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Lezione: 24/05/17

Sbobinatore: Francesco Toccaceli


Controllore: Jacopo Ravegnini
Argomento: vitamina E, vitamina K, vitamina C

Nella lezione di oggi parleremo di due vitamine liposolubili: la vitamina E e la vitamina K; e ne


spiegheremo il ruolo biologico e il meccanismo d’azione. Parleremo anche delle vitamine
idrosolubili, in particolare della vitamina C poiché è l’unica vitamina idrosolubile che ha anche
un ruolo coenzimatico.

VITAMINA E
Cominciamo presentando la vitamina E che si presenta sotto forma di α-tocoferolo;
guardiamone la struttura: prevede un anello
aromatico che si chiama cromanolo e una
catena isoprenoide costituita da 14 atomi di
carbonio. Se guardate la struttura chimica vi
balza agli occhi che è una molecola idrofobica
(ricordate che una molecola altamente ridotta
presenta numerosi H e CH3 e sarà una molecola alpha-tocoferolo

non solubile in acqua), infatti questa vitamina sarà un olio. Prestate attenzione quindi alla
vitamina E il cui solo punto polare è il gruppo OH presente sull’anello aromatico del
cromanolo ed è proprio su questo gruppo ossidrilico che si incentra il ruolo biologico di
questa vitamina che adesso andremo a descrivere. Noi assumiamo con la dieta questa
vitamina sotto forma di esteri di α-tocoferolo (presente negli oli, nella frutta secca e in
alimenti di natura animale come latte e uova) di cui l’enzima idrolasi pancreatica ne elimina il
gruppo estere e la vitamina E viene integrata nei chilomicroni trasmessi attraverso la linfa e il
sangue al fegato dove viene depositata e esportata a sua volta ad altri tessuti, quali adiposo e
muscolare, perchè incorporata nelle VLDL. Ricordate che l’ingresso della vitamina E nei
tessuti è mediato da una proteina che si chiama α-TBP (legante il tocoferolo). Una volta
entrata nei tessuti la vitamina E si va a localizzare nella membrana cellulare grazie alla sua
struttura chimica, infatti la catena isoprenoide si può intercalare tra i fosfolipidi di membrana
e orientarsi in modo tale da esporre il gruppo ossidrilico (polare) della molecola a livello delle
teste fosfolipidiche (nds: la prof. fa riferimento all’immagine della slide n.4). L’immagine
mostra una membrana plasmatica e notiamo che la componente degli acidi grassi di
membrana è alterata perché un eventuale problema che può insorgere riguardanti i
fosfolipidi, in particolare gli acidi grassi poliinsaturi (come l’acido arachidonico, i PUFA), è
quello di degenerazione per effetto dei radicali liberi. I radicali liberi sono molecole
estremamente tossiche e reattive con una configurazione elettronica instabile (presentano
degli elettroni spaiati negli orbitali più esterni); queste molecole tendono a trovare stabilità
proprio “strappando” elettroni a strutture biochimiche in grado di donare questi elettroni
come appunto gli acidi grassi poliinsaturi ma anche DNA . Quindi conseguentemente all’azione
di danno mediato dei radicali liberi dell’ossigeno si osserva un deterioramento chimico
ovvero una perossidazione chimica che determina un’alterazione nella struttura degli acidi
grassi di membrana; questo effetto si può propagare a livello della membrana e danneggiarla
irreparabilmente. La vitamina E che si intercala nella membrana fosfolipidica ha la funzione di
interrompere la propagazione e quindi di proteggere le membrane da questo evento dannoso.
Di fatto i radicali dell’ossigeno sono delle molecole attive che determinano questo
deterioramento dei lipidi alterando i doppi legami carbonio-carbonio o dei gruppi metilenici
della catena idrocarburica; questo problema determina un irrancidimento dei grassi e degli oli
conosciuto già dagli antichi che per ovviare al problema facevano uso di spezie che
preservavano gli alimenti. I radicali dell’ossigeno sono i più tossici e sono: lo ione superossido
e il radicale ossidrilico; questi radicali si formano per una parziale riduzione dell’ossigeno che
vuol dire che nell’orbitale più esterno ci sono elettroni spaiati. Sono altamente tossiche queste
molecole e devono essere prontamente rimosse. Il nostro organismo ha dei sistemi enzimatici
che riescono a convertire queste molecole in altre meno tossiche. La superossido dismutasi è
un enzima che converte il superossido in perossido di idrogeno (acqua ossigenata) che non è
un radicale, la quale a sua volta attraverso una reazione di decomposizione che vede il Fe
come cofattore produce radicale ossidrilico (radicale ancora più tossico). Il radicale ossidrilico
sarà il substrato della glutatione perossidasi che ne neutralizza la tossicità . L’ossido nitrico è
un altro radicale che è anche un mediatore cellulare presente in piccole concentrazioni nel
nostro organismo, ma ad alte concentrazioni ha gli stessi effetti degli altri radicali
dell’ossigeno. Alcuni radicali dell’ossigeno hanno origine fisiologica, quindi prodotti dal nostro
organismo, come avviene nella catena respiratoria in cui l’ossigeno è l’accettore finale degli
elettroni e dai processi infiammatori. Altre fonti di radicali dell’ossigeno sono i raggi UV,
radiazioni ionizzanti, il fumo, inquinamento atmosferico; tutte condizioni ambientali che
aumentano il rischio di contatto con questi radicali.
Quindi la perossidazione degli acidi grassi altera la loro struttura compromettendo l’attività
della cellula che si traduce a sua volta nel tempo in varie patologie, oltre all’invecchiamento,
come patologie cardiovascolari.
Questa immagine evidenzia la
configurazione elettronica di questo
radicale che possiede un elettrone
spaiato e una molecola bersaglio con
un doppio legame carbonio-
carbonio. L’azione radicalica
consiste appunto
nell’appropriazione di un elettrone
del doppio legame della molecola
bersaglio raggiungendo così la
stabilità della propria struttura
lasciando incompleto di
conseguenza il doppio legame e allo
stesso tempo formando un nuovo
radicale.
A essere colpiti dall’azione radicalica
sono anche i gruppi metilenici che si trovano fra due doppi legami nella struttura dell’acido
grasso poliinsaturo; (nds: la prof. fa riferimento all’immagine della slide n.12) nell’immagine
si notano i gruppi CH2 che fanno da ponte tra i doppi legami, più CH2 ci sono quindi più l’acido
grasso rischia di essere colpito dall’azione radicalica.
La perossidazione lipidica può avvenire in tre momenti: iniziazione, propagazione e termine.
L’iniziazione è scatenata dal fatto che un radicale interagisce con il lipide (che presenta legato
ad un carbonio coinvolto in un doppio legame un H) strappando un H e stabilizzandosi, ma
quello che consegue è che il carbonio che ha ora un elettrone spaiato è diventato esso stesso
un radicale. Avvenuta questa reazione notiamo che vi è un riarrangiamento della struttura
dell’acido grasso con uno spostamento dei doppi legami e la formazione di un composto
chiamato diene coniugato. A questo punto a livello della membrana delle cellule in cui si
trovano alte concentrazioni di ossigeno (essendo una molecola idrofobica); per cui questo
radicale reagisce con l’ossigeno e forma un ulteriore radicale: il radicale perossile. Il radicale
perossile è instabile perciò incomincia la propagazione dell’impulso radicalico, ovvero il
perossile strappa un altro elettrone da un altro acido grasso poliinsaturo adiacente, quindi di
fatto agisce nuovamente sul CH2 che si trova tra due doppi legami, e ritorna stabile formando
la molecola che si chiama idroperossido (LOOH) nel mentre si è formato un nuovo radicale e
l’impulso si sta propagando. L’impulso così facendo si propagherà fino a che due radicali
vengono a trovarsi adiacenti e formeranno quindi un composto non più reattivo o se
interviene la vitamina E il cui gruppo ossidrilico che viene donato al fine di interrompere
l’impulso perossidativo. La vitamine E a questo punto è diventata essa stessa un radicale
chiamato radicale tocoferossile; solo grazie all’intervento della vitamina idrosolubile C (che è
in grado di passare da uno stato ridotto ad uno ossidato funzionando da donatore di protoni
ed elettroni) che la stabilizza donandole un protone o grazie al sistema del glutatione ridotto,
il composto così formatisi si chiamerà tocoferolo. In entrambi i casi è necessario il potere
riducente del NADPH che agisce per ricostituire la forma ridotta del glutatione o l’acido
ascorbico dal radicale ascorbile. Quindi la vitamina E ha un potere antiossidante. Vi ricordo
che quando abbiamo parlato della genesi della placca ateromatosa abbiamo visto che le LDL,
che sono le lipoproteine in circolo che contengono il colesterolo, sono avvolte da un guscio
fosfolipidico e quindi sarebbero protette dall’ossidazione grazie alla vitamina E; ma una volta
che le LDL infiltrano per il danno endoteliale nella vittima questa protezione mediata dalla
vitamina E viene a mancare e le LDL vanno incontro a processi perossidativi e verranno
fagocitate dai macrofagi.
La manifestazione clinica che può essere riconducibile ad una carenza di vitamina E è l’anemia
poiché i globuli rossi che sono a contatto con l’ossigeno sono particolarmente sensibili
all’impulso ossidativo; se vi è una mancanza di vitamina E la membrana dei globuli rossi
possono danneggiarsi e andare incontro ad una emolisi (alla rottura del globulo rosso non
sufficientemente protetto). Il fabbisogno è 10 mg/die.

VITAMINA K
La vitamina K è una vitamina liposolubile che svolge un ruolo antiemorragico. È assunta con la
dieta sotto forma di fillochinone (formato da un anello aromatico detto menadione e una
catena isoprenoide) particolarmente presente nei vegetali (in particolare quelli a foglia
verde). La vitamina K viene sintetizzata anche dai batteri della flora intestinale sotto forma di
menachinone. Le carenze di vitamina K sono rare proprio perché viene sintetizzata dalla flora
batterica. Anche in questo caso la vitamina K viene integrata nei chilomicroni e trasportata al
fegato ed è qui che media il suo ruolo biologico. La vitamina K infatti è l’unica vitamina tra
quelle liposolubili che ha un’azione coenzimatica con il ruolo di mediare delle reazioni di
carbossilazione di proteine che sono coinvolte nel processo di coagulazione del sangue.
L’enzima che carbossila queste proteine è il glutammil carbossilasi, la proteina (che ha
assunto un CO) così ionizzata accumula cariche negative le quali formeranno il legame con il
Ca. Le proteine che subiscono la carbossilazione sono alcune proteine dei fattori della
coagulazione ma anche alcune come l’osteocalcina che in questo modo può legare il Ca ed
entrare così nel processo di ossificazione dell’osso. La carbossilazione avviene a livello dei
residui di acido glutammico (che è un amminoacido dicarbossilico quindi ha un gruppo CO
utilizzato per fare dei legami con l’amminoacido adiacente e presenta un altro gruppo
carbossilico libero) al quale viene aggiunto un gruppo COOH diventando acido
carbossiglutammico. Per svolgere queste carbossilazioni la vitamina K devo convertirsi nel
coenzima chiamato idrochinone e si ottiene grazie una riduzione da parte di una reduttasi
NADPH dipendente. Il coenzima che partecipa a questa reazione cambia di struttura
diventando epossido e solo grazie ad una successiva riduzione l’epossido viene riconvertito in
vitamina K e questo ciclo è continuo. Queste reazioni sono importanti perché l’amminoacido
che è stato carbossilato di fatto ionizza e il COO -presente su questa proteina carbossilata sono
in grado di legare il calcio il quale è uno ione fondamentale nel processo di coagulazione del
sangue (quando si vanno a fare gli esami del sangue le provette vengono trattate con
anticoagulanti che sottraggono il Ca). Questo processo di carbossilazione avviene a livello
epatico e queste proteine carbossilate dette “mature” sono capaci di essere attivate una volta
immesse nel torrente sanguigno, importanti per la coagulazione del sangue.
Si dice quindi che la vitamina K è antiemorragica proprio perché grazie a questi processi di
maturazione regola la disponibilità di queste proteine della coagulazione. Le proteine
coinvolte nella coagulazione del sangue sono: il fattore II (trombina), il fattore IX (fattore
Christmas), il fattore X (fattore Stuart), il fattore VII (proconvertina), l’osteocalcina e la
proteina C.
Le proteine “mature”, quindi carbossilate, immesse nel torrente sanguigno per essere attivate
devono formare un complesso specifico (le proteine carbossilate legano gli ioni calcio che
fanno da ponte con le cariche negative presenti sui fosfolipidi di membrana delle piastrine).
Le proteine maturate dalla vitamina K sono inoltre degli zimogeni (proteine che con un
meccanismo autocatalitico si attivano per distacco di un frammento attivo). Il processo della
coagulazione è un processo altamente regolato che consta di due particolari momenti:
attivazione e adesione delle piastrine e l’attivazione di tutto il sistema coagulativo che porta
alla produzione di fibrina (proteina insolubile che media la formazione del coagulo); le
piastrine attivate secernono trombossani ( derivati degli acidi grassi essenziali), serotonina
( determina vasocostrizione), ADP e collagene. Le piastrine aderiscono allo strato
sottoendoteliale e si aggregano formando il trombo piastrinico stabilizzato ulteriormente dal
trombo fibrinico. Ci sarà poi l’intervento di una fibrinolisi per rimuovere il coagulo una volta
che la ferita si è rimarginata.
È importante che il processo di coagulazione del sangue sia altamente regolato in modo che si
attivi velocemente in caso di lesione o che non si attivi quando non è necessario per evitare
l’insorgenza di coaguli spontanei che potrebbero occludere un vaso e determinare l’anossia
dei tessuti. Il processo di coagulazione è un processo che si attiva a cascata, sono vari fattori
(che si trovano nel sangue) che partecipano ad una via intrinseca e ad una estrinseca che si
attivano a cascata (il primo fattore attiva il secondo che attiva il terzo e così via fino ad
arrivare alla formazione della fibrina).
La via intrinseca è attivata dalla lesione del tessuto e c’è l’intervento di una proteina chiamata
procallicreina (ad alto peso molecolare) che in presenza di collagene viene attivata a
callicreina che agisce come proteasi staccando un frammento attivo dal fattore XII che diventa
attivo che a sua volta con un processo a cascata stacca un frammento attivo dal fattore XI che
diventa attivo il quale conseguentemente stacca un frammento attivo dal fattore IX che si
attiva. Essendo il fattore IX una delle proteine carbossilate dalla vitamina K per potersi
attivare necessita anche della presenza di Ca e fosfolipidi. Il fattore X (che necessita della
presenza sempre di Ca e fosfolipidi) sarà attivato dal fattore IX ma anche dal fattore VIII
chiamato fattore anti emofilico (l’emofilia è una grave patologia dovuta alla mutazione di
questo fattore per cui non avviene una corretta coagulazione del sangue, è una malattia
genetica trasmessa dal cromosoma X) derivante dalla via estrinseca.
La via estrinseca prevede l’attivazione del fattore VII (proconvertina) che si attiva con il
distacco di un frammento attivo mediato da una molecola detta tromboplastina liberata dal
tessuto leso. La via comune prevede che il fattore X, insieme all’azione di un altro fattore detto
fattore V, attivi la protrombina (fattore vitamina K dipendente) in trombina. Nel dettaglio la
protrombina aderisce ai fosfolipidi di membrana tramite il Ca; il fattore X attivato ha
un’attività proteasica che è in grado di idrolizzare un legame peptidico sulla protrombina
liberandola. L’ultima tappa è mediata dalla trombina e prevede la formazione di fibrina a
partire dal fibrinogeno (proteina insolubile presente nel torrente circolatorio); il fibrinogeno
è una proteina complessa costituita da tre filamenti proteici legati fra di loro da legami
sulfidrilici ma ogni peptide (A, B, γ) presenta all’estremità residui di amminoacidi quali
l’aspartato e il glutammato (che sono entrambi due amminoacidi acidi, perciò presentano
delle cariche negative nella forma ionizzata che determinano una certa repulsione fra loro) ciò
impedisce la polimerizzazione del fibrinogeno. La trombina grazie alla sua attività proteolitica
rompe il legame peptidico che lega l’acido aspartico e il glutammico all’estremità di questi
peptidi, rimuovendo questi amminoacidi i due peptidi possono interagire fra di loro formando
la fibrina.
Questa prima in forma monomerica dimerizza e poi polimerizza, ma questa polimerizzazione
è mediata dal fattore XIII attivato dalla trombina stessa. La fibrina formerà una rete che
impedirà la fuoriuscita di globuli rossi e le piastrine formando il coagulo.
Gli anticoagulanti sfruttano il meccanismo di azione della vitamina K per svolgere il loro ruolo
di anticoagulante; questi vengono prescritti ad esempio a pazienti che hanno sofferto di
infarto o utilizzati per la derattificazione. La warfarina è la molecola antagonista della
vitamina K (il nome commerciale del farmaco è cumadin), nel dettaglio è un inibitore della
NADPH reduttasi che permetteva la formazione dell’idrochinone che è il coenzima che media
la reazione di carbossilazione, si formeranno così meno proteine mature.
Il momento in cui è possibile riscontrare una carenza di vitamina K è alla nascita perché la
placenta trasporta poca vitamina K, il latte materno è povero di vitamina K e nel neonato la
flora batterica non è ancora sufficientemente sviluppata. Fenomeni emorragici possono essere
collegati anche a patologie epatiche in cui viene coinvolta la vitamina K e il suo ruolo di
carbossilazione delle proteine coagulanti.

VITAMINA C
La vitamina C è una vitamina idrosolubile assunta con la dieta tramite la frutta, agrumi, nei
vegetali. La vitamina C è chiamata anche acido ascorbico il cui meccanismo d’azione si esplica
attraverso la sua capacità di essere un agente riducente; se guardiamo la struttura notiamo
che sono presenti due gruppi ossidrilici che possono perdere protoni e ossidarsi
trasformando così la vitamina in una forma ossidata detta acido deidroascorbico. Questa
capacità riducente è il meccanismo grazie al quale la vitamina C media il suo ruolo biologico.
La vitamina C, come tutte le vitamine idrosolubili, è assorbita a livello intestinale attraverso
un meccanismo di trasporto attivo Na dipendente, immessa poi in circolo per raggiungere le
varie cellule.
Le funzioni della vitamina C sono molteplici: determina la riduzione di metalli come il Fe e il
Cu e in questa maniera ferro e rame sono cofattori per una classe di enzimi detti diossigenasi
e monossigenasi che mediano la sintesi di alcune molecole (carnitina, tessuto connettivo,
catecolamine); ha un ruolo nelle reazioni di idrossilazione nel metabolismo del colesterolo e
del citocromo P450; importante nel metabolismo del Fe (assunzione e assorbimento);
degradazione dell’istamina.
La vitamina C mantiene il Fe nello stato ridotto che in questa forma è cofattore fondamentale
per alcune idrossilasi che sono fondamentali per la sintesi di alcuni amminoacidi come la
lisina (grazie alla lisina idrossilasi viene idrossilata a idrossilisina), la prolina (grazie alla
prolina idrossilasi viene idrossilata a idrossiprolina), questi due amminoacidi sono importanti
nella formazione della struttura del collagene. Quindi una carenza di vitamina C si traduce in
una alterata sintesi del collagene; la manifestazione carenziale di vitamina C si chiama
scorbuto che prevede emorragie spontanee a livello di gengive o delle gambe proprio perché il
collagene non è stato sintetizzato in maniera corretta quindi i vasi sono più fragili e tendono a
rompersi.
Carenza di vitamina C può correlare anche senso di affaticamento e stanchezza perché la
carenza di vitamina C riduce la sintesi di carnitina (molecola che permette il trasferimento di
acidi grassi all’interno del mitocondrio per la β-ossidazione). La vitamina C è coinvolta anche
nella riduzione del Cu, cofattore importante di enzimi coinvolti nella sintesi di ad esempio
catecolamine; a partire dalla fenilalanina abbiamo diverse idrossilazioni mediate da queste
idrossilasi vitamina C dipendenti; dalla fenilalanina si forma la tirosina, convertita e
idrossilata formando la diidrossifenilalanina (DOPA) che con l’aumento dei gruppi amminici
forma la dopamina convertita in noradrenalina grazie alla vitamina C e poi in adrenalina.
Perciò un ulteriore effetto dello scorbuto può essere alterazione dell’umore e del carattere
proprio per la riduzione di questi neurotrasmettitori.
La vitamina C media anche le risposte allergiche infatti la sintesi dell’istamina è mediata dalla
prostaglandine, questa vitamina è in grado di contrastare la sintesi della prostaglandina che
media la produzione di istamina (meccanismo antiallergico), inoltre ne favorisce anche la
degradazione. Un altro effetto della vitamina C è quello di partecipare alle reazioni di
idrossilazione che portano alla sintesi degli acidi biliari dal colesterolo e nelle idrossilazioni
coinvolte nella sintesi degli ormoni. Come ultimo effetto della vitamina C c’è quello di favorire
l’assorbimento del Fe che introduciamo con la dieta, il ferro viene assorbito a livello
intestinale se è nella forma ridotta Fe2+ (presente nella carne) mentre il ferro ossidato Fe 3+
(presente nella verdura) è assorbito più lentamente e difficilmente; perciò la vitamina C
permette la riduzione del Fe 3+ a quello Fe2+. Il ferro introdotto e assorbito poi si complessa
all’interno della cellula intestinale, si lega alla fernitina che rappresenta una forma di deposito
del ferro dove si ossiderà ; qui agirà nuovamente la vitamina C che ridurrà il ferro in modo che
si possa legare alla transferina che lo trasporterà ai tessuti.

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