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RICERCA ITALIANA

Trattamenti e approcci
terapeutici nell’autismo
(Seconda parte)

Adriana De Filippis1
1 Docente di Logopedia, Università degli Studi di Milano

Nelle Linee guida per l’autismo emanate dalla Società Italiana di Neuropsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza (2005), le strategie di intervento raccomandate
per il soggetto autistico vengono raggruppate in due grandi categorie: gli approc-
ci comportamentali e gli approcci evolutivi. I primi si basano sull’analisi del com-
portamento e dei fattori che ne determinano il cambiamento al fine di modificare
il comportamento stesso; i secondi sono centrati sulla dimensione emozionale e
relazionale in cui si realizza l’agire del bambino per favorire la sua libera espres-
sione, la sua iniziativa, la sua partecipazione.
L’articolo riporta sinteticamente gli interventi comportamentali basati sull’analisi
del comportamento applicata (Applied Behaviour Analysis/ABA), il metodo TEACCH
(Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped
Children), che, pur utilizzando tecniche comportamentali di rinforzo, non è di tipo
strettamente comportamentale, e i metodi appartenenti alla categoria degli ap-
procci evolutivi: il metodo TED (Thérapie d’Échange et Développement), il Denver
Model e alcune terapie integrative.

Parole chiave
Sindrome autistica, trattamenti terapeutici dell’autismo.

Edizioni Erickson – Trento Logopedia e comunicazione - Vol. 4, n. 1, gennaio 2008 (pp. 41-55) 41
Logopedia e comunicazione - Vol. 4, n. 1, gennaio 2008

Conoscere è indispensabile per capire e capire è indispensabile per intervenire.


Attualmente si è giunti a una definizione più o meno concorde e dettagliata della
sindrome autistica, ma la riabilitazione, come spesso accade, deve fare i conti con
una conoscenza non ancora univoca e chiara della natura del disturbo e delle sue
dinamiche di interazione nello sviluppo.
L’evoluzione che la definizione di autismo ha avuto è senz’altro d’aiuto nel
suggerire cosa non è utile fare, come la terapia psicanalitica rivolta alla madre o
l’attesa passiva che il disturbo si risolva da sé, come suggerito dagli autori per i
quali esso rappresentava una regressione psicotica. Ogni approccio si basa su uno
o più dei principi che si sono succeduti nelle diverse teorie menzionate nell’ex-
cursus storico effettuato nella prima parte di questo articolo (vedi «Logopedia e
comunicazione», vol. 3, n. 3, ottobre 2007, pp. 279-296). Gli interventi attuali sono
basati su tecniche di modificazione comportamentale e di incremento cognitivo
o che si fondano sui principi generali del condizionamento e delle strategie di
apprendimento.
Di seguito verranno descritti a grandi linee i metodi che i vari autori hanno
messo a punto e che sono stati utilizzati dagli operatori al fine di ottenere un mi-
glioramento strumentale cognitivo, emotivo e comportamentale. Saranno presentati
i seguenti interventi terapeutici educativi:
1. ABA
2. Lovaas
3. TEACCH
4. Delacato
5. TED
6. AERC
7. DAN
8. Denver
9. Pet theraphy e musicoterapia.
Si ritiene opportuno analizzare i suddetti approcci per sottolineare l’assenza
dell’intervento logopedico nel trattamento dell’autismo, che si pone in contrasto
con la richiesta di molti genitori di intraprendere un percorso riabilitativo del
linguaggio.

ABA
Consiste nell’applicazione delle tecniche di condizionamento operante. Gli
elementi chiave dell’intervento sono la motivazione, l’aiuto e la chiarezza. Il
condizionamento operante agisce sulla motivazione della persona, sostituendo quel-
la che per una persona normale sarebbe la motivazione naturale con dei «premi»

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(rinforzi) artificiali. Il bambino riceve un’istruzione del tipo «fai così», viene aiutato
a compiere il gesto d’imitazione e viene premiato (rinforzato) per il suo sforzo.
Quindi alla motivazione della persona si aggiunge il secondo elemento chiave
dell’intervento: l’aiuto. Tale tecnica viene chiamata apprendimento senza errori
(errorless learning) perché il bambino è motivato attraverso i rinforzi e aiutato
dall’adulto in modo che non possa che sperimentare il successo. Il terzo elemento
chiave è la chiarezza. L’ambiente viene strutturato per facilitare l’apprendimento
e all’inizio l’insegnamento viene fatto attraverso le prove distinte (discrete trial
teaching), una tecnica che facilita il compito in relazione alle abilità del bambino.
In seguito all’insegnamento così strutturato avviene la fase della generalizzazione
delle abilità apprese. Tale intervento è finalizzato a costruire a piccoli passi minime
abilità comunicative e a ridurre o modificare problemi specifici di comportamento
(aggressività e autolesionismo).
La ricerca dimostra che interventi inferiori alle 20 ore settimanali hanno meno
probabilità di successo. I primi tempi dell’intervento consistono tipicamente in
numerose attività (ad esempio, i puzzle, il secchiello con le forme) e le sedute
sono abbastanza brevi, anche di soli 20 minuti. Solamente quando il bambino ha
appreso la collaborazione e alcune abilità di base la seduta viene prolungata per
arrivare gradualmente a 20-40 ore alla settimana. La terapia viene svolta in parte
da membri della famiglia e dal personale della scuola e in parte da educatori che
svolgono la loro attività presso la famiglia.

Lovaas
L’intervento comportamentale di Lovaas utilizza i metodi dell’ABA e si carat-
terizza per una serie di fattori: precocità d’intervento (2-3 anni d’età per sfruttarne
la plasticità), durata, che deve essere di almeno due anni; intensità, inizialmente
almeno 30 ore settimanali; luogo favorevole (ambienti tranquilli e senza distra-
zioni, da estendere successivamente ad altri ambienti); collaborazione dei genitori
e dei parenti.
Le tecniche utilizzate sono il modeling, il rinforzo e il concatenamento.
Quest’ultimo consiste nell’insegnare un comportamento attraverso sue successive
approssimazioni finché non viene appreso nella sua interezza. L’enfasi è posta
sull’insegnare al bambino come imparare dall’ambiente normale. Il trattamento
analitico comportamentale per l’autismo si focalizza sull’insegnamento siste-
matico di unità di comportamento piccole, prefissate e misurabili; ogni abilità è
suddivisa in piccoli passi, ognuno dei quali è insegnato separatamente mediante
la presentazione di una serie specifica di istruzioni (esplicite e chiare). La regola
per iniziare a insegnare un comportamento è sceglierne uno semplice (prefissato);
i pasti costituiscono una perfetta opportunità per iniziare l’insegnamento.

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Il bambino arriva a padroneggiare le prime unità, che vengono poi coordinate


e associate fino a formare un tutto unico. Uno scopo prioritario è insegnare al
bambino a discriminare tra differenti stimoli (colori, forme, lettere, numeri, com-
portamenti appropriati e non).
Le prove di insegnamento sono ripetute molte volte, inizialmente in rapida suc-
cessione, finché il bambino dà una risposta facilmente e senza l’aiuto dell’adulto.
Il tempo e la velocità delle sessioni di insegnamento, le opportunità pratiche e le
conseguenze sono determinati precisamente per ogni bambino e per ogni abilità;
le istruzioni sono altamente personalizzate e adattate allo stile e alla velocità di
apprendimento di ogni bambino.

TEACCH
Il programma TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related
Communication Handicapped Children) è stato messo a punto, nel corso dell’espe-
rienza trentennale avviata da E. Schopler e dai suoi collaboratori, nelle scuole per
soggetti autistici dello Stato americano della Carolina del Nord.
Il programma TEACCH comprende numerose attività di tipo educativo da
effettuare con bambini con disturbi generalizzati dello sviluppo o con disturbi
della comunicazione. L’uso di tali attività va però di volta in volta contestualizzato
e individualizzato; la messa in atto di queste attività deve basarsi in particolare
su quattro criteri, che gli autori chiamano: modello di interazione, prospettive di
sviluppo, relativismo comportamentale e gerarchia di addestramento.
Il concetto di modello di interazione si riferisce alla necessità di contestualizzare
una certa tecnica di intervento all’interno del sistema di relazioni in cui il bambino
si trova: ambiente quotidiano di vita, familiare e scolastico.
Il secondo concetto, quello delle prospettive di sviluppo, sottolinea la necessità
che si prenda in considerazione, nel definire l’intervento, il livello di sviluppo
globale del bambino nelle diverse aree. Si dovrà tenere conto sia delle sue aree
deboli, sia di quelle in cui mostra maggiori capacità.
Con relativismo del comportamento s’intende descrivere e tenere in considera-
zione un particolare fenomeno che si osserva nei bambini con disturbi generalizzati
dello sviluppo: quello della difficoltà, a volte impossibilità, a generalizzare una
risposta comportamentale ad ambiti diversi da quello in cui è stata appresa. È quindi
importante definire obiettivi educativi specifici per ogni contesto.
Il concetto di gerarchia di addestramento, infine, indica la necessità che si
definiscano delle priorità tra i problemi da affrontare con il bambino autistico.
L’intervento educativo dovrebbe cioè essere finalizzato a modificare, in primo luo-
go, i comportamenti che mettono a rischio la vita del bambino; in secondo luogo,
quei problemi che riguardano la capacità del bambino di adattarsi all’ambiente

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familiare. Quindi, come terza priorità, c’è l’adattamento al contesto scolastico e,


come quarta, l’adattamento alla comunità extrascolastica. Una logica conseguenza
di quanto detto finora è che l’intervento educativo deve essere tagliato su misura
per il bambino, la sua famiglia e la sua scuola. L’intervento riabilitativo si avvarrà
pertanto di una valutazione individualizzata che pone le premesse per la formula-
zione di un Progetto psicoeducativo.
Il programma TEACCH è stato costruito per sviluppare abilità imitative, funzio-
ni percettive, abilità motorie, capacità d’integrazione oculo-manuale, comprensione
e produzione linguistica, gestione del comportamento (autonomie, abilità sociali e
comportamentali). Il progetto riabilitativo deve comprendere obiettivi che riguar-
dano diverse aree: quelle della comunicazione, del tempo libero, dell’autonomia
e abilità domestiche, delle abilità sociali e dell’apprendimento in senso stretto. La
conduzione del programma è affidata a genitori e insegnanti, che condividono le
stesse strategie e operano in stretta collaborazione. Medici e psicologi orientano
l’intervento di genitori e insegnanti, tenendo conto del livello di sviluppo raggiunto
dal bambino, del suo contesto di vita quotidiano e delle propensioni del bambino
(non è mai nominata la terapia logopedica!).
Una parte importante del programma è rappresentata dalla valutazione, che
avviene attraverso tre diverse modalità. La prima, che prevede l’uso di test intel-
lettivi e scale standardizzate, riguarda la valutazione dello sviluppo. La seconda
modalità è quella dell’osservazione dei modelli di comportamento del bambino. La
terza è rappresentata dalla raccolta di informazioni fatta nei colloqui con i genitori,
in cui vengono anche individuate le loro aspettative nei confronti del bambino e i
problemi principali che essi si trovano ad affrontare.
La valutazione dello sviluppo si avvale di uno strumento specifico chiamato
Profilo Psicoeducativo (PEP), che consente di determinare lo sviluppo del bambino
nelle aree dell’imitazione, della percezione, delle abilità motorie, dell’integrazione
oculo-manuale, e delle capacità cognitive.
Accanto al PEP è stato predisposto un altro strumento chiamato AAPEP, che
viene utilizzato per la valutazione di adolescenti e adulti autistici. Uno dei principi
fondamentali dell’intervento è quello per cui l’acquisizione di abilità da parte del
bambino autistico richiede un adattamento e una modificazione dell’ambiente di
vita del bambino, sia familiare che scolastico. È importante, in particolare, che
l’ambiente di apprendimento sia strutturato e prevedibile e che le attività che
gli vengono proposte siano precise e, soprattutto per i bambini che non parlano,
comprensibili al di là delle indicazioni verbali. La marcata strutturazione dell’in-
tervento deve riguardare sia gli spazi che i tempi di lavoro; ad esempio possono
essere utilizzate delle immagini che descrivono i vari momenti della giornata, e
al bambino viene insegnato ad associarne ciascuna a un preciso momento/attività
della sua giornata. Non fanno utilizzare «la parola» in nessuna situazione.

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Delacato
Tale metodo è un intervento assolutamente non specifico per l’autismo e non
ha superato nessuna prova di validazione scientifica. Delacato inizialmente faceva
parte, con G. Doman e R. Doman, di un gruppo di lavoro di chiara impostazione
medico-fisiatrica dedicato alla riabilitazione di bambini cerebrolesi. Durante questo
lavoro di riabilitazione si è constatato che esistono diversi gradi di lesione cerebrale,
dalla grave alla lieve, e che il fattore più comune nella lesione cerebrale lieve era
rappresentato dai problemi di percezione (tattile, visiva o acustica).
Delacato iniziò a lavorare con bambini senza problematiche dal punto di vista
motorio, ma che presentavano gravi disturbi del comportamento. Successivamente
studiò l’autismo. Dall’osservazione che molti sintomi dei bambini cerebrolesi sono
simili a quelli dell’autismo, questo autore iniziò a considerare gli atteggiamenti
autistici come una conseguenza di un problema sensoriale o percettivo. Secondo
questa metodica, i bambini autistici vengono considerati come cerebrolesi con gravi
problemi sensoriali: non potendo sfruttare gli stimoli che provengono dall’esterno
perché i canali di comunicazione con il cervello sono difettosi, essi cercano di
normalizzare la via attraverso un comportamento ripetitivo che va a stimolare
il canale stesso. I bambini autistici si comportano così per motivi neurologici e,
quindi, si cerca di normalizzare il canale sensoriale danneggiato.

TED
La terapia di scambio e di sviluppo (Thérapie d’Échange et Développement/
TED) si differenzia da quelle agenti sulla vita emotivo-affettiva e da quelle com-
portamentiste agenti sull’apprendimento, in quanto è basata sulla riattivazione di
funzioni fisiologiche, mediante l’attivazione di sistemi cerebrali sovrapponibili a
quelli utilizzati istintivamente dalle madri, sin dai primordi, per favorire la sin-
tonizzazione con il bambino stimolandone tutte le funzioni basilari (attenzione,
associazione, intenzione, imitazione, ecc.).
La base di partenza della TED è rappresentata da alcune ricerche neurofisio-
logiche che hanno dimostrato fenomeni come la dissociazione sensoriale crociata
(risposte elettroencefalografiche conseguenti a un suono e a uno stimolo luminoso
che segue di un secondo il suono) e l’acquisizione e l’imitazione libera siano pre-
senti anche nel bambino autistico, sebbene poco strutturate.
I risultati di queste ricerche mettono in evidenza una curiosità fisiologica natu-
rale, la tendenza biologica ad associare, comprendere e ricercare dei significati. Il
terapeuta deve organizzare il setting e le attività da proporre al bambino tenendo
conto di queste capacità che anche il bambino autistico possiede, seppure in misura
ridotta e non strutturata. L’obiettivo dell’intervento non è tanto quello di raggiun-

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gere delle performance, ma piuttosto di creare la più idonea atmosfera relazionale


attraverso il gioco per suscitare nel bambino benessere emotivo, interesse e piacere,
permettendo l’assunzione di un ruolo attivo.
Da queste premesse Barthelemy, Hameury e Lelord traggono i principi ispiratori
della TED, che attraversano tutte le attività proposte al bambino e che puntano a
sviluppare le diverse funzioni psicofisiologiche. Questi principi sono stati definiti
dagli autori la tranquillità, la disponibilità e la reciprocità. Con tranquillità si
intende definire in particolare il setting in cui si svolge l’intervento, costituito in
genere da una stanza di dimensioni limitate, spoglia, in cui vi sono un tavolo e
due sedie, senza distrazioni o rumori esterni. La principale fonte di interesse per il
bambino è data dal terapeuta che, attraverso una modalità di interazione esclusiva
e attenta, gli propone un’attività o un gioco alla volta.
La disponibilità del terapeuta è finalizzata a facilitare l’apertura del bambino
verso il mondo esterno e a favorire la sua naturale curiosità. I tentativi del bambi-
no di rompere il suo isolamento sono incoraggiati e si cerca di sviluppare la sua
iniziativa spontanea; viene incoraggiata anche la più piccola manifestazione di
attenzione da parte del bambino.
La reciprocità si esplica attraverso giochi e attività che comportano uno scambio
di oggetti, di gesti, di vocalizzazioni, di emozioni, ecc., tra terapeuta e bambino.
Lo scopo della reciprocità è quello di stimolare la comunicazione.
Le attività che vengono proposte al bambino sono quelle contenute nel Progetto
educativo individuale, basato sull’analisi funzionale, e riguardano l’attenzione, la
percezione, l’associazione, l’intenzione, la motricità, la capacità di contatto e la
comunicazione. Il progetto terapeutico complessivo viene definito da tutti i membri
dell’équipe che hanno partecipato alla valutazione e concordato con la famiglia. Il
coinvolgimento attivo della famiglia è un’altra delle caratteristiche fondamentali
della TED. Sono previste verifiche periodiche tra i membri dell’équipe, che si
avvalgono delle videoregistrazioni delle sedute e della valutazione fatta attraverso
l’uso di scale appositamente costruite.
L’intervento viene condotto nel contesto di un Hopital de Jour, e prevede l’inse-
rimento in gruppi e attività (come, per esempio, la scuola dell’infanzia) interni alla
struttura ospedaliera. La TED viene condotta preferibilmente nel setting classico
descritto sopra; può però svolgersi anche in altri ambiti, fatti salvi i principi gene-
rali della tranquillità, disponibilità e reciprocità. L’intervento può essere effettuato
anche con due bambini contemporaneamente, qualora lo scopo principale sia di
favorire la socializzazione. Queste situazioni, in genere, vengono attivate dopo
che è stata fatta una TED classica, con bambini che hanno ancora problemi di so-
cializzazione, spesso con componente aggressiva. Al bambino viene affiancato un
altro bambino con analoghe capacità, bisognoso di sviluppare la comunicazione,
ma più calmo. Alla TED vengono affiancati interventi con gruppi più allargati di

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bambini, ma anche in questo caso i principi ispiratori dell’intervento sono quelli


visti in precedenza.

AERC
Il metodo Etodinamico parte dall’osservazione etologica del comportamento
sia del soggetto con disturbo autistico sia delle persone con le quali interagisce e si
articola secondo le sequenze con le quali si svolge lo sviluppo relazionale normale,
in particolare l’intersoggettività primaria e secondaria.
I principi etologici presi in considerazione possono riguardare quelle attività
che si svolgono in un contesto di avvicinamento all’altro: per esempio, i modi
affettuosi, amichevoli, esplorativo dell’altro che possono essere particolarmente
ridotti in alcuni soggetti autistici. In questi casi vi sono delle modalità di rapporto,
basate soprattutto sulla reciprocità faccia a faccia, che, specie nei bambini più
piccoli, possono essere utili nel migliorare sia questo tipo di relazione diretta sia
quella collaborativa. Le modalità relazionali vanno di pari passo: per esempio, un
bambino di tre anni che ha avuto in precedenza una regressione di tipo autistico
spesso ha perso molti dei modi di rapporto che sono propri della intersoggettivi-
tà primaria: per questa ragione la relazione con lui deve riproporsi con modi di
reciprocità corporea e verbale che in un bambino più piccolo favoriscono la com-
prensione e l’espressione del linguaggio. Uno degli obiettivi principali è quello di
creare nel bambino una motivazione positiva sia a interagire che a collaborare: è
per questa ragione che spesso è utile far uso di varie forme di attivazione, verbale
e motoria, come prendere per mano e far correre o saltare il bambino, mettendolo
in uno stato di disponibilità e di contentezza per cui, subito dopo, diventa pronto
a collaborare per vari obiettivi cognitivi.
Su queste premesse si fonda l’intervento denominato terapia di Attivazione
Emotiva e Reciprocità Corporea (AERC) proposto da Zappella (1996). Questa
metodologia si integra sempre con altre modalità educative come il metodo Portage,
un metodo educativo di tipo comportamentale, la cui funzione è quella di dare una
guida ai genitori circa le attività più adeguate da proporre al bambino. I risultati
di questo metodo cambiano a seconda della sindrome e delle disabilità presenti e
sono migliori nei bambini piccoli sia perché a queste età la plasticità del sistema
nervoso è maggiore sia perché in essi l’intelligenza sensori-motoria ha una mag-
giore espressione. In altri casi e fasce d’età si possono avere dei miglioramenti di
vario grado a seconda della condizione e del grado di disabilità.
Il setting in cui si svolge l’intervento è costituito da un’ampia stanza dotata
di specchio unidirezionale e attrezzata per la videoregistrazione nella quale vi sia
spazio sufficiente perché il bambino si possa sentire libero di muoversi, e deve

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essere dotato di attrezzature quali tavolo, sedie, poltrone o divani, oltre a un certo
numero di giochi. Al genitore viene proposto di cercare di stabilire un rapporto
con il figlio e di collaborare con lui ad attività come disegnare, costruire una torre
di cubi, guardare e denominare delle figure, e altre simili. Il tentativo di stabilire
un rapporto con il bambino viene portato avanti da un genitore insieme a uno dei
terapeuti, mentre l’altro genitore e l’altro terapeuta assistono dietro lo specchio. Il
terapeuta ha il compito di rappresentare un relativo modello per il genitore (e non
tanto, e non solo, dando delle spiegazioni razionali), che in genere è frustrato dai
ripetuti fallimenti sperimentati in passato nel tentativo di catturare la disponibilità
del figlio.
Durante le sedute il genitore sperimenta un rapporto corporeo emotivo col figlio,
nella direzione della intersoggettività secondaria. L’obiettivo di alcuni di questi
interventi può essere strategico, ovvero finalizzato a cambiare e migliorare in tem-
pi brevi il tipo di relazione genitore-figlio. Tra una seduta e l’altra trascorrono in
genere alcune settimane, durante le quali i genitori dedicano circa un’ora al giorno
ad attività di gioco e di rapporto diretto con il bambino analoghe a quelle fatte in
seduta. I precedenti storici di questo intervento vanno in parte ricondotti all’intro-
duzione dell’etologia in psichiatria infantile da parte di Tinbergen e all’holding,
una pratica terapeutica anch’essa sostenuta in particolare dai Tinbergen (1983).
Nell’holding il bambino veniva tenuto in uno stretto rapporto corporeo da uno
dei genitori, faccia a faccia, ricercando una sintonia emotiva e ripetendo le sue
espressioni vocali che venivano poi modificate e arricchite dall’adulto (Zappella,
1987). A questo seguiva un’interazione libera, festosa e collaborativa. Negli anni
Ottanta l’holding ha consentito di perseguire risultati positivi con soggetti affetti
dalla sindrome dismaturativa con tic complessi familiari a esordio precoce (Zap-
pella, 1999). Ha permesso ad altri con evidente danno organico di sviluppare un
linguaggio verbale. L’holding, tuttavia, schematizzava in maniera poco naturale,
rigida e tra loro separata, le forme di interazione del tipo dell’intersoggettività
primaria e secondaria come pure gli interventi che facilitavano l’articolazione del
linguaggio. In altre parole: nella vita comune non succede mai che un bambino
venga tenuto per tempi lunghi nelle braccia del genitore in un rapporto faccia a
faccia: viceversa il confronto di reciprocità corporea si articola di continuo con
momenti di gioco e di movimento. Per questo eccessivo schematismo l’holding
diventata inappropriatamente costrittivo; se ben utilizzato, è utile ed efficace.

DAN
È una metodica basata sulla teoria che l’autismo sia secondario a intolleranze
alimentari e alle relative intossicazioni.

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Denver
Il Denver è stato strutturato da esperti dell’Università del Colorado: Sally
Rogers (PhD), Terry Hall (logopedista), Diane Osaky (terapista occupazionale).
È molto interessante per diversi motivi:
1. si rivolge a individui autistici in età precoce;
2. considera la terapia logopedica essenziale per il recupero del soggetto;
3. si fonda sulla volontà di modificare il comportamento utile al bambino ma anche
al futuro adulto.
Gli obiettivi a breve e lungo termine sono focalizzati sulla comunicazione, sul
gioco e sulla partecipazione sociale; sono poi suddivisi in tutte le aree di svilup-
po:
– linguaggio ricettivo;
– linguaggio espressivo;
– area cognitiva;
– autonomie personali;
– gioco;
– abilità sociali;
– motricità fine;
– motricità grossolana;
– routine quotidiane.
Il team è in contatto con la scuola pubblica. Viene usato materiale oggettuale
e iconografico. Una lunga checklist, suddivisa in tre livelli, monitora l’evoluzione
del bambino. La comunicazione verbale e la comprensione della stessa sono due
elementi portanti della metodica.

Pet therapy e musicoterapia


La pet therapy e la musicoterapia rappresentano terapie di supporto all’inter-
vento specifico per la patologia. Nella pet therapy gli animali entrano in scena e
diventano coprotagonisti del processo terapeutico. Ci sono svariati modi in cui
questo può avvenire. Nell’ippoterapia, o terapia con il cavallo, vengono sfruttate
alcune caratteristiche fisiche di questo animale, insieme a valenze psicologiche
e sociali legate al cavallo e all’ambiente del maneggio. Il particolare movimen-
to del cavallo offre infatti, da un punto di vista fisico, sollecitazioni al sistema
neuromuscolare del cavaliere, che possono portare diversi benefici allo sviluppo
psicomotorio della persona, e migliorare la coordinazione, l’equilibrio, il tono
muscolare, la motricità fine e globale, la respirazione e così via. È quindi facile

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A. De Filippis – Trattamenti e approcci terapeutici nell’autismo

immaginare che questo tipo di stimolazione avrà effetti anche a livello dell’inte-
grazione sensoriale, che nell’autismo è spesso deficitaria. Ma l’ippoterapia offre
anche altri vantaggi, con risvolti nell’area psicologica e dell’interazione con gli
altri. Da un lato, infatti, il cavallo rappresenta un compagno, un amico, un animale
da accudire; dall’altro, si prende in groppa il bambino e lo porta in giro. Allo
stesso modo, da una parte il cavallo si presta a essere contenitore, ovvero un altro
essere che contiene, porta in giro, offre confini ben precisi dettati non solo dalla
sua mole e intrinseca pericolosità, ma anche dalle regole che accompagnano da
sempre la cura dei cavalli e l’equitazione. Dall’altra il cavallo non è contenitore
ma contenuto, in quanto offre l’esclusiva possibilità al bambino di guidarlo, di
imparare un linguaggio nuovo, fatto di gesti e di movimenti e anche vocalizzi,
per portarlo dove vuole lui.
Oltre a questi aspetti, specifici del cavallo, non bisogna dimenticare i valori
e i benefici legati a ogni tipo di attività ludico-sportiva, individuale o di squa-
dra, come la motivazione, l’autostima, la capacità d’attenzione, l’indipendenza
nel senso di volontà di portare avanti una nuova attività come protagonista, in
continua interazione e sintonia con un altro essere vivente. Infine, ci sono i be-
nefici psico-sociali di un processo terapeutico strettamente collegato a un’attività
ludico-sportiva fatta in un ambiente pubblico e aperto, non medico e riservato alla
patologia, il che offre una nuova opportunità di integrazione sociale.
Un altro tipo di terapia assistita da animali è quella praticata con i delfini. A
questa specie, che vive appunto in un ambiente marino, quindi molto diverso dal
nostro, è sempre stata riconosciuta una particolare abilità a entrare in contatto
con gli esseri umani, e a interagire e giocare in modo del tutto spontaneo con
questi ultimi.
Un’altra caratteristica molto favorevole di questi animali è che sono sociali,
non solitari, che hanno un complesso sistema per comunicare tra loro fatto di
suoni e ultrasuoni che sembrano avere un particolare effetto benefico sulle per-
sone. Inoltre, i delfini hanno una particolare capacità di comprendere certi tipi di
linguaggio umano, come il linguaggio dei segni.
Per queste caratteristiche, unite a una spiccata intelligenza, è stata presa in
considerazione l’idea di utilizzare i delfini a scopo terapeutico nell’autismo e in
casi di depressione o altri disturbi mentali. I principali effetti che sono stati stu-
diati sono un miglioramento nell’integrazione di alcuni aspetti della personalità
e della corporeità, come la percezione di parti del corpo trascurate, stimolate dal
movimento dei delfini e dall’acqua intorno a loro; la capacità di espressione e
la spontaneità, favorita dal fatto che in acqua, in compagnia dei delfini, esistono
meno regole, o esse sono comunque diverse dalle nostre; il movimento, stimolato
anche dalla particolare vivacità dei delfini e dalla loro propensione al gioco; la
disponibilità al contatto, favorita anche dall’ambiente acquatico.

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Logopedia e comunicazione - Vol. 4, n. 1, gennaio 2008

La musicoterapia, invece, è riconosciuta come potenzialmente valida nella


promozione di modalità di comunicazione emotiva e di interazione sociale nei
soggetti autistici. Si viene a creare un holding winnicottiano con gli elementi in
gioco rappresentati dall’operatore, dal paziente, dall’elemento sonoro-musicale
che media il rapporto attraverso un ricalco della mappa dell’altro; l’operatore
deve assumere su di sé «come se fossero propri» i ritmi (cardiaco, respiratorio), i
tempi, le variazioni energetiche, fino alle idee, ai valori, alle credenze dell’altro, il
suo linguaggio verbale e non, i suoi silenzi, la sua fisiologia, quindi globalmente
il suo essere.
Nell’autismo in particolare, la musicoterapia può divenire un efficace strumen-
to di comunicazione che collude con gli aspetti apparentemente più regressivi,
simbiotico-fusionali. Peraltro, essa mobilizza strutture profonde di ricezione-
espressione delle emozioni, riuscendo a evocare quelle relazioni fra menti e corpi,
fra interno ed esterno, fra oggetti interni e oggetti esterni, fra piacere e dolore che
non sono comunicabili attraverso il canale verbale. Il ruolo della musicoterapia,
in tutte le situazioni come specificamente nell’autismo, svolge il ruolo di media-
zione tra noi e il mondo, tra la nostra individualità e l’individualità fuori di noi,
aiutando a calibrarsi sull’altro, ad accettarlo, ad avere fiducia in un contesto meno
strutturato rispetto a quello rassicurante e consolidante che è la vacuità potenziale
della parola.

Il logopedista deve conoscere i diversi metodi attualmente proponibili alla


famiglia del bambino autistico, per fornire risposte adeguate durante la fase di
counseling e specificare il ruolo del suo intervento all’interno di un approccio di
tipo oralista-cognitivo, che verrà analizzato su uno dei prossimi numeri.

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A. De Filippis – Trattamenti e approcci terapeutici nell’autismo

Abstract
The recommended treatment strategies for autistic individuals are
grouped in two macro categories in the guidelines issued by Italian
Society of Child and Youth Neuropsychiatry/SINPIA (2005): behavioural
approaches and developmental approaches. Behavioural approaches
are based on the analysis of behaviour and the factors which cause
its modification in order to change the behaviour itself; developmental
approaches focus on the emotional and relational dimension in which
the child carries out his actions to foster his creative expression, his
initiative and participation.
This article provides an overview of the behavioural treatments based
on Applied Behaviour Analysis (ABA), the TEACCH method (Treatment
and Education of Autistic and related Communication Handicapped Chil-
dren), which is not strictly of the behavioural type even though applying
reinforced behavioural techniques, and the methodologies included in
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Keywords
Autistic syndrome, therapeutic treatments of autism.

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Logopedia e comunicazione - Vol. 4, n. 1, gennaio 2008

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