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Questo lavoro è stato sollecitato da una visione scettica del contemporaneo; la politica,
l’economia, il mondo sociale e culturale, sono accumunati da forti cambiamenti e
tensioni che non fanno presupporre alcunché di positivo, se non la fine di un’epoca e
l’avvento di un tempo nuovo. Diversi gli epifenomeni che mostrano ciò: anzitutto la
mediocrità della leadership globale, incapace o refrattaria ad affrontare le urgenti
questioni ambientali, sociali ed economiche e di gestire gli enormi flussi di merci e
capitali, di informazioni e persone.1 Contestualmente si amplia la crisi di partecipazione
e legittimazione rispetto alle tradizionali forme dell’agire politico a cui si aggiunge un
iperliberismo globale, radicatosi socialmente e culturalmente, che potendosi muovere
liberamente e senza freni impedisce qualsiasi tipo di resistenza da parte di una comunità
politica, portando al ponte di comando decisionale tecnocrazie più o meno visibili, più o
meno elettive. L’incertezza sembra essere l’emozione predominante sia che si parli a
livello micro sia che si parli a livello macro, dovuta per buona parte alla rivoluzione del
modello produttivo, impiantata sulla base delle parole d’ordine di flessibilità e
precarietà del lavoro, che si tramutano quasi ovunque in matrici esistenziali; il sapere è
poi sempre più professionalizzato ed elitario, creando ed amplificando le già esistenti
disuguaglianze; il sistema scolastico obbligatorio ed uniforme è più funzionale alla
creazione di consumatori docili e disciplinati che ad un reale spirito critico;
l’ipermedicalizzazione priva gli individui del controllo cosciente sulla propria salute
portandoli ad una sorta di dipendenza psicologica da mezzi tecnici in continua
evoluzione. L’insieme di questi processi, se ricondotti alle pratiche quotidiane, fanno
pensare ad un individuo costretto a determinati comportamenti ed ignaro di queste
costrizioni, fino ad essere il promotore della propria schiavitù. Se questo lavoro, tuttavia
non intende fornire delle alternative, delle nuove vie, vuole almeno fornire chiavi di
interpretazione diverse da quelle classiche, che sembrano rivelarsi inefficienti nel
portare a galla e risolvere le problematiche contemporanee. Ciò che senza dubbio ha
quindi spinto questa ricerca è un intento critico nei confronti dell’attualità, e si è operato
grazie a quella che Michel Foucault chiamerebbe un’ontologia dell’attualità2, ossia
1
G. Barberis, M. Revelli, Sulla fine della politica. Tracce di un altro mondo possibile, Guerini,
Milano, 2005.
Michel Foucault, Che cos’è l’illuminismo?, in: Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste
( 1978-1985), a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 253-261.
“un’indagine storica attraverso gli eventi che ci hanno condotto a costituirci e a
riconoscerci come soggetti di ciò che facciamo, pensiamo e diciamo”3; si tratta della
ricerca sulle condizioni di possibilità di qualcosa, e cioè sulle condizioni di possibilità
del nostro essere, e l’oggetto dell’ontologia dell’attualità, quindi, non è l’attualità di per
se stessa, piuttosto, la condizione di possibilità del mondo attuale. Da ciò emerge
un’importante caratteristica dell’ontologia dell’attualità, essa non è una mera critica e
spiegazione degli eventi correnti, quasi a volerne produrre una qualche giustificazione
teorica, ma è più propriamente uno sguardo al presente che mostra l’artificiosità delle
sue condizioni e che quindi mostra una strada per una trasformazione e un superamento.
Una critica che, dove ce ne fosse bisogno, distrugge, ma in senso positivo, per ricreare;
“ciò a cui mira l’ontologia dell’attualità è l’inattuale” 4. Non c’è in questo lavoro un
unico senso di percorrenza e un unico angolo di visuale, gli stessi temi affrontati, seppur
considerati di enorme rilevanza – è difficile negare, ad esempio, che i mass media non
costituiscano uno strumento in grado di manipolare collettività ed individualità, e quindi
in grado di cambiare il volto vero e proprio delle realtà sociali – non potranno mai da
soli dare risposte incontrovertibili, e d’altra parte possono essere letti e interpretati in
maniera non univoca; l’intento è stato maggiormente quello di fornire un esempio di
come esistano visioni alternative, al di fuori degli schemi classici di ragionamento,
grazie alle quali poter analizzare e reinterpetare aspetti della vita quotidiana in maniera
più corretta, tramite l’ausilio di linee teoriche e pensatori di rilievo. Il tema di fondo di
questo lavoro non è circoscrivibile al potere od al rapporto potere-sapere, o agli effetti
dei mezzi di comunicazione o della razionalità tecnico-economica che permea le nostre
vite; è sulla libertà in senso lato, ampio, che ci si interroga, sul nostro libero arbitrio di
soggetti pensanti e quindi autonomi. Ciò detto, un filo conduttore per tutto il percorso è
stato Michel Foucault, perché il suo pensiero ha consentito di mettere a nudo le trame
oscure che relegano l’individuo a mero oggetto precostituito. Così, nel primo capitolo,
dopo aver introdotto l’approccio foucaultiano, il suo modus operandi, si illustra il
concetto di potere per l’autore francese, un’analitica del potere che permette di
distaccarsi dal modello del Leviatano, un modello che fabbrica a priori l’individuo ed il
potere che egli deterrebbe, per passare ad un’analisi che tenga conto della fitta rete in
3
Ivi, p.228.
Ibidem.
cui il potere non si cede, ma scorre, da un individuo all’altro, da un’istituzione ad
un’altra, modellando i vari punti di contatto in base ad esso. Quando si parla di potere in
Foucault, si parla anche di sapere, dei sistemi di sapere che circolano e che non sono
mai in posizione di esteriorità rispetto al potere, ma che si modellano a vicenda; ciò
detto è di fondamentale importanza il tema della verità, che sarà sottoposta ad una lotta
per la sua conquista tra vari apparati di potere. In tal modo si passa dal modello
giuridico e della sovranità del Leviatano al modello strategico, per poi sovvertire anche
la tesi di Clausewitz, affermando che la politica è la guerra continuata con altri mezzi, in
quanto il tempo della pace altro non è che il riflettersi degli squilibri affermatisi in
tempo di guerra; non esistono soggetti neutrali. Nella ricerca di un potere nuovo,
Foucault identifica le radici nel potere pastorale, pratica di potere peculiare della Chiesa
cristiana che aspira al governo delle condotte e che sarà il preludio verso la costituzione
del soggetto occidentale moderno, assoggettato da reti ininterrotte di obbedienza e verità
imposte. Da questa matrice storica, attorno al XVII secolo, si sviluppano due tecnologie
di potere che diverranno la base per una specifica razionalità di governo degli uomini, le
discipline, che permettono di assoggettare nello spazio e nel tempo il corpo di un
individuo, ed i dispositivi di sicurezza, che mirano a regolare le attività della
popolazione nell’insieme, servendosi di scienze nuove come la statistica e la biologia.
Grazie alla ricostruzione di queste due distinte tecnologie, che operano in simbiosi
seppur non nate contemporaneamente, Foucault ricostruisce un nuovo tipo di economia
e razionalità del potere, il biopotere, il potere sulla vita, una serie di fenomeni e
meccanismi grazie ai quali i tratti biologici diventano oggetto della politica, della
biopolitica. L’ultimo passo nell’evoluzione foucaultiana del (bio)potere si compie infine
quando l’economia politica entra ed anzi s’impossessa della razionalità di governo, della
gestione delle condotte degli uomini; ciò che è buono e giusto sarà dato dal mercato,
fonte di veridizione, e tutti gli altri apparati, a partire dal giuridico, serviranno da
cornice per il corretto funzionamento di principi come il laissez faire, con l’individuo
considerato mero prodotto biologico che esprime opportunità di valorizzazione e
cooperazione per un fine economico d’insieme; individualità e popolazione governate
quindi da specifiche razionalità e tecnologie di potere che creano soggettività.
Nel secondo capitolo, strettamente collegato al precedente, si è invece voluto descrivere
come la società attuale sia attraversata anche dalla razionalità tecnica, se non addirittura
preminentemente da essa; difatti la si può considerare più predominante della stessa
razionalità economica, in quanto quest’ultima “soffre ancora della passione umana, la
passione per il denaro”5. Questo tipo di razionalità consiste nella correlazione mezzo-
scopo, quella che viene denominata ragione strumentale – che consiste nell’utilizzo del
minor numero di mezzi per il raggiungimento del massimo degli scopi – ed oggi è
divenuta la forma mentis portando l’individuo e la collettività a non capire ed a non
domandarsi più cosa sia il bello, il buono, il sacro, ma a valutare solo in termini di
efficacia ed utilità. In tal modo, si assiste ad un cambiamento del modo di pensare, un
aumento quantitativo difatti induce ad un cambiamento qualitativo, “se ad esempio ci
strappiamo prima un capello, poi un secondo poi un terzo, alla fine ci ritroveremmo
senza, cambiando qualitativamente la situazione”6. Inoltre, si constata un’altra grande
trasformazione, la tecnica passa da mezzo a fine, in quanto se essa è condizione
universale per realizzare qualsiasi scopo, bisogno o bene, allora è già divenuta fine; ciò
si può constatare facilmente se spostiamo l’attenzione al dove del livello decisionale:
mentre nelle epoche pre-tecnologiche era la politica ad essere considerata la tecnica
regia grazie alla quale decidere se e come fare una cosa, oggi la politica guarda
all’economia ma non solo, la stessa economia nel decidere se fare o meno investimenti
guarda alle risorse tecnologiche, ed allora il processo decisionale si sposta dalla politica
all’economia, dall’economia alla tecnica; “quando diciamo che l’Italia può salvarsi dalla
concorrenza cinese solo investendo in ricerca, sviluppo e tecnologia, stiamo affermando
che è lì che si decidono le cose”7. O ancora la tecnica sta incidendo sul modus operandi
stesso della democrazia, in quanto tutti i giorni ci troviamo di fronte a processi di cui
ignoriamo i funzionamenti e questo porta a decidere non più sulla base di un sapere, del
sapere un funzionamento, un meccanismo, ma in base ad altre qualità quali la
persuasione e la retorica, permettendo l’entrata in gioco del mondo mediatico con le sue
distorsioni ed i suoi condizionamenti; il gioco è fatto, completo, la tecnica diviene
inarrestabile ed autoreferenziale. Il capitolo si chiude infine con una breve descrizione
della c.d. medicalizzazione della vita, quel processo con cui lo stato cerca di
appropriarsi dell’ambito della salute in modo se vogliamo totalitario, in quanto grazie a
determinate politiche ed operazioni di conquista dell’immaginario collettivo, cerca di
Ibidem.
Ibidem.
caricare l’individuo della responsabilità di badare alla propria salute in ogni attimo del
quotidiano, stimolandolo ad attuare corretti stili di vita ed immettendo così un’ulteriore
razionalità.
Nel terzo ed ultimo capitolo, dopo una visione delle più influenti linee teoriche
sociologiche sul controllo sociale, si descrivono gli sviluppi delle tecnologie di controllo
assumendo come base l’idea benthamiana del Panopticon, analizzato
approfonditamente ancora da Foucault; questa, che all’inizio per lo stesso Bentham
doveva essere considerata una mera organizzazione architettonica per gestire al meglio
la sorveglianza nelle prigioni, in seguito viene applicata come una tecnologia politica
generale per imporre una determinata condotta: lo schema panottico dove tutti sono
guardati ed in cui il solo sguardo, la sola idea dello sguardo, interiorizzerà la
sorveglianza migliorando le microeconomie del controllo. Grazie alle esposizioni di
Deleuze, Lyon, G. Marx e Clarke si descrivono le estensioni del modello panottico
favorite dallo sviluppo delle nuove tecnologie informative, che permettono un controllo
molto più esteso e veloce, fino ad arrivare a quella che Lyon chiama simulazione, ossia
l’elaborazione dei dati che si ottengono finalizzata all’anticipazione del comportamento
del soggetto nel futuro; il problema, filosofico e non solo, è nel sapere e capire se ciò
permetterà solo di prevedere il comportamento umano oppure aggiustarlo in itinere.
Allo stesso modo rifiuta, anzi stravolge, anche un approccio da lui stesso definito “storicista”;
non parte dagli universali per vedere in che modo la storia li moduli, bensì opera in maniera del
tutto opposta: “Io parto da una decisione, al tempo stesso teorica e metodologica, che consiste
nel dire: supponiamo che gli universali non esistano […] è possibile scrivere la storia senza
ammettere a priori che esistano cose quali lo stato, la società, il sovrano, i sudditi […] 11,” per
esaminare poi se la storia ci rimanda realmente quegli aspetti che prende come universali.
Secondo il pensiero del filosofo francese meglio affidarsi alla genealogia, intesa però come una
“forma di storia che renda conto della costituzione dei saperi, dei discorsi, dei campi di oggetti,
senza aver bisogno di riferirsi ad un soggetto o a dei valori trascendenti rispetto al campo di
avvenimenti che ricoprono”12.
Il suo approccio è da lui stesso definito “archeologia” non nel senso della riscoperta di fatti
dimenticati, bensì nell’intenzione di voler considerare i fatti storici nella loro singolarità di
Michel Foucault, Dialogo sul potere, in Biopolitica e liberalismo, detti e scritti su potere ed etica, 1975-
1984, traduzione e cura di Ottavio Marzocca, Medusa, Milano 2001, p. 50.
Michel Foucault, Microfisica del potere: interventi politici, raccolta a cura di A. Fontana e P. Pasquino,
Einaudi, Torino, 1977, pp. 12-13.
10
Michel Foucault, Politica ed etica, in Biopolitica e liberalismo, detti e scritti su poteri ed etica, cit., pp.
197-198.
11
Michel Foucault, Nascita della biopolitica, Corso al Collége de France (1978-1979), Feltrinelli, 2004, p.
15.
12
13
Per “evento” Foucault intende “la funzione assegnata al fatto che quella cosa è stata detta in quel
momento” in Michel Foucault, Dialogo sul potere, cit. p. 46.
14
15
16
Ottavio Marzocca, Introduzione, in Biopolitica e liberalismo, detti e scritti su potere ed etica cit., pp. 9-
10.
17
18
Michel Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità, a cura di P. Pasquino e G. Procacci,
Feltrinelli, Milano 2008, p. 16.
parlarne, quale tipo di discorso è autorizzato […] ci sono più tipi di silenzio, ed essi fanno
parte integrante delle strategie che sottendono ed attraversano i discorsi”19.
Un lavoro che si distacca dalle grandi ricostruzioni teoriche, poiché non mira né al
riconoscimento di un sistema logico né alla denuncia di uno schema ideologico, la razionalità
politica da individuare è qualcosa di “tecnico”, un qualcosa che opera in forme concrete,
specifiche, e che assume una sua generalità solo in un’effettiva ricorrenza storica 20; è una
“politica della verità21”; come è anche un lavoro – e lo vedremo più avanti - che nella ricerca
del suo scopo, oltre a distaccarsene nel metodo, prenderà le distanze dai sistemi classici
d’analisi - gli approcci “giuridico-economici”22 - anche nel merito, usandole spesso come
metro di comparazione .
Non bastasse, da menzionare le crisi23 dovute al suo estro, la disciplina ferrea con cui si
interrogava sui suoi stessi scritti24 e con cui cercava nuovi sbocchi verso il suo compito di
svelare il funzionamento del potere nelle società occidentali, cosa che lo tormentava non poco.
Tutto ciò per spiegare come l’approccio di Foucault sia disorganico, locale, contestuale al suo
oggetto di ricerca – che sia il contesto psichiatrico o della sessualità -, ricco di continue
ridefinizioni e stravolgimenti, ma che, allo stesso tempo segua un comune filo conduttore, ossia
smascherare i sistemi di dominio che oggettivizzano e dominano la vita di milioni di persone in
occidente, sistemi invisibili o quantomeno nascosti ai più.
19
Ivi, p. 28.
20
Ottavio Marzocca, Introduzione, in Biopolitica e liberalismo, detti e scritti su potere ed etica, cit., p. 17.
21
Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), a cura di F.
Ewald e A. Fontana, Feltrinelli, p. 14. “[…] non è né storia, né sociologia, né economia […] qualcosa vicino alla
filosofia, cioè alla politica della verità […] non vedo altre definizioni della parola filosofia se non questa”.
22
Michel Foucault, Microfisica del potere: interventi politici, cit. p. 11 o ancora Michel Foucault,
Biopolitica e liberalismo, detti e scritti su potere ed etica, cit. p. 10.
23
Gilles Deleuze, Pourparler, 1972-1990, traduzione di Stefano Verdicchio, Quodlibet, pp. 127-132 “Non
c’è grande pensatore che non attraversi delle crisi. Esse scandiscono le fasi del suo pensiero. […] il suo pensiero
ha avuto sì una crisi, ma era una crisi creatrice” .
24
M. Bertani e A. Fontana in, Nascita della biopolitica, nota dei curatori, p. 238: “Foucault non ha mai
smesso di rileggere i suoi precedenti lavori alla luce degli ultimi, in una sorta di incessante riattualizzazione”.
Se quanto detto finora, si può definire come l’approccio del pensiero foucaultiano al potere,
tenteremo ora di definire le proprietà di quest’ultimo.
25
Vincenzo Sorrentino, Il pensiero politico di Foucault, Meltemi editore, Roma, 2008, p. 63-64.
26
27
28
29
30
Il potere è locale, discendente, mobile, molteplice, fluido; il potere è onnipresente, non perché
raggruppa tutto sotto la sua invincibile unità, ma perché si produce in ogni istante, in ogni
punto, o piuttosto in ogni relazione fra un punto ed un altro; il potere è dappertutto, non perché
inglobi tutto, ma perché viene da ogni dove; e “il” potere, in quel che ha di permanente. Di
ripetitivo, di inerte, di autoriproduttore, non è che l’effetto d’insieme che viene a crearsi da tutte
queste mobilità32. Il potere non è una struttura, o un’istituzione, e nemmeno una potenza che
qualcuno deterrebbe, occorre essere nominalisti, è “il nome che si dà ad una situazione
strategica complessa in una società data33”, “par là neutraliser les universaux de l’analyse
sociologique, historique ou philosophique – tels l’Etat, le Peuple, la Sociéteé civile, le Sujet de
droits ou autres -, pour partire des pratiques concrétes et examiner les manierés dont celles-ci se
rationalisent34”.
Su questa linea si possono avanzare alcune proposizioni35:
Il potere non è qualcosa che si acquista, strappa o condivide, il potere si esercita a partire da
innumerevoli punti, e nel gioco di relazioni disuguali e mobili;
Le relazioni di potere non sono esteriori ad altri tipi di rapporti – processi economici,
rapporti di conoscenza, relazioni sessuali – ma sono immanenti a questi; sono gli effetti
immediati delle divisioni, delle ineguaglianze e dei disequilibri che vi si producono, e sono
reciprocamente le condizioni interne di queste differenziazioni; le relazioni di potere non
sono in posizioni di sovrastruttura bensì hanno un ruolo direttamente produttivo;
Il potere viene dal basso, non c’è all’origine delle relazioni di potere, e come matrice
generale, un’opposizione binaria dominanti/dominati ripercuotendosi dall’alto fino a gruppi
31
32
Ibidem.
33
Ivi, p.83.
34
35
36
37
38
Ibidem.
quali si separa il vero dal falso degli effetti specifici di potere” 39. Anche in questo caso Foucault
avanza delle proposizioni in merito40:
Per verità intendere l’insieme dei procedimenti regolamentati per la produzione, la legge, la
messa in circolazione ed il funzionamento degli enunciati;
La verità è legata circolarmente a sistemi di potere che la producono e la sostengono, e ad
effetti di potere ch’essa induce e che la riproducono – il regime della verità -;
Questo regime non è sovrastrutturale o ideologico, ma costitutivo di tutte le realtà sociali,
capitalistiche o meno;
L’intento è quello di staccare il potere della verità dalle forme di egemonia all’interno delle
quali funziona.
La verità quindi, e su questo Foucault si avvicina e riprende Nietzsche 41 - secondo cui la verità
è un qualcosa di derivato, di arbitrario e sostanzialmente falso42 -, è la questione politica
principe, anzi, la sola in gioco.
Proprio con Nietzsche43 ci sono vari punti di contatto, ed un altro, accennato poco fa, ci
permette di chiudere il discorso su ciò che può essere definito l’approccio foucaultiano al
potere e le proprietà che questo detiene; si parla cioè del potere come “guerra sociale”, guerra
che passa dal confine militare a quello politico. “Se il potere in se stesso, è la messa in atto e il
dispiegamento di un rapporto di forza, non dovrebbe forse essere analizzato innanzitutto in
termini di lotta, di scontro e di guerra, invece che in termini di cessione, contratto, alienazione,
o in termini funzionali di mantenimento dei rapporti di produzione?”.44 Si assiste, così
39
Ivi, p. 26.
40
Ibidem.
41
“[…] Che cosa è allora la verità? Un esercito in movimento di metafore, metonimie, antropomorfismi, in
breve, una somma di relazioni umane, che sono state poeticamente e retoricamente ingigantite, trasposte,
ingioiellite, imbellettate, e che, per essere state usate a lungo, appaiono ad un popolo salde, canoniche e vincolanti:
le verità sono illusioni di cui si è dimenticato che sono tali”, Friedrich Nietzsche, Verità e Menzogna in senso
extramorale, traduzione italiana di G. Colli, OFN, p. 361.
42
43
Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere: interventi politici, cit.,pp. 47-54; Foucault
riprende Nietzsche, in cui la guerra si identifica con la molteplicità dei conflitti tra forze; lo stesso Foucualt, in
Bisogna difendere la società, la definisce come “ipotesi Nietzsche”.
44
ragionando, al rovesciamento della tesi di Clausewitz45, secondo la quale “la guerra non è che la
continuazione della politica con altri mezzi”46, per arrivare alla tesi per cui “la politica è la
guerra continuata con altri mezzi”47. Se è vero che il potere politico arresta la guerra, non è
affatto per neutralizzare lo squilibrio che si è manifestato nella battaglia finale, ma per
reiscrivere perpetuamente, attraverso una guerra silenziosa, il rapporto di forze nelle istituzioni,
nelle disuguaglianze economiche, nel linguaggio, fino nei corpi degli individui 48. La guerra non
è mai scongiurata perché ha presieduto alla nascita degli stati, avvenuta col sangue e le
battaglie, la legge nasce da città incendiate, per cui cristallizza ingiustizia, disuguaglianza; la
guerra è la stessa cifra della pace, ponendoci continuamente e ininterrottamente l’uno contro
l’altro: “non esiste un soggetto neutrale, siamo necessariamente l’avversario di qualcuno” 49.
Sotto questo punto di vista la verità può essere introdotta solo che si cambi punto di vista, si
guardi alle lotte, si guardi “dal punto di vista degli oppressi”50.
La visione foucaultiana di potere, come annunciato e visto, è innovativa e ricca di rotture con le
visioni classiche, ma non si è fermata ad una semplice discontinuità, si è spostata più avanti,
fino ad arrivare al biopotere.
45
Carl von Clausewitz, Della guerra, a cura di Giacinto Cardona, Rizzoli, 2009, Milano, pp. 29-31.
Chiarificatrice, in rapporto al nostro lavoro, la definizione che Clausewitz dà della guerra a p. 7: “La guerra è
dunque un atto di forza per ridurre l’avversario al nostro volere”.
46
47
Ivi, p. 23.
48
Ivi, p. 49.
49
Ibidem.
50
51
52
Ivi, p. 98. Ne delinea una storia in tre grandi vettori: la pastorale cristiana - cioè il modello antico -, il
nuovo regime delle relazioni diplomatico-militari – cioè le strutture di appoggio -, e il problema della polizia
interna – cioè il supporto interno -.
53
Michel Foucault, Omnes et singulatim, in Biopolitica e liberalismo: detti e scritti su poteri ed etica, cit.,
p. 111.
54
Ivi, pp. 112-116. Foucault cita alcuni passi egizi: “O Ra che vegli quando tutti gli uomini dormono, Tu
che cerchi ciò che è buono per il tuo armento..” ; o ancora: “Insigne compagno di pastura, Tu che ti prendi cura
della tua terra e la nutri, pastore di abbondanza..”.
55
57
Ivi, pp.124-125.
58
Ivi, p.126.
tutta un’economia e una tecnica di circolazione, di trasferimento, di inversione dei meriti; che
nel rapporto con la legge instaura un rapporto di obbedienza individuale pervasivo, totale e
permanente; che nel rapporto con la verità costituisce tutta una serie di strutture e tecniche di
investigazione, di potere, di esame di sé che farà venire a galla una verità nascosta. Una tecnica
di potere quindi nuova, che porta ad un nuovo tipo di individualizzazione, non più definita
dallo status o dalle azioni di un soggetto, ma tramite un gioco complesso di meriti e demeriti ,
tramite assoggettamento e tramite soggettivazione59.
Il pastorato da questo punto di vista, sembra al filosofo francese, “il preludio verso la
costituzione del soggetto occidentale moderno, assoggettato da reti ininterrotte di obbedienza e
soggettivato con una verità a lui imposta” 60. Si è poi disperso ed ha preso la dimensione della
governamentalità grazie alle “controcondotte”61 nel Medioevo, ossia le lotte attive contro i
procedimenti impiegati per condurre gli altri – la riforma protestante è stata la più radicale di
queste - alla cui base si possono collocare l’ascetismo, la comunità, la mistica, la scrittura e la
credenza escatologica62.
È nel XVI secolo che il pastorato, prende effettivamente la forma della governamentalità, e non
perché scompaia, bensì proprio per una sua estensione nelle sue dimensioni spirituali, temporali
ed istituzionali: moltiplicazione e proliferazione della condotta delle anime per arrivare al
governo politico degli uomini63. Proprio con l’avvento del pubblico, viene in superficie una
nuova preoccupazione: come può il sovrano adempiere a problemi nuovi come quello della
conduzione? Innanzitutto, secondo quale razionalità? Foucault per rispondere a queste
domande riprende il pensiero di san Tommaso64: “il Re è colui che governa il popolo […] in
vista del bene comune […] che non fa che riprodurre un certo modello, il governo di Dio sulla
59
Ivi, pp.140-141.
60
Ibidem.
61
Ivi, p.151.
62
63
Ivi, p.168.
64
San Tommaso d’Aquino, De regno, in Opera Omnia, vol. XLII, Roma, 1979, pp. 449-471.
terra […] nella misura in cui imita la natura 65”. Tutto in natura è attraversato da una forza vitale
che tiene assieme i diversi elementi e che li porta al raggiungimento del bene comune, “lo
stesso vale per il regno”66, ed il fine ultimo dell’uomo è la felicità in questo mondo. Si opera
quindi una trasposizione del pastorato nell’ordine politico; ma tutto ciò, tra il 1580 e il 1650, in
concomitanza con la fondazione dell’episteme classica67, avviene sotto un’altra economia, sotto
una propria specificità. Si assiste al fatto che l’esercizio della sovranità non è più un
prolungamento dell’attività divina o della natura, è un qualcosa di specifico, un qualcosa d’altro
dal pastorale; questo qualcosa d’altro sarà l’arte del governo degli uomini, della vita in quanto
tale, una vita immanente, che trova in sé stessa un fine illimitato.
65
Ibidem.
66
Ibidem.
67
Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano, 1996, pp.
31-44; Foucault ritorna su questa fase nella lezione del 1 Febbraio 1978; il cambiamento avviene grazie a due
processi: demolizione delle strutture feudali, ossia formazione degli Stati moderni, e sotto quelle che chiama
controcondotte, nello specifico la Riforma e la Controriforma, che cercano una via per assicurare la salvezza in
questo mondo, in Michel Foucualt, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p. 71.
più importante ormai non è forse più di uccidere ma d’investire interamente la
vita68”.
Sono queste due distinte tecnologie, “présentes a tous les niveaux du corps social, que
constituent les deux poles autour desquels s’est déployée l’organisation des pouvoirs sur la
vie”69. Potere sulla vita, dunque, ecco una prima definizione di ciò che sarebbe il biopotere; ma
nella pratica, queste due tecnologie, come hanno operato?
I.4.1 Le discipline
Le discipline nascono per regolamentare la molteplicità umana in una congiuntura storica che
vede grande spinta demografica, aumento della popolazione scolastica e la crescita
dell’apparato produttivo; al vecchio principio prelevamento-violenza che reggeva l’economia
del potere si sostituisce il principio dolcezza-produzione-profitto: le discipline assicurano la
regolamentazione delle molteplicità, rendendo l’esercizio del potere meno costoso, aumentare
al massimo l’efficacia del potere e collegare questa crescita al rendimento degli apparati interni
nel quale si esercita70. Esse devono far crescere l’utilità singola di ogni elemento – con mezzi
che siano i più rapidi e i meno costosi – per estrarre dal corpo il massimo dei tempi e delle
forze: quei metodi d’insieme che sono gli impieghi del tempo, l’addestramento collettivo, le
esercitazioni, la sorveglianza globale e dettagliata 71. Si viene così a delineare un corpo
direttamente immerso in un campo politico con i rapporti di potere che operano su di lui una
presa immediata, l’investono, lo marchiano, lo addestrano; il corpo umano esiste dentro e
attraverso un sistema politico, col potere politico che assegna all’individuo uno spazio in cui
assumere un comportamento, adottare una postura particolare, sedersi in un certo modo,
lavorare continuamente72. Quest’investimento politico del corpo è legato alla sua utilizzazione
68
69
70
Michel Foucault, Sorvegliare e punire, traduzione di Alcesti Tarchetti, Einaudi, Torino, 1776, p.238-239.
71
Ibidem.
72
74
Patrick H. Hutton, Foucault, Freud, in Tecnologie del sé, un seminario con Michel Foucault, a cura di H.
Martin, Huck Gutman, Patrick H. Hutton, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 118.
75
76
Ivi, p. 149.
77
Ivi, p. 154-162.
regola delle ubicazioni funzionali per dissolvere le confusioni, far aumentare l’efficacia del
processo scomponendolo in fasi o operazioni elementari;
elementi intercambiabili poiché ciascuno è definito in base al posto che occupa in una serie
e dallo scarto che lo separa dagli altri; l’unità è perciò il rango, il posto occupato in una
classificazione; il rango permette competizione, distinzione, economia delle condotte.
Le discipline organizzando le celle, i posti e i ranghi fabbricano spazi complessi: architettonici,
funzionali e gerarchici allo stesso tempo; ritagliano spazi individuali e legami operativi,
segnano dei posti e indicano dei valori, garantiscono l’obbedienza ma anche una migliore
economia del tempo e dei gesti. La prima grande operazione delle discipline è quella di
costituire quadri viventi che trasformano le moltitudini confuse, inutili o pericolose, in
molteplicità ordinate.
Dopodiché controlla le attività78:
L’impiego del tempo, che è caratterizzato in tre grandi procedimenti – stabilire delle
scansioni, costringere a determinate operazioni e regolare il ciclo di ripetizione – si raffina
sempre più con le discipline: si parla di quarti d’ora, di minuti, di secondi; poi si si collega
l’attività temporale ad una sanzione ed infine si cerca la qualità del tempo;
Elaborazione temporale dell’atto, che permette un nuovo fascio di costrizioni, un altro
grado di precisione nella scomposizione dei gesti e dei movimenti, un’altra maniera di
adattare il corpo ad imperativi temporali; non è un mero impiego del tempo né un ritmo
collettivo ed obbligatorio imposto dall’esterno, è un programma che assicura l’elaborazione
dell’atto e controlla dall’interno il suo svolgimento e le sue fasi; ad ogni movimento è
assegnata un’ampiezza, una durata, il tempo penetra il corpo;
Correlazione corpo e gesto, si impone cioè tra il gesto e l’attitudine globale del corpo la
relazione migliore in termini di efficacia e rapidità; niente deve rimanere ozioso o inutile;
Articolazione corpo e oggetto; la disciplina definisce uno per uno i rapporti che il corpo
deve tenere con l’oggetto che manipola, scomponendo il processo in due serie, quella degli
elementi del corpo da mettere in gioco e quella degli elementi dell’oggetto che viene
manipolato, per poi metterli in correlazione secondo un certo numero di gesti semplici – la
manovra -;
78
79
80
81
Foucault ne vede un esempio nel Panopticon di Bentham, descritto in Sorvegliare e punire, pp. 213-242.
82
Ivi, p. 200.
84
85
Ivi, p. 212.
86
M. Hardt, A. Negri, Impero/Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano, 2001, p. 160.
87
88
89
90
Michel Foucault, Poteri e strategie, a cura di Pierre della Vigna, Memesis, Milano, 1994, p. 48.
91
92
Ivi,p.81.
pensare, ecc., e infine gli uomini nei loro rapporti con queste altre cose ancora che
possono essere gli incidenti o le disgrazie come la carestia, l'epidemia, la morte […]”.93
Lo Stato è ciò che comanda il governo in modo razionale secondo necessità: si chiede cos’è un
territorio, che sono gli abitanti, come raggiungere la ricchezza; la nuova ragione di governo si
svincola dalla ragione di Stato classica; una nuova razionalità di governo quindi, che, con lo
sviluppo di dottrine come il mercantilismo 94 e di scienze come la statistica, pone le basi per una
propria sfera di autonomia e permette allo Stato una propria griglia d’intelligibilità, che si
sviluppa secondo due direttrici: esternamente, con le tecniche diplomatico-militari –
concorrenza fra stati, bilancia commerciale, eserciti – e internamente, come diretta conseguenza
della nuova razionalità statale che trova un proprio fine e una propria storia in se stessa e come
diretta conseguenza del vincolo esterno – in poche parole, lo Stato di polizia -; per raggiungere
la potenza esterna, occorre un’organizzazione interna. E Foucualt a sostegno della sua tesi
prende come esempio autori come Turquet, De Lamare, Von Justi: per loro il termine polizia
designa complessivamente il nuovo campo d’azione sul quale il potere politico può intervenire,
“la polizia vigila sul vivente”95, “la polizia deve garantire la felicità della gente, la
sopravvivenza, la vita, il suo miglioramento […] è ciò che permette allo Stato di accrescere il
suo potere e di esercitare la forza al suo massimo livello” 96. Proprio in quest’ultimo autore
troviamo lo snodo dell’elaborazione teorica di Foucault, per due motivi: la differenziazione tra
Politik – che consiste nel combattere i nemici interni ed esterni, ed ha quindi una funzione
negativa – e Polizei – che consiste nel favorire al tempo stesso la vita dei cittadini e la potenza
dello Stato ed ha quindi valenza positiva – ed il concetto di popolazione 97, intesa come un
93
94
Descritta da Focuault come tecnica e calcolo di rafforzamento del rafforzamento della potenza statale
nella competizione europea attraverso il commercio, in Michel Foucualt, Sicurezza, territorio, popolazione, cit., p.
243.
95
Nicolas De Lamare, Traité de la police, p.4. Citato in Michel Focuault, Omnes et singulatim, cit., pp.
140-141.
96
J.H.G. von Justi, Elementi generali dello Stato, citato in Michel Foucault, Sicurezza, territorio,
popolazione, cit., p. 226-258.
97
Non è un concetto nuovo ma è il primo a considerare l’assetto fisico ed economico dello Stato come un
ambiente con il quale la popolazione interagisce reciprocamente, Michel Foucault, Tecnologie del sé: un
seminario con Michel Foucault, cit., p. 150.
gruppo di viventi le cui caratteristiche sono quelle di tutti gli individui che appartengono ad una
stessa specie, presentando così tassi di mortalità e di fecondità, sono esposti ad epidemie, a
problemi di sovrappopolazione ed hanno un certo tipo di distribuzione territoriale 98. Entra in
gioco un’altra economia del potere ed un personaggio politico nuovo, si smette di vedere la
popolazione come suddito di diritto e viene vista come una parte dell’insieme dei processi da
gestire sulla base della loro naturalità; nel senso che essa non è referente immediato all’azione
del sovrano ma dipende da diverse variabili come l’intensità dei traffici commerciali, come il
clima, come i valori morali o religiosi, come certamente anche in base alle leggi. Tutto ciò
permette di dire che questa naturalità può essere constatata nella costanza dei fenomeni e che
questi avvengono grazie a delle variabili le quali possono essere modificate grazie a tecniche di
governo specifiche; siamo di fronte ad una nuova razionalità politica: popolazione è
quell’insieme che si estende dal radicamento biologico della specie fino alla superficie di presa
del potere pubblico99, la popolazione si costituisce come il “mero” fattore di correlazione del
moderno meccanismo di potere100. Ecco qui che si riuniscono le due tecnologie di potere che
formano la presa sulla vita:
“Si tratta di una tecnologia che non esclude la prima, la tecnica disciplinare vera e
propria, ma la incorpora, la integra, la modifica parzialmente e che, soprattutto, la
utilizza installandosi al suo interno […] questa nuova tecnica non si applica alla vita
degli uomini, o meglio, investe non tanto l’uomo-corpo, quanto l’uomo che vive,
l’uomo in quanto essere vivente, l’uomo specie. Direi anzi con più precisione, che la
disciplina governa la molteplicità che deve risolversi in corpi individuali da sorvegliare,
addestrare, eventualmente da punire. Anche la nuova si rivolge alla molteplicità, ma
come una massa globale investita da processi di insieme che sono specifici della vita,
come la nascita, la morte, la produzione, la malattia, e così via. […] dopo l’anatomia-
politica del corpo umano nel settecento, alla fine del secolo si vede apparire qualcosa
che chiamerei una biopolitica”101.
Un qualcosa di simile alle discipline, non un tutt’altro bensì un altro livello d’analisi e di
strumenti; ebbene questi nuovi strumenti con cui far presa sulla vita in quanto specie sono i
dispositivi di sicurezza. Non esiste un’età disciplinare né un’età della sicurezza – né un’età
98
Ibidem.
99
100
Ivi, p.69.
101
102
103
Torniamo circolarmente su ciò che dicevamo prima: non c’è più un governo politico di Dio, la politica ha
a che fare con la realtà; dalla teologia alla fisica.
104
106
Ivi, p. 13.
107
108
Ibidem.
109
110
completare questo diritto, se non proprio sostituirlo, con quello di far vivere e lasciar morire.
Da quando il potere si prende il diritto di intervenire sul come della vita, per controllarla, per
potenziarla, per valutarne rischi e deficienze, la morte intesa come termine della vita diventa
allora il punto terminale del potere, in una relazione d’esteriorità in quanto non ha una presa; la
morte si sposta sul privato. Un potere che conosce solo la vita e che applica nello stesso tempo
la tecnologia della disciplina e quella della regolazione, un potere che, nelle mani dello Stato,
ha potuto operare solo facendosi attraversare dal razzismo; cosa c’entra il razzismo? “Il
discorso razzista è intervenuto offrendo al nascente bio-potere un’unità di misura, una
catalogazione all’interno di quel continuum biologico costituito dalla specie umana” 111; è in
primo luogo la separazione tra ciò che deve vivere e ciò che deve morire, è una cesura
all’interno del biologico, dividendo in sottogruppi la popolazione; in secondo luogo ha la
funzione di far dire “più lascerai morire, più, per ciò stesso, tu vivrai” 112 visto che si instaurerà,
tra la vita di uno e la morte di un altro, una relazione biologica: più l’anormale, la specie
inferiore tenderà a scomparire più io in quanto specie forte tenderò ad essere vigoroso e
prolificare; nello specifico comunque, la morte dell’altro non coinciderà semplicemente con la
mia vita, ma renderà la mia vita più sana e pura. Ovunque sarà presente un biopotere lo Stato
potrà mettere a morte, manterrà il diritto di uccidere, grazie alla presenza del razzismo; quando
si parla di messa a morte se ne parla in senso lato, si intende tutto ciò che può essere morte
indiretta: anche solo il fatto di far aumentare per certi il rischio di morte o più semplicemente la
morte politica, il rigetto, l’espulsione, l’esclusione113. Se al sovrano compete in ogni tempo il
diritto di decidere quale vita possa essere uccisa senza commettere omicidio, nell’età della
biopolitica questo potere diventa decisione di impartire il punto in cui la vita cessa di essere
politicamente rilevante, sovrano è colui che decide sul valore e disvalore della vita in quanto
tale114. Guerra per rafforzare e guerra per rigenerare la propria razza eliminando l’altra; si
Ibidem.
111
112
113
Ivi, p. 222.
114
Giorgio Agamben, Homo sacer, il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995, p. 158.
ripresenta il tema della guerra sociale insita nell’elaborazione teorica di Foucault sul potere.
Ciò che costituisce la specificità di questo “nuovo” razzismo, del razzismo moderno, non è
collegato ad una sorta di mitizzazione ideologica di uno Stato per scaricare ostilità o ad un odio
tra razze, bensì è il legame con il potere, alla tecnologia del potere, ad un meccanismo che
autoriproduce e fa funzionare il biopotere. Se il razzismo di Stato può essere considerato come
il punto più alto, l’estremizzazione della presa politica sulla vita e della stessa teorizzazione del
biopotere di Michel Fouault, egli non è l’unico a sospettare della pericolosità di quest’irruzione
nella sfera biologica:
“Mentre all’inizio dell’età moderna il governo si identificava con tutto il complesso
politico, adesso diventava il protettore designato non tanto della libertà quanto del
processo vitale, degli interessi della società e dei membri di questa. La sicurezza resta il
criterio decisivo: ma non è più la sicurezza dell’individuo contro una morte violenta,
come per Hobbes, bensì una sicurezza che permetta al processo vitale della società nel
suo insieme di svolgersi senza intoppi”115.
O ancora c’è chi vede nella vita stessa un principio inarrestabile, una deriva:
“La vita non si evolve da un deficit iniziale, ma da un eccesso […] da un lato rivolta alla
sopraffazione e all’incorporamento di tutto ciò che incontra; dall’altro, una volta
colmata fino all’orlo la propria capacità acquisitiva, portata a rovesciarsi fuori di sé, a
dilapidare i propri beni eccedenti ed anche se stessa; la vita non cade in un abisso; è
piuttosto l’abisso in cui rischia essa stessa di cadere”116.
115
H. Arendt, Che cos’è la libertà, in Tra passato e futuro, a cura di A. Dal Lago, Milano, 1991, p. 208.
116
117
118
119
120
Ivi, p.164
121
Laura Bazzicalupo, Ambivalenze della biopolitica, in L. Bazzicalupo – R. Esposito, Politica della vita.
Sovranità, biopotere, diritti, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 138.
naturali in maniera tale che non vengano deviati o che un intervento inappropriato li devii 122. Di
certo, la polizia non scompare, si avrà un sistema a doppia entrata, con da una parte un insieme
di meccanismo che dipendono dall’economia e che avranno la funzione positiva di far crescere
le forze di Stato e popolazione, dall’altra parte un apparato negativo, nel senso che si deve
impedire il disordine, le irregolarità, le illegalità.
Come i politici definirono una nuova arte di governo fissando principi razionali e forme di
calcolo specifiche - staccandosi dalla “cosmo-teologia” medievale -, stessa cosa fecero gli
economisti, si staccarono dallo stato e dalla sua razionalità, mettendo alla base la ragione
economica e la naturalità dei rapporti tra gli uomini quando coabitano, quando fanno scambi,
quando producono123. Con gli economisti nasce una nuova governamentalità, più di un secolo
dopo la comparsa di un’altra governamentalità che risale al XVII secolo: il pensiero politico-
economico-liberale parte dal presupposto di un potere cieco, costretto dalla sua irriducibile
ignoranza, ad autolimitarsi124. Nella logica del governo foucaultiano, al pari della biologia,
s’innesca un secondo elemento che fa epoca nell’interpretazione della modernità in termini di
biopolitica, il liberalismo, il governo tra un massimo e un minimo - e l’economia politica -.125
Il principio di regolazione di questo governo si basa su un certo regime di verità, che trova la
sua espressione e formulazione teorica nell’economia politica: governo minimo ed economia
politica sono due cose collegate tra loro, ma il vero regime di verità non sta prettamente nella
sua teoria, ma in un luogo preciso, il mercato. Certamente, è dalla testa degli economisti che si
permette questa trasformazione: la teoria del giusto prezzo – un prezzo naturale, buono,
normale, che esprime un rapporto adeguato tra costo di produzione ed ampiezza della domanda
– sarà il rivelatore di una conformità ai meccanismi naturali che porterà a vedere nel mercato
un elemento di veridizione e di controllo dell’attività di governo; l’economia politica indicherà
al governo il luogo in cui andare a cercare il principio di verità della sua pratica specifica 126;
122
123
Ivi, p. 254.
124
125
126
Ibidem.
128
129
Ivi, p. 111.
meccanico, ma è un insieme di attività regolate, perciò siamo di fronte ad un ordine
economico-giuridico130. E come deve agire l’impianto giuridico? Esso deve innanzitutto
formulare delle misure di carattere generale, formali, ma non iscriversi all’interno di una
scelta economica globale, misure che permetteranno agli individui di agire liberamente
all’interno di esse, e misure che vincoleranno i soggetti come lo stato stesso; lo stato non
deve prendere decisioni, dev’essere cieco rispetto ai processi economici131.
Il lavoro, che nell’impostazione classica – o marxiana - era un elemento neutro, ridotto a
mero fattore tempo e quindi amputato di tutta la sua realtà umana; la colpa stava nella
formulazione teorica, nel modo di analizzare l’economia; questa viene ora vista come la
scienza del comportamento umano che in una situazione di scarsità compie una scelta tra
fini alternativi132, perciò l’analisi deve mettere in evidenza quale sia il calcolo che
l’individuo compie. Da qui il lavoro viene visto come un’attività svolta per produrre un
salario, un reddito, un capitale, una propria competenza; si delinea un homo oeconomicus
come imprenditore di se stesso, si delinea la nozione di capitale umano.
Proprio grazie al concetto di capitale umano si assiste ad uno spostamento dell’economico
nel sociale: qualsiasi attività umana finanche psicologica può essere letta in termini di
utilità/disutilità, ogni condotta umana, anche non razionale, può essere attraversata
dall’analisi economica, l’importante è che questa condotta risponda in maniera sistematica a
delle modifiche nelle variabili dell’ambiente, deve cioè accettare la realtà. Il soggetto
diviene quindi un oggetto da poter maneggiare visto che si muove in base ad un interesse
soggettivo.133 Inoltre tutto ciò porta anche alla possibilità di una critica permanente
all’azione di governo, si filtra la potenza pubblica in termini di efficacia. 134 Il laissez-faire
diventa un non lasciar fare al governo con il mercato che diventa una sorta di tribunale
permanente.
130
Ivi, p. 136.
131
Ivi, p. 146.
132
Ivi, p. 183.
133
Ivi, p. 223.
134
Ivi, p. 201.
Centrale e peculiare poi il tema della libertà per Foucault; la nuova arte di governo non è la
garanzia dell’imperativo “sii libero”, è un governo liberale nel senso che non pensa a
garantire o rispettare questa o quella libertà, ma consuma libertà; per questo è obbligata a
produrne e di conseguenza ad organizzarla. Il liberalismo ti procurerà di essere libero, non
può funzionare difatti se non là dove ci sono libertà, di mercato, del venditore,
dell’acquirente, di espressione ecc.135 Se quindi non corrisponde all’imperativo della libertà,
ma alla gestione ed organizzazione delle condizioni alle quali si può essere liberi, si instaura
un rapporto perverso tra tutto ciò che la produce e tutto ciò che al tempo stesso la limite e la
pregiudica, perciò sono necessari controlli e coercizioni. Così il criterio per calcolare il
costo di produzione della libertà sarà la sicurezza, determinare cioè quando gli interessi di
“uno e tutti” si trasformino in qualcosa di pericoloso; libertà e sicurezza, l’economia di
potere specifica del liberalismo, portando i soggetti ad una continua cultura del pericolo, il
correlato culturale e psicologico interno al liberalismo.
Si è visto quindi che oltre alla biologia subentra l’economia politica come sapere che guida
l’esercizio del potere sulla popolazione, il pilastro di una razionalità che pensa la politica come
una regolamentazione della vita e che per tale ragione si rivela sempre più “un’economica
piuttosto che una politica”.136 La natura biologica dell’umano è presentata come dato di
partenza, sul quale adottare misure cultural-politico-economiche, sotto l’esigenza di prevedere
e condizionare i comportamenti umani in chiave utilitaria; la biopolitica, il progetto di
miglioramento socio-biologico, descrive l’uomo per oggettivarlo, sia in quanto essere
biologico-vivente che come attore produttivo-consumante, attraverso quelli che Foucault
chiama “discorsi di veridizione”, quello della biologia e quello dell’economia, veri e propri
regimi di potere-sapere.137 Un biopotere e una biopolitica che agiscono con tecnologie di
governo che si rapportano al processo sociale e agli individui che lo sostengono,
preoccupandosi di adattare gli uni all’altro senza invadere gli spazi di esercizio delle libertà
individuali e senza potersi tuttavia astenere da un intervento di regolazione necessario, tra una
carenza ed un eccesso che non può pianificare né prevedere perché innestati sul libero esercizio
135
136
Laura Bazzicalupo, il governo delle vite. Biopolitica ed economia, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 8.
137
138
139
140
Federico Chicchi, Bioeconomia: ambienti e forme della mercificazione del vivente, in Biopolitica,
bioeconomia e processi di soggettivazione, cit., p. 153.
141
Il dominio attuale dell’economia rivela una contraddizione essenziale riscontrabile nella vita
concreta e reale: la sua fonte di legittimazione ed il suo unico fine, il viver bene, il benessere, si
compie, o meglio, è in potenza d’attuazione sotto la spinta di un’ossessione acquisitiva che
pregiudica il luogo del godere – l’eudaimonia –, il sentirsi soddisfatti, sazi, pacificati, protetti;
flussi di denaro che scorrono, flussi di proprietà che si vendono, flussi di lavoratori che si
deterritorializzano, ossessione dell’innovazione tecnologica, alienazione, sono tutte spinte che
sono l’esatto contrario e la morte stessa del desiderio del bene-stare.143
142
143
“Perché gli uomini combattono per la loro “Se qualcuno mi domandasse: Ivan, che
servitù come se si trattasse della loro cos’è che ti potrebbe stimolare di più nel
salvezza?” prossimo anno e mezzo? – è questo il tipo
di orizzonte nel quale inquadro la mia vita –
risponderei che mi piacerebbe convincere
un certo numero di persone a riflettere più
su come gli strumenti influiscano sulla
nostra percezione che su ciò che possiamo
fare con essi, a indagare su come gli
strumenti modellino la nostra mente, come
il loro uso modelli la nostra percezione
della realtà ben più di quanto noi si modelli
la realtà applicandoli o utilizzandoli”.
II.1 Tecnica come razionalità
In modo analogo ai processi che hanno accompagnato la nascita della ragione di governo, fino
ad arrivare al biopotere, la modernità, come detto, è caratterizzata dal distacco dell’uomo dalla
natura e da Dio; seguendo una direttrice diversa da quella foucaultiana della razionalità
governamentale, in questo periodo si profila un altro processo legato a questa trasformazione
antropologica. Si viene a formare, nello specifico, la figura dello scienziato, che non solo vuole
conoscere la natura, bensì trasformarla, usarla a scopi di utilità; il distacco dell’uomo da Dio, la
secolarizzazione del mondo, sono i principi che consentono la nascita di una scienza che vede
nella natura l’oggetto del suo dominio, e sono gli stessi principi che, sviluppandosi, conducono
a un mondo meccanico dominato dalla tecnica.
Le tecniche anteriori erano empiriche, poggiavano sulle esperienze personali, si tramandavano
da una generazione all’altra, si rispettavano i tempi e ritmi naturali; ma con il XVII secolo,
invece dell’esperienza, si pone a fondamento della tecnica la conoscenza delle scienze naturali,
si passa dall’empirismo al razionalismo144; con la sottomissione della natura, oltre a plasmare
un ambiente nuovo, cambia l’uomo stesso, passando dal tipo organico a quello meccanico: la
comparsa delle macchine porta allo sradicamento dell’uomo dalle viscere della natura ed un
cambiamento del suo ritmo di vita; la macchina si frappone tra l’uomo e la natura,
sottomettendo l’uomo stesso; se prima dipendeva dalla natura, ora, per un verso, grazie alla
tecnica si arricchisce, per un altro, prova una schiavitù mai provata prima, viene smembrato,
144
W. Sombart, La tecnica scientifica e lo spirito borghese, in M. Nacci, Tecnica e cultura della crisi,
Loescher, Torino, 1982, p.151.
diviso e risponde a principi inferiori – non trascendenti, legati a Dio -, subumani 145. La tecnica
diventa quell’orizzonte da cui si schiudono tutti i campi d’esperienza, auto-ponendosi come
soggetto della storia e scalzando così l’uomo. Principio d’astrazione massimo e quindi
incontrollabile dall’uomo stesso, diventa un meccanismo ‘naturale’ iscritto tra un positivo,
l’esercizio della potenza tecnica, ed un negativo, circoscritto nell’errore tecnico; la tecnica
è autoreferenziale.146
La tecnica non è più un mezzo per fare – come l’aratro, il martello – la tecnica è oggi
prevalente, predominante rispetto ad ogni altro potere e sapere; la tecnica ha creato un mondo,
il suo mondo autoreferenziale, la tecnica è la società, la tecnica è la vita: per accrescere se
stessa la tecnica deve sempre più entrare nella vita delle persone, ma non solo con le varie
tecnologie e con la cura tecnologica dei nostri corpi, ma con la produzione/modificazione dei
nostri comportamenti, delle nostre psicologie individuali e sociali, dei nostri bisogni e delle
nostre emozioni. La tecnica governa la vita, le dà una ragione di senso, di comportamento, di
azione, indirizzandone il fare attraverso saperi, poteri e soprattutto connessioni funzionali. 147
Difatti la tecnica è da intendere sia come insieme dei mezzi, ossia le tecnologie, sia come
razionalità che presiede al loro impiego in termini di efficienza e funzionalità, ossia il fine. 148
La tecnica oggi è il nomos, la norma, la legge, il normale e il normato, produce e distribuisce
saperi, cose, idee, modi di vivere secondo la propria regola/norma di organizzazione, ma
soprattutto governa, amministra, distribuisce gli uomini nello spazio e nel tempo; razionalità
tecnica che precede ed ingloba la razionalità del mercato; la tecnica è già sempre economia:
dispone della natura, antepone le cose utili, post-pone quelle meno vantaggiose, si oppone a
quelle che ostacolano la sua corsa, espone quelle che vuole proporre al consumo; la sua
razionalità è la gestione calcolante della vita, prende ad oggetto il corpo vivente per fornirgli/si
le cose utili, la protezione, il potenziamento149. Presiede difatti tanto alla produttività
145
146
U. Galimberti, Psiche e techne, l’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999, pp.39-41.
147
L. Demichelis, Bio-tecnica, la società nella sua forma tecnica, Liguori, Napoli, 2008, p. 5.
148
Ibidem.
149
Ivi, p.102.
151
152
153
Ivi, pp.11-13.
governano bio-tecnicamente gli uomini attraverso le loro emozioni, la loro psiche, producendo
e vendendo immagini e immaginari che permettono di modificare artificialmente la percezione
della realtà; oggi è bio-tecnica sempre più positiva, è bio-tecnica del piacere154: la sua offerta,
produzione e promozione attraverso i luoghi del consumo/piacere, attraverso i media e la
spettacolarizzazione della vita, formano la disciplina sociale prevalente che tiene insieme
persone e popolazioni.155
Un potere pastorale bio-tecnico che si basa sull’esaltazione dell’io, dell’ego, sulla rimozione
dei limiti, un potere che dirige le coscienze, governa le condotte degli uomini, manipola le idee
del gregge come dell’opinione pubblica mediante l’organizzazione del lavoro – di produzione,
di conoscenza, di divertimento -, mediante pubblicità, marketing, spettacolo, informazione; si
rende illusoriamente partecipe l’individuo per farlo entrare nella produzione incessante di un
156
più per la società, basandosi sull’assunto della sua innata volontà di potenza , che però viene
incorporata e trasformata in volontà di potenza della tecnica, di cui l’uomo diviene mero
strumento e prodotto157.
“La socievolezza dell’uomo nasce solo da queste due cose, e cioè dalla molteplicità dei
suoi desideri e dai continui ostacoli che egli incontra nei suoi sforzi per soddisfarli, e
[…] con la parola società voglio significare un corpo politico nel quale l’uomo, o
soggiogato da una forza superiore o tolto dal suo stato selvaggio dalla persuasione, è
divenuto una creatura disciplinata, capace di realizzare i propri fini lavorando quelli
altrui, e dove, sotto la guida di un capo o retti da qualche altra forma di governo, ciascun
membro è reso utile al tutto e, con un’abile direzione, tutti sono spinti ad agire come se
si trattasse di un sol uomo”.158
154
Su tale argomento vedere anche G. Anders, L’uomo è antiquato Vol. II, sulla distruzione della vita
nell’epoca della terza rivoluzione industriale, traduzione di M. A. Mori, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p.124 :
“Fra le potenze che oggi ci formano e deformano non ce n’è più neanche una che possa gareggiare con quella del
divertimento”.
155
Ivi, p. 18.
156
E. Junger – M. Heidegger, Oltre la linea, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1989, p.131.
157
158
“I singoli apparati restano incapaci di funzionare in modo sensato finchè non vengono
coordinati in un tutto perfettamente funzionante come l’apparato […] il funzionamento
dei macroapparati è la condizione per la riuscita dei microapparati […] ma, allo stesso
modo, anche ogni macroapparato, se vuol funzionare e funzionare bene, deve accordarsi
ad altri macroapparati. Con ciò si afferma […] che gli apparati mirano
fondamentalmente ad uno stato ideale, uno stato nel quale esista un apparato unico e
perfetto, dunque l’apparato, quello che raccoglie in sé tutti gli apparati, quello nel quale
tutto funziona bene”.160
Quindi il mondo e la società che diventano apparato, che diventano il fine ultimo dell’insieme
degli altri (micro) apparati, con l’individuo addestrato ininterrottamente per funzionare
attraverso esso e farlo funzionare, un potere che le persone non controllano;
159
160
161
A tal proposito importante anche il pensiero di E. Fromm in, Anima e società, Mondadori, Milano, 1993,
pp.62-63 o Psicanalisi della società contemporanea: “La società non può nulla senza gli individui concreti e
l’individuo non vive se non come socializzato […] con gli individui che mostrano di avere un carattere
socialmente tipico” ossia una struttura caratteriale costruita dall’esterno che l’individuo si sforzerà di raggiungere.
163
Ivi, p.90.
164
165
166
168
169
170
171
172
173
174
M. Horkheimer, Eclissi della ragione. Critica della ragione strumentale, Einaudi, Torino, 1969, pp.123-
124.
175
176
177
178
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887 in Opere, Adelphi, Milano, 1972, vol. VIII, pp. 201-202
Se il nichilismo si aggira come sentimento diffuso nell’età della tecnica, ciò significa per
Anders che il nostro sentire è rimasto ancorato a schemi pre-tecnologici, e perciò detta un
comportamento adatto a quegli schemi; “l’asincronizzazione ogni giorno crescente tra l’uomo e
il mondo dei suoi prodotti risponde al nome di dislivello prometeico”179; a paralizzare l’uomo
oltre alla grandezza delle prestazioni tecniche è anche l’infinita parcellizzazione dei processi
lavorativi, nota come divisione del lavoro, che impedisce di seguire una trama globale e
destituisce qualsiasi ordine di senso; effetti così smisurati che impediscono al sentimento
umano di reagire; “non si possono trasformare i ceti in pure funzioni e poi aspettarsi che il loro
ethos rimanga intatto”180.
G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. I, considerazioni sull’anima nell’era della seconda rivoluzione
industriale, cit., p.24.
180
181
G. Anders, L’uomo è antiquato, vol. II, sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione
industriale, cit., pp. 123-124.
182
Ibidem.
15% - che occupa ben 5 ore al giorno davanti ad uno schermo 183; si può capire bene il ruolo
educatore delle nuove tecnologie di comunicazione e di svago; Pier Paolo Pasolini si sa, è stato
premonitore sulla funzione di mediazione svolta dalla televisione, e ne affermava:
“Quanto alla televisione non voglio spendere ulteriori parole: cioè che ho detto a
proposito della scuola d'obbligo va moltiplicato all'infinito, dato che si tratta non di un
insegnamento, ma di un "esempio": i "modelli" cioè, attraverso la televisione, non
vengono parlati, ma rappresentati. E se i modelli son quelli, come si può pretendere che
la gioventù più esposta e indifesa non sia criminaloide o criminale? E' stata la
televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l'era della pietà, e
iniziato l'era dell'edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa
della stupidità e insieme dell'irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e
dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza
o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore).”184
Nuove tecnologie, o meglio nuove bio-tecnologie, nuove bio-politiche per far agire sempre più
le persone sulla base di elaborazioni automatiche di accettazione del pensare sociale, grazie a
parole, un linguaggio-sapere, e soprattutto immagini, permettendo l’organizzazione di consumi
e produzione, ruoli sociali, idee politiche e comportamenti quotidiani; tecniche per manipolare
la costruzione dell’identità e della personalità di ciascuno e tecnica principe la televisione
“investita del potere di usare tutti i simboli disponibili per secondare gli interessi del
commercio divorando la psiche dei consumatori”185;
“La produzione biopolitica dell’ordine risulta immanente ai nessi immateriali della
produzione del linguaggio, della comunicazione e dei simbolismi che vengono
sviluppati dalle industrie della comunicazione. Essa non solo esprime ma organizza il
movimento della globalizzazione e il nuovo ordine mondiale […] l’immaginario viene
guidato e canalizzato all’interno della macchina comunicativa. Ciò che le moderne
teorie del potere consideravano trascendente, e cioè esterno alle relazioni produttive e
sociali, oggi si forma all’interno, nell’immanenza di queste relazioni. La mediazione è
assorbita nella macchina produttiva, la sintesi politica del sociale è fissata nello spazio
della comunicazione […] producendo, il potere organizza; organizzando, il potere parla
esprimendosi come autorità; comunicando, il linguaggio produce merci, ma soprattutto,
crea delle soggettività, le mette in relazione e le ordina”.186
183
184
Pier Paolo Pasolini, Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo, Corriere della Sera, 18 ottobre 1975.
185
186
188
Ivi, p.13.
189
M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, a cura di E. Capriolo, Il saggiatore, Milano, 1999, p.15.
con il mondo e con cui condivide un dato attimo in simultaneità, e una non presenza, una
presenza-fantasma, in quanto il nostro orizzonte è dissolto completamente e anche le cose che
ci dovrebbero oggettivamente interessare prendono la forma della presenza apparente, quella
fornitaci a domicilio dall’apparecchio; siamo meri compresenti.190 Ciò che ci viene incontro,
standocene seduti sopra la poltrona, è un fantasma di mondo che funziona da matrice nel senso
che ci modifica interiormente come modifica il corso degli eventi; il mondo stesso è
un’immagine, è cosi grande che rende necessari dei modelli, e così il contemporaneo si
presenta come la più grande chance della menzogna mai esistita.191 E se l’immagine è diventata
la categoria principale della nostra vita, quali sono gli effetti che si producono? 192
Innanzitutto veniamo defraudati dell’esperienza e della capacità di prendere posizione
in quanto incontriamo tutto sotto forma di apparenza e fantasma, dunque in versione
rimpicciolita, se non addirittura svuotata di realtà; non come mondo bensì come oggetto
di consumo perché in fondo non esiste più un mondo esterno dato che questo è soltanto
l’occasione di una possibile rappresentazione a domicilio.
In secondo luogo siamo defraudati della capacità di distinguere tra realtà e apparenza;
nelle trasmissioni televisive l’apparenza viene rappresentata in modo realistico perciò la
realtà si trasforma nel suo contrario, assume carattere di esibizione; non solo, lo
spettatore dovrebbe prendere in considerazione la validità delle immagini stesse in
quanto chi partecipa allo show è il più delle volte incline a voler dare una certa
rappresentazione;
Andiamo a formare il nostro mondo sulla base delle immagini del mondo, si assiste ad
un’imitazione invertita, in quanto non esiste alcuna immagine che non agisca da
modello; formiamo il mondo perciò secondo l’immagine delle sue illustrazioni ed esso
diventa illustrazione delle illustrazioni;
Veniamo passivizzati; col rifornimento permanente siamo trasformati in consumatori
permanenti, seguendo il ritmo stesso del rifornimento, senza pause, il che significa
mancanza di autonomia, si crea un rapporto uomo-mondo addestrato unilateralmente;
chi ascolta e non parla è passivizzato e reso schiavo;
190
191
192
193
Guy Deborde, La società dello spettacolo, commentari sulla società dello spettacolo, Baldini – Castoldi,
Milano, 1998, pp.53-60
mette subito al servizio dell’ordine costituito, seguirà il linguaggio dello spettacolo,
perché è l’unico che gli è familiare: quello in cui gli è stato insegnato a parlare”.194
Di certo non è solo l’immagine ad influire sulla psiche degli individui, anche se è un fattore di
primo ordine; e di certo non ci sono solo i risvolti descritti sopra, che sintetizzano il rapporto
che intrattiene l’uomo col mondo, con l’immagine-mondo e con lo spettacolo-mondo. Ci sono
anche altri processi, in parte accennati all’inizio di questo capitolo, che toccano l’individuo
come singolo e come massa. Uno è il modo in cui diventiamo consumatori/produttori in ogni
singolo momento in cui ci sediamo davanti all’apparecchio. Innanzitutto, per i produttori non
si presenta alcuna differenza se il consumo costituisce una reale esperienza comune o soltanto
la somma di molte esperienze individuali; loro sono interessati ad una massa suddivisa nel
maggior numero di acquirenti, e ciò è stato raggiunto facendo del cinematografo un residuo
del passato, smerciando gli apparecchi a quasi ogni unità familiare; e ognuno poteva avere la
sua merce a domicilio. Ciò ha portato a poter trattare ogni singolo individuo come uomo di
massa, come articolo indeterminato, ognuno è stato rafforzato in questa sua qualità o assenza
di qualità: nasce l’eremita di massa.195 La peculiarità di questo nuovo rapporto sta nel fatto che
davanti ad ogni radio o televisione, visto che la produzione ha luogo ovunque abbia luogo il
consumo, tutti sono impiegati o occupati, si è creato il lavoratore a domicilio; egli presta la
sua opera, si trasforma in uomo di massa, consuma la merce di massa, e per fare tutto ciò
paga, paga per vendersi, per diventare merce, per asservirsi. Ed oltre a questa novità si vede
chiaramente come non ci sia più bisogno delle strategie di massa usata dai totalitarismi nel XX
secolo per forgiare a proprio comodo le identità, difatti se il processo di condizionamento ha
luogo per ognuno separatamente nella propria casa, in solitudine, addirittura sarà più efficace:
dato che si presenta come divertimento, dato che non fa sapere alla vittima che pretende da lei
dei sacrifici, dato che le lascia l’illusione della sua vita privata; avviene così il consumo
solistico di massa, il cui motore è costituito dalla pubblicità, una tecnica che realizza i suoi
obiettivi con studiata discrezione, apparente invisibilità e mutismo, agendo a livello
subliminale, a livello dell’inconscio-subconscio della mente umana 196 – immagini, simboli,
194
Ivi, pp.207-209.
195
196
Come consumatori siamo agenti segreti, perché noi stessi non dobbiamo conoscere il motivo
del nostro agire, perché a noi stessi viene tenuto segreto per chi e per cosa esercitiamo la
nostra attività.
Tutte queste riflessioni ci fanno arrivare e concludere che c’è un processo oliato e ciclico, che
immette l’individuo in un contesto prestabilito, dove, mediante tecniche – immagini,
rappresentazioni parziali di mondo costruite ad hoc, tecniche comunicative – lo si spinge a
reazioni anch’esse programmate a priori; gli individui vengono incastrati e si incastrano da
soli nel sistema conformista; cosa ci rende schiavi in questo sistema? Potremmo rispondere
con tutto o con niente199: con tutto in quanto basta che usciamo di casa per trovarci accerchiati
197
198
Ivi, pp.154-158.
199
Ivi, p.130.
da milioni di apparecchi, modi di dire, usanze, opinioni, stili di vita che ci affascinano
inconsapevoli della loro implicita violenza e in cui ci lasciamo appunto trascinare senza
resistenza; tuttavia con niente, in quanto non sentiamo mai la voce di un’istanza centrale.
200
Per Foucault siamo davanti all’era della medicalizzazione infinita quale epoca di un dominio
totalizzante esercitato dalla scienza medica cui è impossibile sottrarsi; medicina come corpo di
conoscenze scientifiche e pratiche professionali ma anche come ruolo di controllo sociale, in
quanto agisce sulle norme che influenzano le mentalità delle classi sociali e ne strutturano il
comportamento; in particolare essa – la medicalizzazione – testimonierebbe non solo la
centralità assunta dal corpo e dalla vita nelle dinamiche del potere, ma renderebbe evidente il
superamento del paradigma giuridico-discorsivo centrato sulla legge, a favore di una società
che si basa sulla norma e sulla sorveglianza.202 Il momento determinante per tale svolta è dato,
secondo l’autore francese, negli anni Settanta col piano Beveridge che ha fondato il modello
sul quale si sono poi sviluppati i sistemi di welfare successivi, imperniato sui principi
dell’universalità dell’assistenza pubblica e sui servizi sociali come diritti per tutti; questo
progetto assume valore simbolico perché identifica il passaggio da una fase caratterizzata
dall’attenzione al diritto alla vita ad una nella quale si afferma un diritto più complesso, il
diritto alla salute, della vita in buona salute presa in carico dallo stato; 203
da qui si dà vita alla cosiddetta medicalizzazione indefinita sul corpo sociale, ossia che la
medicina non ha più limiti esterni, in quanto è la salute e non più la malattia ad essersi
201
M. Foucault, La politica della salute nel XVIII secolo, (1976), in Archivio Foucault, Feltrinelli, Milano,
1997, vol. 2, p. 191.
202
203
Michel Foucualt, La nascita della medicina sociale, in Archivio Foucault 2, cit., p. 222 ; anche
Bazzicalupo concorda su questo punto in Governo delle vite, vedendolo come punto di svolta.
trasformata in oggetto di intervento medico, o meglio, tutti quei comportamenti che possono
avere influenza, diretta o indiretta, sulla salute degli individui. Cambiamento di prospettiva
avviene poi col rapporto Lalonde, che introdusse alcuni principi che cambiarono le politiche di
vari stati: esso partiva dalla necessità di rimodellare le politiche centrandole sugli ambiti della
salute, ossia biologia, ambiente e stili di vita; il tasso di mortalità ad esempio non poteva che
essere ridotto se non attraverso l’analisi di fattori comportamentali come obesità, stress,
tabagismo, alimentazione, in definitiva attraverso le abitudini ed attraverso l’innesto di una
responsabilità individuale dei cittadini. Il rapporto Lalonde va a formare quindi l’esistenza di
una responsabilità morale nel mantenere la propria salute e lo fa promuovendo specifiche
biopolitiche, come marketing sociale, ossia insieme di tecniche mutuate dal mondo degli affari
che agiscono sull’immaginario collettivo come stimolo alla modifica dei propri comportamenti,
politiche fiscali che riducono il costo di beni e servizi in grado di favorire attività salutari o
tassando prodotti nocivi come il tabacco o l’alcool, interventi legislativi di tipo proibitivo o che
costringono a screening sistematici ecc. Questo carattere autoritario della tutela alla salute non
deve comunque ingannare, non è solo un subire da parte degli individui visto che in parte
sempre maggiore sono loro stessi a creare una domanda, a sollecitare un intervento sul sociale
del medico; così la salute diviene una merce prodotta da laboratori farmaceutici e acquistabile
sul mercato da nuovi soggetti che divengono garanti del proprio destino biologico; è dunque
questo intreccio tra potere e desiderio a rendere possibile la trasformazione del potenziale
paziente in colui che partecipa attivamente alla gestione dei propri processi vitali: una dinamica
di soggettivazione di massa medicalmente assistita che si avvale di strumenti di autocontrollo
sorvegliato, di condizionamento autoprodotto che assume forma di opportunità e non di
limite.204 L’aprirsi del corpo e della naturalità destinale ha inaugurato un immenso ambito di
consumi, di influenze e di esigenze da soddisfare; “durata, resistenza, benessere, bellezza,
giovinezza di anima e corpo: tutto si compra e tutto viene fatto comprare”205.
“La governamentalità biopolitica – la cui ratio induceva comportamenti disciplinati di
salute, di crescita, di igiene, di riposo e di stimolo – si scioglie, nella fase bioeconomica,
nel desiderio diffuso di ciascuno di poter esercitare attivamente condotte sane
determinanti per la autorealizzazione del sé. Si assume in proprio la responsabilità
olistica del corpo, scegliendo terapie morbide in luogo del dirigismo ospedaliero,
praticando sport liberi dalla competizione, in ascolto euforico al proprio corpo. La
biopolitica sanitaria, anche quando incrementata e gestita dall’apparato politico, ha
204
205
Ivi, p.117.
incentrati sul potere e visti nel primo capitolo: in comune si ha una logica che mira ad
intrappolare l’individuo in una rete occulta di desideri prefabbricati, emozioni guidate ad arte,
schemi logici che fungono da matrice per ogni successivo agire, discipline ferree e inconsce.
Quella che Foucault definiva la nuova arte di governo a partire dal XVII-XVIII secolo, si
raffina e moltiplica sempre più, con gli obiettivi che sempre meno si raggiungono tramite
ordinanze, regolamenti o leggi e sempre più tramite la sottomissione più o meno volontaria a
slogan e spot pubblicitari; insomma ciò che in definitiva cambia è che il sistema di controllo
sociale ed i modelli di riferimento che guidano ed influenzano il comportamento nel XXI
secolo sono profondamente cambiati ed evoluti rispetto a secoli precedenti nel loro dispiegarsi,
seppur abbiano l’identica volontà di forgiare a piacimento l’individuo a seconda del senso che
si vuole imporre; le società di controllo non sono di certo scomparse, si nascondono dietro
l’industria del piacere.
“Sarebbe un errore vedere e considerare il controllo sociale come un mero strumento di
conservazione e di tradizionalismo sociale. Anzi il rinnovamento continuo dei simboli,
la proposizione di nuovi valori e di nuovi ideali sono fondamentali elementi del
controllo sociale. È infatti grazie al possesso delle nuove tecnologie e alla capacità di
immettere nel circuito mediatico nuovi simboli e valori a cui far adeguare la moltitudine
che la nuova flessibile élite esercita il suo controllo sociale. Non si tratta dunque di una
rivoluzione nel controllo, ma più semplicemente di un utilizzo di mezzi tecnici che
offrono numerosi vantaggi da un duplice punto di vista: economico e temporale. Questi
due aspetti, economicità e velocità, sono di fondamentale importanza in una società,
come quella postmoderna, cavalcata dall’ideologia neoliberale e dalla dinamicità degli
scambi e della comunicazione”.207
M. Lianos, Il nuovo controllo sociale, Elio Sellino, Avellino, 2005, pp. 43-44.
208
E. A. Ross, Social control: a survey of the foundations of order, The press of case Western Reserve
University, Cleveland, 1969.
210
E. Durkheim, La determinazione del fatto morale, in Le regole del metodo sociologico. Sociologia e
filosofia, Comunità, Milano, 1979, pp. 165-168.
211
212
213
Ivi, p. 37.
214
T. Parsons, The law and social control, a cura di W. M. Evan, in Law and sociology: exploratory essay,
Free press, New York, 1962.
questo punto di vista è interessante notare come tra controllo sociale e criminalità non esiste
netta opposizione, ma anzi sono concetti che si tengono insieme:
“[…] controllo sociale e criminalità non sono affatto antitetici; al contrario, potremmo
pensare che, per un certo sistema di rapporti sociali dato, l’esercizio del controllo
sociale in tale contesto significhi la riproduzione dei fondamentali rapporti sociali,
unitamente a quella quota di illegalità, illiceità, violenza, criminalità o come la si voglia
chiamare, che permette al sistema di riprodursi. Le élites del potere di quella
determinata situazione – che per definizione esercitano un controllo rilevante sulla
produzione e il processo di enforcement del diritto, – saranno portate a gestire e
mantenere tale quota di illegalità, illiceità, violenza, criminalità, in quanto essa è una
componente dello status quo sul quale si erge il loro potere.”
Per ciò che riguarda l’educazione, essa è vista come cruciale dal momento che è fondamentale
nel processo di integrazione e di acquisizione di principi e valori che guidano una società; è da
bambini che si apprendono schemi mentali e perciò va da sé che tutto dipenderà da essa.215
Ulteriore elemento è la tecnologia, che è parte integrante nella vita dell’uomo occidentale e ne
scandisce i ritmi e le mansioni,
“il quotidiano consiste principalmente in atti che non hanno senso che come elementi di
sistemi resi possibili dalla tecnologia […] il modo organizzazionale del controllo si
fonda su strutture che configurano l’azione verso finalità definite e perseguite dalle
istituzioni. L’attore si integra nel contesto preregolato ogni volta offerto: le vie
dell’autostrada, gli ingressi e le uscite dei supermercati, i semafori rossi e i passaggi
pedonali, i comandi ammessi dal software, le passwords date dal proprio provider per
internet.”216
Mannheim spiega a tal proposito che non può esservi ordine sociale se il controllo razionale e il
dominio individuale dei propri impulsi non riescono a procedere simultaneamente con lo
sviluppo tecnologico ed introduce il concetto di “democratizzazione di fondo”, ovvero quel
processo che permette di fornire a tutti gli individui gli strumenti per portare avanti i compiti di
analisi razionale delle decisioni, allargandone così a dismisura l’influenza.217
215
216
217
“La rivoluzione degli anni ’90 ha rianimato quell’antico fervore religioso, che oggi,
secolarizzato in fede laica nelle virtù taumaturgiche del mercato e del progresso
tecnologico, torna a dispiegare la sua potenza, assumendo l’aspetto di vera e propria
missione ecumenica: la globalizzazione economica come evangelizzazione dell’intero
pianeta, come conversione universale alle divinità del nuovo mercato e delle nuove
tecnologie.”219
Tale nuova fede secolarizzata si pone come formidabile mezzo di controllo sociale, chi non si
adegua al mercato è perso ed escluso, e vale sia per individui che per società, poiché non
credere nel nuovo Dio significa emarginazione e ritorsione; “come ogni religione anche il
neoliberismo ha bisogno di profeti (economisti), luoghi di culto (Istituzioni internazionali),
predicatori (esperti), pulpiti da cui sentire la preghiera quotidiana (i mass media) e infine i suoi
fedeli e pellegrini (l’opinione pubblica) da indottrinare e controllare”220.
Ultimo strumento di controllo sociale sono i mass media, struttura che tende a centralizzare il
comportamento umano intorno alla sua esistenza ed intorno ai suoi progetti, ideali e valori; si
parla in altri termini d’un’istituzione sociale che intensifica i contatti indiretti tra gli individui
fungendo da mediatore delle interazioni sociali, prendendosi cura degli individui, gestendo il
218
219
C. Formenti, Mercanti di futuro. Utopia e crisi della Net economy, Einaudi, Torino 2002, p.140.
220
“Il problema della manipolazione sorge ovunque gli uomini hanno il potere accentrato e
incondizionato, ma non autorità, oppure quando, per una ragione qualsiasi, non
desiderano fare uso apertamente del loro potere, non vogliono far mostra della loro
forza. Vogliono dominare, per così dire, segretamente, senza un’esplicita affermazione
del potere. In questo caso ibrido – come nell’incerta realtà americana di oggi – la
manipolazione è un modo primario per l’esercizio del potere.”222
Alla luce di queste spiegazioni è possibile ritornare ad un’analisi che prenda in considerazione
il concetto di controllo sociale in modo più generale e totale e, per farlo, si può prendere spunto
dalla definizione fornita da Luciano Gallino, che mette in evidenza come “il controllo sociale si
identifichi con tutti i fenomeni ed i processi che contribuiscono a regolare il comportamento
umano e ad organizzarlo” tra cui fa rientrare “la morale, la religione, il diritto, i costumi,
l’educazione, le rappresentazioni collettive, i valori, gli ideali, i modelli di cultura, l’opinione
pubblica, le forme di suggestione e convinzione” 223. Ma chi impone questi precetti? E perché lo
fa? Per rispondere a questi quesiti è più adeguata una seconda definizione, quella di Ragnedda,
più pertinente al contesto storico, sociale e culturale in cui ci si trova immersi: “quell’insieme
di strategie, tecniche, poteri, saperi e istituzioni utilizzate dall’élite al potere con l’obiettivo di
preservare e giustificare un determinato ordine sociale, rendendolo il più naturale possibile. I
221
222
223
L. Gallino, voce controllo sociale, in Dizionario di sociologia, UTET, Torino, 1978, p.178.
mezzi attraverso il quale esso si esplica sono: la religione, il diritto, l’educazione, la cultura, la
tecnologia, la dottrina neoliberale e i mass media.”224
“L’élite al potere cerca di utilizzare tutte le strategie e gli strumenti che il sapere, la
tecnica
e le istituzioni pongono a loro disposizione per ridurre la devianza e garantire il più
possibile la normalità, così come viene da loro intesa in quel particolare frangente
storico. Questa nuova élite, transnazionale e flessibile, difende i propri interessi
trasmettendo in maniera trasversale i valori, le pratiche culturali e i modelli di
riferimento che sopportano la loro visione del mondo e lo fanno principalmente
attraverso il loro strumento più efficace: i mass media. La nuova élite non può usare il
diritto per regolare ed organizzare il comportamento sociale, o meglio non può farlo
direttamente, poiché non ha gli strumenti tecnici e giuridici per farlo. La nuova élite non
è eletta e come tale non ha potere legislativo; non governa uno Stato e come tale non
può governarne le istituzioni; non può usare lo strumento coercitivo, saldamente in
mano agli Stati nazione. Paradossalmente questa è la sua forza.”225
L’attenzione della sociologia non è fissata comunque solo sulle modalità strutturali con cui si
rende possibile una società del controllo, ma è attenta anche ad osservare le cause che
permettono ai soggetti di renderla possibile; come gli individui possano acquisire valori e
modelli comportamentali. Si nota innanzitutto come, a differenza degli animali, l’essere umano
non è provvisto di un modello comportamentale stabile e fisso ma tende ad acquisirlo dal
contesto sociale e culturale in cui è inserito e ciò avviene in primo luogo attraverso il processo
di socializzazione nella sua triplice accezione: socializzazione primaria, secondaria e
terziaria;226 in realtà tale processo non termina mai ma è in perenne movimento, essendo
l’individuo continuamente sottoposto a pressione, diretta o indiretta, da parte dei gruppi sociali
a cui appartiene, affinché possa assumere comportamenti ed idee in sintonia con le opinioni
collettive. Ricollegandoci al controllo sociale in un’accezione più ampia, è qui utile poi la
distinzione tra controllo sociale informale e formale227, dove la prima forma viene esercitata in
224
225
Ibidem.
226
F. Garelli, A. Palmonari, L. Sciolla, La socializzazione flessibile. Identità e trasmissione dei valori tra i
giovani, Mulino, Bologna, 2006.
227
“La particolarità del controllo postindustriale è che esige tanto l’autonomia che la
conformità. Coloro che non possono costituirsi come soggetti individuali e autonomi
sono i nuovi delinquenti. Condannati a inventare dei conflitti collettivi tra loro stessi
[…] per ricostruire delle formazioni di gruppo, i delinquenti ossessionano il quotidiano
dei loro vicini e motivano tutte le cose che possono evitarli. Non vi è nulla come
l’immagine televisiva di una rivolta nella banlieue o di una riunione razzista del Front
National per convincere il cittadino postindustriale che il suo ultimo dovere civico e
sociale è oggi di condurre un’esistenza sempre più isolata collaborando con le istituzioni
che lo circondano”.228
228
“La pena non serve – o non serve che secondariamente – a correggere il colpevole o a
intimidire i suoi possibili imitatori; da questo duplice punto di vista è giustamente
dubbia, e in ogni caso mediocre. La sua funzione e di mantenere intatta la coesione
sociale, conservando alla coscienza comune tutta la sua vitalità […] il castigo è
destinato soprattutto ad agire sulle persone oneste; infatti, poiché serve a guarire le ferite
inferte ai sentimenti collettivi, può adempiere a questa funzione soltanto dove questi
sentimenti esistono, e nella misura in cui sono vivi”.229
Concentrandoci sulla norma, essa agisce attraverso due canali, da una parte attraverso
l’adesione, dall’altra grazie alla sanzione. Nel primo caso si tratta, per mezzo delle agenzie di
socializzazione, di far accettare ed interiorizzare all’attore sociale, la norma, in modo tale che il
suo comportamento sia in linea con le aspettative della società con la quale interagisce. Nel
secondo caso invece, qualora un’azione deviante si sia verificata, la società reagisce attraverso
gli apparati di controllo, erogando sanzioni sugli attori sociali che hanno deviato e tradito le
aspettative, con l’obiettivo di ripristinare lo stato di conformità antecedente al comportamento
deviante. Mentre le forme di repressione e di erogazione della sanzione sono palesi e sotto gli
occhi di tutti, le modalità con le quali le norme vengono interiorizzate risultano meno evidenti e
per questo qui ritenute di particolare importanza; coinvolge le agenzie di socializzazione, gli
apparati disciplinari, il ruolo degli opinion leader e i mezzi di comunicazione di massa.
Particolare importanza riveste il mondo mass mediatico, in tutte le sue forme e manifestazioni,
poiché diventa, come si è visto, sempre più importante nel suo ruolo di agenzia di
socializzazione, rosicchiando spazio e ruolo alle altre classiche agenzie di socializzazione quali
la famiglia e la scuola. Il potere sanzionatorio, ovvero il secondo canale, rimane saldamente in
mano allo Stato, anche se è sempre più succube delle logiche del mercato e delle grandi
multinazionali. Allo Stato rimane la sovranità, ovvero la capacità, di punire. La postmodernità
sembra però paventare un altro scenario, si assiste ad una suddivisione di ruoli e competenze
229
231
Ivi, p.63.
suo timone di guida sia nell’istruzione che nell’educazione e all’università il cui ruolo critico e
di impegno intellettuale viene sempre più sostituito dal ruolo di esamificio e dispensatore di
attestati per lavorare. Aspetto quest’ultimo funzionale alla nuova società che necessita di
individui sempre più specializzati e al contempo sempre più ignoranti e disimpegnati.
Le chiese, a loro volta, perdono la funzione di guida morale e i vecchi dogmi e certezze
vengono sostituiti dal relativismo e spesso dal nichilismo più bieco. La fabbrica fordista,
simbolo di oppressione ma anche di sicurezza, muore e tracolla sotto i colpi della flessibilità.
Nella società postmoderna invece, le norme sono direttamente o indirettamente dettate dalle
multinazionali, che non avendo un’investitura democratica e non avendo la capacità né di
codificare né tanto meno di sanzionare, delegano allo Stato nazione questo compito; ad esso il
compito di aumentare i mezzi a disposizione delle forze di polizia prelevandoli dai cittadini,
mentre alle multinazionali, attraverso l’industria culturale, preme invece orientare l’azione
civica verso il controllo sociale e l’acquisizione delle norme. Il controllo sociale diviene
dunque extra-centrato per via del fatto che viene trasferito all’esterno degli Stati nazione. È la
dinamica del potere che cambia, le multinazionali che tengono in mano le redini del controllo
sociale, trascendendo lo stato nazione e i suoi confini, ma non potendo prescindere da esso. Il
potere delle grosse società economiche tende a diventare assoluto, sotto gli imperativi della
dottrina neoliberista, ma al contempo non facilmente ed immediatamente visibile. In altri
termini il loro potere è (quasi) assoluto, nel senso che influenzano sia la vita politica degli Stati
nazione sia i singoli individui prescrivendo modelli comportamentali a cui attenersi ed
uniformarsi. Con abili operazioni di marketing si avvicina virtualmente al cittadino, mentre se
ne allontana fisicamente, diventa più trasparente, mentre i meccanismi che lo governano sono
sempre più oscuri e dettati da logiche che stanno al di sopra della politica e dei suoi confini.232
232
“Si sa che Bentham ha immaginato la prigione ideale, ovvero il tipo di edificio che
poteva essere tanto un ospedale che una prigione, un manicomio, una scuola o una
fabbrica: al centro una torre circondata da finestre, poi uno spazio vuoto ed un altro
edificio circolare comprendente delle celle dotate di finestre. In ciascuna di queste celle
può trovare posto, a seconda dei casi, un operaio, un folle, uno scolaro o un carcerato.
Basta un’unica persona, appostata nella torre centrale, per osservare in modo
estremamente preciso ciò che le persone fanno in ogni momento, nelle loro piccole
celle. Per effetto del contro luce, si possono cogliere dalla torre le piccole silhouettes
prigioniere nelle celle della periferia. Tante gabbie, altrettanti piccoli teatri, in cui ogni
attore è solo, perfettamente individualizzato e costantemente visibile. Il dispositivo
panottico predispone unità spaziali che permettono di vedere senza interruzione e di
riconoscere immediatamente. Insomma, il principio della segreta viene rovesciato; o
piuttosto delle sue tre funzioni – rinchiudere, privare della luce, nascondere – non si
mantiene che la prima e si sopprimono le altre due. La piena luce e lo sguardo di un
sorvegliante captano più di quanto facesse l’ombra, che, alla fine, proteggeva. La
visibilità è una trappola. Ciascuno, al suo posto, rinchiuso in una cella, è visto di faccia
dal sorvegliante, ma i muri laterali gli impediscono di entrare in contatto coi compagni.
È visto, ma non vede; oggetto di una informazione, mai soggetto di una comunicazione.
Questo rappresenta per Bentham la formula ideale di reclusione di tutti questi individui
all’interno delle istituzioni. Ho trovato in Bentham il Cristoforo Colombo della politica.
Credo che il panopticon costituisca una sorta di motivo mitologico di un genere nuovo
di sistema di potere, quello di cui oggi si serve la nostra società.”233
Il Bentham giovane lo presentava come il metodo per sorvegliare gli individui accrescendo il
rendimento, la stessa produttività della loro attività; il Bentham al termine della sua vita lo
presentava invece come la formula del governo liberale nella sua globalità visto che esso deve
lasciare spazio a tutto ciò che può costituire la meccanica naturale sia dei comportamenti che
della produzione e non deve operare nessun tipo di intervento se non quello della sorveglianza;
solamente quando vedrà che qualcosa non funziona secondo la meccanica generale dei
comportamenti e degli scambi allora dovrà intervenire. Il panoptismo non rappresenta una
233
235
236
Ibidem.
osservazione guadagna in efficacia e in capacità di penetrazione nel comportamento degli
individui, un accrescimento di sapere viene a istituirsi su tutte le avanzate del potere scoprendo
mano a mano nuovi oggetti su cui applicarsi. Ma esso non dev’essere inteso solamente come un
edificio onirico, è il diagramma di un meccanismo di potere ricondotto alla sua forma ideale, il
suo funzionamento, astratto da ogni ostacolo, resistenza o attrito, può essere ben rappresentato
come un puro sistema architettonico ed ottico, è una figura di tecnologia politica che si può e si
deve distaccare da ogni uso specifico.237 Ogni volta che si avrà a che fare con una molteplicità
di individui cui si dovrà imporre un compito o una condotta, lo schema panottico può essere
utilizzato presentando polivalenza massima. Bentham propone il problema della visibilità, una
visibilità organizzata interamente attorno ad uno sguardo che domina e sorveglia, fa funzionare
il progetto di una visibilità universale che gioca a favore di un potere rigoroso ed esercitato per
il solo fatto che le cose sono conosciute e le persone sono guardate, siamo di fronte ad una sorta
di regno dell’opinione.238 Grazie allo sguardo non c’è bisogno di armi, di violenze fisiche, di
costrizioni materiali, uno sguardo che finirà con l’interiorizzazione al punto di osservarsi da sé:
ciascuno eserciterà questa sorveglianza su e contro se stesso, potere continuo e costo irrisorio;
certamente non tutti occupano lo stesso posto in questo meccanismo, possono crearsi delle
supremazie, ma è una macchina in cui sono presi tutti e in cui il potere non appartiene
interamente e non rimane infinitamente; tutti sono sorvegliati da tutti, si è di fronte ad un
apparato del sospetto totale e circolante, poiché non vi sono punti assoluti e la perfezione
sorvegliante si raggiunge come somma di malanimi.239 Certo,
Ivi, p. 224.
238
239
240
Un nuovo modo di ottenere il dominio di una mente su di un’altra mente, lo schizzo geometrico
di una società razionale dove individui attanagliati da un’insicurezza di fondo assoggettano il
loro corpo alla norma autodisciplinandosi.
Il modello panottico, così come inizialmente concepito, può essere però in qualche modo
considerato obsoleto nella società postmoderna, per questo ha bisogno di essere aggiornato e
integrato; con la dinamicità e liquidità della nuova società ha bisogno di nuovi dispositivi
sempre più informatici ed anonimi ma capaci di rendere il corpo sempre più docile241. Per
Foucault in una società disciplinare, i dispositivi mirano, attraverso una serie di pratiche e di
discorsi, di saperi e di esercizi, alla creazione di corpi docili, ma liberi, che assumono la loro
identità di soggetti nel processo stesso del loro assoggettamento 242; perciò è di fondamentale
importanza vedere quali dispositivi si adattino meglio alla società postmoderna che ha una
natura diversa da quella analizzata da Foucault. Il problema oggi si sta spostando su una
sorveglianza e gestione dei flussi di movimento e non solo degli individui, ma anche della
merce e dei dati personali. Secondo Deleuze le società disciplinari toccano l’apice nel XX sec.
e procedono all’organizzazione di grandi ambienti di reclusione, con l’individuo che non cessa
di passare da un ambiente chiuso all’altro, ciascuno dotato di proprie leggi: dapprima la
famiglia, poi la scuola (non sei più in famiglia), poi la caserma (non sei più a scuola), poi la
fabbrica, ogni tanto l’ospedale, eventualmente la prigione che è l’ambiente di reclusione per
eccellenza.243 Con l’avvento della società del controllo, come sostituto della società
disciplinare, prorompente dal secondo dopoguerra quando buona parte delle istituzioni
disciplinari entrano in crisi, e soprattutto con l’avvento della nuova tecnologia, le cose
cambiano:
“Le società disciplinari hanno due poli: la firma che indica l’individuo, e il numero o
matricola che indica la sua posizione in una massa. Il punto è che per le discipline non
esiste incompatibilità tra i due poli, che il potere è allo stesso tempo massificante ed
Ivi, pp. 22-23.
241
242
243
È la rivoluzione tecnologica che più di tutte marca la differenza tra queste due forme societarie,
o meglio il rapporto tecnologia-potere; ancora Deleuze:
“Le vecchie società di sovranità maneggiavano delle macchine semplici, leve, pulegge,
orologi; mentre le più recenti società disciplinari avevano per equipaggiamento delle
macchine energetiche, con il rischio passivo dell’entropia e il pericolo attivo del
sabotaggio; le società del controllo operano per macchine di terzo tipo, macchine
informatiche e computer, il cui pericolo passivo è l’annebbiamento e quello attivo il
pirataggio e l’introduzione di virus”.245
Ma non basta parlare di rivoluzione tecnologica, di pari passo c’è la rivoluzione capitalistica
che investe la società; la fabbrica come istituzione disciplinare cede il passo all’impresa, non è
la produzione di beni materiali ad essere al centro del ciclo produttivo ma la vendita di servizi,
perciò la fabbrica perde importanza e non è più il luogo del controllo sociale, è il marketing ad
assumerne la funzione. Cambia però la dimensione del controllo, “esso è a breve termine e a
rotazione rapida, ma anche discontinuo ed illimitato, come la disciplina era di lunga durata,
infinita e discontinua. L’uomo non è più recluso ma indebitato”. 246 Si profila il dominio, sempre
più evidente e apparentemente inevitabile, da parte delle corporation mediante le nuove
tecnologie, e contemporaneamente diminuiscono le forze per opporsi a questo sistema.
Perdendo sempre più importanza la fabbrica, perde importanza anche la solidarietà e la
compattezza della forza lavoro come strumenti di resistenza. Questi valori sembrano lasciare il
posto alla competizione, all’egoismo e all’individualismo che imprigiona
244
Ivi, p. 237.
245
Ivi, p. 238.
246
“la sorveglianza sia oggi da considerarsi come il mezzo essenziale dell’ordine e delle
orchestrazioni sociali. Le società dell’informazione sono società sorvegliate. I mezzi di
gestione sociale attualmente disponibili e in uso servono in varia maniera a classificare,
coordinare e controllare le popolazioni in modi che trascendono le più moderne
divisioni fondate sulla posizione di classe o sui processi burocratici di classificazione
basati sulla documentazione cartacea. Iniziamo solo ora a capire come i profili
biografici, le informazioni inerenti alla popolazione e i dati biometrici stiano emergendo
quali fonti dinamiche di potere nel mutato ambiente sociale globale”248
All’interno delle società sorvegliate, il potere sembra fluire lungo una molteplicità di canali,
nessuna torre di guardia centrale domina il paesaggio sociale, poche persone si sentono
vincolate, e ancor meno controllate, da regimi di sorveglianza; la maggior parte delle persone
accetta tranquillamente di rivelare la propria identità o dichiara di acconsentire a rendere noti i
propri dati personali alle aziende; per coloro che non desiderano essere esclusi o emarginati, la
247
248
D. Lyon, La società sorvegliata, tecnologie di controllo della vita quotidiana, Feltrinelli, Milano, 2002,
pp. 13-14.
partecipazione sociale implica un attivo coinvolgimento nei meccanismi che tengono d’occhio
e monitorano le loro vite quotidiane.
Gary T. Marx249 indica nove caratteristiche che differenziano la vecchia e la nuova
sorveglianza: la prima differenza consiste nel fatto che la nuova sorveglianza “trascende la
distanza, l’oscurità e le barriere fisiche” e ciò significa che grazie alle nuove tecnologie
vengono superati i limiti tecnici che rendevano impossibile estendere la sorveglianza sia
all’esterno dei confini dello Stato-nazione sia all’interno della vita degli individui. Il secondo
elemento di differenziazione è dovuto al fatto che la nuova sorveglianza “trascende il tempo e i
suoi dati possono essere facilmente immagazzinati, recuperati, analizzati e comunicati”250, in
alti termini non vi è rapporto necessario e immediato tra la raccolta e l’utilizzo delle
informazioni senza pregiudicarne l’attendibilità. Il terzo elemento coincide con la rivoluzione
strutturale dell’apparato di sorveglianza, essa “è ad alta intensità di capitale più che di lavoro:
gli sviluppi tecnici hanno decisamente modificato l’economia della sorveglianza; con una certa
semplicità è possibile rimandare l’informazione ad una fonte centrale, rendendo così possibili
economie di scala”251. Grazie a questa rivoluzione tecnologica, relativamente poche
possono controllare diversi luoghi e individui ed in più, elemento decisamente nuovo, gli
individui possono diventare volontariamente o meno, fruitori di sorveglianza. Il quarto
elemento si riferisce al cambiamento paradigmatico che la nuova sorveglianza ha innescato
poiché si passa dal sorvegliare individui specifici a sorvegliare potenzialmente tutti. Le nuove
tecnologie consentono un monitoraggio continuo - dalle telecamere alle carte d’identità, dai
metal-detector ai moduli obbligatori delle tasse - che fa di ciascuno un obiettivo di
sorveglianza. Il quinto elemento tratta della crescente prevenzione, “tutto è fatto per prevenire
le violazioni, la stessa pubblicizzazione della onnipresente sorveglianza serve da deterrente” 252.
Il sesto elemento riguarda la sua decentralizzazione e il meccanismo di autovigilanza, gli
individui sono spesso motivati a dare informazioni su se stessi in cambio di benefici o evitare di
249
G. T. Marx, The iron fist and the velvet glove: totalitarian potentials within democratic structures, in
http://web.mit.edu/gtmarx/www/iron.html
250
Ibidem.
251
Ibidem.
252
Ibidem.
essere penalizzati. Il settimo è il fatto di essere invisibile e depersonalizzata; risulta infatti
“difficile accertarsi di quando siamo sorvegliati e di chi ci sta osservando, anche perché spesso
la sorveglianza è depersonalizzata e viene praticata grazie a dispositivi elettronici sempre più
difficilmente individuabili”.253 L’ottavo è la profondità delle informazioni a cui riesce ad
accedere grazie agli strumenti sempre più invasivi che la tecnica mette a disposizione ed infine
l’ultimo elemento è l’estensione della nuova sorveglianza; ampie e nuove categorie di persone
diventano soggetti per raccolta e analisi delle informazioni e, come aumenta il numero delle
persone osservate, così cresce quello dei potenziali controllori; chiunque può essere osservato e
ognuno è un potenziale osservatore. La creazione di incertezza sul fatto di essere o no
sorvegliati è un importante elemento strategico. Alcuni degli elementi identificati da Marx
possono essere visti come una naturale estensione del modello panottico supportato
dall’evoluzione tecnologica; altri elementi invece sono vere e proprie rivoluzioni
paradigmatiche e sono frutto e causa della nuova società: non più statica e rigida - moderna -,
ma dinamica e liquida - postmoderna -. Si potrebbe dire che queste differenziazioni, ma altre se
ne possono aggiungere e qui di seguito verranno proposte,
sono dovute a due macro fattori: la rivoluzione tecnologica e l’estensione tecnologica del
modello panopticon a tutta la società.254 Il problema però, secondo Bauman255, non è tanto
sapere o non sapere di essere sotto controllo, ma di non preoccuparsene affatto; a questo punto
scatta una rivoluzione cognitiva e di percezione che investe il ruolo della sorveglianza.
Prima esso era limitato a persone ben identificate, circoscritto a determinati ambienti ed era
considerato un elemento di repressione; il controllo oggi in cambio può paradossalmente essere
considerato come una duplice garanzia: di inclusione sociale e di libertà. Da una parte infatti
non essere controllati significa essere emarginati, non essere degni di nota, non essere
importanti - chi per eccellenza non è controllato è il clandestino, l’escluso, persona ai margini
della società e che impersonifica il pericolo, in quanto fuori controllo -. Ecco allora che il
controllo diviene anche garanzia di libertà perché maggiori e più intensificati si faranno i
controlli e più protetti ci si sente. Aumentando la percezione di sicurezza aumenta anche la
253
Ibidem.
254
255
256
257
M. Poster, Foucault, marxism and history. Mode of production versus mode of information, Polity press,
Cambridge, 1984, pp. 102-104.
258
Ibidem.
259
Ibidem.
261
“La società disciplinare è la società nella quale il controllo sociale viene costruito
attraverso una rete sociale ramificata di dispositivi che producono e controllano
costumi, abitudini e pratiche produttive. Mettere questa società al lavoro ed assicurarne
l’obbedienza al suo potere e ai suoi meccanismi d’integrazione e/o di esclusione si
ottiene tramite istituzioni disciplinari – la prigione, la fabbrica, il manicomio,
l’ospedale, l’università, la scuola, etc - che strutturano il terreno sociale e offrono una
logica propria alla “ragione” della disciplina. Il potere disciplinare governa in effetti,
strutturando i parametri e i limiti di pensiero e di pratica, sanzionando e/o prescrivendo i
comportamenti devianti e/o normali”265.
262
T. Mathiesen, The viewer society. Michel Foucault’s panopticon revisited, in Theoretical criminology,
SAGE, Londra, 1997, pp. 215-234.
263
264
265
“la società che si sviluppa alla fine ultima della modernità e apre sul post-moderno, e
nella quale i meccanismi di controllo si fanno vieppiù “democratici”, sempre più
immanenti al campo sociale, diffusi nel cervello e nel corpo dei cittadini. I
comportamenti d’integrazione e di esclusione sociale propri del potere sono anche
sempre più interiorizzati dai soggetti stessi. Il potere si esercita a questo punto tramite
macchine che organizzano direttamente i cervelli (grazie a sistemi di vantaggi sociali, di
attività inquadrate, etc) verso uno stato di alienazione autonoma, partendo dal senso
della vita e dal desiderio di creatività. La società di controllo potrebbe anche essere
caratterizzata da una intensificazione ed una generalizzazione di apparecchi(sistemi)
della disciplinarietà che animano dall’interno le nostre pratiche comuni e quotidiane; ma
al contrario della disciplina, questo controllo si estende ben al di là dei luoghi strutturati
delle istituzioni, tramite reti flessibili, modulabili e fluttuanti.”266
Società liquida, sorveglianza e tecniche di disciplina e controllo liquide; più nello specifico una
nuova tecnologia che non è più solo repressiva ma anche e soprattutto propositiva: le nuove
forme di controllo si basano non solo sulla repressione di condotte sbagliate e non conformi
agli standard, ma alla proposizione di nuovi modelli di comportamento in una società in cui i
modelli tradizionali sono entrati in crisi, insieme alle sue istituzioni. A proporre condotte,
dunque, non sono le vecchie istituzioni socializzanti, ma in maniera crescente la nuova e
onnicomprensiva istituzione: i mass media ed in particolare la televisione; il carattere
disciplinatorio si impone sempre più attraverso la seduzione che non con la mera sorveglianza.
“Oggi l’obbedienza agli standard […] tende ad essere raggiunta attraverso la lusinga e la
seduzione anziché la coercizione, e si mostra mascherata da esercizio del libero arbitrio anziché
rivelarsi come una forza esterna”.267 Secondo questa impostazione, l’ubbidienza agli standard
avviene grazie alla lusinga, grazie alla spettacolare proposta e continua riproposta di modelli di
riferimento vincenti. Modelli incarnati dalle personalità di successo, da poche persone che
grazie al proprio carisma, ruolo o storia personale sono al centro dell’attenzione e si pongono,
266
Ibidem.
267
In ultima analisi non si tratta quindi di imporre una condotta, ma d’indurre arbitrariamente
determinati tipi di comportamento, che possono facilmente far presa nelle menti dei cittadini
poiché legati ai nuovi valori del vivere sociale. Sarebbe tuttavia errato però presupporre che il
modello synopticon abbia completamente scalzato la necessità di una sorveglianza dall’alto, di
un controllo capillare; esso ne è casomai una integrazione, un aiuto complementare, sempre più
importante, in una società molto frammentata e senza forti punti di riferimento. Lo stesso
Mathiesen afferma come “in tempi recenti l’interazione ha preso nuove forme e concrete
fusioni […] panoptismo e synoptismo si sono sviluppati sulla base di nuove tecnologie
268
269
271
Profili del consumatore sempre più affidabili e precisi in modo tale da indirizzare in modo
sempre più preciso la merce e spingere il consumatore nelle sue braccia; avere un profilo
sempre più accurato permette di indirizzare in maniera sempre più precisa l’informazione, con i
dati che sarà lo stesso consumatore a fornire, perché più consuma e più si scopre alle aziende e
più è vulnerabile. La torre burocratica snellisce le pratiche ed è molto più accurata e completa,
offrendo vantaggi in termini di tempo e comodità a tutti i cittadini; la torre investigativa invece
racchiude tutte le informazioni e tracce che si lasciano in rete divenendo un’unica grande torre
centrale. Essa è in grado, con sistemi noti e meno noti, di catalogare, registrare ed elaborare dati
che riguardano la vita commerciale, burocratica e strettamente privata di ogni cittadino e
servirsene per scopi di prevenzione e repressione. La prevenzione
sarà tanto più efficace tanto maggiori e accurate saranno le capacità di monitoraggio e
sorveglianza. Grazie all’incrocio di dati raccolti trasversalmente su tutti i cittadini-navigatori e
poi incasellando ogni cittadino all’interno di categorie di rischio e possibile tenere
costantemente sotto controllo i soggetti potenzialmente più pericolosi. È evidente infatti che un
soggetto che si serve della rete solo per leggere la posta elettronica e guardare le ultime notizie
è potenzialmente meno pericoloso di un soggetto che naviga in rete cercando informazioni sul
come costruirsi una bomba.273 Su quest’ultimo si intensificheranno le operazioni di
sorveglianza, anche grazie, qualora sia ritenuto necessario ed utile, all’ausilio di altre tecniche
quali, intercettazioni telefoniche ed ambientali sino ad arrivare al pedinamento
fisico; ancora una volta per avere maggiore sicurezza si deve rinunciare ad un po’ di privacy. Si
arriva poi a quello che Bigo ha chiamato Banopticon274, neologismo nato dall’unione del
272
D. Lyon, L’occhio elettronico, privacy e filosofia della sorveglianza, Feltrinelli, Milano, 1997, p.196.
273
274
termine inglese Ban - proibire, mettere all’indice - e il greco opticon - guardare, osservare - e
che significa un sistema di sorveglianza dove il profilo tecnologico determina chi deve essere
tenuto sotto controllo, interrogato, detenuto o allontanato e chi invece è libero di intervenire;
questo modello teorizza che, nell’ottica del prevenire, non si indirizzano delle indagini verso un
gruppo o un reato, ma verso dei sospetti, e così i “profili incrociati” divengono fondamentali.
Con la rete comunque c’è la necessità di estendere anche nel virtuale quell’insieme di attività
dirette ad uniformare la condotta degli individui con l’obiettivo di far rispettare le norme e le
aspettative del gruppo; e si assiste ad una nuova fenomenologia del controllo sociale. Le nuove
relazioni sociali infatti sono il frutto della combinazione tra Internet, chat, telefoni di ultima
generazione e relazioni face to face; quest’intreccio fa si che reale e virtuale si fondono e
confondono, dando luogo a nuove modalità di interazione sociale, con la vita reale che si sposta
sempre più in rete e quello virtuale ha sempre maggiori ricadute sul reale. Alla luce di ciò non
bastano più forme panottiche o superpanottiche di controllo, ma queste devono combinarsi a
forme sinottiche che sorvegliano e seducono. La nostra identità tende sempre di più ad essere
compresa dagli altri sulla base della nostra data-immagine piuttosto che dalle comunicazioni
interpersonali, così l’aspetto al centro dell’attenzione è quello che qui si definisce il controllo
dell’immaginario collettivo attraverso la simulazione
del reale.275 Controllare l’immaginario e l’immateriale, significa anche controllare l’immissione
nell’ecologia dei valori, di nuovi modelli comportamentali da assumere come punti di
riferimento; secondo la famosa teoria dell’Agenda Setting 276, noi conosciamo o tendiamo ad
escludere dal nostro orizzonte conoscitivo quello che i media dicono o non dicono. Partendo da
questa semplice concezione e aggiungendo il fatto che ora Internet diviene sempre più una
fonte di conoscenza della realtà circostante, riuscire a gestire i filtri della rete significa chiudere
i cancelli ad alcune informazioni scomode. La censura allora si sposta su un altro piano; ciò che
le grosse multinazionali dell’informazione cercano di fare non consiste solo nel gestire buona
parte dei flussi della comunicazione anche in rete, gerarchizzando, secondo le proprie logiche, i
temi di pubblico interesse e cercando di modellare un mondo - o cyber-mondo - più vicino e in
linea con il proprio modello o ideale, ma danno luogo ad una sorta di censura, che non
D. Bigo, Security and immigration: toward a critique of the governmentality of unease, Alternatives,
2002, p. 82.
275
276
www.it.wikipedia.org/wiki/Agenda_setting
necessariamente risponde a modelli repressivi, ma è dovuta a ragioni che possiamo definire
tecniche. Per questioni di marketing infatti, si rende spesso inevitabile omologare i gusti e le
idee dei cyber utenti; in una parola è necessario predefinire, ovvero definire in anticipo le scelte
dei consumatori. Le nuove forme del controllo sociale difatti non si limitano a vedere ciò che
l’individuo fa, ma tendono a prevedere quello che farà. 277 Si cerca di creare un percorso
prestabilito, in modo tale da lasciare immutata, all’interno di percorsi standard, l’autonomia
dell’individuo, facendogli credere che sia veramente lui a scegliere il suo destino, ma il suo
comportamento è già stato ampiamente previsto. Questo è ciò che Lyon chiama
“simulazione”278, ossia l’elaborazione dei dati finalizzata all’anticipazione del comportamento
del soggetto osservato in un tempo che non è più il presente o il passato, bensì il futuro; queste
previsioni si basano su modelli psicologici sempre più elaborati, che creano le categorie, cioè i
ruoli nei quali ogni giorno veniamo confinati; più informazioni si avranno sull’identità di ogni
singolo individuo e, teoricamente, più facile sarà prevederne il comportamento futuro e il suo
range d’azione. Illuminante l’esempio fornito sempre da Lyon:
“Una delle prime e note applicazioni è quella ideata e messa a punto da Sergio Velastin
del King’s College di Londra, noto come Cromatica, ovvero un dispositivo di
rilevazione e controllo dei flussi, attivo in alcune stazioni metropolitane inglesi. Il
sistema, ideato per monitorare il grado di affollamento della metropolitana, allerta, con
un cambiamento dei colori dello schermo, in caso di anomalie dei passeggeri, ovvero in
caso di comportamenti ritenuti non normali e non in linea con le aspettative. Un
comportamento deviante, quale quello di soffermarsi troppo a lungo sui binari, viene
considerato potenzialmente a rischio, perciò l’allerta scatta. Secondo alcuni studi infatti,
le persone che intendono suicidarsi, seguono uno schema invariabile, uno schema che
possiamo definire standard. Cromatica è in grado di individuare persone che ricalcano
questi schemi e segnalare la cosa agli organi preposti alla sicurezza. È evidente come
questa sorveglianza sia oggi possibile solo grazie alle nuove tecnologie e alla loro
capacità di catalogare, incrociate ed elaborare informazioni sugli individui. La
ricostruzione dello schema standard che pare gli aspiranti suicidi seguano e la sua
successiva identificazione da parte dell’occhio elettronico è una delle tante modalità di
prevenzione del comportamento sociale deviante, in chiave repressiva.”279
277
278
279
“È evidente infatti come il 99% dei capitali che circolano nel mondo sono pura
speculazione, ovvero solo l’1% dei capitali corrisponde all’economia reale. Il giro di
affari è impressionante, dell’ordine di diverse migliaia di miliardi di dollari che
quotidianamente circolano nel virtuale, con conseguenze più che reali. In questo caso la
distinzione tra reale e virtuale è effimera, illusoria e realtà e virtualità si confondono
vicendevolmente. Il problema dunque non consiste tanto nel chiedersi se un’immagine
sia reale o fittizia, vera o falsa; il vero problema è vedere chi ha gli strumenti
intellettuali per decifrarla, per analizzarla.”282
Queau arriva a teorizzare addirittura che chi possiede questi strumenti intellettuali sarà
arruolabile nell’élite virtuale, al contrario chi non ne disporrà rappresenterà il proletariato.
Con i nuovi media, come appunto internet, però, ci si discosta molto dall’iperrealtà fornita dalla
televisione; se questa difatti forniva una o poche versioni, ora la rete, che fa di ognuno
280
281
J. Baudrillard, La società dei consumi. I suoi miti e le sue strutture, Mulino, Bologna, 1976, p. 40.
282
283
284
285
T. O’Reilly, What Is Web 2.0. Design Patterns and Business Modelsfor the Next Generation of Software,
http://oreillynet.com/pub/a/oreilly/tim/news/2005/09/30/what-is-web-20.html
286
“la coscienza si crea attraverso lo scambio linguistico, cioè che noi apprendiamo la
coscienza dall’esterno. Essa non è qualcosa di dato all’interno e quindi espresso
attraverso il linguaggio; è semmai l’opposto: attraverso il linguaggio e lo scambio
linguistico noi impariamo a pensare. […] La conversazione, la parola, non è mai
disgiunta da una situazione di organizzazione sociale, da una situazione pratica […] non
è possibile pensare a una forma di organizzazione sociale che si disgiunta dal discorso
che la descrive”.288
288
289
290
Ivi, p. 187.
291
Ivi, p. 189.
Conclusioni
Racconta lo scrittore danese Hans Christian Andersen in una delle sue più celebri fiabe che, un
giorno, un grande imperatore ricevette a corte due forestieri che erano dei tessitori e che erano
in grado di saper tessere la stoffa più incredibile mai vista. Oltre a disegni e colori meravigliosi,
gli abiti prodotti con quella stoffa avevano un curioso potere: diventavano invisibili agli occhi
degli uomini che non erano all'altezza della loro carica o che erano semplicemente molto
stupidi. L'imperatore vi credette e ordinò loro di confezionargli, con quella stoffa portentosa, un
vestito nuovo per la Grande Parata. Pensava che in questo modo avrebbe riconosciuto con
facilità gli incapaci che lavoravano nel suo impero e avrebbe potuto distinguere gli stupidi dagli
intelligenti. I funzionari di palazzo inviati dall'imperatore a visionare i lavori di tessitura
rimasero sconcertati trovandosi di fronte ad un telaio vuoto e così, per non voler apparire
stupidi o incompetenti, si misero ad elogiare le fattezze di una stoffa inesistente. E la stessa
cosa fece l’imperatore il giorno della Grande Parata, quando andò di persona a provare il
magnifico vestito; per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a vedere nulla. Anch'egli, per
non apparire da meno, si mise a lodare la precisione del taglio e la lucentezza dei colori. La
reazione delle persone, ammassate sulle strade per accogliere l'arrivo del proprio imperatore,
quando si accorsero immediatamente che il loro sovrano stava sfilando completamente nudo, fu
nuovamente di sconcerto. Ma, non osando ovviamente confessare la propria stupidità, si misero
tutti ad acclamare lui e il suo fantastico vestito nuovo. Solo un bambino, a un certo punto, non
credendo ai propri occhi urlò che l'imperatore era nudo. Allora la voce si sparse e dopo un po'
tutti si convinsero che effettivamente l'imperatore non aveva nulla addosso. Racconta Andersen
che il sovrano rabbrividì perché capì che il bambino aveva ragione. Ma, essendo un tipo molto
orgoglioso, decise di concludere lo stesso la Grande Parata drizzandosi ancora più fiero. Se
questa a primo acchito può essere presa solo per ciò che è, ossia una semplice storiella, in verità
nasconde un po’ tutto il filo conduttore di questa ricerca: le opinioni che noi abbiamo della
realtà che ci circonda sono frutto di una libera e critica interpretazione della nostra intelligenza
o sono invece solamente frutto di un auto-convincimento indotto? Siamo veramente liberi di
avere un’opinione oppure inconsciamente siamo spinti a credere ciò che, per vari motivi
vogliamo credere? La domanda è ostica perché mette in discussione un caposaldo del nostro
vivere quotidiano: se le nostre azioni e il nostro modo di comportarci sono una conseguenza
diretta delle nostre idee e del nostro modo di pensare e, qualora si scoprisse che queste idee
sono tutt’altro che spontanee, bensì suggerite e in qualche modo a noi imposte
inconsapevolmente, chi potrebbe ancora dire con certezza che le proprie azioni sono frutto di
scelte libere? Chi potrebbe avere il coraggio di definirsi libero? Abbiamo sì parlato di approcci
classici e non, del potere, di sovranità e di diritti, di vecchi e nuovi media, di medicalizzazione
e di tecnica, ma tutti questi temi che all’apparenza appaiono carichi di significati diversi, in
realtà nascondono dietro di sé la questione del nostro libero arbitrio; e non ha senso parlare di
libertà, quantomeno in un’accezione positiva, senza di esso. Questo è il punto di appoggio di
questa ricerca, un senso critico e pessimistico sul modus operandi della politica contemporanea
che si riflette negativamente sulla vita quotidiana di miliardi di persone. Nel fare ciò non si
sono certamente seguite le orme semi-apocalittiche, ad esempio, di Hardt e Negri, ma anche in
Foucault si nega la costituzione autonoma del soggetto, che in realtà è un a-priori non più
artefice del suo destino, quindi, un oggetto; diviene un oggetto penetrato da relazioni di potere
che lo plasmano nei pensieri e nei comportamenti, nei desideri, nel corpo, è prodotto dai saperi
che gli fissano un’identità. Fra sapere e potere inoltre, il nesso è fortissimo, non c’è verità che
non sia presa in un rapporto di forza; sapere e scienza sono esse stesse forme di dominio,
microsistemi di potere che si condizionano a vicenda e incatenano l’uomo dentro il loro circolo,
un uomo che si illude di essere soggetto sovrano dei propri atti cognitivi e linguistici, della
storia, di cui crede si riconoscerne e saperne il senso, ma che in realtà è il prodotto di una
decisione politica. “Il sapere non è fatto per comprendere, ma per prendere posizione”.292
Ci viene costruito un unico senso di percorrenza in cui il soggetto ha sì l’opportunità di
costruirsi spazi di resistenza e opposizione, ma questi stessi spazi non faranno che risultare
funzionali al sistema creato, dando in qualche modo l’illusione di essere effettivamente
combattivi; e il liberalismo è la chiave ermeneutica attraverso la quale si esperisce il reale, il
contenitore di senso; come già detto, questo potere non obbliga, regola e struttura. Per ciò detto
non sembra possibile far finta che bastino ‘resistenze ed opposizioni riformatrici” ma
bisognerebbe muoversi a livello di rivoluzione, una rivoluzione di senso che Michel Foucault
nelle sue ultime opere aveva suggerito di trovare all’interno di ognuno di noi stessi tramite
pratiche ascetiche volte al raggiungimento della Verità, intesa come meta-livello trascendentale,
lo spazio entro cui si determinano gli universi di senso in cui viviamo; come precisa lo stesso
Foucault, “l’accento viene messo sul rapporto con se stessi che permette di non lasciarsi
trasportare dalla concupiscenza e dai piaceri, di mantenere padronanza e superiorità nei loro
confronti, di conservare i propri sensi in uno stato di quiete, di affrancarsi da ogni schiavitù
interiore rispetto alle passioni e di raggiungere un modo d’essere che può essere definito di
pieno appagamento di sé o all’assoluta sovranità di sé su di sé”. 293 Molto più di quanto non sia
costituito dai dispositivi del potere o dalle tecniche discorsive del sapere, il soggetto può auto-
costituirsi attraverso le pratiche del sé, col soggetto che assume sé stesso come campo d’azione
e riflessione nel tentativo di auto-formarsi; ed auto-formandosi, producendo queste nuove
soggettività, i soggetti ed il loro modo di pensare retroagiranno con l’esterno, con l’ambiente,
con l’evento e con gli eventi, conferendo loro un nuovo universo di senso; una rivoluzione
interiore, quella indicata dallo scrittore francese, e come dissentire se a livello macro è
impossibile scalfire il potere-sapere organizzato? Semmai un interrogativo rimane aperto: per
292
293
M. Foucault, Storia della sessualità, Vol. 2: L’uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano, 1984, p. 35.
far divenire dominanti o quantomeno diffuse le pratiche suggerite da Foucault, non v’è
necessità ancora una volta di divulgare un sapere specifico, di appropriarsene? E se così fosse,
chi ha interessi e risorse tali per scontrarsi contro un sistema discorsivo-organizzativo ormai
così radicato e potente?
Se questa illustrata può essere vista come un’opzione addirittura di superamento della soglia
biopolitica da parte di un soggetto dotato di un’auto-coscienza – anche se il termine può
sembrare paradossale -, ci sono altre proposte che si collocano all’interno del contesto
biopolitico, ma con valenza positiva, quasi riformista; un esempio è dato da Francesco
d’Agostino294 che propone come base del proprio ragionamento “un deciso rifiuto di
qualsivoglia qualificazione pubblica di qualsivoglia categoria biologica, a partire da quelle,
costitutive, di vita e di morte”; significa riconoscere il valore pre-politico del bios, pur non
delegittimando interventi istituzionali in ambito sociale o sanitario o medico-scientifico, a
favore ad esempio dei portatori di handicap o di soggetti marginali, significa più che altro che
la lotta contro ogni forma di discriminazione biopolitica non può radicarsi in una intenzionalità
politica; anche qualora essa sia illuminata e corretta, se la si fonda esclusivamente sulla volontà
politica è chiaramente un affidarsi all’arbitrio politico e non radica nella vita stessa le proprie
ragioni. E se togliere dall’agenda politica determinati ambiti significhi quasi rivoluzionare il
linguaggio politico-giuridico, D’Agostino indica anche come sia possibile positivizzare o
ridurre gli effetti negativi della biopolitica a partire da schemi preesistenti; basterebbe secondo
l’autore inserire e rivalutare giuridicamente la categoria della fragilità; difatti sostiene, che in
una prospettiva dominata dalla volontà di potenza, cioè dal principio della assoluta disponibilità
del bios, rivendicare la fragilità come principio antropologico fondamentale può darci la
possibilità di attivare all’interno della modernità stessa forme alternative di rispetto per la vita;
la fragilità difatti ha assunto una valenza prettamente negativa sia da un punto di vista biologico
che antropologico, tantoché si affermano nuove mitologie, come quella del cybernetic
organism, un essere di problematica identità, ma di forma umanoide, costituito da un insieme di
organi artificiali e organi biologici caratterizzato da un’immane potenza materiale che trascende
ogni limite naturalistico; proprio quest’inclusione del meccanico nel biologico, secondo
l’autore, fa dilagare l’illusione scientista di poter spostare sempre più in avanti i limiti
dell’efficienza e della sopravvivenza biologica, creando sempre più distacco tra il normale ed il
patologico, ricordando, o forse ponendo le basi per nuovi genocidi improntati alla purezza del
294
Bibliografia