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L’Ultima Cena.
Un’indagine ancora in corso su uno degli
avvenimenti chiave per la cultura
occidentale e per tutta l'umanità
di
Marta Berogno e Generoso Urciuoli
Torino 2016 CSP art/2/2016
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risposta ci può essere fornita dalle influenze che l’ellenismo ebbe sul
giudaismo: l'educazione greca esercitò una forte attrattiva e la
traduzione della Bibbia in greco influenzò intere generazioni. Forse,
approfondendo, si potrebbe parlare di contiguità tra l'ellenismo e il
giudaismo. Non si esclude la presenza, in alcuni ambienti, di un
giudaismo più incline al confronto, a tal punto che comparvero in
Palestina gruppi che cercavano di fornire alla Bibbia un'interpretazione
più aperta, con argomenti filosofici, rispetto all'interpretazione
rigida e severa dei racconti e delle rigorose prescrizioni della
tradizione. Anche all’interno di una cerchia ristretta, come quella del
primo nucleo di cristiani, coesistevano diverse sensibilità che
sfociavano in dibattiti molto accesi. Un esempio di queste diverse
posizioni, all'interno di quella che ai nostri occhi appare come la prima
comunità cristiana, lo troviamo in Atti degli Apostoli, dove Pietro, con
un atteggiamento meno conservatore, cerca invano di convincere la
comunità di Gerusalemme che tutti i cibi, non solo quelli leciti,
potevano essere mangiati con mani impure, ovvero che tutti i cibi erano
ugualmente inutili ai fini della giustificazione morale davanti a dio
(Atti degli Apostoli 11,1-18). In un altro passo, invece, la storia ci
racconta che Giacomo, presunto fratello di Gesù, alla guida della
comunità di Gerusalemme, ribadì con forza la necessità di osservare le
tradizioni alimentari, quali ad esempio il vietare il consumo alimentare
del sangue e la macellazione per soffocamento (Atti degli Apostoli
15,20-29). Sempre Pietro, discepolo fondamentale, fornisce altri esempi
del suo atteggiamento 'aperto' nei confronti del cibo; infatti, durante
la sua permanenza a Cesarea, gli fu rinfacciato “di essere entrato in
casa di persone non circoncise e di avere mangiato con loro”: era un
comportamento inaudito per la comunità di Gerusalemme, che, come appena
ricordato, era imbrigliata nelle tradizioni giudaiche e poco propensa ad
abbandonarle. Il comportamento di Pietro, però, era in linea con gli
insegnamenti di Gesù, che era solito mangiare anche con i peccatori. Ci
troviamo ad avere, quindi, un Gesù rivoluzionario nei confronti del cibo
da un lato, e dall’altro, la comunità giudaica in senso ampio e alcuni
rappresentati della “scuola” di Gesù, fermi sulle tradizioni; in mezzo
una visione più aperta e contaminata del giudaismo, che, pur esistendo da
secoli, fu portata avanti da Paolo e gli procurò numerose difficoltà
nelle prime comunità giudeo-cristiane. A questo proposito, il dibattito
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teologico dei primi secoli del cristianesimo, giunto a noi solo da fonti
occidentali, si svolge sul terreno delle reciproche accuse di
interpolazione e di falsificazione. La visione vincente è quella che poi
formerà la base e la struttura della Chiesa Cattolica. Tertulliano,
apologeta cristiano, nato a Cartagine nel 155 d.C, vissuto durante
l'impero di Settimio Severo e Caracalla, primo teologo sistematico di
lingua latina, fornisce un quadro alquanto esemplificativo dei dibattiti
dell'epoca:"Io dico di avere la verità. Marcione dice di averla. Io dico
che quella di Marcione è falsificata; egli dice lo stesso di
me" (Adversus Marcionem IV.4).
Marcione, probabilmente, fu il più influente predicatore cristiano del II
secolo e a lui si fa risalire la formulazione del primo Canone dei
Vangeli, andato perduto. Per i Padri della Chiesa, però, Marcione era
Satana. A distanza di millenni non siamo in grado di comprendere la
portata del suo messaggio, che si propagò ovunque ed ebbe una grande
influenza sulla nascente struttura cristiano-cattolica. Sempre
Tertulliano afferma : “La tradizione eretica di Marcione ha riempito il
mondo intero!" (Adversus Marcionem V.19, cfr. anche Giustino, Apologia
1.58). Tornando ad un discorso che potrebbe interessare la nostra
indagine, Marcione affermava che la figura di Paolo, come formulata e
presentata negli Atti degli Apostoli, non ha nulla a che vedere con la
realtà e ribadiva con forza che Saulo fosse un fervente credente dello
stesso Dio del Vecchio Testamento, quello della tradizione giudaica.
Marcione, come la storia della chiesa ci insegna, fu bollato come
eretico.
Torniamo alle nostre fonti principali, i Vangeli. I Vangeli di Matteo,
Marco e Luca, che collocano l'Ultima Cena come celebrazione preparatoria
alla festa della Pasqua, non costituiscono tre fonti differenti e
indipendenti; nonostante le molte divergenze e contraddizioni nel testo,
essi vengono definiti sinottici, perché, in uno sguardo d'insieme
(sinossi), si notano facilmente le somiglianze nella narrazione, in
quanto gli stessi episodi riportati, spesso sono descritti con frasi
identiche.
Gli studiosi ipotizzano che la fonte originaria, probabilmente Marco,
venne ricopiata poi da Matteo e Luca. In realtà, negli ultimi decenni, si
sostiene l’ipotesi dell’identificazione di questa fonte con Q (da quelle
parola tedesca che significa fonte), ossia il più antico testo cristiano,
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tavola, e ammesso che il discepolo amato fosse Giovanni, che già abbiamo
collocato alla destra, alla sinistra avrebbe potuto prender posto Pietro.
Qui, però, subentra una complicazione:"Simon Pietro gli fece cenno (al
discepolo amato nda) di domandare chi fosse colui del quale parlava.
Egli, chinatosi così sul petto di Gesù, gli domandò: «Signore, chi è?»
Gesù rispose: «È quello al quale darò il boccone dopo averlo
intinto»” (Giovanni 13, 24-26). Da questo passo si evince che la
posizione di Pietro non dovesse essere tra le migliori, considerato che
non poteva rivolgersi direttamente a Gesù e necessitava di un
intermediario, il discepolo amato. Possiamo supporre qualcosa in più:
per poter attirare l'attenzione di Giovanni, il discepolo amato, Pietro
doveva trovarsi di fronte a quest’ultimo, quindi difficile immaginarlo
alla sinistra di Gesù. Naturalmente queste sono solo ipotesi, avvallate,
però, anche da un altro passo di Giovanni:“Poi mise dell’acqua in una
bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con
l’asciugatoio del quale era cinto. Si avvicinò dunque a Simon Pietro, il
quale gli disse: «Tu, Signore, lavi i piedi a me?»”(Giovanni, 13, 5-6).
Nei banchetti importanti, una volta preso posto, oltre a quello delle
mani, era d’uso il lavaggio dei piedi, affidato ad uno schiavo capace,
segno di 'gran lusso'.
Ripercorrendo i versetti, si evince chiaramente che Gesù inizia a lavare
i piedi ai suoi discepoli per arrivare fino a Pietro: quindi, Pietro non
poteva trovarsi alla sua sinistra, ma in posizione lontana, ammesso che
il lavaggio seguisse la stessa gerarchia e disposizione dei posti presi a
tavola. Nulla ci vieta di ipotizzare che, avendo Pietro un carattere
forte, caparbio e orgoglioso, non toccandogli il posto d’onore, abbia
preferito posizionarsi lontano, ma frontale al discepolo amato, Giovanni.
Se poi associamo un altro indizio a questo entusiasmante puzzle, ossia
alcuni versetti di Matteo: “Ma egli rispose: «Colui che ha messo con me
la mano nel piatto, quello mi tradirà.” (Matteo, 26, 23). A chi spettava
il posto d’onore? Azzardiamo addirittura a Giuda! Il boccone intinto,
direttamente offerto da Gesù a Giuda, fa presumere che i due fossero
molto vicini. Per poter dividere lo stesso piatto, la vicinanza doveva
essere condizione necessaria!
Un' altra domanda, nella nostra indagine, è venuta spontanea: i
partecipanti alla Cena furono tredici e tutti uomini? Nelle opere d’arte
sembrerebbe così, ma non siamo convinti del tutto. Forse, ed è giusto
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rimanere nel campo delle ipotesi, erano molti di più e non solo uomini.
Gesù, avrebbe potuto celebrare il suo ultimo pasto, in assenza della
madre e delle donne che lo seguivano ovunque?
La Pasqua ebraica era un momento di festa, di commemorazione, dove tutta
la famiglia si riuniva. Uomini, donne e bambini. L’uso greco e romano di
non far accomodare alla stessa tavola(sempre in senso virtuale) uomini e
donne, non era in voga tra gli abitanti della Giudea. Gli Ebrei erano
soliti mangiare tutti insieme, soprattutto nelle ricorrenze ufficiali. E’
anche vero che, nelle tre feste di pellegrinaggio (la Pasqua, la
Pentecoste e i Tabernacoli), l’obbligo esplicito di recarsi al Tempio di
Gerusalemme era rivolto ad ogni ebreo maschio, giunto ad una certa età.
Obbligo, però, che non esclude la presenza delle donne che seguivano
Gesù, la cui esistenza è attestata a Gerusalemme nei giorni successivi.
Non ci sono dubbi sul fatto che questa cena avvenne all’interno di una
casa, al primo piano, dentro le mura di Gerusalemme. Abitudine confermata
negli Atti degli Apostoli, quando le prime comunità si riunivano al primo
piano di una casa privata, messa a disposizione da qualche fedele per
commemorare quel rito.
Per la maggior parte della vulgata, l'Ultima Cena si verificò durante la
celebrazione della Pasqua. Tre Vangeli su quattro la indicano in questo
modo. Quindi su quella tavola sarà stata imbandita una tipica cena
pasquale, epurata dalle codificazioni successive. Non abbiamo testi
contemporanei di Gesù riguardanti la celebrazione della Pasqua ebraica;
il corpus di regole religiose e civili, che si chiama Mishnah, in
particolare il trattato sulla pasqua(Pesahim), risale al 200 d.C.
Possiamo riprendere l'Esodo dove si parla, però, solo di azzimi, agnello
ed erbe amare “con erbe amare mangeranno" (Esodo 12, 8). La salsa
charroset compare successivamente nella Mishnah. Il fatto che alcuni
alimenti tipici della Pasqua siano all'interno del corpus di regole del
200 d.C., e non nell'Esodo, non implica che all'epoca di Gesù fossero già
adottati: alcuni identificano la salsa nella quale Gesù intinse il
boccone come lo charroset. Lo charroset, che comprende frutta e spezie,
menzionate nel Cantico dei Cantici (melograno, uva, noci, vino zafferano,
cannella), ha numerose varianti locali o di famiglia, come altri piatti
tipici; è possibile che Gesù abbia seguito qualche variazione, forse una
semplice variante locale o forse una rivoluzione delle tradizioni
alimentari. Anche se già incontrati, proviamo a raccogliere tutti gli
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misero a discutere tra di loro: « Come può costui darci la sua carne da
mangiare?».
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne dei
Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo
risusciterò nell'ultimo giorno…» ”(Giovanni 6, 30-54).
Mancherebbe l'agnello. I Vangeli, essendo stati redatti successivamente
alla morte di Gesù, possono essere stati sia epurati, sia 'arricchiti' di
simbologie tipicamente cristiane, come troviamo, nel passo già citato di
S. Paolo: "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova,
poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!
Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di
malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di
verità” (1Lettera ai Corinzi 5, 7-8).
È possibile che, per rendere l'idea di Gesù come Pasqua, ovvero, colui
che viene sacrificato per redimere i peccati degli uomini, sia stato
tolto l'agnello, essendo lui stesso l'Agnus Dei che toglie i peccati dal
mondo.
Non dimentichiamoci che la celebrazione del Seder di Pesach, con la sua
ritualità e gli alimenti presenti, venne codificata successivamente. Se
consideriamo invece l'indicazione del Vangelo di Giovanni, la cena
sarebbe avvenuta il giorno prima, durante il 'Digiuno dei primogeniti':
Gesù era un primogenito e avrebbe dovuto eseguire il digiuno, come si
dice in Matteo (5,17-18), in quanto egli osservava la legge: “Non
crediate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti (..) non uno
jota non un apice cadrà della legge, prima che tutto accada”. Ma la
Legge, in alcuni casi, consentiva di evitarlo. Se in quella occasione vi
fosse stata una riunione di preparazione, di studio, l'Ultima Cena
sarebbe avvenuta in sostituzione al digiuno, ma non siamo certi che
questa usanza fosse già codificata all'epoca.
Durante la nostra l’indagine è maturata un’ipotesi ben precisa: se
consideriamo l'evento dell'Ultima Cena come realmente accaduto, potrebbe
non essersi verificato a Pasqua. Nell’affermarlo non ci limitiamo
all’idea che l’assenza dell’agnello pasquale da quella tavola o la
mancata citazione delle erbe amare siano indizi preponderanti. La non
presenza di un elemento non è condizione necessaria e sufficiente per
affermare che qualcosa non esista.
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Pasqua, troviamo simbologie più legate alla Festa dei Tabernacoli che
alla Pasqua: “Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la
festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e
uscì incontro a lui gridando:Osanna! Benedetto colui che viene nel nome
del Signore,il re d'Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra,
come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene,
seduto sopra un puledro d'asina” (Giovanni 12, 12-15). Le acclamazioni al
grido di Osanna con rami di palma, i quali oggi vengono utilizzati nella
Domenica delle palme, erano elementi tipici delle processioni durante la
festa dei Tabernacoli: "Ti rendo grazie, perché mi hai esaudito, perché
sei stato la mia salvezza. La pietra scartata dai costruttori è divenuta
testata d'angolo; ecco l'opera del Signore: una meraviglia ai nostri
occhi. Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo
in esso. Dona, Signore, la tua salvezza, dona, Signore, la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa
del Signore; Dio, il Signore è nostra luce. Ordinate il corteo con rami
frondosi fino ai lati dell'altare” (Salmo 118, 21-27). Gesù, spesso,
nelle parabole fa riferimenti a se stesso come al messia, utilizzando la
simbologia di questa festa (acqua e luce): “Chi ha sete venga a me e
beva” (Giovanni 7,37); “Io sono la Luce del mondo” (Giovanni 8,12). Se
vogliamo avere poi, un'ulteriore suggestione, prima del 70 d.C.,l'ottavo
giorno, ovvero l'ultimo giorno della festa, che era considerato il
preannuncio del Paradiso, i celebranti giravano attorno l'altare
"Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell'altare", con
corone vegetali sul capo, oltre che con il lulab in mano. Usanza che
troviamo riportata in testi sia ebraici:"Fu stabilito che essi celebrino
la festa dei Tabernacoli dimorando nelle capanne, portando delle corone
sulle loro teste e tenendo in mano rami frondosi e ramoscelli di
salice" (Giubilei, XVI), sia pagani: “Ma poiché i loro sacerdoti erano
soliti cantare con flauti e timpani e si cingevano (il capo) di
edera.." (Tacito, Hist., V,5). Nei Vangeli, il trascorrere del 'tempo' è
sempre relativo, probabilmente l'ingresso risale alla festa dei
Tabernacoli, ma viene associato alla Pasqua: proprio per questo, la
nostra è solo una ricostruzione ipotetica! Quindi, se mettiamo
alcuni elementi a confronto, ci ritroviamo a Gerusalemme per una grande
festa, dove solo gli uomini avevano l'obbligo di assistervi, anche se il
pellegrinaggio si svolgeva con le famiglie: nel racconto dei Vangeli è
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