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Introduzione
Il presente studio di antropologia teologica si fonda sull’analisi esegetica di Gen 3,1-7 (con uno
sguardo all’intero capitolo 3 e ai due che lo precedono)1, operata tramite un approccio psicologico2, al
fine di meglio identificare quanto è accaduto nella coppia originaria, come paradigma di ogni relazione
storica di coppia.
La nostra ricerca, benché parziale e suscettibile di nuovi arricchimenti, intende contribuire alla co-
noscenza di un particolare momento evolutivo che la coppia attraversa e che innesca conseguenti soffe-
renze al suo interno, spesso «risolte» con il tradimento e la separazione. Tale approfondimento antropo-
logico e psicologico è così volto a offrire una comprensione di quanto accade, al fine di trarre, alla luce
della fede, suggerimenti pastorali diretti ad agire nei confronti dell’attuale «coppia storica»3 nel suo
sviluppo, affinché sia aiutata a continuare il suo percorso così come promesso e voluto da Dio, al mo-
mento della sua alleanza con la coppia, realizzata nel sacramento del matrimonio. Tale istituzione è og-
gi, più che mai, in crisi. Basti pensare all’istituzionalizzazione del divorzio, anche nella forma breve,
quasi immediata, denominata «divorzio express», al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto e del
matrimonio fra omosessuali, all’ideologia del gender, che giunge persino alla negazione
dell’importanza e dell’esistenza della differenza biologica tra maschio e femmina. Di fronte a tali sfide,
si avverte la necessità non solo di una chiara presa di posizione, ma anche di risposte e chiarimenti alla
luce della rivelazione e dell’antropologia cristiana. In questa sede desideriamo avvalerci, a tale scopo,
anche di studi nel campo della psicologia.
Lo studio della coppia coniugale, considerata come entità su cui si fonda la realtà metafisica e fisica
dell’essere e dell’esistere dell’uomo come persona umana4, risulta ancora aperto a nuove prospettive di
ricerca nell’ambito dell’«antropologia cristiana, arricchita con l’apporto delle scoperte fatte anche di
recente nel campo psicologico e psichiatrico»5. Da una parte, infatti, l’antropologia cristiana, con
l’ausilio di tali scoperte, «considera la persona umana in tutte le sue dimensioni: la terrena e l’eterna, la
naturale e la trascendente»6. Dall’altra, secondo un’«antropologia adeguata»7, l’essere umano si conno-
ta fin dall’inizio come una polarità maschio-femmina, cosicché la persona umana è un essere «uni-
1
Nella presente ricerca si è tenuto conto non solo degli studi esegetici moderni, ma anche della tradizione ebraica e patristi-
ca, e delle recenti affermazioni del Magistero, con particolare riferimento alle riflessioni degli ultimi Pontefici. Queste ulti-
me costituiscono il punto di partenza della nostra indagine. Menzioniamo qui, in particolare, le Udienze Generali di Gio-
vanni Paolo II sulla famiglia (1979-1984), la Lettera Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI (2005) e le Udienze Gene-
rali di Papa Francesco sulla famiglia (2015). Sono state riportate anche alcune riflessioni espresse dai Pontefici menzionati
negli incontri con la Rota Romana, giacché particolarmente focalizzati sulla definizione teologico-pastorale dei problemi
che incontra oggi la coppia nel suo cammino.
2
Con il termine «psicologico» ci si riferisce, nella presente indagine, ai contributi della psicologia clinica e, in particolare,
della psicoanalisi della relazione.
3
L’espressione «coppia storica» è da intendere qui in senso analogo a quella di «uomo storico», usata da GIOVANNI PAOLO
II, Udienza generale, 26 settembre 1979; ID., Udienza generale, 30 aprile 1980; ID., Udienza generale, 9 dicembre 1981;
con essa non s’intende in nessun modo negare la storicità della coppia originaria, né tantomeno opporre la coppia originaria
a quella esistente nella storia; al contrario, si rimarca che «l’uomo “storico” porta in sé l’eredità del peccato originale»:
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 1 aprile 1981.
4
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 12 settembre 1979.
5
GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli officiali e avvocati del tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
6
GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli officiali e avvocati del tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
7
L’espressione è di GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 2 gennaio 1980, che la intende qui nel senso di «comprensione
e interpretazione dell’uomo in ciò che è essenzialmente umano».
2
duale»8. In tal senso, esiste uno stretto nesso tra la coppia originaria e ogni «coppia storica», in modo
che lo studio della prima offre conoscenze che arricchiscono e convalidano gli approfondimenti circa la
complessità e i condizionamenti della vita psichica dell’uomo. Questi, secondo l’antropologia rivelata,
è interiormente ferito dal peccato e deve essere redento dal mistero pasquale di Cristo9. In tale ambito si
pone il presente articolo, che intende approfondire un momento fondamentale e fondante della storia
della prima coppia, rivelato in Gen 3, che riguarda l’evolversi del rapporto originario di coppia e che ha
importanti ripercussioni nella «coppia storica».
La Pontificia Commissione Biblica, nel documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, ha
riconosciuto che «psicologia e teologia non hanno mai cessato di essere in dialogo tra di loro» e che
«gli studi di psicologia e di psicanalisi apportano all’esegesi biblica un arricchimento, poiché, grazie a
essi, i testi della Bibbia possono essere meglio compresi in quanto esperienze di vita e regole di com-
portamento»10. Il presente contributo, seguendo tali linee-guida, intende fornire un approccio antropo-
logico-teologico a Gen 2-3, e, sul solco dell’antropologia rivelata, proporre una chiave di lettura per la
fede e la catechesi, arricchito dal ricorso al dialogo interdisciplinare tra esegesi biblica e psicologia, pur
nel rispetto dell’identità propria e delle frontiere specifiche di queste scienze.
Se è certamente vero che l’unione tra gli esseri umani può realizzarsi in molteplici modi, la teologia cattolica
afferma oggi che il matrimonio costituisce una forma elevata di comunione tra le persone umane e una delle
migliori analogie della vita trinitaria. Quando un uomo e una donna uniscono il loro corpo e il loro spirito in
un atteggiamento di totale apertura e donazione di sé, formano una nuova immagine di Dio11.
8
Così afferma GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), Città del Vaticano 1995, n. 7: «Femminilità e ma-
scolinità sono tra loro complementari, non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. È soltanto grazie alla
dualità del “maschile” e del “femminile” che l’“umano” si realizza appieno»; al n. 8, si definisce la relazione uomo-donna
come «unidualità relazionale». Cf. anche BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al convegno internazionale «Donna e
uomo, l’humanum nella sua interezza», 9 febbraio 2008, che usa l’espressione «unità-duale».
9
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli officiali e avvocati del tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
10
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II e
Documento della Pontificia Commisione Biblica, Città del Vaticano 1993, 55. Sono ben noti i grandi progressi compiuti dalla
psichiatria e psicologia contemporanea. Va apprezzato quanto queste scienze moderne hanno fatto per chiarire i processi
psichici della persona, sia consci sia inconsci, e l’aiuto che danno, mediante farmacoterapia e psicoterapia, a molte persone
in difficoltà. Le grandi ricerche compiute e la notevole dedizione di tanti psicologi e psichiatri sono certamente lodevoli.
Non si può tuttavia non riconoscere che le scoperte e le acquisizioni nel campo puramente psichico e psichiatrico non sono
in grado di offrire una visione veramente integrale della persona, risolvendo da sole le questioni fondamentali che riguarda-
no il significato della vita e la vocazione umana. Certe correnti della psicologia contemporanea, inoltre, si muovono sotto
l’impulso di presupposti antropologici inconciliabili con l’antropologia cristiana. Da qui emergono le difficoltà e gli ostacoli
nel dialogo fra le scienze psicologiche da una parte, e quelle metafisiche ed etiche dall’altra.
11
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, Città
del Vaticano 2005, n. 39.
3
L’unità della coppia è, dunque, alla base del progetto divino della comunione fra gli uomini. Questo
dato emerge chiaramente anche nell’Antico Testamento. Eva, infatti, è creata dalla costola di Adamo,
mentre questi è immerso in un sonno profondo. È carne della sua carne e ossa delle sue ossa, è un so-
stegno, un aiuto per l’uomo, o per usare un’espressione letterale, «davanti a lui»12, quasi come davanti
a uno specchio13 (cf. Gen 2,18-23). La comunione coniugale è così profonda che i consorti, in virtù
dell’unione matrimoniale, non sono più due, ma «una sola carne» (Gen 2,24; cf. anche Ef 5,31). Affin-
ché questo si realizzi, tuttavia, è necessario che l’uomo e la donna, nonostante le difficoltà insite
nell’imperfezione umana, mantengano la comunione con il loro Creatore e la fedeltà alla sua Alleanza.
L’alleanza coniugale che unisce l’uomo e la donna è, per di più, immagine di tale Alleanza che con-
giunge Dio e il suo popolo14.
La rivelazione del Sinai e le tavole della Legge si collocano, in tale ottica, come il cammino che Dio
offre all’uomo per mantenersi nella sua comunione e dirigersi verso un’unità più perfetta con il suo
Creatore e con i suoi simili. Tale percorso non è un giogo duro o un’imposizione esterna che annulla e
umilia in qualche modo l’uomo, rilegandolo a un secondo piano. I comandamenti del Signore, infatti,
non sono altro che il contenuto della sua rivelazione e quando Dio si rivela non fa altro che donare e far
conoscere se stesso. La dimensione del dono di sé è proprio la chiave del progetto divino. L’Alleanza
codificata nei comandamenti della Torah, pertanto, è il modo di essere del Creatore, il suo amore svela-
to nelle categorie dello spazio e del tempo, il cammino per vivere come egli vive. Essa ha come fine
ultimo quello di mantenere e dirigere l’uomo verso la comunione piena di vita con Dio15. È chiaro che
tale progetto rivelato già nell’Antico Testamento avrà il suo pieno compimento in Cristo16.
«Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino [...] non lo dovete toccare», (com’è detto) nel libro dei
Proverbi: «Non aggiungere nulla alle sue parole, perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo» (Pr 30,6).
R. Hiyya soggiunse: «Non fare un recinto di là da ciò che è la cosa principale, affinché esso non cada e abbat-
ta le piante». Inoltre, il Santo, benedetto Egli sia, aveva detto: «Nel giorno in cui tu ne mangerai...» (Gen
2,17). Lei, tuttavia, non disse esattamente così, ma (disse): «Dio ha detto: “Non ne mangerete e non lo toc-
cherete”». Non appena (il serpente) la vide passare davanti all’albero, la prese e la spinse contro di esso. «Ec-
co non sei morta» (le disse): così come non sei morta toccandolo, non morirai quando mangerai di esso»35.
32
Agli interpreti ebrei non è sfuggito il particolare che la donna sia stata lasciata sola nel momento della tentazione. Gen
2,16 afferma che il precetto fu dato ad Adamo. I rabbini, pertanto, si chiedono, a buon diritto, dove fosse l’uomo mentre il
serpente tentava Eva. Secondo un’interpretazione, si trovava in giro per il mondo; secondo Abba Halfon b. Koriah, invece,
«si era intrattenuto nei rapporti sessuali e poi fu preso dal sonno» (GenR 19,3; qui e nel resto dell’articolo, le traduzioni dai
testi ebraici sono nostre). Entrambi i detti pongono l’accento sull’assenza di Adamo, colpevole non essersi preso cura della
sua consorte.
33
Così si afferma in G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 42: «L’insinuazione del serpente produce (...)
un’associazione che avviene nel subconscio ed è tanto ambigua quanto efficace: se non può mangiare dell’albero della co-
noscenza del bene e del male, è come se non potesse mangiarne di nessun albero».
34
Secondo E. DREWERMANN, Psicanalisi e teologia morale, Biblioteca di Teologia Contemporanea 70, Brescia 1997, 85,
Eva «è assalita da un’angoscia tale da essere in grado di ripetere il comandamento divino solo in forma disperatamente esa-
gerata».
35
In PRE 13,3, il serpente, benché non spinga fisicamente la donna contro l’albero, la istiga a toccarlo, dopo averle mostrato
che lui stesso può toccare l’albero senza morire.
8
Come suggerisce R. Hiyyah nella sua interpretazione, la relazione tra il serpente ed Eva inizia, con
un’azione del tentatore, che, quando vede Eva passare davanti all’albero, la spinge verso di esso. Il ser-
pente le fa sperimentare in questo modo, che, toccando l’albero, non muore. Questo significa, quindi,
che potrà mangiare tranquillamente del suo frutto senza che si realizzi contro di lei la minaccia conte-
nuta nel precetto36. Questo primo contatto con la seduzione del male è quello che si riscontra nel com-
portamento psicologico dell’uomo, nel momento in cui si avvicina all’oggetto del peccato e il desiderio
di trasgressione si trasforma in un’illusione di onnipotenza. Tale abbaglio crea una falsa sicurezza che
lo spinge verso l’azione.
Eva è interessata a un albero diverso da quello riguardo al quale si presuppone che Adamo l’abbia
informata con riferimento al divieto divino. In Gen 2,17, la proibizione ricevuta e trasmessa a Eva ri-
guarda l’albero della conoscenza, mentre la donna fa riferimento all’«albero che sta in mezzo al giardi-
no», cioè all’albero della vita. In tal modo, Eva può dire di non tradire Adamo e i suoi avvertimenti.
Nello stesso tempo, è interessante notare che quello che può sembrare un errore della donna rivela un
interesse della stessa per la vita, aspetto che, tra i due, interessa più a Eva37. In conclusione,
quest’esperienza di vicinanza alla trasgressione, all’albero proibito, verso cui la donna è spinta dal se-
duttore, ottiene lo scopo di rassicurare Eva38 che il percorso verso la trasgressione non distrugge la per-
sona che tradisce e fa balenare in lei la possibilità di tradire senza morire né distruggere il legame con
Dio e quello di coppia.
43
Cf., ad es., Gen 37,11; Sal 106,16; Pr 14,30; Qo 4,4; Mt 27,18; Mc 15,10; At 7,9.
44
Sull’invidia di Satana nella letteratura patristica, si veda l’opera di I.M. SANS, La envidia primigenia del diablo según la
Patristica primitiva, Oña 1963; cf. anche H.U. VON BALTHASAR, Le persone del dramma: l’uomo in Cristo, Milano 1983,
452-453.
45
In ARN A 1,10 si afferma che il serpente vide il primo uomo, «contemplò la sua gloria e fu geloso di lui»; cf. anche 2En
29,4-6; 31,3; AdEvGr 16. Secondo una parte della tradizione, la stessa ribellione degli angeli fu dovuta alla loro invidia ver-
so Adamo: cf., ad es., tSot 6,5; PRE 13,1-2. Tale tradizione è antica e ricorre anche nella letteratura apocrifa: cf., ad es., 2En
(sl.) 11,73-76; 3En (eb.) 4,6ss; AdEvLat 12-17. Per una recente sintesi circa l’invidia del serpente verso la prima coppia nel-
la nella letteratura apocrifa e rabbinica, cf. R. ALDMAN, The Return of the Repressed. Pirqe de-Rabbi Eliezer and the Pseu-
depigrapha, Leiden 2009, 71-94. Anche i Padri della Chiesa rimarcano che la causa dell’invidia del serpente fu la beatitudi-
ne dell’uomo nell’Eden: cf., ad es., AMBROGIO, De paradiso 12,54; MASSIMO IL CONFESSORE, Questiones ad Thalassium,
prolog.; GREGORIO DI NISSA, Oratio catechetica magna 6.
46
Cf. ApAbr 23,3-8, dove si riporta che «uno con l’apparenza di serpente» tenta «i due che aveva visto abbracciati».
47
Cf., ad es., GenR 18,6, che riporta la seguente interpretazione di R. Yehoshua b. Karhah su Gen 3,21: «(Il versetto) ti in-
segna per quale colpa insorse contro di loro quella malvagia creatura: poiché li vide impegnati nelle loro funzioni naturali,
concepì una passione per lei (Eva)»; cf. anche tSot 4,17-18; GenR 20,5. Secondo TgPsJ, il diavolo tentatore è Sammael,
l’angelo della morte (cf. TgPsJGen 3,6), che fu anche il padre di Caino, come si dice in TgPsJGen 4,1: «Adamo conobbe
Eva, sua moglie, che aveva concepito da Sammael, angelo del Signore, e concepì e diede alla luce Caino. Ed ella disse: “Ho
acquistato come uomo l’angelo del Signore”». Così, tra l’altro, si spiega l’origine di Caino: egli è figlio del demonio! Tale
tradizione potrebbe essere antica, poiché in 1Gv 3,12 si nota che Caino «era dal maligno»: cf. J.W. BOWKER, The Targums
and Rabbinic Literature. An Introduction to Jewish Interpretations of Scripture, Cambridge 19792, 132; M. PÉREZ FERNÁN-
DEZ, Tradiciones mesiánicas en el targum palestinense. Estudios exegéticos, EMISJ 12, Valencia – Jerusalén 1981, 50-52;
R. LE DÈAUT, The Message of the New Testament and the Aramaic Bible (Targum), SubBi 5, Rome 1982, 40-42; circa le
tradizioni su Sammael, si veda G. STEMBERGER, «Samael and Uzza: Zur Rolle der Dämonen im späten Midrasch», in ID.,
Judaica Minora II, TSAJ 138, Tübingen 2010, 602-623.
48
La definizione dell’invidia nell’attuale prospettiva psicologica fa riferimento al «desiderio di essere».
49
In GenR 29,1, R. Hoshaya il Grande afferma riguardo al serpente: «Egli stava in piedi eretto come una canna fra gli ani-
mali, stava ritto come una canna e aveva i piedi».
50
Eva è per Adamo l’aiuto in cui «specchiarsi», riconoscere se stesso, mediante la presenza dell’altro (nel significato di
«diverso da sé», ma anche «simile a sé» e quindi «specchio di sé»), e riconoscere l’altro, la donna, come simile a sé (fatta a
propria immagine e somiglianza, pur nella diversità mascolinità/femminilità), a tal punto che è possibile che i due siano una
sola carne (Gen 2,24); cf. FRANCESCO, Udienza generale, 15 aprile 2015; così ID., Udienza generale, 22 aprile 2015:
10
na, esiste un livello profondo di comunicazione come può essere una comunicazione empatica o
d’identificazione proiettiva tra due persone51, cioè tra due esseri che presentano una somiglianza di na-
tura. È interessante notare che sia l’AT che il NT hanno posto in evidenza come sia la donna per prima
ad essere tentata e ad iniziare il percorso verso il tradimento nei confronti di Dio52. Il racconto di Gen 3
non è da intendere in chiave maschilista53, ma evidenzia probabilmente il ruolo primario della donna
nella difesa o nella distruzione della relazione di coppia e con Dio.
Che cosa cerca Eva nella sua esistenza, per cui le interessa la proposta del serpente? L’argomento
principale che il serpente porta nel dialogo con Eva, riguarda l’idea del morire. Questa è percepita da
Eva come limite ed è già noto a lei per precetto che Dio aveva posto nei riguardi del mangiare
dall’albero della conoscenza del bene e del male (cf. Gen 2,17). Il serpente, infatti, in modo astuto, rie-
sce a far ricadere tutta l’attenzione della donna sul divieto, facendolo apparire come una frontiera che
circoscrive la propria libertà, un limite alla propria autorealizzazione. Il processo psicologico è tanto
semplice quanto efficace. Il tentatore, infatti, eclissa la parte positiva del comandamento («tu potrai
mangiare di tutti gli alberi del giardino…», Gen 2,16). La proibizione, in questo modo, diventa il centro
focale dell’interesse provocato e il limite appare come un’ingiustizia che contraddice il piano originario
del Signore, ossia, voler condurre l’uomo alla comunione piena con Lui. La donna, infatti, è distratta
dalla grandezza dei doni ricevuti da Dio. Tutto passa in secondo piano: il dono della vita, quello del
consorte, l’essere stata collocata in un giardino che produce spontaneamente i suoi frutti, e, in definiti-
va, la possibilità di poter mangiare di tutti gli altri alberi del giardino54.
Il discorso sul limite della persona, immagine di tutti i limiti posti dall’esistenza e in essa, attiva in
Eva il dubbio sulla bontà di Dio. Se Dio limita l’uomo – suggerisce il tentatore – è perché, in fondo,
non lo ama ed è geloso di lui. Qui si può intravedere un fine meccanismo psicologico: chi ha un difetto
tende sempre ad attribuire all’altro lo stesso difetto. Così, il serpente, invidioso del Creatore e
dell’amore della coppia, cerca di dividerla accusando Dio di essere geloso e rivale dell’uomo. Dio, se-
condo la proposta del seduttore, ha dato il comando perché è malvagio e non vuole che l’uomo diventi
simile a lui. Il tentatore si presenta, in tal modo, vittima dell’ingiustizia di Dio (anch’egli non è come
Dio!) e desidera coinvolgere Eva. Il meccanismo principe della seduzione, com’è noto, è quello
dell’empatia o della compassione: il seduttore si pone nella medesima situazione del sedotto, facendosi
vittima della stessa ingiustizia.
Le suggestioni che il serpente presenta a Eva sono principalmente il dubbio sulla bontà del Creatore
e la necessità, per essere felice, di essere come Dio. In particolare, quest’ultima suggestione appare di
una sottigliezza veramente diabolica, giacché fa leva su ciò che caratterizza l’essenza e la vocazione
dell’uomo55: il suo desiderio di essere, vale a dire, la sua naturale tensione verso l’Assoluto, verso la
«Quando finalmente Dio presenta la donna, l’uomo riconosce esultante che quella creatura, e solo quella, è parte di lui: “os-
so dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2,23). Finalmente c’è un rispecchiamento, una reciprocità».
51
Com’è esplicitato, ad es., in Ct 2,16; 6,3.
52
Cf. 1Tm 2,14; 2Cor 11,3.
53
Anzi, si potrebbe notare che a far cadere la donna è necessaria l’astuzia del serpente, mentre a far cadere Adamo è suffi-
ciente l’invito della donna!
54
Così afferma A. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, I,
Gen 1,1-12,4, Testi e commenti, Bologna 2008, 69: «Innanzitutto, il serpente riporta solo la parte negativa dell’ordine di
Adonai Elohim, quella che pone il limite (“non mangerete”). Non fa quindi nessuna allusione al dono iniziale di “ogni albe-
ro del giardino”. In questo modo, nella sua bocca, l’albero proibito occupa tutto il posto e diventa esattamente l’albero che
nasconde la foresta di tutti quelli che sono stati donati. Così, il serpente fa sparire l’elemento che invita, o addirittura inco-
raggia, a interpretare il precetto come segno dell’amore discreto di un Dio bene intenzionato. Senza il dono, infatti, la parola
divina è solo una legge che proibisce di mangiare e di godere, cioè, di vivere».
55
Ben nota è la definizione di «uomo» di J.-P. SARTRE, L’être et le néant. Essai d’ontologie phénoménologique, Paris
195030, 653-654: «L’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio».
11
comunione con Dio, desiderio e tensione che questi ha posto nel cuore dell’uomo e comunione a cui lo
vuole condurre56.
Eva, dal canto suo, continua il dialogo con il seduttore invidioso, condividendone le suggestioni, e
così instaura un feeling con lui: il sedotto s’identifica con la figura del seduttore. Così, Eva comincia a
essere invidiosa di Dio e del suo status, a percepire Dio come un rivale che è geloso della sua creatu-
ra57, e desidera prendere il suo posto. In tal modo, la donna si fa «dio» di se stessa, decidendo autono-
mamente cos’è bene, cercando di attuare il desiderio di essere al di fuori dell’Essere, che ha ormai
escluso dal suo orizzonte58. In questo consiste tutta la tragedia della caduta originale e del conseguente
stato esistenziale dell’uomo: cercare di essere, avendo tagliato le radici con l’Essere. La donna, quin-
di, crede alla «catechesi» del maligno, trovandosi in sintonia e in intesa con il suo discorso59, e ciò pro-
voca in lei la distruzione dell’immagine di Dio come un Padre buono. Così, Eva «taglia» le radici con
Dio, con l’Essere: comincia ad avere paura della morte e del non-essere60.
62
Tale atto di amore presuppone l’offerta alla persona amata della libertà nella sua forma più piena e quindi, nel caso di
Adamo ed Eva, della libertà di ognuno dei due membri della coppia di scegliere tra la fedeltà al patto coniugale e a Dio, da
una parte, e il tradimento verso Dio e l’alleanza coniugale così come pensata da Dio stesso per la loro felicità, dall’altra.
63
La sofferenza è qui indizio che la donna ha già iniziato ad accogliere nel suo cuore il peccato. La domanda che si pone qui
è perché nasca in Eva un’insoddisfazione della sua situazione di donna e compagna di Adamo. Come sia possibile che Eva
presti attenzione alla seduzione non è spiegato nel testo di Gen 3. Per comprendere il suo comportamento, si può, tuttavia,
far riferimento, per contrasto, a quanto accade quando Satana cerca di indurre un altro uomo, Giobbe, a maledire il suo
Creatore non solo di fronte alla distruzione del suo stesso corpo, ma anche dinanzi all’invito di sua moglie a rinnegare Dio
come buono (Gb 2,7-10). Giobbe, immagine dell’uomo che soffre senza un motivo umanamente comprensibile, è condotto
a riconoscere il mistero dell’operare di Dio per cui nessuno «può oscurare il suo piano» (cf. Gb 42,2-3). In Eva, la situazio-
ne di crescita nell’amore si traduce in un’occasione nella quale lei manifesta come nel suo cuore, essendo entrata nella ten-
tazione, già non esista più questa fiducia totale in Dio, talvolta incomprensibile per l’uomo nei suoi comandi, e si traduca
nell’aderire, invece, alla critica a lui, espressa esplicitamente dal serpente.
13
del rapporto di coppia tramite la richiesta di aiuto ad Adamo, quanto piuttosto verso una ricerca creati-
va di un nuovo ordine nella creazione, nella quale la donna si fa portatrice di una «deità»64, che solo
successivamente vorrà condividere con Adamo.
Conclusioni
Dalla nostra analisi è emerso chiaramente che, nell’antropologia teologica, è quanto mai urgente e
necessario prendere le distanze da un approccio positivo ed emancipativo del peccato originale, propo-
sto, per fornire solo i due esempi più noti, da Kant e Hegel, e che purtroppo «ha fatto scuola»
nell’odierna teologia, con tragiche conseguenze83. Il testo di Gen 3, pur nella «forma arcaica della nar-
razione, che manifesta il suo primitivo carattere mitico»84, esprime «una verità sull’uomo» che «ci stu-
pisce con la sua tipica profondità»85. Si tratta, come ha affermato Giovanni Paolo II, di una profondità
«di natura soprattutto soggettiva e quindi, in un certo senso, psicologica»86. Tale profondità abbiamo
tentato di indagare in queste pagine, con un’analisi del testo operata con un metodo affine alla sua natu-
ra (tramite un approccio psicologico, per l’appunto), in cui «troviamo “in nucleo” quasi tutti gli ele-
menti dell’analisi dell’uomo, ai quali è sensibile l’antropologia filosofica moderna e soprattutto con-
temporanea»87. Il racconto del peccato originale, lungi dall’essere un mero mito, racchiude una verità
storica e meta-storica: esso rappresenta un paradigma di ciò che avviene in ogni coppia e, più in gene-
rale, nell’uomo e nelle sue relazioni. La realtà del peccato originale e delle sue conseguenze è così una
realtà ontologica e paradigmatica.
Secondo la nostra indagine, il testo di Gen 3, pur nella sua brevità, mostra che l’azione del serpente
è rivolta non solo ad Adamo ed Eva in quanto singoli, ma ai due in quanto coppia. In particolare, esso
evidenzia come la scelta del peccato da parte dei due (il «mangiare» ambedue dall’albero proibito) sia
l’esito di un processo interattivo, che inizia con una tentazione rivolta alla coppia: è, per così dire, il
«sacramento» di ciò che i due hanno creduto e scelto, accogliendo la «catechesi» del tentatore, il ser-
pente. Questa, benché coinvolga la coppia, è diretta inizialmente solo a un suo membro, a Eva. Quando
la voce del serpente trova uno spazio di ascolto nel cuore della donna, questo, da un lato, non è più in-
teramente «occupato» dalla voce dell’amato, e, dall’altro, andrà a coincidere con uno spazio di desideri
che lentamente si formano in lei, a causa del veleno generato dall’adesione alle parole del tentatore,
come abbiamo mostrato. La formazione di questo spazio, che è spazio di dialogo e ancor prima di ri-
cerca affettiva, è conseguenza ed espressione di quanto accade nella coppia storica, dal momento in cui
si ha un passaggio da una fase iniziale di vita di coppia (nella quale ognuno dei due è «pieno» di senti-
menti e idee proprie dell’innamoramento), che è quella tipica dell’eros, a quella successiva che è nor-
83
Cf. C.L. ROSSETTI, «Recensione a A. Fabris, Filosofia del peccato originale», RdT 53 (2012) 339, che afferma: «In Kant
e Hegel, l’approccio è squisitamente positivo ed “emancipativo” (salvo il male radicale in Kant). Si ricordi qui, in inciso, la
ben nota seduzione subita dalla filosofia moderna da una positività del peccato adamitico». In alcune facoltà cattoliche teo-
logiche, s’insegna che il serpente non è, in realtà, un antagonista di Dio, bensì contribuisce alla «crescita» e
all’emancipazione della coppia originale, che si troverebbe ancora in uno «stato infantile»; la disobbedienza sarebbe così
una fase importante nello sviluppo umano, e addiritttura «il primo passo verso la libertà» (E. FROMM, Psicoanalisi
dell’amore. Necrofilia e biofilia nell’uomo, Roma 1971, 20). Si tratta di una concezione già presente nello gnosticismo.
84
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979. L’uso dell’aggettivo «mitico» è spiegato dallo stesso Pontefi-
ce nella stessa Udienza, giacché può dare adito ad ambiguità o malintesi; cf. anche GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 7
novembre 1979. Non si tratta, comunque, nel caso di Gen 3 (come, in generale, in Gen 1-11), di un mito da equiparare ai
miti delle origini presenti nelle varie culture, quanto piuttosto di un racconto veramente ispirato da Dio che, pur non essendo
storico in tutti i suoi dettagli, esprime una verità storica e, per così dire, «più che storica», vale a dire, ontologica.
85
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979.
86
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979.
87
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979.
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malmente una fase di delusione, tappa necessaria verso l’amore pieno e totale, l’agape88. Tale momen-
to di delusione inizia nel momento in cui avviene l’incontro con l’«altro reale» e non più come sede di
proiezioni o identificazioni proiettive89. In questo momento, i coniugi sono di fronte a un’assenza del
precedente sentimento e in attesa di qualcosa che doni loro quella felicità che i due hanno cercato nel
matrimonio, felicità analoga a quella di Adamo, quando è pieno di gioia dinanzi ad Eva, quando scopre
che è finalmente di fronte a «un aiuto che gli fosse simile» (cf. Gen 2,18.23)!
Di fronte a questa sofferenza, nasce il desiderio di «mangiare», che fa vedere «buono, gradevole e
desiderabile» il peccato (cf. Gen 3,6), che si traduce nell’ascolto di una voce che invita a cercare altro-
ve, per disobbedire a un Dio percepito come cattivo e responsabile dell’infelicità, come mostra il ser-
pente. Entra tra i due un «terzo», un falso alleato, al posto del Dio del Sacramento del matrimonio.
L’ascolto di questo nuovo alleato produce separazione con Dio, primo vero alleato, e tra i due. Esso
provoca una sordità psicologica e affettiva nei confronti di Dio, per cui i due non sono in grado di per-
cepire la preoccupazione e l’interesse affettuoso, da Padre misericordioso (come in Lc 15,11.24). Eppu-
re, questo pregiudizio su Dio e sulla sua opera, vale a dire la promessa di un’unione totale tra i due («i
due saranno un’unica carne», Gen 2,24) può essere ritenuto già presente nella fase della tentazione,
poiché il serpente trova ascolto all’interno della coppia, a differenza di quanto avverrà con Giobbe.
Tutto ciò si traduce nella scelta consapevole di tradire l’alleanza con il Creatore e di seguire la pro-
pria ragione, per soddisfare i propri desideri di autonomia e di potenza, in altre parole, per cercare una
propria strada per la felicità, diversa da quella proposta dal Creatore. Nel momento in cui accolgono la
tentazione, tale proposta appare insoddisfacente a Eva prima, e ad Adamo poi, nel momento in cui ini-
ziano ad ascoltare e a credere nella voce del tentatore, e ciò provoca una disponibilità a seguire la voce
di un «terzo», di cui non si riconosce, al momento del dialogo, l’intenzione di tentare per il male e poi
sedurre per impadronirsi dell’altro e così distruggere la coppia.
La tentazione del serpente rappresenta, pertanto, un invito all’individuo e non alla persona e gli pro-
pone un futuro di potenza con cui eliminare la propria insoddisfazione, che sarebbe causata da un Padre
invidioso e rivale, e, in definitiva, malvagio. Così, nella coppia originaria avviene quanto può accadere,
e sempre piu spesso, nella coppia di questo tempo, che, «per la durezza del cuore» (cf. Mt 19,8), rifiuta
Dio e nega la sua realtà di amore, che si esplicita nel perdono, e toglie all’altro ogni attributo di bontà
che inizialmente aveva scorto in esso. La «coppia storica», come quella originaria, e ancor più di questa
per la sua imperfezione, sempre più spesso non rifiuta le parole del tentatore. Tutto ciò avviene a causa
della concupiscenza, che deriva dal peccato e inclina a esso. Essa può essere anche intesa come deside-
rio di possesso per placare la paura della solitudine e il non-senso della vita.
Il Sacramento del matrimonio offre alla coppia la grazia per affrontare questo conflitto, l’impulso
dello Spirito, ricevuto nel Battesimo, che vuole condurre la persona verso la perfetta unità, come pro-
messo in Gen 2. Tale grazia, tuttavia, va alimentata, così come la Chiesa invita, da una vita sacramenta-
le e di fede, nutrita dalla Parola di Dio, sostenuta da corsi di preparazione al matrimonio o cammini
d’iniziazione cristiana e di crescita nella fede. E, anche quando dalla tentazione la coppia passi al pec-
cato e al tradimento come rottura dell’alleanza coniugale, la Chiesa, in nome di Cristo, continua a offri-
88
Così dichiara FRANCESCO, Lumen fidei, Città del Vaticano 2013, n. 27: «L’amore non si può ridurre a un sentimento che
va e viene. Esso tocca, sì, la nostra affettività, ma per aprirla alla persona amata e iniziare così un cammino, che è un uscire
dalla chiusura nel proprio io e andare verso l’altra persona, per edificare un rapporto duraturo; l’amore mira all’unione con
la persona amata. Si rivela allora in che senso l’amore ha bisogno di verità. Solo in quanto è fondato sulla verità l’amore
può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune. Se l’amore non ha
rapporto con la verità, è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. L’amore vero invece unifica tutti
gli elementi della nostra persona e diventa una luce nuova verso una vita grande e piena. Senza verità l’amore non può offri-
re un vincolo solido, non riesce a portare l’“io” al di là del suo isolamento, né a liberarlo dall’istante fugace per edificare la
vita e portare frutto».
89
Tale momento di delusione è ben simboleggiato, nel NT, dalla mancanza di vino, simbolo della festa e della felicità, nelle
nozze di Cana (cfr. Gv 2,2).
19
re il perdono, così come Dio ha fatto, donando all’uomo e alla donna «tuniche di pelle» per ricoprire la
loro nudità (cf. Gen 3,21). Queste «tuniche» possono significare una duplice realtà: da una parte, se-
condo un’interpretazione patristica, corrispondono alla realtà carnale90, che facilita l’ascolto del tenta-
tore e l’adesione alle sue seduzioni; dall’altra, indicano il rinnovo dell’alleanza matrimoniale di Dio
con la coppia che ha peccato (cf. Ez 16,8-9).
Nel passaggio da una fase a un’altra della relazione matrimoniale, la scelta di tradimento è attuata,
giacché propone soluzioni che esaltano la superbia, l’egocentrismo o la scelta narcisistica, e ricercano
l’eros delle emozioni91, associato al disprezzo della persona con la quale si è vissuti fino a quel mo-
mento. Prevale, così, l’astuzia e la caparbietà del tentatore, che prende potere sull’uomo, cosicché
quest’ultimo, dopo il peccato originale, è «venduto come schiavo del peccato» (Rm 7,14). Di fronte a
questa debolezza dell’«uomo della carne», Dio, creatore della coppia, offre il Figlio, Gesù Cristo, che,
anch’egli «rivestito di debolezza» (cf. Eb 5,2), imparò, nel momento della tentazione, l’obbedienza alla
volontà del Padre (cf. Mt 26,36-42; Mc 14,32-42; Lc 22,40-46; Eb 5,7-10), come via per la felicità. Di
fronte all’imperfezione della coppia nel percorrere il cammino verso la perfetta unità, Gesù Cristo può
illuminare, giustificare, perdonare, e aiutare la coppia matrimoniale a ricorrere all’intelligenza e al di-
scernimento che lo Spirito Santo offre92. Lo Spirito di Cristo risorto è capace di curare e sostenere la
coppia nelle tentazioni di divisione, di tentazione e di tradimento del cammino coniugale93. Il dono del-
lo Spirito di Cristo, del «vino nuovo», è mediata da Maria, icona della Chiesa, che, come nelle nozze di
Cana, si fa mediatrice e sostenitrice dell’intervento del Figlio. Nel momento del disorientamento, della
ricerca di un nuovo significato alla relazione di coppia, la fede offre la speranza, in virtù della quale il
presente, benché travagliato, può essere vissuto e accettato, in vista di un futuro nel quale la vita non
finisce nel vuoto. Così, quando il «mito dell’innamoramento» termina (eros), può iniziare un percorso
verso l’amore pieno (agape) mediante l’opera di Cristo risorto94.
Nello spazio tra la fase dell’eros e l’agape, nel luogo della delusione, ove si era inserito un «terzo»,
il serpente, separando la coppia da Dio e al suo interno, nella Nuova Alleanza si pone Gesù Cristo.
Egli, senza peccato, discendendo fino agli abissi della tentazione, dell’angoscia e della delusione, si
sostituisce al serpente, prendendo su di sé la maledizione del peccato di Adamo ed Eva, e distrugge in
90
Cf. GREGORIO DI NISSA, De verginitate, 12,4; 13,1.
91
Così, GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del tribunale della Rota Romana, 5 febbraio 1987: «La visione del matri-
monio secondo certe correnti psicologiche è tale da ridurre il significato dell’unione coniugale a semplice mezzo di gratifi-
cazione o di autorealizzazione o di decompressione psicologica (…). Le perizie, condotte secondo tali premesse antropolo-
giche riduttive, in pratica non considerano il dovere di un cosciente impegno da parte degli sposi a superare, anche a costo
di sacrifici e rinunce, gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del matrimonio e quindi valutano ogni tensione come
segno negativo ed indice di debolezza ed incapacità a vivere il matrimonio».
92
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del tribunale della Rota Romana, 5 febbraio 1987: «Nella concezione cri-
stiana l’uomo è chiamato ad aderire a Dio come fine ultimo in cui trova la propria realizzazione benché sia ostacolato,
nell’attuazione di questa sua vocazione dalle resistenze proprie della sua concupiscenza (Cf. Concilio Tridentino: Denz.-
Schönm. 1515). Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo “si collegano con tale più profondo squilibrio che è radi-
cato nel cuore dell’uomo” (Gaudium et Spes, 10). Nel campo del matrimonio ciò comporta che la realizzazione del signifi-
cato dell’unione coniugale, mediante il dono reciproco degli sposi, diventa possibile solo attraverso un continuo sforzo, che
include anche rinuncia e sacrificio. L’amore tra i coniugi deve infatti modellarsi sull’amore stesso di Cristo che “ha amato e
ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef. 5,2; 5,25). Gli approfondimenti circa la com-
plessità ed i condizionamenti della vita psichica non devono far perdere di vista tale intera e completa concezione
dell’uomo, chiamato da Dio e salvato dalle sue debolezze mediante lo Spirito di Cristo (Gaudium et Spes, 10 et 13); ciò so-
prattutto quando si vuole delineare una genuina visione del matrimonio, voluto da Dio come istituto fondamentale per la
società ed elevato da Cristo a mezzo di grazia e di santificazione».
93
Così afferma FRANCESCO, Lumen fidei, 53: «L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga
l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude (…). Essa fa scoprire una grande chiamata, la voca-
zione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento
si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità».
94
Cf. A. FABRIS, Filosofia del peccato originale, Milano 2008, 85.
20
se stesso il peccato e la morte, togliendo potere al demonio e incarnando in se stesso la vera agape, la
donazione e l’amore totale all’altro, nella dimensione della croce, come via per la vera libertà e felicità.
Egli, «avendo amato i suoi che erano nel mondo fino all’estremo e al compimento (eis telos)»95
dell’agape (Gv 13,1), cioè fino alla croce, è disceso agli inferi e ha fatto risorgere la coppia originaria,
prendendola per mano96, riconciliandola con il Padre e in se stessa97. Solo il suo Spirito, che ha la po-
tenza di cambiare il «cuore di pietra» in «cuore di carne» (cf. Ez 11,19; 36,26-27), è capace di «far vo-
lare» la coppia fino alle altezze dell’agape, verso cui essa tende dinamicamente e che è, in definitiva, la
stessa Santa Trinità.
Cristo, pertanto, redimendo l’uomo e la donna li conforma a se stesso in virtù della partecipazione al
mistero della sua passione, morte e risurrezione. L’adesione al mistero pasquale fa sì che l’immagine di
Dio sia nuovamente configurata nel suo retto orientamento verso la comunione trinitaria. Cristo è
l’immagine perfetta di Dio, e in lui l’umanità attraverso il battesimo riceve l’adozione filiale che per-
mette a ogni uomo di essere introdotto nel mistero della vita trinitaria. L’essere umano creato a imma-
gine del Creatore realizza pienamente la propria imago Dei nell’imago Christi attraverso il dono dello
Spirito Santo98. In tal modo, l’uomo e la donna chiamati in virtu del matrimonio a essere una sola car-
ne, possono realizzare una forma elevata di comunione tra le persone umane nel riflesso della comu-
nione trinitaria99.
Abstract
Il presente studio di antropologia teologica si fonda sull’analisi esegetica di Gen 3,1-7, operata tra-
mite un approccio psicologico, al fine riflettere su quanto accaduto nella coppia originaria, come para-
digma di ogni relazione storica di coppia. Il racconto del peccato originale, lungi dall’essere un mero
mito, racchiude una verità storica e meta-storica e rappresenta un paradigma di ciò che avviene in ogni
coppia. La realtà del peccato originale e delle sue conseguenze è così una realtà ontologica e paradig-
matica. Tale studio è volto a offrire una comprensione di quanto accade nella coppia, al fine di trarre,
alla luce della fede, suggerimenti pastorali diretti ad agire nei confronti dell’attuale «coppia storica» nel
suo cammino dall’eros all’agape, affinché sia aiutata a continuare il suo percorso così come voluto da
Dio, al momento della sua alleanza con gli sposi, realizzata nel sacramento del matrimonio.
Autori
Gentili Paolo, Professore associato di Psicologia clinica della Facoltà di Medicina presso
l’Università «La Sapienza» di Roma; professore invitato di Psicologia pastorale presso lo Studium
Theologicum Galilaeae (Israele)
Voltaggio Francesco Giosuè, Professore stabile di esegesi biblica presso lo Studium Theologicum
Galilaeae (Israele).
Lori Germano, Professore stabile di esegesi biblica presso lo Studium Theologicum Galilaeae (Israe-
le).
95
Il sintagma eis telos in Gv 13,1 può significare sia «fino all’estremo, fino alla fine» sia «fino al compimento, fino al tra-
guardo»: Gesù Cristo ci ha amato fino all’estremo dell’agape, cioè fino alla croce, ma anche fino al compimento dell’agape,
giacché in lui il cammino fino all’agape, fino alla donazione totale di sé, è pienamente compiuto; anche in questo senso,
Gesù Cristo è veramente il nuovo Adamo.
96
Cf. l’icona della Discesa agli Inferi nella tradizione bizantina.
97
Cf. GREGORIO DI NISSA, Oratio catechetica magna 37,2-3.
98
Vedi COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, n. 47.
99
Vedi COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, n. 39-40.