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Le politiche sociali

Difficile vivere ogni giorno, se si è bambino, anziano, mamma. Complicato studiare, andare in
biblioteca, perfino divertirsi se si è giovane. Pesante, se si deve avere a che fare con sportelli e
burocrazia. Difficile, talvolta ostile, se si deve conciliare lavoro (se e quando c’è) e la cura in un
mondo troppo maschile.
L’obiettivo generale, il segno della politica che proponiamo è il sostegno dei progetti di vita
autonoma – dei giovani ma non solo - cioè casa, istruzione e soprattutto il superamento delle
barriere fisiche e sociali, per procedere verso una società aperta, libera e solidale. Autonomia non
vuol dire solitudine, che anzi è il grande nemico, la condizione che accomuna troppe donne e
troppi uomini a Milano e che è il simbolo del fallimento delle politiche dele giunte di centrodestra,
se anche il Cardinale Tettamanzi parla di “solitudine della metropoli”. Autonomia come base per
una vita di relazione ricca, che ricostruisce legami affettivi e legami sociali e che il Comune
sostiene con le sue scelte di politiche pubbliche. Altro che la retorica della libertà di scelta – che
rimanda ad un mercato che, quando esiste, trasforma il diritto ad una vita serena in acquisto di
una merce di cui si sa poco o nulla. Altro che la retorica sulla famiglia, che tutti si sentono costretti
a indicare ma sulla quale – ed in essa prevalentemente sulle donne - si sono scaricati il peso e il
costo delle tante crisi che si intrecciano in questi anni.
Questa impostazione ci fa vedere in modo diverso anche l’aspetto fisico della città. Non è una città
amica quasi per nessuno. Negozi, laboratori, centri servizi, perdono ogni giorno clienti e affari;
perfino i servizi pubblici “perdono” in termini di soddisfazione del cittadino che ne ha bisogno,
dall’ambulatorio alla scuola. Strade sconvolte da lavori “a ripetizione”, mancato coordinamento tra
lavori per gas, acqua, rete elettrica ecc.; pali segnaletici confusi e scoordinati, una vera “boscaglia”
metallica che rende brutto il panorama e spesso faticoso camminare per le strade cittadine. E se
deve camminare un bambino ai primi passi? Una mamma con la carrozzina? Un disabile? Ecco
perché assumere il punto di vista di questi particolari cittadini ci fa migliorare la vita di tutti i
cittadini.

5.1 – Cambiare le politiche pubbliche


Milano è una città ricca ma presenta molti e complessi problemi di marginalità sociale, di
esclusione economica o di accesso ai servizi, di degrado delle infrastrutture.
Occorre:
• potenziare gli strumenti di ascolto dei cittadini e delle associazioni, antenna essenziale,
quando non addirittura campanello di allarme per l’Amministrazione;
• analizzare le caratteristiche specifiche di ogni problema;
• attivare le risorse che possono concorrere alla trattazione del problema.
Che situazione si eredita?
1. La macchina amministrativa non è all’altezza delle necessità. Dirigenza di nomina politica
spesso non competente che ha messo ai margini la vecchia dirigenza competente e così
fortemente demotivata; quadri intermedi delusi e frustrati; sofferenza di operatori che si
sentono soli; scarso impegno per la formazione ad un lavoro di progettazione sul territorio;
rigidità negli orari di funzionamento dei servizi.
L’aspetto più grave è che non c’è regìa: tutto, gestire i processi, costruire reti, fare politiche
è lasciato alle fondazioni, col risultato di una spesa non efficiente, poco e male controllata,
non c’è programmazione. Eppure il comune spende più di 450 milioni di euro, il 30% del
bilancio: sono attive oltre 800 convenzioni con il privato sociale ma non c’è governo.
C’è quindi un ruolo da riprendere, da svolgere con competenza e autorevolezza,
coinvolgendo fondazioni e terzo settore, come partner della progettazione, non come
“fornitori”.
2. Abbiamo a che fare con un’assenza totale di pensiero attorno al tema del benessere e del
welfare e un impoverimento culturale. Non si fanno interventi nei contesti di normalità, non
si promuovono relazioni e non si offrono punti di riferimento, si chiudono servizi (l’educativa
di strada, i Centri di aggregazione giovanile) ma soprattutto si rinuncia alle politiche, come
nel caso dei minori adolescenti a rischio di devianza e tutto il capitolo degli immigrati. che si
lega – anche se non esaurisce – il capitolo delle condizioni di vita nei quartieri periferici. Da
più lungo tempo – ma non con minore responsabilità – si è tornati indietro rispetto alla
integrazione tra politiche sociali e politiche sanitarie, sull’onda anche degli orientamenti del
centrodestra in Regione, col risultato che ricadono sul sanitario problemi che dovrebbero
invece essere sociali (come nel caso della riabilitazione dei disabili): si medicalizza troppo
e si investe troppo poco sul territorio

Per tutte queste ragioni occorre riformare la macchina comunale, decentrare, costituire task force
per interagire con la città, con i territori e i quartieri.
Questa strategia si fonda su valori e linee di azione sperimentate con successo a Torino ma anche
a Milano come il Villaggio Barona, Paolo Pini, Bosco in Città ecc. La logica non è quindi repressiva
ne assistenzialistica ma promozionale. Rovesceremo la logica esistente ascoltando la città.
La Costituzione affida l’intervento sociale al Comune che però oggi può disporre solo del 15%della
spesa sociale quindi:
• rivendicheremo il progressivo trasferimento di queste risorse
• riformeremo quindi nel loro insieme le erogazioni economiche e i servizi
• rivedremo e decentreremo l’organizzazione obsoleta dell’assistenza comunale
• perseguiremo l’equità nell’accesso ai servizi per minori, anziani, disabili e di altri bisogni
rimodulandone il costo ai redditi effettivi ed esentandone i meno abbienti
• estenderemo e potenzieremo forme di presenza come quella dei custodi sociali
• abbatteremo ovunque possibile le barriere architettoniche

5.2 - Gli interventi per fasce della popolazione

5.2.1 - A misura di bambino


La misura di un bambino non è una dimensione, è una scelta, un punto di vista. Se un bambino
vive bene, in buona salute, sereno, la città in cui vive ha la sua misura e questa può diventare la
buona misura generale per tutti.
Non è un caso che in questi anni l’attenzione si sia molto concentrata sui temi immediatamente
connessi allo stato di salute: la qualità dell’aria, dunque il problema del traffico e del trasporto
pubblico, lo sviluppo di aree verdi e pedonali, le piste ciclabili, ecc.. La “misura di bambino” è
quindi il modo di interpretare e costruire la città in tutti i suoi aspetti, di organizzarne il
funzionamento, di correggerne le storture. E poi vi è la questione relativa alla crescita del bambino
sotto il profilo culturale, della fantasia, dell’equilibrio psicologico ed affettivo: i giardini e gli altri
spazi pubblici; la scelta di aumentare i parchi giochi, di installare giochi nelle aree pedonali e dare
vita – finalmente – al progetto Aulì Ulé proposto da Fulvio Scaparro.
Rilanceremo la proposta di creare il Teatro stabile per bambini e ragazzi, gestiti da soggetti di
consolidata vocazione e qualità artistica e culturale: è un punto di forza di Milano e può diventare
un punto di riferimento per la cultura nazionale.
Proponiamo di costruire un obiettivo strategico per la socializzazione, la responsabilizzazione
civica e la partecipazione attiva di bambini e ragazzi, anche attraverso una rete di “oratori laici
ovvero civici” nelle scuole al pomeriggio, anche come integrazione al processo formativo ed
educativo.

5.2.2 - Donne a Milano


Le donne sono il tramite tra i servizi e i cittadini che li usano, conoscono la Pubblica
amministrazione, vedono e subiscono i suoi difetti e per questo la possono cambiare. E poi,
svolgono il ruolo essenziale di organizzare la vita quotidiana ed è ora che queste capacità,
sostenute da elevati livelli di formazione e da capacità e abilità di grande rilievo in ogni disciplina,
vengano messe a disposizione delle politiche pubbliche.
Eppure qui si annida uno dei problemi più rilevanti, quelli della oscillazione intorno alla soglia di
povertà e comunque di una vita molto difficile da condurre. Basti il solo dato delle madri sole con
figli minori, ben 45.900 (su 54.600 monogenitori), che sono per il 33,3 % in condizioni di povertà e
per il 17% in semipovertà. Nell’ambito delle politiche sociali occorre acquisire la piena
consapevolezza di questa specifica condizione, che rimanda alle trasformazioni della famiglia,
sempre meno riducibile ad un unico schema prefissato ed oggi sostanzialmente ideologico.
Milano è stata iniziatrice del piano degli orari e delle politiche dei tempi (Manacorda 1993),
congelato dalla giunta leghista ed oggi sostanzialmente fermo: eppure i poteri del sindaco ci sono
dalla L. 142 del 1990 (!) ma le competenze sono state disperse tra diversi assessorati. Il progetto
presentato per il bando regionale non ha superato nemmeno la fase preliminare di ammissione.
Non è solo un piano, ciò che manca, ma la volontà di definire i tempi della città riconciliandola con
le esigenze dei cittadini e delle donne in particolare. Il comune deve in particolare intervenire sugli
orari dei servizi, in rapporto con gli orari degli operatori, sperimentandone l’estensione e
costruendo la necessaria condivisione. Nella metropoli odierna, ad esempio, la mobilità – dicono
molti studi recenti – è direttamente in rapporto con il carico familiare, e infatti è in prevalenza
inferiore ai 10 km e la possibilità di muoversi è sempre più il vero indice della autonomia, ad ogni
livello, dal semplice uscire di casa all’attraversamento della città. Non si pensi che questo fatto
riguardi la politica dei trasporti: certamente è così ma è chiamata in causa l’organizzazione
generale della città. E, anche su questo fronte, malgrado le chiacchiere sul sindaco-donna, quasi
nulla: si fanno sperimentazioni che poi nessuno segue, spesso si disperdono quando finisce il
finanziamento.
Al fondo, non è cambiato il modo di pensare e gestire la città e il suo governo. E invece, proprio
questo si deve fare: assumere una lettura di genere della città e della amministrazione.

PROPOSTE CONCRETE:
- formazione per le donne costrette ad uscire dal mondo del lavoro e delle professioni dopo
la maternità e con difficoltà a rientrarvi;
- sostegno ad azioni positive e forme di riconosci mento pubblico per tutte le aziende che
facilitino il rientro dopo il parto;
- azioni per agevolare la condivisione della cura tra uomini e donne per la conciliazione
lavoro/famiglia e per sostenere la genitorialità;
- estensione e riforme organizzative e gestionali del welfare perché le donne non debbano
rinunciare agli impegni personali e professionali per sopperire alle carenze del pubblico (in
particolare nella cura degli anziani e dei bambini: asili nido e servizi per l’infanzia pubblici).
E poi c’è tutto il vasto campo della libertà e della autonomia delle donne
- promozione di politiche utili nella lotta alla violenza maschile contro le donne attraverso
interventi di prevenzione ed educazione nelle scuole e nelle altre agenzie educative;
- sostegno ai progetti che aiutino le donne vittime di violenza;
- rilancio della rete dei consultori e per l’attuazione della legge 194, in questi anni attaccata
duramente dalla Regione Lombardia.

5.2.3 - La famiglia, anzi, le famiglie


Il comune riconosce, con appositi strumenti, le famiglie nella loro pluralità di composizione e di
situazione, come diritto e manifestazione di libertà delle persone.
Famiglia non come effetto della registrazione all’anagrafe ma come comunità di persone che
compiono e progettano scelte di vita condividendo risorse (affettive, economiche, di tempo, di
sapere) di legame sociale: per questo hanno importanza e valore anche i rapporti di fatto e perfino
i singles sono “famiglia”, perché spesso hanno parenti di cui si fanno carico. L’evoluzione
demografica e del costume fa sì che obiettivo non sia più la crescita dei figli ma anche la cura di sé
e la cura dei genitori: una politica dei redditi realistica ed efficace non può non tenerne conto.
Veicoli di un nuovo approccio: istituzione del registro delle unioni civili; elaborazione di un
correttivo dell'Isee da applicare a tariffe e servizi comunali che riconosca il carico familiare anche
per i conviventi – in base ai registri anagrafici e a quello delle unioni di fatto - con figli, anziani e
disabili, e sostenga situazione di difficoltà come padri separati e madri sole.
Cambiamento, in questo campo, vuol dire pensare e riprogettare il sistema del welfare come
politiche di benessere più che di assistenza, promozione e non (solo) tutela. Le politiche sociali
devono assumere un carattere proattivo, cioè più che inseguire i bisogni, realizzare nuove
situazioni. “Non lasciare indietro nessuno” vuol dire curare gli effetti. Far fare un passo avanti a tutti
vuol dire promuovere la cittadinanza.
Non fare centro sugli spazi ma su persona/comunità: è il servizio non standard, che richiede
ricomposizione e ridisegno degli interventi, NON tornare a fare (anche bene o addirittura meglio)
quello che si faceva prima.
In tema d’interventi per le famiglie intendiamo effettuare:
• forte investimento sugli asili e le scuole per l’infanzia e sulla loro qualità
• un adeguamento degli interventi per le persone non autosufficienti e disabili
• forte investimento sulle case popolari di qualità
• una politica delle tariffe dei servizi sociali rigorosamente improntata al rapporto
reddito/carico familiare
• promuovere l'approccio di rete nel sistema dei servizi e la valorizzazione del lavoro e delle
competenze degli operatori/ operatrici. Incontro domanda offerta di sanità leggera (dentista,
ginecologo, pediatra, geriatra, oculista, ortopedico, geriatra ecc) a prezzi calmierati.
Sostegno alle forme di associazione dei medici di famiglia.

5.2.4 - Gli anziani


Le principali criticità della vita in età anziana sono legate all’inserimento nel contesto sociale di
riferimento:
- perdita del ruolo familiare
- perdita del ruolo sociale
- perdita economica
- bisogno di relazione
I posti disponibili in RSA nella città di Milano sono complessivamente 6500 (dato al 2008) che
garantiscono una copertura sulla popolazione over 75 del 4,4%. La copertura dei CDI (Centri
Diurni Integrati)sulla popolazione ultra 75 è solo dello 0,4%. L’assistenza domiciliare è del tutto
inadeguata. La retta per gli utenti delle RSA nel capoluogo è più elevato sia della media regionale
che della media provinciale. La retta media giornaliera in RSA a Milano è di 70 euro, valore che
scende a 61 euro in provincia. Chi sostiene le famiglie milanesi nel fare fronte al dovere di cura?
• Aprire la questione in Regione perché investa sul fondo non autosufficienti come altre
Regioni hanno fatto
• Potenziare centri diurni e servizi domiciliari
• Sostenere reti di prossimità e le progettualità presenti sul territorio
• Tutor per le famiglie e non solo assistenza per il malato
• Una rete di Assistenza domiciliare integrata, perché le condizioni psicofisiche dell’anziano
risultano meglio salvaguardate se rimane in ambito domestico, dove va necessariamente
sostenuto da una presenza spesso non breve, di personale specializzato e non.
• Una rete di strutture di lungodegenza, anche per ricoveri temporanei, in grado di assicurare
i servizi se la famiglia e/o i servizi sussidiari non riescono o non possono assicurarli. Questi
interventi richiedono governo e integrazione tra di loro, risorse e nuove professionalità: non
si può lasciare al mercato.
• Potenziare lo sportello del Comune di Milano per le assistenti familiari (badanti) per fare
emergere il mercato nero. Gli sportelli rivolti all’incontro domanda-offerta di assistenza
diventano il punto d’incontro tra le famiglie - con le loro esigenze di informazione e
sostegno- e le bandanti – cui fornire formazione delle competenze in connessione con il
sistema dei buoni erogati dal Comune, per incentivare le famiglie alla regolarizzazione

E poi c’è tutto il capitolo degli interventi per la ricostruzione di un ruolo sociale dell’anziano.
a. Un progetto per il tempo libero di nonni e nipoti: convenzioni con cinema e teatri che
preveda la possibilità di assistere a spettacoli a prezzi ridotti per gli anziani “nonni” che
accompagnano i nipoti o comunque bambini.
b. La stipula di una convenzione con le associazioni di categoria dei taxisti che preveda la
creazione di carnet di buoni taxi a tariffe scontate per gli anziani
c. Pensionato non sempre coincide con anziano. C’è un enorme giacimento inutilizzato di
esperienze e di competenze: commercianti, artigiani, insegnanti e altre professioni
intellettuali, molte professioni operaie. Questo patrimonio può essere utilizzato per azioni di
recupero e sostegno scolastico, di avviamento al lavoro e all’esercizio di professioni.
Cittadinanza attiva non è scoperta di oggi ma va fatto secondo un progetto di attivazione
della cittadinanza. Questo progetto avrebbe anche il valore di superare i fattori di divisione
del corpo sociale in blocchi (di reddito, di status, di età) non comunicanti e – spesso –
reciprocamente ostili. E ancora: “vicini di casa” volontari, per forme di cura e di assistenza,
che il comune riconosce (distintivo) e supporta (corsi primo soccorso). Un forte fattore di
socializzazione può essere la condivisione tra anziani e giovani di spazi di abitazione e
lavoro.
d. Sostenere l’aspettativa di vita allargando la sfera di autonomia. La prova è se si esce di
casa o no e perché. Tra l’altro, questo criterio vale anche per i disabili, condizione che non
è legata con l’età ma nemmeno con il carattere permanente della disabilità (chiunque può
diventarlo, anche per periodi relativamente brevi): è determinante il contesto in cui si vive,
la mobilità effettiva, la raggiungibilità di luoghi di interesse o utili.

Tutte queste iniziative – sia come progettazione che come gestione – saranno condotte in stretta
collaborazione con le associazioni dall’Auser alle Acli alle cooperative che in questi anni hanno
dato vita ad esperienze di grande importanza. Il welfare di comunità, cioè l’insieme delle
responsabilità e delle azioni dei cittadini, può essere sviluppato a partire dalla esperienza di quanti
già operano nel costruire la comunità.

5.2.5 - L’autonomia dei disabili


La proposta generale
Anche per la disabilità tutto deve ruotare intorno alla autonomia delle persone, nella convinzione
che le politiche di promozione di autonomia e indipendenza aiutano a migliorare la qualità della vita
urbana per tutti. Certamente costa abbattere gli ostacoli accumulati – fisici e non di rado mentali –
ma ciò che non costa, anche in termini economici, è PENSARE PER TUTTI. Non c’è (quasi) nulla
da inventare: idee, esperienze, competenze ci sono, rappresentano un giacimento gratuito di idee
per la città ma vanno fatte fruttare, coinvolgendo queste risorse di intelligenza nella progettazione
fisica (non solo gli edifici ma soprattutto gli spazi aperti così ingombri e impraticabili, con un arredo
urbano che è un Camel Trophy), culturale (che rivoluzione è stata Dialoghi nel buio a cura
dell’Istituto dei Ciechi, cui peraltro mancano i fondi per la traduzione dei libri in Braille), economica
(non è facile nemmeno entrare in un negozio, per molti).
In ciascuno di questi campi si possono fare azioni positive di intesa con le categorie direttamente
interessate e la logica di queste azioni deve essere quella di primi interventi che innescano un
processo virtuoso, per imitazione, per espansione, per solidarietà, perfino per interesse (le città
amiche ricevono più turisti di quelle ostili, per esempio).
La disabilità è una condizione che può riguardare chiunque: basta un banale incidente e magari
solo per poche decine di giorni tutto diventa più difficile e molto diventa di colpo impossibile. Non
pensiamo solo alla doverosa solidarietà nei confronti di chi porta patologie permanenti, assumiamo
un punto di vista più ampio e completo, che può diventare moltiplicatore di buone pratiche di
valore generale ed anche un pensiero nuovo per interpretare la città.
A Milano la disabilità sembra essere invisibile: la mobilità è nella sostanza negata, i centri diurni
sono diventati parcheggi e vanno completamente riorganizzati, va compiuto un monitoraggio
continuo della gestione dei servizi domiciliari, lo stesso volontariato va rilanciato (credito formativo,
agevolazioni tariffarie, titoli di preferenza). 8 disabili su 10 rimangono nella famiglia di origine, con
tutto il carico materiale e psicologico che ciò comporta e con il problema aggiuntivo dell’aumento
dell’età dei genitori (dopo di noi): ecco la base materiale su cui fondare la realizzazione di reti di
esperienze di vita indipendente, in nuclei residenziali relativamente piccoli e preferibilmente in
situazioni di miscela sociale, casa-laboratorio, ecc.
Si deve essere consapevoli che la stessa cifra di 15.000 disabili gravi – cioè non autosufficienti – è
presunta, anche perché ci sono i tantissimi casi di condizione temporanea e tutti quelli che si
sviluppano anche solo per effetto della età. Ma da noi perfino la Consulta prevista dallo Statuto
comunale è ferma da anni. Eppure ci sono ampie risorse associative da coinvolgere in via
permanente nella progettazione degli interventi, tanto più nella logica dell’innesco richiamata, e
supporti scientifici e terapeutici straordinari come l’Unità Spinale e il Centro Nemo di Niguarda. E
come non vedere, nell’ambito delle politiche industriali e per uno nuovo sviluppo, le grandi
opportunità di ricerca, sviluppo, nuovo lavoro di qualità nel settore tecnico medicale?
La cosa da non fare: guardare la città con l’occhio (di chi si ritiene) normale!
Azione prioritaria: Individuare, all’interno della nuova amministrazione comunale, un consigliere
responsabile del coordinamento delle politiche sulla disabilità. Non necessariamente un incarico da
assessore, ma, sull’esempio di quanto realizzato dalla giunta Penati in Provincia, un consigliere
che abbia competenze e possibilità di azione a tutto campo, perché la disabilità non è solo una
questione di servizi sociali, ma entra, trasversalmente, in tutti i settori della pubblica
amministrazione, dalla mobilità alla cultura, dallo sport all’istruzione, dalle infrastrutture
all’urbanistica. Verificare la possibilità di creare la figura di un “disability manager” e affermare lo
slogan: “Disabilità: una risorsa per vivere meglio. Tutti.”

Le cose da fare:
• una proposta, da avviare a Bicocca nei primi 6 mesi: Iniziamo dai percorsi fermata
mezzi pubblici/università milanesi e attrezziamoli in modo da eliminare ogni barriera
all’accesso e all’uso da parte di disabili di ogni genere. Vuol dire ascensori per la
metropolitana, segnaletica di orientamento sonora (per ipovedenti) e luminosa (per
ipoudenti), verticale e non orizzontale, cartine segnaletiche con caratteri più grandi, scivoli,
cordoli resi compatibili, palificazione razionalizzata, scrupolosa manutenzione degli scarichi
dell’acqua, rimozione di ogni ingombro immotivato dei marciapiedi.
• offrire a prezzi agevolati un dispositivo per avere in tempo reale informazioni sul traffico e
sui parcheggi riservati
• prevedere convenzione con car sharing per operatori e volontari di associazioni o soci di
banche del tempo che assicurano trasporto alle persone disabili in stretta interazione con i
servizi di custodia e assistenza sociale
• rilanciare la collaborazione con le cooperative di Taxi (il Comune ha già attivato questo
servizio) per l’utilizzo di voucher
• Dobbiamo ripensare i Centri diurni disabili, nati per consentire formazione e
preparazione all’inserimento sociale e lavorativo nel territorio di appartenenza, e divenuti
nel tempo luoghi di parcheggio post-scolastico, con poche opportunità reali di uscita dal
Centro, che diventa dunque cronico. Per cambiare rotta, è importante avviare le
consultazione con le famiglie, gli operatori, le associazioni, e avere un raccordo con i
consigli di zona. Bisogna riaprire le opportunità lavorative, anche in collegamento con le
associazioni degli industriali, degli artigiani, della cooperazione sociale. Nessun miracolo è
possibile, ma un ripensamento che metta al centro il progetto individuale delle persone con
disabilità è possibile e necessario. Rivedere completamente i criteri di funzionamento dei
servizi erogati, i centri di spesa, gli obiettivi, inserendoli all’interno delle logiche dei piani di
zona e dei principi contenuti nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
• Riprendiamo il PEBA, il piano di eliminazione delle barriere architettoniche, mai
realizzato, non sulla base di criteri unidirezionali (decisioni dell’Assessorato ai lavori
pubblici in base ai lavori già programmati), ma sulla base di una consultazione
organica delle associazioni e dei coordinamenti territoriali, con l’aggiunta degli
esperti già presenti a Milano (HB Group, università, ecc.). E’ necessaria anche una
messa a misura di un piano per la mobilità urbana e metropolitana, in collegamento con
Atm (linee di superficie, metropolitana, raccordo con Ferrovie, ma anche taxi e servizi di
radio bus).
• Valorizzare le buone prassi: potenziare le scelte nel campo della residenzialità, sfruttando
le competenze e le esperienze maturate da Ledha con “Spazio residenzialità”. La Ledha e
“Oltre noi la vita”, ad esempio, stanno lavorando in rete per costruire consapevolezza
rispetto a esperienze di nuclei residenziali solidali, per venire incontro alle esigenze del
“Dopo di noi”.

5.2.6 - Una piccola grande azione


Un posto importante, per la qualità della vita dei cittadini, spetta agli animali di affezione, per il
ruolo che hanno nella quotidianità di un numero sempre crescente di persone: basti pensare a
quante persone, e non solo anziane, trovino nei propri animali la sola compagnia e spesso unica
ragione di vita. E’ risaputo inoltre quanto sia fondamentale la presenza di animali per gli ammalati
e per i bambini, che imparano a misurarsi con una realtà fondamentale per un sano sviluppo della
sfera psico-affettiva.
È necessario quindi agevolare e non ostacolare la convivenza tra umani e animali, rendendo
sempre più accessibili i luoghi pubblici a questi ultimi.
Il Comune favorisce lo sviluppo di adozioni “assistite”, in collaborazione con canili e gattili, per
permettere a quanti possano avere problemi nella gestione di un animale (anziani, ammalati,
disabili) di poter accogliere nella propria casa un amico a quattro zampe.
Un secondo impegno è di promuovere iniziative didattiche volte all’insegnamento del rispetto per
gli animali sia con conferenze all’interno delle scuole sia con visite di scolaresche a canili e gattili.
Sono iniziative da sviluppare con un sempre più intenso rapporto tra cittadini, istituzioni e
organizzazioni che si occupano di animali, valorizzando il Garante per la tutela degli animali, quale
punto di riferimento di tutti i soggetti coinvolti nelle tematiche degli animali di affezione.

5.2.7- Le difficoltà della vita materiale, i nuovi poveri


Più di 32mila persone nel 2009 hanno chiesto aiuto alle associazioni no profit, alle parrocchie e
agli enti caritativi. Sempre più sono giovani e donne che arrivano a stento alla fine del mese e
vivono al di sotto del livello assoluto di povertà e costituiscono i nuovi poveri della Lombardia.
I lavori precari e a termine non bastano più per sopravvivere e il contratto a progetto non
garantisce nemmeno i beni di prima necessità. E c’è, dopo tantissimo tempo, anche il lavoro
povero, cioè un lavoro a orario pieno, perfino stabile ma insufficiente a mantenere chi lo svolge;
torna, insieme agli immigrati, il lavoro servile figlio di bisogni nuovi e di retribuzioni che solo i più
deboli accettano. 1/3 delle 280mila persone assistite ha un'età compresa fra i 18 e i 35 anni, con
un aumento dell'11 per cento rispetto all'anno passato.
Per la prima volta a Milano sono più numerosi i poveri italiani rispetto a quelli stranieri: nel 2008 gli
assistiti dai 1.587 enti sparsi su tutto il territorio milanese erano per il 65,6 per cento di nazionalità
straniera, nel 2009 le persone che hanno visto il proprio reddito precipitare sotto il limite di povertà
erano per il 55,7 per cento italiane.
Tra le cause del cedimento verso la povertà troviamo prevalentemente problemi economici, lavoro,
separazione, famiglie atipiche e talvolta combinazioni di tutte queste cause, con il prevedibile
corollario del deperimento delle condizioni di salute. Proprio questo insieme di cause richiede un
lavoro in rete tra i vari servizi e tra le agenzie educative: il comune funziona invece secondo una
logica di divisione operativa sostanzialmente non comunicante.
Storicamente, il welfare locale si regge su tre pilastri: il lavoro e il sistema produttivo; le famiglie; il
capitale sociale depositato nel tessuto relazionale della città. La solidità di questi tre pilastri è oggi
minata: disoccupazione, crisi delle imprese, sfilacciarsi dei legami sociali, impoverimento,
solitudine, sono le cause prevalenti. Va sottolineato che l’estensione di condizioni di emarginazione
grave non riguarda solo gli stranieri, anche se è intuitivo che essi ne sono i primi e più facili
soggetti.
Per poter continuare a sorreggere il welfare cittadino, questi pilastri hanno bisogno di interventi che
sappiano guardare al futuro, progettare nel lungo periodo uno sviluppo sostenibile per Milano dal
punto di vista economico e ambientale, e soprattutto sociale e umano. Non a caso, le principali
emergenze sono solitudine e isolamento; invalidità e non autosufficienza; disagio psichico;
problematiche di convivenza sociale dovute principalmente all’aumento di illegalità. Sono fattori
che chiedono politiche e servizi, non erogazione di sussidi o buoni da spendere.
E’ maturo il momento di riflettere più a fondo sulla adeguatezza degli strumenti in campo, anche
per ragioni di efficacia della spesa che le finanze pubbliche sostengono. In questo quadro si deve
aprire il problema di sperimentare il Reddito Minimo di Inserimento.
Povertà e diseguaglianza sono due fenomeni, non sempre sovrapponibili ma direttamente
connessi. La povertà assoluta è la condizione di coloro che si trovano a vivere in condizioni
economicamente inaccettabili, al di sotto di una condizione minima accettabile. La povertà relativa,
invece è la condizione di chi vive sotto il livello “medio”di benessere, ed include quindi il concetto di
disuguaglianza, perché vi è una linea che spacca la comunità, praticamente, in due gruppi: chi vive
in condizioni sotto la media, chi vive in condizioni al di sopra della media. Quanto questi due gruppi
sono numerosi e quanto sono grandi le loro differenze sono le variabili che determinano il livello di
disuguaglianza di una popolazione. Tra coloro che vivono sotto la media, ci sono poi i gruppi
sociali fortemente disagiati, poveri non in senso relativo ma assoluto, impossibilitati ad
approvvigionarsi dei beni ritenuti essenziali. Milano è una città con una forte concentrazione della
ricchezza nelle mani di alcuni ceti cittadini ed una maggior diffusione della povertà relativa, che
riguarda il 17,3%delle famiglie (sono l’11,1%a livello nazionale). C’è meno povertà assoluta, ma
maggior disuguaglianza. Questo accade perché a Milano i consumi medi sono più elevati e mentre
l’Istat in Italia mette l’asticella della soglia di povertà relativa per un nucleo di 2 individui a 986 euro
mensili, questa per Milano diventa di 1400 euro.
È significativo che a Milano il 42% dei lavoratori percepisca un reddito imponibile inferiore a 15.000
euro annui, e che il 4% della popolazione generi 1/3 di tutto il reddito denunciato. Le principali
variabili che spiegano queste iniquità nella distribuzione delle risorse economiche sono almeno 4:
la classe di età, la posizione professionale, il genere, la provenienza geografica. Queste variabili
sono direttamente connesse tra loro: la classe di età incide sulla posizione professionale
(dipendente/parasubordinato); la provenienza geografica incide sul livello di formazione,
sull’accesso alle risorse relazionali e quindi sulla posizione professionale e via dicendo…

GLI INTERVENTI PUBBLICI


Dovrebbero andare ad incidere sulle due dimensioni del problema: la povertà assoluta e la
disuguaglianza (che da economica diventa di stile di vita). I sostegni monetari per gli individui e le
famiglie più fragili presenti sono diversi (contribuiti, buoni, voucher, ecc), ma hanno per lo più
natura spiccatamente selettiva: sono cioè destinati a determinate famiglie o individui al di sotto di
soglie di reddito che variano da misura a misura e categoriale, sono cioè destinati a soggetti
appartamenti a categorie definite dalla posizione occupazionale della persona di riferimento, dal
tipo di configurazione familiare o da altre caratteristiche ancora.
Accanto alle misure di carattere nazionale e regionale, il Comune di Milano ha erogato nel corso
del 2008 circa 7500 sussidi economici a circa 1200 adulti in forte disagio economico e 167 buoni
sociali a favore di 49 persone; a ciò si sommano poche migliaia di buoni e contribuiti erogati alle
famiglie con figli e agli anziani in difficoltà.
Appare evidente esserci un sistema di protezione sociale caratterizzato da interventi non risolutivi,
ma soprattutto di carattere solo emergenziale, incapace di far fronte a disuguaglianze così
profonde, sicuramente acuite da prima dalla precarizzazione del mercato del lavoro e poi dalla crisi
finanziaria ed economica.
Da un quadro d’interventi così delineato emergono chiaramente due esigenze:
• dare ordine e semplificare l’accesso agli interventi
• intercettare l’area delle nuove fragilità e sostenerle (area grigia)

COSA INTENDIAMO FARE


Il nostro impegno per il futuro i muove in tre direzioni:
• razionalizzare l’intervento dei servizi sociali
• aumentare l’equità nell’accesso alla casa, ai servizi, alla cura
• favorire l’accesso al mercato del lavoro dei soggetti fragili

Da un lato quindi agiremo sugli effetti della povertà e quindi attraverso contributi economici (e reti
di sostegno per i casi più gravi, come ad es. i senza fissa dimora).
Dall’altra interverremo sulle disuguaglianze di stili di vita, che le diverse disponibilità economiche
determinano, garantendo più equità nell’accesso ai servizi.
In terzo luogo cercheremo d’intervenire anche sulle cause, della povertà e della disuguaglianza.
Nel perseguire questi obiettivi è necessario operare non in una logica assistenzialistica, ma con
un’attenta progettazione sui casi.

OBIETTIVO 1 Razionalizzare i contributi economici.


Il primo passaggio, necessario in una tale fase congiunturale (di simultanea crisi economica e
taglio delle risorse), è quello di razionalizzare il quadro dei contributi economici di varia natura
attualmente erogati alle famiglie ed agli individui in connessione ad un’attenta lettura dei bisogni
emergenti ed anche in relazione ai differenti bisogni nei differenti poli territoriali.
In questo senso rivedremo tutti i contributi economici erogati, le caratteristiche prevalenti dei
beneficiari, i vuoti di protezione esistenti tra le diverse tipologie di famiglia, la distribuzione delle
risorse nei territori e nei quartieri. Contestualmente rivendicheremo i trasferimenti al livello
comunale dei contributi monetari nazionali.

OBIETTIVO 2 Aumentare l’equità nell’accesso ai servizi


Alle disuguaglianze nel reddito corrispondono delle disparità negli stili di vita, questo in
connessione al fatto che per le fasce più basse di reddito, i beni primari (casa e cibo) assorbono
gran parte (se non la totalità) delle risorse disponibili. Occorre allora rivedere i criteri di accesso
alla casa, ai servizi pubblici, ai servizi di cura. Diviene essenziale una politica inclusiva anche sulle
attività di svago (in primo luogo lo sport e la cultura, che non possono essere considerati beni
“elitari”). La possibilità di accedere ai centri sportivi o ad attività ludiche per i ragazzi figli di famiglie
fragili, ma anche per quei giovani adulti appena entrati nel mondo del lavoro, diviene veicolo di
inclusione e coesione sociale.

OBIETTIVO 3 Ridurre le cause di disuguaglianza e marginalizzazione


Certamente il rischio più elevato di marginalizzazione è legato al lavoro: in questo senso
proponiamo fin da subito un partenariato con l’Osservatorio del mercato del lavoro al fine di
indagare quale sia lo stato reale e contingente del mercato del lavoro: chi guadagna di meno?
Qual è l’utilizzo che si fa dei contratti atipici? Come possiamo aumentare il livello di tutela sociale
di coloro che, fuoriusciti dal mercato del lavoro ne sono sprovvisti?
I meccanismi di attivazione del mercato del lavoro a partire dal sistema dotale dovrebbero essere
più incisivi e più indirizzati, si rende per tanto necessario un forte sforzo di coordinamento tra tutti i
comparti dell’Amministrazione: centri per l’impiego, servizi sociali, job café ecc.

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