva: “Non ci ardeva forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture lungo il cammino?” è
il fuoco dello spirito che da la garanzia e la certezza di questa esperienza che riscalda il cuore.

1 Cor 15, 6-8 “… Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.” (ektroma)

È esperienza di vita in una prospettiva di morte sicura: “Avevo meno meriti di tutti… ero in condizione di morire se la
grazia di Dio non fosse intervenuta per farmi fare questa esperienza.” Allora, è l’esperienza della persona di Cristo
morto e risorto PER GRAZIA di Dio che fa rivivere in una situazione di morte. Vuol dire che per Paolo, diventare
cristiano è stato un parto morto difficile, miracolosamente riuscito, per l’intervento di Dio.
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Vedete come il PRIMATO DELLA GRAZIA ci entra in tutti i testi. Quindi, esser cristiano non significa salire la scala
della perfezione per arrivare al cielo, ma significa fare esperienza per grazia di Dio che è sceso alla mia umanità, al
mio punto di morte; che è Lui a venirmi incontro.
Non è l’uomo che diventa cristiano. Ma è Dio che diventa umano. Questo è fondamentale. Le icone orientali
ortodosse descrivono questa verità con la discesa agli inferi: Cristo, vestito di bianco, che scende negli inferi con
tutte le figure dell’AT e NT nella stessa condizione, e con i piedi che restano alle porte della morte a terra, e che
prende Adamo e lo risolleva. Ma non lo prende per mano (segno di contratto) ma per il polso, lo trascina e lo
solleva. È il primato della grazia.

1 Cor 15, 10 “Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho
faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.” 
Cioè la mia dignità lo deve alla grazia di Dio: gratuità, dell’elezione. Cf. Mc 3,13ss .. “chiamò a Sé quelli che
voleva….”. “non è stata vana” – non è stato sterile; dall’evento di Damasco tutto si trasforma
continuamente;
una continua conversione – metanoia: cambiamento della mente, non dei costumi, o modo di agire.
“anzi ho faticato più di tutti loro” – affermare i propri diritti con sano orgoglio… “non io però, ma la grazia di
Dio che è con me” – subito si corregge. Allora l’essere cristiano è l’esperienza continua della grazia, che è
presenza viva, operante in me. Gal 2,20 “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”

(2) Galati 6, 14 “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per
mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.”
Gal 3 “O stolti Galati, chi mai vi ha ammaliati..” -  Come Gesù che era arrabbiato nel Tempio e ha cacciato i
venditori, Paolo (scrive verso anno 56dc) molto arrabbiato chiama i galati: stupidi, stolti, perché hanno deviato dalla
purezza del messaggio del vangelo di Paolo, si sono lasciati convincere di ritornare al merito della legge: antica
alleanza, riti, sacrifici, norme, ecc. Stanno venendo meno all’identità cristiana. Rinunciano alla libertà della legge del
vangelo. Hanno preferito ciò che è “più facile”, che da’ più sicurezza, un ambiente protetto, all’apparenza (velo,
abito…). Camminare verso la vita nuova guidato dalla grazia di Dio, come per il popolo d’Israele, costringe a passare
attraversare il deserto (tentazione di rimanere schiavi, di ritornare all’Egitto, mangiare cipolla, ecc, perché avevano
la paura di vivere nelle incertezze). La vita nuova, libertà è una bella responsabilità. Essere cristiani significa
affrontare la fatica della responsabilità e della libertà sotto la legge della grazia, che sempre porta all’incertezza; è la
fede di Abramo. La fede espone al rischio e incertezze della libertà della grazia.

Gal 6,15 “Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura.” 
Fil 3,1ss “Per il resto, fratelli mei, state lieti nel Signore. A me non pesa e a voi è utile che vi scriva le stesse cose:
guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere!  Siamo
infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù,
senza avere fiducia nella carne, sebbene io possa vantarmi anche nella carne. Se alcuno ritiene di poter
confidare nella carne, io più di lui: quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia
che deriva dall'osservanza della legge.  Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato
una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come
spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla
legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla
fede.  E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue
sofferenze, diventandogli conforme nella morte con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non
però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre
per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo.”

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(Scritta durante la prigionia in Efeso.) i cani - Guardarsi dai falsi operai che li fanno ritornare alla legge, che riducono
ai riti l’essere cristiani. Siamo noi i veri circoncisi – perché rispettiamo la legge facendo trasparire l’essenza della
vita cristiana, non nell’esteriorità. L’incontro con Cristo ha spazzato via tutto ciò che Paolo ha guadagnato da buon
fariseo; questa perdita diventa un incoraggiamento, perché in fondo lui ha trovato il tesoro prezioso. perché io
possa conoscere lui - un rapporto personale intimo e di figliolanza con Dio. perfezione - atteggiamento di umiltà
mentre ha già ricevuto tutto il dono per conquistare il premio. L’essere cristiano e essere conquistato (come una
preda, e diventare servo) da Cristo. Bisogna essere convinti per essere convinti: con-vinti – cioè lasciarsi crocifiggere
e morire con Cristo, per essere con-vincenti con Cristo, dare testimonianza credibile, efficace apostolica e
missionaria di convinzione.

2. PRIMATO DELL’ESPERIENZA CRISTIANA

Che cosa significa la vita cristiana? La spiritualità? Di che cosa si occupa la teologia spirituale?
La teologia trattava della vita e dello strumento dello Spirito: grazia, sacramenti, preghiera, stati di vita cristiana e la
dinamica con cui la vita di fede cresce. La teologia contemporanea rivaluta il concetto fondamentale che è
l’esperienza. Ora si studia l’esperienza cristiana: cioè il modo con cui la persona viene coinvolta concretamente nel
mistero pasquale di Cristo, nella cristificazione progressiva (trasformazione in Cristo) della persona umana, in vista
del compimento escatologico, questa pienezza o perfezione.

IMMAGINI usate da Paolo per descrivere questa crescita della vita cristiana:

1. Costruzione, sia al livello individuale sia quella della comunità cristiana: Efesini: “venite edificati come tempio
santo” – cioè la vita cristiana è la costruzione della vita cristiana, pietra dopo pietra, per essere un tempio santo,
vivente
2. Bambino e Adulto: 1 Cor 13 “  Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da
bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato…” – la vita cristiana e maturazione
progressiva, non può essere limitata a regole, legge, abitudini.
3. Pugilato: come lotta, ascesi, combattimento spirituale
4. Corsa: Fil 3: “corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.” -
dinamismo, ascesi progressiva, un cammino con punto di partenza e meta; corro perché sono stato conquistato
da Gesù Cristo che da l’inizio a un dinamismo di crescita.

SIGNIFICATI DEL PRIMATO DELLA GRAZIA E PRIMATO DELLO SPIRITO


PRIMATO DELLA GRAZIA: che la vita spirituale non può essere che l’azione dello Spirito in noi.
Che significa “Spirituale”?
Per i greci: concezione dualistica della persona umana: esiste soma: corpo, materia, essere nel mondo, limitato dal
tempo e spazio; esiste anima (psyche). Quindi spirito e materia, anima e corpo. È divisibile.
L’antropologia di Paolo è la Triade (concezione ebraica): corpo-anima-spirito, soma-psyche-pneuma: è unità,
totalità, indivisibile: unum umanum. Pneuma è soprattutto lo Spirito Santo. L’uomo è creatura di Dio nel quale
lavora la grazia, lo Spirito di Dio e che è destinato ad essere divinizzato, pneumatizzato, cristificato, trasformato
dallo spirito di Dio. Non passare dalla corporeità all’anima. Ma questa concezione ebraica ha portato a delle
conseguenze non sempre condivise dal cristianesimo. Es. AT: la longevità è benedizione di Dio. NT: la ricchezza è
segno della benedizione di Dio; proprio perché il corpo e anima sono tutt’uno.
Già nell’ AT troviamo delle caratteristiche di questa unità materia-spirito: Genesi e teologica biblica: la metafore
della creazione dell’uomo, fatto dalla terra adama – il primo uomo viene chiamato Adamo, perché dalla polvere del
suolo è stato tratto, cioè l’uomo è fatto di terra, povero, debole, peccatore, destinato a ritornare nella polvere. Ma
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c’è un’altra metafora: nelle narici dell’uomo viene insufflato l’alito di Dio; l’uomo ha la ricchezza del soffio di Dio,
dello Spirito di Dio: forza, vivente, dignità, libertà, volontà, discernimento, Isaia – doni dello Spirito.

VITA SPIRITUALE
è l’unità indivisibile del corpo e dell’anima, in cui lo spirito è lo Spirito di Dio che agisce nell’uomo, facendolo un
uomo spirituale. Questa è la grande ricchezza dell’uomo.

L’UOMO SPIRITUALE e L’UOMO CARNALE


La vita spirituale non è in contrapposizione con il corpo, perché fa parte della vita spirituale il mangiare, dormire,
lavorare con il corpo, ogni genere di attività dell’uomo, ecc. Perché l’uomo spirituale, nel senso che è guidato dallo
Spirito di Dio, usa il suo corpo in un certo modo, secondo la logica dello Spirito. L’uomo carnale lo usa con un’altra
finalità e modalità.
Romani 8: La vita spirituale: “  Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la
legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.   Infatti ciò che
era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il
proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato
nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma
secondo lo Spirito. Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che
vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i
desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio,
perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero.   Quelli che vivono secondo la carne non
possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo
Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 
Sarx = corpo, aspetto creaturale, limiti dell’uomo in quanto mortale, fragile, debolezza, peccatore, ecc. Paolo non si
pone con la divisione anima-corpo. Anzi, insiste sulla incarnazione, Dio ha scelto per Sé la carne umana: Gv 1,14
“kai o logos sarx egeneto”. Dio si è fatto simile con quella della carne di peccato, per divinizzarlo. Il punto di
partenza di Paolo è questa attività di Dio. Carne di peccato – simile al peccato, caducità.

Camminare secondo la carne e Camminare secondo lo Spirito:


Che cosa è l’uomo carnale e l’uomo spirituale? Qual è il punto di divisione?
Il punto è da chi mi lascio guidare?
Lasciarsi guidare dalla carne: è agire in tuto e per tutto con la logica tipicamente umana, mondana: istinto,
volontà propria o degli altri.
Lasciarsi guidare dallo Spirito: accogliere il valore di Dio, di Cristo.
Esempio: l’atto di mangiare che è un atto umano corporale, può essere spirituale perché guidato dallo Spirito
di Dio, dalla fratellanza, condivisione, ecc. Il pregare che è un atto spirituale può essere profondamente
carnale come l’atteggiamento del fariseo, con la logica egoistica, superbia, in cui non mi metto di fronte a Dio
ma a me stesso (specchio), logica umana, logica della legge e del merito.

DINAMICA DELLA VITA SPIRITUALE: Desiderio della carne o desiderio dello Spirito

È importante il “desiderio”, è al centro della vita spirituale perché nasce dal desiderio di seguire la Persona di
Cristo che mi è venuto incontro per primo. Il desiderio è più potente della volontà.
Distinguiamo il bisogno dal desiderio.
Il bisogno nasce da una mancanza, carenza, buco; “non ho questa cosa”: (fame, es. figlio prodigo; carenza
affettiva crea un vuoto da colmare attraverso il soddisfacimento di alcuni bisogni fondamentali).
Il desiderio nasce da una pienezza: è un’esperienza, valore, che è in sé positivo per cui non ho necessita di
colmare un vuoto, ma corro per cercare quel valore; es: metafora del tesoro nascosto, perla preziosa: così
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desidero mettere in moto tutte le mie energie per inseguire quel valore. Es: due innamorati esprimono
l’affetto: o per colmare dei bisogni, o per esprimere un valore.

Se il cristianesimo è un fatto di esperienza, incontro con Cristo, allora non ho bisogno di fare dei gesti di vita
religiosa per appagarmi la coscienza: “ho fatto le preghiere!”, ma ho il desiderio di seguire quella persona,
inseguire il valore, nelle forme e modi che l’esperienza di oggi mi consentirà.
Desiderare ha un’ambivalenza: negativo e positivo. Il negativo è quello concupiscenza umana, frutto del
peccato originale.

CONCUPISCENZA
È la logica del peccato originale. Nel racconto del peccato originale, Eva vede il frutto, che è gradevole, bello,
buono da mangiare, desiderabile alla vista: è concupiscenza – è desiderio negativo, vuoto da appagare; il
bisogno di essere immortale come Dio, dominatore del bene e del male.
Camminare secondo la carne – è ripetere l’esperienza del peccato originale e fermarmi a qual livello. È seguire la
logica della concupiscenza. Il peccato non è mai isolato ma sempre coinvolge altre persone.
Esempi:
(1) L’episodio di Davide con la moglie di Uriah l’Hittita. È un peccato di desiderio (colmare un bisogno) che lo ha
portato al bisogno di mentire, poi al bisogno di uccidere. Viene una catene di bisogni mossi dal desiderio negativo di
concupiscenza.
Se noi seguiamo il desiderio della carne, cadiamo sempre nella stessa direzione. S. Agostino, facendo la distinzione
tra peccati mortali e veniali, usa la metafora: “La nave su cui verso un bicchiere d’acqua non affonda. Ma se io ci
verso continuamente, arriva a un certo punto che la nave si riempie d’acqua e si affonda.” Si scivola sempre in
questa direzione.

(2) Il Decalogo: Due redazioni: Esodo 20 e Det. 5


Non sono due comandamenti a se stanti, perché in realtà sono collegati tra di loro con “e”: 1à e 2° e 3° …
Significa che c’è un collegamento tra l’uno e l’altro, che se non cammini secondo lo Spirito e invece segui la carne,
sarai portato a soddisfare i desideri della carne. Il punto del decalogo è che tutto parte dal cuore dell’uomo, dai tuoi
desideri.
9° “non desiderare la donna altrui”
10° “non desiderare le cose altrui”
L’azione esteriore è già una conseguenza della scelta fatta in profondità. Seguendo un desiderio carnale, ho già
scelto nel mio cuore che cosa fare o che cosa non fare. “i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri
dello Spirito portano alla vita e alla pace”.

Che cosa è che ci spinge interiormente?


2 Cor 5,14 “la carità di Cristo ci spinge”. Questo è il desiderio fondamentale del cristiano.
Gal 2,20 “… è Cristo che vive in me” == è come dire: “Ho fatto un’esperienza del primato della grazie nell’incontro
con Cristo, e lo Spirito agisce in me a tal punto da cristificarmi, così che la radice interiore dei miei pensieri e delle
mie azioni, non è la mia logica umana, ma è Cristo che è in me.”

DESIDERIO DI DIO

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È lo Spirito di Dio che agisce in noi, fa discernimento in noi, ci spinge, prega in noi “Abba”. Lo Spirito Santo è la
radice della preghiera e dell’azione.

Conclusione: I Due fondamenti dell’antropologia e spiritualità:


Primato dalla grazia: perché alla radice è l’incontro con Cristo che mi è venuto incontro; la CONVERSIONE,
perché è lo Spirito l’agente primario e non l’uomo.
Primato dall’esperienza: perché tutto questo dinamismo mi coinvolge nella concretezza dell’incontro, della
relazione con Cristo e con gli altri (lavoro, casa, ecc).

DOMINIO della CARNE e DOMINIO dello SPIRITO


Rom 8, 9 “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita
in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 

Dominio significa padronanza, signoria. A chi padrone appartieni?


Paolo usa la metafora della schiavitù; lo schiavo appartiene personalmente con tutto quello che si è in un altra
persona, la voce del padrona muove la persona e la vita dello schiavo.
La libertà dell’uomo è sceglie re tra la vita o la morte, il bene o il male. Oppure la rinnovazione dell’alleanza a
Sichem: scegli oggi a chi vuoi appartenere, al Signore o agli idoli. Oppure, fino a quando zoppicherete con i vostri
piedi. Scegliete a chi seguire, Dio o Baal (cf Dt 30; 1 Re 18). L’uomo è posto continuamente a questa libertà di scelta.
“Non potete servire a due padroni (Dio o il denaro) o amerai l’uno o odierai l’altro” (cf. Lc 16,13). Essere sotto il
dominio di qualcuno è una condizione dell’uomo in forma di schiavitù.
non gli appartiene – (gr) “non è di lui”, cioè non è schiavo di Cristo. Cf. Paolo si definisce servo, quasi schiavo di
Cristo. Essere schiavo di Cristo non è una funzione ma una condizione di appartenenza: il credente salvato e
redento da Cristo vive sotto la signoria, padronanza del Signore. Se non appartiene a Cristo allora è schiavo della
carne, o del peccato.
Spirito di Dio abita in voi – “dimora in voi”; si riallaccia all’episodio del battesimo di Gesù (anche Giovanni) dove è
presentato come una investitura messianica di Gesù, come la discesa dello Spirito. Ma ,Giovanni aggiunge “quello su
cui vedrai scendere e rimanere lo Spirito, quello è il Messia”, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Lo Spirito
scende per RIMANERE, è questa presenza costante dello Spirito; è l’inabitazione dello Spirito nell’umanità di Gesù.

INABITAZIONE dello SPIRITO:


Il battesimo del cristiano è la stessa incorporazione a Cristo, dice Paolo. Da momento che lo Spirito di Dio abita in
voi (per rimanere) siete quasi portati per connaturalità, quasi necessariamente, a lasciarvi guidare dalla voce di
Dio,dallo Spirito Santo. Il battesimo è l’inizio della vita cristiana in cui ci ha resi “tempio dello Spirito”. Questa
inabitazione è una condizione costante, stabile, non un entusiasmo, ma di un luogo sicuro che ci protegge, in cui
possiamo ritornarci ogni volta per trovare le relazioni affettive più solide, intense, durature. L’esperienza
fondamentale che è quello di essere amati per poter amare a nostra volta. Allora, questa inabitazione è il punto di
partenza - dal momento che Dio ha scelto di farci come sua casa, in cui si vive la consolazione dello Spirito.

L’ESPERIENZA DELLA VITA CRISTIANA secondo Paolo

1) RELAZIONALITA’
Lo SPIRITO SANTO è la casa/abitazione che è scuola di relazionalità, in cui si creano le relazioni . La relazione è la
vocazione primordiale.

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1° punto di vista: La persona umana: L’essere umano è chiamato ad essere in relazione, capacità di essere l’uno
nell’altro, entrare in comunione con l’altro. Cf. Gen 1,27 “Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo
creò; maschio e femmina li creò”
La casa dello Spirito Santo significa che questa casa, in cui dice del primato della grazia, opera in noi per portarci a
quello che siamo costitutivamente, per compiere in noi la nostra piena identità, essere in relazione con l’altro.
2° punto di vista: la relazionalità: “maschio e femmina li creò”. In questo maschio e femmina siamo immagine di
Dio, che è Trinità-relazione-comunionale. Se siamo in relazione, lo siamo perché siamo creati a immagine di Dio.

LA VITA TRINITARIA: Anche la Trinità ha una casa in cui il Desiderio è quello che muove tutta la relazione, l’intimità:
a parlare è il Padre e ad ascoltare è il Figlio, il Padre genera il Figlio costantemente, che fa essere uno di fronte
all’altro ascolto e contemplazione reciproca, che fa donare reciprocamente ogni persona della Trinità. La vita
trinitaria è una vita relazionale delle persone.

2) CONSOLAZIONE
Lo Spirito ci ha donato per la nostra consolazione; lo Spirito Santo è il paraclito (Giovanni).
para - kaleo (chiamare) = chiamare accanto a sé. È linguaggio giuridico, l’avvocato è chiamato per difendere e
sostenere la persona. Lo Spirito è l’avvocato del credente e quindi non dobbiamo aver paura.

Net NT parakaleo ha due significati complementari:


a. CONSOLARE nella sofferenza, tristezza, scoraggiamento.
b. ESORTARE, aiuta a vedere il cammino da intraprendere per andare avanti, secondo la propria vocazione.
L’esortazione indica i desideri dello Spirito: una mozione interna (sentimento, certezza interiore, coscienza di ciò
che è giusto farle, ecc.), e attraverso anche una correzione esterna. Lo Spirito Santo come paraclito (la casa che è
nel credente) compie questa duplice funzione nel cuore dei credenti: consola esortando e esorta consolando. Sono
insieme il modo di agire di Dio.
Allora, se sei tempio dello Spirito, segui le mozioni dello Spirito; segui i desideri dello Spirito e non sarai portato ai
desideri della carne, e sarai perfetto. La PERFEZIONE sta all’inizio del cammino interiore, e non alla fine, perché c’è il
dono della grazia che ti precede.

Questo cammino interiore si innesta nel mistero pasquale di Cristo:


 Rom 8, 11-14 “E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della
giustificazione.  E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato
Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.  Così
dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete
secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo,
vivrete.  Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.”
Cioè: per quanto riguarda la vostra debolezza umana, sperimentate nel vostro corpo la morte, ma per questa
presenza dello Spirito sperimentate il dono della vita che non viene da voi, ma che nasce dal primato della grazia. La
presenza costante (Spirito) nella vostra vita è questa possibilità della resurrezione.
opere del corpo – cioè riferita ad alcune opere della carne: impurità, fornicazione, adulterio, ecc.

FILIAZIONE DIVINA
Rom 8,14 “Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.”
Essere figli = sangue con lo stesso sangue. Spesso nel vangelo si dice essere “figli della luce”, cioè essere talmente
simili, connaturali alla luce da risplendere. Ma, qui si parla non soltanto dell’adozione filiale, ma di quella

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somiglianza progressiva; diventare figli di Dio = diventare sempre più simili a Dio; è per il cristiano la deificazione /
divinizzazione. Diventare sempre più Cristo, il Figlio per antonomasia.
Per Paolo, è il contrario di ciò che uno potrebbe pensare cioè: “se sei figlio di Dio, allora ti lasci guidare...” MA Paolo
dice: “Coloro che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio sono figli di Dio!” Cioè, soltanto nella misura che seguite le
mozioni dello Spirito e non quelle della carne, diventate sempre più somiglianti a Dio. La filiazione adottiva, non è un
titolo di gloria.
La spiritualità orientale conosce questo lavoro dello Spirito Santo, come l’Iconografo interiore, che ogni pennellata
realizza in ogni persona l’icona del volto di cristo, diventandoGli sempre più somigliante

Rom 8,16-21 “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito
da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!".  Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che
siamo figli di Dio.  E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente
partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.  Io ritengo, infatti, che le sofferenze del
momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.  La creazione
stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non
per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza  di essere lei pure liberata dalla
schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.”
Paolo insiste sulla libertà interiore come effetto dello Spirito Santo nella persona che si lascia guidare. Lo Spirito
inserisce la persona in un rapporto del tutto particolare con Dio. Ci dice la verità della nostra filialità adottiva, questa
relazione di preghiera con il Padre: “Abba!” Abba = linguaggio affettivo-vitale di un bambino con il Papà. Lo Spirito è
anche la fonte della paresia.
Gal 5,1 “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi”; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo
della schiavitù.” Per Paolo la liberazione è come l’esperienza dell’Esodo; nel battesimo, conversione, il dono
dello Spirito, è questo nuovo esodo che ci fa liberi.

Restare liberi… Non lasciarsi imporre di nuovo il giogo della schiavitù

Col 2,20-23. 3,1 “Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se
viveste ancora nel mondo, dei precetti quali "Non prendere, non gustare, non toccare"?  Tutte cose destinate
a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini!  Queste cose hanno una parvenza
di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono
che per soddisfare la carne.”
prescrizioni e insegnamenti di uomini - cioè, carnale. È sempre la dialettica dello desiderio dello spirito e desiderio
della carne; parvenza di sapienza - inganno dello spirito cattivo; affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo
al corpo – è un’esperienza teatrale, ipocrisia, far apparire quello che non è in realtà. Perché la realtà, la cosa vera è
Cristo; il mistero pasquale è sempre il punto di partenza. Es. Papa Francesco dice re quelli che seguono l’ultima
apparizione, miracoli, messaggi della Madonna… “la Madonna è una Mamma, non una direttrice di un ufficio
postale che distribuisce messaggi dappertutto”. S. Giovanni della Croce dice: “Quando seguite queste cose, voi
nutrite la vostra curiosità, la sete spirituale” (per riempire il bisogno, vuoto spirituale, si corre dietro all’ultimo
veggente, miracoli, ecc.). “In Cristo il Padre ci ha già detto tutto ciò da dire, e ci ha già dato tutto ciò da dare. Non c’è
più bisogno di cercarlo altrove.” Andate alla fonte sicura!
in realtà non servono che per soddisfare la carne – oltre che ingannevoli, sono anche dannose! Allora, seguire i
desideri dello Spirito necessita il discernimento.

DISCERNIMENTO: uno dei Fondamenti della Vita Spirituale


Rom 12 1-2 “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente,
santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.  Non conformatevi alla mentalità di questo secolo,

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ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui
gradito e perfetto.”

Tutta la vita del cristiano, e non soltanto le preghiere, è un culto spirituale, cioè suggerito e suscitato dallo Spirito..
Lo spirituale è ciò che è relativo allo Spirito di Dio, e non opposto al materiale o corporea.
“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” – è
discernimento, non in senso minimalista, che rischia di abbandonarsi all’istintualità (cioè mi trovo in bivio tra due
strada, e devo scegliere qual è).
Il discernimento è un lavorio quotidiano: quanto più mi lascio muover dai desideri dello Spirito, tanto più sono
simile a Cristo e tanto più sono capace di discernimento. Nell’atto immediato, più sono santo e più sono in gradi di
discernere. Invece, più sono immerso nella carne, nel peccato, egoismo, e più la mente è annebbiata nel momento
del discernimento. Quindi il discernimento non si fa nell’atto di quotidianità, immediato, ma si fa in questo lavoro di
trasformazione della mente, che è la logica stessa del Rom 8. La mentalità del secolo è il modo si pensare comune,
specie delle persone lontane da Dio, che non è il vangelo il primo criterio. Rinnovare la mente: cioè in negativo o in
positivo, il discernimento è questo lavorio dello Spirito che ci trasforma interiormente.
mentalità… mente – bisogna avere queste rinnovate per poter discernere bene. Questo è il vocabolario evangelico
della CONVERSIONE autentica: metanoia = cambiare mente, purificare il modo di ragionare nella logica di Cristo e
dello Spirito. Se non c’è questa conversione, non c’è discernimento autentico.
Mc 14,38 “Pregate vegliate in ogni momento per non cadere in tentazione”. Lasciatevi guidare dello Spirito per
abilitarvi nel momento opportuno.
Volontà di Dio – è che tutti siano salvati! Che abbiate la vita in pienezza; la crescita della persona verso il pieno
compimento del mistero di Cristo nella persona stessa.

Tre GRADINI del DISCERNIMENTO della volontà di Dio:


1. Ciò che è BUONO: tra il bene e il male, sono oggettivi; è fondamentale Stai attento, non sei tu il giudice, tu
devi scegliere. Per Paolo, in ogni situazione di vita il cristiano è tenuto a scegliere sempre, tra i desideri dello
Spirito o della carne. LA scelta del bene per il santo diventa quasi connaturale, sempre riflettere, senza
scegliere, perché di per sé, ha già fatto in precedenza la scelta (del bene), per cui la scelta e il discernimento
è la persona stessa, abitata e trasformata dallo Spirito.
2. A Lui GRADITO: è un salto di livello in due aspetti: (1) è una scelta (tra tante “buone” o “beni” da scegliere)
di ciò che è bene “per me”; è un modo di raffinare e affinare il modo di discernere (2) è una dimensione
relazionale-comunionale, e non soltanto oggettiva con le cose (un fatto tra me e me). Il discernimento è
una crescita di qualità nel rapporto con Dio; cerco di far piacere a Dio. È un effetto del cammino di
santificazione che lo Spirito produce nel cuore dei credenti.
3. È PERFETTO: è permettere allo Spirito di Dio di compiere tutta quella iconografia cristologica che ha
pensato da sempre per me. Allora la domanda è: Che cosa mi fa essere più somigliante a Cristo? Ecco
perché i Santi, i mistici arrivano non solo a ringraziare la croce e la sofferenza, ma a desiderarla. Non perché
la sofferenza è buona ma perché è più completa la somiglianza a Cristo.
Per la teologia paolina, Il discernimento è un cammino di trasformazione interiore ad opera dello Spirito Santo.
Primato della grazia, primato dell’esperienza (totale, personale).
2 Cor 3,18  “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati
in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore.”
È trasfigurazione: è il mistero centrale della vita cristiana, è il cuore di questa trasfigurazione che dal battesimo in
poi si produce nel cristiano (nella scuola di iconografia, è la prima che fanno dipingere). Immagine – della medesima
bellezza e perfezione di Cristo, morto e risorto, la causa esemplare di ogni creazione. di gloria in gloria secondo
l'azione dello Spirito del Signore – Come si attua questo cammino spirituale? Ogni momento è una possibilità di

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questo lavorio dello Spirito Santo: di tappa in tappa, può essere sofferenza, gioia, ecc; di rivelarci e rivelare gli altri la
visibilità della gloria, cioè dell’amore di Dio.
Gloria = (Eb.) kabod: qualcosa id pesante (es. se una pietra ti cade sul piede) (significa anche fegato): la visibilità,
tangibilità, la possibilità di toccare Dio con mano nella vita dell’uomo. È talmente pesante che non puoi non sentirla.
La kabod di Dio, non è l’onore o la fama di Dio, ma è il peso di Dio nella vita dell’uomo.
Se la gloria di Dio intendiamo l’amore di Dio, è chiaro perché Giovanni chiama la Croce il momento della gloria,
perché non ci è stato nessun momento come la morte di Gesù in croce, che abbiamo toccato con mano quanto
siamo amati, fino a che punto è disposto a spingere questo amore: la visibilità dell’amore di Dio è questo donare la
vita in pieno! La sofferenza di Cristo non ci ha salvati; è l’amore assoluto.
FRUTTI DELLO SPIRITO
Sono le conseguenze visibili, operative della presenza dello Spirito che diventano poi criteri di discernimento.
Gal 5,20 “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio
di sé” ; amore, gioia, pace – sono sempre i primi nell’elenco anche nelle altre lettere, soprattutto alla
fine: che la vostra gioia sia piena e che siate artefice di comunione e non di divisione.

FEDE e GIUSTIFICAZIONE
6° Sessione

Questo tema è legato al fondamento della vita spirituale e alla conversione per S. Paolo, che è radice di tutto il
fondamento della vita spirituale.

Che significa giustificazione per mezzo della fede?


Tutto si collega con l’evento centrale di Damasco (conversione) e l’incontro con Cristo Signore Risorto, di essere
preceduti di questa presenza che salva. Questo è l’esperienza fondativa di tutta l’esperienza cristiana secondo
Paolo. Tutti i credenti sono posti sotto il segno di questa grazia che precede, non della legge.

Qual è la FEDE che giustifica il credente? Paolo cita due testi biblici:

(1) Abacuc 2,4 “Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto,  mentre il giusto vivrà mediante la fede.”

“il giusto vivrà mediante la fede “ – (Eb) per mezzo, in ragione della fede.

A. Il giusto, la GIUSTIZIA: (Eb) personaggio: Giuseppe che era giusto.


Nella nostra mentalità un uomo giusto è colui che non infrange la legge; giustizia è in rapporto all’osservanza della
legge. Ma non è questo il concetto dell’evangelista Matteo, che è un ebreo (altrimenti Giuseppe avrebbe fatto l’atto
di ripudio a Maria). Ma, è un concetto legato alla realizzazione del piano e la volontà di Dio, non a una legge umana
alla legge di Dio.
Allora, per la bibbia, la giustizia è fedeltà a una relazione. Chi è fedele a un rapporto, o a un patto di alleanza è un
giusto. Quindi non è prettamente a un’osservanza della legge in concreto. “Dio è giusto” (cf. Salmi): Per AT, in
primo luogo, non che Dio è vendicatore, o che ripaga l’uomo secondo il suo comportamento (premio – punizione).

Due Significati della GIUSTIZIA DI DIO:

Dio è fedele ad un duplice relazione: Questo concetto di fedeltà di Dio si vede nell’AT e nel NT.

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(1) con Se Stesso (identità),
(2) al patto Dio alleanza con Israele.

Per il primo: Dio è giusto significa “Dio è misericordioso”, perché è fedele al rapporto con Sé. Se Dio, per
essenza/natura, è amore, è misericordia, allora Dio è giusto perché si comporta per quello che E’. Giustizia di Dio =
sono motivati per amore; giustizia è quasi sinonimo dell’amore.
Per il secondo: al patto Dio alleanza con Israele; Dio è fedele alle promesse, non in rapporto a una legge particolare
o alla fedeltà dell’uomo.

“il giusto vivrà mediante la fede” = significa: chi è fedele a un rapporto, a un’alleanza, vivrà mediante
l’atteggiamento di fede, e troverà la sua pienezza mediante questo atteggiamento credente: fede-fiducia, fede-
speranza, fede-amore concreto. Questo rompe gli schemi farisaici (Saulo) perché era tutto fondato sull’osservanza
della legge. L’uomo è creato a immagine di Dio-Trinità, quindi per la RELAZIONE. Il giusto, allora, è colui che realizza
questa comunione che è in seno della Trinità.

B. Che cosa è la FEDE?

1. Senso OGGETTIVO della fede: è un concetto parziale (Vaticano I); adesione dell’intelletto “a” delle verità di
fede (dogma); l’attenzione non è tanto sulla persona, soggetto umano che crede, ma sul contenuto oggettivo
della verità di fede. Per cui, Dio rivela qualcosa, e l’uomo aderisce a queste verità rivelate.
2. Senso SOGGETTIVO della fede: l’attenzione è sulla persona credente. Fondamentale, è credere IN Cristo che è
la verità in persona; è un rapporto.
Dei Verbum - “A dio che si rivela e dovuta l’obbedienza della fede” = l’attenzione è su Dio che si rivela/ci
comunica Se stesso, che muore in croce per noi, che dona lo Spirito Santo. C’è l’oggettività (“a Dio che si
rivela”) e anche la soggettività (la persona la quale è dovuta l’obbedienza della fede). È adesione con tutta la
persona. Sta. Teresa d’Avila dice: “A colui che ci ha dato tutto, il minimo che possiamo dare è la vita”.

CREDERE = AMEN: Fede-Fiduciale


Amen = (Eb) “è così” “è stabile” ; solidità, rimane (montagne). Così è! Riconosco che è così!. Che se mi affido a Te,
anche se non ho sicurezze umane, ho la certezza del tuo amore e sono al sicuro nelle tue mani.
Pietro dice: “Sulla tua parola getterò le reti”. Questo è Amen. E’ fede-FIDUCIALE: mi fido di te. La certezza della fede
del credente è fondata sulla PAROLA DI DIO.

Conclusione:
“il giusto vivrà mediante la fede” – L’uomo che ripone la sua fiducia incrollabile sulla parola di Dio è l’uomo che
rimane fedele a questo rapporto, che vive nell’obbedienza, docilità alla parola; che ha accolto l’irruzione di Dio nella
propria vita e fidandosi nella Sua parola e nella Sua promessa sa come essere al sicuro, camminare sul terreno
stabile. Tutto parla di adesione vitale. Lo vediamo in un altro testo citato da Paolo.

(2) Genesi 15,6 “Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.”
Dio si manifesta ad Abramo come parola di promessa (Gen 12-15; 17; 22), come parola rivolta al futuro: “guarda le
stelle del cielo”… “conta la sabbia del mare”… “tale sarà la rua discendenza!”.

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Che segno ha da Dio Abramo per fidarsi, creder, appoggiarsi sul terreno e sicuro?
L’unico segno è questa promessa: Se credi, se ti fidi, tu potrai stare saldo … Cammina verso la terra che io ti
indicherò… Ma non c’è nessuna indicazione di questa terra, né l’orientamento verso ciò, né quando si realizzerà.
Non c’è nessun segno chiaro e sicuro.

IL SEGNO è l’invito di GUARDARE LE STELLE. È l’invito a fidarsi della parola di Dio.


Dal punto di vista del credente Abramo, ci sono due condizioni:
1) la situazione di “notte”: di prova, difficoltà, oscurità, in cui Abramo è invitato ad entrare.
2) bisogna “alzare lo sguardo”: se rimane ripiegato su se stesso, non può vedere questo segno della promessa
di Dio.
Nel NT, se chiedono un segno da Gesù, Egli risponde che il segno è il segno di Giona, il segno di Cristo, suo mistero
pasquale: come Giona che è rimasto 3 giorni e 3 notti nel ventre del pesce. Per l’uomo di fede, non c’è nessun segno
tangibile che questa promessa e l’invito all’abbandono totale. “Abramo credette a Dio che glielo accreditò come
giustizia” – Dio riconosce in Abramo questa fedeltà a un rapporto.

GIUSTIFICAZIONE PER MEZZO DELLA FEDE


(1) Romani 3,21-26
(2) Galati 2,15-21
Due contesti molto diversi, anche il linguaggio. Le differenze: l’atmosfera, il genere letterario. Ai Galati Paolo scrive
alla comunità fondata da lui (anni 40dc., a Galazia attuale Turchia), che una decina di anni più tardi avevano vissuto
un momento di crisi; si erano infiltrati nella comunità i giudaizzanti, persone cristiani provenienti dal giudaismo che
sottolineano di ritornare a usanze, circoncisione, riti, precetti tipici dell’AT; avevano convinti i pochi anni molti
cristiani della Galazia seguirli. Quindi Paolo scrive per riprendere i Galati questo tradimento al vangelo: “stolti,
stupidi Galati!”: perché si sono allontanati dalla purezza del vangelo e perché si sente la libertà di rivolgersi come un
padre per loro. Nella lettera ai Romani, Paolo scrive a una comunità che non ha fondato lui; allora, è un discorso
molto più distaccato. In Galati il genere letterario è molto appassionato: di esortazione e di rimprovero, di
correzione verso gli amici che lo hanno tradito. Nella lettera ai Romani invece è un trattato teologico-dogmatico.
Paolo scrive in questo due contesto lo stesso contenuto.
Il problema dei Galati riguarda la salvezza: Che cosa può salvare l’uomo credente? Cosa dobbiamo fare per
essere salvati? Nella mentalità dell’uomo si cerca il “fare” per salvarsi. Perché i Galati hanno abbandonato il
vangelo genuino? Perché sembrava troppo facile per loro credere nella modalità che ha dato Paolo, sembrava
“non fare niente”. Allora è il concetto di “giustificazione”.

GIUSTIFICAZIONE / GIUSTIZIA: è buona relazione con Dio


In genere, significa fare giusto, dichiarare giusto, colui che non lo è diventa giusto. S. Tommaso dice: “dare a
ciascuno ciò che è dovuto”. Per Paolo, giustificazione significa, buona relazione con Dio, e cioè avere la
possibilità di vivere in rapporto di amicizia e di fiducia con Dio. È sul piano relazionale-comunionale, di
presenza di Dio, più che giudiziario. L’uomo vive in un rapporto di ingiustizia; è una condizione ferita dal
peccato. Il peccato ha reso problematica la relazione tra dio e l’uomo, e tra l’uomo e l’uomo: rottura di
relazioni: uomo – donna – terra – Dio.

Rom 3,21-26 “Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata
dalla legge e dai profeti;  giustizia di Dio per la fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è
distinzione:  tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio,.”

Non c’è merito che deriva dall’essere un popolo dell’alleanza. Non c’è distinzione tra Israele e pagani, perché
tutti, l’umanità intera si trova in una condizione di rottura di relazioni. Non c’è nessuna possibilità di salvezza

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per nessuno a causa del peccato. L’unica possibilità di salvezza viene dall’alto: la giustificazione gratuità, per
mezzo della grazia in Cristo Gesù.

Galati 2,16 “l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per la fede in Gesù Cristo ,
abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere
della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessun.”
Non sarai mai giustificato perché “non sei giusto”, sei solo un buon osservante della legge. Perché la
giustificazione, la salvezza è una questione di interiorità, fedeltà, amicizia; questa è la redenzione da Gesù
Cristo. Es. Gesù si oppone all’osservanza del sabato dei farisei che trascura la carità verso il prossimo, perdi una
vita anziché salvarla, così non sono in buon rapporto con Dio.

Interpretazioni della frase: “Fede di Gesù Cristo”


1. Genetivo-Oggettivo: La nostra fede in Gesù Cristo che ci salva. L’uomo è giustificato per mezzo della fede
dell’uomo inGesù Cristo. Gesù è l’oggetto della fede. Per cui se ti affidi e dici Amen alla grazia di Cristo che ti
viene incontro per prima, allora, è quella tua fede che ti giustifica.
2. Genetivo-Soggettivo: La fede di Gesù Cristo che ci salva. È l’atteggiamento credente di Gesù, nella sua
umanità, che si è affidato totalmente e radicalmente alla volontà del Padre. Ci volveva l’obbedienza totale
di Gesù per spezzare la catena del peccato, della disobbedienza. Se tutta l’umanità è in una condizione
negativa di fronte alla salvezza, perché tutti sono segnati dalla disobbedienza del peccato, ci voleva la FEDE
di Gesù Cristo (Cf. Eb: Gesù è l’Amen, il Sì di Dio) per salvarci, per giustificarci, per rimetterci di nuovo nella
buona relazione con Dio. Il primato è sempre quella di Gesù, non la nostra fede. “Per Cristo, con Cristo e in
Cristo” = per mezzo della fede di Gesù è diventata possibile il mio Amen, mio affidamento. “La mia fede si
appoggia alla Fede di Gesù Cristo. ”

Genitivo-oggettivo: esprime l’oggetto del verbo. Genitivo-soggettivo: esprime il


soggetto del verbo. Esempio: Amore: G-O = “Io amo Dio.” G-S: “Dio ama me.”
Fede di Gesù Cristo: G-O: “in” G-S. “di”.

Unità tra ANTICA e NUOVA ALLEANZA


Paolo conosce bene l’Antica Alleanza, ed è cosciente che in Gesù si compie tutto ciò che è scritto nell’Antica
Alleanza. Paolo è l’uomo dell’AT e NT, dell’unità delle due alleanze. Non possiamo mettere in alternativa AT e
NT, perché sono un’unità. Meglio non dire Antico Testamento ma PRIMO TESTAMENTO. Gesù parla di
compimento, di pienezza e mai di abolizione o sostituzione dell’Antica Alleanza. Es. Il NT è la piena
comprensione del significato del sabato, non l’abolizione del sabato.

La base della Teologia Paolina sulla NUOVA ALLEANZA: L’unica nell’AT che parla di Nuova Alleanza.

Geremia 31,33-35 "Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda
io concluderò una alleanza nuova.  Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi
per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro
Signore. Parola del Signore.  Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei
giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro
Dio ed essi il mio popolo.  Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore,
perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro
iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato".  Così dice il Signore  che ha fissato il sole come luce del

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giorno,  la luna e le stelle come luce della notte,  che solleva il mare e ne fa mugghiare le onde  e il cui
nome è Signore degli eserciti” 
L’Antica Alleanza è fatta di questo ripetersi della rottura dell’alleanza caratterizzata dal peccato. Geremia dice
che se non viene un altro che non infrangerà più l’alleanza, o taglierà questo catena di peccato, non è possibile
la salvezza, la giustificazione. Allora, la Nuova Alleanza sarà segnata dall’interiorità. E il perdono precede il
peccato; Dio non aspetta che l’uomo fosse fedele per dargli il dono della grazia. Questa è l’esperienza di Paolo:
il primato e la gratuità della grazia (tutto il mistero di Gesù Cristo) all’interno di questa storia di peccato, per
spezzarla. È un dono questa grazia, ma è un dono che è già perdono.
1 Cor 11: “Nella notte in cui veniva tradito, Gesù, spezza il pane..” - Gesù si è donato!” La cornice è il
tradimento. E questo è l’unica possibilità di giustificazione PER TUTTI!

Conclusione:
La NUOVA ALLEANZA è il criterio della giustificazione per mezzo della fede. Ed è Cristo il luogo teologico, il
sacramento in cui si realizza questo totale affidamento a Dio, questa buona relazione dell’umanità con Dio che
permette la salvezza. Questo è il nucleo della giustificazione per mezzo della fede.

ECCLESIOLOGIA di SAN PAOLO


7° Sessione

Esortazione: Cristo ti ha salvato, vivi da salvato. Prendi coscienza che sei figlio di Dio per adozione, per dono,
per grazia; la morale cristiana è vivi da figlio di Dio!
Che cosa intende Paolo dell’esperienza di Cristo nella e con la Chiesa?
Qual è l’auto-comprensione di Paolo? Si allarga in tre cerchi concentrici:
a. Paolo è un punto insignificante; è l’ultimo degli apostoli; è un aborto quando riceve
la grazia di Cristo morto e risorto. È un punto dell’universo. Non da’ una descrizione
alto di sé, anche se è un uomo molto ricco di cultura.
b. Si comprende un puntino ma abbracciato dal mistero pasquale di Cristo. Come
uomo, discepolo, fedele, religioso, ebreo, cristiano, esiste solo innestato nella
persona di Cristo; è un peccatore (fragile, debole nella sua umanità) amato, salvato
e redento da Cristo.
c. Paolo, questa esperienza la vive all’interno della Chiesa, e non può essere altrimenti. L’essere cristiano,
nella Chiesa, è il criterio di verifica dell’essere in Cristo. L’essere cristiano lo porta a fondare delle
comunità cristiane, ad essere padre di queste.
Paolo contempla l’esperienza di sé, l’esperienza di Cristo, l’esperienza della Chiesa come tutto un’unica realtà.
Se manca una di queste realtà, manca la verità dell’autentica esperienza cristiana. Bisogna tener presente
questi criteri per non cadere in sincretismo, cioè il poter lasciar entrare all’interno della fede e dottrina
cristiana molte altre credenze che nulla hanno di compatibile con il cristianesimo. E allora che si sente dire: “Io
sono di Cristo ma non sono della Chiesa”; “Io vivo la mia religiosità da solo con Dio, ma faccio volentieri a meno
delle mediazioni sacramentali, dell’eucarestia, dell’autorità ecclesiale, della comunità cristiana!” Questo non è
nella logica evangelica e paolina.

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IMMAGINI di PAOLO della CHIESA:

1. Ekklesia
Guardiamo le statistiche dell’uso del termine ekklesia: 114 volte NT; di queste 62 sono nelle lettere di Paolo.
Usa anche laos (popolo) - “popolo di Dio”, e lo usa quando parla del mistero di Cristo e della Chiesa. Usa
ekklesia per parlare della Chiesa di Cristo. Ekklesia - (gr) kaleo = chiamare + ek = da: “chiamare da”. La
chiesa significa un popolo di chiamati, convocati da mille strade diverse, dalla frammentarietà e diversità, a
formare un unico popolo, unico corpo di Cristo.
Tre IMMAGINI FONDAMENTALI dell’ Ekklesia:
(1) Tempio di Dio o dello Spirito: legata alla vita liturgica
(2) Famiglia di Dio o dei cristiani , attingendo dall’immagini fondamentali come la Chiesa-Sposa è Chiesa-
Madre, oltre che la Chiesa-Figlia di Dio: legata alla vita familiare, domestica.
(3) Corpo di Cristo: appartenenza diretta all’umanità e la pienezza della divinità di Cristo, e quindi legata alla
realtà della persona stessa; è l’immagine personale.

2. Koinonia
Usata da Paolo e degli scritti del NT: significa comunione, unità, condivisione, comune vocazione dei credenti.
Koinonia è l’indicazione teologica che la Chiesa è convocata e opera dello Spirito Santo: e grazie al dono dello
Spirito di Dio i credenti sono resi figli di Dio-Padre e fratelli di Cristo Gesù.
Koinonia è a volte sinonimo di Chiesa per Paolo, ma bisogna vedere il contesto quando egli usa comunione: se
è nel senso teologico, di realtà comunionale, o se è invece sinonimo di Chiesa, comunità cristiana. La
comunione è la realizzazione della comunità radunata dallo Spirito di Dio.

Tre Immagini Fondamentali della Ekklesia

1. TEMPIO DI DIO

1 Corinzi

Un testo che risponde a molte questioni pratici e morali nella vita dei cristiani nella chiesa di Corinto riguardanti
l’assemblea liturgica, matrimonio, collette, ecc. Paolo trovo un modo di fare una discreta evangelizzazione della
chiesa come tempio di Dio. Precisa che gli annunciatori sono servi e collaboratori di Dio. La chiesa non è la chiesa di
Paolo, di Pietro, ecc.. ma è la chiesa di Cristo che la fra sussistere e crescere.
Cf. 1 Cor 3, 6-9 “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere.  Ora né chi pianta, né chi irriga è
qualche cosa, ma Dio che fa crescere.  Non c'è differenza tra chi pianta e chi irriga, ma ciascuno riceverà la
sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di
Dio.”
Nessuno ha un diritto di sentirsi padrone della comunità cristiana; sono tutti collaboratori di Dio. Nessuno può
sostituirsi come l’unico fondamento che è Gesù Cristo. È Cristo, la Pietra angolare, il fondamento della edificazione.
La preoccupazione di Paolo è che la chiesa rimanga pura nel senso che è chiesa di Cristo, fondata su di Lui. Se la
costruisce su altre basi, si rischia di disperdere e tutto l’edificio crolli.
Cf. Mt. 16,18 “Tu sei Pietro e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa”.

1 Cor 3,16-17 “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?  Se uno distrugge il tempio di
Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.”
La comunità cristiana è Tempio di Dio nel quale lo Spirito di Dio abita. Quindi, state attenti a non vanificare lo sforzo
dello Spirito, Santo non degli apostoli, che fa costruendo la chiesa.

A. IDEA del TEMPIO


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Per Paolo, come tutta la mentalità ebraica, l’esperienza del tempio è legata al Tempio di Gerusalemme, che, da
Davide in poi, è il luogo dell’unità e centralità del culto d’Israele. È l’unico luogo della presenza di Dio in mezzo al
popolo, in mezzo agli uomini. Tempio che, anticamente, custodiva l’Arca dell’Alleanza, la Tavola della Legge. Non
parlano del tempio come a diverse sinagoghe in cui si legge la parola di Dio. Non è come la nostra idea di chiesa che
è l’edificio materiale, e ovunque vado, cerco il tabernacolo dove è presente il Corpo del Cristo, presenza reale della
divinità. Pensano al Tempio che è stato distrutto totalmente dai Romani negli anni 70dc. Paolo, quindi ha questa
concezione del Tempio come luogo della presenza di Dio, e la applica alla chiesa adesso, come comunità cristiana.
Ma, dice che questo tempio è debole, fragile, vacillante e perciò che stiano tenti a non distruggerlo (questo tempio
di Dio che “siete voi”), sia dall’esterno (per intrusione, dagli oppositori) che dall’interno (dalla cattiveria umana).
Paolo sta pensando forse al Tempio di Gerusalemme che ha una potenzialità forte della presenza di Dio e ha una
fragilità intrinseca anche; lo puoi abbattere, distruggere.
La comunità cristiana e la comunione ha una dimensione divina e umana. Tempio di Dio è una realtà ricca e forte
perché è opera di Dio e dello Spirito che è l’unico luogo della presenza di Dio in mezzo agli uomini.

Cf. 1 Gv “l’amore fraterno è la presenza di Dio in mezzo agli uomini”


E Paolo lo dice nella realtà di Tempio, che però si può distruggere, soprattutto dall’interno, dal cristiano stesso che
non vive più secondo il suo fondamento che è Cristo. Anche Papa Francesco insiste su questo. In somma, per Paolo
il Tempio è opera di Dio, ha la sua stabilità, forza, valore soltanto che l’unico fondamento è Gesù Cristo, morto e
risorto.
“santo è il tempio di Dio, che siete voi” – SANTO, cioè opera e frutto dallo Spirito di Dio; lo Spirito di santità è Colui
che fa partecipare la santità divina al suo Corpo che è la chiesa.
E così che accanto a questa realtà del Tempio di Dio troviamo una serie di immagini e termini che caratterizzano la
realtà di costruire e di edificare, fare crescere: 1 2 Cor, Fil, 1 Tess in cui si trovano un’abbondanza in riferimenti a
questi verbi. Il Tempio non è soltanto una realtà data ma è in perenne costruzione, in stato di crescita. Non è data
una chiesa una volta per tutti. È in uno stato di consolidamento continuo: Come? Tanto più è stabile, cioè si fonda
sulla Pietra viva che è Cristo Gesù, tanto più la chiesa è consolidata, e cresce come costruzione di Dio.

B. Idea del POTERE - Exousia

2 Cor “Ho ricevuto come apostolo del Signore il potere nella comunità cristiana per la edificazione e non per la
distruzione” [Questo è un particolare che forse allude anche a qualche abuso dell’autorità nella comunità del Corinto.]
Exousia – potere, autorità. Indica la funzione o carisma specifico - profetico, istituzionale - che alcuni membri hanno
all’interno della comunità stessa. È un compito di dirigere, presiedere, animare la vita della comunità.
Ma exousia in greco ha un altro significa dell’autorità che sappiamo, ma che dice anche autorevolezza.
Autoritaria = comanda, ha prestigio, modo dirigenziale. Autorevole = che si conquista un prestigio grazie alla sua
testimonianza di vita, sincerità, autorevolezza.

Cf. Mc 1,27 "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità.” - e non come gli scribi e i farisei; con
autorità che veniva da autorevolezza; credibile, piena di fiducia e passione: parlava con la forza dello Spirito Santo.
2 Cor 10,8; 13,10 Il pericolo non viene dall’esterno ma dal modo di vivere egoisticamente dell’autorità; non
costruisce ma distrugge e divide. Allora, Paolo esorta di vivere bene i carismi e ministeri che vi vengono dati
dall’interno della comunità cristiana.
1 Tess 5,11 “edificatevi gli uni, gli altri” – e non edificare il tempio; costruitevi in forza della carità in cui si cerca il
bene comune. È Il cristiano che vive come costruirsi reciprocamente: “Tu sei corresponsabile della risposta e
vissuto cristiano dell’altro, nella costruzione del Tempio di Dio”.

1 Cor 12-13-14 Come discernere i doni dello Spirito?


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Paolo elenca: parlare in lingue – che può edificare se stesso (rischio). Qui Paolo usa molto il criterio dell’edificazione
della comunità come discernimento per i carismi: Serve per edificare la chiesa? Far crescere la comunione?
Alimentare l’amore? Se non viene dallo Spirito divide, viene dal diabolo = colui che si mette in mezzo a due realtà e
quindi divide, provoca lacerazione.
“gonfiarsi” – chi non lavora per l’edificazione della comunità è uno che si gonfia, cioè pretende di assumere una
posizione o spazio che non gli appartiene, compete.

1 Cor 13, 4-13 “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 
non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,  non gode
dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.  La carità non
avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.  La nostra
conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia.  Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è
imperfetto scomparirà. 
Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo,
ciò che era da bambino l'ho abbandonato.  Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora
vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come
anch'io sono conosciuto.  Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di
tutte più grande è la carità!”
C’è questa duplice realtà quando leggiamo l’inno: (a) La carità di cui parla Paolo si caratterizza più in negativo
(“non”) che in positivo. La carità che serve per edificare il Tempio di Dio, non soltanto ha bisogno delle opere, del
fare (positivo) ma ha bisogno di lasciarsi purificare (negativo) rinunciando e quegli atteggiamenti menzionati.

(b) Sostituire la parola “carità” con la mia persona: “io”, pensando a delle situazioni concrete, volti concreti. Così la
carità non rimane una cosa astratta.

C. Idea di CASA – Oikos

a) Col 2,6-8
“Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto,  ben radicati e fondati in lui, saldi nella
fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie.  Badate che nessuno vi inganni con la sua
filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo
Cristo.”

b) Ef 2,19-22
“Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti (paroikoi), ma siete concittadini dei santi e familiari (oikeioi)
di Dio,  edificati sopra (epoikodomethentes) il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra
angolare lo stesso Cristo Gesù.  In lui ogni costruzione (oikodome) cresce ben ordinata per essere tempio
santo nel Signore;  in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati (sunoikodomeisthe) per diventare dimora
(katoiketeriov) di Dio per mezzo dello Spirito.”

NB: ogni riferimento all’edificazione della comunità contiene la parola oikos =casa, dimora; la chiesa è anche un
cantiere perenne. “In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere Tempio santo nel Signore” – è più un
immagine liturgico che familiare; e c’è una portata Trinitaria: “in lui anche voi insieme con gli altri venite
edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito – è il Padre che costruisce la chiesa (iniziativa di
Dio e Gli appartiene), sul fondamento che è Cristo (si realizza storicamente in Lui), per mezzo dello Spirito
(mediatore della costruzione e santificazione).

2. FAMIGLIA DI DIO (Sposa, Madre, Figlia)

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Paolo la fonda soprattutto sul concetto profetico sponsale: Osea, Geremia che usano la parola sponsale per parlare
di unione vivo di amore, fedeltà tra Dio e il suo popolo Israele.

a. 2 Cor 11,2 “Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per
presentarvi quale vergine casta a Cristo.”

Paolo in quanto fondatore della comunità si presenta come l’amico dello Sposo (come Giovani Battista) di
presentare la sposa-comunità a Dio-Sposo in questo rapporto di alleanza. Come l’amico che gioisce della voce dello
Sposo, il pedagogo che prepara al matrimonio.

b. Ef 5, 12-33
“Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.  Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;  il
marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo.  E
come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.  E voi, mariti,
amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,  per renderla santa,
purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la
sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.  Così anche i
mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. 
Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la
Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo.  Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla
sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa!  Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa
verso il marito.”

Racchiudono tutto un modello di sottomissione gli uni agli altri e di tutti a Cristo e al Padre. C’è l’identificazione tra il
rapporto d’amore tra marito e mogli con il rapporto Cristo e la Chiesa. Cristo è lo Sposo legittimo della Chiesa
perché secondo la tradizione ebraica, lo Sposo doveva comprare la Sposa con il dote. Cristo ha versato il sangue
(dote) nel momento sulla croce; il prezzo che ha pagato Cristo per acquistare la sposa è il dono totale di Sé, quindi n
ne ha totale diritto.
In questo assoluta gratuità dell’amore di Cristo appare il fatto che la sposa non è bella, pura e senza macchia, ma ha
bisogno di purificazione. “Cristo morì per noi mentre eravamo ancora peccatori” (Rom 5,6); questa è la gratuità e il
prezzo della dote per Paolo.
Cf. Ezekiele - Il Signore passa per la strada e vede l’adolescente che si dibatte nel sangue, la porta con sé, la
purifica, la riempie di gioielli, la fa bella. È l’Allegoria nuziale-sponsale dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Attraverso il segno del lavacro dell’acqua in forza della Parola, Cristo stesso come Sposo si fa comparire davanti alla
sua Chiesa gloriosa, santa e immacolata, pronta per il giorno delle nozze. Cioè, è Cristo stesso che rende degna la
Sposa per il momento sponsale-liturgico del matrimonio.
Qui, non solo Cristo sostituisce Paolo come amico dello Sposo, ma la Sposa non è più come una comunità
particolare (come ai corinzi) ma è una comunità cristiana universale (negli Efesini), Chiesa come tale con la ‘C ‘
maiuscola, che vive il suo rapporto nuziale con Cristo.
Galati – Chiesa come Madre, riferendosi all’allegoria delle due donne: Sara e Hagar, rispettivamente come simboli
del popolo della sinagoga e della Chiesa. La Gerusalemme attuale che è quella di lassù è libera ed è nostra Madre,
un discendente della donna libera, di Sara e non della donna schiava. Però questa libertà, maternità, fecondità della
Chiesa, per Paolo, è in relazione in un ambito in cui è entrato Cristo Risorto, per cui è liberta da Cristo Risorto dai
vincoli terreni, dai limiti di peccato, dell’infedeltà, sterilità. La Chiesa è feconda, è donna libera, è Madre solo se vive
sul fondamento del Cristo Risorto.
Isaiah 54 “Esulta sterile che non hai partorito” – che troverà la gioia del parto e della fecondità sperata.

3. CORPO DI CRISTO
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Forse l’immagine più originale e tipicamente paolina. Segna maggiore immedesimazione di Cristo-Capo e della
Chiesa, soprattutto in Efesini e Colossesi.

A. Idea di CORPO: Soma


(Non sarx come Rom 8, in opposizione allo spirito; sarx come carne – umano, debole, fragile, mondo, peccato, viene dalla logica
umana): è un termine neutrale. Nel NT è un termine concentrato soprattutto nell’epistolario paolino.
Corpo vuol dire la persona (totalità) che a partire dalla relazione unica ed esclusiva con Cristo Risorto, vive
attraverso la corporeità nuovi relazioni, più significative, vere, autentiche, piene, con gli altri dentro e fuori la
comunità cristiana.
Corpo è il veicolo delle relazioni. “Essere Corpo di Cristo” vuole dire: se tu hai fatto l’esperienza viva dell’incontro
con Cristo Risorto (perché afferrato e convinto da Lui), la corporeità ti porta a vivere anche le altre relazioni, con
l’umanità dell’altro, in modo più autentico. Questa relazionalità acquista nuovo significato e potenzialità. C’è più
verità l’incontro con l’altro, non soltanto nell’esteriorità o apparenza, ma guardo al cuore e al vero valore della
persona. E porto all’altro non la mia corporeità o il mio limite d’umanità, ma porto Cristo Risorto che ho assimilato e
in cui sono entrato in comunione.
L’immagine del corpo è il perno di snodo tra: la relazione verticale con Cristo Risorto e la relazione orizzontale con
gli altri, dentro e fuori della comunità cristiana

La Chiesa come CORPO DI CRISTO: significa che i cristiani che hanno assimilato l’esperienza di Cristo Risorto sono
capaci di questo rapporto più profondo e autentico. Sono “testimoni di umanità” (Paolo VI).

Questa esperienza di “Corpo” della Chiesa, è portata da Paolo ad un realismo biblico.


1 Cor 6, 15-17 [Riprende Genesi: “i due saranno una carne solo”]
“Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò
membra di una prostituta? Non sia mai!  O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un
corpo solo? I due saranno, è detto un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito.”
Cioè viene trasfigurato di gloria in gloria dallo Spirito del Cristo Risorto; riceve in dono lo stesso Spirito che è fonte di
unità.

B. Dall’EUCARESTIA deriva il Corpo di Cristo


1 Co 10 16-17 “il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il
pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?  Poiché c'è un solo pane, noi, pur
essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane.“

La fonte del Corpo di Cristo è l’EUCARESTIA, cioè è qui che deriva la Chiesa come Corpo di Cristo. [Es. 1986 Incontro
di preghiera per la Pace: la Eucarestia fa la Chiesa!”] Il Corpo di Cristo Eucaristico - il sacramento del dono di sé,
servizio, comunione, missione – è quello che plasma la Chiesa come Corpo di Cristo, che la assimila a Sé: corpo di
Cristo spezzato, sangue di Cristo versato.

C. UNITA’ del CORPO di CRISTO

1 Cor 12, 4ss


Un aspetto della Teologia del Corpo di Cristo è l’UNITA’. Si sottolinea l’importanza delle diversità (di funzione,
ministero) delle membra nell’unità dell’unico Corpo. La ricchezza delle diversità è data per la COLLABORAZIONE di
tutte membra all’unità del Corpo, per far star bene la tutto il corpo. Si sottolinea il servizio da rendere, di aiutare le
membra più deboli, fragili, bisognosi di aiuto e protezione.

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1 Cor 12, 17 “Voi siete Corpo di Cristo e sue membra; ciascuno per la sua parte…”
Prendete coscienza di quello che siete: figli di Dio, tempio dello Spirito, lo siete già per grazia, ecc. Allora, vivete quel
che siete! (l’indicativo in Paolo precede sempre la morale o l’imperativo). “Siete, allora, vivete!” L’invito implicito di
appropriazione. Ciascuno per la sua parte – ogni membro vive in pienezza la propria parte, posto, vocazione,
missione, sua propria dignità, per far vivere in piena salute e bellezza il Corpo di Cristo che è la Chiesa. Dice anche la
valorizzazione degli ultimi. È indicazione teologica a non sopravalutare il fare nella costruzione del Corpo di Cristo.
La dignità di ogni membro è intrinseca; il fatto stesso di essere salvato e redento da Cristo è inserito nella dignità
regale, profetica e sacerdotale del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Tutto questo si radica nel Battesimo che ti innesta
a Cristo morto e risorto e ti fa comprendere la realtà profonda e comunionale della Chiesa.
1 Cor 12,13  “noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo … tutti ci siamo
abbeverati a un solo Spirito.”

D. CRISTO CAPO: kefale (κεφαλή)

Kefale = capo. Si trova in Efesini e Colossesi; può essere inteso in senso fisiologico, come il centro o il cuore della via
del copro; senso simbolico-spaziale-temporale

E. MISTERO di CRISTO donato alla Chiesa

Consiste nella chiamata dei pagani all’unico Corpo di Cristo.


2 Efesini - L’umanità è vista come due gruppi contrapposti e ostili tra i quali Cristo morendo in croce ha segnato la
riconciliazione pacificando tra i due popoli che erano in lotta tra di loro. Questi due popoli in lotta sono anche quelli
che appartengono nel cuore di ogni uomo. Lo Spirito continua ad operare nel Corpo di Cristo questo miracolo
dell’unità, riconciliazione, perdono, misericordia, ecc.

“Mistero di Cristo” – (cf. Efesini) non indica qualcosa di nascosto, misterioso, incomprensibile. Ma, di una realtà che
è stata tenuta nascosta nel cuore di Dio per tanti secoli ed è stata manifestata e rivelata nel mistero salvifico di
Cristo, rivelata soprattutto come dono di comunione e di riconciliazione per la costruzione e crescita della Chiesa
come segno, servo e testimone di unità.

8° Sessione

Suggerimenti per ulteriore approfondimento:

Primo: 1 Cor 13-14 Temi: Doni – Carismi – Frutti – Inno alla Carità

Il discorso fondamentale è il tema dei carismi, dei doni dello Spirito alla comunità cristiana.
Carisma = χά ρισμα charisma indica genericamente “il dono”. Χά ρισ = la grazia, la gratuità del dono di Dio.
Carisma è il dono, la grazia in atto. È lo Spirito in quanto dono. [Per noi, tecnicamente pensiamo del crisma
come un dono tra tanti, per cui doni carismatici.]

I DONI e i FRUTTI dello SPIRITO SANTO


Noi troviamo dei brani che parlano sia dei doni dello Spirito sia dei frutti dello Spirito.
Dove si vede l’azione dello Spirito Santo, che è invisibile, nella vita della Chiesa? Si riconosce dalle azioni
che produce, suoi effetti, frutti, dalle conseguenza che lascia nel cuore e nella vita dei credenti e della Chiesa. Ci
sono nelle lettere di Paolo accenni sui doni dello Spirito Santo (NT – La Teologia dei 7 doni dello S. Santo =
sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, conoscenza, pietà, timor di Dio. sono sette, numero simbolico di
pienezza per dire che la totalità della grazia e dei doni è da attribuire all’effusione dello Spirito di Dio.)
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Quando Paolo parla dei frutti dello Spirito Santo allarga il numero invariabilmente in ogni lettera.
Quali sono i frutti dello Spirito Santo? In modo particolare, all’inizio di ogni elenco ci sono l’amore, la gioia,
e la pace. Gioia e pace vanno insieme; l’amore, la carità è il fondamento di tutti i doni e frutti dello Spirito di
Dio. Sono tanti i doni e carismi dello Spirito, ma se non sono sorretti, motivati, orientati all’amore, non hanno
nessun valore di sé.

Tre Livelli dell’esperienza di Amore nel mondo greco: (Ecco che Paolo usa il termine carità – agape)
[ See Deus Caritas est di Benedetto XVI]
1. Eros – amore che attira a sé, non necessariamente in senso carnale, negativo. “Dio ha un amore erotico”,
passionale [cf. DCE]
2. Philia – amore di amicizia; philos = amico
3. Agape – è l’amore totalmente gratuito, caritativo, da la prevalenza alla dimensione oblativa dell’amore, al
dono di sé. Nella Chiesa primitiva, agape designa la celebrazione eucaristica: comunione d’amore e
nell’amore, condivisione del pasto e dei doni, soprattutto memoriale del sacrificio cruento di Cristo
sulla croce che è il dono più oblativo che si possa immaginare; “Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la vita per i propri amici”

1 Cor 13, 1-3 “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come
un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i
misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non
avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser
bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.“ = Non ha valore! Nessun significato!

Papa Francesco racconta la sua esperienza: “Quando fai l’elemosina, hai toccato la mano del povero? L’hai guardato
negli occhi? Gli hai parlato amichevolmente? Ecc… Questo è contatto personale, l’amore oblativo autentico, che ti fa
entrare nella dimensione interpersonale dell’esperienza dell’agape.
Non è semplice questo, perché in ognuno di noi, nella nostra realtà del dare noi stessi, c’è sempre la
dimensione di accaparramento, di ricerca di noi stessi, di gratificazione; è meno male che c’è questo,
altrimenti non aiuteremmo mai. Ma Paolo vuol dirci che crescendo nella docilità allo Spirito Santo deve
crescere accanto la dimensione oblativo a scapito della dimensione egoistica. È dalla GRATUITA’
dell’AMORE che si riconosce il fedele di Cristo.
Atti 9,25 “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. - La gioia è la caratteristica dell’amore oblativo.

La DIMENSIONE della CARITA’: 1 Cor 13,4-7

Tre Elementi Positivi:


1. La carità è paziente (v.4)
2. è benigna la carità (v.4)
3. si compiace della verità (v.6)

Otto Elementi Negativi: al centro tra questi due estremi in positivi


1. non è invidiosa la carità
2. non si vanta
3. non si gonfia
4. non manca di rispetto
5. non cerca il suo interesse
6. non si adira
7. non tiene conto del male ricevuto
8. non gode dell'ingiustizia
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Significa che: L’amore cresce di più nel cammino silenzioso, nascosto, che è opera dello Spirito nel cuore del
credente, nel cammino di purificazione dalle radici del male che abitano nel cuore dell’uomo. La carità cresce
di più che nel fare, nell’eroismo.

2 Cor 5,20 “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.”
Il cristiano più cresce in questo lasciarsi fare da Dio, che nel fare lui stesso delle opere, dei grandi progetti.

“La carità è PAZIENTE”


a. (Gr) indica anche, per chi ama davvero, la perseveranza, costanza, fedeltà, non si scoraggia facilmente,
non lascia perdere alla prima sconfitta.
b. rimanere sotto: (Gr) ipomonei : ipo = sotto, inferiore + meno = rimanere, restare; rimanere nello
stato di inferiorità. Chi ama è umile, si fa servo, non pretende di soggiogare o dominare l’altro; si mette
all’ultimo posto come colui che serve.

“E’ BENIGNA la carità”


Non è sinonimo di buonismo, bontà o sentimento sdolcinati, ma è concretezza di un’azione. Chi ama fa il bene,
fa opere concrete, vuole il bene realizzando il bene; dando alla persona quello di cui ha veramente bisogno in
quel momento. La carità passa dalle parole ai fatti.

“La carità si compiace della VERITA’”


“Non gode dell’ingiustizia, dell’ingannare l’altro, ma si compiace della verità” = (Gr) “ma gioisce insieme
all’altro per la verità.” Non solo la carità si nutre di verità (Cf. Ps. 84 : “misericordia e verità si incontreranno”),
ma gioisce insieme, perché non c’è una gioia solitaria ma si condivide la possibilità di amare con l’altro e anche
la gratificazione di amare.

“Non si vanta, Non si gonfia”


Il principale nemico della vita spirituale è l’ORGOGLIO, la superbia di sé, mettersi sul piedestallo troppo alto,
farsi un monumento cercando la gratificazione per se stesso in tutto. Si può peccare di superbia sia nel fare il
bene o nel fare il male. Si può pregare con orgoglio (Cf. il fariseo e il pubblicano).

“Non cerca il suo interesse”


Insiste che l’orgoglio è il nemico più grande nella vita spirituale. Ci sono tanti pericoli ma nessuno è così
pericoloso come la cecità dell’orgoglio, superbia. [Cf. Parabola dell’ubriaco che spendeva tutti i suoi soldi per il
vino: 10 denari di salario: 5- vino, 3 – pane- 2 – carne… anche se si rimescola i conti, se non tocca quei 5 denari per il
vino, simbolo della superbia, i conti non torneranno mai. Vangelo apocrifo]
Col 2,6-8 “Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi
nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie. Badate che nessuno vi inganni
con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non
secondo Cristo”
Col 2,16-17; 23 “Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a
sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! …. Queste cose hanno
una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo,
ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.” – è orgoglio!

CARITA’ - CREDERE - SPERARE

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1 Cor 13, 7-8; 13 “Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine…. Queste
dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” 

L’agape avvolge tutto; tutta la vita - quello che è e quello che fa - del cristiano è coinvolta. Poi, si vede già una
codificazione piena della Teologia delle virtù teologali: fede-speranza-carità. La carità: tutto avvolge, coinvolge,
supporta, ha di mira l’eternità.
Con la visione beatifica la fede scompare perché vedremo Dio faccia a faccia; non ci sarà più la ‘notte’ del
cammino di fede del credente; ci sarà la visione e la comunione piena. La speranza finisce perché quando si
ottiene quello che si spera si conclude il cammino teologale della speranza. Ma non si conclude l’amore. Anzi,
l’eternità è la celebrazione completa, totale dell’amore.

“Tutto copre ... tutto SOPPORTA” – sopporta o supporta. C’è differenza di modalità.
Paolo esorta i cristiani a “portare gli uni i pesi degli altri “(cf. Gal 6.2); “sopportatevi a vicenda con amore” (cf.
Col 3,13). Portare le gioie e non soltanto le sofferenza altrui, significa più che in positivo che in negativo. Non
tanto sopportare pazientemente le persone moleste (come diciamo nelle opere di misericordia, spirituale), ma
SUPPORTARE le persone (è stare sotto): farci partecipi e responsabili di quello che gli altri vivono sia nella
gioia che nel dolora, aiutare gli altri ad essere responsabile della propria vita. Cioè, più che la carità che
“sopporta”, è la carità che “supporta”: che costruisce, fa crescere, spinge l’altro verso la piena maturità in
Cristo, si fa partecipe dell’altro nella totalità della sua esperienza.
Mt 11, 28-29 “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero".
Cristo invita: Prendimi in comunione con te perché Io possa portare il peso delle tue fatiche, possa condividere
le tue opere, possa supportare quello che sei; con te camminare, condividere la tua vita cristiana.

Secondo: TRE INNI CRISTOLOGICI in S. Paolo: Ef 1 - Fil 2 - Col 1

Non sappiamo se: sono di Paolo, sono inni liturgici della chiesa primitiva o altre chiese che Poalo ha
conosciuto, o degli altri discepoli che Paolo ha inserito nell’epistolario. Sono tre brani poetici che sono
strutturati nella preghiera di lode, ringraziamento e benedizione, che hanno Cristo come centro di esaltazione
e motivo di lode, e quindi riuniscono introno a Cristo il cuore della teologia paolina.

Colossesi 1,15-20
“Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura;  poiché per mezzo di lui sono state
create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le
cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di
coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in
lui ogni pienezza  e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.”
Importante come fondamento della cristologia paolina del primo secolo d.c.

Due CONCETTI TEOLOGICI nella lettera ai Colossesi:

1. Il FIGLIO DI DIO come:


a. IMMAGINE - icona del volto invisibile di Dio. Con l’incarnazione e l’umanità di Cristo, abbiamo la
possibilità di toccare con mano Dio.

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b. CAUSA STRUMENTALE/ESEMPLARE (modello) e anche CAUSA FINALE della creazione; Dio per
creare il mondo si è ispirato al suo Verbo (esemplare) e si è servito del Verbo cioè della sua Parola
per creare [questa è teologia ebraica. Es. Racconto rabbinico/letteratura ebraica della creazione in Genesi: “e
Dio disse…”- significa che Dio ha creato attraverso la sua parola, il verbo di Dio] (finale).
c. CAPO del CORPO che è LA CHIESA, e si parlerà della RICAPITOLAZIONE di tutte le cose in
Cristo, cioè rientrare nella Signoria di Cristo che è il Capo, il Primogenito, il Signore della Chiesa e
anche di tutta la realtà creata.

capo -- il bastone di legno da tenere in mano quando si arrotola la


pergamena per evitare che la si tocchi con la mano. “Ricapitolare” significa
riavvolgere la pergamena nei capi/bastoni.

“Ricapitolazione” - significa che le storie dell’umanità devono essere riavvolte nel disegno di Dio
alla fine dei tempi, attorno a questo bastone che tiene unito tutto e che da senso a tutto, che è il Cristo, il
Figlio, il Verbo di Dio, il Capo del Corpo che è la Chiesa, che è stato causa esemplare della creazione.

2. Il Figlio di Dio come PIENEZZA di tutta la creazione: il concetto paolino di “ PLEROMA” = (Gr) pienezza.
Forse si riferisce alla pienezza della divinità, o forse più generico e coinvolgente, ma in ogni caso,
sottintende la centralità di Cristo nel progetto salvifico di Dio. Lui ha fatto abitare la pienezza della sua
divinità nel suo Corpo che è la Chiesa. Lui è il centro, il cuore e la sintesi di tutta la storia dell’umanità.

Filippesi 2,5-11
“ Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non
considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e
alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché
nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo
è il Signore, a gloria di Dio Padre.” 
È un contesto esortativo, in cui Paolo chiede di mantenere l’unità nell’umiltà. (vv.3-4) “Non fate nulla per
spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se
stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.”  Da questo contesto nasce una regola
pratica fondamentale per i cristiani, che non è semplicemente una virtù particolare, ma Cristo stesso sia il
modello.
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” – questa non è una traduzione esatta, perché
Paolo usa il verbo phroneo - (Gr) φρονέω che significa pensare, ragionare, motivazioni, desiderare, cercare,
ma di un desiderio di ricerca che si traduce in azioni concrete. Quindi, abbiate la stessa logica di Cristo Gesù ,
come punto di riferimento; valutate le cose e scegliete il modo di comportarvi come fa Cristo Gesù , con le
motivazioni che Lo hanno spinto.

Rom 12,2 “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra
mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. 
Cioè non prendete come criteri di valutazione la logica umana del mondo, ma prendete sempre Cristo. [Papa
Francesco nella sua omelia sui preti che sono “unti dal Signore”, dice che se non seguono la logica di Cristo sono solo
“untuosi”.]

Fil 2, 6-8 “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma
umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

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Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome;  perché nel nome
di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù
Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.”

Ci sono due parti opposte questo inno:


vv. 6-8: Parte Discendente: la kenosi -- è la discesa agli inferi; comincia dall’incarnazione (è il primo
svuotamento, la prima rinuncia da parte di Dio), poi, la passione e la morte in croce.
vv. 9-11: Parte Ascendente: la glorificazione -- collegata con un causale (motivo) “per questo” Dio Lo ha
glorificato: per la sua umiltà, spirito di servizio, per non aver considerato un tesoro geloso la
sua uguaglianza con Dio. Si corrispondono perfettamente le due parti che sono uguali (3
versetti ognuna)

Per capire la Drammacità Teologica del contesto: Una discesa progressiva

v. 6: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio
v. 7: “ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo

tesoro geloso – (Gr) preda, qualcosa che si cattura (che è un motivo di vanto, di orgoglio di fronte agli amici; un
pesactore che pesca un pesce di 10cm, al secondo racconto diventa 20cm, e così via) . Non considerò una preda di
cui vantarsi il possesso personale, da godersi egoisticamente, la sua uguaglianza con Dio.
spogliò – (Gr) keno – kenosis = svuotarsi (non spogliare il vestito; Es. S. Francesco di Assisi), tirarlo fuori e
rimane solo l’involucro esteriore. È più drammatica come espressione. È il non trattenere più nulla.
condizione di servo: Bisogna tenere presente che Paolo ha a disposizione due termini greci per parlare di
servitù :
a. diakonos = servo (diaconia – incarnazione, servizio)
b. dulos = schiavo (dulia – una forma di schiavitù , come il lasciarsi incatenare dagli uomini)
v. 8: “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”
E’ una morte del malfattore, brigante, ladro, traditore, schiavo. È la morte più vergognosa per l’uomo,
immaginiamoci per Dio!
Ecco PER QUESTO… per questo motivo che Dio lo ha esaltato. Quindi “abbiate in voi gli stessi criteri di
Cristo…” come lo fa Dio che glorifica questa povertà e umiltà .

Efesini 1,3-14
“Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione
spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al
suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo,  secondo il
beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto;
nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della
sua grazia. Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto
conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per
realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come
quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto
opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi
abbiamo sperato in Cristo.  In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra
salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è
caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della
sua gloria.”

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v. 3: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione
spirituale nei cieli, in Cristo”
E’ un concentrato di termini che riguardano la benedizione, ed esprimono bene la struttura della
preghiera della Benedizione Ebraica. Per la mentalità ebraica, la benedizione ha un duplice risvolto:
“Benedetto sia Dio….. che ci ha benedetti”: Prima, Dio benedice con il dono salvifico del suo amore e del
suo dono di salvezza; poi, di conseguenza, come risposta, la comunità cristiana innalza la sua preghiera di
benedizione a Dio. Noi benediciamo Dio soltanto perché siamo già benedetti da Lui. Noi Lo amiamo solt.
perché Lui ci ha amati per primo. Noi rendiamo grazie per un dono che noi abbiamo già ricevuto.

Questo Inno ha una struttura TRINITARIA:


 “Benedetto sia DIO PADRE: da Lui che parte il movimento discendente del progetto di salvezza, e a Lui
che ritorna la preghiera di benedizione della Chiesa; se Lo benediciamo che è Padre, è perché è Lui che
ci ha donato la salvezza per mezzo di Cristo).
 Questa benedizione del Padre sia è attuata nei cieli IN CRISTO: non c’è progetto di salvezza che non sia
pensato e attuato in Cristo, con Cristo e per mezzo di Cristo, avendo Cristo come causa e modello e
puto di riferimento.
 È anche una benedizione SPIRITUALE: non significa in opposizione alla benedizione materiale, ma
significa “dello Spirito Santo”, che ha come fonte e agente.

Eudokia: la Benevolenza/Volontà di Dio sugli uomini

v. 8: “secondo il beneplacito della sua volontà”: la benevolenza di Dio Padre; è il comportamento di Dio
rispetto alla storia della salvezza. Paolo lo chiama eudokia = eu (bene) dokia (volere) (Gr) volere il bene.
Questa è la volontà di bene; è la volontà di Dio sugli uomini che si realizzi il loro bene completamente, che
tutti siano salvi. E questo con una finalità specifica che da’ il tono e il ritornello nell’inno cristologico: Fil
1, 6 …12 …14 = quasi tre ritornelli ripetuti costantemente come il centro e il cuore del progetto di
salvezza di Dio “a lode e gloria della sua grazia”: potremmo dire anche “a lode dello splendore della
sua gratuità”. La gloria è la visibilità e tangibilità dell’amore gratuito di Dio.
v. 6: “E questo a lode e gloria della sua grazia”
Cioè, tutto quello che Dio ha realizzato e compiuto in Cristo Gesù nel progetto di salvezza, è a lode e gloria
della sua grazia. Tutta la vita cristiana e di ogni uomo è una preghiera di lode, è un invito ad essere un
rendimento di grazie alla charis di Dio (gratuità di Dio).
v. 12: “perché noi fossimo a lode della sua gloria”
Siamo ontologicamente una preghiera di lode all’amore e alla grazia di Dio: Chi è l’uomo? Che cosa è la
creazione?
v. 14: “a lode della sua gloria.”

BATTESIMO: Pienezza di grazia

Ef 1,8 “secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni
sapienza e intelligenza”
La ricchezza della grazia di Dio Padre che ha abbondantemente riversata su di noi nel Battesimo, Paolo
lo esprime con un verbo che tradotto letteralmente suona così:

“ci ha riempiti di grazia” – questo si ripete due volte nel Nuovo Testamento

1. Lc 1,30: l’Annunciazione alla Vergine Maria: “piena di grazia” – cioè riempita, trasformata dalla
grazia di Dio
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2. Ef 1, 8: questo privilegio mariano, Paolo lo identifica con ogni cristiano: Come Maria, ogni
Battezzato è riempito di grazia. [Cf. concetto di perfezione, come qualcosa cha abbiamo
all’inizio del cammino e non alla fine, e abbiamo tutti gli strumenti per poter camminare].

Fin dal battesimo, siamo riempiti di grazia, gratificati, santificati dalla grazia di Dio, per essere lode e
gloria del suo Amore gratuito.

Amen!

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