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PIER PAOLO PASOLINI

Il risveglio dei giovani

Da le belle bandiere, dialoghi con i lettori di Vie Nuove


N29 a. XV, 16 luglio 1960

Scusi l’originalità, ma vorrei chiedere il suo parere sulla «non crisi» dei giovani italiani. Parlo dell’ultima generazione
quella tra i sedici e i vent’ anni che ha fatto sentire la sua presenza nelle piazze di Genova in difesa degli ideali
antifascisti. E quello di Genova non mi pare un caso isolato. I giovani sono stati presenti a Licata, a Palermo; a Firenze,
a Roma, dovunque si poteva difendere a viso aperto la libertà e la giustizia. Mi vien da pensare, di fronte a questi fatti,
che certi buoni esempi funzionano sempre a scoppio ritardato. Tra la generazione che ha fatto la guerra partigiana e
quella che si presenta oggi alla ribalta, mi pare che ci sia stato un lungo sonno, almeno se devo credere al gran parlare
di «crisi» che si è fatto sui giornali. Oppure era tutta una montatura e la crisi era soltanto nella testa di chi parlava di
crisi?
Rodolfo Bellini - Firenze

Lei mi Pone il problema più difficile che si possa immaginare. Io l’ho sempre evitato, perché mi sembra così
complesso e sfuggente, da presentarsi non solo come irrisolvibile, ma come indefinibile.
Non c’è niente di più labile del periodo della giovinezza «dai sedici ai vent’anni», come lei la delimita: più
labile in senso assoluto, data la crudeltà del tempo che vola inesorabile, e anche in senso specifico: se io
penso com’è labile la vita storica di un uomo in Italia, mi atterrisco di fronte alla labilità della sua giovinezza.
Intanto è impossibile stabilire una «media»: lei sa che l’Italia vive a vari livelli economici, culturali, storici.
Questa varietà di livelli si rifrange negli individui, facendone dei casi sempre un po’ impalpabili, sfuggenti,
difficilmente definibili. D’altra parte ciò non li preserva dallo «standard», dal conformismo che uguaglia e …
livella. Infatti la convenzionalità, il conformismo, la standardizzazione si superano soltanto con la coscienza
critica, con un alto, sviluppato, adulto senso civile: e questo purtroppo non è il caso degli italiani, che sono
dunque da una parte instabili, misteriosi, irrazionali – tendenti a sfuggire alle definizioni della «media» -
dall’altra parte sono elementarmente pacificati e codificati – tendenti a rientrare sempre in un tipo medio
meccanicamente fisso.
Questa doppi faccia, questa incertezza storica e psicologica, si ritrovano ancora più accentuate nei
giovani.
E aggiunga poi il fatto che le generazioni giovani si succedono senza soluzione di continuità: il sedicenne
che diventa diciassettenne è subito seguito da un quindicenne che diventa sedicenne.
Per tutte queste ragioni io mi sento smarrito a risponderle. Ci stanno i fatti, lei mi dice, e allora, restando
ai fatti, io devo confessarle che – pur essendo ancora pochi, questi fatti, e pur non potendosene ancora
trarre una media – essi danno ragione al mio fondamentale ottimismo. Io so che i migliori italiani sono i
giovani, dai sedici ai vent’anni: di gran lunga i migliori. Essi sono ancora alle soglie dalla vita sociale, e di
essa vedono solo i più puri ideali: non ne sono ancora contaminati, corrotti, avviliti, livellati, spaventati
(badi che parlo della società italiana, non della società in generale). Essi sono ancora liberi, disponibili,
possono «credere». Il vizio fondamentale della società piccolo borghese cattolica, ossia la viltà, non li ha
ancora contagiati. Per questo io nel periodo in cui si faceva tanto parlare di teddy boys, ho sempre detto
che questo è un fenomeno particolare, di qualche zona dove il capitalismo è particolarmente sviluppato
economicamente ma non, per forza di cose, culturalmente.
Non può esistere una crisi della gioventù: l’unica sua crisi è una crisi di crescenza. C’è stata, invece una
crisi della società italiana: o, meglio, una ricaduta: dopo l’improvvisa e miracolosa guarigione dal fascismo,
attraverso la Resistenza. Questa ricaduta, che raggiunge in questi giorni la sua fase più acuta, col governo
missino di Tambroni, si è riflessa naturalmente, anche nei giovani, se questa categoria si può lecitamente
fare. Anni di buio sull’Italia e anni di buio sulla gioventù italiana.
Il risveglio che lei nota nei giovani è un risveglio che si nota anche nei non giovani, in quelli della nostra
generazione. I clerico-fascisti stanno tendendo troppo la corda: e la pazienza dei lavoratori italiani, giovani e
vecchi, ha un limite. Ciò che strazia è che dei giovani – per fortuna una minima parte – diano la loro
freschezza, la loro disponibilità, la loro confusa sete ideale, agli avanzi isterici e anarchici del fascismo …

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