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Difficile vivere ogni giorno, se si è bambino, anziano, mamma. Complicato studiare, andare in
biblioteca, perfino divertirsi se si è giovane. Pesante, se si deve avere a che fare con sportelli e
burocrazia. Difficile, talvolta ostile, se si deve conciliare lavoro (se e quando c’è) e la cura in un
mondo troppo maschile.
L’obiettivo generale, il segno della politica che proponiamo è il sostegno dei progetti di vita
autonoma – dei giovani ma non solo - cioè casa, istruzione e soprattutto il superamento delle
barriere fisiche e sociali, per procedere verso una società aperta, libera e solidale. Autonomia non
vuol dire solitudine, che anzi è il grande nemico, la condizione che accomuna troppe donne e
troppi uomini a Milano e che è il simbolo del fallimento delle politiche dele giunte di centrodestra,
se anche il Cardinale Tettamanzi parla di “solitudine della metropoli”. Autonomia come base per
una vita di relazione ricca, che ricostruisce legami affettivi e legami sociali e che il Comune
sostiene con le sue scelte di politiche pubbliche. Altro che la retorica della libertà di scelta – che
rimanda ad un mercato che, quando esiste, trasforma il diritto ad una vita serena in acquisto di
una merce di cui si sa poco o nulla. Altro che la retorica sulla famiglia, che tutti si sentono costretti
a indicare ma sulla quale – ed in essa prevalentemente sulle donne - si sono scaricati il peso e il
costo delle tante crisi che si intrecciano in questi anni.
Questa impostazione ci fa vedere in modo diverso anche l’aspetto fisico della città. Non è una città
amica quasi per nessuno. Negozi, laboratori, centri servizi, perdono ogni giorno clienti e affari;
perfino i servizi pubblici “perdono” in termini di soddisfazione del cittadino che ne ha bisogno,
dall’ambulatorio alla scuola. Strade sconvolte da lavori “a ripetizione”, mancato coordinamento tra
lavori per gas, acqua, rete elettrica ecc.; pali segnaletici confusi e scoordinati, una vera “boscaglia”
metallica che rende brutto il panorama e spesso faticoso camminare per le strade cittadine. E se
deve camminare un bambino ai primi passi? Una mamma con la carrozzina? Un disabile? Ecco
perché assumere il punto di vista di questi particolari cittadini ci fa migliorare la vita di tutti i
cittadini.
Per tutte queste ragioni occorre riformare la macchina comunale, decentrare, costituire task force
per interagire con la città, con i territori e i quartieri.
Questa strategia si fonda su valori e linee di azione sperimentate con successo a Torino ma anche
a Milano come il Villaggio Barona, Paolo Pini, Bosco in Città ecc. La logica non è quindi repressiva
ne assistenzialistica ma promozionale. Rovesceremo la logica esistente ascoltando la città.
La Costituzione affida l’intervento sociale al Comune che però oggi può disporre solo del 15%della
spesa sociale quindi:
• rivendicheremo il progressivo trasferimento di queste risorse
• riformeremo quindi nel loro insieme le erogazioni economiche e i servizi
• rivedremo e decentreremo l’organizzazione obsoleta dell’assistenza comunale
• perseguiremo l’equità nell’accesso ai servizi per minori, anziani, disabili e di altri bisogni
rimodulandone il costo ai redditi effettivi ed esentandone i meno abbienti
• estenderemo e potenzieremo forme di presenza come quella dei custodi sociali
• abbatteremo ovunque possibile le barriere architettoniche
PROPOSTE CONCRETE:
- formazione per le donne costrette ad uscire dal mondo del lavoro e delle professioni dopo
la maternità e con difficoltà a rientrarvi;
- sostegno ad azioni positive e forme di riconosci mento pubblico per tutte le aziende che
facilitino il rientro dopo il parto;
- azioni per agevolare la condivisione della cura tra uomini e donne per la conciliazione
lavoro/famiglia e per sostenere la genitorialità;
- estensione e riforme organizzative e gestionali del welfare perché le donne non debbano
rinunciare agli impegni personali e professionali per sopperire alle carenze del pubblico (in
particolare nella cura degli anziani e dei bambini: asili nido e servizi per l’infanzia pubblici).
E poi c’è tutto il vasto campo della libertà e della autonomia delle donne
- promozione di politiche utili nella lotta alla violenza maschile contro le donne attraverso
interventi di prevenzione ed educazione nelle scuole e nelle altre agenzie educative;
- sostegno ai progetti che aiutino le donne vittime di violenza;
- rilancio della rete dei consultori e per l’attuazione della legge 194, in questi anni attaccata
duramente dalla Regione Lombardia.
E poi c’è tutto il capitolo degli interventi per la ricostruzione di un ruolo sociale dell’anziano.
a. Un progetto per il tempo libero di nonni e nipoti: convenzioni con cinema e teatri che
preveda la possibilità di assistere a spettacoli a prezzi ridotti per gli anziani “nonni” che
accompagnano i nipoti o comunque bambini.
b. La stipula di una convenzione con le associazioni di categoria dei taxisti che preveda la
creazione di carnet di buoni taxi a tariffe scontate per gli anziani
c. Pensionato non sempre coincide con anziano. C’è un enorme giacimento inutilizzato di
esperienze e di competenze: commercianti, artigiani, insegnanti e altre professioni
intellettuali, molte professioni operaie. Questo patrimonio può essere utilizzato per azioni di
recupero e sostegno scolastico, di avviamento al lavoro e all’esercizio di professioni.
Cittadinanza attiva non è scoperta di oggi ma va fatto secondo un progetto di attivazione
della cittadinanza. Questo progetto avrebbe anche il valore di superare i fattori di divisione
del corpo sociale in blocchi (di reddito, di status, di età) non comunicanti e – spesso –
reciprocamente ostili. E ancora: “vicini di casa” volontari, per forme di cura e di assistenza,
che il comune riconosce (distintivo) e supporta (corsi primo soccorso). Un forte fattore di
socializzazione può essere la condivisione tra anziani e giovani di spazi di abitazione e
lavoro.
d. Sostenere l’aspettativa di vita allargando la sfera di autonomia. La prova è se si esce di
casa o no e perché. Tra l’altro, questo criterio vale anche per i disabili, condizione che non
è legata con l’età ma nemmeno con il carattere permanente della disabilità (chiunque può
diventarlo, anche per periodi relativamente brevi): è determinante il contesto in cui si vive,
la mobilità effettiva, la raggiungibilità di luoghi di interesse o utili.
Tutte queste iniziative – sia come progettazione che come gestione – saranno condotte in stretta
collaborazione con le associazioni dall’Auser alle Acli alle cooperative che in questi anni hanno
dato vita ad esperienze di grande importanza. Il welfare di comunità, cioè l’insieme delle
responsabilità e delle azioni dei cittadini, può essere sviluppato a partire dalla esperienza di quanti
già operano nel costruire la comunità.
Le cose da fare:
• una proposta, da avviare a Bicocca nei primi 6 mesi: Iniziamo dai percorsi fermata
mezzi pubblici/università milanesi e attrezziamoli in modo da eliminare ogni barriera
all’accesso e all’uso da parte di disabili di ogni genere. Vuol dire ascensori per la
metropolitana, segnaletica di orientamento sonora (per ipovedenti) e luminosa (per
ipoudenti), verticale e non orizzontale, cartine segnaletiche con caratteri più grandi, scivoli,
cordoli resi compatibili, palificazione razionalizzata, scrupolosa manutenzione degli scarichi
dell’acqua, rimozione di ogni ingombro immotivato dei marciapiedi.
• offrire a prezzi agevolati un dispositivo per avere in tempo reale informazioni sul traffico e
sui parcheggi riservati
• prevedere convenzione con car sharing per operatori e volontari di associazioni o soci di
banche del tempo che assicurano trasporto alle persone disabili in stretta interazione con i
servizi di custodia e assistenza sociale
• rilanciare la collaborazione con le cooperative di Taxi (il Comune ha già attivato questo
servizio) per l’utilizzo di voucher
• Dobbiamo ripensare i Centri diurni disabili, nati per consentire formazione e
preparazione all’inserimento sociale e lavorativo nel territorio di appartenenza, e divenuti
nel tempo luoghi di parcheggio post-scolastico, con poche opportunità reali di uscita dal
Centro, che diventa dunque cronico. Per cambiare rotta, è importante avviare le
consultazione con le famiglie, gli operatori, le associazioni, e avere un raccordo con i
consigli di zona. Bisogna riaprire le opportunità lavorative, anche in collegamento con le
associazioni degli industriali, degli artigiani, della cooperazione sociale. Nessun miracolo è
possibile, ma un ripensamento che metta al centro il progetto individuale delle persone con
disabilità è possibile e necessario. Rivedere completamente i criteri di funzionamento dei
servizi erogati, i centri di spesa, gli obiettivi, inserendoli all’interno delle logiche dei piani di
zona e dei principi contenuti nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
• Riprendiamo il PEBA, il piano di eliminazione delle barriere architettoniche, mai
realizzato, non sulla base di criteri unidirezionali (decisioni dell’Assessorato ai lavori
pubblici in base ai lavori già programmati), ma sulla base di una consultazione
organica delle associazioni e dei coordinamenti territoriali, con l’aggiunta degli
esperti già presenti a Milano (HB Group, università, ecc.). E’ necessaria anche una
messa a misura di un piano per la mobilità urbana e metropolitana, in collegamento con
Atm (linee di superficie, metropolitana, raccordo con Ferrovie, ma anche taxi e servizi di
radio bus).
• Valorizzare le buone prassi: potenziare le scelte nel campo della residenzialità, sfruttando
le competenze e le esperienze maturate da Ledha con “Spazio residenzialità”. La Ledha e
“Oltre noi la vita”, ad esempio, stanno lavorando in rete per costruire consapevolezza
rispetto a esperienze di nuclei residenziali solidali, per venire incontro alle esigenze del
“Dopo di noi”.
Da un lato quindi agiremo sugli effetti della povertà e quindi attraverso contributi economici (e reti
di sostegno per i casi più gravi, come ad es. i senza fissa dimora).
Dall’altra interverremo sulle disuguaglianze di stili di vita, che le diverse disponibilità economiche
determinano, garantendo più equità nell’accesso ai servizi.
In terzo luogo cercheremo d’intervenire anche sulle cause, della povertà e della disuguaglianza.
Nel perseguire questi obiettivi è necessario operare non in una logica assistenzialistica, ma con
un’attenta progettazione sui casi.