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SPOLVERATO;
- ricorrenti -
contro
2019
DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI VERONA, in
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persona del legale rappresentante pro tempore
- controricorrente -
con ricorso depositato il 26 novembre 2014 MION Valter e MIGROSS S.p.a. proponevano
sanzioni amministrative, più spese di notifica per complessivi euro 241.486,43 a seguito
accertata con precedente verbale d'ispezione in data 7 dicembre 2009 "per non aver
coperto la prescritta quota di appartenenti alle categorie dei disabili, decorsi sessanta
giorni dalla data nella quale è insorto l'obbligo della loro assunzione, per cause
imputabili al datore di lavoro (inosservanza dei termini e delle modalità previste dalla
relativamente lavoratori e nei periodi di seguito indicati" per un totale di 4719 giornate
co. I, della L. n. 68 del 1999. I ricorrenti avevano chiesto l'annullamento delle opposte
illeciti contestati sotto il profilo del dolo e della colpa, atteso che l'azienda aveva fatto il
possibile per adempiere agli obblighi assunti, tenuto conto della situazione di mercato,
lavoratori disabili, cui era tenuta, con la conseguenza che MIGROSS era stata
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gli opponenti, quindi, con citazione del 24 febbraio 2016, avevano appellato la sentenza
pagamento delle relative spese e dando atto della sussistenza a carico della stessa dei
in proposito la Corte territoriale ha osservato come il giudice di primo grado non avesse
parte appellante, atteso che una volta accertato il fatto oggettivo della commissione
fatti impeditivi della pretesa sanzionatoria. Richiamando, tra l'altro, sul punto la
pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte, n. 10508 del 1995, la Corte veneziana ha
rilevato che l'onere di provare di aver agito senza colpa e dolo, stante la presunzione
iuris tantum di colpevolezza, è posto a carico del trasgressore e che inoltre ricade
di fatto o dell'errore sul precetto scusabile. Inoltre, a giudizio della Corte distrettuale, la
buona fede è invocabile soltanto se la mancanza di coscienza dell'illiceità del fatto deriva
circostanze che abbiano indotto il soggetto a convincersi della liceità della propria
condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al
precetto di legge. Era evidente che tali circostanze non sussistevano nel caso in esame.
Infatti, parte opponente aveva sostenuto che l'obbligo di copertura delle quote di riserva
era stato puntualmente osservato "fino a quando la crisi generale del mercato aveva
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del ricorso) e che la Provincia di Verona non aveva provveduto, come invece suo dovere,
dall'obbligo di assunzione. Inoltre, nel caso di specie la stipula della convenzione non
perfettamente idonea ad integrare l'illecito previsto dal combinato disposto degli articoli
della prescritta quota di appartenenti alle categorie dei disabili. Quanto, poi, alla
questione della chiamata nominativa e degli obblighi gravanti sulle parti, ad avviso della
Corte territoriale, era docunnentalmente provato che a seguito della stipula della
venti candidature da parte dell'Istituto Don Calabria e dei SIL delle ASL 20 e 22,
ottemperando così ai propri obblighi. Parte opponente aveva sostenuto che la chiamata
però, non era condivisibile, a giudizio della Corte veneziana, considerato che la
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caso tali procedure vedevano il coinvolgimento di enti formativi, nella specie l'istituto
Don Calabria e i servizi sanitari, il cui apporto diventava determinante nel ridurre in
termini di percentuale l'eventualità che i soggetti in tal modo selezionati non risultassero
idonei alle mansioni previste. Nessuna norma della legge n. 68/1999 presupponeva che
parte della Provincia competente. Né poteva ritenersi che la Provincia avesse avallato
opponente era stata avvertita che se non avesse rispettato gli obblighi assunti con la
primo giudicante, anche secondo la Corte d'Appello, si trattava infatti di due iniziative
distinte e autonome, una dall'altra, ed in ogni caso la Provincia anche dopo la diffida
Calabria e dei SIL, cui MIGROSS non aveva dato alcun riscontro. Era acclarata, pertanto,
la volontà della società di non procedere agli inserimenti concordati dei lavoratori
disabili, disattendendo così gli obblighi assunti. In definitiva, secondo la Corte veneta,
non vi erano dubbi circa la sussistenza degli illeciti contestati, sia sotto il profilo
avverso l'anzidetta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione MION Valter e
MIGROSS S.p.a., come da atto in data 17 /19 gennaio 2017 (notifica poi rinnovata in
virtù di decreto presidenziale ex artt. 377, co. 3, e 291 c.p.c. in data 16-10-2017),
ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito l'Ispettorato Nazionale del Lavoro di Verona
con l'Avvocatura Generale dello Stato mediante controricorso del 6 dicembre 2017;
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CONSIDERATO che
con il primo motivo o ricorrenti hanno denunciato violazione, errata interpretazione e/o
falsa applicazione degli articoli 2697 c.c. 15 della legge n. 68 del 1969 nonché 6 del
decreto legislativo n. 150 del 2011, laddove con l'impugnata decisione era stata esclusa,
nel caso di specie, l'inversione dell'onere probatorio, tanto più che doveva applicarsi
l'anzidetto articolo 6, comma 11, secondo cui il giudice accoglie l'opposizione quando
l'articolo 15, comma quattro, della cit. legge n. 68, secondo cui «Trascorsi sessanta
giorni dalla data in cui sorge l'obbligo di assumere soggetti appartenenti alle categorie di
cui all'articolo 1, per ogni giorno lavorativo durante il quale risulti non coperta, per
all'articolo 14, di una somma pari a lire 100.000 al giorno per ciascun lavoratore disabile
che risulta non occupato nella medesima giornata». Tale norma, secondo parte
ricorrente, alla luce pure dei chiarimenti ministeriali forniti come da circolare del
Ministero del Lavoro in data 18 marzo 2003, n. 325, andava letta nel senso che non
basta la semplice scopertura per integrare la fattispecie di cui all'articolo 15, co. 4°,
fatto richiesta in tal senso come in sua facoltà, e /o comunque legittimamente confidato
Nella fattispecie la Corte di appello, ritenuti assolti da parte della Provincia i propri
obblighi inerenti alla chiamata nominativa, aveva ritenuto non condivisibile l'assunto
circa la facoltatività diretta chiamata per il datore di lavoro, donde la necessità di una ,
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Detta interpretazione, tuttavia, ad avviso dei ricorrenti, era in contrasto con la legge n.
adempiere ai propri obblighi e che non abbiano reperito idonee candidature, fosse
con la ratio della legge n. 68, dal momento che al datore di lavoro, pur intenzionato ad
adempiere, ma che non abbia trovato personale idoneo, non potrebbe ritenersi precluso
nel caso di specie, pena un'ingiustificata disparità di trattamento, però non fondata in
alcun modo sulla ratio della legge n. 68, contrariamente a quanto asserito dal giudice di
appello. Tale interpretazione era stata confermata dalla nota circolare del Ministero del
Lavoro, n. 325 del 18 marzo 2003 (... se la funzione primaria delle amministrazioni
rinuncia alla facoltà di ricorrere alla richiesta nominativa). Secondo parte ricorrente la
circolare aveva altresì chiarito che la mancata chiamata nominativa non è di per sé
elemento che faccia scattare la sanzione prevista, in quanto gli uffici sono, comunque,
dovuto condurre ad escludere, ai sensi del citato articolo 15, comma 4, e giusta il
(
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corretto riparto degli oneri probatori nel caso di specie, in base pure ai richiamati artt.
con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione dell'articolo 1362 c.c. in
secondo cui la Provincia di Verona con la diffida del 18 ottobre 2007 -mediante cui la
stessa avvertiva la società che se non avesse rispettato gli obblighi assunti con la
alla segnalazione agli organi ispettivi- non avrebbe avallato l'interpretazione del
1362 e 1366 c.c. in combinato con gli articoli 15 della legge n. 68 del 1999 e 3 della
legge 689 del 1981, laddove l'impugnata sentenza aveva omesso di considerare
comunque alla stregua di legittima scusante la diffida della Provincia in data 18 ottobre
avviamento numerico da parte della Provincia, ciò in relazione all'articolo 360 comma
operata dalla Corte territoriale, che aveva inteso inverato l'illecito al mero verificarsi
68 del 1999, laddove aveva trascurato che sul piano soggettivo debbono rilevare
la non imputabilità del datore di lavoro, la sua buona fede, la correttezza del
di elementi positivi che ne sono prova. Nella specie la Corte territoriale aveva omesso di
considerare, senza fornire alcuna motivazione al riguardo, che la Provincia con la diffida
del 18 ottobre 2007 (con la quale aveva letteralmente avvertito MIGROS che se non
all'avviamento numerico dei lavoratori disabili e quindi alla segnalazione agli obblighi
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ispettivi) se anche non avesse avallato l'interpretazione della legge nel senso della
convincimento, della mancata copertura. Quindi, anche laddove si fosse ritenuto che la
68/1999, in punto di rilevanza del comportamento della Provincia ai fini del giudizio di
Corte veneziana aveva errato nel non tenere in alcuna considerazione che il
sanzione in relazione alla regola di giudizio di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n.
150 del 2011. In effetti, dopo avere sbrigativamente e fallacemente, opinato che
nessuna norma della legge 68 presupponeva che l'inadempimento datoriale agli obblighi
Corte territoriale aveva ritenuto che con il proprio agire la Provincia non avesse avallato
Corte aveva, però, trascurato -sebbene occorrente ai fini della scusabilità e quindi della
responsabilità ex citato art. 6 il dato documentale della diffida 18 ottobre 2007, emessa
-
considerare non solo che il tenore della dichiarazione contenuta nella diffida ex articolo ,
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alla richiesta di avviamento numerico, era idonea in generale ex articolo 1366 c.c. nella
propri obblighi in materia, cui era condizionata la sanzionabilità della scopertura, per cui
anche in materia di atti amministrativi occorre pure fare riferimento al canone della
buona fede nell'interpretazione del provvedimento. Anche nei rapporti tra cittadini e
aspettativa legittima di buona fede proprio perché ingenerata dal factum principis,
della sanzione fintanto che la Provincia non avesse proceduto all'avviamento numerico
totale buona fede confidato. Inoltre, la decisione sul punto appariva in palese
collegio e comunque con l'interpretazione che secondo buona fede di esso aveva potuto
fare e dare il destinatario. L'omessa considerazione della diffida della Provincia in data
rappresentava violazione delle norme di legge, che prevedono l'esimente della buona
689 del 1981 e rilevante come causa di esclusione della responsabilità amministrativa
(citandosi sul punto Cass. 6 aprile 2011 n. 7885 nonché 23 ottobre 2003 n. 14107);
con il terzo motivo è stata denunciata la violazione falsa applicazione degli articoli 15
comma quattro della legge n. 68 del 1999, 416 e 115 c.p.c. in relazione all'omesso
rilievo delle altre giustificazioni dedotte da MIGROSS a sostegno della scusabilità del
proprio comportamento, non specificamente contestate dalla DTL - art. 360 nn. 3 e 5
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fatti esposti da parte opponente a giustificazione della non imputabilità del contestato
inadempimento, e che l'opposta DTL aveva del tutto superficialmente contestato come
generale e sensibile arresto economico del mercato che aveva frenato qualsiasi
documentale, del fatto che la scopertura contestata fosse soltanto parziale, laddove tale
elemento avrebbe dovuto essere valutato in quanto rilevante alla luce della normativa,
Corte di merito aveva considerato la stipula in data 14 aprile 2012 di una nuova
scusabilità del comportamento tenuto in buona fede dalla società, ossia, nel contesto di
lo
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mobilità, ossia le stesse causali che nel quadro normativo di riferimento consentivano
correttamente gli oneri probatori, il collegio giudicante avrebbe dovuto concludere nel
senso che non vi erano prove sufficienti a stabilire la responsabilità degli opponenti sotto
violazione dell'art. 366 co. I n. 6 c.p.c., l'accertamento ispettivo di cui alle successive
opposte ordinanze, accertamento sul quale decisioni dei giudici di merito, di primo e
parimenti dicasi per la corrispondenza che si assume intercorsa dopo la diffida di ottobre
2007 (neanche questa testualmente e per intero trascritta, sebbene ne sia stata
fatto tutto quanto possibile per poter rispettare la convenzione ai fini della pattuita
ipotizzate da parte ricorrente, le cui doglianze in questa sede, per altro verso, vanno
esaminate nei soli limiti in cui risultano sintetizzati i motivi del gravame a suo tempo
interposto, giusta le lettere a) e b) a pag. 10 del ricorso (errato riparto degli oneri
probatori nel giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione in prime cure -artt. 2697
c.c. e 6, comma 4, del dl.vo n. 150/2011 ed errata applicazione della regola di giudizio
di cui all'art. 6, co. 11, dl.vo n. 150/2011, in relazione alla fattispecie dell'art. 15, co. 4,
I. n. 68/1999, essendo dovere del giudice accogliere l'opposizione quando non vi sono
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all'agente delle cause dell'illecito e della buona fede pur invocata dagli opponenti anche
amministrativa);
e circostanze diverse da quelle dedotte nel precedente grado di merito, se non in quanto
desumili da complete allegazioni di parte ricorrente ai sensi del citato art. 366, co. I, e
dalla lettura dell'impugnata sentenza (v. da ultimo Cass. 11 civ. n. 2038 del 24/01/2019:
ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non
risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta
inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l'avvenuta deduzione
innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi
abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la
veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa. Conforme
Cass. n. 20518 del 2008. In senso analogo v. altresì Cass. III civ. n. 14590 del
compiuti dal giudice del merito, perché allo stesso non sollecitati. Ove una determinata
questione che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella
legittimità ha l'onere di indicare in quale atto del giudizio di merito l'abbia dedotta, così
da permettere alla S.C. di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di
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ogni altro esame. In senso conforme, tra le altre, Cass. nn. 6542, 6656 e 15950 del
2004);
(indipendentemente anche dalla possibile preclusione, ex art. 348-ter c.p.c., per effetto
di doppia conforme decisione di merito in punto di fatto, visto che la sentenza di primo
grado, risalente al 15.12.2015, quindi impugnata con atto del 24.02.2016, è stata per
ai sensi dell'art. 54, comma 2, del dl. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134
del 2012, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia
- per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. -nel testo
riformulato dall'art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze
pubblicate dal giorno 11 settembre 2012- deve indicare le ragioni di fatto poste a base,
dimostrando che esse sono tra loro diverse. Conforme, tra le altre, Cass. II civ. n. 5528
del 10/03/2014);
invero, alla luce di quanto accertato e deciso, nei sensi sopra indicati, non risulta
omesso l'esame di alcun fatto, rilevante e decisivo, in base alla vigente attuale
formulazione del succitato art. 360 n. 5, norma che ad ogni modo non consente il
operato dai giudici di merito (cfr. Cass. II civ. n. 27415 del 29/10/2018: l'art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
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discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; pertanto, l'omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il
fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice,
Cfr. analogamente anche Cass. sez. un. Civ. nn. 8053 e 8054 del 2014, nonché Cass. II
civ. n. 14802 del 14/06/2017: l'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall'art. 54
del dl. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, introduce
Cass. Sez. 6 - 3, n. 22598 del 25/09/2018: in seguito alla riformulazione dell'art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif.,
dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto
all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, sesto comma, Cost. e,
nel processo civile, dall'art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato
risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della
Similmente Cass. III civ. n. 23940 del 12/10/2017: in seguito alla riformulazione
dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv.,
con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione
sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma
6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma
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od incomprensibile", al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo
per omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che
appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia. Inoltre, secondo
artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito,
comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il
corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti
dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze
trovi applicazione l'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione novellata dal dl.
Cass. lav. n. 21439 del 21/10/2015: nel giudizio di cassazione è precluso l'accertamento
dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori, tanto più a seguito della modifica
dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv.
con modif. in I. n. 134 del 2012, che consente il sindacato sulla motivazione
parti.
Cass. Sez. 6 - 3, n. 12928 del 9/6/2014: in tema di ricorso per cassazione, dopo la
modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. ad opera dell'art. 54 del d.l.
22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del ,
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fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la
motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere
Cass. Sez. 6 - L, n. 2498 del 10/02/2015: l'omesso esame di elementi istruttori non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorché la sentenza non abbia
con il difettoso esame dei parametri della liquidazione dell'indennità ex art. 32, comma
Cass. III civ. n. 11892 del 10/06/2016:: il cattivo esercizio del potere di apprezzamento
delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio
denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma
dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli
atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere
che di denunzie ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. circa pretese violazioni o false
dai ricorrenti circa le contestate violazioni in ordine alla mancata copertura della
prescritta quota di appartenenti alle categorie di disabili, una volta decorsi i sessanta
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giorni dal momento in cui era maturato l'obbligo dell'assunzione di costoro, a causa
come da verbale ispettivo in data 7 dicembre 2009, per un totale di 4719 giornate
rappresentante pro tempore, per cui i giudici di merito non hanno ravvisato nemmeno
nemmeno sotto il profilo soggettivo, avuto pure riguardo alla diffida da parte della
ex art. 366 n. 6 c.p.c. per difetto di esauriente e completa riproduzione dell'atto, non si
rilevano puntuali deduzioni circa specifici errori d'interpretazione ex art. 1362 e ss. c.c..
merito, non risultando quest'ultimo abnorme ovvero del tutto implausibile, tanto più poi
che anche in seguito alla suddetta diffida comunque la stessa Provincia aveva avviato la
però la MIGROS non aveva dato alcun riscontro, a confutazione, evidentemente, della
lavoratori disabili, disattendendo gli obblighi assunti. In definitiva non vi possono essere
dubbi sulla sussistenza degli illeciti contestati sia sotto il profilo oggettivo che
soggettivo» (cfr., del resto, tra le altre, Cass. I civ. n. 640 del 14/01/2019, secondo
cui le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all'art. 360, comma 1, n.
concreto; b) quello afferente all'applicazione della norma stessa una volta correttamente
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possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di
legge consiste, o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che
corretta sua interpretazione. Non rientra, invece, nell'ambito applicativo dell'art. 360,
mezzo delle risultanze di causa, che è, invece, esterna all'esatta interpretazione della
sindacato di legittimità. In senso analogo, Cass. I civ. n. 24155 del 13/10/2017, nonché
leggersi anche ad integrazione di quelle contenute nella pronuncia di primo grado, infatti
e lineari nella loro esplicazione, di guisa che sicuramente non possono dirsi inferiori al
c.d. minimo costituzionale occorrente a norma degli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 c.p.c. (v.
giudici di merito, del tutto corretto, anche in punto di diritto, appare l'iter argomentativo
seguito dai giudici di merito, specialmente laddove è stata esclusa ogni indebita
della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è
responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa), alla luce della consolidata
guisa che, in materia di illecito amministrativo, la buona fede dell'autore del medesimo
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può rilevare come causa di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando
l'errore sulla liceità del fatto risulti incolpevole, occorrendo a tal fine un elemento
positivo idoneo ad indurre un errore siffatto, non ovviabile dall'interessato con l'ordinaria
diligenza, restando escluso che la mera tolleranza della p.a. costituisca un fatto idoneo a
radicare la buona fede dell'agente (Cass. I civ. n. 14107 del 23/09/2003, confermando
inoltre quanto affermato in precedenza da questa Corte con la sentenza n. 7143 del
25/05/2001, secondo cui l'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 pone una
presunzione "iuris tantum" di colpa in chi ponga in essere o manchi di impedire un fatto
connessi alla carica ricoperta). In particolare, le Sezioni unite con la sentenza n. 10508
del 6/10/1995, avevano già chiarito che il principio posto dall'art. 3 della legge 24
novembre 1981 n. 689, secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa
è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva sia essa dolosa o
colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che
occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una
presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso,
riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa (v. ancora Cass. Il
civ. n. 1781 del 28/01/2008, secondo cui l'esimente della buona fede, prevista dall'art.
3 legge n. 689 del 1981, non trova applicazione quando l'affidamento relativo alla liceità
della condotta, dipende dalla concomitanza di una pluralità di fattori, tra i quali
l'imprudente comportamento dell'autore della violazione. Cfr. altresì Cass. II civ. n. 726
del 16/01/2008: non sussiste l'esimente della buona fede come causa di esclusione della
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V. parimenti Cass. 11 civ. n. 20219 del 31/07/2018: l'esimente della buona fede,
applicabile anche all'illecito amministrativo disciplinato dalla I. n. 689 del 1981, rileva
come causa di esclusione della responsabilità amministrativa -al pari di quanto avviene
per quella penale in materia di contravvenzioni- solo quando sussistano elementi positivi
idonei ad ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua
condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al
particolare, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 689 del 1981, per le violazioni colpite da
volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione
del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto
vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di
V. pure Cass. II civ. n. 720 del 15/01/2018: la sufficienza, al fine d'integrare l'elemento
soggettivo della violazione, della semplice colpa ex art. 3 legge 689 del 1981, comporta
che, al fine di escludere la responsabilità dell'autore dell'infrazione, non basta uno stato
di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale ignoranza
sia incolpevole, cioè non superabile dall'interessato con l'uso dell'ordinaria diligenza.
l'offensività, in concreto, del comportamento del trasgressore non rileva, salva la sua
valutata "ex ante" dal legislatore con la previsione della norma sanzionatoria.
amministrative, l'onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l'esistenza
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Parimenti, secondo Cass. lav. n. 911 del 2/2/1996, poiché ai sensi dell'art 3 della legge
24 novembre 1981, n. 689, per integrare l'elemento soggettivo delle violazioni cui è
liceità del fatto -anche derivante da una situazione di psicologica ignoranza del precetto,
secondo il principio enunciato in materia penale dalla sentenza costituzionale n. 363 del
della responsabilità -al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di
contravvenzioni- soltanto quando risulti incolpevole e cioè non superabile con l'uso
merito, salvo il controllo in sede di legittimità sotto l'aspetto del vizio logico o giuridico
di motivazione. Conformi Cass. nn. 8180 del 1992, 3693 del 1994 e n. 1873 del 1995);
del tutto inconferente, inoltre, appare l'asserita violazione dell'art. 6 del decreto
sussistenza degli illeciti contestati, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, perciò
parte ricorrente (in proposito, per completezza va anche chiarito come parte ricorrente
dell'art. 15, comma 4, della I. n. 68/1999 -«Trascorsi sessanta giorni dalla data in cui
sorge l'obbligo di assumere soggetti appartenenti alle categorie di cui all'articolo 1, per
ogni giorno lavorativo durante il quale risulti non coperta, per cause imputabili al datore
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somma pari a lire 100.000 al giorno per ciascun lavoratore disabile che risulta non
cui derivi la mancata copertura della quota d'obbligo, perciò a prescindere dall'elemento
soggettivo -dolo o colpa-, la cui disciplina agli effetti sanzionatori resta comunque
volontarietà anch'esse, come sopra visto, contemplate come presupposti indefettibili dal
cit. art. 3, indifferentemente con dolo o colpa - v. parimenti l'art. 42, u. co., c.p.:
infondate, pertanto, appaiono anche le censure circa l'asserita errata applicazione della
come nella specie non poteva ammettersi la facoltatività della chiamata nominativa,
possibile soltanto per i datori non aderenti alle convenzioni di cui all'art. 11 della L. n.
68/1999;
nell'ambito delle sue precipue competenze, nel cui contesto normativo, inoltre, parte
conseguenti effetti;
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rinnovazione del ricorso -che non era stato notificato presso l'Avvocatura generale dello
provveduto a notificare il controricorso come da relata con spedizione postale in data sei
dicembre 2017 -mercoledì, giorno feriale- perciò al 41° giorno, quindi oltre il termine
previsto dall'art. 370 c.p.c.. Per giunta, detta notifica non risulta perfezionata, non
fissata per il sei marzo 2019, laddove in particolare è stato dedotto che l'atto difensivo
avversario non è mai pervenuto alla ricorrente presso il domicilio eletto, né mai ricevuto
altrove - cfr. al riguardo da ultimo anche Cass. V civ. n. 21105 del 24/08/2018, secondo
inammissibile non può essere posto a carico del ricorrente soccombente nel computo
dell'onorario di difesa da rimborsare alla parte resistente, poiché in tale ipotesi detta
procedimento in camera di consiglio dinanzi alla sezione ordinaria, previsto dal d.l. n.
168 del 2016, conv., con modif., dalla I. n. 197 del 2016, è limitato alla redazione della
memoria scritta ex art. 380 bis, comma 1, c.p.c., ossia all'unica attività difensiva
discussione in pubblica udienza. Nel caso qui in esame, ad ogni modo, la suddetta
memoria scritta è stata depositata dalla sola parte ricorrente, nonostante i rituali e
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P.Q.M.