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Luciano Nuzzo

Il mostro di Foucault
Limite, legge, eccedenza

MELTEMI
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Collana: Linee, n. 31
Isbn: 9788883538506

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Indice

9 Ringraziamenti

Capitolo primo
11 Foucault, il mostro e la mostruosità
11 1.1. Foucault e il mostro
18 1.2. Costruire la differenza
38 1.3. Pensare la differenza
35 1.4. Ambivalenze del mostro, ambivalenze del limite
41 1.5. Linee di fuga

Capitolo secondo
49 Il pensiero del limite
49 2.1. Foucault, Kant e il limite
65 2.2. Limite, mostro e desoggettivazione
74 2.3. Esperienza del limite: Nietzsche, Blanchot, Bataille
91 2.4. Il pensiero del fuori
109 2.5. La trasgressione, il limite e la legge

Capitolo terzo
127 Ordine e differenza
127 3.1. Epistemofilia e performance della differenza
138 3.2. Il mostro e la costruzione dell’ordine
153 3.3. Il mostro e la mostruosità in Les mots et les choses
163 3.4. Il mostro e l’altro della rappresentazione
174 3.5. Il mostro come anomalia. Discorso scientifico
e patologizzazione della differenza

Capitolo quarto
191 Mostruosità, diritto e potere
191 4.1. Il discorso del potere e il potere del discorso
205 4.2. Genealogie mostruose. Dal mostro naturale
al mostro morale
226 4.3. Il mostro morale e il criminale mostruoso
243 4.4. Il mostro, la legge e il diritto
264 4.5. Il mostro politico

279 Bibliografia
a Carolina
Ringraziamenti

Questo libro è risultato degli incontri e degli affetti.


Le parole che seguono tenteranno di tracciare questa tra-
ma. I fili sciolti dovranno essere letti come l’eccedenza che
rende ogni compito, ancora di più quello legato alla gratitu-
dine, un’opera impossibile.
Raffaele De Giorgi, mio maestro, è stato in questi anni un
modello intellettuale rigoroso e impegnato e mi ha permesso
di decentrare il punto di osservazione sul mondo.
Ronnie Lippens mi ha accolto all’Università di Keele, le
sue indicazioni e i suoi suggerimenti sono stati determinanti
per definire il progetto iniziale del libro.
Juliana Neunschwander Magalhães ha reso la mia perma-
nenza in un “altro luogo” possibile. A lei devo la conoscenza
di persone e sguardi differenti.
Cristina Vano ha seguito con attenzione e premura tutto il
mio percorso intellettuale.
Corrado Punzi è stato un amico e compagno di ricerca,
vicino anche quando lontano.
Mino Degli Atti ha condiviso con me esperienza di vita,
passioni per il limite, Foucault, la filosofia e molte altre cose
ancora.
Mio fratello Luigi ha letto e discusso le pagine di questo
testo, ma, soprattutto mi ha sostenuto e appoggiato in quei
giorni d’ombra in cui non sapevo chi fossi e cosa facessi.
10 IL MOSTRO DI FOUCAULT

Carolina Correia dos Santos ha letto diverse volte tutte le


parole che compongono questo libro. Ha imparato l’italiano
mentre io imparavo, da lei, il senso della mia scrittura.
Paola, Anna, Michele, Marcello, Katia L., Mario, Katia
R., Cinzia, Riccardo e molti altre/i hanno reso la mia vita
felice con la loro differenza.
Finalmente, questo libro non sarebbe potuto essere scrit-
to senza il sostegno costante della mia famiglia, e senza tutti
i racconti fantastici che da bambino mio padre e mia madre
mi leggevano prima di addormentarmi.
Capitolo primo
Foucault, il mostro e la mostruosità

1.1. Foucault e il mostro

Il saggio propone una lettura del pensiero di Michel Fou-


cault assumendo come angolo di osservazione la prospettiva
del mostro e del mostruoso. La questione su cui vorrei riflet-
tere è il carattere strategico del mostro e del mostruoso nella
riflessione di Foucault.
Una tale affermazione potrebbe sembrare azzardata se
si prendono in considerazione le pagine che egli dedica al
tema. Un’analisi dettagliata del mostro è presente, infatti,
solo nel capitolo Monstres et fossiles del testo del 1966, Les
mots e les choses1, e nel corso al Collège de France dedica-
to a Les anormaux2. Nonostante Foucault analizzi il mostro
principalmente in questi due testi, tutta la sua produzione mi
sembra essere attraversata dalla “linea del mostro”. Questo
non significa solamente che è possibile seguire le tracce di
questa “linea del mostro” in molti suoi testi3, tra cui Folie et

1
Michel Foucault, Les mots et les choses. Une archéologie des sciences
humaines, Gallimard, Paris,1966 trad. it. di Emilio Panaitescu, Le parole e le
cose. Un’archeologia delle scienze umane, BUR Rizzoli, Milano, 2010.
2
Michel Foucault, Les anormaux. Cours au Collège de France. 1974-1975,
Paris, Gallimard/Le Seuil, 1999, trad. it. a cura di Valerio Marchetti e Anto-
nella Salomoni, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Feltri-
nelli, Milano, 2004.
3
Per una ricostruzione analitica del termine “Mostro” nell’opera di Fou-
cault si veda la voce “Monstre” (Mostro) nell’utilissimo testo di Edgardo
12 IL MOSTRO DI FOUCAULT

Déraison (1961)4, la lezione inaugurale al Collège de France,


L’ordre du Discours (1970)5 e nei Corsi su Pouvoir psychia-
trique (1973-1974)6 e su Il faut défendre la société (1975-
1976)7. Significa, piuttosto, che tale prospettiva permette
di segnalare una pluralità di nodi problematici di carattere
filosofico, giuridico, politico intorno ai quali si svolgerà la
ricerca del pensatore francese: il rapporto tra trasgressione
e limite, tra ragione e follia, tra processi di veridizione e le
forme di potere, il problema della norma e delle tecnologie
di produzione della normalità, la questione della resistenza e
delle contro-condotte. Tutti i grandi temi foucaultiani pos-
sono essere riletti attraverso la questione del mostro e del
mostruoso.
Se, fino ad oggi, una grande e importante parte degli stu-
di foucaultiani, nell’ambito filosofico-giuridico, si è dedicata,
soprattutto, all’analisi dei dispositivi di potere, delle tecnolo-
gie della sicurezza e del controllo -e naturalmente ciò si giu-
stifica con l’attualità di tali temi -questo saggio si propone un
compito differente, non assume direttamente come oggetto
privilegiato d’analisi il discorso di Foucault sul potere, ma
ciò che opera al margine della sua scrittura.
Il mostro è una piega, si potrebbe dire, nella scrittura di
Foucault, una piega di una pratica di scrittura archeologica e
genealogica. È solo una piega, si potrebbe aggiungere, risul-

Castro, Vocabulário de Foucault. Um percurso pelos seus temas, conceitos e


autores, Autêntica Editora, São Paulo, 2004, p. 303.
4
Michel Foucault, Histoire de la folie à l’âge classique, Gallimard, Paris,
1961, trad. it. a cura di Franco Ferrucci, Storia della follia nell’età classica,
Rizzoli, Milano, 1997.
5
Michel Foucault, L’ordre du discours, Gallimard, Paris, 1971, trad. it. a
cura di Mauro Bertani, L’ordine del discorso, in Foucault, Il Discorso la storia,
la verità. Interventi 1969-1984, Einaudi, Torino, 2001.
6
Michel Foucault, “Il faut défendre la société”. Cours au Collège de France
1975-1976, Gallimard/Le Seuil, Paris, 1997, trad. it. a cura di Mauro Bertani
e Alessandro Fontana, “Bisogna difendere la società”, Feltrinelli, Milano, 2009.
7
Michel Foucault, Le pouvoir psychiatrique. Cours au Collège de France
1973-1974, Gallimard/Le Seuil, Paris, 2003, trad. it. a cura di Mauro Bertani,
Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli, Mi-
lano, 2010.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 13

tato di quel dispositivo che è la scrittura di Foucault. Ma i di-


spositivi sono al tempo stesso macchine di assoggettamento
e di soggettivazione, di identificazione e di produzione della
differenza. Il mostro in quanto piega del pensiero e della
scrittura indica una pratica del pensare e di scrivere che non
è mai la stessa, che decentra continuamente il proprio luogo
di enunciazione, che destabilizza le partizioni e le distinzioni
con cui si cerca di identificarla. Una questione di cui Fou-
cault sembra essere del tutto consapevole e che riguarda la
posizione, il luogo e lo statuto del suo discorso. Il mostro, o
meglio qui la mostruosità, è sempre una piega del pensiero
e della scrittura su sé stessa, una interrogazione sulle condi-
zioni di possibilità, sui limiti dello stesso pensiero riflessivo,
sulle sue relazioni con il fuori del pensiero, sulla possibilità
di pensare e praticare la differenza dell’evento all’interno del
campo di esperienza in cui si dà la nostra relazione con noi
stessi, con gli altri e con le cose. La questione del mostro,
quindi, riguarda la relazione del pensiero con sé stesso, con
i propri limiti e le proprie possibilità. Non è un caso che
Foucault, o meglio Maurice Florence scriva nel Dictionnaire
des Philosophes: “Se Foucault si inscrive nella tradizione fi-
losofica, lo fa nella tradizione critica di Kant”8. Qui quello
che è in gioco è il pensiero e la scrittura come limite. Non
solo, però, il limite inteso come limitazione necessaria per un
corretto uso della ragione, il limite, nel senso kantiano, come
individuazione delle condizioni di possibilità del pensiero e
dell’azione; ma anche il limite come esercizio critico che por-
ta il pensiero al proprio limite .
Se è vero, allora, che il mostro costituisce un tema mino-
re, una questione apparentemente marginale per la posizione
che occupa all’interno di quel dispositivo significante che è
la scrittura di Foucault, al tempo stesso, ritengo, funzioni

8
Michel Foucault (Maurice Florence), “Foucault” in Denis Huismann
(ed.), Dictionnaire des philosophes, Puf, Paris, 1984, t. I, pp. 942-944, trad.
it. di Sabina Loriga, Foucault, in Alessandro Pandolfi (a cura di), Archivio
Foucault. 3. Interventi, colloqui, interviste 1978-1985. Estetica dell’esistenza,
etica, politica, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 248.
14 IL MOSTRO DI FOUCAULT

come operatore della differenza. Operatore della differenza


significa che reintroduce continuamente la differenza nella
differenza, de-territorializzando, per usare l’espressione di
Deleuze e Guattari, la lingua e la scrittura filosofica, costrin-
gendola ad una relazione costante con ciò che sta fuori9;
decentrando il soggetto della enunciazione, mostrando le
relazioni di forza che lo costituiscono come soggetto di un
discorso di verità che produce effetti di potere. Operatore
della differenza, ancora, perché fa emergere la dimensione
politica del discorso. Il mostro è il luogo di emergenza di un
conflitto, di uno scontro, di una battaglia. Quello che appare
attraverso il mostro sono le relazioni tra il sapere e il pote-
re; che il senso si costruisce grazie a sistemi di coercizione e
come effetto di strutture coercitive10. Infine operatore della
differenza significa che il mostro non è mai un solo mostro.
È un nome che indica una molteplicità, una moltitudine di
differenze singolari che il nome “mostro” tenta di catturare e
assoggettare, di ricondurre all’unità di un nome e alla logica
della identità senza mai riuscirvi. Il mostro è il divenire mol-
teplice, tanto della scrittura di Foucault, una scrittura che
apre continuamente spazi, produce distanziamenti, inter-
rompe la relazione tra le parole e le cose; quanto delle forze
e delle loro combinazioni possibili, è il divenire molteplice
del soggetto, è l’eccedenza della singolarità che non si lascia
identificare e individuare nella categoria di soggetto.
Soggetto, potere, verità possono essere considerate le li-
nee della ricerca-critica foucaultiana. Il mostro è allora ciò
che disattiva il funzionamento di questo triangolo su cui e
attraverso cui ha funzionato il discorso filosofico e filosofico
giuridico moderno.
In primo luogo, il mostro costituisce un problema per ogni
filosofia del soggetto. È l’altro del soggetto, ciò che il soggetto

9
Gilles Deleuze, Felix Guattari, Kafka. Pour une littérature mineure, Les
Éditions de Minuit, Paris, 1975, trad. it. di Alessandro Serra, Kafka. Per una
letteratura minore, Quodlibet, Macerata, 1996.
10
Michel Foucault, “Qu’est-ce que la critique? (Critique et Aufklärung)”
in Bulletin de la Société Française de Philosophie, 1990, 2, p. 47 (pp. 35-63).
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 15

non deve essere per essere soggetto; il mostro è indifferenzia-


zione, singolarità plurale, in quanto confusione e miscuglio di
forme, di generi, di specie. In secondo luogo, il mostro costi-
tuisce una sfida per il discorso vero. Il mostro è l’altro della
verità; non è semplicemente un errore, perché l’errore fun-
ziona dentro un campo disciplinare che stabilisce i criteri in
base ai quali le proposizioni possano essere considerate vere e
false. Il mostro è ciò che deve essere escluso per costruire un
determinato campo discorsivo. Infine il mostro è il limite del
potere, ciò che deve essere catturato attraverso la sua esclu-
sione e marginalizzazione nello spazio del fuori. Il mostro è
fuori legge, ma al tempo stesso disattiva, come vedremo, il
funzionamento della legge e dei dispositivi di potere.
Il mostro svolge una funzione critica, dunque, perché
permette di decentrare ancora una volta il discorso filoso-
fico-giuridico della modernità, desoggettivizza il soggetto-
sostanza-verità, mette in evidenza la relazione tra verità e po-
tere; interroga il potere non solo sulla sua origine e sulla sua
legittimazione, ma anche sulle forme del suo funzionamento,
mettendo in evidenza la molteplicità dei meccanismi di co-
stituzione e di produzione dei rapporti di forza, per lasciarli
emergere “nella loro molteplicità, nella loro differenza, nella
loro specificità o nella loro reversibilità”11.
Il mostro, pertanto, funziona come “dispositivo euristico” in
quanto mostra, meglio di altri concetti, i processi di costituzio-
ne del mondo materiale e simbolico12. È il luogo di emergenza
e di convergenza di una serie di questioni epistemiche e rifles-
sioni che riguardano la costruzione disciplinare delle scienze

11
Michel Foucault, “Bisogna difendere la società”, cit., p. 44.
12
Noël Carroll, The Philosophy of Horror or Paradoxes of the Heart, Rout-
ledge, London-New York, 1990, p. 27. Sulla funzione euristica del mostro e
del mostruoso nel pensiero di Foucault si veda Andrew N. Sharpe, Foucault’s
Monsters and the Challenge of Law, Routledge, London-New York, 2010, pp.
21-24; Gerhard Unterthurner, Abnormality and Monstrosity in Foucault in
Gerhard Unterthurner and Erik M. Vogt, Monstrosity in Literature, Psycho-
analysis and Philosophy, Verlag Turia +Kant, Wien-Berlin, 2012, pp. 199-218;
Mabel Moraña, El monstruo como máquina de Guerra, Iberoamericana – Ver-
vuert, Madrid – Frankfurt a. M., 2017, pp. 190-201.
16 IL MOSTRO DI FOUCAULT

umane, la relazione tra le categorie di anormalità e anomalia e


la stessa rappresentazione simbolica di queste categorie13.
Si tratta dunque, da un lato, di un tema che permette
di entrare nel laboratorio foucaultiano, facendo emergere
le continuità, gli scarti, i ripensamenti che la attraversano.
Dall’altro lato, permette di mettere in luce una serie di pro-
blemi e interrogativi intorno ai quali si costituisce la rifles-
sione del filosofo francese. Non si tratta quindi, solo, di ri-
costruire ciò che Foucault dice a proposito del mostro e del
mostruoso. Piuttosto, mi sembra più interessante far emer-
gere la mostruosità quale orizzonte sul cui sfondo di senso si
definisce la ricerca foucaultiana.
Il discorso sul mostro ha una storia antica e complessa,
questa storia fa emergere una serie di questioni che riguar-
dano il vocabolario concettuale del pensiero occidentale14.
La proposta è dunque quella di rileggere il pensiero di
Foucault, dalla prospettiva del mostro. Se Il mostro è uno dei
temi, tra i tanti che il pensatore francese ha affrontato nella
sua riflessione, la questione della mostruosità, della differen-
za mostruosa mi sembra piuttosto indicare la forma stessa di
una ricerca e di un discorso che sfugge alle classificazioni e
alle discipline, che “declina le proprie generalità non senza
dire preventivamente: non sono né questo né quello”15 e che
proprio come un mostro, si prende gioco di quella “morale
da stato civile” che si preoccupa della identità.

13
Moraña, El monstruo como máquina de Guerra, cit., p. 191.
14
Per una ricostruzione delle questioni attinenti al mostro e alla mostruo-
sità si veda: Charles T. Wolfe, (ed.) Monsters and Philosophy, College Publica-
tion, London, 2005; Anne Caiozzo, Anne Emanuelle Demartini, (eds.), Mon-
stre e imaginaire social. Approches historique, Creaphis Éditions, Paris, 2008;
Ubaldo Fadini, Antonio Negri, Charles T. Wolfe, (eds.), Desiderio del mostro.
Dal circo al laboratorio alla politica, Manifesto libri, Roma, 2001; Jeffrey Je-
rome Cohen, (ed.), Monster Theory. Reading Culture, University of Minne-
sota Press, Minneapolis-London, 1996; Richard Kearney, Strangers, Gods and
Monster. Interpreting otherness, Routledge, London-New York, 2003.
15
Michel Foucault, L’archéologie du savoir, Éditions Gallimard, Paris,
1969, trad. it. a cura di Giovanni Bogliolo, L’archeologia del sapere. Una meto-
dologia per la storia della cultura, Rizzoli, Milano, 2011, p. 24.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 17

Il mostro e la mostruosità di cui parla Foucault si intrec-


ciano con la mostruosità di una pratica filosofica che si gioca
sui limiti dei dispositivi di sapere e potere. L’archeologia e
la genealogia e poi l’ontologia del presente non solo mostra-
no il carattere contingente e aleatorio che si cela dietro le
forme consolidate del sapere e delle istituzioni di potere,
ma riattivano i possibili esclusi dalle selezioni attualizzate in
quelle forme e istituzioni16. Il metodo foucaultiano, dunque,
mi sembra essere attraversato in modo ortogonale dalla linea
del mostro. Il mostro, prima di essere il prodotto di un di-
spositivo di sapere/potere, è materializzazione di uno spazio
di esperienza in cui il pensiero sperimenta i propri limiti, fa i
conti con il proprio impensato.
Nel momento in cui l’uomo appare sulla scena della cul-
tura occidentale, l’impensato costituisce l’altro dell’uomo, la
sua contro-figura. Come lo stesso Foucault, in pagine molte
dense, scrive:

l’uomo non poteva disegnarsi come configurazione nell’epi-


steme, senza che il pensiero non scoprisse al tempo stesso, in sé e
fuori di sé, nei propri margini, ma anche intrecciati alla propria
trama, una parte di notte, uno spessore apparentemente inerte
in cui è coinvolto, un impensato che esso da un capo all’altro
contiene, ma nel quale non di meno si trova imprigionato17.

Ora se il pensiero moderno si muove nella direzione di


trasformare “L’altro dell’uomo” nel suo “Medesimo”18, mi
sembra che Foucault e il suo pensiero mostruoso si muova-
no in una direzione contraria, quella cioè di pensare “dif-
ferenzialmente la differenza”, scardinando unità e identità
consolidate. Il compito del pensiero, secondo Foucault, non
consisterà, allora, nel recuperare l’uomo, sottraendolo allo
sfondo oscuro da cui emerge, per restituirlo alla sua verità

16
Sandro Chignola, Foucault oltre Foucault. Una politica della filosofia,
Derive Approdi, Roma, 2014, pp.9-43.
17
Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 351.
18
Ivi, p. 353.
18 IL MOSTRO DI FOUCAULT

profonda, riconciliandolo finalmente con la propria essenza.


Piuttosto, con un movimento laterale, che decentra e spiaz-
za, il compito del pensiero sarà quello di far emergere le sin-
golarità molteplici irriducibili alla legge, quella del Modello,
quella dell’Identità, quella dello Stesso, restituendo infine
l’uomo, fuori da ogni antropocentrismo, a quella “smisurata
diversità che sfugge ad ogni specificazione”19. Se, allora, il
mostro di Foucault si dà nella ambivalenza del genitivo del
sintagma, al tempo stesso soggettivo e oggettivo, quello che
mi sembra possa emergere è la mostruosità come forma in-
stabile e sempre in divenire della differenza. Una differenza
che non è pensabile come mancanza, come assenza di forma
e che pertanto sfugge a tutte quelle strategie del sapere e del
potere di assumerla come negatività e conseguentemente di
superarla dialetticamente.

1.2. Costruire la differenza

Il mostro, scrive Foucault in Les Anormaux, combina l’im-


possibile e il proibito20. Introduce uno scarto tanto nell’or-
dine naturale, quanto nell’ordine giuridico. Costituisce una
duplice infrazione, di una norma biologica e di una norma
giuridica. Evidentemente Foucault, attraverso questa defini-
zione, riprende l’analisi del concetto di mostro che Georges
Canguilhem aveva proposto nel suo saggio La monstruosité
et le monstrueux21.
L’analisi di Canguilhem è particolarmente rilevante, in-
nanzitutto perché riprende lo studio di un tema su cui la
teratologia del XIX secolo e del XX secolo credeva di aver

19
Michel Foucault, “Theatrum philosophicum”, in Critique, 282, 1970,
pp. 885-908, trad. it. a cura di Fabio Polidori, “Theatrum philosophicum”, in
Aut Aut, 277-278, 1997, p. 65.
20
Foucault, Gli anormali, cit., p. 58.
21
Georges Canguilhem, “La monstruosité et les monstrueux” in Diogène,
40, 1962, pp. 29-43, trad. it. di Franco Bassani, La mostruosità e il portentoso,
in Id., La conoscenza della vita, Il Mulino, Bologna, 1976, pp. 239-275.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 19

detto l’ultima parola, nel momento in cui aveva scoperto


“il segreto biologico” della mostruosità. Dopo gli studi
in ambito storico artistico di Wittkower22 e Jurgis Baltru-
saïtis23, è proprio l’articolo di Canguilhem che riporta la
questione del mostro e del mostruoso nel dibattito scienti-
fico e filosofico, dando impulso ad una serie di ricerche sul
tema che coinvolgeranno prospettive e ambiti disciplinari
differenti24. In secondo luogo, l’articolo di Canguilhem è
importante perché sposta il proprio oggetto dalla “storia
generale” di una nozione il cui significante sarebbe impli-
cito, alla “storia della storia del mostro”, alla storia delle
spiegazioni della mostruosità25. La nozione di mostro non
è, infatti, neutrale, ma dipende dall’approccio metodologi-
co con cui viene interpretata e costruita. L’interesse, quindi,
si sposta su i diversi “ambiti disciplinari, i regimi di visibi-
lità e gli ordini discorsivi a partire dai quali le nozioni di
“mostro” e di “mostruosità” trovano le loro condizioni di
possibilità”26. Infine l’articolo di Canguilhem mette in luce
una questione essenziale, che ritroveremo nella analisi che
Foucault propone del mostro in Les Anormaux, il mostro è
il risultato della sovrapposizione di due norme eterogene, la
norma biologica e la norma giuridica. La prima implica una
descrizione di un fatto, la seconda invece implica l’attribu-
zione di un valore. Per cui, nel primo caso, la mostruosità
indica una irregolarità, mentre, nel secondo, una illeceità.
L’analisi di Canguilhem mostra come questi due tipi di giu-

22
Rudolf Wittkower, “Marvels of the East. A study in the history of mon-
sters” in Journal of the Warburg and Courtlaud Institutes, 5, 1942, pp. 159-197,
trad. it. Le meraviglie dell’Oriente: una ricerca sulla storia dei mostri, in Id.,
Allegoria e migrazione dei simboli, Einaudi, Torino, 1987, pp. 84-152.
23
Jurgis Baltrusaïtis, Le Moyen Age fantastique. Antiquités et exotismes
dans l’art gothique, A. Colin, Paris, 1955, trad. it. di Fulvio Zuliani e F. Bovol,
Il medioevo fantastico: antichità ed esotismo nell’arte gotica, Adelphi, Milano,
1977.
24
Cfr. Caiozzo, Demartini, L’histoire des monstres: questions de méthode,
cit., pp. 4-25.
25
Elisabetta Basso, “Mostro – Mostruoso”, in Alvearium, Anno VI, n. 6,
2013, pp. 59.
26
Ivi, p. 60.
20 IL MOSTRO DI FOUCAULT

dizio si sovrappongano nella storia delle spiegazioni della


mostruosità, sino a quando, tra la fine del XVIII e l’ini-
zio del XIX secolo, la teratologia scientifica non permet-
terà una laicizzazione del discorso sul mostro, separando
la mostruosità – l’anomalia- dal mostruoso – l’illecito e il
proibito27.
La questione del mostro è interessante proprio perché
i due tipi di norme funzionano in una continua sovrap-
posizione. Nella definizione del mostro, in altri termini,
la norma biologica e la norma giuridico-morale rinviano
l’una all’altra, costituendo il campo dell’anormalità. La
figura dell’anormale, che compare nel XIX secolo e che
ingloba in sé la nozione di mostro, è una figura ibrida dal
momento che fa riferimento tanto ad un giudizio di tipo
medico, quanto ad un giudizio di tipo giuridico. Il com-
portamento deviante rispetto alla norma giuridica, in altri
termini, troverà la sua intelligibilità nel carattere patologi-
co della condotta trasgressiva. L’anormalità rinvia ad una
anomalia patologica. Ma attraverso tali riferimenti incro-
ciati, quella che compare è ancora una volta la figura del
mostro, un mostro pallido e sbiadito. Dalle irregolarità e
piccole devianze di comportamento è, allora, possibile ri-
salire ad una natura contra-natura, una natura, appunto,
mostruosa.
Nel résumé del corso su Les Anormaux, il mostro è de-
scritto come lo sfondo opaco su cui, lentamente, prende-
ranno forma le diverse figure che andranno a popolare “la
grande famiglia indefinita e confusa degli anormali”28. Que-
sta affermazione – sebbene all’interno di un altro quadro
di riferimento – riprende la proposizione con cui si chiude
il paragrafo dedicato al mostro ne Les Mots et les choses:
“il mostro racconta quasi caricaturalmente la genesi delle
differenze”29. Come è stato osservato da diversi autori, il

27
Canguilhem, La mostruosità e il portentoso, cit., p. 251.
28
Foucault, Gli anormali, cit., p. 287.
29
Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 175.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 21

mostro indica il grado massimo di differenza dall’identico


e, pertanto, possiede una funzione di esplicazione dei pro-
cessi di costruzione sociale della differenza30. Ora la consi-
derazione secondo cui il mostro rinvia a due tipi di norme e
quindi a due tipologie di giudizi permette di osservare come
l’enunciato che descrive la violazione della norma biologica
abbia un carattere performativo. Non descrive, semplice-
mente, un fatto, ma costruisce ciò che usa come fatto. In
tal modo è possibile indicare e nominare la differenza, alla
sola condizione, però, di presupporre una norma che opera
come referenza implicita dell’enunciazione. L’enunciazione
si fa direttamente azione, è un dire che è, al tempo stesso,
un fare perché nel momento in cui dice la mostruosità la
costituisce, instaurando una relazione di circolarità tra ef-
fetti di verità dell’enunciato ed effetti di potere dell’enun-
ciazione. Qualificare la difformità come mostruosa significa
attribuirgli un valore negativo e scandaloso, collocare il
disordine morfologico all’interno dell’inumano31.
La ricerca archeo-genealogica di Foucault mette in evi-
denza i processi di costruzione tanto del soggetto quanto del
soggetto dell’enunciazione. Sempre nella voce “Foucault”
del Dictionnaire des philosophes, Maurice Florence/Michel
Foucault, definendo l’orizzonte della sua ricerca come “sto-
ria critica del pensiero” scrive:

30
Sharpe, Foucault’s Monster and the Challenge of Law, cit., pp. 29-31; si
veda anche Edward Ingrebresten, At Stake: Monsters and the Rhetoric of Fear
in Public Culture, University of Chicago Press, Chicago, 2001; Nina Lykke,
Rosi Braidotti, Between Monsters, Goddesses and Cyborgs: Feministt Confron-
tations with Science, Medicine and Cyberspace, Zed Books, London, 1996;
Margrit Shildrick, Embodying the Monster: Encounters with the Vulnerable
Self, Sage, London, 2002.
31
Caiozzo, Demartini, L’histoire des monstres: questions de méthode, cit.,
p. 14.
22 IL MOSTRO DI FOUCAULT

La questione consiste nel determinare ciò che deve essere il


soggetto, a quale condizione `e sottomesso, quale statuto deve
avere, quale posizione deve occupare nel reale o nell’immagi-
nario, per diventare soggetto legittimo di questo o di quel tipo
di conoscenza; […]. Ma la questione consiste anche, e nello
stesso tempo, nel determinare a quali condizioni qualcosa può
diventare un oggetto di conoscenza possibile, come ha potuto
essere problematizzato in quanto oggetto da conoscere, a quale
procedura di delimitazione ha potuto essere sottoposto, la par-
te di esso che è considerata pertinente.32

L’atto di enunciazione costituisce l’oggetto mostro, nel


momento in cui lo nomina e lo identifica come mostro.
L’enunciazione non descrive un oggetto, ma costruisce ciò
che usa come oggetto. Allo stesso tempo l’enunciazione
che identifica il mostro come mostro, costruisce il soggetto
dell’enunciazione, come soggetto che occupa una determi-
nata posizione, il cui discorso assume un determinato effet-
to di potere.
Il soggetto dell’enunciazione non si identifica con l’au-
tore dell’enunciazione, ma indica una posizione vuota, nel
senso che tale posizione può essere occupata da differenti
individui. Al tempo stesso, però, tale posizione è determina-
ta, perché definisce le condizioni che ciascun individuo deve
soddisfare per essere soggetto dell’enunciato33. Allora pos-
siamo dire che l’enunciazione della mostruosità, attraverso
l’indicazione e la determinazione della differenza mostruosa,
implichi una identificazione tra il soggetto dell’enunciato e la
norma rispetto alla quale la mostruosità è detta. Il soggetto
dell’enunciazione, attraverso l’enunciazione della mostruo-
sità, indica qual è la norma che deve essere seguita. In tal
modo, assume una posizione di potere che è la posizione
della norma. Indicare la mostruosità significa occupare una
posizione. Tale posizione, a sua volta, ha il potere di indicare
non solo un oggetto ma anche una condotta da seguire.

32
Foucault (Florence), “Foucault”, cit., p. 249.
33
Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 127.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 23

L’analisi dell’etimologia della parola mostro può chiari-


re bene questo aspetto. Benveniste analizza l’etimologia del
termine latino monstrum nel capitolo intitolato “Vocabolario
latino dei segni e dei presagi”34. Seguiamo brevemente la sua
ricostruzione. La parola monstrum deriva dal verbo latino
monstrare. Ma al di là dell’origine morfologica, i due termini
hanno un significato diverso. Monstrare significa mostrare,
mentre monstrum, qualcosa che esce dall’ordinario.
Monstrum e monstrare derivano dal verbo moneo, che si-
gnifica ammonire. Ora la domanda che si pone Benveniste è:
qual è il senso di monstrum, se è vero che il termine trova la
sua etimologia in moneo? 35. Se monstrum assume il suo si-
gnificato specifico attraverso l’uso che del termine viene fatto
nell’ambito religioso (qualcosa che esce dall’ordinario), allora,
per comprendere il suo nesso con il verbo moneo, è necessa-
rio indagare la relazione tra moneo e monstrare, dal momento
che il significato di quest’ultimo termine si è conservato senza
subire trasformazioni derivanti dall’uso religioso.
I Romani, ci dice Benveniste, possedevano due termini per
dire mostrare. Ostendere e monstrare. La differenza di signi-
ficato tra i due verbi consiste nel fatto che, con il primo, si
intende mostrare un oggetto, mentre con il secondo si intende
mostrare una condotta. Monstrare/mostrare, quindi, implica
un precetto. Dal significato di mostrare, come consigliare, in-
dicare una condotta da seguire, è possibile derivare il significa-
to del sostantivo monstrum nel “consiglio, avvertimento dato
dagli dei”36. A questo punto, allora, diviene chiaro il nesso tra
il significato originario di monstrum e quello che il termine
assume nell’ambito religioso in cui è principalmente usato.
Se monstra sono “quelle cose che escono dal mondo
naturale […]”, mostrare la mostruosità del mostro implica

34
Emile Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes II:
pouvoir, droit, religion, Minuit, Paris 1969, trad. it. a cura di Mariantonia Li-
borio, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. II: potere, diritto, religio-
ne, Einaudi, Torino, 2001, pp. 477-484.
35
Ivi, p. 478.
36
Ivi, p. 479
24 IL MOSTRO DI FOUCAULT

mostrare una condotta da seguire, dal momento che i mon-


stra sono insegnamenti e avvertimenti dati dagli dei agli uo-
mini. Per il linguista francese questa relazione tra mostrare
un oggetto eccezionale e indicare una condotta da seguire
emerge anche dallo studio etimologico dell’altra parola con
cui si indicano “cose straordinarie” prodigium. La parola
latina prodigium è composta dal prefisso prod e agium, da
cui anche adagium (proverbio), derivato nominale di ag-.
Si è concordi, ci dice Benveniste, nel ritenere che ag- sia la
radice del verbo aio che significa dire. Ora attraverso un’a-
nalisi dell’uso del verbo aio si nota un significato specifico
che lo differenzia dall’altro verbo latino il cui significato è
traducibile con dire, dico appunto. Aio implica un’enun-
ciazione di autorità. A differenza di dico con cui si enuncia
un’opinione, aio implica un’assunzione di impegno per ciò
che si pronuncia. Alla luce di ciò, prodigium è l’emissione
(prod-) di parola investita di autorità (aio) divina (aius) che
ha funzione di presagio. Quindi tanto monstrum quanto
prodigium indicano una condotta da seguire, non mostrano
o dicono qualcosa, ma hanno un carattere performativo, nel
senso che nel momento in cui dicono o mostrano qualcosa,
costruiscono l’oggetto che intendono descrivere e al tempo
stesso attribuiscono una determinata posizione di potere, al
soggetto dell’enunciazione.
La ricostruzione etimologica delle parole latine monstrum
e prodigium permette, pertanto, di comprendere meglio qual
è l’universo semantico in cui l’enunciazione della mostruo-
sità ha funzionato. Affermare che qualcosa o qualcuno è un
mostro, evidentemente, non descrive qualcosa o qualcuno,
ma costituisce quel qualcosa o qualcuno nell’atto della de-
scrizione come innominabile, come indescrivibile. Come ci
ricorda Benveniste, inoltre, l’uso della parola rinvia alla sfera
della religione e dell’amministrazione della giustizia, pertan-
to il soggetto della enunciazione è quello che ha il potere di
dire la verità. La verità che è in gioco qui non è una verità
apofantica, la verità dimostrazione, ma una verità-evento.
Dire la verità è compito riservato solo a chi occupa una de-
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 25

terminata posizione, solo a chi, in virtù del suo sapere, è in


grado di rivelare ciò che è nascosto37.
L’etimologia della parola fornisce alcune indicazioni uti-
li per comprendere il significato che assume il giudizio. Se
quest’ultimo nel regime logico-ontologico della verità impli-
ca una corrispondenza tra la proposizione e il suo oggetto,
tra il giudizio e gli altri giudizi, nel regime discorsivo arcaico,
a cui l’etimologia della parola monstrum si riferisce, indica
piuttosto una parola investita di potere. Parola che può es-
sere pronunciata solo da chi di diritto e che contribuisce alla
realizzazione di ciò che dice.
L’universo semantico a cui rinvia la nozione del mostro è
quello del sapere e del potere, del discorso investito di auto-
rità, e di una autorità capace di produrre un discorso vero. In
altri termini, il mostro permette di comprendere le relazioni
che intercorrono tra il sapere e il potere, problematizzando
quel grande mito secondo il quale sapere e potere farebbero
riferimento a due ambiti completamenti differenti. Il mostro
costituisce un punto di osservazione privilegiato per com-
prendere la relazione tra il soggetto, la norma e la verità. La
definizione del mostro rinvia cioè ad un discorso che produ-
ce effetti di potere e ad una verità che funziona all’interno di
relazioni di potere38.
Quello che mi sembra interessante osservare è che il mo-
stro e le diverse spiegazioni della mostruosità permettono di
comprendere i processi di costituzione degli ordini discorsivi
e dei dispositivi di potere. La questione in gioco è evidente-
mente la differenza. Il mostro è una differenza al suo livello
più alto. Pertanto il discorso sul mostro mette in evidenza
tanto le forme epistemiche, quanto le condizioni storico-po-
litiche attraverso le quali è possibile costruire la differenza,
darle un nome, incasellarla, normalizzarla, gestirla, renderla
produttiva. La mostruosità pertanto può essere intesa come

37
Sulla verità come prodotto di un discorso “aleturgico” si veda l’o-
pera fondamentale di Marcel Detienne, Les maîtres de vérité dans la Grèce
archaïque, Maspero, Paris, 1967.
38
Foucault, “Bisogna difendere la società”, cit., p. 28.
26 IL MOSTRO DI FOUCAULT

lo spazio discorsivo in cui emerge con maggiore forza la


questione della differenza e delle tecniche attraverso cui la
differenza viene costruita, assoggettata, neutralizzata, usata.
Osservare il mostro, dunque, significa osservare le tecni-
che di costruzione della differenza. Assumere la differenza
come proprio oggetto significa, come ricorda Rosi Braidotti,
“far luce sulle complesse e dissimmetriche relazioni di potere
in opera nella posizione di soggetto dominante”39. Ritengo
che è proprio in questa direzione che il mostro di cui parla
Foucault, il mostro come oggetto dossico, rinvii, riflessiva-
mente, ad un pensiero della differenza, all’esercizio di una
pratica critica del limite. Come uno specchio deformante, il
mostro riflette i processi discorsivi e le pratiche con cui una
certa epoca storica opera la differenza, instaura “il gioco del
vero e del falso”, costituendo l’essere umano come soggetto
di conoscenza40. Dallo sfondo opaco della mostruosità e della
sua incessante minaccia il soggetto e la sua razionalità emer-
gono come condizioni trascendentali di ogni conoscenza che
pretenda essere vera. Ed è sempre in una relazione oppositi-
va alla mostruosità che il soggetto della ragione si costituisce
come soggetto sociale e soggetto giuridico. Il mostruoso e il
mostro indicano tutto quello che il soggetto non deve essere

39
Rosi Braidotti, Metamorphoses: Towards a Materialist Theory of Beco-
ming, Polity Press, Cambridge 2002, trad. it. a cura di Maria Nadotti, In me-
tamorfosi: verso una teoria materialista del divenire, Feltrinelli, Milano 2003,
p. 209.
40
Nella prima versione di quella che sarebbe dovuta essere la prefazione
al secondo volume della Storia della sessualità e a cui l’autore rinunciò a favore
di una nuova versione, Foucault definisce la sua ricerca come storia critica del
pensiero. Con “pensiero”, egli chiarisce, “intendo ciò che instaura, in varie
forme possibili, il gioco del vero e del falso e che, conseguentemente, costitu-
isce l’essere umano come soggetto di conoscenza; ciò che fonda l’accettazione
o il rifiuto della regola e costituisce l’essere umano come soggetto sociale e
giuridico; ciò che instaura il rapporto con se stessi e con gli altri e costituisce
l’essere umano come soggetto etico”, si veda Foucault, Preface to the History
of Sexuality, in P. Rabinow (a cura di), The Foucault Reader, Pantheon Books,
New York 1984, trad. it. Prefazione alla storia della sessualità, in Pandolfi (a
cura di), Archivio Foucault 3, cit., pp. 233-239. Sul punto cfr. Ernesto De
Cristofaro, Il senso storico della verità. Un percorso attraverso Foucault, Il me-
langolo, Genova, 2008, pp. 18-19.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 27

per essere innanzitutto soggetto e quindi razionale, sociale,


giuridico.
Questione complessa e ambivalente quella del mostro e
della mostruosità. La parola mostro o meglio la qualificazio-
ne di mostro non ha alcuna referenza, non indica qualcosa,
essa piuttosto stabilisce una differenza41. Il mostro è una
specie di cui non disponiamo ancora di un nome ma, che,
al tempo stesso, ci costringe, non appena qualcuno è costru-
ito come mostruoso, a definirlo, classificarlo, identificarlo.
Tuttavia, poiché la caratteristica del concetto di mostruosità
è quella di sfuggire ad ogni definizione concettuale, l’unico
modo per definirlo è paradossalmente, come osserva Filippo
del Lucchese, lasciarlo emergere dal movimento conflittuale
che tende ad eliminarlo, neutralizzarlo o includerlo nell’or-
dine del discorso e nei dispositivi di potere.42 Non appena si
comincia a vedere in un mostro un mostro, si comincia ad
addomesticarlo, si inizia, come dice Jaques Derrida, a causa
del come tale, del mostro in quanto mostro, a confrontarlo
con le norme, ad analizzarlo, e quindi a dominare ciò che tale
figura poteva avere di terrificante43.
Doppio movimento, dunque, quello che la differenza mo-
struosa inaugura. Il mostro segnala una differenza e al tempo
stesso questa differenza deve essere catturata, neutralizzata,
oggettivizzata all’interno dei dispositivi discorsivi e di pote-
re. Nel momento in cui la differenza mostruosa è nominata,
essa viene catturata nel linguaggio, nelle sue regole e nelle
sue partizioni. In altre parole è sottoposta ad un processo di
normalizzazione.
Il carattere strategico del mostro – che permette di osser-
vare il rapporto tra trasgressione e limite, tra ragione e follia,
41
Corrado Bologna, Mostro ad vocem, in Enciclopedia, vol. 9, Einaudi,
Torino, 1980, pp. 556- 580.
42
Filippo Del Lucchese, “Monstrosity and the Limits of the Intellect.
Philosophy as Teratomachy in Descartes”, Journal of French and Francophone
Philosophy – Revue de la philosophie française et de langue française, Vol. XIX,
No. 1, 2011, p. 111.
43
Jaques Derrida, Passages. Du traumatisme à la promesse, in Id., Points de
suspension. Entretiens, Éditions Galilée, Paris, 1992, p. 400.
28 IL MOSTRO DI FOUCAULT

tra i processi di veridizione e relazioni di potere – si manifesta


dunque in una posizione liminale che esso intrattiene con il
dispositivo di sapere-potere che di volta in volta lo produce. Il
mostro, in quanto limite, appartiene e non appartiene al regi-
me discorsivo e alle pratiche di potere che ne hanno tracciato
la figura di mostro. Appartiene perché la definizione di mostro
dipende da un regime discorsivo che permette di individuare
in cosa consista la mostruosità del mostro, e quindi chi può
essere considerato mostro. Appartiene ancora perché il regi-
me discorsivo, che definisce le condizioni di possibilità della
mostruosità, è il risultato di giochi di verità e determina, a sua
volta, effetti di potere, cioè, pratiche di esclusione, interna-
mento, normalizzazione. Il mostro è ciò sulla cui esclusione si
organizza un certo ordine e, per tale ragione, appartiene all’or-
dine sebbene come suo limite. Allo stesso tempo, però, non
vi appartiene perché la differenza che il mostro segnala e che
conserva anche nel suo incasellamento linguistico – il mostro
è un segno senza significato e per tale ragione incute terrore
e meraviglia – non può essere mai del tutto neutralizzata dal
dispositivo che costruisce il mostro, che ne dice la mostruo-
sità, che ne definisce lo spazio linguistico o istituzionale di
esistenza. Il mostro conserva, nonostante tutto, un carattere
sovversivo. Il mostro mette in discussione la relazione tra si-
gnificante e significato, il nome mostro cerca cioè di ricondur-
re ad un significato una molteplicità sempre sfuggente, perché
eccedente le forme linguistiche che tentano di identificarla e
catturarla. Il mostro è un’eccedenza, una molteplicità che può
essere ricondotta all’unità del nome che la identifica alla sola
condizione di conservare nel nome la sua indeterminatezza.

1.3. Pensare la differenza

La questione filosofica che il mostro pone al pensiero con-


cerne il limite. Il mostro costituisce il limite di un determi-
nato ordine del discorso e del potere, perché segnala, come
ho suggerito, il punto di crisi dei dispositivi nell’includere,
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 29

gestire, controllare la differenza. Ma, ancora più radical-


mente, perché la differenza è mostruosa nella misura in cui
pone il pensiero e il linguaggio di fronte ai propri limiti. Tale
questione ha carattere, evidentemente, riflessivo, riguarda,
cioè, la stessa possibilità di pensare questa indeterminatezza,
questo indefinibile a cui il mostro rinvia. In altri termini, la
sfida del mostro concerne la stessa pratica filosofica quale
pensiero in grado di pensare la differenza singolare e molte-
plice, senza che tale differenza venga misconosciuta e frain-
tesa, assoggettata e identificata all’interno di un dispositivo
significante, che procede attraverso distinzioni, partizioni,
determinazioni. La posta in gioco è alta. Riguarda la stessa
possibilità del pensiero di essere critico, pensiero della diffe-
renza, pensiero molteplice, in grado di sfuggire alla dialettica
della identità e alla sovranità dell’Uno. Per quanto riguarda
il pensiero di Foucault, mi sembra che tale questione, in tutta
la sua problematicità, attraversi tutto il suo itinerario filosofi-
co. E intorno a tale questione che si misura, come vedremo,
la distanza che separa Foucault da altri filosofi e altre corren-
ti di pensiero che negli stessi anni cercavano di rispondere al
medesimo interrogativo44.
Ora, la relazione tra il pensiero e la differenza, nel discorso
foucaultiano sul mostro, mi sembra che si articoli intorno a
due questioni tra loro strettamente connesse: la relazione tra il
pensiero e il suo fuori e la relazione tra trasgressione e limite.
Per quanto riguarda la prima, la relazione tra il pensiero e
il suo fuori, la domanda centrale riguarda la stessa possibilità
di un pensiero del fuori. La differenza che la mostruosità se-
gnala è sempre catturata all’interno delle condizioni di senso
tracciate dall’ordine della ragione o è possibile pensare “dif-
ferenzialmente” la differenza, sfuggendo alle maglie insidiose
del dispositivo metafisico che ha sempre pensato la differenza
a partire dall’identità?45 Per quanto riguarda la seconda, e cioè

44
Cfr. Roberto Esposito, Da Fuori. Una filosofia per l’Europa, Einaudi,
Torino, 2016, pp. 133-145.
45
Sul punto si veda Michel Foucault, “Theatrum philosophicum”, cit.,
pp. 54-74.
30 IL MOSTRO DI FOUCAULT

la relazione trasgressione e limite, la domanda che si pone è se


la trasgressione della norma che la differenza del mostro se-
gnala è capace di sfuggire al rapporto dialettico che si instaura
tra trasgressione e limite o se, al contrario, la trasgressione
non sia condannata a confermare e rafforzare la norma.
Non si tratta di questioni di semplice risoluzione. La dif-
ficoltà di rispondere in modo univoco non dipende, infatti,
soltanto da una cattiva volontà dell’interprete o dalla scarsa
“chiarezza” dell’autore. Mi sembra piuttosto che tale diffi-
coltà abbia una dimensione strutturante, sia interna al mo-
vimento dei testi, preoccupati maggiormente dalla posizione
del problema piuttosto che dall’individuazione delle solu-
zioni. Foucault, pertanto, non sembra decidersi per l’una o
l’altra soluzione del problema, forse anche perché pensare
problematicamente significa mantenere l’ambivalenza, rin-
novarne costantemente la problematicità. È come se nei testi
di Foucault assistessimo ad un continuo oscillare tra ipotesi
contrapposte senza che l’autore opti in maniera definitiva per
l’una o per l’altra. Piuttosto, si ha la sensazione che Foucault,
o nello stesso testo o in testi pubblicati a poca distanza l’uno
dall’altro, sostenga ipotesi contrapposte producendo, come
ha osservato Roberto Esposito, “quel caratteristico effetto di
sdoppiamento o di raddoppiamento ottico che conferisce al
suo testo una leggera vertigine da cui il lettore è contempo-
raneamente sedotto e disorientato”46. Per tale ragione non mi
sembra del tutto convincente la soluzione fornita da Gerard
Unterthurner il quale risolve il problema della coesistenza di
due orientamenti differenti nel modo in cui Foucault pensa la
differenza e la mostruosità, radicalizzando la tesi della discon-
tinuità temporale47. Pertanto vi sarebbero sì due orientamen-
ti, ma questi sarebbero da attribuire a due momenti temporal-
mente distinti. Un primo orientamento emergerebbe nei testi
in cui Foucault si occupa di letteratura e in Histoire de la folie.

Roberto Esposito, Immunitas: protezione e negazione della vita, Einaudi,


46

Torino, 2002, p. 27.


47
Unterthurner, Abnormality and Monstrosity in Foucault, cit., pp.
199-218.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 31

Qui la differenza mostruosa indicherebbe una radicale espe-


rienza del fuori che viene prima di ogni modalità e tecnica di
cattura e oggettivazione nella rete dei saperi e dei poteri. Un
secondo orientamento, invece, emergerebbe con L’ordre du
discours e poi nel corso su Les Anormaux. Qui, al contrario,
la differenza e la mostruosità sarebbero sempre catturate e
funzionanti all’interno dei dispositivi di sapere e potere48.
Non si tratta solo di una disputa tra continuità e rottura
nel pensiero di un autore. Piuttosto, mi sembra che la que-
stione riguardi il carattere più o meno radicale della rifles-
sione foucaultiana. A tale proposito, mi sembra particolar-
mente interessante quanto scrive Judith Revel. Per la filosofa
francese è possibile riscontrare nella ricerca foucaultiana la
persistenza di una domanda: come fare in modo che un’e-
spressione soggettiva non sia immediatamente identificata,
oggettivata, assoggettata, al sistema di poteri saperi nel quale
si inscrive? Se l’uomo è il risultato di una duplice oggettiva-
zione, di saperi e pratiche che lo definiscono all’interno di
un determinato orizzonte, com’è possibile rifiutarsi di par-
tecipare alla configurazione sociale e culturale alla quale pur
sempre o già da sempre si appartiene? 49
Tali interrogativi, che sicuramente trovano una prima for-
mulazione tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni
Sessanta in Histoire de la folie e in quella mole di scritti e
interventi conosciuta con il nome di scritti letterari, secondo
Revel, non saranno mai del tutto abbandonati, anzi essi costi-
tuiranno un contro-discorso che attraversa tutta la riflessione
del filosofo francese. La questione della resistenza, delle con-
tro-condotte, infatti, sarà affrontata direttamente, tra la fine
degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, nella ricerca sull’e-
tica e i processi di soggettivazione. Segnalare la presenza di
tali interrogativi nella riflessione foucaultiana non significa
però, avverte Revel, fare “l’apologia di una chiarezza ritro-

Ivi, pp. 207-208.


48

Judith Revel, Identità, natura, vita: tre decostruzioni biopolitiche, in Ma-


49

rio Galzigna (a cura di), Foucault, oggi, Feltrinelli, Milano, 2008, p. 136.
32 IL MOSTRO DI FOUCAULT

vata o di un segreto infine decifrato”50. Al contrario significa


comprendere Foucault “come prodotto problematico di una
storia intellettuale”51.
Quello che mi sembra interessante rilevare è che quelli
che per Unterthurner sono due orientamenti distinti che si
succedono nel tempo seguendo una cronologia precisa, in
realtà si sovrappongono e intrecciano costantemente nella
produzione di Foucault. E tale sovrapposizione non dipen-
de da una contraddittorietà, ma piuttosto dal fatto che tali
orientamenti siano espressione di un nodo problematico,
intorno al quale si struttura la riflessione del pensatore fran-
cese. Se è vero, infatti, che nei testi sul potere disciplinare
e i dispositivi di normalizzazione Foucault ricostruisce “lo
spazio totalizzante di un ordine normativo”, è anche vero
che egli non smette di evidenziare in certe prese di parola o
in certe pratiche di contro-condotta “forme di resistenza e
alterità che segnalano come il sistema normativo non sia mai
del tutto senza spiragli e controtendenze”52.
Lungo la stessa linea interpretativa di Revel mi sembra
muoversi anche Roberto Esposito, il quale, riprendendo la
lettura di Deleuze, sottolinea come l’intera opera di Foucault
si orienti intorno ad una questione centrale e problematica,
quella del “fuori”53. Anche per Esposito non si tratta di
presentare un’interpretazione lineare e risolta dell’opera di
Foucault, negando ripensamenti e rotture. Ma, allo stesso
tempo, avverte Esposito, “bisogna guardarsi dal sottoporre
la produzione di un autore a un eccesso di discontinuità, te-
orizzando svolte tanto acute da spezzarne il percorso in seg-
menti separati”54. Quello che emerge invece sarebbe la pro-
blematicità di una questione filosofica, quella della relazione
50
Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri. Dalla trasgressione letteraria
alla resistenza politica, Manifesto libri, Roma, 1996, p. 12.
51
Ivi, pp. 10-12.
52
Ivi, p. 11.
53
Gilles Deleuze, Foucault, Les Éditions de Minuit, Paris, 1986, trad. it. a
cura di Pier Aldo Rovatti e Federica Sossi, Foucault, Cronopio, Napoli, 2002,
p. 117.
54
Ivi, p. 139
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 33

del pensiero con il fuori, che segna la riflessione di Foucault


differenziandola radicalmente da riflessioni di altri autori,
che possono essere ugualmente inseriti nell’ambito della così
detta “French Theory”55.
Per comprendere la questione del fuori in tutta la sua
portata filosofica e decostruire la rappresentazione secondo
la quale il fuori non è nient’altro che il residuo di una proble-
matica fenomenologica nel pensiero di Foucault, è necessario
fare riferimento a Deleuze e alla sua lettura di Foucault. Per
Deleuze “il fuori” costituisce una dimensione fondamentale
della riflessione di Foucault. L’appello al fuori, come lo de-
finisce Deleuze, non soltanto è presente, con diverse intona-
zioni, tanto negli scritti sull’archeologia del sapere, quanto in
quelli sul potere e sui processi di soggettivazione, ma costi-
tuisce la stessa struttura del pensare56. A partire da una tale
questione si darebbe, per Deleuze, l’incontro con Blanchot,
ma anche con Nietzsche, nella cui riflessione il fuori riappare
al centro stesso del linguaggio nel momento in cui “scopre
che ogni metafisica dell’Occidente è legata non soltanto alla
sua grammatica [..] ma anche a quelli, che facendo il discor-
so, detengono il diritto alla parola”57. Seguendo le tracce di
questa linea del fuori, il pensare non significa più, come nella
tradizione filosofica, l’esercizio di una facoltà, ma “perveni-
re al pensiero”. Significa in altri termini avere a che fare con
un “fuori che non ha forma”. Il gesto di Foucault è un gesto
filosofico radicale, in quanto destabilizza tutta una tradizio-
ne che riconduce il pensiero all’interiorità dell’io penso, alla
55
La definizione di una “French Theory”, secondo Esposito, appare parti-
colarmente problematica. Infatti “French Theory” è innanzitutto “un prodot-
to creato ex novo dagli intellettuali americani, dopo l’arrivo negli Stati Uniti
di un piccolo drappello di filosofi francesi” pertanto la caratteristica di fondo
non è di essere qualcosa ma di divenire qualsiasi cosa sia capace di essere cfr.
Esposito, Da Fuori, cit., pp. 111-122. Per una ricostruzione della “French
Theory” si veda Fraçois Cusset, French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze
et Cie et les mutations de la vie intellectuelle aux États-Unis, La découverte,
Paris, 2003, trad. it. a cura di Fabio Polidori, French Theory. Foucault, Derrida
& Co. all’assalto dell’America, il Saggiatore, Milano, 2012.
56
Deleuze, Foucault, cit., p. 117.
57
Foucault, Il pensiero del fuori, cit., p. 115.
34 IL MOSTRO DI FOUCAULT

unità della coscienza dove il visibile e l’enunciabile sarebbero


riconciliati e riunificati. Pensare, al contrario, si produrrebbe
solo attraverso l’intrusione di un fuori che apre “un intervallo
tra vedere e parlare, che forza e smembra l’interiore”58. Qui
è possibile cogliere il carattere mostruoso del pensiero di
Foucault. Un pensiero che sfida le sue stesse categorizzazioni,
perché si rivolge al pensiero come una molteplicità di prati-
che che creano e costruiscono il soggetto come oggetto del
pensiero. Si tratta, pertanto di un pensiero sempre pronto a
destabilizzare se stesso, a partire dal soggetto che lo enuncia.
Il fuori, su cui Foucault lavora soprattutto negli scritti sul-
la letteratura e in Histoire de la folie, non costituisce, come
sostiene Unterthurner, un capitolo separato e mai più ripreso
della sua produzione. Al contrario, può essere considerato
una linea di forza mai abbandonata dall’autore, perché il
fuori, come scrive Deleuze, determina il proprio del pensare:
“[…] il pensare riguarda un fuori che non ha forma. Pensare
è il pervenire al non-stratificato. Vedere è pensare, parlare
è pensare, ma il pensare si produce nell’interstizio, nella di-
sgiunzione tra vedere e parlare”59.
Il fuori si presenta come il terreno mobile e problematico
su cui si definisce tanto una pratica filosofica, “un pensare
altrimenti”, quanto una pratica politica di resistenza al bio-
potere. Il fuori è l’apertura del pensiero, ma anche della po-
litica alla vita. Il fuori indica la “apertura di un futuro, con
il quale nulla ha termine perché nulla è cominciato, tutto è
metamorfosi”60. Questo significa che la resistenza si presenta
come un rapporto diretto con il fuori. Il pensiero del fuo-
ri, da questo punto di vista, è un pensiero della resistenza61.
Ora, la questione interessante da osservare è che proprio nel
momento in cui il potere abbandona il modello della sovrani-
tà e diviene bio-potere, cioè potere che assume come oggetto
la vita, la resistenza diviene resistenza della vita “potere vitale

58
Deleuze, Foucault, cit., p. 117.
59
Ibidem.
60
Ivi, p. 120.
61
Ibidem.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 35

che non si lascia limitare alle specie, agli ambiti, ai processi di


questo o quel diagramma”62. Il fuori indica la forza della vita,
“un certo vitalismo al culmine del pensiero di Foucault”63.
La radicalità del pensiero di Foucault non si lascia facil-
mente catturare dentro schemi interpretativi lineari. E, so-
prattutto, Foucault non rinuncia, anche negli scritti sul pote-
re, a indicare delle linee di fuga dai dispositivi di controllo e
di normalizzazione. Il mostro e la mostruosità, nel pensiero
di Foucault, tematizzano la questione del limite e del fuori.
La questione del limite e del fuori, a sua volta non è limitata
ad un periodo della produzione foucaultiana, ma è presente
come nodo problematico, in tutta la sua produzione. Infine,
intorno a tale questione si gioca la possibilità della critica e
della resistenza.

1.4. Ambivalenze del mostro, ambivalenze del limite

La questione del limite così come la questione della mo-


struosità indica non tanto un oggetto di studio, quanto una
forma di pensiero e quindi una pratica di dislocamento e
spiazzamento. Il limite chiama il pensiero ad un continuo
oltrepassamento di sé stesso, perché il limite si dà nel gesto
che lo trasgredisce e che continuamente lo riafferma, in un
gioco di resistenza e cattura. Collocarsi sul limite, allora, di-
viene il gesto radicale di “a practice of thought that operates
at the limits of classification, at the edge of the void that lies
beyond every order of recognition or normalization”64.

62
Ivi, p. 124.
63
Esposito, Da fuori, cit., p. 24.
64
Peter Hallward, Out of this world. Deleuze and the Philosophy of Cre-
ation, Verso, London-New York, 2006, p. 160. Hallward sostiene che intorno
alla questione del limite si misura la differenza tra la filosofia di Foucault e
quella di Deleuze. Mentre la filosofia di Deleuze è una filosofia senza limiti
che si risolve in una completa immanenza, quella di Foucault è una filosofia
del limite in quanto tale. Si veda Peter Hallward, “The limits of Individua-
tion or how to distinguish Deleuze and Foucault”, in Angelaki, Journal of the
Theoretical Humanities, volume 5, number 5, 2000, pp. 93-111.
36 IL MOSTRO DI FOUCAULT

La mostruosità, in quanto segnala un limite epistemico


prima che biologico, giuridico o politico, implica una sfida
per il pensiero, implica cioè una metamorfosi, probabilmen-
te altrettanto mostruosa, un’apertura incessante del pensiero
sul fuori. Il limite, infatti, come il mostro, sfugge ad ogni ten-
tativo di determinazione ontologica, il limite è sempre anche
limite di se stesso, sfugge alla rappresentazione, è refrattario
alla dialettica che cerca di catturarlo65. Il limite, una volta che
lo si rappresenta, non è più limite, ma qualcos’altro. Si sposta
continuamente, non è raggiungibile, non è afferrabile. La sua
identificazione implica il suo allontanamento66.
Il pensiero di Foucault assume l’ambivalenza del limite, il
suo essere al tempo stesso delimitazione e apertura al fuori.
In questo senso il limite definisce lo stesso movimento del
pensiero67. Il limite, come il fuori, infatti, non indica qualcosa
di fisso, è sempre in divenire, è una materia mobile, animata
da movimenti peristaltici, da pieghe e corrugamenti. L’analisi
dei limiti del pensiero, della ragione, delle discipline e dei
poteri si trasforma e diviene pensiero del fuori, pensiero che
produce spostamenti continui, che rende fragili e porosi i
limiti della ragione, delle discipline, dei poteri.
Una ricerca che vuole essere critica deve assumere la
questione del limite. Questa preoccupazione teorica la pos-
siamo riscontrare in tutta la riflessione del filosofo francese.
E la questione del limite, come quella della mostruosità, si
presenta in modo ambivalente. Ad una analitica dei saperi
e dei poteri, e cioè delle forme epistemiche e delle pratiche
storiche attraverso cui si costituiscono i limiti, si intreccia
un’interrogazione radicale che invece riguarda il “come”

65
Per una ricostruzione della relazione tra pensiero e limite si veda Paolo
Costa, La ragione e i suoi eccessi, Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 141-161.
66
Carlo Sini, Il sapere dei segni: filosofia e semiotica, Jaca Book, Milano,
2012, p. 10.
67
Per una ricostruzione del limite nel percorso di Foucault si veda anche
Diego Melegari, “La politica nel regno illimitato del limite. Foucault e Laclau,
tra ontologia del politico e problematizzazione del presente”, in Materiali fou-
caultiani, anno I, numero 1, 2012, pp. 205-234.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 37

pensare e “come” praticare le linee di fuga dai meccanismi


di governo.
Questo “doppio movimento” è costitutivo della ricerca
foucaultiana.
Nella Prefazione alla prima edizione di Histoire de la folie,
Foucault scrive:

On pourrai faire une histoire des limites – de ces gestes


obscurs, nécessairement oubliés dès qu’accomplis, par lesquels
une culture rejette quelque chose qui sera pour elle l’Extérieur;
et tout au long de son histoire, ce vide creusé, cet espace blanc
par lequel elle s’isole la désigne tout autant que ses valeurs […]
Interroger une culture sur ses expériences-limites, c’est la que-
stionner, aux confins de l’histoire, sur un déchirement qui est
comme la naissance même de son histoire68.

Si tratta dunque per Foucault di ripercorrere la storia di


quei gesti oscuri attraverso i quali una cultura definisce la
propria identità tracciando dei partage, indicando ciò che è
necessario negare per definire “le visage de sa positivité”.69
La costruzione della identità passa attraverso l’identifica-
zione dei limiti di ciò che è necessario escludere per produr-
re identità. Quello che emerge con il razionalismo moderno,
utilizzando la temporalizzazione di Foucault con l’âge clas-
sique, è una modalità di produzione e gestione della differen-
za. Nel senso che la differenza è identificata come differenza,
come scarto o deviazione e in tal modo inclusa, attraverso la
sua esclusione, nell’ordine del discorso o del sistema politi-
co istituzionale all’interno del quale il discorso è prodotto e
funziona. In tal modo ciò che minaccia l’ordine viene reso
produttivo e assimilato all’interno dell’ordine.
Allo stesso tempo, però, l’analisi dei meccanismi con cui
la ragione cattura la follia e la costringe al silenzio non si
limita a ribadire l’insuperabilità del limite, della ragione e del

68
Michel Foucault, Préface, in Foucault, Folie et Déraison. Histoire de la
folie à l’âge classique, Plon, Paris 1961, pp. I-XI, in Daniel Defert, François
Ewald (eds.), Dits et Écrits. I. 1954-1969, Gallimard, Paris, 1994, p. 161.
69
Ibidem.
38 IL MOSTRO DI FOUCAULT

linguaggio, ma piuttosto spinge il pensiero “al suo estremo,


mettendolo alla prova del suo esterno”70. Ricostruire i limiti
implica una ricostruzione dell’inconscio del sapere che apre
il pensiero ad una opzione estremamente radicale, quella
di far parlare la follia in quanto tale, prima e dopo la sua
cattura, facendola emergere dal silenzio a cui la ragione l’ha
condannata. Restituire la parola al folle, nonostante la sua
aporeticità, mi sembra costituisca, quindi, il primo tentativo
di Foucault per pensare “differenzialmente” la differenza,
cercando, cioè, di sfuggire alla dialettica della identità.
Se Histoire de la folie è la storia dell’Altro, del modo in cui
una cultura determina la differenza che la limita, in Les mots
et les choses, e in Archéologie du savoir71, l’analisi si rivolge a
quelli “spazi di identità” che sono il risultato dei partage con
cui una cultura definisce il volto della propria positività. Si
tratta come dirà lo stesso Foucault, di fare “la storia del Me-
desimo, di ciò che per una cultura è al tempo stesso disperso
e imparentato e quindi da distinguere mediante contrassegni
o da unificare entro identità”72. Attraverso l’analisi archeolo-
gica egli cercherà di ricostruire come il pensiero ha costituito
le sue figure del sapere, in che modo ha determinato le con-
dizioni di verità di alcuni enunciati rifiutandone altri, ancora
in che modo e a quali condizioni si sono costituiti determina-
ti oggetti del sapere. Si tratta di entrare in quella regione me-
diana, tra lo sguardo già codificato e la conoscenza riflessiva,
in cui appare l’ordine nel suo essere stesso. Il concatenamen-
to delle parole, il loro valore rappresentativo, le leggi degli
scambi, la regolarità degli esseri viventi sono resi possibili e
si manifestano dentro una certa modalità di ordine. L’obiet-
tivo è quello di mostrare “in base a quale spazio di ordine
si è costituito il sapere; sullo sfondo di quali apriori storico
e nell’elemento di quale positività idee poterono apparire,
scienze costituirsi in filosofie, razionalità formarsi”73.

70
Esposito, Da Fuori, cit., p. 121.
71
Michel Foucault, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano, 1996.
72
Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 14.
73
Ivi, p. 11.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 39

Quello che è in gioco sono le condizioni storiche e strut-


turali che definiscono un determinato campo enunciativo
e quindi come una determinata configurazione epistemica
identifica, controlla, esclude il caso, l’aleatorio, il disperso,
il mostro, la singolarità innominabile della sua differenza.
Ora, questa ricerca sull’esperienza nuda dell’ordine, per mol-
ti aspetti, è analoga all’esperienza nuda della differenza a cui
Histoire de la folie tenta di pervenire. Anche qui si tratta di
definire lo spazio di possibilità di un pensiero critico e dove,
ancora una volta, la critica significa spingere il pensiero a
sperimentare il proprio esterno.
Esposito osserva che in Les mots et les choses e in L’archéo-
logie du savoir si assiste ad un processo di esteriorizzazione ra-
dicale che investe oltre l’oggetto la stessa prospettiva di Fou-
cault74. Questo processo di esteriorizzazione si realizza con
una presa di distanza radicale dalla tradizione umanistica75.
Nelle pagine finali de Les mots et les choses, Foucault scardi-
na la centralità dell’uomo, ricostituendo le condizioni recenti
della sua apparizione, per cui l’uomo non sarebbe altro che
quell’allotropo empirico-trascendentale prodotto dell’episte-
me moderno76; contestualmente, individua in quelle “con-
tro-scienze umanistiche”, quali la psicoanalisi e soprattutto
l’etnologia, delle linee di fuga che decentrano non solo la so-
vranità del soggetto, ma dello stesso pensiero occidentale che
viene messo alla prova di ciò che gli è estraneo77.
Sul piano metodologico, questo stesso decentramento del
soggetto si può osservare in L’archéologie du savoir. L’enun-
ciato è qui analizzato come l’insieme dei segni linguistici che
invece di essere il risultato intenzionale di un soggetto par-
lante, definisce esso stesso la dimensione soggettiva. L’analisi
enunciativa di Foucault “non pone più la questione di chi

74
Esposito, Da Fuori, cit., p. 138.
75
Ibidem.
76
Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 343.
77
Ivi, pp. 400-413.
40 IL MOSTRO DI FOUCAULT

parla, ma dell’insieme delle cose dette in un universo lingui-


stico affacciato sul suo esterno”78.
Questa relazione del parlare con il pensare e del pensiero
con il fuori risulta particolarmente significativa nel passaggio
della ricerca foucaultiana dall’archeologia alla genealogia,
dall’ambito linguistico degli enunciati alle loro condizioni
materiali e politiche di esistenza. Tale passaggio permette di
ridefinire, su nuove basi la nozione, di matrice husserliana, di
a priori storico, inteso quale condizione storico-trascenden-
tale degli enunciati. Certamente l’incontro con Nietzsche e
le nuove interpretazioni dell’opera di Nietzsche79, consento-
no a Foucault di abbandonare il paradigma trascendentale.
L’archivio a priorico infatti continuava a funzionare come
trascendentale, sebbene senza possederne i caratteri della
atemporalità e della rigidità, in quanto era assunto come con-
dizione capace di fornire un senso all’esperienza80.
Come è noto, nel testo Nietzsche, la généalogie, l’histoi-
re Foucault ci dice con estrema chiarezza cosa significhi un
81

pensiero capace di decentrare la prospettiva sulle cose, di


produrre uno spiazzamento continuo. Un pensiero, per usa-
re l’espressione di Nietzsche, capace di rovesciare il castello
incantato dell’Olimpo e guardarne i sotterranei82. La gene-
alogia si oppone alla ricerca dell’origine, si oppone in altri
termini ad ogni forma di metafisica che intenda seguire lo

78
Esposito, Da fuori, p. 139.
79
Foucault insisterà molte volte sulla funzione che Nietzsche ha svolto nel
suo processo di formazione e di emancipazione dalla fenomenologia. Si veda
sul punto la nota intervista dal titolo “Structuralism and post-structuralism”,
Telos, vol. XVI, n. 55, printemps 1983, pp. 195-211 trad. it. a cura di Bertani,
“Strutturalismo e post-strutturalismo”, in Foucault, Il Discorso la storia, la
verità, cit., pp. 301-332.
80
Sulla questione del trascendentale si veda Salvatore Natoli, La verità in
gioco. Scritti su Foucault, Feltrinelli, Milano 2005.
81
Michel Foucault, “Nietzsche, la généalogie, l’histoire”, Hommage à Jean
Hyppolite, P.U.F., Paris, 1971, pp. 145-172, trad. it. a cura di Bertani, Nietzsche,
la genealogia, la storia, in Foucault, in Id., Il Discorso la storia, cit., pp. 43-64.
82
Friederich Nietzsche, Die Geburt der Tragödie, Verlag von E. W.
Fritzsch, Leipsig 1878, trad. it. a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari,
Nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 2012.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 41

svolgimento nel tempo di un’essenza o di un principio. L’ori-


gine scrive Foucault “è sempre prima della caduta, prima del
corpo, del mondo e del tempo; è dal lato degli dei, e a rac-
contarla si canta sempre una teogonia”83. La genealogia non
si occupa della origine – Ursprung – ma della provenienza,
dell’emergenza – Herkunft o Entstehung – di un concetto o di
un carattere. In tal modo, quello che emerge non è l’essenza,
la perfezione e la verità dell’origine, ma sono “gli accidenti,
le minime deviazioni – o al contrario i rovesciamenti comple-
ti – gli errori, gli apprezzamenti sbagliati, i cattivi calcoli che
hanno generato ciò che esiste e vale per noi; è scoprire che
alla radice di quel che conosciamo e di quel che siamo non
c’è la verità e l’essere, ma l’esteriorità dell’accidente”84. An-
che qui la questione essenziale è quella del fuori, delle forze,
dei corpi, della contingenza, cioè, di ciò che irriducibilmente
rimane esterno al pensiero. Allo stesso tempo, quello che è
in gioco, è la possibilità di un pensiero capace di confrontarsi
con il fuori, nel senso che il fuori costituisce la stessa possibi-
lità del pensiero, essendo il pensiero costituito come sapere
dalla materialità dei rapporti di forza85.

1.5. Linee di fuga

In L’ordre du discours Foucault scrive: “Entro i suoi li-


miti, ogni disciplina riconosce proposizioni vere e false; ma
essa respinge oltre i suoi margini tutta una teratologia del
sapere”86. Al di là dei limiti che la disciplina fissa affinché le
proposizioni possano essere riconosciute come facenti parte
del proprio ambito discorsivo “si aggirano dei mostri, la cui
forma cambia con la storia del sapere”87. In questo riferimen-

83
Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, cit., p. 44.
84
Ivi, p. 48.
85
Sandro Chignola, Foucault oltre Foucault. Una politica della filosofia,
Derive Approdi, Roma, 2014, p. 13.
86
Foucault, L’ordine del discorso, cit., p. 22.
87
Ibidem.
42 IL MOSTRO DI FOUCAULT

to, apparentemente marginale, mi sembra emerga una chiave


per pensare la ricerca di Foucault e il movimento del suo
pensiero attraverso il mostro e il mostruoso.
Il mostruoso indica una eterogeneità, un evento aleatorio
che irrompe nel discorso e che il discorso, attraverso delle
tecniche, tra cui le discipline che Foucault descrive accurata-
mente, deve tenere sotto controllo. E ciò avviene includendo
nel discorso l’evento aleatorio come scarto, deviazione, dif-
ferenza. Il mostro è segno di una differenza e allo stesso tem-
po questa differenza sembrerebbe non poter essere mai una
differenza radicale perché presa, catturata, oggettivizzata
dall’ordine del discorso o dall’ordine del potere in cui viene
iscritta. In questa prospettiva, L’ordre du discours si colloca in
una posizione particolarmente significativa88. Rappresenta il
punto di arrivo di una ricerca di tipo archeologico sulle for-
me di produzione, limitazione e appropriazione del discorso
avviata con Les mots et les choses e proseguita con L’archéo-
logie du savoir. Al tempo stesso segnala il punto di partenza
di una ricerca genealogica che si occupi delle condizioni di
apparizione, crescita e variazione del discorso. E dove il di-
scorso non è più considerato come qualcosa di esterno alle
relazioni di potere, ma, piuttosto, per essere compreso, deve
essere analizzato all’interno del contesto politico-istituziona-
le in cui produce i suoi effetti.
Il riferimento al mostro e al mostruoso in L’ordre du di-
scours permette, dunque, di comprendere non solo come la
questione di cui il mostro è segno, l’esperienza del limite,
attraversi la riflessione del filosofo francese, ma come tale
questione rimanga un nodo aperto e problematico. Nel sen-

88
Sempre nella sua lezione di insediamento al Collège de France, Fou-
cault traccia la genealogia della volontà di sapere e soprattutto individua nel
lavoro genealogico che avrebbe intrapreso negli anni successivi lo strumento
per cogliere il potere affermativo del discorso, cioè la capacità del discorso di
costituire ambiti di oggetti rispetto ai quali sarebbe poi possibile affermare o
negare proposizioni vere o false. Si tratta di quelle positività di cui aveva parla-
to in L’archeologia del sapere. Si veda Foucault, L’ordine del discorso, cit., p. 37.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 43

so che la differenza è lo spazio di uno scontro, di una lotta


all’interno degli ordini discorsivi e dei dispositivi di potere.
Tanto in Les mots et les choses quanto in Les anormaux,
Foucault mostra come, a partire dalla fine del XVIII secolo,
la concezione “classica del mostro” inizia a cambiare, nel
senso che la potenza sovversiva e inquietante del mostruoso
diviene anomalia di cui si possono individuare le cause e che
può essere riprodotta negli esperimenti di laboratorio. Le
nuove scoperte della teratologia scientifica riducono il mo-
stro ad un errore nel corso della evoluzione della specie, che
serve solo per dimostrare il carattere necessario dell’ordine.
Questa nuova concezione del mostro, non più scandalo,
ma errore che serve per mostrare la norma, emerge in modo
molto chiaro nell’analisi del mostro che Foucault presenta
nel corso su Les Anormaux. Il sapere medico psichiatrico e la
pratica giudiziaria funzioneranno congiuntamente nel XIX
secolo ma anche nel XX secolo per costruire, attraverso il
riferimento al mostro, la figura dell’anormale.
La trasgressione del mostro pertanto viene controllata e
neutralizzata attraverso il discorso che lo nomina e attraverso
le tecniche che si assumono il compito di produrre dei sog-
getti normali. Ma il processo di cattura e oggettivazione della
differenza non è acquisito una volta per tutte. È, appunto,
risultato di uno scontro di forze. È la posta in gioco di un
conflitto.
Sempre in L’ordre du discours, Foucault sottolinea come
in ogni società “la produzione del discorso è insieme control-
lata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo
numero di procedure che hanno la funzione di scongiurare
i poteri e i pericoli, di padroneggiare l’evento aleatorio, di
schivarne la pesante e terribile materialità”89. Foucault in-
dividua procedure esterne al discorso e procedure interne.
Tra le diverse procedure interne del discorso che servono a
controllare l’evento, Foucault individua le discipline. La di-
sciplina è definita da un campo di oggetti, da un insieme di

89
Foucault, L’ordine del discorso, cit., p. 12.
44 IL MOSTRO DI FOUCAULT

metodi, da un corpus di proposizioni considerate come vere,


quindi da un corpus di dottrine e di insegnamenti. Allo stesso
tempo, però, la disciplina costituisce un principio di regola-
mentazione di comportamenti. Essa indica a quali condizioni
è possibile produrre nuovi enunciati, indica le regole che de-
vono essere seguite perché si possano produrre nuove pro-
posizioni. Se quindi le regole che presiedono alla formazione
dei discorsi hanno come obiettivo quello di scongiurare l’e-
vento e la sua contingenza, allora il compito di una ricerca
che voglia essere critica è quello di collocarsi sul limite, se-
guendo un doppio movimento, ricostruire i limiti, ces gestes
obscurs che definiscono l’identità di un determinato ordine
attraverso l’esclusione di ciò che quell’ordine minaccia e allo
stesso tempo “introdurre alla radice stessa del pensiero, il
caso, il discontinuo e la materialità”90.
L’interpretazione che sottolinea il carattere pervasivo dei
dispositivi e l’impossibilità di uscirne, e che vede nel mostro
una differenza sempre catturata nell’ordine del discorso e
gestita dalle tecniche di normalizzazione, può essere compli-
cata e problematizzata nel momento in cui, in quegli stessi
testi, è possibile individuare un altro percorso di pensiero.
Un percorso che pone l’accento sulle vie di fuga dai disposi-
tivi e che vede nel mostro un’eccedenza.
Attraverso questa altra interpretazione riappare la que-
stione del fuori e dell’esperienza del limite. Qui la questio-
ne in gioco è quella di forzare i limiti, moltiplicandoli, per
portare sapere e potere al proprio limite, cioè al punto in
cui i dispositivi che catturano la nostra vita possono essere
disattivati.
Con la consapevolezza che questa disattivazione non è
data una volta per tutte, non ha niente di escatologico, ma si
dà a partire dalla contingenza dell’evento in cui si produce la
possibilità della critica e della resistenza. Siamo lontani, mi

90
Ivi, p. 33.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 45

sembra da una prospettiva teologica politica, la direzione è,


piuttosto, quella di un immanentismo radicale91.
Da un lato, pertanto, Foucault ci sembra dire che è impos-
sibile pensare e praticare un fuori. Nel sistema della lingua,
ma anche nei dispositivi sociali non è possibile alcuna reale
trasgressione che non sia già sempre catturata dal discorso
che fissa la divisione tra un dentro e un fuori. Dall’altro lato,
però, Foucault sottolinea continuamente nel suo discorso fi-
gure differenti di un possibile “passaggio al limite”. Figure
di tale passaggio al limite sono quei linguaggi letterari che
portano il linguaggio al limite, trasgredendo le leggi che lo
regolano. Ma anche, passando dalla pratica del linguaggio
all’ordine del potere, tutte quelle contro-condotte che con-
figurano atti di resistenza, che spostano il limite sempre più
avanti, e che emergono sul margine esterno del sistema di
sapere/potere che contestano.
Nei prossimi capitoli, dunque, cercherò di far emergere
come queste due direzioni siano costantemente presenti e in-
trecciate nel lavoro di Foucault. Seguire la “linea del mostro”
significa osservare tanto le tecniche discorsive e le pratiche
di potere che costruiscono e catturano la differenza, che la
costituiscono allo scopo di catturarla come “differenza di” o
“differenza in”, quanto prestare ascolto al fragore delle lotte

91
La questione della trasgressione del limite e della legge che lo pone
non si presenta nel pensiero foucaultiano nella forma di una teologia politica,
sebbene rovesciata, né, tanto meno, nella forma di una dialettica negativa. La
trasgressione del limite non promette e non anela ad alcuna trascendenza. Mi
sembra che su questo punto si possa evincere una differenza importante del
pensiero di Foucault tanto dalla prospettiva di Benjamin e della sua concezio-
ne della violenza divina o rivoluzionaria, tanto dalla prospettiva di Agamben
che lungo la linea benjaminiana, pensa una “politica che viene” nei termini di
“disattivazione della macchina del diritto”. Non è un caso che il termine che
Agamben usa è “profanazione”, cioè restituzione all’uso comune di ciò che
era stato separato, “sacrato” (cfr Giorgio Agamben, Profanazioni, Edizioni
nottetempo, Roma 2005). A partire da ciò, per Agamben è possibile un tempo
messianico della liberazione in cui “l’umanità giocherà con il diritto, come
i bambini giocano con gli oggetti fuori uso, non per restituirli al loro uso
canonico ma per liberarli definitivamente da esso” (Giorgio Agamben, Stato
di Eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 83).
46 IL MOSTRO DI FOUCAULT

che si combattono ai margini e nelle pieghe dei dispositivi,


riconoscere il bagliore dello scontro tra le molteplici singola-
rità dei corpi e il potere92. Da un lato, allora, la differenza di
cui il mostro è segno è presa dentro un enunciato e un discor-
so che intende neutralizzarla, ribadendo la verità e l’autorità
del Modello e della Norma; dall’altro lato, però, il tentativo
di cattura e neutralizzazione non riesce mai completamente,
perché la differenza è metamorfica, non solo nel senso che è
capace di essere differente da ciò che è, ma soprattutto nel
senso che la differenza si dà solo nel continuo differimento
di sé stessa. Per tale ragione essa implica una politica, una
politica dell’eccedenza, capace di inquietare e rendere insta-
bile tanto i discorsi che stabiliscono il confine tra identità e
differenza, quanto le pratiche di potere che si assumono il
compito di governarla.
Foucault non si limita a proporci una analitica dei dispo-
sitivi di potere/sapere che governano la nostra vita. Vi è in-
vece, in tutta la sua produzione, una domanda radicale che
non chiede “che cosa è” e “perché è” ma che chiede “come”.
In particolare “come pensare” e “come praticare” le linee di
fuga dai meccanismi di governo.
Lungo questa direzione vorrei sottolineare due questioni
a cui siamo pervenuti. La prima, la mostruosità segnala una
questione aperta in tutta la riflessione di Foucault: il pro-
blema della differenza e del limite. La differenza mostruosa
permette di tematizzare la questione del limite, il limite delle
forme di sapere che regolano la produzione degli enunciati
in una determinata epoca, il limite delle pratiche di potere
che costituiscono dei soggetti assoggettati. Pensare il mostro
significa pensare un’esperienza del limite e pensare a partire
da una tale esperienza. Questa esperienza del limite può es-
sere considerata non solo ciò a cui il mostro costringe, ma la
stessa matrice di fondo della ricerca foucaultiana.

92
Michel Foucault, “La vie des hommes infâmes”, in Le Cahier du chemin,
n. 29, 1977, pp. 12-29, trad. it. a cura di Agostino Petrillo, La vita degli uomini
infami, in Alessandro Dal Lago, (a cura di), Archivio Foucault 2. Interventi,
colloqui, interviste. 1971-1977, Feltrinelli, Milano, 1997, pp. 245-262.
FOUCAULT, IL MOSTRO E LA MOSTRUOSITÀ 47

La seconda, il mostro è una materialità eterogenea. È,


usando un linguaggio diverso da quello foucaultiano, diveni-
re senza negazione, vita che non vuole vivere ma che sempli-
cemente vive93. I dispositivi di potere analizzati da Foucault
sono costantemente attraversati da linee di fuga. Ciò signifi-
ca, a mio parere, che la posta in gioco dell’analisi del sapere
e del potere proposta da Foucault sia l’individuazione dei
punti di rottura, delle linee di fuga, appunto, dalle maglie
pervasive dei dispositivi che governano la nostra vita.
L’intellettuale è un topografo e un geologo. Il suo ruo-
lo consiste nel fornire strumenti di analisi, che permettano
di individuare “dove sono le linee di fragilità, dove i punti
forti” dei poteri. Si tratta in altri termini di “fare un rilievo
topografico e geologico della battaglia”94.
Anche sotto questo profilo, leggere Foucault attraverso il
mostro risulta produttivo. Il mostro è politico nel senso che è
quella differenza, che differendo sé stessa nella sua continua
metamorfosi, sfugge ai dispositivi di controllo. È lo spazio di
emergenza dell’ingovernabile. Lo spazio in cui si alterano le
leggi del possibile e dell’impossibile, si disattivano le logiche
stesse che governano queste partizioni e si rendono possibili
nuove combinazioni.

93
Gilles Deleuze, “L’immanence: une vie...”, in Philosophie, 47, 1995, pp.
3-7, trad. it. a cura di Fabio Polidori, “L’immanenza: una vita...”, in Aut Aut,
271-272, 1996, pp. 4-7
94
Michel Foucault, “Pouvoir et corps” in Quel corps?, 2, 1975, pp. 2-5,
trad. it. a cura di Mauro Bertani, Potere e corpo, in Foucault, Il discorso, la
storia, la verità, cit., p. 155.

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