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Abbattere la piramide, costruire il comunalismo libertario

Opuscolo a cura della commissione comunalismo libertario


della FAI – Federazione Anarchica Italiana

Commissione Comunalismo Libertario


della FAI - Federazione Anarchica Italiana

“ Essere governato signi-


fica essere guardato a vista
ispezionato, spiato, diret-

Nessuna
to, legiferato, regolamen-
tato, incasellato, indottri-
nato, catechizzato, con-

Delega!
trollato, stimato,valutato,
censurato, comandato, da
parte di esseri che non
hanno né il titolo, né la
scienza, ne é la virtù.
Essere governato vuol dire
essere, ad ogni azione, ad
ogni transazione, a ogni
movimento, quotato, ri-
formato, raddrizzato, cor-
retto.
Vuol dire essere tassato,
addestrato, taglieggiato,
sfruttato, monopolizzato,
concusso, spremuto, misti-
ficato, derubato, e, alla
minima resistenza, alla

ABBATTERE
prima parola di lamento,
represso, emendato, vili-
peso, vessato, cacciato,
LA PIRAMIDE deriso, accoppato, disar-
mato, ammanettato, im-
prigionato, fucilato, mitra-
COSTRUIRE gliato, giudicato, condan-
nato, deportato, sacrifica-

IL COMUNALISMO
to, venduto, tradito, e per
giunta, schernito, dileggia-
to, ingiuriato, disonorato,
LIBERTARIO tutto con il pretesto della
pubblica utilità e in nome
dell’interesse generale.
Ecco il governo, ecco la
giustizia, ecco la sua mo-
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rale."
(Pierre-Joseph Proudhon)
Abbattere la piramide, costruire il comunalismo libertario
Opuscolo a cura della commissione comunalismo libertario
della FAI – Federazione Anarchica Italiana

CONTRO IL GOVERNO - PER L’AUTOGOVERNO


Nella risoluzione dei problemi di natura sociale, il confronto occupa senza dubbio
un posto preliminare: discutere, dibattere, serve a far prendere coscienza dei pro-
blemi di natura sociale, delle cause che li generano e dei mezzi di cui dotarci per ri-
solverli. Ora, le proposte che vi vengono fatte, nei riguardi di tale questione, sono
essenzialmente due:
 delegare la risoluzione dei problemi sociali alle organizzazioni istituzionali prepo-
ste, ai partiti politici, ai vertici sindacali;
 affrontarli insieme attraverso strutture comunaliste di base autogestite.
La prima proposta, quella della delega, è propria delle organizzazioni politiche di
partito: ogni qualvolta ci sono elezioni, personaggi vari si presentano a voi, vi elen-
cano i problemi, vi riferiscono sul modo in cui intendono risolverli per poi alla fine
chiedervi il voto.
La seconda invece, quella delle strutture comunaliste di base autogestite, è la propo-
sta che vi rivolgiamo noi anarchici: prendere di petto i problemi sociali che su di noi
gravano, discuterli, decidere ed insieme risolverli.
Sta a voi ora scegliere fra le due la proposta che ritenete più giusta.
I risultati della prima li conoscete già: è da decenni che state votando, per un partito
ed per un altro, e ogni volta, poi, vi ritrovate punto e daccapo.
I personaggi da voi votati, una volta al governo o all’opposizione, non risolvono i
problemi come vi avevano promesso di fare, sperperano il pubblico denaro, impon-
gono tasse, clientelismo, oppressione, sfruttamento, guerre. Insomma, peggiorano i
problemi, ma non si dimenticano mai di curare i propri interessi personali che col
potere che gestiscono, guarda caso, diventano sempre più corposi.
Noi anarchici non ci siamo mai presentati a voi per chiedere il voto e mai lo faremo,
perché siamo fermamente convinti che i problemi di natura sociale non potranno
mai essere risolti esercitando potere, dal momento in cui è proprio il potere che li
genera.
Noi anarchici siamo fermamente convinti che i problemi possono essere risolti solo
da coloro che li vivono e ne subiscono le conseguenze, ossia dai lavoratori, dai di-
soccupati, dai pensionati, dagli studenti, e sempre da questi in quanto cittadini di
una determinata comunità.
Per queste ragioni non vi chiediamo voti, ma vi invitiamo:
 a rifiutare e combattere il potere;
 a negare il vostro voto a chicchessia;
 a costruire insieme, fuori e contro le istituzioni municipali di stato,
all’interno delle comunità in cui ognuno di noi vive e lavora, strutture co-
munaliste di base autogestite, per insieme affrontare i problemi e risolverli;
 a incamminarci insieme verso la costruzione di una società di donne e
uomini libere ed uguali, basata sul mutualismo, sull’autogestione,
sull’autogoverno, sul federalismo dal basso.
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INTRODUZIONE

1. LA SOCIETÀ GERARCHICA
gli anarchici denunciano
Le società cosiddette civili, in cui vivono i vari popoli del pianeta,
risultano tutte organizzate in maniera gerarchica, attraverso varie
forme di stato, che si differenziano tra loro nell’essere o espres-
sioni basate sulla forza (dittature) o espressioni basate sul consen-
so popolare (monarchie costituzionali, repubbliche).
Considerando queste ultime, ossia le società democratiche, neces-
sita sottolineare che le stesse si caratterizzano nella ripartizione
dei tre poteri dello stato (il legislativo, l’esecutivo, il giudiziario),
si basano essenzialmente sul concetto di delega, di voto, e si pre-
sentano ai loro cittadini come gruppi, partiti e alleanze che mossi
da senso altruistico si candidano a legiferare, a governare e ad
amministrare per il benessere collettivo.
E sempre per carpire il consenso della pubblica opinione, i regimi
democratici cercano di convincere i più sulla bontà e convenienza
per tutti della delega del potere, nonché sulla loro presunta mag-
giore competenza riguardo la risoluzione di ogni problema di na-
tura sociale.
I fatti però ci dimostrano che i regimi democratici, proprio perché
legittimati dal voto popolare, in realtà decidono insindacabilmente
su tutto e tutti, e più che salvaguardare gli interessi collettivi sal-
vaguardano soprattutto, se non solamente i propri e quelli della
casta dei potenti in campo politico, economico e sociale.
Dunque, nei regimi democratici, qualunque illusione sui meccani-
smi elettorali, qualunque illusione di partecipazione attiva del po-
polo alla vita politica attraverso il voto, è deleteria.
Come si suol dire, il lupo perde il pelo ma non il vizio, e così an-
che ogni forma di stato.

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Difatti, anche i regimi democratici, come ogni altra forma di stato,


hanno semplicemente il compito di sostituirsi al popolo, di gover-
nare il popolo, di decidere al posto del popolo.
Solo che, mentre gli stati dittatoriali lo fanno servendosi aperta-
mente della forza, quelli democratici, invece, lo fanno sempre con
la forza, mascherandola però con la legittimazione del consenso
popolare, lasciando alle cosiddette “masse” il “contentino” di sce-
gliere chi deve governarle, chi deve decidere al loro posto.
Nessuna illusione sulle varie forme di stato e di governo.
Chiunque si veste di potere, chiunque rappresenta il potere, chi-
unque esercita potere e afferma di farlo per il bene collettivo in
realtà mente.
Sì, mente, perché il bene collettivo può essere raggiunto e salva-
guardato solo se ogni singola persona ha facoltà e libertà di con-
tribuire in prima persona a sceglierlo, costruirlo, salvaguardarlo
sulla base delle proprie esigenze, avendo come unico limite
d’azione quello di non ledere la libertà dell’altro.

2. IL COMUNALISMO LIBERTARIO
gli anarchici propongono
Gli anarchici, convinti dai fatti che il concedere fiducia al potere
sia una mera illusione, che il cercare consenso al potere si basi
sull’inganno, e che tutti, uomini e donne, abbiano capacità nel po-
ter affrontare e risolvere in maniera diretta i problemi sociali, so-
stengono che il voto e la delega decisionale creano ed alimentano
unicamente gerarchie, che a loro volta generano disuguaglianze,
sfruttamento, oppressione, militarismo e guerre.
Ed è proprio per questo che negano e combattono tutte le forme di
dominio e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ed è proprio su
tale ragione che affondano le radici del loro astensionismo eletto-
rale. Ma l’anarchismo sociale non si caratterizza solo nel negare e
nel combattere la società gerarchica.
L’anarchismo sociale non si ferma alla sola denuncia.
L’anarchismo sociale è anche proposta.

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Infatti, gli anarchici, proprio perché convinti che la causa di guer-


re, sfruttamento e oppressione e quindi dei peggiori mali
dell’umanità sia dovuta alla pessima organizzazione della società,
ritengono che il bandolo della matassa stia nel fatto che ognuno
riprenda il destino nelle proprie mani e che tutti insieme ripren-
diamo in mano il destino dell’umanità, rendendoci nel contempo
artefici in prospettiva di una società orizzontale e non più gerar-
chica.
È questa la proposta degli anarchici.
Una proposta radicale, rivoluzionaria, ma nello stesso tempo gra-
dualista.
La proposta del comunalismo libertario, per conquistare e costrui-
re tutti insieme, con l’azione diretta, con piccole e grandi battaglie
quotidiane, la libertà dei singoli e delle comunità, la realizzazione
di una società libertaria, basata sul mutualismo, sull’autogestione
in campo economico e sull’autogoverno, sul federalismo dal basso
in campo politico.

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1. LA SOCIETÀ GERARCHICA

1.1 LA PIRAMIDE DEL DOMINIO


a chi, a che cosa giova?
Nel corso dei secoli, la società del dominio ha avuto evoluzioni e
cambiamenti che hanno per lo più agito sulla sua forma ma non
sul suo contenuto.
A sentire i burocrati e gli uomini di potere, soprattutto dei regimi
democratici, sembra invece che la schiavitù e lo sfruttamento sia-
no stati aboliti, la questione femminile risolta e l’istruzione abbia
aperto le menti dall’ignoranza rendendo tutti consapevoli dei pro-
pri diritti.
A detta loro, sembra che viviamo nel migliore dei mondi possibili,
in un mondo libero e giusto dove lavoro e cultura ci nobilitano, la
religione non è per nulla invadente e la politica è fatta da “profes-
sionisti” che curano l’interesse generale.
Purtroppo, in molti, soprattutto fra coloro che subiscono le iniqui-
tà del potere, “drogati” da queste falsità spettacolarizzate dei me-
dia e stanchi della quotidianità fatta di lavoro e sacrifici, lasciano
che altri, pochi e potenti burattinai, tirino le fila delle loro vite de-
cidendo sulla loro pelle, quale nuova forma di sfruttamento adot-
tare per farli lavorare di più e pagarli di meno, quale nuova legge
approvare per allontanare o ghettizzare lo “straniero” e il “diver-
so”, quale nuovo terrorismo psicologico e mediatico inventare per
giustificare oppressione, repressione, guerre e “normalizzare” la
pubblica opinione, di modo che si dimostri sempre ubbidiente e
disponibile ad essere controllata ed a sentirsi “protetta” da chi de-
cide al suo posto e dalle forze in divisa del regime.
Intanto, le varie forme di dominio politico che si sono succedute
nel corso della storia, e che tutt’oggi risultano sparse qua e la nel
pianeta, dagli stati teocratici alle monarchie assolute e costituzio-
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nali, dagli stati dittatoriali alle repubbliche presidenziali e parla-


mentari, hanno affinato sempre più i loro metodi per conservare il
potere ed a seconda della forma di stato, dicono di governare per
mandato divino, per diritto naturale, per consenso popolare.
La borghesia, nel secolo dei lumi, poggiando il suo credo sociale
sulla democrazia delegata in campo politico e sulla proprietà pri-
vata in campo economico, ha preteso di voler realizzare libertè,
fraternitè, egalitè, ma in realtà, a gerarchia ha sostituito gerarchia,
a sfruttamento ha sostituito sfruttamento, a mostri guerrafondai ha
sostituito mostri guerrafondai lasciando versare la ragione in un
sonno profondo.
La stessa sorte è toccata a quelle scuole politiche del socialismo
dittatoriale di stato e socialdemocratiche che, in lotta contro il po-
tere borghese, hanno preteso di giungere ad una società egualitaria
sostituendo potere a potere, con la differenza che mentre le prime
sono già implose, le seconde continuano paradossalmente a mar-
ciare a braccetto o a rappresentare con/il sistema di potere contro
il quale erano sorte. A trionfare, dunque, nonostante la mutazione
nella forma di stati e governi, è sempre il dominio con le sue ne-
fandezze, ignominie, iniquità sociali.
Il dominio dei padroni e delle istituzioni gerarchiche.

1.2 STATI D’ILLUSIONI


a chi, a che cosa servono?
Non c’è popolo sulla faccia della terra che non soffra miseria,
sfruttamento, oppressione, repressione; cosi come non c’è classe
dominante che non viva nell’agiatezza, nel sopruso, nella ricchez-
za.
Nelle nazioni governate da regimi dittatoriali tutto ciò è evidente,
visibile a tutti.
Nelle nazioni governate da regimi democratici, invece, le ingiusti-
zie sociali vengono semplicemente mascherate da un falso benes-

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sere, dietro il quale si cela sempre il dominio dei pochi (i padroni


e lo stato) sui molti (lavoratori, disoccupati ecc.).
Nella nostra epoca, i regimi democratici sono quelli che si spac-
ciano come i più vicini ai valori di libertà e giustizia e come tali
vengono, purtroppo, considerati da molti. Ma in realtà così non
risulta, se solo si guardano i malefici effetti che producono.
È vero, ogni forma di stato democratico presenta proprie peculia-
rità nella costituzione, nel parlamento, nel governo, negli apparati
amministrativi decentrati, negli apparati di giustizia e militari, ma
se solo si considera l’essenza che li accomuna, ossia la rappresen-
tatività loro derivante dalla delega, dal voto popolare, si può nota-
re che essa altro non è che l’arte di governare contro le decisioni
che potrebbe prendere la maggioranza del popolo.
Insomma, il tanto decantato governo del “demos”, del popolo, non
è il “demos” che si autogoverna, ma è un “demos” nel cui nome si
governa, ossia un “demos” governato, un “demos” nel nome del
quale, ancora una volta, si consumano le ingiustizie sociali, lo
sfruttamento, l’oppressione, le guerre, per come vengono decisi da
un pugno di uomini, investiti per tale funzione dalla volontà e-
spressa in termini di voto elettorale dal popolo.
Insomma, il potere decisionale che viene delegato ad un corpo di
“professionisti” della politica rappresenta il vero potere, mentre al
popolo non resta altro che il potere di scegliere i suoi rappresen-
tanti, ovvero i suoi governanti, cioè coloro che designati dal popo-
lo decidono al posto del popolo.
Gli strenui difensori dello stato spesso obbiettano a noi anarchici,
che neghiamo lo stato in quanto organizzazione positiva per la so-
cietà, che lo stato è necessario, dal momento in cui serve a rego-
lare l’egoismo dei singoli uomini, e che l’odierno stato di diritto
rappresenta il non plus ultra, quale mezzo attraverso cui limitare
gli abusi dello sfruttamento e del dominio del più forte e garantire
i diritti e doveri del cittadino.
Altrimenti, sostengono ancora questi strenui difensori dello stato,
si ricadrebbe in una situazione di perenne disordine sociale, dove
ad ognuno sarebbe permesso di commettere atti che vadano a

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danno degli altri, ossia si ricadrebbe in una situazione di caos, di


“anarchia” affermano, perché evidentemente è così che l’anarchia
la intendono.
A questi strenui denigratori dell’anarchismo rispondiamo che in-
tanto dal loro punto di vista fanno bene a denigrarci, altrimenti
verrebbero meno il loro potere ed i loro interessi, ma nello stesso
tempo li invitiamo a documentarsi sulla reale consistenza della
proposta sociale degli anarchici.
Fatto sta che non solo noi restiamo convinti di ciò che affermia-
mo, ma anche quanti hanno occhi per guardare possono accorgersi
che in realtà lo stato, sia pur esso democratico, non ha fatto mai
avanzare né la libertà e né le prospettive di uguaglianza, di pace,
anzi nel suo nome vengono limitate le libertà individuali e collet-
tive, viene alimentato lo sfruttamento e vengono combattute guer-
re atroci e liberticide.
Inoltre, sempre chi ha occhi per guardare ci mette poco a rendersi
conto come lo stato di diritto, legato come è, a doppio filo, con il
sistema economico dominante, non abbia nessuna intenzione a ri-
solvere quei conflitti d’interesse che derivano dai suoi rapporti col
capitalismo, ed insieme sfruttano e saccheggiano le risorse del ter-
ritorio e delle comunità per garantire la ricchezza dei pochi e la
miseria dei molti.
Lo stato sommerge i suoi sudditi con la burocrazia amministrativa
obbligandoli ad una totale dipendenza, ad una relazione tra schia-
vo e padrone. Altroché “lo stato siamo noi”.
Lo stato è l’esercito che, in nome della patria, massacra popola-
zioni e occupa territori per colonizzarli e sfruttarli.
Lo stato è la polizia che, in nome del “progresso”, costringe con la
forza i suoi sudditi a subire opere strutturali che devastano il terri-
torio e rovinano la salute pubblica. Lo stato è il governo ed il par-
lamento che legiferano per proteggere gli interessi dei padroni,
tagliare i servizi, aumentare le tasse.

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Lo stato è la magistratura che esercita il suo potere per proibire,


censurare, vietare, punire i deboli, i poveri, i diversi e proteggere i
potenti.
Lo stato è la mafia, il clientelismo, la forza legittimata e i poteri
occulti.
Lo stato è la gabbia che rinchiude le menti stanche e rassegnate
abbagliandole con messaggi pubblicitari dei media per distoglierle
dai problemi reali e portarle a rincorrere bisogni inutili e desideri
mercificati, con lo scopo di far loro credere di vivere nel miglior
modo e mondo possibile.
Un mondo, dove lo scopo principale della vita è il progresso mate-
riale, dove la persona conta sulla base dei beni posseduti e della
posizione sociale, e dove non solo la terra ma l’intero universo è
visto come qualcosa da sfruttare per i propri fini di potenza e lu-
cro. Un mondo dove il culto del denaro e del profitto ha globaliz-
zato l’ingordigia dell’imperialismo del capitale che sta trascinan-
do l’umanità in un baratro senza fine.
Infatti, questa famigerata globalizzazione, termine che apparente-
mente può suscitare l’idea di una società armonica in cui
l’economia globale possa soddisfare le esigenze di tutti i popoli
della terra, non rappresenta altro che l’acuirsi del divario tra nord
e sud, il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, la di-
struzione dell’ambiente, insomma la difesa degli interessi delle
multinazionali contro gli interessi dei paesi poveri, dei lavoratori e
della natura.
Banca mondiale, fondo monetario internazionale, organizzazione
mondiale del commercio, organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico, NATO, ONU, ecc., sono queste le istituzioni
della globalizzazione, dei potenti della terra, che attraverso le loro
decisioni causano miseria in tutto il pianeta abbassando redditi e
salari, eliminando fasce di assistenza sociale, rendendo inaccessi-
bili ai più l’istruzione e la sanità, determinando processi di migra-
zione di masse sempre più numerose alla mercè di traffici crimi-
nali, razzismi, divisioni etniche e di credo religioso, scontri di ci-
viltà, scatenando guerre “preventive” ed “umanitarie”, sfruttando

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le materie prime del sud del pianeta e sviluppando nuovi processi


di industrializzazione e concentrazione terriera che costringono i
poveri a produrre ciò che viene consumato dai ricchi.
Questo mondo blindato continua ad esserci presentato dai potenti,
attraverso i loro stati nazionali uniti e nello stesso tempo concor-
renti, come il migliore dei mondi possibili, un mondo che dovreb-
be in prospettiva eliminare gli interessi dei vari stati nazione in un
federalismo che dovrebbe raccogliere e armonizzare i popoli di
tutta la terra.
Essendoci presentata così la globalizzazione, forse converrebbe
andare ad analizzare il federalismo di cui alcuni stati si fanno già
vanto e di cui altri vorrebbero dotarsi.

1.3 IL FEDERALISMO DELLA PIRAMIDE


ossia l’inganno decentrato
Le varie forme di federalismo sviluppatesi all’interno della società
del dominio si rifanno, naturalmente, alla scuola del federalismo
borghese e si presentano come un unione di più stati regolata da
una costituzione federale comune.
Gli Stati Uniti d’America, la Germania, la Svizzera, ed in prospet-
tiva l’Europa sono stati federali, nel senso che alcuni poteri sono
lasciati ai singoli stati (soprattutto quelli meramente amministrati-
vi) mentre altri (soprattutto quelli riguardanti la politica estera e la
sicurezza) sono eseguiti da un governo unitario.
Ma noi intanto ci chiediamo: se è vero che federazione significa
unione e che quest’ultima è tale solo se avviene fra pari, come può
essa conciliarsi in campo politico con una società piramidale e in
campo economico con la logica capitalista dello sfruttamento
dell’uomo sull’uomo?
In Italia, da più di un decennio a questa parte, e precisamente
dall’approvazione della legge 142 sui concetti di autogoverno e
federalismo prima, e sui termini di devolution, sussidarietà e de-
mocrazia partecipativa poi, fra forze politiche e associazioni isti-

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tuzionali e filoistituzionali è venuto a determinarsi, ora più ed ora


meno, un acceso dibattito, che naturalmente ha fatto di ogni erba
un fascio. Vediamo un po’ che cosa ci è stato in merito detto, non
esonerandoci di esprimere nel contempo il nostro punto di vista.
Relativamente alla legge 142, una volta emanata in Italia nel
1990, burocrati e politicanti di mestiere, non tardarono a definirla
“rivoluzionaria” ed affermarono che da quel momento in poi la
trasparenza e l’autonomia amministrativa, decretate da detta leg-
ge, fossero destinate a cambiare radicalmente volto al governo dei
comuni ed ai rapporti tra questo e i governi provinciale, regionale
e nazionale, nonché ai rapporti tra governanti e governati, prospet-
tando in divenire un reale federalismo economico ed amministra-
tivo, nonché una partecipazione diretta dei cittadini all’esercizio
del potere, per dare vita ad un reale autogoverno comunitario.
Statuto comunale, referendum, difensore civico, consorzi tra co-
muni, partecipazione diretta dei cittadini al governo della cosa
pubblica dovevano “rivoluzionare” il governo delle città, destinato
a passare dalle mani degli amministratori a quelle degli ammini-
strati.
Ma, da allora, se si vanno ad esaminare tutte le disposizioni del
governo centrale nei riguardi delle autonomie locali si può dedur-
re che più che la “rivoluzione” della 142, segnata dai principi
dell’autogoverno, ci sia stata una controrivoluzione accentratrice
dello stato, che non ha tardato certamente con altre leggi a preve-
dere l’autonomia impositiva, le megalopoli, la “razionalizzazione”
dei servizi, un neofiscalismo con cui si è imposto ai comuni non
tanto il trovare fondi per se stessi, quanto il fungere da esattori
delle tasse dell’impero statale.
Una controrivoluzione, inoltre, plebiscitaria che porta i cittadini
non certamente a discutere sui problemi e sulle possibili soluzioni,
ma semplicemente a dover scegliere chi deve essere il loro capo
nei comuni (il sindaco/podestà) o nella nazione (il premier accen-
tratore). Una controrivoluzione dunque che rivaluta la delega e la
ritrovata fiducia nei capi.

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Del resto, pensare che con leggi prodotte dal sistema gerarchico
possa essere costruito un reale federalismo economico ed ammini-
strativo, nonché una partecipazione diretta dei cittadini alla risolu-
zione dei problemi comunitari, per dare vita ad un reale autogo-
verno, è una mera illusione.
Dall’applicazione di una legge dello stato non si possono certo at-
tendere rivoluzioni.
Difatti, quale autonomia ha offerto ai comuni la 142, se questi ri-
mangono a tutt’oggi succubi dello stato? E quale autogoverno se
ad essere delegati alle decisioni amministrative restano comunque
gli assessori e il sindaco/podestà?
Né la 142, né altre leggi passate, presenti e future potranno mai
garantire un reale federalismo ed un reale autogoverno delle co-
munità.
Il nodo da sciogliere, dunque, rispetto alle variegate proposte di
federalismo e autogoverno locale che oggi da più parti si agitano,
è senz'altro quello di capire quali fra queste propongono federali-
smo reale e quali propongono invece un mero decentramento sta-
talista mascherato da federalismo.
Comunque, ancora oggi, in Italia le forze politiche istituzionali,
con mere diversità demagogiche fra maggioranza ed opposizione,
concordano nell’affermare che la strada federalista resta pur sem-
pre aperta e pertanto regioni, province e comuni si devono attrez-
zare per l’autogoverno del territorio.
Insomma, di federalismo e autogoverno, lo stato italiano continua
a sciacquarsi quotidianamente la bocca, stravolgendo però
l’essenza di questi due ragguardevoli concetti,ossia la costruzione
in prospettiva di una rete mutua e solidale di comunità autogestite
ed autogestionarie che si autogovernano in campo politico, eco-
nomico, culturale, esprimendo il loro essere società fuori e contro
il recinto in cui lo stato centrale le vuole tenere ingabbiate.
Difatti, per i politicanti di mestiere dire federalismo e autogover-
no, non vuol dire niente di tutto ciò.

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Per le forze politiche del centrodestra dire federalismo, autogo-


verno, devolution, anche sulla base della legge dalle stesse di già
approvata, significa:
 lasciare alle istituzioni centrali dello Stato (parlamento, go-
verno e magistratura) la facoltà di legiferare, eseguire, giudi-
care, sia in materia estera che interna, in qualità di grandi
gendarmi degli interessi del profitto;
 delegare il resto delle materie amministrative a regioni, pro-
vince e comuni.
Per le forze politiche del centrosinistra, invece, dire federalismo,
democrazia partecipativa, autogoverno significa:
 mantenere alle istituzioni centrali dello stato (parlamento, go-
verno e magistratura) il ruolo di grandi gendarmi degli inte-
ressi del profitto;
 delegare alcune materie amministrative a regioni, province,
comuni;
 delegare, sempre a questi ultimi, un ruolo da mediatori nel so-
ciale servendosi degli illusori concetti di sussidiarietà e demo-
crazia partecipativa per rendere partecipi alle loro decisioni le
comunità, o se meglio si preferisce, per democraticamente
imporre le loro decisioni alle comunità.
Insomma, con buona pace per entrambi, il federalismo e
l’autogoverno si ridurranno a ciò che oggi già in parte sono:
 trasferimento alle regioni, province e comuni di alcuni poteri
dello stato;
 diminuzione dei trasferimenti statali ai comuni;
 trasformazione delle amministrazioni decentrate (regioni,
province, ma soprattutto i comuni) in semplici esattrici delle
tasse, i cui introiti estorti alle comunità andranno in buona
parte a finanziare lo stato, ossia il gendarme assoluto dei pro-
fitti del capitale.

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Insomma, la società continuerà a conservare la sua gigantesca or-


ganizzazione piramidale-gerarchica, con la differenza che prima a
dissanguare il popolo lavoratore con le tasse ci pensava diretta-
mente il vertice della piramide (il governo centrale), mentre oggi
tale iniqua opera di dissanguamento verrà gradualmente ma in to-
to delegata ai tre ultimi gradini della piramide, ossia a regioni,
province e soprattutto ai comuni.
Lo Stato, intanto, attraverso le sue istituzioni, da un lato avocherà
la difesa, l’interno, gli esteri, la giustizia a sigillo del suo unico e
indispensabile ruolo repressivo di gendarme assoluto, e dall’altro
tenderà, magari, a non svendere mai completamente il suo ruolo di
mediatore in materia sociale nei settori della sanità, della scuola,
del lavoro, delle pensioni.
Il federalismo vero non potrà mai essere concesso dallo Stato.
Federalismo vero è quello che si costruisce dal basso, in orizzon-
tale, che nega lo Stato per sostituirlo in prospettiva con una rete di
libere comuni autogovernate e federate nei principi del mutuali-
smo e della solidarietà.

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2. IL COMUNALISMO LIBERTARIO

2.1 DISTRUGGERE DOMINIO COSTRUENDO LIBERTÀ


L’anarchismo sociale si caratterizza non solo per il rifiuto della
società gerarchica, per la lotta contro ogni forma di potere e sfrut-
tamento dell’uomo sull’uomo, per il mero fine di indirizzare ogni
sua azione verso la distruzione dello stato, ma anche e soprattutto
per la sua proposta concreta di una società altra, di un vivere so-
ciale basato sulla libertà che della libertà si serve per realizzarsi.
L’anarchismo sociale sostiene che se si vuole andare in un deter-
minato posto e si sbaglia strada, non si giunge nel posto dove si
voleva andare, bensì dove la strada sbagliata conduceva.
Insomma, l’anarchismo sociale ci invita a riflettere sul fatto che se
si vuole realmente cambiare l’iniquo sistema sociale in cui il pote-
re ci costringe a vivere, con una società dove il benessere e la li-
bertà di ognuno corrispondano al benessere e alla libertà di tutti e
viceversa, non lo si può fare abbattendo il potere ed istituendo un
nuovo potere e neppure servendosi del potere come strumento di
lotta.
Ma neanche bisogna servirsi, aggiungiamo noi, degli strumenti
che il potere mette a disposizione dei suoi sudditi con l’illusione
di permettere agli stessi di poter rendere migliore il sistema di
dominio.
Infatti, all’interno dei regimi democratici, oggi, sono in molti a
nutrire l’illusione di poter migliorare il sistema sociale dominante,
attraverso il voto. Arma quest’ultima che, ci viene detto, può esse-
re spesa in un modo anziché in un altro, che può essere offerta a
quelle forze che di più garantiscono il cambiamento, anziché a
quelle che difendono lo status quo.

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La proposta anarchica, invece, mette al bando ogni illusione ri-


formisteggiante, rifiuta la delega, predilige l’azione diretta e af-
ferma che alla libertà si può giungere solo attraverso la libertà.
La proposta anarchica sostiene che l’uguaglianza e la giustizia so-
ciali, che della libertà sono sinonimi, possono prendere corpo solo
sostituendo alla gerarchia, all'accentramento, allo Stato, la prati-
cabilità di un vivere sociale in orizzontale. Di una società in rete,
senza più né centro e né periferia. Di un vivere sociale che parta
dall’individuo per giungere poi alla libera associazione fra indivi-
dui, alla comune ed infine ad una federazione dal basso, che rac-
chiuda in sé l’intero corpo sociale, che unisca le libere comuni dal
territorio al mondo intero.
Detta così, questa proposta a molti può apparire come una propo-
sta bella ma irrealizzabile.
Ma non è così, perché la società in cui viviamo non ci è stata do-
nata per natura, ma è stata costruita dall’uomo e modellata alla
pratica dell’autorità, della gerarchia, del dominio, e da qui le in-
giustizie, le disuguaglianze e tutte le iniquità sociali.
Pertanto, se vogliamo cambiarla non dobbiamo fare altro che
cambiare metodo, cambiare prassi, iniziare a riformularla, model-
landola alla pratica della libertà, e quindi del mutualismo,
dell’autogestione, dell’autogoverno, del federalismo dal basso.
C’è da dire che più volte la società gerarchica in cui viviamo è
stata contestata nel corso della storia, soprattutto da dominati e da
sfruttati, mossi dal desiderio di costruire alternative sociali, di co-
struire una società altra: la polis greca e il libero comune
nell’Italia medioevale lo testimoniano per l’età antica.
Ma proprio perché questo desiderio non è riuscito a cogliere nel
pensiero e nell’azione la necessità di rifiutare e minare alla radice
il principio su cui la piramide sociale si basava, ossia il potere, ha
preteso di costruire una società diversa sostituendo gerarchia a ge-
rarchia.
E così dalla polis si è di nuovo ritornati allo stato, e dal libero co-
mune medioevale alla signoria prima, al principato poi ed infine
alla nazione.

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Nell’età contemporanea, invece, il merito di aver individuato tale


necessità va senza dubbio ad una specifica scuola del socialismo,
quella libertaria.
E gli esempi pratici, ispirati da questa nuova scuola sociale di
pensiero e di azione, presente in seno alla prima internazionale dei
lavoratori, non tardarono a manifestarsi tra il XIX e il XX secolo:
comune di Parigi, rivolta di Kronstadt, collettivizzazioni e libere
comuni della Spagna rivoluzionaria del ’36.
La nostra proposta si ispira proprio a questa scuola socialista, sia
nel pensiero che nell’azione, ma si colloca naturalmente
nell’attuale contesto storico, nei conflitti sociali che nell’oggi si
esprimono.
Conflitti dettati ora da amarezze e delusioni ed ora da consapevo-
lezza critica nei confronti della società del dominio.
Conflitti che si manifestano con rabbia, proteste e vere e proprie
rivolte, sia individuali che collettive.
Una proposta che amiamo definire comunalismo libertario, una
proposta che mira a distruggere il vecchio (il dominio) costruendo
il nuovo (la libertà).

2.2 IL GRADUALISMO RIVOLUZIONARIO IN PRASSI


Nell’ultimo decennio, sia in Italia che all'estero, sono emerse in
campo economico, politico, sociale, variegate forme di sperimen-
talismo autogestionario (vedi movimento noglobal nelle sue varie
componenti e sfaccettature, da Seattle a Porto Alegre ed oltre Por-
to Alegre).
Queste variegate espressioni di sperimentalismo autogestionario,
non completamente affini, ma certamente similari in alcune carat-
teristiche esprimevano, pur nella diversificazione che le contrad-
distingueva, il desiderio di voler costruire una società diversa, al-
ternativa all’esistente; si opponevano ai processi di globalizzazio-
ne dell’attuale sistema gerarchico e capitalista; riscoprivano
l’agire locale con prospettive transnazionali di alternativa
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all’esistente; si sentivano unite nello slogan che in tanti abbiamo


nelle piazze gridato “un altro mondo è possibile”.
All’interno di questo movimento alternativo all’esistente, però,
variegate erano le anime, e se tutte concordavano nella denuncia
delle iniquità sociali dell’attuale assetto di dominio, non tutte con-
cordavano sul come procedere verso la costruzione
dell’alternativa all’esistente.
Alcune pensavano, infatti, che l’alternativa si potesse costruire
dall’interno dell’attuale assetto sociale gerarchico, con un capitali-
smo dal volto umano e con forme di democrazia partecipativa ed
in tale ottica non facevano una netta distinzione tra dominanti e
dominati, tra sfruttati e sfruttatori, tra vertice e base della piramide
sociale.
Tutti, secondo loro, possono concorrere nella costruzione
dell’alternativa all’esistente (padroni e banche, burocrati e politi-
canti, sindaci e presidenti insieme alla cosiddetta società civile),
se vengono messe in atto forme di partecipazione diffusa alle de-
cisioni istituzionali, se si costringono con la lotta i regimi demo-
cratici a dare regole più umane al potere economico e politico, col
fine di garantire un’equa distribuzione delle ricchezze.
Insomma, l’illusione di poter cambiare le regole di gioco
all’attuale sistema di dominio, al dominio democratico in campo
politico ed a quello del capitale in campo economico, sembra ali-
mentare tale ricetta di alternativa sociale.
Il nostro comunalismo, invece, parte dal presupposto che ogni
gioco ha le sue regole. E le regole di un gioco non possono essere
cambiate, pena l’annullamento del gioco stesso.
Pertanto, se si vuole veramente costruire l’alternativa all’esistente,
all’attuale sistema di dominio capitalista e democratico, che in
questo caso è il gioco, è un’illusione credere di poterlo fare cam-
biando, e paradossalmente in concertazione con coloro che il gio-
co lo conducono, meramente le regole al gioco stesso.
Il dominio capitalista e democratico, come ogni altro regime, co-
me ogni altro gioco di potere, si basa su regole che gli garantisco-
no sfruttamento ed oppressione e pertanto mai e poi mai, da con-

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ducente del gioco, potrebbe accettare di cambiare quelle regole


che gli permettono l’esistenza.
Il nostro comunalismo, consapevole di tutto ciò, rifiuta le regole
di gioco dell’attuale sistema sociale gerarchico ed in coerenza con
tale diniego rifiuta altresì il gioco stesso.
Il nostro comunalismo, non alimenta illusioni protese a far crede-
re che il cambiamento dell’attuale sistema sociale possa aversi at-
traverso liste e candidature elettorali nei municipi o attraverso
forme di cosiddetta democrazia partecipativa, che in effetti fini-
scono semplicemente col partecipare a decisioni già prese dalle
strutture centrali e periferiche del potere (governo, regioni, pro-
vincia, comuni).
Il nostro comunalismo propone di costruire le nuove basi su cui
edificare la “società altra” con una prassi sociale realmente auto-
gestionaria e federalista; ossia, propone l'azione e la democrazia
diretta sia come strumenti di risoluzione dei problemi di natura
sociale nell’oggi che come strumenti di costruzione, in prospetti-
va, di libere municipalità autogestionarie in campo economico,
politico, sociale, federate in senso orizzontale in una rete mutua e
solidale.
Il nostro Comunalismo pone le sue basi sulla metodologia liberta-
ria del gradualismo rivoluzionario:
 non sfugge le contraddizioni e i conflitti che caratterizzano oggi
la società del dominio, anzi si colloca nel terreno della lotta so-
ciale per la difesa degli interessi immediati delle classi sub-
alterne;
 si prefigge, nel contempo, di iniziare a costruire nel "qui ed ora"
le basi alternative su cui edificare la società libera del domani.
Il nostro comunalismo, proprio per queste sue peculiarità che lo
contraddistinguono da altre proposte sociali alternative, si colloca,
dunque, fuori sia dal rivoluzionarismo millenarista che dal rifor-
mismo:
 non rimanda la rivoluzione al domani, delegando a questa in un
ulteriore domani la costruzione dell’alternativa sociale che pro-
pone;
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 non si affida alla logica riformista di partiti, movimenti, liste e


candidature elettorali, che pretendono di essere delegati ad im-
porre le loro ricette di alternative sociali;
 si esplica contro e fuori dalle istituzioni ma all’interno della
municipalità con iniziative dal basso, nel mondo del lavoro, nel
territorio;
 rifiuta sia il collaborazionismo politico, attraverso trattative e
compromessi con i governi nazionale, regionale, provinciale,
comunale, che il collaborazionismo in campo economico, attra-
verso trattative e compromessi col padronato, che sullo sfrutta-
mento del lavoro altrui costruisce interessi e profitti;
 nega qualsiasi valore positivo alla democrazia partecipativa, ri-
tenuta anticamera del potere perché col potere collabora, e nello
stesso tempo non concede credibilità ai poteri dello stato nella
formulazione di leggi che possano in prospettiva garantire dei
cambiamenti radicali;
 mira alla distruzione del dominio, con iniziative concrete ma
conflittuali, alternative, con la promozione di campagne sociali
sui problemi collettivi e territoriali, con azioni rivoluzionarie
che si riconoscono nell’ autogoverno e nel federalismo dal bas-
so.
 si prefigge lo scopo di costruire embrioni di piccole società au-
togovernate, unite in rete, che in prospettiva si sostituiscano
gradualmente al verticismo della statolatria come federazione
mutua e solidale di libere comuni.
Detta così, questa proposta a molti di voi lettori, può apparire co-
me mera teoria, come una proposta interessante ma impraticabile.
Per sfatare questo “mito” dell’impraticabilità che il dominio, spes-
so e volentieri, cuce addosso all’anarchismo sociale, ci riserviamo
di esprimerci nell’ultimo paragrafo del presente opuscolo, con
concrete proposte di lavoro da esternare nel sociale... intanto af-
fermiamo di essere fermamente convinti che la proposta del co-
munalismo libertario sia una proposta alquanto urgente.

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È una proposta urgente, oggi più che mai, perché ci stimola a


prendere nelle nostre mani l’iniziativa sociale, contro il dominio e
per la libertà; perché ci stimola a non restare inermi davanti allo
scenario disumano che, partendo dai piccoli paesi o dalle grandi
metropoli in cui viviamo e lavoriamo, interessa il mondo intero.
Intere fasce di popolazione, ovunque nel pianeta, vivono a stenti,
soprattutto da quando la politica del liberismo selvaggio la sta fa-
cendo da padrone. Nell’opulento nord del mondo le cose non van-
no poi tanto meglio per vaste fasce di popolo. Cancellato il “mito”
del posto fisso, la flessibilità, la mobilità, la legalizzazione del la-
voro nero o interinale, la disoccupazione segnano i tempi. Le pen-
sioni ed i servizi pubblici essenziali versano in uno stato precario,
alla mercé di lobby economiche che guardano semplicemente al
profitto. I servizi di sanità e scuola sono stati trasformati in vere e
proprie aziende, dove gli interessi economici hanno preso il posto
della salute pubblica e della cultura. L’ingerenza imperialista
dell’occidente nei confronti di intere popolazioni del pianeta, con-
tinua a provocare guerre fratricide, che vengono paradossalmente
definite in coro dagli stati, ora umanitarie e ora preventive. La
globalizzazione del capitale, giorno dopo giorno peggiora le con-
dizioni di vita e di lavoro ovunque nell’emisfero terracqueo, gior-
no dopo giorno deturpa, saccheggia e distrugge le risorse ambien-
tali.
Davanti a questo scenario occorre bandire ogni illusione nei con-
fronti delle istituzioni, occorre rifiutare e combattere la società ge-
rarchica ed ispirarsi nel pensiero e nell’azione all'autorganizzazio-
ne, all'autogestione, alla democrazia diretta, alla costruzione di un
vivere sociale basato sul libero accordo fra pari.
Del resto, le lotte e le proteste popolari spontanee, che negli ultimi
anni esplodono nel sociale ( vedi Scanzano Jonico, Acerra ed ul-
tima la Val Susa) assumono caratteristiche sempre più complessi-
ve di carattere politico e sociale e non più meramente sindacali, e
dunque rivendicative nel solo campo economico.
Sono lotte e proteste dirette contro i padroni, contro le iniquità del
capitalismo, ma anche contro le istituzioni governative centrali e

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decentrate, delle quali invalidano le decisioni con azioni radicali


che manifestano forme di democrazia diretta popolare, di autorga-
nizzazione ed autogestione comunitaria e territoriale; e perché no,
forme, anche se embrionali, di autogoverno e di un federalismo
dal basso, che uniscono in pubbliche assemblee varie comunità
portandole a decidere in prima persona sul futuro dei territori in
cui vivono e lavorano.
Queste lotte, queste proteste, non rendono forse la proposta co-
munalista libertaria non solo urgente, ma anche alquanto attuale e,
di conseguenza, passo dopo passo praticabile, come per l’appunto
la prassi del gradualismo rivoluzionario ci suggerisce?
Essere solidali e attivi in queste proteste popolari. Stimolarle a
non fermarsi. Stimolarle con proposte concrete, minimali e com-
plessive che guardino alla risoluzione dei problemi dell’oggi. Sti-
molarle a contribuire alla costruzione di un movimento autoge-
stionario conflittuale e generalizzato. Di un movimento proteso a
coinvolgere sempre più larghe fasce di popolazioni in un percorso
sociale ampio e alternativo al capitalismo globale. In un percorso
che vada verso la costruzione di una società organizzata in senso
orizzontale.
È questo il compito che spetta alla nostra proposta comunalista:
solidale con quanti lottano contro la società del dominio, proget-
tualità in prospettiva verso la costruzione della società altra.

2.3 IL FULCRO DELL’AZIONE COMUNALISTA


l’ individuo, la comunità, il territorio
Come abbiamo più volte sostenuto nel presente opuscolo, la socie-
tà del dominio, che continua a caratterizzare il presente, è una so-
cietà modellata sull’autorità e, in quanto tale, la sua organizzazio-
ne rispecchia la forma piramidale, con al vertice la classe dei do-
minanti ed alla base la classe dei dominati.

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La società che invece il comunalismo libertario ci stimola a co-


struire, a partire dall’oggi, ossia la società altra, è una società mo-
dellata sulla libertà, una società che in termini organizzativi ri-
specchia la forma della rete, una società orizzontale senza più
classi.
Detto ciò, risulta facile comprendere come il fulcro d’azione per
la costruzione di una società siffatta non possa che essere
nell’insieme: l’individuo, la comunità, il territorio.
Come individui, collocati oggi alla base della piramide sociale,
viviamo e lavoriamo nell’ambito di specifiche comunità e realtà
territoriali, soggiogate in campo politico dallo stato ed in campo
economico dal capitale.
Proprio per questo, il comunalismo libertario ci sprona a riprende-
re la nostra libertà ed a conquistare tutti insieme le libertà comuni-
tarie e territoriali. Ci sprona a stimolare i lavoratori, i disoccupati,
gli studenti, i giovani, i pensionati, gli emarginati, gli immigrati,
negli ambiti comunitari e territoriali, con proposte minimali e
complessive, conflittuali, alternative, praticabili qui ed ora.
Ci sprona a promuovere assemblee popolari sulle questioni territo-
riali per passare la parola e le decisioni direttamente a coloro che
nel territorio vivono e lavorano, invalidando nel contempo
l’azione di sindaci, giunte municipali e di tutti gli altri organi di
potere che impongono le loro decisioni sulle comunità.
Ci sprona a dare vita, dal paese alla metropoli, a strutture comuna-
liste e territoriali di base, extraistituzionali, né subalterne e né
meramente rivendicative nel campo economico e politico, sia nei
confronti delle organizzazioni municipali gerarchiche che del pa-
dronato.
Strutture di base aperte, senza distinzioni di razza, sesso, credo
politico, filosofico, religioso, e unite nell’accettazione della meto-
dologia libertaria, nel rifiuto della delega, nella prospettiva di una
società autogestionaria.
Strutture di base autonome e complessive che si diano obbiettivi
non solo di natura rivendicativa (il battersi per il miglioramento
delle condizioni di vita) ma anche di natura politica e sociale (il

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battersi per il conseguimento in prospettiva dell’autogestione del


lavoro, della democrazia diretta, dell’autogoverno municipale).
Ad esempio per meglio chiarire in termini pratici i concetti testé
espressi, queste strutture comunaliste, riguardo agli obbiettivi
immediati, potranno :
 promuovere iniziative di lotta contro il padronato e lo stato, allo
scopo di migliorare le condizioni di vita e di salario, e per la non
ingerenza dello stato nei frutti del proprio lavoro (tasse, fiscali-
smo);
 sviluppare azioni conflittuali e di controllo nei confronti delle
amministrazioni comunali di stato (gestione urbanistica, servizi,
ambiente, ecc.);
 stimolare la costituzione di organismi autogestiti ed autogestio-
nari su base di quartiere o di frazione, con lo scopo di promuo-
vere l’elaborazione di un bilancio comunitario, alternativo a
quello dell’amministrazione comunale e su cui costringere la
stessa, con pubbliche iniziative, a doversi confrontare o scontra-
re;
 dare vita a forme dirette di consultazione della popolazione con
proposte protese alla salvaguardia degli interessi delle classi su-
balterne e sfruttate, alla salvaguardia e tutela dell’ambiente;
 individuare forme e fonti di nuova occupazione, mutualismo e
solidarietà fra i cittadini componenti le comunità lavoratrici, per
l’autogestione dei servizi pubblici e di tutte le risorse territoriali;
 proporre piattaforme sociali unitarie, locali e territoriali, per u-
scire fuori dal ghetto del proprio orticello prospettando lotte
comuni per la risoluzione dei problemi di ogni singola comunità
e del territorio, nell’ottica di uno sviluppo autogestionario.
Riguardo alle finalità complessive, tendenti a costruire già
nell’oggi le basi della società altra, tali strutture comunaliste po-
tranno invece promuovere, in campo economico e politico, inizia-
tive:

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 per l’abolizione del lavoro salariato e del capitale, stimolando la


promozione di un associazionismo mutualista, solidale ed auto-
gestionario che si proietti verso la negazione della proprietà pri-
vata con la socializzazione dei mezzi e degli strumenti di lavoro
e produzione;
 per l’abolizione dell’amministrazione municipale di stato, fon-
data sulla delega, per la realizzazione dell’autogoverno munici-
pale, con azioni di reale contropotere autogestionario, attraverso
assemblee popolari generali e di quartiere che deliberano, ser-
vendosi della democrazia diretta, sulla risoluzione delle proble-
matiche comunali.
Solo un impegno che parta dal basso, solo un’azione sociale, gra-
dualista ma rivoluzionaria, capace di costruire con proposte prati-
cabili, già nel qui ed ora, cellule di società libertaria, potrà nel
tempo costruire la società altra.
Abbattere tutti insieme, passo dopo passo, la piramide del domi-
nio.
Costruire tutti insieme, passo dopo passo, la strada della libertà.
Percorrere tutti insieme questa strada, non più da dominati ma da
donne e uomini liberi, da artefici del nostro futuro e del futuro
dell’umanità.
È questa la sfida che ci viene oggi lanciata dal comunalismo li-
bertario!

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