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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

SEDE DI MILANO

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


CORSO DI LAUREA IN LETTERE

IL “PARTITO” DEL GIORNALE: MONTANELLI E I LETTORI

Relatore:
Chiar.mo Prof. Agostino Giovagnoli

Tesi di Laurea di:


Francesco Zecchini
Matricola n. 4606388

Anno Accademico 2018/2019


Ai nonni, maestri di color che sanno
INDICE

1. LA PAGINA DELLE LETTERE SUL GIORNALE ................................. 3

2. IL “PARTITO” DEL GIORNALE ............................................................. 5

3. LA FENOMENOLOGIA DEI LETTORI ................................................. 12

3.1 LE LETTRICI E IL FEMMINISMO .................................................. 12

3.2 LA PROVENIENZA GEOGRAFICA DEI LETTORI...................... 19

4. I LETTORI DEMOCRISTIANI ................................................................ 22

5. LA “BATTAGLIA” DEL 1976................................................................... 36

6. I LETTORI DI DESTRA ............................................................................ 49

7. L’AVVICINAMENTO AL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO ....... 64

8. LA FINE DELL’AVANZATA COMUNISTA.......................................... 83

9. I REFERENDUM SUL DIVORZIO E SULL’ABORTO ........................ 93

BIBLIOGRAFIA ........................................................................................... 106


INTRODUZIONE
La mia curiosità per la figura di Indro Montanelli nasce appena varcata la soglia dei
18 anni. Due amici mi hanno infatti regalato il volume “Tutte le speranze.
Montanelli raccontato da chi non c’era”, scritto da Paolo di Paolo. Dalla lettura del
libro è nato il mio profondo interesse (storico ma non solo) per la figura del direttore
de il Giornale nuovo. Interesse che si è indissolubilmente saldato – anche grazie
alla frequentazione dei corsi universitari – con la passione per la storia e per la storia
contemporanea nella fattispecie. Avvalendomi della consulenza del professor
Alberto Malvolti, presidente della Fondazione Montanelli Bassi fondata dallo
stesso giornalista a Fucecchio (Firenze), e sotto la guida del professor Agostino
Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano, ho scelto quindi di analizzare il rapporto di Montanelli con i lettori
e la loro federazione all’interno di quello che si può definire il partito del Giornale.
In particolare, mi sono concentrato sugli sviluppi di questo continuo e sempre fertile
confronto nel periodo intercorso tra la fondazione de il Giornale nuovo (il 25 giugno
del 1974) e il 1981.
Per analizzare la relazione con il pubblico (centrale, come si vedrà, nel modo
di intendere il giornalismo di Indro Montanelli) ho utilizzato come matrice iniziale
i due libri Caro direttore e Caro lettore dedicati alla corrispondenza del fondatore
de il Giornale nuovo con i lettori. Oltre alla lettura e all’analisi approfondita di
questi testi, ho messo sotto la lente di ingrandimento una serie di volumi e articoli
scritti dal giornalista toscano ed altre pubblicazioni di diverso autore che mi hanno
permesso di inquadrare meglio i temi trattati.
Come il lettore potrà notare, all’inizio della ricerca ho inserito un
approfondimento dedicato all’importanza della pagina delle lettere e un altro che
analizza e giustifica la già citata definizione di partito del Giornale. Terminata
questa introduzione, ho scelto alcuni argomenti particolarmente pregnanti che sono
stati affrontati singolarmente in modo approfondito. Essi sono, nell’ordine in cui
sono trattati: la fenomenologia dei lettori che a sua volta presenta due sottosezioni
dedicate l’una alle lettrici e al tema del femminismo e l’altra alla provenienza

1
geografica del pubblico di Montanelli; oggetto successivo dell’analisi è lo sviluppo
storico della dialettica tra il giornalista toscano e i lettori riconducibili all’area
politica democristiana; il pubblico sotto esame è diventato poi quello della destra;
ho virato poi decisamente a sinistra con un’esposizione dedicata all’avvicinamento
del direttore al Partito Socialista Italiano guidato da Bettino Craxi e alle
conseguenze che questo provoca nella base del Giornale; da ultimo sono state
studiate la conclusione dell’avanzata comunista alla fine degli anni Settanta con i
conseguenti dibattiti di Montanelli con i lettori e le divisioni tra questi dopo la (non)
scelta del direttore di fronte alla grande questione dell’aborto (precedute da un
accenno al referendum sul divorzio del 1974).

2
1. LA PAGINA DELLE LETTERE SUL GIORNALE
La pagina delle lettere rappresenta uno degli snodi fondamentali de il
Giornale nuovo. È infatti uno dei due spazi sul quotidiano che accolgono la penna
di Montanelli. Il direttore elabora quasi ogni giorno il breve (ma non per questo di
facile stesura1) corsivo "Controcorrente" sulla prima pagina del giornale mentre più
raramente (di solito tra le 4 e le 10 volte al mese) consacra la sua penna ad un
editoriale2. A ciò si aggiunge il quotidiano dibattito con il pubblico nella rubrica
“La parola ai lettori” che si trova in genere nella penultima pagina de il Giornale
nuovo. Montanelli dedicava alcune ore della sua giornata lavorativa alla discussione
con il suo pubblico ed era letteralmente alluvionato dalle lettere, tanto che spesso i
lettori lamentavano la mancata risposta ad alcune missive da loro inviate
ipotizzando come motivo della mancata pubblicazione la critica sgradita in esse
contenuta3. Accusa che il giornalista toscano smontava implicitamente pubblicando
messaggi che recavano tali reprimende. Bisogna tenere conto anche del fatto che
quella delle lettere era “una delle pagine più lette del Giornale”, come spiegava lo
stesso direttore4. Quindi molti lettori fanno riferimento a messaggi precedenti nella
scrittura della loro missiva o del loro fax. Ciò crea un dibattito voluminoso e
complesso: in alcuni momenti particolari la discussione si sofferma per giorni sullo
stesso tema. Vale come esempio caratterizzante la disputa sulle riforme
costituzionali che si sviluppa a partire dall’articolo di Montanelli dal titolo “Tre
proposte di riforma” pubblicato su il Giornale nuovo del 13 dicembre 1974. Da
questa riflessione su un cambiamento costituzionale (sempre vagheggiato dal
direttore) scaturisce un dibattito – sviluppatosi in modo particolare sulla pagina
delle lettere – che coinvolge politici, costituzionalisti e “semplici” lettori e che
termina nel gennaio del 1975 per poi confluire nella discussione sull’Alleanza Laica

1
“La gestazione del Controcorrente è di durata inversamente proporzionale alla sua lunghezza”. I.
MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 78
2
F. DEPAOLIS, W. SCANCARELLO, Indro Montanelli: bibliografia (1930-2006), Pontedera
(Pisa), Bibliografia e Informazione, 2007, pp. 246-265
3
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 22
4
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 81

3
tra Partito Liberale Italiano, Partito Socialista Democratico Italiano e Partito
Repubblicano Italiano5.
Le tesi che vengono elaborate nelle risposte alle lettere sono apprezzate dal
direttore nato a Fucecchio in modo particolare “per il tono colloquiale e diretto che
le informa, che è quello più congeniale al mio stile”6. Montanelli le gradisce anche
“perché forniscono la prova della coerenza con cui il Giornale ha condotto le sue
battaglie”. Coerenza di cui il direttore sicuramente dà prova nel continuare suo
dialogo con i lettori. Un dialogo che proseguirà nel corso del tempo e della sua
carriera giornalistica fino ad arrivare all’ultima tappa attraverso le stanze sul
Corriere della Sera dal primo ottobre 1995 al 4 luglio 2001. Montanelli stesso
aveva dichiarato che la sua corrispondenza quotidiana con il pubblico sarebbe
durata – scriveva in una risposta del 23 dicembre 1997 – “fino al minuto in cui io
avrò la forza fisica e intellettuale di accogliervi il lettore e di rispondergli”7. E così
sarà: l’ultimo articolo sul Corriere della Sera del giornalista (fatta eccezione per il
necrologio da lui dettato alla nipote Letizia Moizzi e pubblicato sul quotidiano di
via Solferino il giorno dopo la sua morte) venne redatto il 4 luglio 2001, 18 giorni
prima del decesso durante le vacanze. E nell’ultima risposta Indro Montanelli –
quasi presagendo la sua scomparsa – scriveva di essere giunto al “momento in cui
anch’io, come tutti i mortali, debbo procedere alla revisione e alla chiusura dei conti
col passato”8.

5
Montanelli non avrà mai una elevata considerazione della Costituzione della Repubblica Italiana.
Il 21 ottobre del 1980 ad esempio scrive che la Costituzione “che ci regge ha sempre funzionato
male, e ora non funziona affatto”. I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 284
6
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 7
7
I. MONTANELLI, Le stanze. Dialoghi con gli italiani, Milano, Rizzoli, 1998, p. 409
8
I. MONTANELLI, Le nuove stanze, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 537, 538

4
2. IL “PARTITO” DEL GIORNALE
La forza dirompente de il Giornale nuovo nella realtà politica italiana ha un
precipuo fattore nel rapporto con i lettori. Montanelli riesce a federare il suo
pubblico creando una comunità in grado di riconoscersi e di identificarsi nel
quotidiano. I lettori partecipano, scrivono e sono attivi ma sono anche – ovviamente
non tutti – pronti a “turarsi il naso” e a seguire le indicazioni elettorali (e non solo)
date dal direttore. Ciò ha un fondamento nel forte senso di identità e di appartenenza
provato dal pubblico. Una prova di questo è l’utilizzo della prima forma plurale
dell’aggettivo o del pronome possessivo nel riferirsi al Giornale9. C’è chi,
addirittura, lo chiama “orgogliosamente «nostro»”10 aggiungendo un avverbio che
caratterizza il forte senso di identità che abbiamo già citato.

Com’è noto, un modo frequente di creare un’identità è contrapporsi


vigorosamente ai nemici. Anche grazie a questo fattore, le battaglie de il Giornale
nuovo vengono percepite dal pubblico come proprie. È il caso di Pasquale Scansini,
un lettore milanese cui Montanelli risponde il 3 dicembre 198011. Avendo letto la
notizia dell’esautoramento dei prefetti di Potenza e di Salerno da parte del
Commissario Straordinario per il coordinamento dei soccorsi del terremoto
dell’Irpinia Giuseppe Zamberletti, Scansini racconta di essersi accorto che i
telegiornali delle due reti Rai non avevano riportato il fatto. Dubitando della
ricostruzione de il Giornale nuovo, aveva chiamato un cognato, “funzionario della
prefettura di Potenza”, e quest’ultimo gli aveva “confermato la notizia”. Scansini
narra a Montanelli di aver chiamato la Rai di Roma “col sangue agli occhi per
chiedere spiegazione del suo silenzio”. Per poi sfogarsi scrivendo al direttore:
“Perché la Rai ce l’ha tanto con voi, anzi con noi?”. La scelta di non citare una
notizia apparsa su il Giornale nuovo diventa quindi occasione di scontro tra un
telespettatore e l’azienda pubblica. Ma non sono solo gli organi di informazione ad
essere oggetto degli strali dei lettori di Montanelli. Quando il direttore risponde ad

9
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 295, 353, 393
10
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 338
11
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 295, 296

5
un lettore sottolineando che “la borghesia ricca salvo rare eccezioni ci nega la
pubblicità per timore di compromettersi”, Aldo Villa scrive da Milano dicendosi
pronto a “boicottare queste ditte”12. Ed è certo che lo farebbero “moltissimi altri
lettori”.

Il legame con i lettori viene creato anche attraverso un rapporto fisico con
essi: la stessa sede milanese de il Giornale nuovo – prima nel palazzo della Stampa
in piazza Cavour, poi dal 1979 in via Gaetano Negri – accoglieva alcuni di loro,
invitati da Montanelli per respirare lì “un cameratismo goliardico d’altri tempi”13.
Infatti, l’importanza del contatto umano va a potenziare quella “forza morale” e –
secondo quanto scrive il direttore - finanziaria di cui sono latori i lettori.

Montanelli guarda la base della piramide dal vertice ricoprendo il ruolo di


direttore affiancato da Vincenzo Bettiza. Tuttavia, ciò che l’ex firma del Corriere
della Sera rappresenta per il suo pubblico non è riducibile ad una carica
professionale. Montanelli è infatti un padre14, un giudice nelle discussioni tra
amici15, un amico lui stesso16 e financo una sorta di guida morale cui giunge la
proposta di formulare “un decalogo all’inizio del nuovo anno”17. Ma soprattutto
l’ultrasessantenne giornalista è chiamato in causa per aiutare i lettori a districarsi
nelle grandi questioni politiche italiane. Principalmente attraverso la proposta di
una linea politica che si traduce nel voto ad un partito o ad alcuni candidati indicati
da il Giornale nuovo. Montanelli insomma “parla da direttore di giornale che pensa
– o s’illude – di poter influenzare i suoi lettori”18.

In questo modo il Giornale nuovo si struttura quasi come un “serbatoio


orientabile di voti”, come lo definisce il lettore Luigi Coppo da Biella in una lettera

12
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 150
13
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 46
14
“Dopo avere appreso la notizia del suo ferimento, in attesa di un responso rassicurante, ho provato
il senso di restare senza padre”. I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 45
15
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 169
16
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 44
17
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 136
18
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p.124

6
pubblicata il 30 dicembre 197719. Coppo traccia un manifesto di questo serbatoio
che – seppur utopistico – presenta alcuni elementi che si ritrovano nel ruolo svolto
da il Giornale nuovo. Non si tratta di “un partito politico e nemmeno di un’alleanza
di partito” ma di una “grossa fetta di opinione pubblica moderata”. Un insieme di
uomini che così caratterizza il proprio impegno alle urne: “Il nostro voto andrà a
quel partito che prima del prossimo turno elettorale si sarà battuto per difendere e
far valere le nostre istanze”. Una definizione che – mutatis mutandis – caratterizza
al meglio la strategia montanelliana. Il giornalista fucecchiese rincara la dose
citando nella risposta al lettore “la definizione che un giorno diede del Giornale il
vicedirettore dell’Unità, Claudio Petruccioli”. Petruccioli definì infatti il foglio
milanese “l’organo di un partito che ancora non esiste”. In effetti i lettori del
Giornale si federano come un “fortissimo, democratico movimento d’opinione” di
cui la redazione (e in ispecie il direttore) costituiscono “la coscienza”, “il punto di
raccolta e di raccordo”20. Un movimento che vuole “provocare spinte” volte a
“travolgere le forze mummificate e costringerle a strutturarsi con altri criteri” che
permettano agli elettori di “costringere gli eletti a fare ciò che devono”21 attraverso
(anche ma non solo) l’indicazione di voto che i lettori promettono di seguire
pedissequamente: “voteremo quanto ci suggerirà”, scrive Gino Martini da Milano22.
Il bacino del Giornale si propone anche di portare indirettamente ai politici idee
provenienti da semplici lettori, come “l’ingegnere di 35 anni responsabile di settori
produttivi di vario genere” che scrive una lettera pubblicata il primo luglio 1975 da
Pordenone a Montanelli “illudendosi che qualche alto personaggio politico la legga
o ne venga a conoscenza”23. E non è esibizionismo: il giovane si firma ma
presumibilmente chiede al direttore di non riportare il suo nome nell’articolo. Un
altro esempio di questo coinvolgimento dal basso è costituito dalla richiesta del
bolognese Stefano Rolandi di fare una sottoscrizione per conferire la carica di

19
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 324
20
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 95, 96
21
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 284
22
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 35
23
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 131

7
senatore a vita ad Enzo Ferrari24. Montanelli però nella replica del 23 dicembre
1981 frena: “Non mi faccio iniziatore di sottoscrizioni”. Ma poi sottolinea che “a
Ferrari il laticlavio andrebbe più stretto che largo”.

Battuta d’arresto che Montanelli riserva anche alla proposta di trasformare


il Giornale in un partito. In questo il giornalista milanese d’adozione si trova in
perfetta sintonia con il comportamento tenuto in passato con i circoli nati dal
Borghese. Anche nel 1954 infatti Montanelli, “assurto a ideologo”, aveva stimolato
un dibattito cresciuto attraverso “le numerose missive dei lettori” per poi però non
presentarsi quando la destrorsa “Lega Fratelli d’Italia” era stata battezzata a Milano
da un comizio di Longanesi25. Il giornalista mette in atto lo stesso atteggiamento
trent’anni dopo. Il direttore e il Giornale nuovo infatti “seguono fin dal suo primo
affiorare”, appoggiano e constatano il fallimento dell’Alleanza Laica tra i Partiti
Repubblicano, Liberale e Socialdemocratico nel 197526. Ma ripudiano “il sogno
impossibile di creare un partito nuovo” in quanto “fatalmente diverrebbe come gli
altri”27. Anche perché Montanelli ha ben presente il suo antimodello: il Fronte
dell’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini, un esempio “che lo rende non
irresoluto, ma anzi risolutissimo a non seguirlo”28. Secondo il direttore milanese
d’adozione infatti, “Giannini servì come giornale cioè come movimento d’opinione,
non come partito che fu soltanto una piccola armata brancaleone”. E non a caso il
termine “movimento d’opinione” è lo stesso utilizzato in precedenza per definire il
ruolo svolto dal Giornale. Il modello di Giannini “come leader politico di una nuova
destra qualunquista” viene del resto richiamato anche dai nemici. Infatti l’onorevole
democristiano Luigi Granelli provoca Montanelli sostenendo in una lettera
pubblicata il 27 gennaio 1978 che “in Parlamento il seggio di Guglielmo Giannini

24
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 399
25
S. GERBI, R. LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli,
2014, pp. 240-242
26
Così parlava del ruolo del Giornale il presidente dell’Associazione Alleanza Laica, l’ex presidente
della Corte costituzionale Aldo Sandulli. I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002,
p. 79
27
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p.75
28
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 296

8
è vuoto da tempo”29. E aggiungendo una stoccata: “Lei, anche se con minor
prestigio, potrebbe occuparlo con qualche amico fedele rispondendo finalmente dei
Suoi atti anziché rimanere, nervosamente, in attesa che altri rispondano per lei”.
Provocato, il giornalista replica sempre a fil di spada sostenendo che “in un mestiere
in cui i Granelli diventano generali, io sarei fatalmente condannato a restare un
caporale”. Nella risposta si intravede già l’attrazione respingente di Montanelli nei
confronti dei partiti e in modo peculiare della Democrazia Cristiana. Ripudio che si
esplicita nella forte rivendicazione scandita in un’altra risposta: “Noi non siamo un
giornale di partito”30. Del resto, l’idiosincrasia verso le forze politiche organizzate
è ribadita anche nella definizione del pubblico del foglio milanese che si costituisce
come “il giornale degli elettori, non degli eletti”31.

Questa definizione antipartitica permette anche una certa libertà nella scelta
dei collaboratori e dei redattori del quotidiano. In una lettera del 24 febbraio 1980,
un lettore torinese scrive infatti a Montanelli per sottolineare “con preoccupazione
che il giornale continua ad arricchirsi di firme di scrittori e giornalisti che fino a
qualche anno fa militavano nel campo opposto”32. Il lettore non fa i nomi – “perché
non sono un delatore” - ma spiega di “voler essere un po’ rassicurato in proposito”.
Il direttore risponde ammettendo che il numero dei pentiti “è imbarazzante per
eccesso, non per penuria, di materiale”. E cita come esempio che vale per tutti
Renato Mieli, “che fu segretario di Togliatti e direttore dell’Unità”. Esplicita qui
tuttavia una scelta editoriale e - si parva licet componere magnis – di vita. Rivendica
infatti che “è proprio all’insegna dell’eresia che questo giornale è nato nel momento
(anno ’74) in cui l’ortodossia, specie della cosiddetta intellighencija, consisteva nel
chiedere la tessera del Pci o nell’arruolamento nei suoi servizi ausiliari”. E durante
questa “ventata” Montanelli ha confermato le sue convinzioni: “Gli spretati sono
stati fra i più inflessibili”. Da qui, l’apertura finale che deve sembrare scandalosa
agli occhi del lettore “purista” torinese: “Sono pronto ad accoglierne altri”. Il gusto

29
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 17
30
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 40
31
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 284
32
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 219-221

9
dell’eresia è del resto uno degli elementi caratterizzanti del montanellismo, come il
giornalista fucecchiese avrà modo di ribadire in altre circostanze33.

Il Giornale nuovo si configura quindi come un foglio fortemente identitario


da esporre come uno stendardo nella vita di tutti i giorni. Emblematico è l’aneddoto
raccontato da Giovanni Ferretti da Livorno e pubblicato il 17 aprile 197734. Ferretti
stava leggendo il Giornale nuovo sul treno e “due posti erano liberi nello
scompartimento”. A quel punto “arrivano due ‘barboni’ ventenni, un ragazzo ed
una ragazza, con sottobraccio il manifesto”. Vedendo il nome della testata, “il
ragazzo esclama: «Cerchiamo altri posti perché qui c’è un fascista che legge la
stampa borghese»”. I due effettivamente “se ne andarono” nonostante non fosse
facile trovare altri posti liberi nel vagone. In seguito, il protagonista dell’episodio
si sente apostrofare così da un altro viaggiatore: “Per favore, metta via il giornale,
non li provochi, perché io voglio fare il viaggio in pace”. Intanto il vagone si
riempie e, chiacchierando, si scoprono “tutti anticomunisti”. Ma il signor Ferretti
risulta essere il “solo con il coraggio delle proprie idee manifestate apertamente”.
Montanelli trae la morale dell’apologo nella risposta: “La forza più grande dei
comunisti è stata ed è la debolezza di un avversario conigliesco, disposto a tutto,
anche a morire, pur di non battersi”. Al di là delle considerazioni politiche e
sociologiche, attraverso questo breve episodio raccontato si percepisce tutto il senso
di appartenenza de il Giornale nuovo che emerge anche e soprattutto in rapporto
agli altri giornali di centrosinistra. Uno su tutti è la Repubblica, fondato da Eugenio
Scalfari nel 1976, due anni dopo il Giornale. Le due testate e i due direttori
rivaleggiano infatti con un leitmotiv che però li accomuna: sono “gli unici giornali
che, per unanime riconoscimento, in Italia fanno opinione”35.

33
Montanelli rispondeva così ad un lettore milanese: “Confermo che non canterò mai in coro. (…)
Vocazione al solismo? Può darsi, d’altra parte nessuno può rinnegare la propria natura. La mia è di
stare con le minoranze, a prescindere dai motivi”. I. MONTANELLI Caro direttore, Milano,
Rizzoli, 2002, p. 271
34
I. MONTANELLI Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 272, 273
35
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 296

10
In conclusione, il Giornale nuovo si presenta come un organo di
informazione fortemente identitario e aggregante. Costituisce sia un “serbatoio
orientabile di voti” che un “movimento d’opinione”. Non ha tuttavia nulla a che
vedere – almeno nelle intenzioni e nelle parole di Montanelli – con la creazione di
un partito strutturato che si presenta sulla scheda elettorale. Anche per questo la
definizione di “partito del Giornale” affiora provocatoriamente nelle parole
dell’onorevole democristiano Giovanni Galloni36. Questi era stato “rovesciato dalla
sua carica di capogruppo” alla Camera dei Deputati con il contributo di un centinaio
di candidati dello scudo crociato eletti anche grazie al fatto che il giornalista toscano
ne aveva elencato i nomi sul Giornale per proporli ai suoi (ele)lettori in occasione
delle elezioni politiche del 1979. Il direttore li riteneva infatti “di buona affidabilità
liberaldemocratica e moderata”. Galloni, irato, li apostrofa invece come “il partito
del Giornale”. E Montanelli replica sottolineando che “i loro nomi noi li abbiamo
trovati nelle liste compilate dalla stessa Dc, che forse si proponeva di avviarli alla
trombatura”. Insomma, il direttore utilizza la carota e il bastone verso la più votata
forza politica italiana. Una tendenza che ricorrerà sempre nel rapporto del direttore
con il partito fondato da Alcide De Gasperi e in quello altrettanto altalenante – come
si vedrà – con i suoi militanti.

Al di là di questo episodio particolare, ciò che sembra fuori discussione –


almeno secondo il suo condirettore Vincenzo Bettiza - è che si debba proprio a
Montanelli “l’involontaria quanto fortunata invenzione” del “quotidiano-partito”. Il
giornalista milanese d’adozione infatti, nonostante si divertisse a “denigrare tessere
e partiti”, si era ben presto trasformato nell’ “ammiraglio corsaro di una filibusta
sempre più politicizzata e più coinvolta nel vortice delle battaglie partitiche e
parlamentari”37.

36
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 169
37
E. BETTIZA, Mostri sacri. Un testimone scomodo negli anni del consenso, Mondadori, Milano
1999, p. 136

11
3. LA FENOMENOLOGIA DEI LETTORI
In questo capitolo si condurrà un’analisi sociologica del lettore de il Giornale nuovo
che interagisce con Montanelli attraverso la pagina delle lettere. Da questo studio
si possono dedurre anche alcune indicazioni utili sulla fenomenologia generica del
pubblico del Giornale. In particolare, nella prima sezione verrà analizzato il sesso
dei lettori che scrivono al direttore con un’analisi particolareggiata di uno dei temi
di maggiore dibattito quando a scrivere sono le donne: il femminismo. Nel secondo
paragrafo, sarà invece messa sotto la lente d’ingrandimento la provenienza
geografica delle lettere del pubblico che scrive al direttore del foglio milanese.

3.1 LE LETTRICI E IL FEMMINISMO


Gran parte dei lettori che scrivono a Montanelli sono uomini. Da un’analisi
delle lettere dal 1974 al 1981 infatti, la percentuale di donne tra il pubblico che
scrive al direttore è intorno al 10 per cento. Questa suddivisione per sesso permette
comunque di evidenziare la presenza di alcuni temi peculiari. Ad esempio, quando
sono le donne a scrivere al direttore uno degli argomenti principali di discussione
è il rapporto tra la politica del Giornale e il femminismo. In questo campo, il
campionario umano e delle idee è onnicomprensivo e rispetta alcune linee di
indirizzo fondamentali.

La prima tipologia di lettrice è quella fedele alle idee del Giornale e quindi
di pensiero conservatore. È il caso ad esempio di Maria Rosaria Anastasio, donna
romana che chiede un consiglio al direttore in quanto “vede con amarezza che non
è possibile, né dignitoso andare avanti in questa maniera senza fare nulla”38. La
signora Anastasio traccia anche – ed è l’elemento più sociologicamente
interessante – una descrizione personale: “Io mi sono sempre considerata come una
mattonella dei pilastrini sui quali poggiano le fondamenta dello Stato. Cerco di fare
il mio dovere come casalinga e come insegnante, cerco di seguire i principi che
rendono la vita degna di essere di vissuta”. Si notino in particolare i ruoli elencati
della donna nello Stato. Essi rispondono per certi versi ai cliché sulla figura

38
I. MONTANELLI Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 92-94

12
femminile in società: “casalinga e insegnante”. Ed entrambe le funzioni vengono
svolte “per dovere”. Ecco quindi una tipologia di lettrice simile del resto a “tante
che (…) silenziosamente fanno”. Da ciò trapela il contrasto che si vuole esprimere
tra queste “pecorelle sceme” e la società “fisiologicamente e moralmente marcia”.
Il direttore è probabilmente molto contento di poter annoverare nel suo pubblico
una donna portatrice di un pensiero così discordante da quello di diversi altri
esponenti femminili che gli scrivono. E infatti il giornalista toscano coglie la palla
al balzo creando subito una frattura tra la “gentile signora” e le “scalmanate e poco
edificanti esibizioni delle suffragette rosse, incolonnate per le vie del centro di
Milano nel giorno cosiddetto della «festa della donna»” del 1975. Si noti
innanzitutto che la festa viene definita “cosiddetta”, non riconoscendole
implicitamente un valore. Montanelli segnala anche il “rito «pop» ispirato alla
libertà sessuale, officiante quel gran sacerdote del progressismo da avanspettacolo
che si chiama Dario Fo”. Il direttore evidenzia che “la civilissima Milano” è
diventata “una città di tolleranza” irriconoscibile. Nel sottolineare questo, esalta
anche il modello di donna che la sua lettrice incarna in contrasto con il lifestyle del
drammaturgo e delle sue seguaci. Resta tuttavia una speranza: in una situazione
“giunta al punto in cui ci vuole più coraggio a sopportare che a ribellarsi”, il “gran
carnevale dovrà pur finire, una buona volta” attraverso lo strumento della
democrazia (anche se la signora dubita del voto: “A me sembra che non basta
proprio più”, scrive infatti). Anche perché in caso contrario a concluderlo saranno
“quelli stessi che l’hanno provocato” facendo “piombare” tutti “dal carnevale in
una lunga quaresima”. Insomma, la donna lettrice ideale di Montanelli emerge e
contrario dall’accostamento con le femministe milanesi.

Il contrasto tra la donna e la femminista si riverbera in un’altra lettera che


tratta la ricorrenza dell’otto marzo. Stiamo parlando della missiva che “un gruppo
di donne milanesi” “recapita a mano” a Montanelli nella giornata internazionale
della donna del 198039. Questo collettivo vuole “protestare per la mancanza di

39
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 223, 224

13
qualsiasi annuncio e articolo, sul Giornale di oggi, circa la «festa della donna»: che
appunto è stata celebrata (sic)” e accusa il direttore per l’ennesima volta di
“antifemminismo”. Interessante è notare però che il giornalista toscano non si
gloria mai di questa qualifica. Anzi, tende a rifiutarla articolando diversamente la
sua posizione. Il direttore conferma infatti di “aver ignorato” la ricorrenza ma
sostiene di averlo fatto “per una vecchia diffidenza verso questo tipo di
celebrazioni preordinate e artificiose” tra cui “le varie feste o giornate dei papà, dei
fidanzati, delle mamme, dell’infanzia, degli anziani che fanno la gioia dei
pasticcieri o dei retori, ma per il resto servono a poco”. Quello di Montanelli non
è insomma “antifemminismo” ma allergia “all’emozione a comando,
all’indignazione a scadenza fissa, alla solidarietà modello ventiquattr’ore”. Anche
perché “ciò che viene detto in queste ricorrenze è prevedibile fino alla noia”. Fin
qui, la spiegazione del ripudio. Il direttore però è in grado di sorprendere e di
rivelare un’altra faccia della moneta. Concretizza infatti la questione lodando
quella coniata per l’occasione dalla zecca dello Stato con “da una parte il volto di
Maria Montessori e dall’altra l’immagine di una contadina”. Due simboli di donne
che non hanno nulla a che vedere con il “femminismo aggressivo e intimidatorio”
verso il quale Montanelli confessa di “avere (…) un po’ di prevenzione”. Una
preferenza che viene spiegata meglio nell’ultima parte della risposta. Il giornalista
toscano racconta infatti di aver visto proprio l’otto marzo “un corteo di donne” che
“portavano mazzi e ghirlande di fiori” e che “erano, sotto il sole della mattinata già
primaverile, serene”. Il direttore riconosce di non sapere “quale fosse il loro tasso
di femminismo. Ma era molto alto il loro tasso di femminilità”. Indro Montanelli
disapprova insomma le femministe scontrose e androfobiche. Apprezza invece
molto il simbolo dei “fiori, che sono stati sempre, nel dialogo tra uomo e donna,
un prezioso mezzo d’intesa”. E in questo caso anche il giornalista “ha idealmente
aggiunto – a nome del Giornale – i suoi fiori a quelli che le donne di Milano
portavano al loro comizio. Omaggio silenzioso: ma sincero”. Insomma, questo
duello epistolare si apre nel segno di un “egregio direttore” – caso più unico che
raro di sostituzione dell’aggettivo “caro” nell’intestazione – nella lettera e di un

14
“care amiche (o se preferite care nemiche)” nella risposta. Tutto fa presupporre uno
scontro. E invece il direttore non assume un atteggiamento antagonistico.

Non sempre però Indro Montanelli sembra tenere fede a questo ideale. E lo
si capisce in un’altra occasione, legata ancora alla festa della donna. L’otto marzo
1981 pubblica una missiva indirizzatagli dalla romana Maria Andringhieri40.
Questa inizia la sua lettera scrivendo che l’intestazione (ancora una volta viene
cambiata) sarebbe “ex caro direttore” a causa della sua decisione “di non leggere
più” il Giornale nuovo. La motivazione è dovuta ad un “Controcorrente” che viene
così riassunto dalla lettrice: “Parlando di un avvocato inglese che in difesa di un
pastore anglicano accusato di violenza carnale su due ragazze aveva sostenuto che
in fondo le due vittime ci provavano piacere, lei aggiunge: «Ma tutte le associazioni
femministe sono insorte contro di lui sostenendo che la violenza carnale è anzi la
violazione del piacere. E credo che abbiano ragione: dura troppo poco»”. La
Andringhieri giustifica il suo addio a il Giornale nuovo sentendosi “offesa” come
donna dal corsivo. Il giornalista toscano si trova insomma in un crinale molto
pericoloso. Che gli provoca i diversi reclami femministi “piovuti sul capo”. Tra
questi – a suo dire – ce n’è qualcuno che “invoca addirittura una rappresaglia
pistolera”. Il direttore non fa tuttavia passi indietro: “La coralità delle proteste mi
fa capire l’errore che ho commesso non scrivendo quel «Controcorrente», ma
ostinandomi a tenere questa rubrica per un pubblico che – ne avevo già avuto delle
prove – non sta al giuoco”. E a questo punto cita a sua discolpa altri corsivi da lui
redatti sottolineando il paradosso parossistico che si annida in ciascuno di essi.
Paradosso che non serve tuttavia a calmare le “femministe” che lo hanno
denunziato “per apologia di reato e istigazione a delinquere chiedendo – in tutta
serietà – due miliardi di danni”. Montanelli conclude infine la risposta continuando
l’eccentrico schema fin qui tracciato: “Non mi stupirei se trovassero un magistrato
disposto a dar loro ragione. Per cui non mi resta che piantare questa rubrica, magari
per sostituirla con un’altra intitolata, poniamo «Il salotto buono», in cui (…)

40
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 324, 325

15
s’inviti il lettore a voler bene alla mamma, a rispettar le aiuole e a baciare la mano
alle signore”. Il giornalista milanese d’adozione giustifica quindi la sua
esternazione con una sorta di licenza poetica necessaria per garantire l’effetto
contundente del “Controcorrente”. E lo fa utilizzando egli stesso dei paradossi,
segno della sua ostinazione nel tenere la posizione.

Proprio la rubrica appena citata si ritrova in un’ultima e significativa


missiva. Si tratta di una lettera scritta da “una femminista di Milano” e pubblicata
il 28 gennaio 197541. Essendo giunti all’ultima analizzata, è interessante notare che
la provenienza di queste quattro missive è sempre una grande città a rimarcare il
fatto che questo movimento d’opinione trova terreno più fecondo laddove ci sono
masse di persone che possono attivamente partecipare. Un’altra postilla si può
aggiungere circa il finale del messaggio: l’autrice sostiene infatti di “non potere
firmarsi per evitare le vessazioni di un cospicuo gruppo di uomini con i quali
lavora; uomini che anche quando sono più stupidi hanno miglioramenti e passaggi
di categoria, in quanto «razza eletta»”. Il tono è quindi avvelenato, come
confermato dal resto della lettera che comincia con una domanda in risposta
(manco a dirlo) a due «Controcorrente»: “Perché siete sempre così acerrimamente
antifemministi? Non ditemi che sono permalosa: vi avrei scritto molto prima, se
così fosse – ma oggi non ne posso proprio più! Fate più male alle donne voi che
Fanfani e Paolo VI messi insieme. Perché?” La polemica potrebbe sembrare simile
a quella delle femministe arrabbiate con il direttore del Giornale. Ma non è questo
il caso. Secondo l’anonima lettrice infatti, “il giornale, a parte l’antifemminismo, è
l’unico leggibile in Italia per ragioni di obiettività”. Si sente dunque molto a disagio
anche perché “non si iscriverà mai a nessun movimento per la liberazione della
donna” in quanto “sostenuto dalle sinistre”. Ecco quindi l’insinuazione che
racchiude un’accusa: “Ma il fatto che siano sostenute dalle sinistre vi pare una
buona ragione per mancare di obiettività al punto da demolirle in questo modo, sia
pure con la scusa del sorriso e del sarcasmo?” Da ciò si possono fare due

41
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 67-70

16
considerazioni. In primo luogo, secondo la lettrice il tono pungente del
“Controcorrente” non può bastare – come Montanelli sostiene in altre occasioni,
ad esempio nel caso visto in precedenza – a giustificare e ridimensionare il
messaggio che passa. In secundis, va sottolineata l’accusa secondo cui la mancanza
di “obiettività” da parte del Giornale nei confronti delle donne e della loro
richiesta, citata nella lettera, di un “aborto legalizzato” potrebbe derivare anche
dagli individui che combattono la battaglia femminista. L’ignota lettrice conclude
la lettera mostrandosi comunque fedele, scusandosi per “i modi un po’ bruschi” e
quasi supplicando i giornalisti della redazione di essere “un po’ meno crudeli e un
po’ più comprensivi per quanto riguarda i problemi della donna”. La missiva è
dunque al plurale, ad evidenziare che l’ostilità al movimento femminista non è una
caratteristica esclusiva del direttore. Direttore che, dal canto suo, sembra cogliere
il tono conciliante nella risposta del 28 gennaio 1975 sostenendo che “la lettera gli
è molto piaciuta. E non solo per la confermata fedeltà al giornale (nonostante
tutto)” ma anche (e questo è un passaggio chiave) “perché dietro il suo sfogo
s’indovina la presenza più della donna che della femmina”. Ecco quindi il
discrimine: il direttore conferma che il Giornale nuovo (“in questa faccenda,
abbastanza seria, conta la posizione di tutto il Giornale”, come già messo del resto
in evidenza dalla supplica della lettrice) non crede alla razza eletta “e semmai ci
credesse giurerebbe che essa è la donna, non l’uomo”. Montanelli sottolinea,
contraddicendo l’accusa, che “noi non siamo contrari agli obiettivi dei movimenti
femministi ma lo siamo solo al modo e al metodo con cui queste rivendicazioni
sono poste”. L’attacco al femminismo è poi soprattutto di natura politica “non
perché le sinistre non abbiano il diritto di agitarsi, ma perché esse sono già
abbastanza autorevolmente rappresentate nel governo, e in una opposizione che nel
governo ci sta con almeno un piede, per avere bisogno di sommuovere
continuamente le piazze”42. Secondo il direttore infatti, “in democrazia i problemi
si pongono dal basso e si risolvono dall’alto. Altrimenti è il caos, nel quale siamo

42
Il quarto governo Moro, durato dal novembre 1974 al gennaio 1976, godeva dell’appoggio esterno
del Partito Socialista Italiano e del Partito Socialdemocratico Italiano. All’opposizione c’erano
invece Partito Comunista Italiano, PSI di Unità Proletaria e Sinistra Indipendente.

17
già dentro fino al collo”. Montanelli dunque aggiunge un’ulteriore caratteristica
che non gli rende tollerabile il femminismo militante: il fatto che sia legato alla
politica. Il giornalista toscano aggiunge però un’ultima nota a confermare di nuovo
l’ambiguità della sua posizione: “Quanto alle donne come tali, cara lettrice, sarei
pronto a esprimer loro tutta la mia stima, se fossi sicuro che ci tengano. Ma credo
invece che tengano molto di più ad altri sentimenti, di cui posso assicurarle che
tutta la mia vita è una continua testimonianza”.

In conclusione, il dibattito sul femminismo trae spesso linfa vitale dall’otto


marzo e fa emergere una posizione abbastanza conservatrice di Montanelli circa il
ruolo della donna nella società. Ciò non esclude purtuttavia l’appoggio ad una
battaglia per la parità dei sessi purché essa non si trasformi in una lotta “aggressiva,
intimidatoria” e sfruttata politicamente43.

43
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 224

18
3.2 LA PROVENIENZA GEOGRAFICA DEI LETTORI
Attraverso la pagina delle lettere de il Giornale nuovo si può tracciare un
profilo geografico dei lettori del foglio diretto e fondato da Indro Montanelli. Va
innanzitutto considerato a scanso di equivoci che la redazione principale si trovava
a Milano e che quindi il pubblico lombardo aveva maggiore facilità nell’inviare le
lettere in piazza Cavour (e, dal 1979, in via Gaetano Negri)44. Infatti la regione più
rappresentata tra i lettori è la Lombardia, seguita da Liguria, Toscana, Lazio,
Emilia-Romagna e Piemonte. Il Giornale nuovo è quindi un foglio a forte trazione
nordoccidentale con una cospicua presenza anche nelle due regioni “rosse”
dell’Italia centrale. A corroborare ciò è utile segnalare che i lettori che scrivono da
Genova e da Firenze superano per numero quelli che cercano un contatto con
Montanelli dall’intero Mezzogiorno e dalle isole. Sempre a proposito della città,
giova segnalare che origine principale delle lettere toscane è Firenze, a
testimonianza del legame del giornalista con la città del Giglio. Proprio qui infatti,
Montanelli aveva preso due lauree in Legge (nel 1930) e in Scienze Politiche e
Sociali (nel 1932): il suo borgo natio, Fucecchio, si trova tutt’oggi nella provincia
della città medicea. Per quanto riguarda le altre regioni prima citate, le città
largamente più rappresentate sono ovviamente i capoluoghi: da Milano a Torino.
Il capoluogo meneghino è una vera e propria fucina di lettere e non di rado il
dibattito tra il direttore e i suoi lettori riguarda proprio la metropoli che fu capitale
della prima repubblica italiana45. Si pensi che le lettere provenienti da Milano
superano per numero quelle partorite nelle nove città italiane (oggi) più popolose
(capoluogo lombardo ovviamente escluso): Roma, Napoli, Torino, Palermo,
Genova, Bologna, Firenze, Bari e Catania.

Un’ultima nota non insignificante riguarda le missive provenienti


dall’estero. Se ne registrano addirittura di spedite dal continente americano

44
L. BOLOGNINI, Il Palazzo dei giornali che non fa più notizia, in “la Repubblica”, 13 agosto
2011
45
Si veda ad esempio il dibattitto sul ruolo - abbandonato, secondo Montanelli – di “capitale morale”
del capoluogo lombardo. I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 182-184

19
(Toronto)46. Oltre che ovviamente dal Vecchio Continente. Proprio da questa
(relativamente) fitta corrispondenza Montanelli trae spunto per un’altra battaglia:
quella per il pieno riconoscimento del diritto di voto per gli italiani all’estero47.
Ironia della sorte, la legge Tremaglia – proprio quella che consente di esprimere la
propria scelta a costoro senza obbligare a ritornare in patria – verrà approvata nel
dicembre del 2001. A qualche mese dalla morte di Montanelli.

Il direttore sostiene questa battaglia anche a partire dalla rubrica “La parola
ai lettori”. È proprio un emigrato a Buenos Aires, Giovanni Bancheri, a stuzzicare
il direttore citando una precedente lettera di un lettore di Toronto48. La missiva
viene recapitata sulla scrivania di Montanelli nel dicembre del 1975 (Bancheri dice
però di “trovarsi in questi giorni in Italia per un breve soggiorno”), in un momento
in cui “ogni scheda nell’urna ha un valore decisivo”. E il direttore risponde
constatando in effetti che “quando c’è di mezzo l’Oceano, (…) salvo rarissime
eccezioni, l’immigrato non vota”. Vero è che “non tutti gli Stati ammettono che
siano istituiti, presso le ambasciate straniere, seggi elettorali veri e propri, che
funzionino contestualmente a quelli italiani” in quanto “li giudicano lesivi della
sovranità interna”. Basterebbe tuttavia permettere che “le rappresentanze
diplomatiche all’estero raccolgano, con i dovuti requisiti di segretezza, voti da
inviare per corrispondenza, o meglio ancora in plichi sigillati, con adeguato
anticipo, in Italia”. Anche perché “il risparmio di denaro, rispetto alla spesa
richiesta anche dal viaggio di quei soli duecentomila emigrati, sarebbe enorme”.
Montanelli giustifica il ritardo rispetto ad altre nazioni nel permettere questa
possibilità sottolineando che “gli emigrati di oltreoceano sono in stragrande
maggioranza anticomunisti e moderati, diversamente da quelli emigrati in Europa
che, anche per ragioni comprensibili – l’epoca recente dell’emigrazione, la durezza
del lavoro, lo stato sociale insoddisfacente, la accanita propaganda degli agitatori

46
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 168, 169
47
La battaglia del direttore continuerà anche attraverso le stanze sul Corriere della Sera. Si veda ad
esempio: I. MONTANELLI, Le stanze. Dialoghi con gli italiani, Milano, Rizzoli, 1998, pp. 229-
231
48
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 167-169

20
– propendono per la estrema sinistra. Perciò viene favorito in qualche modo il voto
degli emigrati europei, bloccato quello degli emigrati transoceanici”. Insomma, il
direttore trova una motivazione di carattere politico, pur “comprendendo” chi vota
comunista. Come già evidenziato, dovranno però trascorrere altri dodici anni dalla
caduta del muro di Berlino prima che venga introdotto il voto per corrispondenza.
Una dilazione che Montanelli aveva pronosticato sottolineando che “la logica, la
giustizia, la democrazia vorrebbero che il voto per corrispondenza fosse presto
realizzato. Per questo non lo sarà”. Il voto all’estero sarà dunque consentito
solamente in occasioni delle elezioni europee, dal 1979 in poi.

21
4. I LETTORI DEMOCRISTIANI
Il rapporto di Indro Montanelli con i militanti democristiani si sviluppa
attraverso molte lettere che aiutano a capire la strada politica – di non immediata
comprensione – che il giornalista toscano intraprende. Si tratta di un rapporto di
amore/odio che raggiunge il suo culmine, almeno dal punto di vista storico, nella
celeberrima indicazione di voto “votate Dc, turandovi il naso” in occasione delle
elezioni politiche italiane del 1976.

Per capire a chi si rivolge Montanelli e quali sono gli elettori che tenta di
confederare, fondamentale appare comprendere prima di tutto a quali lettori
democristiani il direttore sceglie di rinunciare nel portare avanti la sua campagna
politica. A questo scopo risulta molto utile una lettera scritta da Filippo Cerrai, un
lettore di Pisa49. Pisa è anzitutto una città che ci può aiutare ad andare ancora più a
fondo nell’analizzare il rapporto tra il giornalista toscano e la Democrazia Cristiana:
proprio nel capoluogo di provincia della regione del direttore si è verificato nel 1971
un evento che aveva già il sapore del compromesso storico. Con il contributo
fondamentale di Massimo d’Alema, capogruppo del Partito Comunista Italiano in
consiglio comunale, venne stipulato “un accordo sotterraneo che riguardò il Pci, il
Partito Socialista Italiano e una significativa parte della sinistra democristiana. Ne
nacque la giunta di Elia Lazzari (insegnante cattolico passato al Pci) che governò la
città fino al 1976”50. Forse alla luce di questa esperienza negativa da impedire,
Cerrai ritiene che “il Giornale abbia consolidato le proprie posizioni fino al punto
da legittimare la propria esistenza scegliendo la posizione che scelse il 20 giugno”
197651. La sua apologia della Democrazia Cristiana continua sostenendo che “dal
dopo-guerra ad oggi, la Dc è stata il partito che in qualche modo ha impedito ai
comunisti di andare al governo”. E termina sottolineando l’errore di Montanelli:

49
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 38-40
50
D. GUADAGNI, Quando D’Alema trattò per il Comune in “Il Tirreno”, domenica 7 aprile 2008,
p. III
51
Una simile posizione viene tenuta, come vedremo in seguito, da Renzo Pivetti da Milano, un altro
lettore democristiano che viene invitato ad allontanarsi dal partito del Giornale per le sue posizioni,
per quanto critiche verso parte della dirigenza dello scudo crociato. I. MONTANELLI, Caro lettore,
Milano, Rizzoli, 1994, pp. 89-91

22
“Anche forse per la idiozia di alcuni democristiani, si è ulteriormente spazientito ed
ha chiesto, per esempio, che il 14 maggio la gente votasse liberale”52. Quindi giunge
la reprimenda: “Non le è andata bene ed anche da un punto di vista tattico non
sarebbe stato male aver tenuto un atteggiamento più sfumato”. Il direttore coglie la
palla al balzo nella risposta del 7 giugno 1978, terminata anche la tornata elettorale
amministrativa in Sicilia. Il giornalista spiega infatti di aver invitato a votare la Dc
“che teneva il Pci all’opposizione, non quella che lo ha accolto nella cosiddetta
«maggioranza programmatica» e non muove più un dito senza chiedergliene il
permesso”. Montanelli e i suoi lettori hanno l’anticomunismo nel sangue e non
ritengono possibile insomma fare una trasfusione gestendo il potere insieme. In
particolare, non è sufficiente professare un anticomunismo fino al voto: il direttore
lo rimprovererà spesso alla Democrazia Cristiana e in modo particolare al suo
segretario Benigno Zaccagnini53. Ma non è nemmeno obbligatorio appoggiare la
Dc. Continua ancora il giornalista toscano: “Alla Dc diamo, gratis, il nostro
appoggio quando e nelle cose in cui ci pare giusto darglielo. L’anima, no”. E qui
Montanelli introduce l’elemento discriminante: “Se lei accetta questa posizione,
amici come prima e più di prima, anche con qualche litigio. Se non l’accetta, si
legga Il Popolo. Vedrà che soddisfazione”. Il confine è quindi tracciato. Chi si
schiera acriticamente con la Democrazia Cristiana non può essere nel partito del
Giornale. Quest’ultimo ha una posizione e non guarda – o guarda poco – ai mezzi
(leggi: partiti) per raggiungerla. Prova ne è che Montanelli afferma a sua difesa: “I
liberali non potevamo non sostenerli, visto ch’essi erano venuti sulle nostre
posizioni: le posizioni dell’opposizione a quel regime d’ammucchiata a cui noi
siamo sempre stati – e rimaniamo – avversi”. Peraltro il direttore aggiunge
un’ulteriore pennellata che dà l’ultima spallata al lettore (e all’elettore)
monopartitico: “Di voti ne abbiamo suggeriti due, lasciando la scelta al lettore: uno
per i liberali, l’altro per quei candidati democristiani che avessero dato garanzia di

52
Il 14 e il 15 maggio 1978 si votò per la prima tornata delle elezioni provinciali ed amministrative.
Per il Partito Comunista Italiano fu “una botta secca”. I. MONTANELLI, M. CERVI, L’Italia degli
anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993 p. 34
53
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 105

23
anti-comunismo, anche se non potevano suggerirne i nomi, data la nostra ignoranza
delle particolari situazioni locali”. Posizione più ambiguamente chiara non ci
potrebbe essere.

Un altro elettore non arruolabile è il lettore democristiano con approccio


fideistico. È il caso ad esempio di Eliana Biagini da Savona che scrive un vero e
proprio j’accuse nei confronti de il Giornale nuovo54. Ancora una volta la lettrice
democristiana proviene da una città amministrata da anni (anzi, da decenni) da una
giunta rossa. Va peraltro sottolineato di nuovo che si tratta di uno dei non molti casi
in cui a scrivere a Montanelli è una donna e di una delle ancora più esigue situazioni
in cui il tema del dialogo con una lettrice non è il femminismo. Tornando alla
Biagini, secondo la sua opinione gli articolisti del Giornale sono dediti “da tre anni
a questa parte” ad un “linciaggio morale nei confronti del segretario nazionale del
partito della Dc” Benigno Zaccagnini. Il ragionamento però si allarga: “Non
essendo il Giornale nuovo l’organo dichiarato di alcun partito politico e tanto meno
della Dc, esso non ha il diritto di atteggiarsi a ‘giudice supremo’ di un partito, (…)
interferendo negli affari della Dc al punto da creare fratture traumatiche come quelle
che sono state recentemente create”. Ciò che però qui viene toccato è un punto di
forza del Giornale: la non appartenenza ad alcuna forza politica. Che infatti
Montanelli rivendica nella risposta del 4 agosto 1978 sottolineando che se per
disonoramento di Zaccagnini “la signorina intende le critiche alla linea politica”
allora “noi interferiamo in tutti i partiti”. Ciò che il direttore mal tollera dell’accusa
è il tentativo di straniamento della Democrazia Cristiana per allontanarla da
qualunque critica quasi fosse una figlia da proteggere dal mondo crudele. O meglio:
ciò che la lettrice rimprovera non è tanto “la legittima differenza di idee” quanto
l’“interferenza”. Interferenza che da un lato sottolinea implicitamente l’importanza
del ruolo politicamente attivo del Giornale, in particolare nei confronti dei partiti
più vicini dal punto di vista ideologico. Ma dall’altro lato ciò che emerge è il
profondo fastidio della dirigenza democristiana – e della base ad essa più fedele –

54
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 72-74

24
per il forte legame che persiste tra i democristiani lettori del Giornale e Montanelli.
Il direttore tocca questo punto proprio per indicare come tra i militanti della
Democrazia Cristiana ce ne siano “parecchi che, a proposito della linea politica di
Zaccagnini, la pensano come noi”. Quindi chiede provocatoriamente: “Che
facciamo: li epuriamo?” La risposta non può che essere negativa anche se vedremo
che una ghettizzazione dei lettori del Giornale c’è, stando almeno ai racconti dei
lettori. L’approccio apologetico-fideistico al proprio partito non può perciò
convivere con il partito del Giornale e con la sua ideologia. E infatti Montanelli
dice addio alla lettrice invitandola a “iscriversi al Pci” perché “il suo vero partito è
quello”. Un consiglio che ha il sapore di un invito ad abbandonare anche il Giornale
nuovo. Con quest’ultima esortazione, peraltro, viene anche riqualificata in modo
positivo (almeno rispetto ai comunisti) la Democrazia Cristiana, a riprova di
quell’atteggiamento oscillante di amore/odio verso questo partito da parte del
direttore.

Un altro tassello importante del puzzle dei rapporti di Montanelli con i


democristiani è costituito dalla lettera (e dalla relativa risposta del 15 marzo 1978)
del lettore Franco Ricci da Lugo (Ravenna)55. Anche in questo caso, dunque, il
mittente viene da una città amministrata dal Partito Comunista Italiano dalla
Liberazione in poi. Ed anche in questo caso viene disegnata un’apologia della
Democrazia Cristiana in quanto “il secondo governo Andreotti merita ben maggiore
comprensione di quanto (sic) non ne dimostri lei”. Ricci sostiene ancora che “se
alle elezioni la Dc fosse andata ora avrebbe faticato a mantenersi per di più creando
le condizioni, a causa di giustificate reazioni”, per una ascesa del Pci al governo.
“Alle elezioni – conclude il lettore romagnolo – la Dc avrebbe dovuto andare solo
se il prezzo fosse stato la sua capitolazione: il che, anche se siamo lontani
dall’ottimale, non è certo avvenuto”. Tuttavia, il primo distinguo rispetto alle
posizioni analizzate in precedenza è introdotto dal fatto che il lettore romagnolo
dice di essere alla ricerca di una “soluzione a tutti i nostri problemi di moderati”

55
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 26-28

25
(successivamente li chiama “democratici”). Quindi non siamo troppo lontani dal
già citato atteggiamento montanelliano che utilizza i partiti come mezzi e non come
scopi nella strategia politica. Ciò che viene però contestato soprattutto è la
convergenza di fini – dichiarata anche in una risposta ad una lettera cui Ricci fa
riferimento - tra il Partito Liberale Italiano (all’opposizione del quarto governo
Andreotti con il Movimento Sociale Italiano, Democrazia Proletaria e il Partito
Radicale) e il Giornale nuovo. Ricci ritiene che questo avvicinamento faccia
“sorridere, più che stizzire”. La lettera si conclude con una minaccia di addio,
enfatizzata dall’ammissione di leggere il Giornale nuovo “senza entusiasmo”: “Si
ricordi anche che, di questo passo, sono diventati tanti i lettori che la leggono in
mancanza di meglio. Per ora non c’è nulla sul mercato, e non possiamo
inventarcelo. Ma ci guardiamo intorno”. Montanelli risponde contrattaccando. In
primo luogo, l’accusa implicita è quella di essere, “a quel che mi par di capire, un
democristiano”. In realtà la missiva parlava di “moderati” o di “democratici”. Poi
arriva un ulteriore affondo sostenendo che gli attacchi dei comunisti “sono sempre,
o quasi sempre, civili, rispettosi e pieni d’impliciti riconoscimenti per la funzione
che questo giornale svolge”. Mentre quelli dei democristiani (come il lettore,
secondo Montanelli) “sono invece intrisi, oltre che di cattiva sintassi, di un livore e
di un rancore che si spiegano solo col livello intellettuale e morale di chi li lancia”56.
Terminata la durissima reprimenda, il direttore spiega che “nel ’76 io invitai i nostri
lettori a votare Dc avallando così, con la mia firma, l’impegno che questo partito
aveva preso, in termini inequivocabili, di non alterare il cosiddetto «quadro
politico» senza prima aver interpellato gli elettori, cioè in parole povere di rifiutare
l’ingresso del Pci nella maggioranza politica”. Tuttavia “dieci giorni fa questo
ingresso è stato sancito”. Anche per questo Montanelli non crede, anzi sembra
deprecare che “i «moderati», i quali rappresentano i quattro quinti dell’elettorato
dc, si rassegnino ad essere per l’eternità non solo gabbati, ma anche scherniti come

56
Lo stesso tono e il medesimo contenuto delle accuse saranno utilizzati da Montanelli verso altri
militanti della Democrazia Cristiana. E ciò, come vedremo in seguito, gli sarà rimproverato da un
lettore genovese che provocherà il pentimento del direttore. I. MONTANELLI, Caro lettore,
Milano, Rizzoli, 1994, pp. 83, 84

26
«rozzi qualunquisti»”. Montanelli quindi si fa portavoce non richiesto dei suoi
lettori auspicando un distacco dalla Democrazia Cristiana mentre continua a non
tenere in considerazione che il signor Ricci – come da lui stesso affermato – possa
essere un “moderato”. Questa furbizia potrebbe servire a separarlo dalla base di
“moderati” lettori del Giornale, contribuendo ad una definizione implicita di questi
come ostili profondamente al compromesso storico. Infatti il giornalista toscano
spiega così l’appoggio al Partito Liberale Italiano: “Qualunque partito – di sicura e
pulita fedina democratica, s’intende – si schieri su questa posizione, avrà il nostro
aiuto”. Ecco verbalizzato il montanellismo con un non irrilevante inciso ad
excludendum del Movimento Sociale Italiano. Occorre però sottolineare infine che
il lettore “democristiano” secondo l’accusa e “moderato” secondo la difesa non
viene invitato ad andarsene dal partito del Giornale. Desiderio di vendere una copia
in più? Improbabile, visto che questi inviti sono arrivati in altre circostanze. Più
verosimile appare che la qualifica di “moderato” che il signor Ricci si è attribuita
contenga in nuce – secondo Montanelli - una speranza di “redenzione” laica.

Un ultimo caso di “democristiani redimibili” è quello del signor Alfonso


Brogi che scrive da Grosseto57. Ancora una volta la città è un feudo del Partito
Comunista Italiano che la governa dal secondo dopoguerra. E il lettore – segretario
provinciale della Democrazia Cristiana – sostiene di essere “sovente d’accordo”
con il direttore ma difende lo scudo crociato affermando che chi lo vota “lo fa a suo
rischio e pericolo e ne deve accettare tutte le conseguenze: anche di avvertire la
puzza”. La lettera – carica di ironia – provoca una reazione sorridente ma non per
questo meno mordace. Montanelli il 2 gennaio 1979 infatti risponde di essere
consapevole che “non possiamo impedirvi di puzzare; ma voi non potete impedirci
di sentir il puzzo e di dire che lo sentiamo”. Viene ribadito insomma il diritto alla
critica della Democrazia Cristiana. Ma il signor Brogi non viene allontanato dal
Giornale. La sua ideologia democristiana viene rispettata tanto che il direttore
arriva ad affermare: “Quanto alla Dc, lei fa benissimo, come militante e gerarca, a

57
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 123, 124

27
difenderla”. Il direttore del foglio milanese ripudia insomma – come in precedenza
con la lettrice Biagini - il potere di censura voluto dallo scudo crociato ma apprezza
l’ironia e il distacco con cui viene affrontato il diverbio.

Fin qui abbiamo visto quali siano i lettori democristiani che Montanelli
ripudia o combatte. Ciò che invece si offre ora alla nostra analisi è il lettore
democristiano che accetta la critica al partito e ai suoi militanti. Un primo esempio
è costituito da Giovanni Pace da Monza che infatti evidenzia come lui e “tantissimi
amici democristiani” di sua conoscenza “che comprano il Giornale” non chiedano
“di non criticare la Democrazia Cristiana” ma domandino “soltanto di avere rispetto
anche dei vostri lettori democristiani che sono tantissimi e che non possono
accettare da il Giornale quel tipo di critica che è propria e caratteristica di altri
giornali”58. Una critica alle critiche, insomma. Che però Montanelli non condivide
sostenendo nella sua risposta del 7 gennaio 1975 che “non è coi complici silenzi
che si può salvare la Democrazia cristiana, ma tenendola sotto il controllo e il
pungolo di una critica che la richiami a quei doveri di partito maggioritario di cui
essa troppo spesso si dimentica”. Tuttavia riconosce che se i dirigenti non
cercheranno di rimediare ridando “al partito un volto finalmente credibile come lo
aveva al tempo di De Gasperi (…) dovremo abbandonarvi al naufragio e badare
soltanto ad approntare le scialuppe di salvataggio”59. E qui arriva la generosa
concessione al signor Pace da Monza: “Su una delle quali, forse, anche Lei dovrà
cercar posto”. Questo salvataggio introduce insomma una distinzione tra chi guarda
alla Dc per difenderla e chi può vantare invece davanti a Montanelli un approccio
più critico. E a questo secondo lettore il direttore si rivolge.

Ciò è dimostrato anche dalla replica del 6 settembre 1978 data al signor
Pedemonte, un lettore genovese che si definisce un tempo “militante entusiasta e
idealista, anche se ora mi sono alquanto staccato dalle attività di partito e non certo

58
I. MONTANELLI Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 49-51
59
Il giornalista toscano scriverà anche a proposito della Democrazia Cristiana: “Quando prevale la
linea degasperiana, l’appoggio; quando vi prevale la linea morotea, la combatto”. I. MONTANELLI,
Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 150

28
per l’età avanzata, ma per il mutato clima da quello di degasperiana memoria”60. Il
motivo scatenante la lettera risiede in una frase contenuta in una risposta di
Montanelli nella rubrica “La parola ai lettori”. Il direttore aveva infatti denigrato i
militanti democristiani evidenziando “chi sono e su quale livello mentale e
grammaticale sono i militanti di questo partito”. Pedemonte sottolinea che “la
risposta ha coinvolto anche me, fuori causa” e insiste chiedendo al giornalista
toscano di ammettere che “un «taluni» le è involontariamente rimasto nella penna,
o nei caratteri che dovevano uscire per la stampa”. Montanelli capisce l’errore,
segnalando peraltro la presenza di “tanti altri lettori che mi hanno mosso le stesse
rimostranze”. Può quindi ammettere di aver torto per aver scritto ab irato. Infine, si
lancia in quella che può essere senza remore definita una captatio benevolentiae:
“Anche fra i militanti dc ce ne sono di degnissimi, dei quali mi vanto di essere
amico”. E non è difficile pensare che il direttore stesse facendo riferimento anche
al lettore che lo aveva appena redarguito. Anche qui abbiamo quindi un militante
critico verso alcuni suoi compagni democristiani. E Montanelli non ne contesta le
tesi allontanandolo dal Giornale.

La tesi del direttore è che la Democrazia Cristiana può aiutare il suo progetto
solamente nelle “emergenze”. “Nell’ordinaria amministrazione” è bene invece
riprendere una distanza critica61. Il lettore che comprende – pur soffrendo - questo
comportamento è il perfetto montanelliano. È il caso del già citato “ingegnere di 35
anni responsabile di settori produttivi di vario genere” che scrive al direttore
paragonando l’Italia alla sua fabbrica62. “Quando una linea si ferma per un guasto
qualsiasi – continua il lettore di Pordenone – primo obiettivo di noi tutti è quello di
farla ripartire al più presto, perché ogni momento perso è produzione che non si fa”.
Così in Italia ci vorrebbe troppo tempo a ricercare e analizzare “le cause del
«guasto»” che “possono essere tante (giovani, (…), monopoli Pci sui sindacati,
(…), degradazione morale gradualmente provocata da stampa pornografica e da

60
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 83, 84
61
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 91
62
I. MONTANELLI Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 130-132

29
film porno – violenti – marxisti, (…), emancipazione «esplosiva» e spesso su binari
sbagliati della donna ecc.)”. Il nostro Paese intanto “è fermo, anzi rischia di
affondare per sempre in mani comuniste”. Il lettore suggerisce quindi di cercare un
“rimedio immediato” ovvero “lottare sul serio, e sudare, e crederci nella
democrazia, ma non colle belle parole, bensì con le armi non belliche ma legali che
ancora possediamo”. Il direttore è sulla stessa riva del fiume nella risposta del 24
luglio: “Ha sacrosantamente ragione quando dice che in una situazione come questa
non c’è il tempo di intentare processi al passato alla ricerca di colpe e
responsabilità”. Tanto da ammettere che il Giornale stesso era pronto a partire con
“una vasta campagna di moralizzazione”. Ma il suo momento è stato rimandato:
“La faremo quando non rischieremo, facendola, di sfasciare definitivamente una
barca che già rischia di affondare con tutto il suo carico”. Questo “turarsi il naso”
preannuncia di quasi un anno quello celeberrimo invocato da Montanelli per le
elezioni del 20 e 21 giugno 1976. Ed è rilevatore di una scelta che unisce o divide
e unirà o dividerà il partito del Giornale. E che infatti il direttore commenta così:
“Non tutti i lettori capiscono questo caso di coscienza. Lei, da quel che vedo, lo
capisce. La ringrazio”. Essere implicitamente disponibili ad appoggiare la
Democrazia Cristiana nelle “emergenze” è quindi condizione sufficiente per essere
arruolati nelle schiere del giornalista toscano.

Un ulteriore passaggio che è necessario sviscerare per comprendere meglio


il rapporto di Montanelli con il principale partito italiano è quello del rapporto del
giornalista con la dirigenza della Democrazia Cristiana. Ciò si evince in modo
particolare da una risposta al lettore Arteno Salise di Roma in cui Montanelli –
tracciando un bilancio degli eventi degli ultimi due anni, dalle elezioni del 1976 in
poi – scrive che il Giornale nuovo “prese un atteggiamento di censura sempre più
marcata non verso la Dc, ma verso una dirigenza che ha fatto il contrario di ciò che
si era impegnata a fare, e che rappresenta – a detta di colui stesso che la inventò e
la mise in cattedra, Moro – quanto di peggio questo partito abbia mai avuto”63. Una

63
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 105, 106

30
pugnalata utilizzando l’ancora rovente arma fornita dal sequestro Moro e dai suoi
scritti dalla “prigione del popolo”. La critica all’ “apparatčik” democristiano si
riverbera anche nei confronti del quotidiano ufficiale del partito. Il Popolo era già
stato del resto pesantemente criticato da Montanelli nello scambio epistolare di cui
abbiamo parlato in precedenza con Filippo Cerrai da Pisa64.

La seconda pesante bordata arriva nella già citata risposta del 6 settembre
1978 al lettore genovese in cui il giornalista toscano si pente di aver accusato tutti i
militanti democristiani di non avere un buon “livello mentale e grammaticale”65. Il
direttore scrive infatti che “il Giornale, nei confronti della Dc, non ha che crediti.
Le ha portato parecchi voti, e in cambio non ha ricevuto che insulti e sgarbi”. A
testimonianza di ciò Montanelli cita il Popolo senza nominarlo affermando che il
“semiclandestino quotidiano” della Democrazia Cristiana “non polemizza mai con
l’Unità, polemizza con noi, come se noi, non i comunisti, fossimo il vero nemico
della Dc”. Un attacco netto – con un’allusione alla tiratura – che l’ex firma del
Corriere della Sera sfodera contro il giornale ufficiale dello scudo crociato e contro
la classe dirigente che lo gestisce (in quel momento il direttore è il deputato Corrado
Belci). Il progetto di Montanelli appare chiaro e lo abbiamo già accennato in
precedenza: il direttore de il Giornale nuovo vuole formare la propria quinta
colonna all’interno della Democrazia Cristiana. Ciò vale sia per i deputati che fa
eleggere attraverso la pubblicazione delle preferenze sul Giornale nei collegi i cui
candidati sono conosciuti dalla redazione sia per i militanti che leggono e
condividono le posizioni del quotidiano milanese.

Vale per tutti l’esempio di Giuseppe Menabò che scrive da Gravellona Toce
(oggi nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola)66. Egli racconta che “alcune sere”
prima della scrittura della lettera si trovava “nella sede della Democrazia Cristiana”.
Ed è lì che si è verificato lo scisma. “Nel vivo della conversazione – racconta

64
Montanelli concludeva la lettera sottolineando infatti: “Se lei accetta questa posizione, amici come
prima e più di prima, anche con qualche litigio. Se non l’accetta, si legga Il Popolo. Vedrà che
soddisfazione”. I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 40
65
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 83, 84
66
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 265

31
Menabò al direttore – uno dei presenti, per controbattere il mio punto di vista sulla
conduzione del partito nei confronti del Paese e degli elettori, è uscito dicendo: «Tu
dovresti leggere meno il Giornale di Montanelli»”. Uno scontro che evidenzia bene
come il coltello del giornalista toscano si inserisca talvolta a dividere la base della
Democrazia Cristiana, come a volte gli stessi militanti gli rimproverano. La risposta
del direttore del 28 luglio del 1980 non è certamente un invito alla riconciliazione.
Anzi, Montanelli si comporta come una madre che fa scudo del suo corpo al figlio.
Infatti in primo luogo giustifica l’avversione dei partiti verso di sé in quanto
profondamente avverso al “fenomeno delle «lottizzazioni»”. Mentre in seconda
battuta accusa “gli uomini di partito” di ricorrere “a formule di tono intimidatorio”
o ad un “«avvertimento» mafioso”. Fin qui, la difesa del proprio lettore. Ma ecco
subito l’attacco diabolico (in senso etimologico): “Infatti, caro Menabò, ho proprio
l’impressione che lei, umanamente e moralmente parlando, non sia dei loro. E se lo
tenga come il più bel complimento che posso farle”. In questo modo il lettore viene
attirato dalla gravità del Giornale che – volente o nolente Montanelli – non può che
allontanarlo dalla galassia democristiana del momento. Del resto, questa frattura
nella base della Balena Bianca era chiamata in causa dal direttore per esporla con
un po’ di orgoglio come una dimostrazione di forza e dagli esponenti dello scudo
crociato per denigrarla finendo però per accentuarne la portata divisiva.

Un esempio della strategia montanelliana si può ricavare ancora dalla


risposta a Eliana Biagini da Savona67. Nonostante l’accusa della lettrice di aver
interferito “negli affari della Dc al punto da creare fratture traumatiche come quelle
che sono state recentemente create”, Montanelli depotenzia la posizione di Benigno
Zaccagnini – “speranza per l’avvenire della Dc e per il suo rinnovamento” secondo
la “signorina” – sostenendo che tra i militanti “ce ne sono parecchi che, a proposito
della linea politica” del segretario “la pensano come noi”. Conclude poi provocando
dalla sua posizione di forza: “Che facciamo: li epuriamo?” Il direttore è
consapevole che la Democrazia Cristiana non può e non deve rinunciare (anche per

67
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 73

32
la sua natura plurale e pluralistica) ai suoi militanti ma li utilizza come grimaldello
per avvicinare il partito fondato da De Gasperi alla sua strategia politica.

Un ultimo esempio di questa mossa politica si ritrova nella risposta alla


lettera di Giulio Micarelli che scrive da Brescia68. Questo lettore lombardo fa
riferimento all’ “intervista a firma di Lucio Lami, (sic) al Pope russo in esilio
Konin” e non sa se dirsi più “scandalizzato o incredulo”. Riporta quindi alcune
condizioni di vita del sacerdote russo (“prima d’entrare in seminario, viene
abilmente trattato a base di psicofarmaci in un manicomio” e ancora “riesce
difficilmente a sopravvivere fisicamente con 50-70 rubli al mese: alleva le mucche
per arrotondare”) per poi evidenziare che “le peripezie dei primi apostoli e martiri
della Chiesa sono uno zuccherino al confronto: ai tempi di Nerone i ribelli davanti
ai procuratori godevano d’alcune garanzie giuridiche inalienabili e durante la
persecuzione di Decio per i cristiani accomodanti c’erano delle scappatoie”. Lo
sbigottimento è tale che il lettore chiede se “l’intervista sia in qualche modo
manipolata”. Insomma, le vicende narrate sono talmente sconvolgenti da far
dubitare il lettore che l’anticomunismo del foglio diretto da Montanelli arrivi al
punto di falsificare le interviste. Anche se la stima per il quotidiano viene ribadita
dalla considerazione secondo cui un articolo mendace non verrebbe ritenuto “degno
del «Giornale nuovo»”. In caso l’intervista fosse invece veritiera, Micarelli
confessa di dover concludere “che siamo già riprecipitati in un evo buio senza
speranza”. La risposta di Montanelli, datata 19 novembre 1978, è oltremodo chiara
per quanto riguarda la redazione dello scritto. “Nessuna delle interviste viene
pubblicata” spiega il direttore, “prima che il testo sia sottoposto a chi l’ha data e ne
abbia ricevuto il «placet»”. Inoltre “questa regola viene ancora più strettamente
osservata quando si tratta di esuli politici, data la delicatezza della loro condizione”.
Il giornalista toscano, fin qui tranquillo, scrive di “avere il diritto di pretendere” che
“il lettore gli creda”. Ne va della sua attendibilità: altrimenti potrebbe essere
considerato alla stregua di un falsificatore di articoli secondo le sue necessità.

68
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 106-108

33
Solamente a questo punto arriva l’offensiva verso la Democrazia Cristiana: “Non
so se lei è un militante della Dc. Se lo è (…) temo che la sua lettera abbia sbagliato
indirizzo perché le cose che lei scrive – tutte vere, sacrosante, e anche
dottrinalmente fondatissime – non deve rivolgerle a noi, che le abbiamo sempre
dette; ma a quegli uomini, gruppi e correnti del partito democristiano, e diciamo
pure del mondo cattolico, che fingono d’ignorarle”. Montanelli lancia quindi questo
messaggio al ventre elettorale della Balena Bianca: “Noi queste verità le
conosciamo. E per questo, pur essendo e professandoci laici, ci sentiamo e
consideriamo più cattolici di certi cattolici”. Come a voler ribadire implicitamente:
“nel segreto della cabina elettorale” segui il Giornale nuovo, non la Dc69.

Questo processo di scissione dell’anima dello scudo crociato si replica,


enfatizzato, anche con i parlamentari democristiani. Come abbiamo fatto notare in
precedenza, quando l’onorevole Giovanni Galloni dopo le elezioni del 1979 viene
“rovesciato dalla sua carica di capogruppo” con il contributo fondamentale del
“centinaio di candidati democristiani più o meno noti di buona affidabilità
liberaldemocratica e moderata” proposti “alle preferenze degli elettori” da il
Giornale nuovo, questo raggruppamento viene definito dal parlamentare il “partito
del Giornale”70. Legittimando in qualche modo il loro legame con una realtà
esterna, antipartitica e – per giunta – spesso antidemocristiana. Ma soprattutto
ammettendo che il contributo del Giornale è stato importante per assicurarne
l’elezione: una dichiarazione d’impotenza – o comunque di debolezza - del partito.

In conclusione, parafrasando e ribaltando la seconda formulazione


dell’imperativo categorico kantiano si può affermare che Indro Montanelli agisce
in modo da trattare la Democrazia Cristiana sempre come mezzo e mai
semplicemente come fine. Ciò si traduce certamente in un sostegno allo scudo
crociato nelle “emergenze” ma non in un consenso preventivo ad ogni tornata

69
C. e A. GUARESCHI, Mondo Candido 1946-1948, Manifesto elettorale 1948, Milano, Rizzoli,
2003, p. 417
70
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 169

34
elettorale71. Da questo sostegno però “il Giornale (…) non ha ricevuto che insulti e
sgarbi”72. E ciò contribuisce ad acuire la distanza tra il foglio milanese e il partito
di maggioranza relativa.

La forza politica fondata da Alcide De Gasperi deve assolvere in primis una


fondamentale funzione anticomunista, elemento necessario per essere apprezzata
dal giornalista toscano. Ma non basta. Essa rappresenta anche – in cambio dei “voti
dei lettori” portati – un organo influente per sostenere le politiche del partito del
Giornale73. Infatti, attraverso le preferenze alle elezioni espresse dal “serbatoio
orientabile di voti” e l’attaccamento a Montanelli di alcuni militanti del partito, il
direttore esercita una non indifferente pressione su piazza del Gesù minacciando di
(op)porsi in modo alternativo allo scudo crociato nel caso in cui questo deroghi alla
sua funzione anticomunista74. Insomma, il giornalista toscano sa di essere la voce
di una delle (indispensabili) correnti dell’oceano democristiano e utilizza questo
ruolo riconosciutogli dal basso (e anche, come testimonia la già menzionata frase
di Giovanni Galloni, dall’alto) per condizionare dividendo e creando dibattito nel
ventre della Balena Bianca. Infatti l’unico lettore (spesso abitante in comuni in cui
il Partito Comunista Italiano gioca un ruolo importante) cui oppone un netto rifiuto
è quello non disponibile ad una critica del suo partito e che smaschera così la
strategia montanelliana (accusata di generare “fratture traumatiche come quelle che
sono state recentemente create”)75. La contestazione alla Democrazia Cristiana (e
in particolare alla sua dirigenza) è il battesimo al montanellismo. Anche se può
portare a retromarce per la troppa vis immessa nello scontro da parte dello stesso
direttore.

71
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 91
72
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 84
73
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 84
74
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 324
75
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 73

35
5. LA “BATTAGLIA” DEL 1976
“È in gioco l’intera posta”, titola in grande il Giornale nuovo76. Questo è il
clima che si respira in piazza Cavour domenica 20 giugno 1976, il giorno delle
elezioni politiche in cui Montanelli avrà un ruolo importante nel contribuire al
successo della Democrazia Cristiana. La celeberrima formula “votate Dc, turandovi
il naso” non compare però nelle lettere del Giornale e non sembra nemmeno essere
una novità proposta dal direttore in quella circostanza77. Certamente però la sua
carica espressiva l’ha resa proverbiale.

Le radici di quella scelta nel “referendum in cui saremo chiamati a


pronunciare un Sì o un No al comunismo” si trovano nel risultato delle elezioni
regionali, provinciali ed amministrative del 15 e 16 giugno del 197578. Il Partito
Comunista Italiano ha ottenuto la maggioranza in Piemonte, Liguria, Emilia-
Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio: quasi la metà delle regioni che vanno
al voto (15, tutte tranne quelle a statuto speciale). Inoltre le prime cinque città
italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova) sono guidate da giunte rosse79.
Si tratta di un risultato storico che sembra essere il viatico alla presa del potere dei
comunisti. Montanelli e i suoi lettori se ne accorgono con un anno di anticipo: il
primo squillo di tromba lo lancia il trentacinquenne ingegnere di Pordenone (dove
si è votato ma i democristiani hanno rivinto) di cui abbiamo già parlato in
precedenza80. Egli - che non perde da “da qualche anno ormai (…) il minimo
dettaglio nell’aggiornamento della vita politica” – sostiene che sia giunto il
momento di “lottare sul serio, e sudare, e crederci nella democrazia, ma non colle

76
S. GERBI, R. LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli,
2014, p. 415
77
La paternità dell’espressione sembra appartenere a Gaetano Salvemini che “nel ’53, in occasione
delle elezioni politiche, aveva fatto uso di una quasi identica espressione, consigliando il voto per
uno dei piccoli partiti laici”. E nel 1954 Montanelli stesso aveva ammesso di aver votato per De
Gasperi alle elezioni del 1948 e del 1953 “stringendomi il naso, per non sentire il puzzo”. S. GERBI,
R. LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli, 2014, p. 244
78
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 228, 229
79
[non firmato], Il governo della “non sfiducia”, nel 1976 in “Il Post”, 10 aprile 2013,
https://www.ilpost.it/2013/04/10/il-governo-della-non-sfiducia-nel-1976/ (ultima consultazione il
14 gennaio 2020)
80
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 130-132

36
belle parole, bensì con le armi non belliche ma legali che ancora possediamo”. Il
messaggio è chiaro e Montanelli non può che raccoglierlo e rilanciarlo moltiplicato
nella sua potenza, soprattutto nella stoccata verosimilmente riferita alla Democrazia
Cristiana. Il direttore scrive infatti: “La ciurma merita il tribunale. Ma per il
momento dobbiamo darle una mano”. E ancora, con un’altra metafora: “Gli uomini
sono quelli che sappiamo e vediamo: carichi di errori, di colpe, di miserie. Ma
siccome non ne ho altri di riserva, non li posso fucilare. Almeno per ora”. Possiamo
affermare che la campagna elettorale de il Giornale nuovo per le elezioni politiche
è appena cominciata.

Non tutti i lettori hanno però compreso questo messaggio. Tanto che nel
gennaio del 1976 Sergio Benelli da Milano – constatato che “la Democrazia
cristiana è fallita ed è forse finita la sua funzione di partito portante dell’intero
sistema” – sottolinea che “non è tanto urgente il cercare un’alternativa alla Dc, cosa
che oltretutto sarebbe rovinosa in presenza di un forte partito comunista, quanto
impiegare tutte le nostre forze per modificare l’attuale sistema politico-
istituzionale, i cui difetti hanno logorato la Dc e logorerebbero qualsiasi altro
partito”81. La necessità di riforme viene quindi evidenziata e giustificata con il
fallimento della Dc. Questa riflessione nasce in contemporanea alla constatazione
che “di tutta la questione costituzionale non è rimasta traccia sul Giornale”.
Effettivamente è così. Dopo un effervescente dibattito nato da un articolo di
Montanelli e sviluppatosi sulle pagine del foglio milanese dal 13 dicembre 1974 per
circa un mese, la questione era stata abbandonata anche per concentrarsi sulla
nascita dell’Alleanza Laica tra Partito Liberale Italiano, Partito Repubblicano
Italiano e Partito Socialista Democratico Italiano. Ma non certo per delle
“pressioni” - come ipotizza il lettore – “per costringere al silenzio” il direttore e i
suoi colleghi. La vera motivazione, secondo quanto scrive il giornalista toscano, è
che “ci vogliono anni per formare ed affermare un movimento di opinione per la
riforma costituzionale”. Un tempo molto lungo che Montanelli credeva di avere a

81
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 193-195

37
disposizione non appena iniziato il dibattito. Poi però “è venuto il 15 giugno, ed ora
non ci restano più che pochi mesi per sapere non come vogliamo essere, ma se
continueremo ad essere”. Perciò “in queste condizioni, riaprire l’argomento
costituzionale sarebbe pura accademia”. Questo è il pensiero del giornalista toscano
espresso in una sorta di discorso programmatico pronunciato il 9 gennaio. Un
discorso che serva a mostrare la gravità della situazione.

Il dibattito entra nel vivo attraverso le voci dei candidati. Significativa è


infatti la lettera che scrive a Montanelli l’ingegner Corrado Nodari, “candidato nelle
liste del Partito liberale a Milano”82. Il partito del Giornale si trova di fronte alla
scelta tra una moglie vecchia ma di fedeltà provata nel pericolo ed una giovane
amante la cui fermezza è ancora da verificare. La metafora è presto svelata: stiamo
parlando della Democrazia Cristiana e dell’Alleanza Laica. Nodari, anche perché
candidato, propende per la seconda e scrive: “Non capisco come si possa fare in un
prossimo futuro questa alleanza laica, tanto desiderata, se, votando Dc in massa,
anziché Pli o Pri, si rendono ancora più deboli i partiti che la devono comporre”. Il
lettore aggiunge un’altra interessante conseguenza dell’eventuale voto “in massa”
alla Democrazia Cristiana: “Non si saprà dalla «conta» del 20 giugno quanti sono
veramente i laici le cui forze ed i cui voti sono da unire nel futuro sotto questa
bandiera”. Montanelli, messo di fronte a due opzioni tra cui è difficile scegliere,
riesce però a trovare un compromesso da suggerire ai suoi lettori. Innanzitutto
suggerisce di votare i sette candidati senatori dell’Alleanza Laica, tra cui figurano i
condirettori de il Giornale nuovo Vincenzo Bettiza (che verrà eletto in uno dei
collegi di Milano) e Cesare Zappulli a Genova (quest’ultimo il 20 giugno strapperà
“il seggio ai comunisti”83). Giocare questa “carta vincente” farà in modo che “i tre
partiti non potranno più opporsi all’Alleanza, e questa si farà di forza propria anche
senza i partiti, e magari contro di essi”. Ma ciò non è sufficiente. Nel “referendum”
è necessario anche “propiziare una concentrazione di voti sulla Dc”. Una scelta che

82
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 224-227
83
Lo racconta Gian Galeazzo Biazzi Vergani sul suo diario. S. GERBI, R. LIUCCI, Indro
Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli, 2014, p. 417

38
non esclude la precedente. Infatti “gli elettori” dei collegi appena citati “possono
benissimo riportare il loro voto sui candidati democristiani alla Camera, dove la
loro maggioranza è molto più pericolante che in Senato”. Il voto alla Democrazia
Cristiana resta infatti essenziale affinché lo scudo crociato “garantisca al meglio il
sistema”. Montanelli comunque non allontana ma si fa vicino a questo elettore (che
non sarà eletto) laico come lui: “Sono sicuro, caro amico, che questa soluzione non
le piace. Non piace nemmeno a me”. Insomma, il naso viene turato molto
strettamente e con molta fatica.

La scelta delle preferenze è dunque uno degli elementi centrali nella politica
elettorale del partito del Giornale. Prova ne è la lettera che Montanelli riceve sulla
sua scrivania proveniente dal signor Valentino Malucelli di Padova84. Quest’ultimo
confessa “francamente che di politica nel complesso si è interessato poco”. Si tratta
ancora una volta presumibilmente di un moderato anticomunista che per la “Dc ha
sempre avuto una particolare avversione”. E da qui nasce la richiesta al direttore di
indicare i nomi da votare nel segreto dell’urna. Ricordandogli che “i suoi lettori
sono in tutta Italia con le stesse necessità”. Una fiducia totale nel giornalista
toscano, dunque. Una doppia fiducia, a dire il vero. Quella di un moderato che
accetta di votare la Democrazia Cristiana “turandosi il naso” e quella di un elettore
che accorda la preferenza ad un candidato propostogli secondo delle credenziali che
Montanelli riassume in due parole: “onestà personale e anticomunismo”. Del resto,
spiega ancora l’opinionista milanese d’adozione, “la politica in Italia è combinata
in modo che solo i professionisti riescono – quando ci riescono – a capirne
qualcosa”. Di qui la necessità di avere dei giornalisti dietro le quinte: “Il povero
cittadino, che deve anche pensare ad altro, ne è completamente all’oscuro, e chiede
a noi una indicazione precisa. Suggerirgliela è una tremenda responsabilità, ma è
anche, da parte nostra, un dovere”. Un suggerimento che è distinto a seconda
dell’orientamento politico (“gli diremo pressappoco: se sei di destra questi sono i
candidati da votare, se sei di centro questi, se sei di sinistra questi altri”) e che

84
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 227-229

39
permette al Giornale di avere una notevole influenza elettorale, considerato anche
che il foglio milanese raggiunge prima delle elezioni del 1976 la tiratura record di
412.000 copie85. Il sistema delle preferenze permette anche di avvicinare gli elettori
alla Democrazia Cristiana senza troppo clamore. Questo metodo viene infatti
presentato da Montanelli come il “modo per impedire ai partiti, e soprattutto alla
Dc, di usare il voto a vantaggio dei preferiti loro, quasi sempre maestri di tradimento
e di doppio giuoco”. La quinta colonna de il Giornale nuovo nella Balena Bianca
sarà alla fine composta da trentatré parlamentari che il direttore etichetta
immediatamente – per non dare adito a dubbi o contese - come “i «nostri» eletti”86.

Molto interessante risulta anche essere l’analisi di quanto succede dopo il


voto del 20 giugno attraverso il confronto tra le due anime dei lettori montanelliani.
Una, laica e antidemocristiana, inizia a scricchiolare accusando Montanelli di
“imprevidenza, errori e della mancanza di una reale visione dei fatti”87. L’altra, che
appare in realtà minoritaria dalle lettere, è pienamente soddisfatta della decisione e
della “campagna elettorale” de il Giornale nuovo. Un segnale ben argomentato
della prima si ha con la missiva - pubblicata il 27 agosto - di Giovanni Cassandro
da Barletta, un “giovane liberale deluso per l’indirizzo politico” del Giornale “in
questa ultima campagna elettorale”88. Cassandro utilizza il “metodo Montanelli”
tentando di mettere il coltello all’interno del Giornale esattamente come il direttore
faceva – lo abbiamo visto in precedenza – “interferendo” nelle questioni interne alla
Democrazia Cristiana89. Così questo giovane lettore sottolinea come i due candidati
Vincenzo Bettiza e Cesare Zappulli “la pensino in maniera «leggermente» diversa”
rispetto alla linea tenuta dal Giornale. Da qui nasce l’accusa: “Non pensa di aver
dato poco spazio ai suoi validi collaboratori, e alle idee che propugnano?”
Montanelli evita di rispondere in prima persona non prestandosi così ad eventuali

85
G. PANSA, Comprati e venduti. I giornali e il potere negli anni ‘70, Milano, Bompiani, 1977, p.
309
86
[non firmato], Un grazie agli elettori per i «nostri» eletti in “il Giornale nuovo”, 23 giugno 1976
87
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 105
88
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 241-243
89
La lettrice Eliana Biagini da Savona utilizza proprio questo verbo. I. MONTANELLI, Caro
lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 73

40
smentite. Ma invita invece il suo lettore a domandarlo “direttamente a loro,
scrivendogli al Senato”. Il direttore rilancia inoltre parlando del ruolo svolto da il
Giornale nuovo nella loro elezione: “Credo che lei sia il solo a dubitarne”. Superato
questo impasse, non di poco conto per un quotidiano che sulle preferenze ha sempre
puntato parecchio, Montanelli risponde alla seconda accusa, accusa che Cassandro
è il primo di una lunga serie a volgergli contro. Il rimprovero è dovuto al fatto che
“la scarsa rappresentanza dei tre partiti laici nuoce drammaticamente a questa
povera Italia”. Il direttore viene rimproverato in quanto si sarebbe accorto dello
sbaglio commesso nella sua indicazione di voto ma continuerebbe a mantenere un
“silenzio dell’errore”. La replica è però molto netta e condita anche da una
consapevolezza del ruolo di “serbatoio orientabile di voti” esercitato nelle recenti
votazioni90: “Non antepongo gl’interessi del partito a quelli del paese. Se avessi
fatto la campagna per il Pli, forse avrei potuto portargli quel tre o quattro per cento
di voti in più che non lo avrebbero sollevato dalla sua condizione marginale, ma
che tolti alla Dc, ne avrebbero provocato il «sorpasso» da parte del Pci”91. La
conclusione qualifica ancora l’apartiticità di Montanelli: “Lei, come militante,
poteva desiderarlo; io, come responsabile di un giornale, no”.

Questa è solo una delle risposte a difesa della Democrazia Cristiana e


ovviamente della scelta compiuta dal direttore. Sono infatti molti i lettori che
scrivono “preoccupati” o “pentiti” della scelta fatta. La “preoccupazione” di un
lettore milanese è che “ora il partito di maggioranza torni a cadere nell’errore di
ritenersi eletto per missione divina” e che per questo “torni a flirtare con le sinistre,
ripudiando chi dal 1948 ad oggi lo ha sostenuto”92. Montanelli replica il 23 giugno
con grande speranza nonostante il voto di “necessità”. Egli confida in un
cambiamento della Democrazia Cristiana con il sostegno degli stessi uomini che ne
hanno favorito la vittoria: “Dobbiamo adoperarci per guarirla. Dobbiamo
soprattutto evitarle di interpretare male i risultati del 20 giugno, così come i partiti

90
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 324
91
Il Partito Liberale Italiano ottenne poco più dell’un per cento dei consensi
92
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 231, 232

41
di sinistra avevano interpretato male quelli del 15 giugno” 1975. Ma le critiche non
sono solamente rivolte alla Democrazia Cristiana. C’è chi se la prende con il
Giornale nuovo, come il lettore Luigi Massobrio. Egli scrive da Alessandria
sostenendo di aver tradito i suoi “amici liberali, ai quali in passato era andato il
suffragio, aderendo all’invito” di Montanelli93. Massobrio però afferma di essere
“già pentito” dal momento che “la Dc ripeterà il tradimento di sempre del suo
elettorato”. Qui la rivolta si sposta però verso il mallevadore dell’obbligazione.
“Attendo di controllare come il suo giornale «gestirà» la pesante responsabilità che
si è assunto contribuendo alla scomparsa dei partiti minori; tocca a lei ora surrogare
davanti all’opinione pubblica l’azione di contenimento e di denuncia che non sono
più possibili in Parlamento”94. Non sono passate nemmeno cento ore dal voto e
Montanelli è posto già sulla difensiva. Il direttore smorza le prime dichiarazioni dei
democristiani di sinistra e difende la sua posizione affermando che il consiglio di
voto è stato dato “a prezzo di notti insonni”95. Ma è quasi una giustificazione, non
una motivazione della decisione. Il tornado non è mai arrivato e ora tutti si
lamentano per essere stati invitati a scendere nel basement. Il giornalista toscano
viene anche accusato di essere un “ultrà” in difesa della Democrazia Cristiana. Ad
esempio, il milanese Ruggero Fuccilli scrive infastidito: “Prima delle elezioni ci ha
spiegato ripetutamente, come a tanti scolaretti deficienti, l’importanza
fondamentale della distinzione netta e chiara dei ruoli di maggioranza e
opposizione”96. E questo tono testimonia come in realtà si stia erodendo – in
qualche caso – la fiducia totale dei lettori verso il loro direttore. Ora invece “i fatti
post-elettorali dicono che la Dc ha fatto governo e programma e che il Pci non vi si
oppone, evidentemente perché non gli sta poi così male, né l’uno, né l’altro. Ma
adesso chi recita il ruolo dell’opposizione?” Viene così rilevata un’evidente

93
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 233, 234
94
Anche il Partito Socialista Democratico Italiano subì una dèbâcle, superando appena il tre per
cento dei suffragi degli elettori
95
Come riportato dal signor Massobrio, il deputato democristiano Paolo Cabras aveva detto al Tg2
che “la vittoria della Dc era dovuta ai voti presi a sinistra” e che il partito avrebbe dovuto “tenerne
conto nella elaborazione della sua politica”. I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli,
2002, p. 233
96
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 240, 241

42
contrapposizione tra il Montanelli pre-voto e il direttore che “si presta a fare il
paraninfo, sia pure di classe, di queste nozze perverse”. È infatti citato a sostegno
della tesi un articolo del giornalista che il 31 luglio scriveva: “Dobbiamo consentire
alla Democrazia Cristiana di accettare l’astensione del Pci se i comunisti gliela
danno”97. L’opinionista toscano introduce però una sottile distinzione a sua difesa
nella replica pubblicata il 5 agosto: “Nozze sarebbero state se la Dc avesse
sollecitato e negoziato l’astensione del Pci. Ma proprio perché questo non
avvenisse, il Giornale – se ben ricorda – si è battuto con estrema decisione,
sostenendo una tesi che si può riassumere in queste semplici parole: «Coincidenza
sì; collusione no». Con ciò volevamo dire: la Dc faccia il suo programma, e
domandi a tutti gli altri partiti, senza contrattarlo con nessuno, se lo accettano. Se
lo accettano, lo realizzi”. Il direttore sottolinea che non può opporsi ad una linea
che – per quanto avvicini ancora di più lo scudo crociato alla falce ed al martello –
è quella suggerita da il Giornale nuovo. In questa missiva si raggiunge così l’acme
del sostegno montanelliano al partito guidato da Benigno Zaccagnini.

Tuttavia esiste anche, come si accennava, un diverso approccio, seppur


minoritario: quello dei lettori soddisfatti della scelta compiuta dal Giornale nella
battaglia del 1976. Vale per tutti l’esempio di Filippo Cerrai da Pisa, già citato in
precedenza. Il signor Cerrai ritiene infatti “che il Giornale abbia consolidato le
proprie posizioni fino al punto da legittimare la propria esistenza scegliendo la
posizione che scelse il 20 giugno”98. Quindi il ruolo che viene attribuito al Giornale
in questa lettera pubblicata il 7 giugno 1978 è evidentemente quello di ultimo argine
al comunismo e alla sua venuta al potere. Ruolo svolto appunto alla perfezione nel
1976. Un altro lettore che esprime sostegno alla scelta di Montanelli è il milanese
Melchiorre Assunta che nel 1979 ci tiene ancora a sottolineare di “aver sempre
apprezzato l’aiuto” del Giornale alla Democrazia Cristiana99.

97
I. MONTANELLI, Sorvegliato speciale in “il Giornale nuovo”, 31 luglio 1976
98
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 38
99
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 148

43
Il direttore inizia a battere in ritirata dal suo appoggio alla Democrazia
Cristiana ad un anno esatto (siamo ormai nel 1977) da quella giustificazione
espressa al lettore piemontese Luigi Massobrio. Il mittente della nuova lettera è il
signor Italo Ferrari da Modena e la sua è una critica al metodo montanelliano: “Mi
sembra di capire dai vostri resoconti che l’organismo democristiano sia ormai
riuscito brillantemente a incapsulare i «corpi estranei» accettati il 20 giugno come
specchietto per le solite allodole”100. Posto che “forse” i parlamentari del partito del
Giornale “erano pochi”, il lettore interroga il giornalista toscano sulla “prospettiva”
futura. E osa addirittura insinuare che l’opinionista milanese d’adozione sia “pago
dei risultati personali raggiunti” quasi che le sue decisioni siano nate solamente
dalla volontà di dimostrare di saper e poter influenzare il quadro politico cangiante.
Del resto, la critica è sottile perché riguarda proprio i “«nostri» eletti” di cui
Montanelli si era vantato dopo le elezioni e che in un grande partito come la
Democrazia Cristiana non sembrano poter avere un ruolo preponderante101. Il
direttore ha però gioco facile nel replicare alla polemica sui “risultati personali
raggiunti”. Gli unici – spiega il l’ex firma del Corriere della Sera – “sono stati
quattro pallottole di rivoltella”102. Il giornalista toscano ammette però anche che “la
lettera reca una data anteriore a questo episodietto”. Al di là di questo siparietto
polemico, ciò che colpisce è la strategia difensiva di Montanelli. In questo caso
infatti il direttore sembra prendere le distanze dalla Democrazia Cristiana
difendendo nel frattempo la sua scelta. Chiede infatti ribaltando la domanda “quali
altri consigli avrei potuto dare”. Insomma, la scelta dello scudo crociato è stata
riletta come un ripudio delle altre forze politiche. Ciò che manca infatti – spiega il
direttore – è “una forza politica che dia qualche affidamento di fermezza, di
capacità, e anche di successo”. Ma il Giornale nuovo “non può crearla. Può solo
farle da levatrice, e magari anche da balia”. E la mente non può non correre a
quell’Alleanza Laica tra i tre partiti di centro seguita “fin dal suo primo affiorare”

100
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 288-289
101
[non firmato], Un grazie agli elettori per i «nostri» eletti in “il Giornale nuovo”, 23 giugno 1976
102
Indro Montanelli rimase vittima infatti di un attentato alle gambe da parte di due esponenti delle
Brigate Rosse il 2 giugno 1977

44
e fino al suo fallimento nel 1975103. Intanto però la Balena Bianca è stata di nuovo
scaricata. Ma i problemi sono rimasti.

Il massimo distacco di Montanelli dalla Democrazia Cristiana avviene in


occasione della nascita del quarto governo Andreotti il 13 marzo del 1978. Il
direttore si schiera decisamente all’opposizione di questa nuova maggioranza
parlamentare, la prima comprendente il Partito Comunista Italiano dopo più di 30
anni. L’apologia dello scudo crociato di qualche anno prima è già dimenticata. E
ovviamente ora tocca ai lettori democristiani insorgere e ribellarsi al nuovo
indirizzo politico de il Giornale nuovo. In particolare, nella già citata risposta al
signor Franco Ricci da Lugo (Ravenna), Montanelli definisce la scelta del partito
fondato da Alcide De Gasperi un “voltafaccia” e - spaventato dal fatto che “i lettori
avrebbero tutto il diritto” di ritenerlo “corresponsabile e complice, sia pure in buona
fede”, del tradimento – lancia un severo ammonimento allo scudo crociato: “Se
insiste in questa linea di concessioni e ritirate, vedremo che cosa ricaverà dal
prossimo consulto”104. Ammonimento che si tramuta in minaccia in vista delle
elezioni successive: “Lei crede sul serio che i «moderati», i quali rappresentano i
quattro quinti dell’elettorato dc, si rassegnino ad essere per l’eternità non solo
gabbati, ma anche scherniti come «rozzi qualunquisti»?” La sfida è chiara. Il
direttore sembra essersi stancato delle oscillazioni della Dc giungendo al “non plus
ultra”.

E proprio a questo proposito è utile citare la lettera di (e la risposta a)


Melchiorre Assunta, milanese105. Il dibattito già menzionato compare nelle pagine
de il Giornale nuovo a poco più di un mese dal voto politico del 3 e 4 giugno 1979.
Il lettore innanzitutto evidenzia che - nonostante “il comportamento dei dirigenti
nei riguardi di Montanelli” sia “piuttosto vergognoso” - “bene o male questo partito
è ancora l’unico che può opporsi all’ingresso dei comunisti al governo. E anche se

103
Così parlava del ruolo del Giornale il presidente dell’Associazione Alleanza Laica, l’ex giudice
della Corte costituzionale Aldo Sandulli. I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002,
p. 79
104
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 27, 28
105
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 148-150

45
non lo fa sempre con risolutezza” gli altri schieramenti non dimostrano di esserne
maggiormente dotati in quanto tutti – tranne il Partito Liberale Italiano – “non
hanno fatto che scavalcare la Dc sulla strada del compromesso storico”. Da qui
nasce la contestazione, anche se espressa con garbo: “Non vedo quindi come lei
possa augurarsi che la Dc esca battuta dalle prossime elezioni, e prego Iddio che
non abbia a pentirsi di aver contribuito a questo evento”. Viene quindi chiamato in
causa un fatalismo misto alla fede che si connette alla minaccia scappata fuori dalla
bocca del direttore poco più di un anno prima. Montanelli si mostra però sicurissimo
sia della futura vittoria democristiana che, in una certa misura, dell’avverarsi della
sua profezia: “Non corro nessun rischio di dovermi pentire perché a sua volta la Dc
non corre nessun rischio di uscire battuta”. Fin qui, la certezza. Poi è il turno del
presentimento o forse, alla luce della precedente affermazione, della speranza:
“Anche se dovesse perdere qualche frangia (e al Nord forse la perderà, ma per
conquistarne un’altra al Sud), essa rimarrà sempre il partito di maggioranza” 106. Il
direttore rifiuta poi l’ipotesi – che ritornerà nelle parole di Renzo Pivetti, un altro
lettore milanese - secondo cui il suo atteggiamento verso la Democrazia Cristiana
“dipende da qualche personale rancore verso la dirigenza”107. Ecco che poi però lo
stesso schema si ripete solo che questa volta è il riavvicinamento allo scudo crociato
ad essere preceduto da una stoccata: “Non sono io che ho voltato le spalle alla Dc,
è la Dc che – ne convenga – le ha voltate a me e a quanti nel ’76 le dettero il voto,
anche grazie ai nostri suggerimenti, in base a certi impegni che sono stati mantenuti
solo in parte”. Ad ogni modo, il giornalista toscano non può che concordare con il
lettore sostenendo che “gli altri partiti hanno fatto anche di peggio. Ma (…) la Dc
porta sulle spalle delle responsabilità ben più grosse, alle quali l’attuale dirigenza
si mostra del tutto impari”. Insomma, dal grande potere dato alla Dc dal “serbatoio
orientabile di voti” derivano grandi responsabilità108. E se queste sono disattese le
colpe crescono in maniera esorbitante. Tuttavia, il richiamo della Balena Bianca ha

106
Le previsioni di Indro Montanelli furono confermate dagli esiti della consultazione elettorale
107
Si tratta di un’accusa fatta e respinta in molte occasioni. Si veda ad esempio: I. MONTANELLI,
Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 90-91
108
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 324

46
ancora un’influenza sul partito del Giornale. Tanto che Montanelli “vuole
rassicurare” il signor Assunta sottolineando: “Non perdiamo né perderemo
occasione per ricordare ai nostri lettori che senza di essa non si può ricostruire nulla,
e che quindi auspicarne la disfatta sarebbe da suicidi”. E il verbo “ricostruire”
rievoca con grande potenza la figura del fondatore della Democrazia Cristiana che
viene infatti citato dal direttore nello spiegare le ragioni della sua scelta: “Quando”
nello scudo crociato “prevale la linea degasperiana, l’appoggio; quando vi prevale
la linea morotea, la combatto”. Ed ecco la stoccata definitiva: “Non venite a dirmi
che vi tradisco. Siete voi che tradite me (e voi stessi)”. Sottolineando
implicitamente che per Montanelli il ruolo del primo partito italiano era ed è quello,
in primis, di essere il garante contro il comunismo. Proprio da questo nasce la sua
indicazione di voto per le future elezioni: “Chiederemo” all’elettore Dc “soltanto di
concentrare il loro voto su quei candidati che prenderanno – se lo prenderanno –
impegno scritto di rifiutare – non per ora come dicono Zaccagnini e i suoi accoliti,
ma per sempre – qualsiasi accordo di governo col Pci”.

Nonostante queste critiche, la scelta compiuta nel 1976 non trascina nessuno
strascico di rimpianti. Pur consapevole della “fatica che ci vuole a portare alla Dc i
voti dei nostri lettori”, il direttore mostra di non avere dubbi sul comportamento da
tenere nelle “ore della verità”109. Lo spiega il 27 agosto 1978 a Nicola Pagliarulo di
Cerignola (Foggia), un lettore che gli chiede conto della sua “anima di
sponsorizzatore di partiti politici”110. In questo caso Montanelli riformula la sua
ennesima promessa alla Democrazia Cristiana: “Se domani desse ancora garanzia
di battersi per quei valori, io a mia volta mi batterei con lei, pur sapendo in che
razza di uomini s’incarna, e dicendolo, come feci due anni fa”. Una fedeltà nelle
“emergenze” che non sbiadisce nel tempo e che si rinvigorisce non appena qualcuno
osa accusarlo111. Ad esempio, il già citato lettore romano Arteno Salise lo
rimprovera per la sua “imprevidenza”, per gli “errori”, per la “mancanza di una

109
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 84
110
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 81, 82
111
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 91

47
reale visione dei fatti” e infine per non essersi accorto che “la segreteria Dc era
come prima delle elezioni composta da coloro, che ama definire «becchini»”112.
Montanelli concorda sulla condanna alla dirigenza democristiana, “che rappresenta
(…) quanto di peggio questo partito abbia mai avuto”. Tuttavia, di fronte alla
fiducia nella nascita di una “destra democratica” il direttore sottolinea che “un
giornale non è un libro dei sogni”. L’opinionista toscano si mostra insomma
coriaceo di fronte ai critici sostenendo di “non avere nemmeno una virgola da
ritrattare” sulla sua scelta di appoggio alla Democrazia Cristiana.

Insomma, il cammino di Montanelli prima, durante e dopo le elezioni del


1976 appare più simile ad una mulattiera che ad un’autostrada. Dalla sofferta e
contestata (soprattutto a posteriori) chiamata a raccolta dei lettori per sostenere
“turandosi il naso” la Democrazia Cristiana abbandonando ogni altro progetto, si
giunge ad una difesa delle scelte del principale partito italiano fino a piombare in
un’aperta sconfessione nonostante le proteste dei lettori democristiani.
Sconfessione che non causa però rimpianti e che non preclude una nuova scelta
dello scudo crociato nelle “emergenze”. Infine, un particolare dibattito è anche
suscitato dall’indicazione delle “quartine” di candidati che “meritano la fiducia
dell’elettore per l’onestà e l’anticomunismo”113. Non c’è da sorprendersi:
l’indicazione di voto e le polemiche ad essa seguenti accompagneranno il direttore
fino agli ultimi anni della sua vita114.

112
Il termine “becchini” allude ovviamente ai democristiani fautori del compromesso storico. I.
MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 105, 106
113
I. MONTANELLI, Una scheda da riempire in “il Giornale nuovo”, 15 giugno 1976, p. 1
114
Si pensi ad esempio all’appoggio al centrosinistra dopo la “discesa in campo” dell’ex editore del
Giornale Silvio Berlusconi nel 1994

48
6. I LETTORI DI DESTRA
Oggetto della nostra analisi è ora il rapporto tra Indro Montanelli e i lettori
riconducibili alla destra. Tratteremo questo tema attraverso le lettere scambiate tra
il direttore de il Giornale nuovo e i lettori missini o comunque di un simile
orientamento politico. Infatti, non facendo mistero e anzi rivendicando la sua
appartenenza al Partito Nazionale Fascista in gioventù culminata con la
partecipazione alla campagna d’Etiopia da volontario, il direttore accoglie tra i suoi
lettori diversi elettori che hanno militato sotto la guida di Benito Mussolini. Lo
stesso Almirante del resto scriverà nel 1983 al giornalista toscano che tra i lettori
del Giornale ci sono molti missini, devoti alla memoria del duce115. E Montanelli
non disprezzerà mai questo pubblico: nelle sue memorie – raccolte negli anni
Novanta da Tiziana Abate – ribadirà di essere convinto che “i quattro quinti degli
aderenti al Movimento Sociale Italiano altro non fossero che buoni cittadini
desiderosi soltanto d’ordine e di legalità”116. Da queste premesse inizia la nostra
trattazione analizzando i confini del partito del Giornale nella federazione dei lettori
missini.

Come abbiamo fatto con i lettori democristiani, andiamo innanzitutto ad


osservare perché ed in quali circostanze il direttore ed i lettori del Movimento
Sociale Italiano prendano due strade diverse. Due esempi sono significativi a questo
proposito. Nel primo caso, in una lettera di risposta del 9 aprile 1975 al giovane di
Rovato (Brescia) Vittorio Roscini Vitali, il giornalista toscano racconta che “un
gruppo di lettori torinesi” gli ha comunicato l’addio al Giornale in quanto il foglio
milanese “non si batte per la Destra nazionale”117. Montanelli risponde
indirettamente sottolineando che “come ha resistito alle intimidazioni di una certa
Sinistra, intende resistere al ricatto di una certa Destra”. Sinistra e destra estreme
vengono quindi appaiate e respinte: un metodo che sarà spesso utilizzato dal

115
Archivi della Fondazione Montanelli Bassi, Fondo Indro Montanelli, Corrispondenti, Lettera, G.
Almirante a I. Montanelli, Roma, 26 aprile 1983
116
I. MONTANELLI, Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate, Milano, Rizzoli
2017, p. 245
117
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 110

49
giornalista toscano. Il direttore ne fa una questione di principio: “Per noi, che solo
di essi viviamo, perdere dei lettori è grave. Ma dovessero anche ridursi a poche
migliaia, noi resteremo dove siamo, pronti anche a chiudere il giornale”. Insomma,
l’invito a votare il partito di Giorgio Almirante non s’ha da fare. Anche se dovesse
portare ad una perdita dei lettori più intransigenti ed oltranzisti.

Un’altra missiva molto significativa è quella scritta a Montanelli dalla


signora milanese Annamaria Beltrachini118. La donna mostra di ammirare
Montanelli in qualità di “uomo intelligente, cittadino e giornalista sincero e onesto”.
E questa ammirazione, valutata guardando la risposta del direttore, assume un peso
ben diverso. Tornando a lei, la Beltrachini invoca un’unione di tutti gli italiani
“contro il comunismo, il marxismo” considerati “un’ideologia dannosa all’Italia e
straniera”. Quindi si domanda provocatoriamente, alludendo molto probabilmente
all’invasione alleata durante la seconda guerra mondiale: “Dovremo ancora
divenire terra di conquista?” E a questo punto la signora svela totalmente il suo
volto scrivendo: “Gli italiani fissano ansiosi lo storico balcone, ricordando l’uomo
intelligente che era Mussolini allora, o peggio, rimpiangendo il ventennio fascista,
perché la democrazia odierna ci ha delusi e rovinati peggio di una guerra, in quanto
ci ha rovinati dentro”. In questo caso non si capisce se il “peggio di una guerra”
deprechi in qualche modo la scelta di Mussolini del 10 giugno 1940 o se invece non
sia un paragone enfatico di cui però non si può non rilevare l’effetto grottesco in
questo contesto. La donna milanese si avvia poi alla conclusione ricordando “la sua
e la mia gioventù, direttore, gioventù carica di amor patrio, di entusiasmo e di ideali,
e che ha sparso sangue, sangue vivo, o si è vista morire col crollo intorno a noi di
tutto un mondo, e un modo di essere e di amare”. Infine, una provocazione (non si
capisce ancora una volta quanto voluta): “Mi risponda, la prego, sul suo giornale:
ci aiuti a uscire da questo ultimo lager”. La risposta del giornalista è datata 20 marzo
del 1975 e mette subito in chiaro i termini della questione: “Certamente sto per fare
di lei una nostra nemica, ma credo che le inimicizie basate sulla franchezza siano

118
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 101-104

50
preferibili alle amicizie basate sugli equivoci”. Insomma, il ripudio è netto e non
ammette deroghe. Nel partito del Giornale non c’è posto per chi “rimpiange il
ventennio fascista” con questi toni e sentimenti. Poi Montanelli chiarisce in modo
netto dove stia il discrimine tra il suo non pentimento per le posizioni politiche
giovanili e il ricordo nostalgico della signora: “Ad un certo punto i nostri ricordi di
quel periodo divergono. Per lei, da quel che vedo, sono tutti belli fino in fondo: e
come tali, badi bene, li rispetto”. “Rispetto” che il direttore non nega quasi mai ai
nostalgici del Duce o del fascismo. Ma per il giornalista milanese d’adozione la
memoria racchiude un finale diverso: “Per me i ricordi brutti cominciano tre anni
prima dello scoppio della guerra mondiale, quando dovetti confessare a me stesso
(e mi ce ne volle) che mi ero sbagliato, e per dovere di coerenza fui costretto a
rinunciare, insieme alla tessera, per un certo tempo anche a una professione che per
me è ragione di vita”. La lettera potrebbe terminare qui, evidenziando tutta la
distanza tra una commedia con finale positivo ed una tragedia. Invece Montanelli
scrive ancora sottolineando che quel mondo, per quanto “più bello di quello
attuale”, è finito e “sarebbe morto anche se (ipotesi assurda) il fascismo fosse ancora
vivo”. Il direttore marca la distanza con il passato (e quindi, indirettamente, con il
regime) sottolineando che “non possiamo ridurci a coltivare l’orticello delle
nostalgie”. Questo finale sembra quindi prendere ancora più le distanze non solo
moralmente ma anche cronologicamente da quell’epoca che la signora rimpiange.
Tuttavia – e questo atteggiamento è tipico dei rapporti del giornalista toscano con i
lettori missini – l’invito a “fare qualcosa, non soltanto” a “ricordare” ricongiunge
le due posizioni che partono da un ricordo non così divergente del mondo ormai
“morto”. Un mondo che per entrambi è “più bello di quello attuale”.

Continuando il nostro percorso, arriviamo ad analizzare invece esempi di


federazione dei lettori missini all’interno del partito del Giornale. Federazione che,
si badi bene, non si traduce in una condivisione delle posizioni politiche. Ma che
implica una loro accettazione ed un rispetto reciproco nella differenza - seppur non
dirompente - delle idee. Differenza delle idee che ingloba un rifiuto da parte di

51
Montanelli della convergenza dei voti al Movimento Sociale Italiano. Rifiuto che
presenta ragioni ideologiche e ragioni pratiche.

Le ragioni ideologiche sono esplicate bene nella risposta dell’11 dicembre


1975 al lettore Gianfranco Graziani da Cologno Monzese (Milano)119. Il signor
Graziani ammette di non pensarla allo stesso modo del direttore. Però evidenzia un
punto di unione: la lettura del Giornale e quindi, aggiungiamo noi, l’appartenenza
al “movimento d’opinione” da esso nato e ad esso collegato120. Da qui nasce la
proposta del signor Graziani: “Per restare uniti almeno in questo (e, mi creda, è già
molto con i tempi che corrono) non si potrebbe trovare una giusta via di almeno
benevola equidistanza fra le due tesi «Destra sì-Destra no»?” Montanelli in questo
caso mette in atto il suo consueto atteggiamento fatto di carota e di bastone. La
carota consiste nel sostenere di essere “molto lieto” che i “moltissimi” lettori che la
pensano come il signore “seguano” il Giornale. In questi casi l’eresia non costringe
ad uscire dal partito in quanto il “dissenso non è sui fini ma sui mezzi per
perseguirli”. Ed ecco che però il direttore estrae il bastone sottolineando perché, dal
suo punto di vista, la Destra nazionale non è “un mezzo valido”. Viene in primis
annoverata una motivazione storica sottolineando che “il tentativo di trasformare lo
squadrismo in una destra legalitaria e perbene, lo fece già Mussolini prima della
marcia su Roma per farsene spalancare le porte, e dopo la marcia su Roma per
liberarsi dei suoi turbolenti manganellatori che impedivano la «normalizzazione»”.
Ma Montanelli evidenzia come rispettivamente “la ribellione del partito” e il delitto
Matteotti abbiano fatto naufragare questo “tentativo”. Da ciò deduce la sua
bocciatura tranchant: “Comunque lo chiami e qualunque vestito gli tagli addosso,
il partito di Almirante è il frutto di un certo albero, che prima o poi tornerebbe
fatalmente a prendere il sopravvento anche contro di lui”. A questa mancata patente
democratica, si aggiunge anche un altro motivo più “contingente” e vicino alla
seconda categoria (prima annoverata) di motivazioni per non appoggiare il
Movimento Sociale Italiano: quella pratica. Il direttore prevede una facile obiezione

119
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 174, 175
120
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 24, 95

52
ed evidenzia che se accettasse “la riqualificazione democratica del Msi in Destra
nazionale” non saprebbe “con quali argomenti poter respingere la riqualificazione
democratica del Pci, che Berlinguer sta tentando, forse anche lui in buona fede”
come Almirante. L’ “arco costituzionale” del giornalista toscano esclude insomma
entrambe le ali. E non potrebbe essere altrimenti per non cadere in aporie di difficile
soluzione.

Un’altra ragione ideologica è citata invece nella risposta del 22 ottobre 1977
ad Alfonso Gustavino che scrive dal quartiere Pegli di Genova121. Quest’ultimo
rimprovera a Montanelli il contenuto dell’articolo “Le anime morte”, pubblicato su
il Giornale nuovo del 12 ottobre122. Il lettore sottolinea “con vivo rincrescimento”
come il direttore si sarebbe piegato alla “scia comoda e facile del «dai alla Destra»
senza pensare, o magari lo pensa senza però dirlo”, che “lo scioglimento di un
partito prelude certamente, data l’attuale sconvolta atmosfera, la prosecuzione
dell’operazione” attraverso “lo scioglimento di altri partiti, tra cui anche quello cui
appartengo, via via ritenuti scomodi sino ad arrivare al partito unico”. La
reprimenda tenta di toccare anche una corda emotiva sottolineando che “i morti”
del “povero partito” – così viene definito il Movimento Sociale Italiano – “sono
veramente tanti anche se dimenticati”. È bene precisare che dalla lettera non si
capisce se il lettore sia un militante missino o meno123. Ad ogni modo, la risposta
di Montanelli non ammette tentennamenti e si riassume in una frase: “Finché c’è il
Msi, una Destra pulita è impossibile farla perché avrà sempre un’immagine sporca
di nero”. Questa è in primis una ragione ideologica che pone il direttore nel campo
della democrazia contro la dittatura. Ma ad essa si affianca una ragione pratica: il
Movimento Sociale Italiano sottrae spazio e impedisce l’esistenza di una Destra

121
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 305-307
122
In realtà il titolo dell’articolo è “Il MSI tra arco e ghetto”, come correttamente riportato in F.
DEPAOLIS, W. SCANCARELLO, Indro Montanelli: bibliografia (1930-2006), Pontedera (Pisa),
Bibliografia e Informazione, 2007, p. 254
123
Come scritto, il signor Gustavino scrive - riferendosi al Msi - che “il suo scioglimento (…) è una
via aperta allo scioglimento di altri partiti, tra cui anche quello cui appartengo”. Ma dai toni e dal
contenuto del resto della lettera pare che il legame con il partito di Giorgio Almirante sia qualcosa
di più che un semplice rispetto del suo ruolo

53
“pulita” (leggi: antifascista, laica, moderata, conservatrice e via dicendo). Questo è
il vero sogno proibito del giornalista cui invece si contrappone la cruda realtà del
partito di Almirante. Così si capisce anche la seconda critica pratica al Movimento
Sociale Italiano: quella di “togliere di circolazione, isolandoli nel ghetto, un paio di
milioni di voti che, riciclati, potrebbero essere di grande aiuto alla causa della
libertà”. “Per questo - spiega Montanelli tranquillizzando e quindi riavvicinandosi
al lettore - non verrà mai sciolto”.

L’argomentazione secondo cui il partito di estrema destra sequestra voti che


potrebbero tornare utili all’opposizione ai partiti di sinistra ritorna nel dialogo che
il direttore ha con il già citato lettore di Rovato (Brescia), Vittorio Roscini Vitali124.
Vitali chiede al giornalista toscano indicazioni sul futuro voto alle elezioni
regionali, provinciali ed amministrative del 1975 e Montanelli – nel considerare ad
una ad una le possibili forze politiche cui dare la propria preferenza – arriva ad una
trattazione anche del partito di Giorgio Almirante. Il direttore ribadisce che “non ha
nulla contro la Destra nazionale né contro l’onorevole Almirante che la conduce
(…) con notevole accortezza”. Ma sottolinea che “solo se” si riuscirà “a rimettere
in circolo i tre milioni di voti attualmente congelati nella ghiacciaia della Destra
nazionale” la Democrazia Cristiana potrebbe vincere, “o almeno non perdere”, e
non cedere al compromesso storico. Il giornalista porta come prova di ciò
“l’insidiosa campagna di certa stampa di sinistra che proprio in questi giorni di
vigila elettorale scopre improvvisamente, dopo averne tanto reclamato la messa al
bando, la legittimità democratica della Destra nazionale”. Ecco quindi la prima
motivazione del non sostegno al partito che si richiama alla Repubblica di Salò. Ma
non basta. In un’altra lettera, un calzolaio di Milano, il signor Giuseppe Marazzi125,
prova a convincere il direttore della necessità di provare – dalle medesime elezioni
succitate – “la scarpa del Msi, anche perché è l’ultima (…) rimasta”. L’ex
giornalista simbolo del Corriere della Sera avanza due obiezioni. La prima è che il
Movimento Sociale non prenderà mai tanti voti quanti ne garantisce la Democrazia

124
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 109-112
125
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 104, 105

54
Cristiana ed in secondo luogo sostiene che “è meglio rabberciare” lo scudo crociato
che sostenere lo schieramento di Almirante in quanto “almeno” la Balena Bianca
“consente di chiamarla ciabatta e di trattarla come tale”. Tradotto: come già visto,
Montanelli non si fida della patente democratica del partito fondato a Roma il 26
dicembre 1946.

Un altro argomento pratico che impedisce l’appoggio alla Destra nazionale


è parte della risposta data il 7 marzo 1975 al lettore Rinaldo Rinaldi da Padova126.
Rinaldi – deluso dalla mancata formazione dell’Alleanza Laica integrale – sostiene
che se (come sembra probabile) non vi saranno novità in tal senso “si vedrà costretto
a tingere di nero la camicia” in quanto “le dittature casalinghe si possono rovesciare
– vedi Grecia e Portogallo – mentre quelle «rosse» no”. Montanelli sembra
innanzitutto giustificare il suo lettore prendendolo come esempio “di tanti e tanti
italiani, che non sono fascisti, eppure vengono sospinti verso il fascismo dagli
sbarramenti che trovano sulla strada della democrazia”. Per questo il direttore spera
nella “costituzione dell’Alleanza Laica”. Tuttavia il giornalista è contrario
all’instaurazione di una dittatura fascista. E ne mette subito in chiaro i motivi: “Non
è una soluzione”. E qui enuncia la sua dottrina fondamentale: “Non ne faccio una
questione ideologica, ma di pura plausibilità storica”. Si registra quindi una
condanna della dittatura. Che non viene ricondotta tuttavia ad una “questione
ideologica” preconcetta: ciò contribuisce a non respingere il lettore filofascista dal
partito del Giornale. Del resto, in un’altra risposta del 18 settembre 1974 il direttore
aveva ammesso che “la democrazia, noi non la mitizziamo”127. La grande
preoccupazione di Montanelli è che “oggi quel tipo di «dittatura casalinga» non è
più possibile. Per renderla tale, bisognerebbe tradurla in termini peronisti o castristi
perché le nostre condizioni di sottosviluppo non ne consentono altri”. Insomma, il
direttore tira il freno. Ma lo fa perché lasciando il lettore a briglia sciolta si
otterrebbe un modello di Stato di cui questi “sarebbe il primo a inorridire”.

126
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 81-84
127
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 23

55
L’atteggiamento del giornalista toscano non passa inosservato128. Alcuni
lettori criticano l’eccessiva benevolenza verso l’estrema destra e le sue dittature.
Vale per tutti l’esempio di Roberto Regazzoni che scrive al Giornale da Sesto San
Giovanni (in provincia di Milano)129. Pur (o forse proprio perché) provenendo dalla
Stalingrado d’Italia, Regazzoni annota come, “accanto al lucido esame del pericolo
che viene dai gruppi terroristici comunisti allo stato, vi sia una tendenza a
sottovalutare se non a irridere al pericolo che invece, fino a qualche anno fa, veniva
dai gruppi sovversivi di destra, che pure sono autori di stragi che tutti ricordano”.
Passando alla politica internazionale, la critica al Giornale è esattamente la stessa:
“È bellissimo l’impegno con il quale seguite e denunciate gli atti repressivi del
regime sovietico, ma mi sembra di percepire un certo «pudore» e un minor coraggio
nel denunciare quegli atti repressivi attuati invece dai regimi sudamericani”. La
lettera si conclude con una dura stoccata che colpisce proprio il modus vivendi et
operandi del direttore: “Penso che andare controcorrente non significhi ripetere gli
stessi errori, anche se di segno opposto, di coloro che invece la corrente trascina”.
La risposta, o meglio: le due risposte, di Montanelli datate 8 giugno 1978
potrebbero essere interpretate come tendenti alla compensazione. Ossia: l’attacco
alla destra estrema viene infatti sempre accompagnato da una stoccata a sinistra.
Riguardo al terrorismo italiano il direttore sostiene che “a destra non ci sono che
degl’innocui nostalgici già oltre la menopausa, e dei bombaroli sciolti, che ogni
tanto combinano qualche guaio, e per questo meritano l’ergastolo”. Ecco subito
però che il colpo viene dato anche all’altro schieramento politico: “Il pericolo del
«golpe» è stato montato dai partiti e dalla stampa di sinistra per fornire un alibi al
sovversivismo ultrà” di uomini vicini alla loro parte politica. Lo stesso meccanismo
autoapologetico viene messo in atto riguardo alle dittature sudamericane: “Non
perdiamo occasione di dire che Pinochet è una disgrazia. Ma non possiamo fare a
meno di aggiungere che questa disgrazia è nata da un’altra disgrazia di nome
Allende. In Argentina, a portare al governo il generale Videla (che, glielo posso

128
D’altronde, la pagina delle lettere era “una delle pagine più lette del Giornale”, come spiegava
lo stesso Montanelli. I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 81
129
”. I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 41, 42

56
assicurare, non aveva nessuna voglia di andarci) sono stati i «montoneros» coi loro
rapimenti e omicidi, dai quali più nessuno si sentiva al riparo”. Montanelli aggiunge
anche un’ulteriore considerazione (già evidenziata a suo tempo da Rinaldo Rinaldi
da Padova) per difendersi dall’accusa mossagli130: “Polizieschi, oppressivi, e molto
spesso corrotti, i totalitarismi di destra offrono però una garanzia: la temporaneità.
Non sopravvivono mai a chi li instaura perché nascono da situazioni particolari di
caos, e per porvi un momentaneo rimedio, ma senza un corredo d’idee, uno straccio
di cultura, una concezione del mondo che ne possa assicurare la continuazione”. In
questo caso, invece, l’opposto estremismo è peggiore: “I totalitarismi di sinistra
sono «sistemi» che vanno avanti per generazioni”. A corroborare la sua tesi il
direttore cita “l’esperienza vissuta” da lui e non dal suo interlocutore che si
definisce “giovane”. Esperienza della quale si serve – volente o nolente – per
strizzare l’occhio al suo pubblico di destra.

La strategia di controbilanciamento a sinistra è portata avanti anche in


un’altra risposta di Montanelli. In questo caso, la missiva viene dal signor Achille
Forni Geddes di Pietramala (Firenze)131. Il conterraneo del direttore scrive
confessando di non riuscire “ad inquadrare la faccenda dei «neri» nostrani”. Forni
evidenzia la principale differenza tra i fascisti antemarcia ed i neofascisti: i primi
“avevano un partito alle spalle, un Capo affermato in piena ascesa e avevano dalla
loro, ad essere sinceri, una cospicua fetta del Paese”. Mentre i secondi “non hanno
un’Italia di Vittorio Veneto da gettare sulla bilancia” e portano avanti “una politica
suicida”. La risposta del giornalista toscano del 2 novembre 1981 porta subito una
spiegazione anche se il direttore ammette di porsi le stesse domande “senza trovare
plausibili risposte”. Tuttavia, crede di poter ricondurre queste azioni alla
“sovversione” che “è una piaga italiana, che ha imperversato sotto tutti i regimi”.
Dopo un excursus storico su di essa (dal brigantaggio al fascismo di piazza San
Sepolcro) Montanelli inizia ad allargare il campo sostenendo che “conta poco che
questa sovversione si tinga di rosso o di nero, per il semplice motivo che la

130
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 82
131
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 376, 377

57
sovversione non mira che alla sovversione e non produce che sovversione”. Quindi
aggira - dicendo di non saper rispondere - la domanda sulle motivazioni (e quindi
sulle responsabilità) dei neofascisti etichettando allo stesso modo i terroristi rossi.
Ciò che però stupisce è che - a partire da un interrogativo sui “neri” - il giornalista
toscano costruisce un paragone tra i due terrorismi che non ha nulla a che vedere
con la richiesta del lettore. Sicuramente ciò non costituisce un’assoluta novità nelle
risposte di Montanelli che è solito raccontare aneddoti o allargare il discorso. Ma il
fatto che qui la risposta sia costruita in modo da inserire anche il terrorismo rosso è
significativo. Il direttore continua infatti il paragone sostenendo che “come non c’è
dubbio che i bombaroli neri vengano dalle frange più estremiste del Msi” così le
Brigate Rosse “vengono dalle frange più estremiste del Pci”. Egli sostiene l’ipotesi
del collaborazionismo fra gli opposti estremismi in quanto “come tutti gli estremi,
anche questi hanno finito per toccarsi”. E sottolinea addirittura che “ci sono le prove
provate che molti rossi vengono dalle formazioni nere, e ci sono molti indizi per
ritenere che certi attentati come quello di piazza Fontana, siano stati compiuti in
collaborazione”. Il paragone giunge alla conclusione nella quale si afferma che “gli
uni e gli altri, se trovassero un Mussolini riveduto, corretto e aggiornato, potrebbero
diventare gli strumenti di una nuova dittatura. Senza un capo, seguiteranno a fare
l’unica cosa che sanno fare e che infatti stanno facendo: i guastatori”. Montanelli
porta insomma alle estreme conseguenze una similitudine che però non era richiesta
dalla domanda. Domanda che forse presupponeva che una risposta al perché del
terrorismo rosso ci fosse e fosse già nota al lettore. Ma il direttore fornisce
ugualmente le sue motivazioni. Che sono analoghe a quelle del terrorismo nero. La
federazione del partito del partito del Giornale passa anche attraverso la teoria degli
opposti estremismi che non scontenta i lettori di destra. Anche se il giornalista
toscano è molto attento a non lasciarsi prendere la mano.

A questo proposito è molto interessante leggere la lettera di Agostino Lauro


che scrive da Milano132. Questi precisa di essere un “fedele lettore dal primo numero

132
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 262-264

58
ed abbonato per anni” permettendoci quindi di considerarlo un membro del partito
del Giornale. La questione che egli pone è semantica. Infatti domanda “perché se
capita che un giovane di destra viene arrestato ed anche senza comprovate accuse
o responsabilità (sovente poi rilasciato senza che più nessun organo di stampa si
preoccupi di informarne i lettori) viene immancabilmente considerato, definito,
classificato, bollato come «neofascista», «neonazista», od altri termini similari,
mentre tutti coloro che vengono arrestati, ricercati, colpevoli fondatamente sospetti
di delitti plurimi verso persone e cose ed aperti esponenti dell’eversione di sinistra,
sono sempre e soltanto: «terroristi», «ultrà», «autonomi», «piellini» e via
enumerando, ma mai definiti per quello che effettivamente sono, per loro stessa
ammissione e cioè: «comunisti»?” Secondo il signor Lauro infatti, “non è che
sussistano dubbi sulla loro estrazione ideologica poiché si dichiarano combattenti
per il «comunismo»”. Proprio da qui nasce la richiesta del motivo per cui non
vengano chiamati così. “È forse una specie di timore reverenziale per il Pci?”, (si)
chiede Lauro. Prima della replica, interessante anzitutto è notare che in questo caso
il paragone tra gli opposti estremismi è interamente costruito dal lettore, a
differenza di quanto accadeva nelle situazioni precedenti. Montanelli nella risposta
del 26 luglio del 1980 non può che negare l’ultima accusa in quanto “il nostro
giornale ogni giorno viene da quella parte attaccato per il suo anticomunismo
«viscerale»”. In seguito, il direttore comincia a tirare il freno al suo lettore in una
questione che sembra di lana caprina ma che in realtà ha più profondi risvolti
ideologici: “Anche i donatisti e i circellioni del Medio Evo discendevano dalla
Chiesa cattolica, dicevano di lottare per la sua purezza e se ne consideravano i più
rigorosi campioni. Ma la Chiesa non fu affatto della stessa opinione e li condannò
come eretici”. Occorre far notare che tipico del giornalista toscano è il paragone
della Chiesa con il Partito Comunista Italiano133. Paragone che continua definendo
al meglio gli argomenti della risposta: “Il Pci si è comportato, coi terroristi, in
maniera analoga. Prima li ha covati per farne dei buoni militanti. Quando hanno

133
Ad esempio, analoga metafora emerge nelle stanze sul Corriere della Sera. I. MONTANELLI,
Macché partito, il comunismo era una chiesa, in “Corriere della Sera”, 1° marzo 2001

59
cominciato a sparare, li ha coperti e protetti sperando di riportarli nei ranghi.
Quando gli si sono ribellati e hanno cominciato ad ammazzare anche qualche
dirigente comunista (v. Rossa), li hanno abbandonati nelle grinfie di qualche
magistrato comunista (Calogero)”134. Montanelli introduce quindi un paradosso che
non è però così tanto paradossale: “A questo punto, se vogliamo continuare a
identificare il terrorismo col Pci, dobbiamo identificarne una parte anche con la Dc
perché è da certe frange dell’integralismo cattolico che discendono per esempio, i
Curcio e i Negri, cui lei, sbagliando, attribuisce un pedigree comunista”. Il direttore
insomma tira il freno a questo lettore, dimostrando di saper (e di voler) individuare
un confine tra il radicalismo (che emerge nell’accusa, poi estesa “a tutta la sinistra
italiana”, di “aver parteggiato per la contestazione che del terrorismo è stata
l’incubatrice”) e la bestemmia anticomunista. Ciò che si avverte insomma è
un’abilità nel tirare il freno e nel rilasciarlo in modo da tenere sotto controllo la base
del partito del Giornale permettendo un po’ di eresia a destra ma sempre nei limiti
del seminato.

Per trattare un altro esempio di questa strategica perizia del giornalista


toscano, non si può non citare la lettera del signor Massimo Frazin di Trieste, città
in cui il Movimento Sociale Italiano sarà il terzo o il quarto partito (con percentuali
anche in doppia cifra) fino alla fine degli anni Settanta135. Il lettore fa riferimento
alle “numerose interrogazioni parlamentari, una delle quali firmata da ben 110
deputati, tendenti a sollecitare il governo a permettere la sepoltura al Pantheon di
Roma di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena”. Occorre ricordare che nel
1972 il Movimento Sociale Italiano si era fuso con il Partito Democratico Italiano
di Unità Monarchica aggiungendo al proprio nome la dicitura “Destra Nazionale”.
Questa battaglia identitaria viene condotta dal monarchico triestino invocando una
“cristiana sepoltura” per “una Regina ed un Re che hanno molto sacrificato e molto
pagato per la nostra e la loro patria”. Montanelli risponde l’11 febbraio 1980

134
Guido Rossa, operaio e sindacalista genovese, venne assassinato il 24 gennaio 1979. Il 7 aprile
1979 invece, Pietro Calogero, sostituto procuratore di Padova, fece arrestare centinaia di militanti
appartenenti o vicini ad Autonomia Operaia. Tra questi vi era Toni Negri
135
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 214, 215

60
dicendosi “completamente d’accordo” in quanto “la Repubblica italiana non
compirebbe soltanto, consentendo il ritorno in Patria di quei resti, un gesto umano,
pietoso e generoso: compirebbe anche un gesto intelligente. Dimostrerebbe di non
temere nostalgie e rimpianti per un passato ormai lontano. Porrebbe quelle tombe
nella prospettiva della storia, che non ha rancori: pronuncia giudizi”. La risposta –
ancora una volta – potrebbe fermarsi qui. E invece il direttore continua correggendo
il tiro. In primo luogo evidenzia come anche “l’Italia abbia patito molti sacrifici e
molto pagato, anche per gli errori del suo re” (si noti che quest’ultima parola viene
scritta in minuscolo a differenza di quanto fatto dal lettore, pur avendo Montanelli
votato per la monarchia al referendum del 1946)136. Il giornalista toscano non crede
“ad un revival monarchico, all’impatto politico del ritorno di «poche ossa
consumate dal tempo»”. Infatti “la necrofilia peronista, o sovietica, che trasforma i
cadaveri imbalsamati in strumenti di propaganda, è estranea al nostro costume, per
fortuna”. E qui sembra poterci stare un altro punto finale. Invece il direttore ribalta
di nuovo – e per l’ultima volta – le carte in tavola: “Ma il mio timore è che gli
spiritati difensori – o sedicenti tali – della Repubblica e della Resistenza (…)
profittino dell’occasione per agitare chissà quale pericolo monarchico, per fare del
purismo antifascista, per organizzare manifestazioni e cortei di protesta. A quel
punto un provvedimento giusto e illuminato diventerebbe causa di ulteriori
convulsioni in un Paese che già ne ha abbastanza”. Montanelli giustifica così la sua
posizione di compromesso che frena gli entusiasmi filomonarchici: “Se la
Repubblica non soffrisse di complessi, se non ne soffrissero i repubblicani agitati,
il problema non esisterebbe. Esiste proprio perché la Repubblica è in queste
condizioni. (…) Se i vivi non sono intelligenti, i morti sono pazienti”. Insomma,
per il direttore Parigi val bene una Messa. Il giornalista toscano sostiene quindi una
posizione uguale in partenza ma diversa negli esiti rispetto alla destra. Posizione
che contribuisce a spiegare ancora meglio il suo rapporto con i militanti di quella
parte politica.

136
I. MONTANELLI, Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate, Milano, Rizzoli
2017, p. 125

61
Il medesimo comportamento si riverbera – ovviamente – in un’altra grande
passione di Indro Montanelli: la storiografia. Il direttore viene infatti interpellato di
frequente su fatti storici e nella circostanza oggetto del nostro esame a farlo è
Vincenzo Bianchi che scrive da Roma137. In occasione del ritorno in Spagna il 10
settembre 1981 della tela di Picasso «Guernica» “ospitata, fino a poco tempo
addietro, in un museo di New York”, il signor Bianchi chiede conto al giornalista
toscano di “un’accreditata versione” sulla distruzione della città secondo cui “una
squadriglia tedesca, e non una gran massa di aerei, avrebbe quel giorno attaccato
un comando militare repubblicano a circa due chilometri dall’abitato di Guernica138.
Lo scoppio delle bombe avrebbe, forse, fatto esplodere, per simpatia, le cariche di
tritolo già piazzate dai «dinamiteros» asturiani, nella cittadina”. Per questo
“l’imprevedibile azione secondaria dell’attacco all’obiettivo militare quasi in
periferia, avrebbe provocato, per fatalità molte vittime”. La notizia falsa sarebbe
stata diffusa da “un comunista tedesco, alla radio repubblicana” e “fu poi
universalmente accettata”. Montanelli non può avallare questa tesi storica e – dopo
essersi accreditato come imparziale raccontando di essere stato “rimpatriato ed
espulso dall’albo dei giornalisti per le corrispondenze” dalla Spagna – ricorda al
suo lettore che “Guernica è verità. Fu il primo bombardamento «a tappeto»” 139. Il
direttore aggiunge anche che “negli ambienti militari nazionalisti venne definito
«una eccellente operazione»”. La risposta del giornalista toscano non contiene però
solamente questa smentita. Ciò che aggiunge è significativo. Sente infatti l’esigenza
di rettificare tutta la “propaganda” fatta durante e dopo quel conflitto sottolineando
che “non fu una guerra di angeli contro diavoli, ma di diavoli contro diavoli, e fra
quelli rossi e quelli neri, non so quali fossero i peggiori; so solo che di migliori non
ce n’erano”. E a sostegno di questa tesi porta un esempio da contrapporre al

137
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 369-371
138
Pablo Picasso aveva dichiarato di volere che il quadro tornasse in Spagna solo dopo la fine del
franchismo
139
In un altro passo delle risposte ai lettori, Montanelli rievoca la sofferenza della rinuncia al
giornalismo pur di non attenersi totalmente alla verità di regime: “Per dovere di coerenza fui
costretto a rinunciare, insieme alla tessera, per un certo tempo anche a una professione che per me è
ragione di vita”. I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 103

62
massacro di Guernica: “Dalla parte rossa, e specialmente in Catalogna, si facevano
esperimenti delle «purghe» e delle «esecuzioni di massa»”. L’esempio può servire
certamente ad accreditarsi ancora come testimone credibile e imparziale della
vicenda. Ma in modo sotterraneo e probabilmente inavvertito emerge di nuovo la
capacità di Montanelli di non attaccare da sola la destra in cui il lettore
probabilmente crede. Il direttore stabilisce quindi la verità storica ma la condisce
con altri dettagli così da non apparire totalmente ostile agli anticomunisti estremisti.

Questo sottile – e forse non sempre voluto – atteggiamento è la caratteristica


peculiare e la chiave dei rapporti epistolari del giornalista toscano con i lettori di
destra e del Movimento Sociale Italiano in ispecie. Un rifiuto di appoggiare il
partito – motivato con ragioni ideologiche e pratiche – che comprende però mille
distinguo. Un atteggiamento che è ben riassunto da Nello Ajello. L’ex condirettore
de L’Espresso nelle sue Lezioni di giornalismo sostiene infatti che Montanelli riesce
a “non varcare il confine che passa fra un organo di stampa moderato e un foglio
sanfedista o «littorio» in ritardo” oltre a “controllare l’oltranzismo di destra dei
lettori dopo averlo risvegliato”140.

N. AJELLO, Lezioni di giornalismo. Com’è cambiata in 30 anni la stampa italiana, Milano,


140

Garzanti, 1985, p. 163

63
7. L’AVVICINAMENTO AL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO
Il primo avvicinamento di Indro Montanelli alle posizioni del Partito
Socialista Italiano percepito dai lettori si ha in occasione dell’elezione a presidente
della Repubblica di Sandro Pertini. L’ex partigiano ligure viene scelto l’otto luglio
1978 con la più larga maggioranza in un’elezione presidenziale della storia
repubblicana. Il direttore e con lui il Giornale nuovo lo acclamano come “l’uomo
giusto al posto giusto” e come un esponente di una “vecchia Italia” onesta e
operosa141. I lettori non comprendono questa linea così benevola nei confronti del
primo capo dello Stato socialista e arrivano le prime proteste attraverso la pagina
delle lettere.

Le inaugura Manlio Mazziotti di Celso, professore di diritto costituzionale


romano che ritiene che “la sterzata a sinistra che l’elezione indubbiamente
rappresenta contribuirà a diffondere nell’opinione pubblica l’idea che l’avanzata
delle forze socialcomuniste sia inarrestabile e quindi rischierà di disanimare quella
parte dell’elettorato che vota in senso moderato e che, nelle ultime elezioni
amministrative, aveva dimostrato di essere in aumento”142. Il riferimento è al
consulto elettorale del maggio e giugno anche perché al professore sembra evidente
– come in effetti accadrà – che il sostegno a Pertini non è (solo) un supporto
all’uomo ma è anche una strizzata d’occhio al Partito Socialista Italiano guidato
ormai da due anni da Bettino Craxi143. Secondo Mazziotti di Celso la soddisfazione
del Giornale “è espressione dell’idea che, per uscire dalla crisi presente, occorre
cercare la collaborazione del partito socialista staccandolo dai comunisti”. “Idea
che” il lettore non condivide in quanto “contraddetta da una lunga esperienza, che
ha dimostrato che il partito socialista è stato costantemente lo strumento di cui
quello comunista si è servito prima per scardinare le difese della società e dello
Stato, poi per cercare di stabilire su entrambi la sua egemonia”. Pertini in particolare
“rappresenta in modo particolarmente incisivo le ideologie marxiste e collettiviste”

141
I. MONTANELLI, Malgrado loro¸ in “il Giornale nuovo”, 9 luglio 1978, p. 1
142
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 51-53
143
“Le elezioni amministrative parziali del maggio e giugno 1978 erano state per il Pci una botta
secca”. I. MONTANELLI, M. CERVI, L’Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993 p. 34

64
e “non può che favorirne l’ulteriore progresso”. La risposta di Montanelli del 16
luglio 1978 non nasconde l’insofferenza verso un’obiezione formulata da un uomo
di quel “livello”. Il direttore sottolinea l’aporia dell’accusa: è assurdo (“mi cascano
le braccia, e mi vien voglia di mandare al diavolo tutto e tutti”) accusare il Giornale
nuovo di “non fare abbastanza per riaffermare l’idea di libertà sia in politica che in
economia contro le ideologia marxiste e collettiviste”. Insomma, il giornalista
toscano ribadisce la sua posizione anticomunista nella galassia politica. Questo però
non impedisce – anzi: proprio questo permette – “di vedere che se oggi c’è un
partito che dà veramente del filo da torcere e mette in serio imbarazzo il Pci, questo
è il Psi di Craxi, fermamente deciso a riconquistare la sua autonomia e a praticare
un socialismo di stampo europeo, cioè democratico”. Insomma, Montanelli
conferma apertis verbis la deduzione del professor Mazziotti di Celso: il suo
sostegno a Pertini racchiude in nuce la sua apertura al Partito Socialista Italiano.
Un’apertura che provoca dissenso ma che è giustificata sempre con il pragmatismo.
Il direttore scrive infatti al lettore: “Lei ha l’aria di dire che al posto di Pertini
bisognava eleggere Einaudi. D’accordo. Ma Einaudi dov’è? E, anche se ci fosse,
dove sono le forze politiche capaci di eleggerlo?” Insomma, il sostegno a Pertini (e
quindi al Psi di Craxi) viene ridimensionato nella forma (e giustificato dalla
mancanza di alternative) ma non nella sostanza. Altro elemento significativo è il
fastidio che il giornalista toscano percepisce verso chi non riesce a capire la sua
“convergenza parallela” con i socialisti. Si tratta del primo segnale di una forte
frattura nel partito del Giornale che dice molto della sua nuova (e vecchia) identità.
Il comportamento di Pertini al Quirinale provocherà infatti una serie di contrasti
all’interno del “movimento d’opinione” del foglio milanese144.

Ad esempio, un lettore bolognese, il signor Marconi, accusa addirittura il


direttore di “incensare” Pertini145. E aggiunge che Montanelli ne è “il più viscerale
sostenitore” per poi cercare di attaccare questa convinzione citando alcune
dichiarazioni del presidente in visita a Sarajevo in cui l’ex partigiano sostiene che

144
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 24, 95
145
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 183-185

65
“in Jugoslavia il socialismo viene realizzato nella libertà”146. Messo di fronte alla
presunta aporia qui evidenziata tra Pertini e l’anticomunismo del Giornale, il
giornalista toscano risponde il 21 ottobre 1979 prendendo le distanze dal presidente.
Una strategia già osservata in precedenza che permette di non allontanare dal partito
del Giornale i più viscerali anticomunisti. Il direttore cita infatti a sua discolpa un
telegramma dello stesso presidente che si rivolge così a Montanelli: “Lei è libero di
criticarmi, ma non di offendermi”. Insomma, non c’è complicità. Anche se il
giudizio del giornalista sull’uomo è tutt’altro che negativo: “Non condivido la sua
ideologia, ma ammiro la coerenza con cui Pertini l’ha servita e praticata, e sono
convinto che non rinnegherebbe mai gl’ideali di democrazia e libertà”147. L’uomo
viene così separato dal politico così come i socialisti venivano staccati dai
comunisti: il meccanismo nei confronti dei lettori è il medesimo. Infine, ricitando
il Controcorrente che aveva causato la reazione indispettita del capo dello Stato,
Montanelli riserva un’ultima stoccata al lettore che si tramuta in un'altra carezza al
presidente della Repubblica: “Anch’io, come Pertini, dico sempre quello che
penso”. Si rivela quindi un dissidio tra ciò che il Partito Socialista Italiano e i suoi
esponenti rappresentano e ciò che ormai sono diventati, almeno secondo il
fondatore de il Giornale nuovo. Un dissidio che i lettori faticano a comprendere e
ad accettare rimanendo ancorati a schemi e ad alleanze che per il direttore sono
ormai vetusti. E tocca al giornalista toscano – pur con fastidio - buttare acqua sul
fuoco per non accentuare questo conflitto.

Dalla prima lettera citata riguardante Pertini emerge anche un altro elemento
che sarà spesso ripreso e utilizzato dai lettori come marcatore delle contraddizioni
dei socialisti (e quindi di Montanelli nel suo appoggiarli): il rapporto (ancora
stretto) con i comunisti. Una relazione che per il pubblico del Giornale è troppo

146
L’accusa è appesantita dall’utilizzo dell’aggettivo “viscerale” con cui veniva etichettato
l’anticomunismo di Montanelli, come raccontava il direttore stesso. Aggettivo che peraltro il
giornalista toscano disprezzava in quanto “l’anticomunismo o è viscerale, o non è anticomunismo”.
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 189
147
Montanelli lo aveva già benedetto con parole simili il giorno della sua elezione sottolineando che
“in Pertini il carattere conta più delle idee”. I. MONTANELLI, La stecca nel coro, Milano, Rizzoli,
1999, p. 135

66
vincolante non permettendo di dare fiducia alla svolta attuata da Bettino Craxi.
Fioccano infatti le domande sulla “differenza sostanziale tra il traguardo strategico
del Psi e quello del Pci”148. È come se prima della svolta di Ghino di Tacco questa
differenza non venisse percepita come interessante o come degna di un ulteriore
approfondimento. Alla luce del mutato quadro politico e delle nuove posizioni
montanelliane invece, i lettori cercano di capire come e perché il direttore abbia
cambiato le sue idee.

Il primo ad avanzare simili richieste è il bolognese Domenico G. Prandi149.


Un primo dato si può ancora una volta ricavare dalla città della provenienza del
lettore: nel capoluogo emiliano il Partito Socialista Italiano dal 1975 ha iniziato
infatti una lenta ma ininterrotta ascesa che lo porterà ad un quasi raggiunto
raddoppiamento dei voti (dal 7,54% del 1970 al 12,07% del 1985) nelle ultime
elezioni comunali prima della caduta del muro di Berlino. Si tratta insomma di uno
schieramento che anche nella città torna a giocare un ruolo importante dopo decenni
di subalternità ai comunisti. Anche da questo nasce probabilmente la domanda del
lettore che indica come partiti socialisti moderni “i laburisti inglesi e le grandi
socialdemocrazie tedesca e del Nord Europa, che con Marx e Engels hanno chiuso
da tempo”. In Italia e in Francia invece sia il Partito Comunista che quello Socialista
“sono marxisti”. In particolare, nel nostro Paese “non risulta che il Psi abbia
relegato Marx in soffitta, e quindi entrambi vagheggiano – sia pure con diversa
gradualità – una società senza classi, l’abolizione della proprietà privata, la
nazionalizzazione di tutte, grandi o piccole, le imprese industriali, agricole,
commerciali, fatta eccezione, forse, per i ciabattini”. Prandi sottolinea però la sua
fedeltà alla linea del direttore evidenziando che “la sua non è e non intende essere
una critica, ma una richiesta di chiarimenti”. La risposta di Montanelli del 23 luglio
1978 comincia chiarendo che “nessuna democrazia può fare a meno di una forza
socialista in funzione ora di maggioranza, ora di opposizione costituzionale”. Da
ciò nasce la necessità che “il Psi faccia quello che hanno fatto gli altri socialismi

148
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 64
149
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 64-66

67
occidentali a Bad Godesberg: l’atto di rinunzia al marxismo, almeno
nell’interpretazione che ne danno i partiti comunisti di osservanza sovietica”. E
proprio in questa terra promessa “vuole avviarlo Craxi” anche se il direttore
ammette di non sapere se “a Bad Godesberg ci arriverà”. Proprio a questo punto le
mutate circostanze e l’atteggiamento non ostile del lettore permettono al Giornale
di attaccare e tocca al giornalista toscano, pur ammettendo che la conversione
democratica del Partito Socialista Italiano non è ancora giunta, indicare il sol
dell’avvenire ai suoi lettori sottolineando che l’obiettivo di Craxi (“sebbene
personalmente non lo conosca”) è proprio questa metamorfosi.

La differenziazione con i comunisti passa anche dal tipo di linguaggio usato.


E Indro Montanelli lo evidenzia calcando la mano su alcune espressioni. È il caso
della risposta al lettore milanese che gli chiede “perché si continua ad usare la parola
«socialismo» al posto di «comunismo»” con un riferimento agli scioperi del
cantiere navale di Danzica che porteranno alla nascita di Solidarność nel 1980150.
Innanzitutto, è importante sottolineare che questa domanda (come altre) giunge dal
capoluogo della Lombardia, nonché città natale di Bettino Craxi. Anche qui i
socialisti avranno un aumento (anche se non l’esplosione che desiderava il suo
segretario) dei voti passando dal 14,79% delle comunali del 1975 alla quasi
raggiunta soglia del 20% nel 1980. Tornando alla lettera, il direttore nella risposta
si sofferma su una differenza terminologica cui attribuisce un grande valore:
“Quando si parla dei regimi della Russia e dei Paesi satelliti quali sono attualmente,
li si chiama di solito «comunisti». Ma appena uno di questi regimi tenta di
riformarsi in senso liberale concedendo un po’ più diritti ai cittadini e riducendone
l’oppressione burocratica e poliziesca, si comincia a parlare di «socialismo dal volto
umano»”. Il fondatore del Giornale evidenzia così un’altra differenza tra le due
forze di sinistra in quanto secondo lui un “«comunismo dal volto umano» non è
nemmeno ipotizzabile in teoria”. Condanna del comunismo e riabilitazione e

150
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 272, 273

68
contrario del socialismo, dunque. Che contribuiscono a scavare quel pozzo tra i due
partiti per perseguire il disegno montanelliano.

Il direttore gioca quindi molto spesso la carta della differenza ideologica tra
lo schieramento di Craxi e quello di Berlinguer. Lo fa anche nella risposta al lettore
milanese (di nuovo!) Armando Papandrea che chiede un’analisi del “pericolo” che
incomberà sulla democrazia italiana in caso di una maggioranza assoluta dei partiti
di sinistra nelle elezioni del 3 e 4 giugno 1979151. Il giornalista toscano risponde il
25 maggio 1979 sottolineando di non credere “alla coalizione delle sinistre sotto la
leadership comunista” in quanto “all’interno del Psi avverrebbe probabilmente una
spaccatura”. Un’ ipotesi che deve però trovare riscontro nella cruda realtà dei fatti
e delle votazioni parlamentari. Ed i lettori lo notano.

Ad esempio, Paolo Zambianchi di Milano (anche lui quindi proviene dalla


città del leader socialista) evidenzia che “i dissensi Psi-Pci sono poi avvenuti
sempre su un terreno astratto mentre (…) su terreno pragmatico le posizioni dei due
partiti continuano, a coincidere (sic)”152. A testimonianza di ciò viene citata
l’opposizione all’adesione al Sistema monetario europeo (che causerà la fine del
quarto esecutivo guidato da Giulio Andreotti) e “l’ingresso del Pci nel Governo”.
Montanelli non può però sciogliere tutti i nodi e infatti spesso la sua posizione si
avvicina a quella dei lettori portandolo ad una critica delle politiche del Partito
Socialista Italiano.

È il caso della risposta ad un altro lettore milanese, Bruno Ortolani, che


evidenzia la presenza di “Lombardi, De Martino” ed altri “dirigenti del Psi
visceralmente avversi al socialismo del garofano e stalinianamente attaccati alla
falce e al martello”153. Costoro sono accusati di “fare i portaborse al Pci, anziché
entrare a farne direttamente e sinceramente parte”. L’invettiva arriva al punto di
insinuare che “i personaggi prima citati altro non siano che quinte colonne del Pci

151
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 154, 155
152
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 127, 128
153
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 143, 144

69
aventi il compito di impedire quella naturale ed occidentale evoluzione del Psi che,
tanto faticosamente, Craxi persegue”. Interessante è innanzitutto notare che in
questo caso il lettore difende l’operato del segretario e quindi si trova sulla stessa
linea di pensiero del direttore. Non necessita quindi di correzioni. Constatata questa
consonanza di idee, Montanelli può quindi utilizzare la spada verso i socialisti
prima delle molteplici (dalle comunali alle europee) elezioni del 1979 anche se si
sente comunque di escludere che Lombardi e De Martino siano “comunisti in
servizio comandato”. Spada che non si rivolge però verso il segretario che “ha
tentato di dare al Psi una sua autonomia culturale e strategica. Finché si è trattato
della prima, i suoi avversari lo hanno lasciato fare: non per convinzione, credo, ma
per totale sordità a questo genere di cose”. Secondo il giornalista toscano infatti,
per i dirigenti prima citati “non è un problema serio che il socialismo italiano ripudi
Lenin per adottare Proudhon, anche perché probabilmente non conoscono né l’uno
né l’altro”. La colla del “fronte popolare” è – come già sottolineava il lettore
milanese Paolo Zambianchi - ancora il “piano concreto”: circa questo infatti i
socialisti “sono tornati a litigare e a dividersi rivelando la solita e ormai storica
indecisione a tutto”154.

Oltre al filocomunismo dei rivali dell’allievo di Nenni, l’altra forte critica


che viene mossa ai socialisti e accettata dal direttore è quella sollevata da un lettore
torinese155. Questi racconta che “nel Consiglio della XIII Circoscrizione Pozzo
Strada in cui si doveva decidere a quali giornali si dovevano abbonare – come
richiedono le ultime disposizioni ministeriali – le scuole del quartiere, la
maggioranza – formata da comunisti e socialisti – ha chiesto, e naturalmente
ottenuto, due abbonamenti a La Stampa, e uno ciascuno a L’Avanti! (sic) e l’Unità”.
Le scelte della minoranza, composta dagli altri partiti (Movimento Sociale Italiano,
Partito Radicale e Partito di Unità Proletaria per il Comunismo esclusi) sono state
L’Avvenire e il quotidiano fondato da Indro Montanelli. A quel punto però –
continua il racconto del lettore – “la maggioranza ha rifiutato il Giornale nuovo

154
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 128, 129
155
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 298, 299

70
lanciando contro di esso accuse ideologiche di tale pesantezza che i consiglieri di
minoranza hanno abbandonato, in segno di protesta, la riunione”. L’attacco del
lettore è però rivolto alla falsa democraticità del Partito Comunista Italiano, segno
(latente ma non troppo) che la “strategia dell’attenzione” del Giornale verso il
Partito Socialista Italiano non è un’idea così sgradita per lui156. Il direttore – conscio
di ciò – può quindi sfoderare la spada il 10 dicembre 1980 verso i socialisti “non
biasimando i comunisti per essersi arrogata la facoltà di rilasciare o di rifiutare agli
altri le patenti di democrazia”. I militanti del partito fondato a Parma nel 1895 infatti
“da trentacinqu’anni subiscono questo sopruso pur sapendo benissimo che, quanto
a democrazia, rossi e neri si equivalgono”. Il direttore è durissimo, come un amante
ferito, verso il partito del garofano rosso: li chiama “sciacallucci scodinzolanti al
seguito della belva” e chiede spiegazioni a Bettino Craxi, “che sembra parlare in
nome di un socialismo diverso”. Due conclusioni si possono trarre da questa lettera
e dalla risposta. In primo luogo, il segretario non viene attaccato ma viene visto –
almeno in apparenza – come un corpo estraneo ad un partito siffatto. In secondo
luogo, la strategia montanelliana è uguale e opposta a quella messa in atto con la
Democrazia Cristiana. Come abbiamo visto in precedenza infatti, l’obiettivo del
giornalista toscano era quello di federare i militanti della Balena Bianca
allontanandoli dalle posizioni della dirigenza; in questo caso invece il fondatore del
Giornale scinde il partito servendosi dell’analisi del suo pubblico e separando così
la sua fronda frontista dall’ala autonomista il cui principale esponente (il segretario)
viene tenuto al riparo dagli attacchi. Anche quelli dei lettori.

La fiducia nel segretario del Partito Socialista Italiana, motivata ma non


giustificata anche dalla sua vicinanza a Silvio Berlusconi che nell’ottobre del 1979
diventa l’azionista di riferimento della See (la società editoriale del quotidiano) è
insomma un elemento importante nel partito del Giornale alla fine degli anni
settanta157. Secondo Montanelli, “di tutti i leaders che il Psi ha avuto nel dopoguerra

156
Il lettore fa riferimento in particolare alle parole dell’onorevole comunista Piccoli che esaltavano
la democrazia all’interno del Partito Comunista Italiano
157
Su Berlusconi e sul suo ruolo nel sistemare i conti de il Giornale nuovo vedi S. GERBI, R.
LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli, 2014, p. 477

71
Craxi è il più il leader di tutti per chiarezza d’idee, grinta, risolutezza, e magari
anche spregiudicatezza e cinismo”158. E ancora, “non so se Craxi abbia commesso,
sul piano tattico, degli errori, come alcuni gli rimproverano. Secondo me, il vero
errore lo ha commesso iscrivendosi a quel partito e illudendosi di poterne fare
qualcosa di coerente, efficace e modernamente europeo”159. Un sostegno al leader
socialista che non si tradurrà mai in un aperto endorsement, forse anche perché la
risposta dei lettori all’avvicinamento è già sufficientemente aggressiva.

In particolare, il già citato Nicola Pagliarulo da Cerignola (Foggia) chiede


al direttore perché non dice ai socialisti: “Vi aiuto sebbene il vostro gioco sia
schifoso”160. Secondo il lettore pugliese, il giornalista toscano starebbe invece
dicendo “alla squadra allenata da don Bettino: «State giocando bene e meritate il
mio sostegno»”. Il fondatore del Giornale nega con fermezza il 27 agosto 1978
affermando di essere, da liberale, “sempre in polemica coi socialisti”. Tuttavia,
quello guidato da Craxi sta diventando un partito “che questa polemica (…) prima
di tutto riconosce il diritto di farla, eppoi dà garanzia di voler migliorare, e magari
anche superare, ma non affondare il «sistema» su cui la liberaldemocrazia riposa”.
A sostegno di ciò Montanelli chiama in causa un proverbio persiano che recita: “Ci
vuole molta cura a scegliersi i propri amici, ma ce ne vuole ancora di più a scegliersi
i propri nemici”. E Craxi è un ottimo nemico del partito del Giornale “non perché
sia più malleabile dei suoi predecessori” (il direttore teme anzi “che sia molto più
duro), “ma perché, trattando con lui, si sa (…) che comunque si tratta di un
socialismo che non ha più nulla a che fare col comunismo”. Un sostegno, dunque,
a distanza. Che i lettori faticano però a comprendere molto più di alcuni articolisti.
E proprio su questo punto si consumano alcuni dissidi importanti con la base del
“movimento d’opinione” del foglio milanese. Dissidi che il giornalista toscano
cerca di placare assumendo un atteggiamento tutt’altro che dogmatico. Spesso
infatti ammette di non essere sicuro del quasi endorsement e di temere di aver

158
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 66
159
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 144
160
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 80-82

72
commesso un “errore”161. Tutto ciò è molto significativo perché, in primo luogo,
mostra come secondo il direttore (a differenza di quanto pensano diversi lettori) con
i socialisti si possa sbagliare senza correre il rischio di una dittatura. In secundis,
Montanelli evidenzia l’importanza “di prendere atto dei mutamenti che
avvengono”162. Cambiamenti che impongono degli “aggiustamenti di rotta” che
dicono molto del ruolo che il fondatore riveste nel partito del Giornale. La rotta
infatti viene aggiustata nonostante molte proteste dei marinai. Il ragionamento è il
seguente: se non la sistemasse “oggi”, i lettori “domani rimproverebbero (sic) di
non averlo fatto, e abbandonerebbero” il giornalista toscano. Con il Partito
Socialista Italiano, il direttore si comporta quindi come un nocchiero che ha ben
presente il “traguardo” e che è pronto anche a rischiare “a costo del naufragio”.
Mentre i lettori sono chiamati a seguirlo fidandosi della fiducia in Craxi.

Solo una parte del pubblico del Giornale mostra di comprendere la scelta di
Montanelli, come testimonia la lettera del professor Marco Alvedri che scrive da
Roma163. Pur non condividendo totalmente la “rotta”, questo lettore fa mostra della
sua fiducia nel direttore evidenziando che “se lui commette un errore, lo commette
certamente in buona fede e disinteressatamente” e che “se i fatti gli daranno torto,
lui lo riconoscerà onestamente”. Ancora una volta ritroviamo il riconoscimento
della possibilità di fare un errore: siamo nel 1978, non più alle elezioni del 1976;
non c’è più il rischio di un avvento dei comunisti al potere. Questa lettera evidenzia
però che la scelta di strizzare l’occhio al Partito Socialista Italiano non è condivisa
nemmeno dai lettori che si fidano molto del giornalista toscano, dai suoi fedelissimi.
Tra questi possiamo sicuramente annoverare Alvedri che conferma del resto che il
fondatore del Giornale è “tormentato” dalle lettere che dibattono su questa scelta.
Montanelli nella risposta del 25 luglio cerca di riaffermare – temendo di peggiorare
il suo rapporto anche con i pretoriani – che il Giornale nuovo “non ha affatto
cambiato linea” ma che “quella che è cambiata o sta cambiando è la situazione”. In

161
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 82
162
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 67, 68
163
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 66-68

73
modo particolare, “i comunisti sono in fase calante, e l’incubo del «sorpasso»,
anche se non dileguato, si è allontanato”164. Ed è questo il pull factor che porta il
direttore a progettare una nuova strategia per il suo “partito che ancora non
esiste”165.

Abbiamo visto uno dei punti massimi della fiducia in Montanelli. L’acme
del dissenso si verifica invece con un lettore democristiano anticomunista. Si tratta
del milanese (ancora un concittadino di Bettino Craxi che parla del Psi) Renzo
Pivetti che attacca il fondatore del Giornale con due considerazioni166. La prima è
che se il Psi “con il consiglio del direttore e la coraggiosa intelligenza di Craxi” alle
elezioni future riuscirà “a fare un decisivo passo in avanti e a rinvigorire il
senescente partito” lo “farà non certo con il voto inconvertibile e sempre
minaccioso dei comunisti, ma, sicuramente, con quello dei lettori che Montanelli
ha saviamente consigliato” nel 1976 “a votare per la puzzolente Dc”. L’unico flusso
elettorale possibile per sostenere Craxi sarebbe quello da destra, insomma. Ma ciò
rischia – esattamente come il voto a partiti diversi dalla Democrazia Cristiana nel
1976 – di aprire una voragine che porti al potere il Partito Comunista Italiano. Il
lettore attribuisce però il nuovo orientamento del giornalista milanese d’adozione
ad un “odio viscerale per la Dc (…) ravvivato da un ripicco personale per gli sgarbi
ch’ella (sic) ha ricevuto da un gruppo di suoi incoscienti rappresentanti che ha
maldestramente respinto la sua non garbata offerta”167. Insomma, la rottura con i
lettori è profonda anche perché in questo caso il fondatore del Giornale viene
fortemente criticato per la sua apertura a sinistra, motivata però non come un
disegno strategico del direttore ma come una risposta ad uno “sgarbo”. Quasi che
questa strategia non possa essere frutto del pensiero di Montanelli, vincolato –

164
“Le elezioni amministrative parziali del maggio e giugno 1978 erano state per il Pci una botta
secca”. I. MONTANELLI, M. CERVI, L’Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993 p. 34
165
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, p. 324
166
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 89-91
167
L’accusa è appesantita dall’utilizzo dell’aggettivo “viscerale” con cui veniva etichettato
l’anticomunismo di Montanelli, come raccontava il direttore stesso. Aggettivo che peraltro il
giornalista toscano disprezzava in quanto “l’anticomunismo o è viscerale, o non è anticomunismo”.
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 189

74
nell’immagine che ne hanno i lettori, o almeno alcuni di essi – ad una destra
conservatrice e anticomunista. L’unico modo per uscire da questo cul-de-sac è
quello di ammettere che agisca per “un ripicco personale”. La seconda
considerazione sorge dal timore che “l’elixir (sic) di vittoria dei socialisti possa
risvegliare la fregola dei vari Lombardi, De Martino e compagni per cercare, Craxi
o non Craxi, di realizzare quel «compromesso storico» in edizione corretta
socialcomunista che è già operante in tante amministrazioni locali, compresa quella
della nostra cara Milano” dal 1975. Il giornalista toscano, dal canto suo, respinge il
13 settembre 1978 l’insinuazione di un suo presunto invito a votare il Partito
Socialista Italiano e rifiuta l’idea che il suo comportamento sia dovuto a “un ripicco
personale”. Ma soprattutto mostra di non temere la possibilità di un “«compromesso
storico» socialcomunista” in quanto “i fatti vanno nel senso opposto”. Ad ogni
modo, queste accuse portano Montanelli a dire addio al lettore: “Se le va bene,
questo è il suo giornale. Se non le va bene lo cambi. Neanche se volessi, io saprei
farlo diverso”. Insomma, volere aprioristicamente un suggerimento di voto alla
Democrazia Cristiana (oltre a giustificare il suo rifiuto come esito di “un ripicco”)
e continuare ad agitare la minaccia anticomunista anche nei confronti di un Partito
Socialista Italiano completamente rinnovato sono condizioni sufficienti per
provocare una rottura con il Giornale nuovo e la sua ortodossia.

Proprio in nome dell’anticomunismo arriva il primo esplicito endorsement


ad un candidato socialista. Alla vigilia delle prime elezioni europee del 10 giugno
1979 infatti, il milanese (di nuovo un concittadino di Bettino Craxi) Guido Turrini
scrive a Montanelli lodando il Partito Socialista Italiano che propone, “proprio nel
collegio in cui è capolista il segretario nazionale del Psi (Lombardia, Piemonte,
Liguria e Val d’Aosta), l’esule cecoslovacco Jiri Pelikan che è oggi cittadino
italiano”168. Una candidatura che “è presentata dai socialisti non come «specchietto
per le allodole» ma per votarlo massicciamente ed eleggerlo” tanto che, secondo
Turrini, “su questo risultato sono puntati gli occhi di tutto il mondo e in particolare

168
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 159, 160

75
quelli di tutto il socialismo europeo”. Il direttore approva le posizioni del lettore e
può quindi rilanciare sostenendo che l’ex “presidente della Commissione affari
esteri in Parlamento” cecoslovacco “è un simbolo del socialismo democratico e
libertario”. Il giornalista toscano “trova” quindi “giusto che il Psi lo abbia assunto
come tale, presentandolo come suo candidato alle elezioni europee”. Considerato
ciò, non può che augurarsi “che gli elettori italiani avallino plebiscitariamente
questa scelta piena di significato politico” in quanto “l’affermazione di Pelikan
sarebbe quella di tutta la dissidenza dei Paesi dell’Est, con la quale anche i non
socialisti hanno il dovere di solidarizzare”. Alea iacta est, insomma. L’invito – o
quantomeno l’auspicio - a votare il Partito Socialista Italiano è arrivato, sebbene
sotto mentite spoglie e per un’elezione non nazionale.

L’anticomunismo resta insomma il collante e il fil rouge delle scelte del


fondatore de il Giornale nuovo. Prova ne è l’avvicinamento ai radicali che viene
notato da alcuni lettori, tra cui figura il costituzionalista Vezio Crisafulli da
Roma169. Crisafulli si rifà ad una precedente risposta di Montanelli “al dottor
Omodei Zorini” in cui il giornalista osservava – alludendo alle elezioni politiche
del 1979 - che “piaccia o non piaccia, i voti al Pci li ha portati via Pannella”170. La
protesta del lettore vale per i radicali ma potrebbe valere anche per i socialisti ed è
esattamente questo il motivo per cui la riportiamo: “Un conto è non desiderare che
i comunisti giungano al potere e neppure a partecipare al Governo, e adoperarsi in
conformità, un altro essere disposti per questo ad accettare qualsiasi alleanza e a
rallegrarsi del successo ottenuto da un partito i cui esponenti tengono, in Parlamento
e fuori, in Italia e all’estero, un comportamento che dovremmo tutti considerare
avvilente per il nostro paese”. Qui la critica che viene mossa al direttore è dunque
quella di assumere le posizioni di una certa sinistra, non quella di favorirne una
pericolosa ascesa al potere. L’evoluzione è evidente: Crisafulli sembra fidarsi della
patente democratica “delle sinistre” ma ciò che lo disturba è che si debba sostenerle

169
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 188-190
170
Il partito nato da una costola del Partito Liberale Italiano ottenne alle elezioni il 3,45% alla
Camera dei Deputati superando schieramenti di grande tradizione come il Pli e il Partito
Repubblicano Italiano

76
solo perché ladre di consenso al Partito Comunista Italiano. Da ciò si deduce che la
strategia del fondatore del Giornale consistente nel riabilitare nel campo del rispetto
democratico alcune forze politiche ha avuto un certo successo. Ancora una volta il
giornalista toscano gioca sul filo del rasoio sottolineando che il suo augurio per le
elezioni politiche del 1979 era che “il voto della sinistra (…) invece che al Pci,
andasse a Pannella”. E qui viene chiamato a deporre il modello dell’atteggiamento
montanelliano: Giovanni Giolitti che “si augurava che il voto socialista, che non era
certo il suo, andasse a Turati invece che a Serrati o a Lazzari”. La linea guida è
sempre quella del proverbio persiano contenuto già in un’altra risposta sul Partito
Socialista Italiano: “Ci vuole molta cura a scegliersi i propri amici, ma ce ne vuole
ancora di più a scegliersi i propri nemici”171. E quindi un lettore federato al Giornale
“non può non guardare con simpatia la rivolta in atto nel campo delle sinistre contro
l’egemonia del Pci” che è “salutare non soltanto perché ridurrebbe il potere
comunista, ma perché potrebbe finalmente fornirci la famosa «alternativa» di cui
andiamo da trent’anni in cerca”. Insomma, ciò che danneggia il Partito Comunista
Italiano e che favorisce la creazione di un’altra possibilità a sinistra non può non
piacere ad un lettore del foglio milanese. Ed è una legge che non è possibile
contraddire.

Questo atteggiamento continua però a non convincere il pubblico del


quotidiano fondato nel 1974. Se in precedenza Montanelli veniva accusato di aver
ritirato il suo supporto alla Democrazia Cristiana per “un ripicco personale”, ora
l’invettiva è più pesante. Il lettore genovese Franco Ghetti scrive infatti “allibito e
un pochino schifato” per essersi reso conto della “parzialità” de il Giornale nuovo
che “fa quasi concorrenza sia pure su altra sponda (sic) all’ Unità”172. La rabbia del
lettore nasce dall’apologia da parte del direttore di Carlo Donat Cattin il cui figlio
Marco era “accusato e ricercato per terrorismo” e a causa di “morti ammazzati
(sic)”. Da qui Ghetti muove la deduzione che il direttore difenda il politico “solo
perché fa parte del «preambolo»”, la linea politica decisa dalla Democrazia

171
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 82
172
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 244-246

77
Cristiana al congresso di Roma del febbraio 1980. Insomma, addirittura il
giornalista toscano avrebbe cambiato “la morale a seconda del colore politico” e
avrebbe dimostrato che “davanti ad interessi di parte, democratici e non sono tutti
uguali”. L’accusa è pesante e indica fino a che punto venga percepito come
ingombrante l’anticomunismo di Montanelli e la sua apertura a Craxi e soprattutto
quanto dia fastidio ai lettori, indotti addirittura a sospettare che il fondatore del loro
giornale consacri la coerenza sull’altare di una vittoria politica. Ciò è testimoniato
dal finale della lettera in cui il signor Ghetti scrive di “ritenere di essere un
anticomunista” (quasi che questa qualifica venga messa in opposizione alla
medesima impersonata però dal direttore, reo di farne il suo unico vincolo morale)
e che anche in questa categoria di persone ci sono uomini che “sanno qualche volta
essere obbiettivi” (l’attacco al giornalista toscano non è troppo velato). Indro
Montanelli coglie la pesantezza dell’offensiva e nella risposta del 18 maggio 1980
sente di dover ricorrere ad un’iperbole per reagire e riscattarsi sostenendo che
“nessun padre può essere tenuto responsabile delle colpe del figlio”: “Se domani
venissi a scoprire che a mettermi quattro pallottole nelle gambe fu Marco Donat
Cattin, andrei difilato da suo padre, lo abbraccerei e gli direi: «Non eravamo amici,
ora lo siamo»”173. Enfasi e presa di distanze dal politico democristiano servono
proprio a difendersi con la massima energia da un’accusa infamante che evidenzia
però bene fino a che grado siano percepite come forzatamente intransigenti le
posizioni politiche assunte dal direttore.

E infatti la base del partito del Giornale ribolle quanto più emerge la
strategia di Bettino Craxi. Torna alla carica il lettore bolognese Domenico G. Prandi
che sostiene che nella precedente risposta alla sua lettera neppure il giornalista
toscano “abbia saputo – o voluto – spiegare che cosa ci sia di diverso – come meta
strategica – tra Pci e Psi”174. La domanda del signor Prandi nasconde una remora

173
Indro Montanelli rimase vittima di un attentato alle gambe da parte di due esponenti delle Brigate
Rosse il 2 giugno 1977. Marco Donat Cattin apparteneva invece a Prima Linea
174
Montanelli aveva in realtà chiarito la “meta strategica” di Craxi e quindi del suo Partito Socialista
Italiano: “l’atto di rinunzia al marxismo, almeno nell’interpretazione che ne danno i partiti comunisti
di osservanza sovietica”. I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 65

78
anticomunista: “Non le sembra un tantino esagerata la pretesa di avere la presidenza
del Consiglio, avanzata da un partito che ha il 12/13% dei voti? A questa stregua,
cosa avrebbe ragione di pretendere il Pci che, di suffragi, ne ha quasi il doppio?”175.
Montanelli anche in questo caso organizza la sua apologia del 4 settembre 1980
attraverso un “divide et impera”: divide il segretario da alcuni dirigenti. Difende
infatti Craxi citando un’altra sua “meta”: “vincere il congresso del suo partito”. E
per farlo “deve presentarvisi con un successo in mano”: ecco perché si autopropone
per la presidenza del Consiglio. Infatti “anche senza ottenerla, il fatto che se ne
discuta è una grossa «promozione» per un partito che non è stato quasi mai al
governo, e il poco che c’è stato, c’è stato in posizione subalterna”. Fin qui,
l’encomio al segretario. Ecco che però il direttore federa il suo lettore mostrando il
vero nemico: “l’ala sinistra del partito” con cui Craxi deve “impedire la rottura”
prendendo sì “le distanze dai comunisti” ma “con cautela e gradualità” e “dicendo
di non volerle prendere”. Separatis separandis, il fondatore del Giornale schiera il
suo lettore in difesa di Ghino di Tacco: “Dobbiamo indulgere a Craxi e anche a
certe sue grandezzate. Per aiutarlo a vincere la sua battaglia dentro il partito. A me
questo partito non piace, come mi par di capire che non piace a lei. Ma se non ci
alleiamo con esso, dobbiamo, per far maggioranza allearci col Pci”. La nuova
alleanza con “questi socialisti pasticcioni (e alcuni anche ladroni)” è quindi ormai
giustificata dalla mancanza di alternative (come per l’elezione a presidente della
Repubblica di Sandro Pertini) e stabilita sempre in nome dell’ostilità ai comunisti,
come Montanelli spiega appena prima: “Un comunista, lei non lo convincerà mai a
votare liberale; ma a votare socialista, sì: basta riuscire a farlo ragionare col suo
cervello”. Il sostegno alla linea di Craxi e al suo Partito Socialista Italiano è quindi
(quasi) totale e soprattutto coinvolge (o tenta di farlo) i molti lettori titubanti.

L’ultimo ad allarmarsi in ordine di tempo è il signor Ettore Valco da


Courmayeur che racconta che “l’Avanti! è stato accusato da l’Unità di aver sposato
«le tesi montanelliane» (…) a proposito dell’origine e delle ideologie comuniste del

175
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 273-275

79
terrorismo”176. La notizia è sconvolgente per Valco che “l’indomani ha aperto il
Giornale nella speranza di trovarvi una risposta di Montanelli”. Ma, non essendoci
nessuna replica, il lettore (in vacanza o residente) in Valle d’Aosta si chiede se si
tratti di “mancanza di argomenti” o di “prudenza”. Entrambe le accuse sono molto
velenose in quanto se nel primo caso si presuppone che la tesi del direttore sia molto
debole, nel secondo si insinua addirittura che la comunanza d’idee con i socialisti
voglia in realtà essere celata. Il fondatore del Giornale nella risposta del 18 luglio
1981 argomenta con sicurezza sul primo tema (sostenendo che “accanto alla
criminalità di destra ce n’era anche una, forse più pericolosa, di sinistra” e che “le
Brigate rosse non erano una filiazione diretta del Pci, anzi ne rappresentavano una
deviazione, ma avevano incubato ideologicamente nel Pci che, pur sconfessandole
a parole, nei fatti le aveva covate o protette”) e con sicumera nel secondo. Infatti,
secondo il giornalista toscano, l’Unità sperava di “mettere in imbarazzo i socialisti.
I quali però hanno tutta l’aria di infischiarsene. Come me ne infischio io”. Insomma,
l’avvicinamento alle posizioni del garofano rosso – notato con allarme da un lettore
– viene normalizzato dal direttore. Un altro segno di una “strategia dell’attenzione”
ormai all’ordine del giorno.

Per concludere, l’avvicinamento di Indro Montanelli a Bettino Craxi e al


suo Partito Socialista Italiano è molto contrastato e mal digerito da gran parte dei
lettori de il Giornale nuovo. Dall’elezione di Pertini in poi si suscita infatti una
discussione che obbliga il giornalista toscano a mediare chiarendo la sua posizione
e i suoi ideali. Tutt’altra è la reazione di parte della redazione. A questo proposito
giova ricordare che “proprio la «questione socialista» sarà all’origine della dolorosa
rottura fra il direttore e il condirettore di ‘via Negri’, Enzo Bettiza”, avvenuta nel
1983177 . Anni dopo Bettiza rievocherà le sue idee senza rimpianti: “Negli anni
Settanta l’errore è stato quello di non capire (…) il fenomeno Craxi. Qui ovviamente
io non parlo di Tangentopoli, che appartiene ad altro periodo e ad altra dimensione.

176
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 355, 356
177
S. GERBI, R. LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli,
pp. 443, 444

80
Parlo del Craxi (…) anticomunista e riformista”178. Secondo lo scrittore spalatino,
“Montanelli non percepì che la battaglia liberale contro il compromesso storico (…)
non poteva arrestarsi al «turarsi il naso», non avvertì che dovevamo spostare in
avanti le nostre trincee, penetrare come guastatori nel campo della sinistra, quindi
appoggiare Craxi e il nascente craxismo”. Un pressing, quello di Bettiza, che
puntava a “far rivivere la sigla del «lib-lab», ovvero un’intesa che potesse
ricongiungere (…) il meglio del pensiero liberale di sinistra con lo spirito migliore
del socialismo”. Un oltranzismo che il giornalista toscano non poteva accettare. Il
direttore modererà appunto la sua posizione affermando in una lettera a Bettiza che
il Giornale (dal 1982 si chiamerà così) non è e non sarà mai “per la difesa delle
balordaggini anche se a farle sono i socialisti”179. Anche perché Montanelli aveva
ormai capito – e abbiamo compreso il perché – che il suo lettore non voleva quel
connubio: “L’operazione che tu suggerisci farebbe di noi un «manifesto» di
trentamila copie” contro le oltre 200.000 del Giornale, scriveva ancora al suo ex
condirettore180.

Saranno tuttavia proprio i lettori a risvegliare l’affetto del fondatore del


Giornale per il socialismo. Nella sua ultima stanza apparsa sul Corriere della Sera
il 4 luglio 2001 infatti, risponde ad una lettera di Giuseppe Tamburrano, figlio
dell’ex senatore Luigi ed ex dirigente del Psi, che sostiene che “non c’è tra i
sedicenti socialisti residui nessuno che difenda i valori del socialismo come fa”
Montanelli181. L’ormai anziano giornalista dal canto suo nega di essere stato “un
nemico del socialismo (dico «socialismo» e non «partito socialista»)” e chiede al
suo interlocutore di “ridarci il socialismo di Turati e di Massarenti”, lontano dal
filocomunismo da lui spesso biasimato. Perché “la grande bandiera del socialismo
prima o poi un esercito la ritroverà”. Insomma, Montanelli - giunto al termine della

178
D. FERTILIO, Arrembaggi e pensieri. Conversazione con Enzo Bettiza, Milano, Rizzoli, 2001,
pp. 111, 112
179
Archivi della Fondazione Montanelli Bassi, Fondo Indro Montanelli, Corrispondenti, Lettera, I.
Montanelli a E. Bettiza, Milano, 13 febbraio 1983
180
Archivi della Fondazione Montanelli Bassi, Fondo Indro Montanelli, Corrispondenti, Lettera, I.
Montanelli a E. Bettiza, Milano, 25 febbraio 1983
181
I. MONTANELLI, Le nuove stanze, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 537-539

81
sua “lunga e tormentata esistenza” - può finalmente abbracciare il socialismo senza
dover giustificarsi con il lettore182.

182
Così Montanelli parlava della sua vita nell’addio ai lettori dettato alla nipote Letizia Moizzi e
pubblicato sul Corriere della Sera. I. MONTANELLI, Necrologio, in “Corriere della Sera”, 23
luglio 2001, p. 1

82
8. LA FINE DELL’AVANZATA COMUNISTA
“La battaglia, secondo me, è tuttavia iniziata (nel ’74) quando già era troppo
tardi (e non è una sua colpa)”183. Così scrive a Montanelli il ventunenne Paolo
Zambianchi da Milano, lettore che percepisce l’avvento del comunismo come un
fatto ormai imminente e inevitabile. Il partito guidato da Berlinguer all’inizio del
1979 “è veramente vicino al potere, quello vero, del Governo” in quanto “le
sconfitte elettorali sono state troppo tardive per intaccare la sua forza contrattuale
in Parlamento”. Insomma, nonostante la “botta secca” alle provinciali ed
amministrative del 1978 il Partito Comunista Italiano, secondo questo giovane
lettore, è ormai sul punto di aver in mano il governo184. Tanto che non si tratterebbe
“più di scegliere il male minore (votare Dc, alleanza laica, appoggiare i «cento»)
ma di scegliere il modo più dignitoso di andarsene dal Paese, per non trovarsi un
giorno a bivaccare in un aeroporto aspettando l’aereo della salvezza, come in
Iran”185. L’anticomunismo del direttore appare a questo giovane simile al tentativo
di un uomo “tenta di turare col dito la falla di una diga”. In questo caso particolare
ha certamente un’influenza la città di provenienza: sia nel Consiglio comunale che
in quello provinciale della città lombarda il Partito Comunista Italiano è dal 1975
la forza più rappresentata. Tuttavia, va segnalato comunque questo atteggiamento
fatalistico da parte di alcuni lettori, al termine degli anni ’70. A discolpa di questo
giovane va detto che il quarto governo Andreotti con l’appoggio esterno dei
comunisti non era ancora caduto. Ad ogni modo, la risposta di Montanelli
dell’undici gennaio 1979 già prevede una situazione molto più luminosa: “Il
comunismo non ha più nulla da dire a nessuno, nemmeno ai russi. Sta in piedi grazie
alla sua armatura di ferro, ma per niente altro”. Insomma, il direttore indica ancora
una volta la strada: questa volta però la via non sembra necessitare di “nasi turati”
in quanto la situazione è molto meno “emergenziale”186. E lo sguardo si allarga: “Il

183
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 126-129
184
I. MONTANELLI, M. CERVI, L’Italia degli anni di fango, Milano, Rizzoli, 1993 p. 34
185
I “cento” costituivano il cosiddetto partito del Giornale all’interno della Democrazia Cristiana.
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 169
186
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 91

83
marxismo è in pieno sfacelo dovunque, ma soprattutto là dove si è realizzato. Si
sostiene solo con la violenza, che ha saputo organizzare come mai nessuno; ma non
è riuscito a sopprimere il capitalismo perché dopo aver distrutto quello privato ha
dovuto instaurarne uno di Stato che si rivela dieci volte peggiore, anche per le classi
lavoratrici, di quello privato, e nel campo del pensiero le uniche sue voci vive sono
quelle del dissenso”. Montanelli sottolinea anche che “l’ultima illusione, quella
pacifista dell’internazionalismo proletario, è caduta: proletari vietnamiti e proletari
cambogiani si sbranano su uno sfondo sovrastato dalla guerra fredda fra Russia e
Cina”. E in Occidente non va certamente meglio: “Il cosiddetto «revisionismo» non
è che la mascheratura del ripudio di quella che ancora vent’anni fa (fino alla rivolta
dell’Ungheria) poteva apparire come una grande speranza”. Il direttore introduce
poi uno scarto, già molto indicativo delle sue scelte future: “La tua disperazione,
caro Paolo, è nulla in confronto a quella che devono provare i marxisti in buona
fede (che sono pochi: i più sono soltanto degli opportunisti)”187. Vero è anche
purtuttavia che al primo sguardo il comunismo mantiene la sua forza, come lo stesso
fondatore del Giornale riconosce: “Missili e carri armati per conquistare l’Italia, e
magari l’Europa, ne ha abbastanza”. Tuttavia, “è incapace di costruire qualcosa di
umanamente valido. E quindi è condannato alla sconfitta finale. Puzza già di
morto”. Parole che sembrano anticipare di dieci anni il corso della storia,
contrariamente a quanto creduto dai suoi stessi lettori. Del resto, l’ottimismo non è
una precipua caratteristica del temperamento di Montanelli: deve essere per forza
più che fondato188.

Il direttore ribadisce lo stesso pensiero ad un altro giovane lettore milanese,


Adelmo Topner189. Costui gli propone la teoria di Francesco Alberoni esposta sul

187
A proposito delle mosse politiche di Achille Occhetto, volte ad archiviare il Partito Comunista
Italiano, Indro Montanelli scriverà nella risposta ad un lettore nel 1990: “Quando si è militato per
tutta la vita sotto una bandiera, la si può rinnegare a battaglia vinta, non a battaglia persa. Saranno
ubbie sorpassate, ma io continuo a crederci”. I. MONTANELLI, Non basta il ripudio, in “il
Giornale”, 22 ottobre 1990
188
Il pessimismo di Montanelli emerge di frequente nella corrispondenza con i lettori. Si veda per
esempio: I. MONTANELLI, Le stanze. Dialoghi con gli italiani, Milano, Rizzoli, 1998, p. 264
189
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 258-260

84
Corriere della Sera secondo cui “nel mondo le due culture più vitali, anzi le sole
vitali, sono quella islamica e quella marxista, dal cui matrimonio nascerà una civiltà
destinata a seppellire la nostra”. Il lettore “non ne è rimasto affatto persuaso” e
chiedendo a Montanelli non può che rafforzare la sua convinzione. Il giornalista
toscano infatti - nella risposta pubblicata il 4 luglio 1980 - ribadisce la sua posizione
sul marxismo: “La sua esplosione culturale risale agli anni ruggenti di Essenin e
Majakovski, entrambi suicidi. Da quando Stalin lo congelò, il marxismo non è più
che una enorme mummia di cui vivo e vitale c’è solo il dissenso”. Insomma, “può
anche darsi che islamismo e marxismo, miscelandosi, producano una bomba più
devastatrice di quella atomica. Essa potrà distruggere la nostra civiltà (che forse,
per la sua codardia, se lo merita). Sostituirla mai”. Insomma, il direttore assume con
i suoi lettori il ruolo del pedagogo che educa e tranquillizza sull’assenza di futuro
del comunismo pur non apprezzando in toto, come prevedibile, la società
occidentale. Una posizione, quest’ultima, che il suo pubblico spesso non condivide
o condivide timidamente: per questo Montanelli è per l’ennesima volta un apripista.

Questa considerazione non può che riflettersi sull’ambito politico nazionale


e risulta molto interessante fare un’analisi della posizione assunta dal partito del
Giornale in relazione alle elezioni politiche del 3 e 4 giugno 1979. Lo schieramento
del foglio milanese è molto meno pragmatico e rigoroso che alle consultazioni di
tre anni prima. Il Partito Comunista Italiano è infatti “ora in reflusso” anche se
continua a mantenere un ruolo importante190. I lettori tendono però ad accorgersi
solamente del secondo fatto mentre il primo resta un po’ sottotraccia. Lo dimostra
la lettera di Nello Portioli che scrive da Suzzara, in provincia di Mantova. Una
cittadina in cui il Partito Comunista Italiano è predominante dal 1975 in Consiglio
provinciale e addirittura dal dopoguerra in Consiglio comunale. Probabilmente
anche per questo, lo scrivente lombardo sottolinea che “continuare a contare su di
un disegno politico in esclusiva funzione anticomunista, equivale a degradare il
Paese sotto ogni aspetto. Il Pci per l’Italia è una realtà; forse si è sbagliato quando,

190
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 137-140

85
a similitudine della Germania, non lo si è posto fuori legge191”. Occorre dunque
“servirsene perché la politica si porta avanti anche con merce d’accatto (d’altra
parte ed oggettivamente la Dc nel suo complesso che dimostra di essere?)”. Ad un
lettore con una simile posizione appena tre anni prima Montanelli avrebbe
verosimilmente risposto cercando una federazione ed un voto alla Democrazia
Cristiana (comportamento che lo scrivente lombardo peraltro ripudia citando
“l’infelice invito a tapparsi il naso”). Tuttavia, nel frattempo si sono verificati i
governi di solidarietà nazionale e a questi il signor Portioli pare alludere quando
rimprovera il direttore ed il suo “stantio ritornello anticomunista” che “anche se vi
è ragione di considerarlo radicalizzerà soltanto la tensione politica sui due poli Pci
e Dc” mentre “i sudditi non muteranno il loro stato”. Al lettore ciò sembra una
condanna “a fare vivere noi ed i nostri figli (che a differenza dei figli democristiani
non praticano l’extraparlamentarismo) sino alla morte, respirando a bocca aperta”.
Insomma, Portioli non sembra essere disposto ad un’altra crociata con lo scudo
crociato. E ciò, come l’utilizzo del termine “stantio”, mostra in modo netto che la
situazione è ormai mutata e che sta svanendo l’ostracismo nei confronti del Partito
Comunista Italiano. Il fondatore de il Giornale nuovo dal canto suo comprende la
posizione dell’interlocutore e non la condanna. Anzi, la sua difesa - pubblicata il 15
febbraio 1979 - parte proprio dalla citazione di un suo articolo dal contenuto non
equivocabile: “È chiaro che noi non potremo rinnovare l’invito ai nostri lettori a
votare Dc neanche turandosi il naso”. Un dubbio – comunque non condizionante -
resta però al direttore che si chiede “se l’indebolimento della Dc servirà a trattenerla
o a spingerla all’abbraccio col Pci”. Ma è significativo che ci si possa permettere di
dubitare: un beneficio che nel 1976 non era minimamente possibile. E il “riflusso”
del partito guidato da Berlinguer è dimostrato anche dall’insinuazione del lettore
mantovano secondo cui “lo stantio ritornello anticomunista” può essere dovuto a
“questioni di biada”, quasi che ormai questa scelta di campo permetta di avere
vantaggi senza essere più in minoranza. Montanelli ripudia con forza questa idea

191
La Corte Costituzionale tedesca mise fuori legge il KPD, o Partito Comunista di Germania, nel
1956

86
evidenziando che comunque “il gregge è tutto dall’altra parte, la parte marxista”: il
temporale è terminato ma deve ancora sorgere il sole.

Sole che può (ma non per forza deve) essere portato dalla Democrazia
Cristiana. Lo dimostra la scelta del direttore per le elezioni politiche del 1979 che
viene esplicitata nella già citata (con altri fini) risposta al lettore milanese
Melchiorre Assunta192. Il giornalista toscano anticipa la sua indicazione di voto: “Al
momento opportuno, noi non chiederemo agli elettori Dc di voltar bandiera. Gli
chiederemo soltanto di concentrare il loro voto su quei candidati che prenderanno
– se lo prenderanno – impegno scritto di rifiutare – non per ora come dicono
Zaccagnini e i suoi accoliti, ma per sempre – qualsiasi accordo di governo col Pci”.
Un invito a votare Dc con tre sottili – ma importanti – condizionamenti. In primo
luogo, l’appello è rivolto agli “elettori Dc” con una significativa riduzione rispetto
alla totalità dei lettori de il Giornale nuovo. In secondo luogo, il direttore ipotizza
addirittura che possa capitare che nessun candidato dello scudo crociato si collochi
su una posizione pregiudizialmente anticomunista, lasciando intendere che in quel
caso il partito del Giornale non potrà che rivolgersi verso altri lidi. In tertiis,
Montanelli condiziona questo supporto ad un “impegno scritto” che tronchi sul
nascere qualunque accenno al compromesso storico. Insomma, come nel caso
precedente la risposta non è netta e inequivocabile. Permane un discreto grado di
incertezza, che è possibile proprio grazie alla fine (creduta e rivelatasi tale)
dell’avanzata comunista.

Un’ ulteriore ed ultima conferma di questo atteggiamento si scorge nella


risposta ad Armando Papandrea, lettore milanese (e quindi con un’esperienza locale
del Partito Comunista Italiano molto simile a quella vista in precedenza con Paolo
Zambianchi) de il Giornale nuovo che sollecita il direttore sul “pericolo che
incomberà sulla democrazia italiana in caso di una maggioranza assoluta dei partiti
di sinistra (ivi compreso il Psi e il Pr) nelle elezioni politiche” del 1979193. Già nella

192
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 148, 149
193
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 154, 155

87
domanda è presento un elemento segnalatore. Il signor Papandrea sente la necessità
di evidenziare che anche il Partito Socialista Italiano come il Partito Radicale
appartengono al blocco guidato dal Partito Comunista Italiano. Una specifica che
non sarebbe stata ritenuta necessaria (almeno per i socialisti) fino a poco tempo
prima e che fa comprendere come i lettori abbiano capito e purtuttavia si ostinino a
non condividere la svolta dell’anticomunismo di Montanelli, dovuta all’emergere
di nuovi politici (Bettino Craxi e Marco Pannella su tutti). Il giornalista toscano -
rispondendo il 25 maggio - ribadisce per l’ennesima volta la sua convinzione:
“Ritengo impossibile, o almeno altamente improbabile, che le sinistre raggiungano
la maggioranza assoluta: il vento non soffia più in quella direzione (forse un
pochino grazie anche a noi)”. Quindi arriva un ulteriore articolazione che il capitolo
precedente di questo elaborato aiuta a spiegare in modo esauriente. Il direttore
infatti non fa cenno di credere ad una “coalizione sotto la leadership comunista” dal
momento che “all’interno del Psi avverrebbe probabilmente una spaccatura. Ma
anche se non avvenisse” il fondatore del Giornale esclude “in maniera tassativa che
i radicali – i quali riporteranno certamente un notevole successo - ci stiano”194.
Pannella potrebbe appunto essere “dovunque, meno che dalla parte della
repressione, dove sarebbe costretto a mettersi in caso di un’alleanza di governo coi
comunisti”. Viene quindi introdotto un ulteriore elemento che assume tuttavia la
medesima funzione: smontare la paura dei lettori che il Partito Comunista Italiano
vada al potere. Montanelli avanza addirittura un’obiezione che può sembrare
paradossale ma che mostra molto bene quanto le idee del direttore siano cambiate
rispetto al 1976: “Il pericolo del potere in mano al Pci (…) viene soltanto dalla Dc”.
Da ciò viene giustificata l’esigenza di un “partito del Giornale” da schierare nelle
file democristiane per evitare il compromesso storico. La terminologia non è
casuale. Proprio questa espressione – su cui ci siamo già soffermati – trova riscontro
nelle parole dell’onorevole democristiano Giovanni Galloni dopo le elezioni cui il
direttore replica evidenziando che “per un uomo di mafia come lui, tipico frutto

194
Come già segnalato, in effetti il partito nato da una costola del Partito Liberale Italiano ottenne
alle elezioni il 3,45% alla Camera dei Deputati superando schieramenti di grande tradizione come il
Pli e il Partito Repubblicano Italiano

88
dell’«apparato» del partito, è semplicemente inconcepibile che gli elettori possano
decidere di loro testa, con le preferenze, la linea politica del partito a cui danno il
voto”195.

Voto del 3 e del 4 giugno che rispetterà gli auspici (e le previsioni) del
direttore. Glielo rammenta Marco Robotti che scrive da Toronto (Canada) con un
ulteriore elogio: “C’è chi le attribuisce anche il merito di aver determinato i
risultati”196. Nella risposta, Montanelli sostiene che “quello del Giornale era un
invito al quale gli elettori hanno risposto come meglio non si poteva sperare”. E qui
utilizza un lessico adatto alla “fine della storia” di Francis Fukuyama. Scrive infatti
che “è stata una battaglia dura e difficile. Ma che il mese scorso ha avuto il suo
premio”. Insomma, la guerra sembra essere finalmente finita ed il giornalista
toscano fa trapelare la sua previsione sul declino imminente (almeno dal punto di
vista ideologico) del comunismo. “A vincere – tuttavia – non è stato il Giornale,
ma la linea politica per la quale il Giornale si batte, quasi solo, da cinque anni”.
Una linea che prevede in primo luogo “una ripresa di quei valori liberaldemocratici
che la classe politica sembrava voler mandare definitivamente in protesto, ma che
noi sapevamo ben ancorati nella coscienza dei nostri lettori”.

Del resto, qualche scricchiolio proveniente da Mosca inizia a superare la


cortina di ferro. È il caso degli scioperi ai cantieri navali di Danzica che porteranno
alla nascita di Solidarność nel settembre del 1980. E anche su questo tema si
sviluppa un interessante confronto tra il fondatore del Giornale ed alcuni suoi lettori
che non comprendono le ragioni della sua posizione. Un primo episodio di questo
duello si verifica con Francesco Maria Piantanida che scrive da Cossato
(Vercelli)197. Il signor Piantanida si dice “deluso” da un commento redatto dal
direttore il 22 agosto dal titolo Quella volta a Varsavia. Il lettore piemontese scrive
di “considerarlo veramente un articolo di fondo perché più in basso di così

195
Abbiamo trattato l’espressione menzionata ed il suo significato politico nel primo capitolo. I.
MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 169
196
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 169, 170
197
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 270-272

89
Montanelli non poteva scendere”. Ciò che Piantanida contesta al giornalista toscano
è l’incitamento rivolto “agli operai polacchi a starsene buoni e calarsi le braghe di
fronte all’orso sovietico”. Il lettore non capisce “come può uno storico, o che si
vanta tale, scrivere delle frasi del genere” come se “tutti quelli che si son sacrificati
in tutti questi secoli, nella ragione o nel torto, lo abbiano fatto inutilmente”. Porta
l’esempio di Jan Palach nell’ulteriore tentativo di muovere il fondatore del Giornale
a più miti consigli. Ma il direttore assume – ribadendola - una posizione più
articolata: “Dopo l’esperienza fatta in Ungheria, non mi sentivo d’incoraggiare i
polacchi a una rivolta, in cui l’Occidente li avrebbe lasciati soli a vedersela coi carri
armati sovietici, e quindi a finire sotto i loro cingoli come avvenne a Budapest nel
‘56”. Il giornalista toscano sottolinea che non voleva esortarli a “calar le brache”.
Voleva semplicemente “mettere in guardia da quelle pericolose illusioni di aiuti
esterni che ebbero tanta parte nello spingere gli ungheresi a un olocausto rivelatosi
poi del tutto inutile”. Viene insomma ribadita l’inutilità – almeno per i magiari e
quindi di conseguenza per i polacchi – della rivolta a causa del sicuro fallimento.
Eppure questo avvertimento – ancora una volta controcorrente anche nei confronti
del suo pubblico - viene letto come un appoggio involontario alla causa sovietica.
Montanelli sostiene di trovarsi però “in perfetta assonanza (…) con il cardinale
Wishisnki”, arcivescovo di Varsavia: ciò attribuisce alla posizione dell’opinionista
milanese d’adozione un significato maggiorato rispetto al semplice
anticonformismo.

Lo stesso episodio e la posizione del direttore causano un’altra discussione


con i lettori. In questo caso si tratta di Alfonso Sartori da Milano che sottolinea la
singolare consonanza di opinioni tra il Giornale nuovo e il segretario generale della
Cgil Luciano Lama198. In un’intervista il cui contenuto è riportato da Sartori, il
leader del più antico sindacato italiano aveva appunto parlato di “errori degli
estremisti da una parte e dall’altra” che avevano portato alla repressione del
dicembre 1981 mentre il Giornale nuovo – di cui il lettore milanese cita un fondo

198
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 396-398

90
di Mario Cervi su Lech Walesa – non aveva sostenuto un’idea molto differente.
Montanelli nella replica del 20 dicembre rivendica questa posizione ponendosi
inopinatamente al fianco del segretario generale della Cgil: “Gli operai polacchi
(…) non hanno dato un grande esempio di disciplina e di saggezza tattica. Invece
di tirarsi su le maniche, se le sono tirate giù, si sono spesso disuniti e abbandonati
a un assemblearismo inconcludente”. Qui comincia però la sezione apologetica:
“Come rivendicazioni, hanno avanzato un decimo di ciò che hanno da un pezzo
ottenuto i sindacati operai italiani. In confronto ai nostri, i loro salari fanno ridere e
i loro orari piangere”. Ecco quindi il passaggio attraverso cui il direttore completa
la sua posizione, dettata anche dalla considerazione della “totale impreparazione
alla lotta sindacale” degli operai. Secondo il giornalista toscano, “l’errore dei
polacchi è stato non capire che nel loro «contesto» non solo l’errore c’è, ma che
solo al regime spetta decidere quando c’è e come va punito”. Per questo le firme
del Giornale hanno “pensato e più volte detto” che “Solidarność aveva troppa fretta,
forzava pericolosamente i ritmi e tirava la corda”: perché si trattava di un “libero
sindacato” in “un regime totalitario”. A questo punto finalmente (per i lettori,
probabilmente scioccati da una simile consonanza di idee) compare il venenum in
cauda di Montanelli. “Lama non può pensare né dire” che il regime comunista non
tollera un’associazione libera dei lavoratori in quanto “secondo lui comunismo e
democrazia vanno perfettamente d’accordo, anzi sono sinonimi, anzi il comunismo
è l’unico sistema veramente democratico”. Ecco quindi la stoccata finale che
ristabilisce i rispettivi ruoli di avversari: “Da noi, sebbene ogni poco si torni ad
agitare il ridicolo fantasma del golpe, il pericolo di un Jaruzelski non c’è. Il
«contesto» non lo comporta. E quindi non c’è poi da meravigliarsi che un Lama ne
approfitti per rimproverare a Walesa di aver troppo cercato di rassomigliare a
Lama”.

Insomma, ciò che emerge dalla pagina delle lettere nel passaggio dagli anni
Settanta agli anni Ottanta è un timido accenno di ciò che il decennio successivo –
specialmente nella sua fase finale – riserverà all’Italia e al mondo. Indro Montanelli
lo coglie ed inizia a mutare la sua strategia, non più basata sull’emergenza dettata

91
dall’anticomunismo. Il direttore infatti nel 1979 riesce a mediare tra democristiani
e antidemocristiani attraverso un invito al voto di alcuni candidati dello scudo
crociato che danno garanzia di anticomunismo oltre al suggerimento di sostenere i
tre partiti laici199. In tal modo viene federata una base per certi versi ancora più
allarmata dall’avvento del Pci al potere. Ma il comunismo “puzza già di morto”
nonostante “missili e carri armati”, come scrive il fondatore del Giornale.200 E lo si
vede durante (e dopo) l’opposizione e gli scioperi in Polonia, in occasione dei quali
Montanelli e il Giornale nuovo mettono in guardia gli operai ribelli non concedendo
illusioni su possibili interventi internazionali. Una posizione apparentemente non
tanto distante da quella dell’Unione Sovietica. Una posizione che causerà
l’ennesimo scontro con i lettori.

199
S. GERBI, R. LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli,
2014, p. 429
200
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 129

92
9. I REFERENDUM SUL DIVORZIO E SULL’ABORTO
Gli anni di vita del Giornale da noi analizzati sono racchiusi tra due date
cruciali per il cambiamento dei rapporti tra la morale cattolica e l’etica civile dei
cittadini. Il 12 e 13 maggio 1974 l’Italia si divise sul referendum abrogativo della
legge che istituiva il divorzio causando anche una profonda spaccatura in seno ai
cattolici che originò la militanza di taluni - come Pietro Scoppola, Paolo Prodi e
Raniero La Valle - nelle file del “no”201. Il diciassette maggio 1981 ancora più nette
saranno le sconfitte del Movimento per la Vita che ottenne solo il 32 per cento dei
voti nella consultazione sull’abrogazione della legge depenalizzatoria dell’aborto e
del Partito Radicale che raggiunse l’11,58 per cento dei sì ad una ancora più estesa
liberalizzazione. Tra queste due date si sviluppa un intenso dibattito nell’opinione
pubblica che giunge anche sulle pagine della rubrica “La parola ai lettori”,
frequentata normalmente da molti cattolici.

Il Giornale nuovo esce per la prima volta in edicola il 25 giugno 1974,


poco più di un mese dopo il referendum sul divorzio. Ma la posizione di Montanelli
sul tema era già chiara dal 1966, quando della legge si cominciava appena a
parlare202. Infatti, la polemica nei confronti dei cattolici e di Paolo VI era già sul
Corriere della Sera asperrima: “Era ragionevole sperare che il papa ne rimettesse
il problema all’unico tribunale competente a pronunciarsi in proposito: la coscienza
dei fedeli. Purtroppo, da vero uomo di Chiesa, nella coscienza dei fedeli non ha
nessuna fiducia. Ne ripone molta di più nel tribunale dello Stato cui vorrebbe
accollare quei compiti coattivi che la sua Inquisizione non è più in grado di
assolvere per mancanza di fascino. Per montare la guardia al sacramento del
matrimonio, chiede i carabinieri”203. La frattura con i cattolici è profonda e arrivava
al punto di far vivere il referendum come una “guerra di religione” in cui la sfida

201
A. GIOVAGNOLI, La Repubblica degli italiani, Bari, Laterza, 2016, p. 84
202
Si veda ad esempio: I. MONTANELLI, Il divorzio e la coscienza, in "Corriere della Sera", 22
maggio 1966 o anche I. MONTANELLI, Divorzio o amnistia? in “Corriere della Sera”, 26 ottobre
1966
203
I. MONTANELLI, Montanelli risponde, in “Corriere della Sera”, 11 novembre 1972

93
era lanciata: “Si vedrà quanto sia fondata la posizione di privilegio che il
Concordato riconosce alla Chiesa come religione della «quasi totalità» dei
cittadini”. Del resto, lo stesso Montanelli beneficiò quasi subito della legge sul
divorzio nel 1974, ponendo fine al suo vincolo matrimoniale con Margarethe de
Colins de Tarsienne da cui era già separato dal 1951204.

La scissione con il mondo cattolico – certificata anche dalla querela di


Gabrio Lombardi all’allora firma della Domenica del Corriere - non può che
riverberarsi nel dialogo con i lettori205. A ravvivarla contribuisce un articolo di
Rosario Romeo dal titolo “«Steccati» fuori tempo”206. Il signor Giancarlo Caminada
si indispettisce e spedisce una lettera da Vimercate (Milano) per attaccare le idee
del Giornale espresse in quell’articolo di fondo207. Scrive infatti il lettore milanese:
“Quando c’è stato il referendum tutti i partiti laici si sono trovati d’accordo coi
comunisti nel sostenere il divorzio, anticipando così quel compromesso storico che
ora vi fa tanta paura. Adesso che al compromesso storico cominciano a occhieggiare
i democristiani offrite la vostra alleanza per averli dalla vostra parte”208. Un
atteggiamento che viene definito “comodo” per Montanelli e il Giornale nuovo.
Un’accusa che vuole colpire in profondità in quanto il direttore ha spesso schierato
(o sostenuto di schierare) il suo “partito” in posizioni scomode. Il giornalista
toscano viene inoltre comparato a “Mosca”, definito “più antiveggente” in quanto
“ha scritto che, pur essendo divorzista, avrebbe votato contro il divorzio perché
capiva che era un voto politicizzato”. Proprio per questo “adesso (…) i laici di
centro destra si agitano senza voler ammettere di avere recato acqua al mulino del
Psi. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso”. L’offensiva arriva a colpire
Montanelli anche sul personale, a testimonianza di quanto sia sentita la causa: “Lei

204
S. GERBI, R. LIUCCI, Indro Montanelli in “Dizionario biografico degli italiani”, a cura di Autori
Vari, 2011, http://www.treccani.it/enciclopedia/indro-montanelli_%28Dizionario-Biografico%29/,
(ultima consultazione il 14 gennaio 2020)
205
S. GERBI, R. LIUCCI, Indro Montanelli. Una Biografia (1909-2001), Milano, Ulrico Hoepli,
2014, p. 351
206
R. ROMEO, “Steccati” fuori tempo, in “il Giornale nuovo”, 5 gennaio 1975, p. 1
207
Sul foglio milanese veniva specificato quando un’opinione impegnava il Giornale nuovo e quindi
e contrario quando si trattava delle idee di un’articolista
208
I. MONTANELLI, Caro direttore, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 51-54

94
mi dirà che se arriva il comunismo ne andremo di mezzo anche noi. Lo ammetto.
Ma lei ci andrà di mezzo più di me, perché sono nullatenente”. Il direttore il 10
gennaio 1975 risponde in primo luogo all’invettiva personale, sostenendo che “se
fosse per il nullatenente, posso garantirle che anch’io mi sentirei salvo”. E
contrattacca: “Il mio torto, agli occhi dei comunisti, è un altro: di non essere uno di
quei cattolici che oggi non vedono l’ora di chiamarli al potere e di spartirlo con
loro”. Montanelli distingue tra la “battaglia civile” sul divorzio e quella politica
ribaltando la versione dei fatti propostagli dal lettore. Il giornalista toscano
evidenzia che, avendo la Democrazia Cristiana trasformato il primo conflitto nel
secondo, i laici come lui furono “costretti a lasciarla sola e ad abbandonarla alla
sconfitta”. Ma non furono solo gli anticomunisti non credenti ad opporsi. Anche
“parecchi sacerdoti (si provi a negarlo) votarono per il no”. Il direttore sostiene però
“di aver anticipato il suo atteggiamento” molto prima della consultazione elettorale
(come abbiamo verificato) e che quindi “siete voi che vi siete assunti la
responsabilità di andare soli allo sbaraglio”. A quel punto, secondo la sua
ricostruzione, i laici anticomunisti hanno tentato “di dire alto e forte che non si era
trattato di una battaglia politica” per “salvare il salvabile” per tutti. Ad ogni modo,
Montanelli evidenzia che “qualsiasi cattolico legga questo giornale con occhi non
affumicati dalla partigianeria deve riconoscere che, pur essendo laico, è rispettoso
non soltanto verso la Chiesa, ma anche verso il partito democristiano, di cui non si
è mai augurato (Romeo lo ha detto in termini chiarissimi) la spaccatura”. Come già
detto però, lo scudo crociato può essere imbracciato e sostenuto solamente nelle
battaglie politiche. Non in quelle civili, anche se diversi cattolici (come lo stesso
lettore fa ora) “hanno cercato di darci ad intendere che votare per il divorzio
equivaleva a votare per i comunisti. Per fortuna non era vero, altrimenti oggi non
sareste più al potere”. La chiusa finale riassume perfettamente il pensiero del
direttore: “Signor Caminada, ci ripensi. La sua causa è migliore delle armi che lei
usa per difenderla”. Insomma, l’anticomunismo (che rimane) non val bene un voto
antidivorzista. Non per i laici come Montanelli. E questo viene ribadito, pur con
mille cautele, ai cattolici.

95
Il Giornale racconta invece appieno il dibattito sull’interruzione volontaria
di gravidanza. Qui la posizione del direttore e la sua federazione dei lettori creano
un pulviscolo nebuloso e zeppo di polemiche. Si comincia nella rubrica “Montanelli
risponde” dell’11 novembre 1972 sul Corriere della Sera209. La posizione del
futuro fondatore del Giornale viene espressa con grande chiarezza: “Se a partorire
fossero gli uomini, l’aborto sarebbe da un pezzo un sacramento”. Si tratta insomma
di una posizione antimaschilista (contro il maschilismo clericale, nella fattispecie)
che sorprende, visto che - come abbiamo visto in precedenza – il giornalista toscano
spesso si trova dall’altra parte della barricata. Posizione che causò già allora la
rivolta dei lettori. Uno scrisse infatti all’allora direttore Piero Ottone sostenendo
che “sono asserzioni che disonorano il vostro giornale. (…) difendendo l’aborto si
va verso l’egoismo più barbaro e crudele (e Voi ve ne rendete conniventi)”210.

Cambiato quotidiano, il direttore assume invece una posizione molto più


sfumata con l’editoriale “Peccatori con imprimatur” che, in occasione dell’Epifania
del 1979, dà la linea al Giornale211. Un articolo che esprime un concetto cardine:
“Lo Stato parli ai cittadini. Il papa parli ai fedeli. Quando il diktat dell’uno si trova
in contrasto col Magistero dell’altro, cioè quando lo Stato considera diritto – come
è sua facoltà – ciò che il papa considera peccato – com’è suo dovere -, sta a noi
addossarci la responsabilità della scelta”. Scelta che però il giornalista non esplicita:
ciò porterà ad un profluvio di polemiche e di accuse che spaccheranno la base del
partito del Giornale. Confermando il pensiero di Montanelli, espresso nel
medesimo editoriale: “Noi italiani – abbiamo il coraggio di dircelo in faccia,
francamente – con le responsabilità ce la intendiamo poco. Quando non riusciamo
a declinarle, tiriamo invece a spartirle”. Richiesta di “responsabilità” che i lettori –
laici anticlericali o cattolici - interpretano come una ritirata di fronte ad un tema
così importante. E quindi non possono condividerla.

209
I. MONTANELLI, Montanelli risponde, in “Corriere della Sera”, 23 settembre 1972
210
Archivio storico del Corriere della Sera, Fascicolo Indro Montanelli, Corriere della Sera, 25
settembre 1972
211
I. MONTANELLI, La stecca nel coro, Milano, Rizzoli, 1999, pp. 146-148

96
La strategia del direttore ha una sua articolazione anche nella rubrica “La
parola ai lettori”. Montanelli pubblica spesso contrapposte le accuse che
provengono da posizioni diversi. In questo modo egli può estraniarsi dalle
lamentele degli opposti estremismi facendoli di fatto cozzare l’uno contro l’altro.
L’idea di non prendere posizione potrebbe teoricamente aiutare a non inimicarsi né
laici anticlericali né cattolici in argomenti divisivi ma non caratterizzanti in primo
luogo la battaglia del Giornale. All’atto pratico tuttavia, con questo comportamento
il giornalista toscano sembra maggiormente attirarsi le ostilità di entrambi in quanto
i temi etici vengono percepiti come straordinariamente importanti e bisognosi di un
approccio dogmatico, sia da una parte che dall’altra. Esempi di questo dibattito si
hanno sia prima che dopo il referendum.

Ecco il primo: “Che laicismo è questo?”, chiede il signor Tornaquinci da


Roma212. “Il laico,” - continua il lettore proveniente dalla metropoli che accoglie la
Città del Vaticano – “in un conflitto tra Stato e Chiesa, sta con lo Stato:
specialmente in un Paese come l’Italia che ha avuto il torto di stare troppo a lungo
con la Chiesa, e ora ne paga le conseguenze”. Il lettore si definisce “un vecchio
abbonato del Giornale” costretto a dirgli “lealmente addio” in quanto,
nell’editoriale prima citato, Montanelli “comincia col professarsi laico, ma poi
finisce con un inno al Papa e schierandosi con lui sulla questione dell’aborto”. In
effetti, nell’articolo di prima pagina il direttore è molto più morbido con Giovanni
Paolo II rispetto soprattutto al veemente intervento contro il suo predecessore Paolo
VI precedentemente citato nel dibattito sul divorzio. Secondo il giornalista toscano
infatti, “il papa non si rivolge affatto allo Stato per ingiungergli di ritrarre o
modificare le sue leggi: oltre tutto, gliene mancherebbero i mezzi. Il suo
interlocutore è il fedele, al quale egli dice: «Lo Stato non ti dà un ordine: ti concede
un diritto, del quale puoi usare o no. Se lo usi, come cittadino non commetti un
reato, ma come credente commetti un peccato da dannazione eterna. Scegli»”. A
questo punto il fondatore del Giornale si chiede “cos’altro potrebbe e dovrebbe

212
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 125, 126

97
dire, un papa?” Sottolineando la necessità delle affermazioni del pontefice: “E cosa
ci starebbe a fare, un papa, se non per dire queste cose?”213 Infatti “la Chiesa potrà
aggiornare gli abiti talari, i suoi servizi postali, magari anche (e, come abbiamo
visto, è già pericoloso) le sue liturgie. Ma non le verità, su cui è costruito tutto il
suo edificio, e fra le quali la sacralità della vita umana è fondamentale”. Tornando
alla missiva, il lettore avanza invece un’insinuazione che si rivolterà contro di lui:
“Per un lettore laico che perde, chissà quanti ne acquisterà, dopo quell’articolo, fra
i clericali”.

La sua idea è infatti confutata da Alberto Strampelli, un milanese la cui


lettera viene inserita nella stessa pagina dal direttore. Questo lettore attacca
confessando di “aver nascosto il Giornale perché non cadesse sotto gli occhi dei
miei figli”. Anche qui si tratta di un’invettiva fatta “con dolore” ma anche in questo
caso il quotidiano milanese viene rifiutato: “non entrerà più in casa mia”, scrive
Strampelli. Il lettore si sente “tradito” dal fatto che Montanelli, pur “parlando”
anche (ed è proprio questa congiunzione che sfugge al suo pubblico) “da cattolico”,
“fa l’apologia dell’aborto che la Chiesa considera – giustamente – un delitto, e
condanna senz’appello”.

La posizione del giornalista toscano viene però ribadita nella risposta del
10 gennaio 1979 sostenendo che “lo Stato non poteva non regolare l’aborto, visti i
pericoli e le ingiustizie della pratica clandestina”214. Ma è vero anche che “la Chiesa

213
Il riferimento è all’udienza generale di mercoledì 3 gennaio 1979. Giovanni Paolo II aveva
infatti dichiarato: “ciò che viene eufemisticamente definito come «interruzione della gravidanza»
(aborto) non può essere valutato con altre categorie autenticamente umane, che non siano quelle
della legge morale, cioè della coscienza. (…) Di conseguenza, non si può lasciare sola la madre
che deve partorire, lasciarla con i suoi dubbi, difficoltà, tentazioni. Dobbiamo starle accanto,
perché abbia sufficiente coraggio e fiducia, perché non aggravi la sua coscienza, perché non sia
distrutto il più fondamentale vincolo di rispetto dell’uomo per l’uomo. Difatti, tale è il vincolo, che
ha inizio al momento del concepimento, per cui tutti dobbiamo, in un certo modo, essere con ogni
madre che deve partorire; e dobbiamo offrirle ogni aiuto possibile”. GIOVANNI PAOLO II,
Udienza generale, in “vatican.va”, 3 gennaio 1979, http://www.vatican.va/content/john-paul-
ii/it/audiences/1979/documents/hf_jp-ii_aud_19790103.html (ultima consultazione il 14 gennaio
2020)
214
In precedenza, il divieto “introduceva tra le gestanti inaccettabili discriminazioni, favorendo
quelle che potevano andare a consumarlo in costose cliniche estere e si prestava a odiose
speculazioni da parte di medici disonesti e incapaci”, spiegava Montanelli nel suo editoriale prima
citato. I. MONTANELLI, La stecca nel coro, Milano, Rizzoli, 1999, p. 146

98
non può non condannare questa pratica”. Il fondatore del Giornale si appella alle
conquiste dello Stato di diritto che consentono “di porre il cittadino nella condizione
di scegliere” fra “norma civile e norma religiosa”. Infatti “uno Stato che proibisse
alla Chiesa d’interloquire su un problema morale come questo sarebbe uno Stato
totalitario, così come una Chiesa che proibisse allo Stato di regolare un problema
come questo, che è anche civile, sarebbe una teocrazia”. Montanelli riconosce di
essere “dispiaciuto moltissimo” per la perdita dei lettori: ha capito che si tratta
davvero di fedelissimi. Ma non per questo abbandona la sua trincea, di cui anzi
rivendica l’importanza: “Noi ci rivolgiamo a quelli che, fra un imperativo civile e
un imperativo religioso, accettano di assumersi la responsabilità di una scelta, anche
quando è angosciosa come nel caso dell’aborto”. Anche se costoro fossero “una
minoranza di uomini, qualifica che spetta solo a coloro che hanno una coscienza”.
Il direttore utilizza quindi il fuoco incrociato per scavare un fossato tra il partito del
Giornale e gli altri italiani che “con le responsabilità se la intendono poco”. Un
partito che si trova in disaccordo sia con i laici anticlericali che con i cattolici.

La nave del Giornale non cambia rotta nemmeno a referendum appena


concluso. Il direttore raccoglie infatti un altro collage di lettere che sistematizza
contrapponendole. In primis, favorevole ad un dibattito sull’aborto senza
preconcetti sembra essere Vittorio Versace da Milano215. Questi racconta di essere
“un ex lettore del Corriere della Sera” e quindi “un nuovo acquirente del suo
giornale: questo a causa della posizione oltranzista assunta dal Corriere a favore
dell’aborto”. Il signor Versace si dice addirittura convinto che il quotidiano di via
Solferino sia a sostegno “del complessivo disegno strategico che mira a togliere nel
nostro Paese ogni rilevanza sociale al Cristianesimo e alla Chiesa”. Il lettore – che,
a quanto scrive Montanelli nella risposta, è un “aderente al Movimento per la vita”
- mette le mani avanti sostenendo di “non sapere se anche il Giornale si muova su
tale binario”. Mostra tuttavia di apprezzare la pubblicazione di “lettere, in tema di

215
La sua e le altre lettere si trovano in I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp.
345-347

99
referendum, che non si sarebbe mai neanche sognato di poter leggere sul giornale
della Rizzoli”.

Di avviso opposto il lettore Vincenzo Caricati che scrive da Andria (allora


in provincia di Bari). Costui si dice “fedele e assiduo lettore de il Giornale, dal
giugno 1974” e scrive di ritenere il direttore “un punto di riferimento della cultura
laica”. Tuttavia, questa stella si è “spenta” e, pur ammettendolo “con la morte nel
cuore”, il signor Caricati sostiene di non riuscire più a leggere il Giornale nuovo. È
molto interessante analizzare il motivo dell’accusa: “Unico e decisivo argomento
per un laico, come lei è, è quello della tutela di un diritto, quello alla vita, che pure
ha avuto ufficiale proclamazione nella famosa sentenza della Corte Costituzionale
n. 27 del ‘75”216. L’offensiva viene quindi modulata sull’interlocutore con un
interessante (e abile) gioco retorico. Si cita un organo dello Stato per convincere
chi più crede nel ruolo dello Stato stesso. Il lettore (insieme ad altri, come vedremo)
sostiene anche che Montanelli dia “ampio spazio agli interventi di suoi autorevoli
collaboratori (…) favorevoli al «doppio no»” mentre per trovare le voci del
Giornale “favorevoli alla proposta del Movimento per la vita” bisogna leggere
“altrove”. Insomma, l’accusa è ben articolata. Ma non meno pesante.

Posizione opposta ma uguale ha don Peppino Baldas che scrive da Gorizia.


Secondo il sacerdote è infatti normale (dice perciò di non provare “rancore” per
questo) che il fondatore del Giornale, “da buon laico”, non “sposi la causa dei più
indifesi: i bambini non nati”. E la ripicca ricorda quella di Giancarlo Caminada di
Vimercate (in provincia di Milano). Proprio come costui, anche don Baldas allarga
il divorzio con Montanelli estendendolo ad altri campi in cui il direttore lo

216
La sentenza aveva dichiarato (…) l'illegittimità costituzionale dell'art. 546 c.p “nella parte in
cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l'ulteriore gestazione implichi
danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato … e non altrimenti evitabile, per la salute della
madre”. Prima di giungere a tale conclusione la Corte aveva precisato tuttavia che “l'esenzione
da ogni pena di chi, ricorrendo i predetti presupposti, abbia procurato l'aborto e della donna che
vi abbia consentito non esclude affatto, già de jure condito, che l'intervento debba essere operato
in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto”. E. PULICE, Corte
costituzionale – sent. 27/1975: illegittimità parziale del reato di aborto, in “BioDiritto”, 3 giugno
2019, https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Giurisprudenza/Corte-costituzionale-sent.-27-1975-
illegittimita-parziale-del-reato-di-aborto (ultima consultazione il 14 gennaio 2020)

100
eviterebbe. Il sacerdote scrive infatti di “non poter seguire, come cristiano, il
direttore su nessuna battaglia «civile», quando egli non è stato al fianco dei cristiani,
per la battaglia più grande che è quella in difesa della vita”. Il sacerdote,
abbandonando il Giornale nuovo, rinuncia addirittura a leggere gli articoli di un
“amico personale” (Giorgio Torelli) “invitato due volte a Gorizia”217. Si tratta
insomma di un addio al foglio milanese sofferto e pronunciato ribadendo la “stima”
verso il suo fondatore.

L’ultimo (nell’ordine delle lettere stabilito dal giornalista milanese


d’adozione) a dissentire, senza però i toni apocalittici appena osservati, è il signor
Carmelo Suppogni da Torreglia (in provincia di Padova). Questo “abbonato e
propagandista” non dice addio al quotidiano ma confessa: “Dovrò fare fatica a
rimanere lettore”. La lettera è però molto moderata nei toni “non contestando al
Giornale il diritto di sostenere liberamente le sue tesi”. Il signor Suppogni, pur
“ferito e deluso”, sarebbe pronto anche a permettere gli “anticoncezionali (…) o
altri metodi” ma non può accettare la “soppressione di un essere innocente e difeso”.
Una delusione mitigata appunto da un cattolicesimo aperto a modi diversi di vivere
la sessualità.

Indro Montanelli decide ancora una volta di replicare ad un estremismo


con l’altro. Ecco che quindi riporta, nella risposta del 28 maggio 1981, il parere di
Mario Melloni (alias Fortebraccio) su l’Unità secondo cui “per la campagna
referendaria quelli del Giornale sono diventati «tutti oranti e devoti» e si sono fatti
«montanelliani scalzi»”. Ribadisce poi la sua idea enfatizzando le parole del lettore
milanese Vittorio Versace che avrebbe visto nel Giornale un “atteggiamento (…)
equilibrato e rispettoso verso le tesi della Chiesa”. Tuttavia, per un laico come il
direttore, nemmeno la sentenza della Corte costituzionale citata da Vincenzo

217
Non a caso, come riporta lo stesso lettore, Giorgio Torelli aveva firmato “un documento
favorevole alla proposta del Movimento per la vita, apparso sul quotidiano Avvenire del 14 maggio
1981”. I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 346

101
Caricati è un “argomento”. Solo la “coscienza” è il giusto tribunale per queste
decisioni.

Il dissidio più frequente resta comunque quello con i cattolici non disposti
a compromessi. Un esempio di ciò è dato dalla lettera del (e dalla risposta, datata
17 maggio 1981, al) lettore milanese Dino Collevati218. Collevati prende subito le
distanze sottolineando di non chiamare più “orgogliosamente «nostro»” il Giornale
nuovo anche se ammette di “sperare di poterlo fare nuovamente”219. Questo lettore
dimostra però di non aver condiviso totalmente la linea del foglio montanelliano
nemmeno in passato. Si definisce infatti “cattolico” e dice di “non voler celare un
certo malcontento per alcune ironie del direttore di bassa lega sulla Chiesa e per la
poca attenzione usata nella scelta del vaticanista” (D’Andrea, NdR). Fin qui il
legame identitario con il fondatore del Giornale è stato insomma “sul piano terreno
e naturale”. Tuttavia, “se” il giornalista toscano “non è capace di difendere la Vita
come potrà difendere la verità e la libertà?” Questa è la domanda che (si) pone il
signor Collevati, insinuando una perdita di attendibilità di Montanelli. Questo
schieramento non sarebbe però causato dalla “paura”. Il lettore milanese deve infatti
ammettere che l’ex firma del Corriere della Sera “non si è mai fatto scrupoli di dire
ciò che pensava”. Ecco che lo accusa allora di “incertezza” in quanto “i lettori
vorrebbero il sì (e il direttore lo sa bene), ma lui invece sarebbe più per il no” alla
proposta del Movimento per la Vita. L’analisi probabilmente non è molto lontana
dalla realtà, stando a quanto visto e analizzato in precedenza. Tuttavia, il lettore
cattolico gioca ancora un’ultima carta. Come abbiamo visto, il suo legame con il
fondatore del foglio milanese è “sul piano terreno e naturale” e quindi tenta di
convincerlo che “l’aborto non è solo una questione divina, ma già umana”.
Insomma, pur ammettendo di “pregare da tempo per la conversione della prima
firma del Giornale”, cerca di tranquillizzarlo sostenendo che “non ha bisogno di
rinunciare al suo ateismo per proclamare la criminalità dell’aborto”. Il direttore,

218
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 338-340
219
Come abbiamo visto, l’utilizzo dell’aggettivo possessivo alla prima persona plurale esprimeva
l’appartenenza dei lettori al partito del Giornale

102
rispondendo il 16 maggio 1981, ripudia innanzitutto un’accusa piuttosto diffusa tra
i lettori e mossa anche dal signor Collevati: quella di impedire, “a chi è pronto a
lottare” per l’abrogazione della legge, “di farlo” “dalle autorevoli colonne del
Giornale nuovo (…)”. In seguito, il giornalista toscano condanna – come fatto nella
risposta alla lettera di Giancarlo Caminada contro l’introduzione del divorzio –
“l’irresistibile tendenza che abbiamo noi italiani (dico noi, sia chiaro) a confondere
i problemi civili (politici, sociali, economici) con quelli morali220. Montanelli non
permette perciò che il lettore “si sostituisca alla sua coscienza per insegnargli la via
del coraggio, della verità e della giustizia”. E contrattacca sostenendo che “non c’è
barba di Parlamento che possa farmi abdicare ai miei princìpi morali”. Prende
insomma le distanze dal cattolicesimo più integralista. Senza farsi tuttavia prendere
la mano con accuse solamente infamanti. Scrive infatti nella replica: “Riuscirò mai
a far capire questo a un cattolico? Ne dubito molto, e questa è la mia disperazione”.
Al direttore insomma “dispiace” perdere lettori credenti anche perché “forse
sull’aborto noi abbiamo le stesse idee”. Il giornalista toscano arriva addirittura a
parlare di una sua Fede in un Dio che però “è, in alcune cose, dissimile” da quello
del lettore. È disposto anche ad ipotizzare una sua conversione ai “princìpi”
cattolici. Tuttavia, ciò che non può proprio tollerare è un “sopruso” verso “la sua
coscienza”.

“Sopruso” che compie anche il giovane lettore Mauro Leonardi da


Genova. Costui, “studente del terzo anno di economia e commercio”, confessa di
“leggere quotidianamente il «Giornale» da circa tre anni” pur “non nascondendo”
di averlo fatto “diverse volte «turandomi il naso»” e riconoscendolo perciò come
“il meno peggio”221. Egli tenta di correggere le idee di Montanelli su Licio Gelli
(nella risposta il primo definirà il secondo “un ciarlatano che si compiaceva di
ammantarsi di mistero”) e sulla massoneria (il giornalista toscano ribadirà però di

220
Tesi fondamentale di Montanelli è quella secondo cui anche lui, con i suoi pregi e i suoi difetti,
appartiene pienamente al popolo italiano. Da esso non si estranea infatti mai. Nemmeno quando
(spesso) lo bacchetta. Si veda ad esempio: I. MONTANELLI, La stecca nel coro, Milano, Rizzoli,
1999, p. 148
221
I. MONTANELLI, Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 348, 349

103
“aver conosciuto, nella giovinezza, dei massoni molto perbene”). Da qui
scaturiscono le accuse al direttore di differenziare “morale «cattolica» e morale
«laica»” e di mettere le “«notizie dal Vaticano» tra le notizie dall’interno come se
Piazza S. Pietro fosse di proprietà della piccineria italiana”. Insomma, il fondatore
del Giornale viene invitato a lasciare la “«morale» massona” per perseguire “un
giusto ideale” (e non un generico credo, anche e soprattutto se fosse massonico) con
la consueta “schiettezza e coerenza di vita” che Leonardi gli riconosce. La risposta
del giornalista toscano - pubblicata il primo giugno 1981 - è durissima. Ribadisce
il diritto al dissenso sulle “idee del Giornale” ma non consente di ribaltare su di
esso l’accusa che il foglio milanese muove alla Democrazia Cristiana. Montanelli
non fa infatti concessioni sull’onestà intellettuale della sua creatura e sottolinea che
“anche gli errori, nel nostro giornale, odorano di bucato”222. Oltre a questa critica e
all’accostamento del pensiero del direttore alle idee della massoneria, ciò che
probabilmente causa l’irata risposta è ancora una volta la pretesa di imporre “un
giusto ideale” da parte di un fedele: “Se lei ritiene che solo voi, cattolici praticanti
e integralisti, avete il monopolio dell’onestà e della pulizia, nonché il diritto di
decidere quali sono gli ideali per i quali si può vivere e morire, si sbaglia di grosso”.
Si noti che nella reprimenda vengono inclusi solamente i “cattolici praticanti e
integralisti”. Non la totalità dei devoti, cui il fondatore del Giornale non nega il
rispetto.

Insomma, cattolici e laici non possono andare d’accordo su temi etici. Per
questo, Montanelli non assume una posizione troppo filocattolica ma nemmeno
anticattolica. Il direttore sa infatti che per il partito del Giornale la decisione rischia
di essere alquanto divisiva. Anche per questo nel referendum sull’aborto enfatizza
“la responsabilità della scelta”223. Tuttavia, il giornalista toscano non comunica
chiaramente la sua posizione. Da questa decisione sgorgherà – contro la sua volontà
- un profluvio di polemiche e di accuse che spaccheranno la base del partito del

222
La difesa dell’onestà intellettuale dei cronisti del Giornale si ritrova anche in I. MONTANELLI,
Caro lettore, Milano, Rizzoli, 1994, p. 107
223
I. MONTANELLI, La stecca nel coro, Milano, Rizzoli, 1999, p. 148

104
Giornale. Insomma, tentando di federare i lettori su argomenti per cui è quasi
impossibile trovare un compromesso, il direttore finisce per dividere ancora di più
la base. Di fatto, nessuna delle parti in causa è disposta a cedere un millimetro: ne
andrebbe della serietà delle sue argomentazioni.

105
BIBLIOGRAFIA
Libri:

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italiana, Milano, Garzanti, 1985, p. 163

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MONTANELLI INDRO, Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana


Abate, Milano, Rizzoli, 2017, pp. 125, 245

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Milano, Bompiani, 1977, p. 309

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BOLOGNINI LUIGI, Il Palazzo dei giornali che non fa più notizia, in “la
Repubblica”, 13 agosto 2011

GUADAGNI DAVIDE, Quando D’Alema trattò per il Comune in “Il Tirreno”,


domenica 7 aprile 2008, p. III

MONTANELLI INDRO, Il divorzio e la coscienza, in "Corriere della Sera", 22


maggio 1966

MONTANELLI INDRO, Divorzio o amnistia? in “Corriere della Sera”, 26 ottobre


1966

MONTANELLI INDRO, Montanelli risponde, in “Corriere della Sera”, 23


settembre 1972

MONTANELLI INDRO, Montanelli risponde, in “Corriere della Sera”, 11


novembre 1972

MONTANELLI INDRO, Una scheda da riempire in “il Giornale nuovo”, 15


giugno 1976, p. 1

MONTANELLI INDRO, Sorvegliato speciale in “il Giornale nuovo”, 31 luglio


1976

MONTANELLI INDRO, Malgrado loro¸ in “il Giornale nuovo”, 9 luglio 1978, p.


1

MONTANELLI INDRO, Non basta il ripudio, in “il Giornale”, 22 ottobre 1990

MONTANELLI INDRO, La stanza di Montanelli. Macché partito, il comunismo


era una chiesa, in “Corriere della Sera”, 1° marzo 2001

MONTANELLI INDRO, Necrologio, in “Corriere della Sera”, 23 luglio 2001, p. 1

ROMEO ROSARIO, “Steccati” fuori tempo, in “il Giornale nuovo”, 5 gennaio


1975, p. 1

[non firmato], Un grazie agli elettori per i «nostri» eletti in “il Giornale nuovo”, 23
giugno 1976

107
Sitografia:

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http://www.treccani.it/enciclopedia/indro-montanelli_%28Dizionario-
Biografico%29/ (ultima consultazione il 14 gennaio 2020)

GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, in “vatican.va”, 3 gennaio 1979,


http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1979/documents/hf_jp-
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PULICE ELISABETTA, Corte costituzionale – sent. 27/1975: illegittimità parziale


del reato di aborto, in “BioDiritto”, 3 giugno 2019,
https://www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Giurisprudenza/Corte-costituzionale-
sent.-27-1975-illegittimita-parziale-del-reato-di-aborto (ultima consultazione il 14
gennaio 2020)

[non firmato], Il governo della “non sfiducia”, nel 1976 in “Il Post”, 10 aprile 2013,
https://www.ilpost.it/2013/04/10/il-governo-della-non-sfiducia-nel-1976/ (ultima
consultazione il 14 gennaio 2020)

Lettere da archivi:

Archivio storico del Corriere della Sera, Fascicolo Indro Montanelli, Corriere
della Sera, 25 settembre 1972

Archivi della Fondazione Montanelli Bassi, Fondo Indro Montanelli,


Corrispondenti, Lettera, Indro Montanelli a Enzo Bettiza, Milano, 13 febbraio 1983

Archivi della Fondazione Montanelli Bassi, Fondo Indro Montanelli,


Corrispondenti, Lettera, Indro Montanelli a Enzo Bettiza, Milano, 25 febbraio 1983

Archivi della Fondazione Montanelli Bassi, Fondo Indro Montanelli,


Corrispondenti, Lettera, Giorgio Almirante a Indro Montanelli, Roma, 26 aprile
1983

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