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Il cammino della coppia: dall’eros all’agape.

L’antropologia rivelata in Gen 3,1-7, alla luce di un’esegesi psicologica


P. GENTILI – F.G. VOLTAGGIO – G. LORI

Introduzione
Il presente studio di antropologia teologica si fonda sull’analisi esegetica di Gen 3,1-7 (con uno
sguardo all’intero capitolo 3 e ai due che lo precedono)1, operata tramite un approccio psicologico2, al
fine di meglio identificare quanto è accaduto nella coppia originaria, come paradigma di ogni relazione
storica di coppia.
La nostra ricerca, benché parziale e suscettibile di nuovi arricchimenti, intende contribuire alla co-
noscenza di un particolare momento evolutivo che la coppia attraversa e che innesca conseguenti soffe-
renze al suo interno, spesso «risolte» con il tradimento e la separazione. Tale approfondimento antropo-
logico e psicologico è così volto a offrire una comprensione di quanto accade, al fine di trarre, alla luce
della fede, suggerimenti pastorali diretti ad agire nei confronti dell’attuale «coppia storica»3 nel suo
sviluppo, affinché sia aiutata a continuare il suo percorso così come promesso e voluto da Dio, al mo-
mento della sua alleanza con la coppia, realizzata nel sacramento del matrimonio. Tale istituzione è og-
gi, più che mai, in crisi. Basti pensare all’istituzionalizzazione del divorzio, anche nella forma breve,
quasi immediata, denominata «divorzio express», al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto e del
matrimonio fra omosessuali, all’ideologia del gender, che giunge persino alla negazione
dell’importanza e dell’esistenza della differenza biologica tra maschio e femmina. Di fronte a tali sfide,
si avverte la necessità non solo di una chiara presa di posizione, ma anche di risposte e chiarimenti alla
luce della rivelazione e dell’antropologia cristiana. In questa sede desideriamo avvalerci, a tale scopo,
anche di studi nel campo della psicologia.
Lo studio della coppia coniugale, considerata come entità su cui si fonda la realtà metafisica e fisica
dell’essere e dell’esistere dell’uomo come persona umana4, risulta ancora aperto a nuove prospettive di
ricerca nell’ambito dell’«antropologia cristiana, arricchita con l’apporto delle scoperte fatte anche di
recente nel campo psicologico e psichiatrico»5. Da una parte, infatti, l’antropologia cristiana, con
l’ausilio di tali scoperte, «considera la persona umana in tutte le sue dimensioni: la terrena e l’eterna, la
naturale e la trascendente»6. Dall’altra, secondo un’«antropologia adeguata»7, l’essere umano si conno-
ta fin dall’inizio come una polarità maschio-femmina, cosicché la persona umana è un essere «uni-
                                                                                                                       
1
Nella presente ricerca si è tenuto conto non solo degli studi esegetici moderni, ma anche della tradizione ebraica e patristi-
ca, e delle recenti affermazioni del Magistero, con particolare riferimento alle riflessioni degli ultimi Pontefici. Queste ulti-
me costituiscono il punto di partenza della nostra indagine. Menzioniamo qui, in particolare, le Udienze Generali di Gio-
vanni Paolo II sulla famiglia (1979-1984), la Lettera Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI (2005) e le Udienze Gene-
rali di Papa Francesco sulla famiglia (2015). Sono state riportate anche alcune riflessioni espresse dai Pontefici menzionati
negli incontri con la Rota Romana, giacché particolarmente focalizzati sulla definizione teologico-pastorale dei problemi
che incontra oggi la coppia nel suo cammino.
2
Con il termine «psicologico» ci si riferisce, nella presente indagine, ai contributi della psicologia clinica e, in particolare,
della psicoanalisi della relazione.
3
L’espressione «coppia storica» è da intendere qui in senso analogo a quella di «uomo storico», usata da GIOVANNI PAOLO
II, Udienza generale, 26 settembre 1979; ID., Udienza generale, 30 aprile 1980; ID., Udienza generale, 9 dicembre 1981;
con essa non s’intende in nessun modo negare la storicità della coppia originaria, né tantomeno opporre la coppia originaria
a quella esistente nella storia; al contrario, si rimarca che «l’uomo “storico” porta in sé l’eredità del peccato originale»:
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 1 aprile 1981.
4
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 12 settembre 1979.
5
GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli officiali e avvocati del tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
6
GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli officiali e avvocati del tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
7
L’espressione è di GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 2 gennaio 1980, che la intende qui nel senso di «comprensione
e interpretazione dell’uomo in ciò che è essenzialmente umano».
  2
 
duale»8. In tal senso, esiste uno stretto nesso tra la coppia originaria e ogni «coppia storica», in modo
che lo studio della prima offre conoscenze che arricchiscono e convalidano gli approfondimenti circa la
complessità e i condizionamenti della vita psichica dell’uomo. Questi, secondo l’antropologia rivelata,
è interiormente ferito dal peccato e deve essere redento dal mistero pasquale di Cristo9. In tale ambito si
pone il presente articolo, che intende approfondire un momento fondamentale e fondante della storia
della prima coppia, rivelato in Gen 3, che riguarda l’evolversi del rapporto originario di coppia e che ha
importanti ripercussioni nella «coppia storica».
La Pontificia Commissione Biblica, nel documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, ha
riconosciuto che «psicologia e teologia non hanno mai cessato di essere in dialogo tra di loro» e che
«gli studi di psicologia e di psicanalisi apportano all’esegesi biblica un arricchimento, poiché, grazie a
essi, i testi della Bibbia possono essere meglio compresi in quanto esperienze di vita e regole di com-
portamento»10. Il presente contributo, seguendo tali linee-guida, intende fornire un approccio antropo-
logico-teologico a Gen 2-3, e, sul solco dell’antropologia rivelata, proporre una chiave di lettura per la
fede e la catechesi, arricchito dal ricorso al dialogo interdisciplinare tra esegesi biblica e psicologia, pur
nel rispetto dell’identità propria e delle frontiere specifiche di queste scienze.

Il progetto di Dio sulla coppia


In Gen 1,27 si afferma che «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e
femmina li creò». Quest’aspetto della creazione «a immagine e somiglianza» di Dio (cf. anche Gen
1,26) è stato molto discusso nella teologia. Non si tratta, qui, di esporre e analizzare le varie posizioni
teologiche sorte nel corso della storia della Chiesa. È importante, tuttavia, precisare che dal Concilio
Vaticano II è stata evidenziata la struttura trinitaria di tale immagine, facendo ricorso al concetto di
analogia. Si può riscontrare, afferma la Gaudium et Spes, una similitudine fra l’unità delle tre Persone
della Trinità da una parte, e la comunione che gli esseri umani sono chiamati a vivere con i propri simi-
li nella verità e nell’amore dall’altra. La vocazione dell’uomo è la comunione. Tutti gli uomini sono
chiamati a formare tra loro una sola famiglia e a trattare il prossimo come fratello (cf. GS 24).
Nell’ambito di tale progetto, la famiglia, come cellula fondamentale della società, svolge un ruolo cen-
trale, come afferma la Commissione Teologica Internazionale:

Se è certamente vero che l’unione tra gli esseri umani può realizzarsi in molteplici modi, la teologia cattolica
afferma oggi che il matrimonio costituisce una forma elevata di comunione tra le persone umane e una delle
migliori analogie della vita trinitaria. Quando un uomo e una donna uniscono il loro corpo e il loro spirito in
un atteggiamento di totale apertura e donazione di sé, formano una nuova immagine di Dio11.
                                                                                                                       
8
Così afferma GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), Città del Vaticano 1995, n. 7: «Femminilità e ma-
scolinità sono tra loro complementari, non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. È soltanto grazie alla
dualità del “maschile” e del “femminile” che l’“umano” si realizza appieno»; al n. 8, si definisce la relazione uomo-donna
come «unidualità relazionale». Cf. anche BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al convegno internazionale «Donna e
uomo, l’humanum nella sua interezza», 9 febbraio 2008, che usa l’espressione «unità-duale».
9
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli officiali e avvocati del tribunale della Rota Romana, 25 gennaio 1988.
10
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II e
Documento della Pontificia Commisione Biblica, Città del Vaticano 1993, 55. Sono ben noti i grandi progressi compiuti dalla
psichiatria e psicologia contemporanea. Va apprezzato quanto queste scienze moderne hanno fatto per chiarire i processi
psichici della persona, sia consci sia inconsci, e l’aiuto che danno, mediante farmacoterapia e psicoterapia, a molte persone
in difficoltà. Le grandi ricerche compiute e la notevole dedizione di tanti psicologi e psichiatri sono certamente lodevoli.
Non si può tuttavia non riconoscere che le scoperte e le acquisizioni nel campo puramente psichico e psichiatrico non sono
in grado di offrire una visione veramente integrale della persona, risolvendo da sole le questioni fondamentali che riguarda-
no il significato della vita e la vocazione umana. Certe correnti della psicologia contemporanea, inoltre, si muovono sotto
l’impulso di presupposti antropologici inconciliabili con l’antropologia cristiana. Da qui emergono le difficoltà e gli ostacoli
nel dialogo fra le scienze psicologiche da una parte, e quelle metafisiche ed etiche dall’altra.
11
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, Città
del Vaticano 2005, n. 39.
  3
 
L’unità della coppia è, dunque, alla base del progetto divino della comunione fra gli uomini. Questo
dato emerge chiaramente anche nell’Antico Testamento. Eva, infatti, è creata dalla costola di Adamo,
mentre questi è immerso in un sonno profondo. È carne della sua carne e ossa delle sue ossa, è un so-
stegno, un aiuto per l’uomo, o per usare un’espressione letterale, «davanti a lui»12, quasi come davanti
a uno specchio13 (cf. Gen 2,18-23). La comunione coniugale è così profonda che i consorti, in virtù
dell’unione matrimoniale, non sono più due, ma «una sola carne» (Gen 2,24; cf. anche Ef 5,31). Affin-
ché questo si realizzi, tuttavia, è necessario che l’uomo e la donna, nonostante le difficoltà insite
nell’imperfezione umana, mantengano la comunione con il loro Creatore e la fedeltà alla sua Alleanza.
L’alleanza coniugale che unisce l’uomo e la donna è, per di più, immagine di tale Alleanza che con-
giunge Dio e il suo popolo14.
La rivelazione del Sinai e le tavole della Legge si collocano, in tale ottica, come il cammino che Dio
offre all’uomo per mantenersi nella sua comunione e dirigersi verso un’unità più perfetta con il suo
Creatore e con i suoi simili. Tale percorso non è un giogo duro o un’imposizione esterna che annulla e
umilia in qualche modo l’uomo, rilegandolo a un secondo piano. I comandamenti del Signore, infatti,
non sono altro che il contenuto della sua rivelazione e quando Dio si rivela non fa altro che donare e far
conoscere se stesso. La dimensione del dono di sé è proprio la chiave del progetto divino. L’Alleanza
codificata nei comandamenti della Torah, pertanto, è il modo di essere del Creatore, il suo amore svela-
to nelle categorie dello spazio e del tempo, il cammino per vivere come egli vive. Essa ha come fine
ultimo quello di mantenere e dirigere l’uomo verso la comunione piena di vita con Dio15. È chiaro che
tale progetto rivelato già nell’Antico Testamento avrà il suo pieno compimento in Cristo16.

Il cammino della coppia


In Gen 2-3 si descrivono eventi nella storia della coppia, che sono stati oggetto di numerosi studi e
che possono ancora rivelare aspetti nuovi e profondi sulla storia della coppia stessa. In particolare, in
Gen 3, la comparsa del dialogo con il serpente può essere considerato come un evento fondante del
passaggio della coppia dallo stato originario d’innocenza a quello di «coppia storica»17. Tale distinzio-
ne è necessaria perché Adamo ed Eva godevano di doni particolari o, secondo il linguaggio della teolo-
gia classica, dei doni preternaturali18. Essi, ad esempio, non avevano la concupiscenza, cosa che invece
                                                                                                                       
12
Traduzione letterale dell’espressione ebraica ‘ēzer kenegdô, contenuta in Gen 2,18.
13
Anche il nome’īššāh («donna») che Adamo conferisce alla sua consorte, è un chiaro riferimento alla complementarietà
della prima coppia; in ebraico, infatti,’īššāh deriva da’îš («uomo»): cf. Gen 2,23.
14
Vedi GIOVANNI PAOLO II, Familiaris Consortio, Città del Vaticano 1981, n. 12; cf. Os 2,21; Ger 3,6-13; Is 54.
15
Cf. G. LORI, Il Discorso della montagna, dono del Padre (Mt 5,1-8,1), ReBib 18, Bologna 2013, 117-118.
16
Così afferma la COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, nn. 11-12: «Secondo il Nuovo Te-
stamento, l’immagine creata presente nell’Antico Testamento deve essere completata nell’imago Christi. Nello sviluppo
neotestamentario di questo tema emergono due elementi distintivi: il carattere cristologico e trinitario dell’imago Dei, e il
ruolo della mediazione sacramentale nella formazione dell’imago Christi. Poiché l’immagine perfetta di Dio è Cristo stesso
(2Cor 4,4; Col 1,15; Eb 1,3), l’uomo dev’essere a lui conformato (Rm 8,29) per diventare figlio del Padre attraverso la po-
tenza dello Spirito Santo (Rm 8,23). Effettivamente per “diventare” immagine di Dio è necessario che l’uomo partecipi atti-
vamente alla sua trasformazione secondo il modello dell’immagine del Figlio (Col 3,10), che manifesta la propria identità
tramite il movimento storico dalla sua Incarnazione alla sua gloria. Secondo il modello tratteggiato per primo dal Figlio,
l’immagine di Dio in ogni uomo è costituita dal suo stesso percorso storico che parte dalla creazione, passando per la con-
versione dal peccato, fino alla salvezza e al suo compimento. Proprio come Cristo ha manifestato la sua signoria sul peccato
e sulla morte attraverso la sua Passione e Risurrezione»; Ibid., n. 47: «Cristo ci conforma a se stesso tramite la nostra parte-
cipazione al mistero pasquale e riconfigura così l’imago Dei nel suo giusto orientamento alla beata comunione della vita
trinitaria. In questa prospettiva, la salvezza non è altro che una trasformazione e una realizzazione della vita personale
dell’essere umano, creato a immagine di Dio e adesso nuovamente rivolto a una partecipazione reale alla vita delle persone
divine, attraverso la grazia dell’Incarnazione e la dimora dello Spirito Santo».
17
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 26 settembre 1979.
18
I doni preternaturali sono l’integrità, l’immortalità, l’impassibilità e la scienza infusa. Lo stato dell’anima dei nostri pro-
genitori era, pertanto, diverso da quello dell’uomo e la donna dopo il peccato.
  4
 
è presente in ogni uomo. Dopo la caduta, infatti, la condizione d’innocenza originaria è perduta e la
possibilità di cadere nel peccato è certamente maggiore19. Nonostante tutto, si può pensare che, anche
per i nostri progenitori, Dio avesse avuto un progetto di divenire coppia, orientandoli verso una dimen-
sione di amore sempre più perfetto e simile a quello del suo Creatore («i due saranno un’unica carne»,
Gen 2,24). Si assiste, tuttavia, al passaggio a una fase di coppia nella quale compaiono la vergogna,
l’accusa e la paura. Questo comportamento è diverso da quello della coppia che si trovava nello stato
originario nel giardino dell’Eden. Tale differenza non è altro che la manifestazione degli effetti del
peccato (cosiddetto «originale») commesso dai due, dopo il dialogo con il serpente e la condivisione
della trasgressione del comando di Dio (mangiare del frutto dell’albero proibito). Esiste un passaggio al
peccato, ben descritto in Gen 3,1-7, che può essere considerato come prototipo, icona, che conferma e
rende esplicito, in un linguaggio simbolico, tale avvenimento.
Esiste, nella storia concreta di ogni unione coniugale, un cammino per diventare coppia, e in tale
percorso, durante la fase evolutiva della relazione, appare spesso la disponibilità all’ascolto del tentato-
re, il serpente, e al tradimento dell’alleanza con Dio e, come conseguenza, dell’alleanza coniugale.
Questa considerazione teologica può essere vista anche sotto l’aspetto di una riflessione antropologica
e psicologica sulla coppia. Molteplici studi al riguardo, infatti, confermano quanto rivelato nel testo
sacro.
In tale processo dinamico di cambiamento e di crescita della relazione d’amore20, è ineluttabile la
scoperta dell’altro come diverso dalle proprie proiezioni, caratteristiche dell’innamoramento o dei pri-
mi momenti della relazione a due. Compaiono, non di rado, periodi di delusione e di sofferenza, cui fa
seguito una ricerca di soluzioni. A tali problemi, il tentatore offre una scappatoia con l’intento di sedur-
re la coppia storica e di portarla al tradimento del patto coniugale di fedeltà a Dio e al patto di amore.
Da qui l’importanza di riconoscere all’interno del percorso vitale della coppia i suoi momenti di debo-
lezza, per aiutarla a resistere alle seduzioni della fuga verso un «terzo», con cui si distrugge l’unione
coniugale. In tal modo, si può rendere più concreta e reale quell’intuizione, spesso inconscia, che ha
caratterizzato il riconoscimento del coniuge come il vero aiuto per crescere come persona. Tale aiuto
alla coppia è oggi sicuramente difficile, perché deve opporsi alla cultura mondana, che non riconosce la
bontà della scelta che ha portato al matrimonio e facilita l’opera del seduttore, che propone vie di fuga
o altri modi di vivere l’amore21.

Coppia originaria e «coppia storica»  


La riflessione antropologica sull’uomo inizia, come visto, nei testi della Genesi (cf. Gen 1,27; 2,22-
25), che possono essere considerati anche come la presentazione di una sorta di archetipo della corpo-
                                                                                                                       
19
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 26 settembre 1979.
20
Cf. BENEDETTO VI, Deus caritas est, Città del Vaticano 2006, nn. 5-6.
21
La Chiesa conosce la sofferenza di vari nuclei familiari che si disgregano, lasciando dietro di sé le macerie di relazioni
affettive, progetti, attese comuni. Il giudice è chiamato a operare la sua analisi giudiziale quando c’è il dubbio sulla validità
del matrimonio, per accertare se ci sia un vizio d’origine del consenso, sia direttamente per difetto di valida intenzione, sia
per grave deficit nella comprensione del matrimonio stesso tale da determinare la volontà (cf. CIC, can. 1099). La radice
della crisi del matrimonio, infatti, è non di rado crisi di conoscenza illuminata dalla fede, cioè dall’adesione a Dio e al suo
disegno d’amore realizzato in Gesù Cristo. L’esperienza pastorale insegna che vi è oggi un gran numero di fedeli in situa-
zione irregolare, sulla cui storia la diffusa mentalità mondana ha avuto un forte influsso. Esiste, infatti, una sorta
di «mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa», e che «consiste nel
cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale» (FRANCESCO, Evangelii gaudium, Città
del Vaticano 2013, n. 93). Uno dei frutti di tale atteggiamento è «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa uni-
camente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare,
ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Ibid., n.
94). È evidente che, per chi si piega a un tale atteggiamento, la fede rimane priva del suo valore orientativo e normativo,
lasciando campo aperto ai compromessi con il proprio egoismo e con le pressioni della mentalità corrente, diventata domi-
nante attraverso i mass media.
  5
 
reità e della sessualità umana22. Le prime parole che compaiono nella creazione dell’uomo lo defini-
scono, infatti, come «maschio e femmina» (Gen 1,27) per cui l’uomo appare fin dal principio come
coppia, «l’uomo e sua moglie» (Gen 2,25). Tale coppia originaria può essere considerata come archeti-
po della coppia23 che, lungi dall’essere data sic et simpliciter, costituisce una realtà in divenire24, e che
riceve da Dio un orientamento verso la sua piena realizzazione, secondo le intenzioni del suo Creatore,
realizzazione promessa nelle sue parole (Gen 2,24: «E i due saranno un’unica carne») e fondamentale
per divenire pienamente «uomo» e «donna». Questo cammino è orientato verso l’amore pieno,
l’agape25.
La teologia afferma, quindi, l’esistenza di un cammino verso l’amore pieno, il che è riconosciuto
anche in ambito antropologico e psicologico26, ove è definito come «amore adulto». Con questo termi-
ne, si designa un amore che riconosce l’altro come distinto da sé (e quindi non proiezione dei propri
desideri), con il quale stabilire un rapporto del tutto particolare caratterizzato da intimità fisica e affetti-
va, comprensione reciproca, condivisione, capacità di giustificare e rispetto della dignità altrui27.
In questo cammino dell’amore nella coppia, sia quando questa si trova in una situazione d’innocenza
originaria, sia quando si trova nella situazione concreta dell’«uomo storico»28, è presente un percorso
caratteristico del «divenire coppia». Da ciò scaturisce la considerazione che la presenza di un cammino
dell’essere coppia è inevitabile all’interno della relazione di coppia e si realizza attraverso una serie di
                                                                                                                       
22
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 7 novembre 1979; ID. Udienza generale, 12 marzo 1980.
23
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 12 settembre 1979, afferma che «al mistero della sua creazione (“a immagine di
Dio lo creò”) corrisponde la prospettiva della procreazione (“siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”), di quel dive-
nire nel mondo e nel tempo, di quel “fieri” che è necessariamente legato alla situazione metafisica della creazione dell esse-
re contingente (“contingens”)»; si veda anche GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 12 dicembre 1979: «L’importante
(…) non è che queste esperienze (descritte nei primi capitoli della Genesi, ndr) appartengano alla preistoria dell’uomo (alla
sua “preistoria teologica”), ma che esse siano sempre alla radice di ogni esperienza umana». I primi capitoli della Genesi,
infatti, costituiscono un punto di riferimento per la metafisica, l’antropologia e l’etica dell’uomo.
24
Questo divenire è ulteriormente specificato nella definizione dell uomo come «essere uni-duale», nel quale, come afferma
BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 5, «spirito e materia si compenetrano a vicenda, sperimentando proprio così ambedue
una nuova nobiltà. Sì, l’eros vuole sollevarci “in estasi” verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo
richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni».
25
Così dichiara BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 6: «Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di
ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l’amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina?
Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici (…). Nel corso del libro, si trovano due paro-
le diverse per indicare l’“amore”. Dapprima vi è la parola “dodim” — un plurale che esprime l'amore ancora insicuro, in
una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola “ahabà”, che nella traduzione greca
dell'Antico Testamento è resa col termine di simile suono “agape” che, come abbiamo visto, diventò l'espressione caratteri-
stica per la concezione biblica dell’amore. In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo
esprime l’esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiara-
mente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza
della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca. Fa parte degli sviluppi
dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice sen-
so: nel senso dell'esclusività — “solo quest’unica persona” — e nel senso del “per sempre”. L'amore comprende la totalità
dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa
mira al definitivo: l’amore mira all’eternità. Sì, amore è “estasi”, ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma
estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé».
26
Per un approfondimento della dimensione psicologica dell’amore, e in particolare del cosiddetto amore come «mimesi
possessiva», cf. C.L. ROSSETTI, «Dimensioni del peccato originale. Nove tesi alla luce della letteratura recente», Filosofia e
teologia 26 (2012) 391-405.
27
Il concetto di «amore adulto», nello studio antropologico e psicologico dell’uomo e della coppia, conferma quanto affer-
mato nelle Sacre Scritture e negli scritti dei Padri della Chiesa. Chiaramente, tra le qualità umane proprie del rapporto
d’amore non può essere presente l’esperienza spirituale e concreta del perdono reciproco come la Chiesa intende e che si
fonda sull’azione dello Spirito nel battezzato.
28
Con questo termine ci si riferisce allo «stato storico», che «affonda le sue radici nella sua propria “preistoria” teologica,
che è lo stato dell’innocenza originaria»: GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 26 settembre 1979; cf. anche sopra, n. 3.
  6
 
passaggi, volti ad aprirsi e ad arricchirsi sempre più nella dimensione dell’agape. Questa visione dina-
mica del «divenire coppia» è ben presente negli studi sulla relazione coniugale, che hanno colto il suo
dispiegarsi nel tempo in fasi diverse. Queste ultime, tutte insieme, definiscono la storia dell’amore co-
niugale come «ciclo vitale della coppia». In tale storia, esiste un momento, che segue spesso quello ini-
ziale dell’innamoramento, nel quale i due coniugi o uno più dell’altro, prendono consapevolezza del
passaggio dalla fase del puro desiderio e confusione con l’altro a quello della percezione più reale
dell’altro, e della comparsa di bisogni o desideri più profondi, che emergono nello sviluppo della vita
coniugale. Nella transizione da una fase d’innamoramento a una di amore più reale, compare la delu-
sione delle precedenti attese egosintoniche e la solitudine non risolta dall’altro, che si guarda con un
cuore nuovo e che è visto nella sua alterità. Questo momento è cruciale, come ogni tempo di crisi e di
passaggio da una fase a un’altra dell’amore di coppia, poiché i modi di risolverlo connoteranno la storia
successiva della coppia stessa.

La tentazione: l’ingresso del «terzo» nella relazione di coppia


Il cammino verso la realizzazione dell’amore adulto da parte dei nostri progenitori è interrotto im-
mediatamente dopo la descrizione della creazione dell’uomo e della donna (Gen 1,27-29; 2,18-25). Gen
3 inizia introducendo nel racconto biblico un momento che, d’ora in avanti, dovrà essere tenuto sempre
in debita considerazione per comprendere il percorso della coppia storica nel passaggio da una relazio-
ne di eros a quello di una successiva tappa nella relazione che, nella nuova alleanza, avrà come fine e
culmine l’agape. Il testo sacro presenta uno scenario in cui agiscono tre personaggi: il serpente, la don-
na e l’uomo.
Riguardo al serpente, oltre quanto si ricava dal retrofondo mitologico dell’Oriente antico29 e dalle
interpretazioni bibliche, questo personaggio presenta alcuni aspetti che possono riferirsi più direttamen-
te al suo ingresso, attraverso il dialogo con Eva, nella relazione della coppia e di quest’ultima con Dio.
Da una parte, esso è portatore di un simbolo di giovinezza perenne, d’immortalità, di fecondità (a causa
del suo mutare pelle) ed evoca già una serie di caratteristiche che affascinano l’uomo, benché non sem-
pre dipendenti dal Creatore, quanto piuttosto da una ricerca idolatrica di aspetti della vita che attraggo-
no l’uomo stesso. D’altra parte, il serpente in Gen 3,1, è definito dal termine ebraico ‘ārûm, che
nell’AT ha il significato di «astuto, scaltro, saggio per il male» (cf. Gb 5,12; 15,5), ma anche di «accor-
to, prudente» (cf. Pr 12,16; 13,16)30. Con queste caratteristiche, il serpente si presenta a Eva come ca-
pace di seduzione (cf. 2Cor 11,3): le sue qualità sono sicuramente attraenti.
Il serpente inizia allora un dialogo, vale a dire, entra nella sfera relazionale di Eva31. Si può pensare
che la donna, nel momento in cui accoglie nel suo cuore la tentazione del serpente e il peccato, inizi a
percepire con uno sguardo diverso il complesso di relazioni con il suo coniuge e il mondo circostante.
Il peccato originale non è un atto puntuale. L’azione esterna della trasgressione è il frutto di un percor-
so, ossia, di una progressiva adesione del cuore alle parole del serpente. Esso, infatti, non poteva pro-
venire dal cuore essendo i nostri progenitori in uno stato d’innocenza, poteva, tuttavia entrare in esso a
causa dell’adesione alle parole del tentatore. Il peccato è accolto e concepito nel cuore ancor prima di
trasformarsi in un atto esterno. Proprio in questo momento, ossia quando il peccato entra nel cuore di
Eva, il rapporto con Adamo, con il creato e quindi con Dio può apparire ai suoi occhi, come qualcosa
che non la soddisfa più totalmente. La donna si allontana lentamente dalla luce della Parola di Dio per
entrare nella nebbia e nell’offuscamento dei ragionamenti del tentatore. Ciò adombra lo sguardo inizia-
                                                                                                                       
29
Per una sintesi della figura del serpente nei miti dell’Oriente antico, cf. G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale.
Analisi retorica di Gen 3,1-8», in R. Meynet – J. Oniszczuk, ed., Studi del quarto convegno RBS. International Studies on
Biblical and Semitic Rhetoric, ReBibSem 5, Roma 2015, 34-35.
30
Cf. G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 35.
31
Anche AMBROGIO, De paradiso 12,54, rileva che il serpente ha ordito la sua trama non attaccando direttamente Adamo,
bensì approfittando della donna, che non aveva ascoltato direttamente il comando da Dio, come Adamo.
  7
 
le d’innocenza e di purezza della donna. È evidente che per giungere alla trasgressione esterna del pre-
cetto, Eva debba in qualche modo prendere, prima o poi, le distanze da colui che è chiamato a essere
una sola carne con lei. Il tentatore la vuole indurre proprio su tale cammino. Si può notare, infatti, che il
serpente modifica il comandamento che il Signore aveva formulato al singolare («dell’albero della co-
noscenza del bene e del male non devi mangiare», Gen 2,17), enunciandolo al plurale («non ne dovete
mangiare»). Quest’aspetto che può sembrare di secondaria importanza, in realtà è molto indicativo. Il
plurale, infatti, insinua l’idea della dicotomia, della separazione e della possibilità di contrapposizione
all’interno della coppia creata con il fine di essere una sola carne. Tutto ciò, semplicemente, si oppone
al progetto iniziale di Dio.
L’inganno del serpente comincia, pertanto, con un dialogo solitario tra lui e la donna. L’uomo è il
«grande assente»32: il seduttore s’insinua tra i due, attentando fin dall’inizio all’«unità originaria»,
l’«unità duale» che, come detto, costituisce l’essenza dell’essere umano. Il dialogo pare innocuo, giac-
ché comincia con una semplice domanda da parte del tentatore. In realtà, tale domanda contiene, sin
dall’inizio, una chiara menzogna, perché il serpente «è menzognero» fin dal principio (cf. Gv 8,44):
egli attribuisce a Dio la proibizione di mangiare di tutti gli alberi del giardino, mentre questa, secondo
le parole di Dio, riguardava solo un albero. Inoltre, il serpente insinua in Eva il dubbio sulla bontà di
Dio, che avrebbe posto un limite ingiusto alla coppia originaria: se egli ha proibito di mangiare di un
solo albero è come se avesse proibito di mangiare di tutti gli alberi del giardino!33 L’errore di Eva con-
siste nel rispondere al serpente, e accettare, di fatto, di entrare in dialogo con lui. In effetti, anche Eva,
nella sua risposta, non riporta il comando di Dio nella sua integrità, quando dichiara che egli avrebbe
proibito perfino di toccare l’albero (Gen 3,3), mentre, in realtà, aveva proibito solo di mangiarne del
frutto34.
In tal modo, la donna rende più rigida la proibizione, il che indica già, psicologicamente, un forte
desiderio e un’attrazione fatale e crescente verso l’oggetto proibito. Dal punto di vista psicologico, in-
fatti, l’intenzione di rafforzare il divieto può implicare il desiderio nascosto di trasgredirlo, di modo
che, per così dire, più il frutto è proibito, più è attraente, analogamente a quanto si afferma in Pr 9,17:
«Le acque furtive sono dolci, il pane preso di nascosto è gustoso». Tale idea è ben espressa, nella tradi-
zione ebraica, nell’interpretazione del Midrash Genesi Rabbah 19,3:

«Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino [...] non lo dovete toccare», (com’è detto) nel libro dei
Proverbi: «Non aggiungere nulla alle sue parole, perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo» (Pr 30,6).
R. Hiyya soggiunse: «Non fare un recinto di là da ciò che è la cosa principale, affinché esso non cada e abbat-
ta le piante». Inoltre, il Santo, benedetto Egli sia, aveva detto: «Nel giorno in cui tu ne mangerai...» (Gen
2,17). Lei, tuttavia, non disse esattamente così, ma (disse): «Dio ha detto: “Non ne mangerete e non lo toc-
cherete”». Non appena (il serpente) la vide passare davanti all’albero, la prese e la spinse contro di esso. «Ec-
co non sei morta» (le disse): così come non sei morta toccandolo, non morirai quando mangerai di esso»35.

                                                                                                                       
32
Agli interpreti ebrei non è sfuggito il particolare che la donna sia stata lasciata sola nel momento della tentazione. Gen
2,16 afferma che il precetto fu dato ad Adamo. I rabbini, pertanto, si chiedono, a buon diritto, dove fosse l’uomo mentre il
serpente tentava Eva. Secondo un’interpretazione, si trovava in giro per il mondo; secondo Abba Halfon b. Koriah, invece,
«si era intrattenuto nei rapporti sessuali e poi fu preso dal sonno» (GenR 19,3; qui e nel resto dell’articolo, le traduzioni dai
testi ebraici sono nostre). Entrambi i detti pongono l’accento sull’assenza di Adamo, colpevole non essersi preso cura della
sua consorte.
33
Così si afferma in G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 42: «L’insinuazione del serpente produce (...)
un’associazione che avviene nel subconscio ed è tanto ambigua quanto efficace: se non può mangiare dell’albero della co-
noscenza del bene e del male, è come se non potesse mangiarne di nessun albero».
34
Secondo E. DREWERMANN, Psicanalisi e teologia morale, Biblioteca di Teologia Contemporanea 70, Brescia 1997, 85,
Eva «è assalita da un’angoscia tale da essere in grado di ripetere il comandamento divino solo in forma disperatamente esa-
gerata».
35
In PRE 13,3, il serpente, benché non spinga fisicamente la donna contro l’albero, la istiga a toccarlo, dopo averle mostrato
che lui stesso può toccare l’albero senza morire.
  8
 

Come suggerisce R. Hiyyah nella sua interpretazione, la relazione tra il serpente ed Eva inizia, con
un’azione del tentatore, che, quando vede Eva passare davanti all’albero, la spinge verso di esso. Il ser-
pente le fa sperimentare in questo modo, che, toccando l’albero, non muore. Questo significa, quindi,
che potrà mangiare tranquillamente del suo frutto senza che si realizzi contro di lei la minaccia conte-
nuta nel precetto36. Questo primo contatto con la seduzione del male è quello che si riscontra nel com-
portamento psicologico dell’uomo, nel momento in cui si avvicina all’oggetto del peccato e il desiderio
di trasgressione si trasforma in un’illusione di onnipotenza. Tale abbaglio crea una falsa sicurezza che
lo spinge verso l’azione.
Eva è interessata a un albero diverso da quello riguardo al quale si presuppone che Adamo l’abbia
informata con riferimento al divieto divino. In Gen 2,17, la proibizione ricevuta e trasmessa a Eva ri-
guarda l’albero della conoscenza, mentre la donna fa riferimento all’«albero che sta in mezzo al giardi-
no», cioè all’albero della vita. In tal modo, Eva può dire di non tradire Adamo e i suoi avvertimenti.
Nello stesso tempo, è interessante notare che quello che può sembrare un errore della donna rivela un
interesse della stessa per la vita, aspetto che, tra i due, interessa più a Eva37. In conclusione,
quest’esperienza di vicinanza alla trasgressione, all’albero proibito, verso cui la donna è spinta dal se-
duttore, ottiene lo scopo di rassicurare Eva38 che il percorso verso la trasgressione non distrugge la per-
sona che tradisce e fa balenare in lei la possibilità di tradire senza morire né distruggere il legame con
Dio e quello di coppia.

L’invidia del seduttore e la tentazione rivolta alla donna


In seguito, il serpente continua il suo dialogo, ammantato di falsa sapienza, che non sarà oggetto di
analisi in questa sede39. Qui si vogliono solo rilevare, da una parte, i motivi che spingono il serpente a
distruggere la coppia originaria e, dall’altra, con quali argomenti, non sempre espliciti, esso s’introduce
nella mente e nel cuore di Eva. Sono, infatti, questi due aspetti che caratterizzano nella vita della coppia
l’inizio della tentazione/seduzione da parte di un «terzo»40 e definiscono l’inizio del processo di sepa-
razione all’interno della stessa.
Il primo motivo per cui il serpente agisce in tal modo si deduce da quanto si dice nell’AT: il serpen-
te, che, nella tradizione biblica, sarà in seguito identificato con il diabolos, il «divisore», agisce per
«invidia» (cf. Sap 2,24)41. Tra i molteplici aspetti di questo sentimento, accompagnato dalle considera-
zioni cognitive circa il confronto tra sé e l’altro oggetto dell’invidia, si rilevano in particolare due
aspetti: il desiderio di distruggere l’altro, perché non è come il soggetto invidioso42, e il desiderio di
essere o diventare come l’altro è e come il soggetto invidioso non è. Tale invidia si traduce in un com-
                                                                                                                       
36
Secondo EFREM, In Genesim 2,20, il serpente ha spinto Eva a guardare l’albero, affinché fosse sedotta dalla sua bellezza.
37
Cf. G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 43.
38
Come spesso avviene nel momento d’invito a trasgredire il contratto di coppia sottoscritto al momento del matrimonio, il
tentatore s’introduce nel mondo affettivo della persona, seducendola con tecniche relazionali che rassicurano e rimuovono
le paure e le colpe rispetto a quanto già sta accadendo (adulterio del cuore e della mente).
39
Cf. G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 39-41.44-45: nell’interpretazione targumica e midrashica, si rileva
l’inganno del serpente che illude Eva con un discorso sull’ingiustizia di Dio e sulla possibilità di cercare la vita seguendo il
proprio giudizio, senza per questo morire o distruggere il rapporto con Dio e nella coppia stessa.
40
Nell’ambito della psicoanalisi relazionale, come «terzo» si designa una persona, un oggetto o un’attività cui il soggetto
considerato si rivolge per la soddisfazione del suo desiderio o per trovare la soluzione alla propria sofferenza, ma che spesso
soddisfa solo parzialmente i desideri dello stesso: cf. l’opera di S.A. MITCHELL, Il modello relazionale. Dall’attaccamento
alla intersoggettività, Milano 2002.
41
Cf. mAv 2,10; G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 36; S. PETROSINO, «L’intenzionalità di Satana e
l’autocondanna dello sguardo», Communio 118 (1991), 84-93.
42
Già AGOSTINO, De natura et gratia 29,33, applica finemente tale meccanismo psicologico a Gen 3 e afferma che il diavo-
lo, preso da invidia perché Adamo non era caduto come lui, «lo sgambettò» per farlo cadere con il medesimo peccato in cui
egli era caduto!
  9
 
portamento omicida («egli è stato omicida fin dal principio», Gv 8,44a; cf. anche Gc 4,2) e rappresenta
un sentimento di mancanza (del tipo: «io non sono come te o come vorrei essere!»), un desiderio di
completare tale mancanza e un comportamento di conquista e di possesso per affermare il proprio esse-
re o per distruggere l’oggetto dell’invidia. A questa complessità di sentimenti, idee e azioni verso
l’oggetto invidiato, si fa riferimento nella Scrittura43 e nella letteratura patristica44.
La tradizione ebraica pone l’accento sull’invidia del serpente, dovuta allo stato eccelso di Adamo45,
oppure dal desiderio di provare ciò che la coppia, e in particolare Adamo, sperimentava nel rapporto
affettivo46 e sessuale47: il tentatore sarebbe così geloso dell’amore e dell’unità della coppia. L’invidia
da parte del serpente si esprimerebbe, quindi, nel desiderio di usare Eva per il proprio piacere, così co-
me avviene spesso all’inizio di una proposta di tradimento da parte di un seduttore, che si avvicina alla
donna con l’intento di provare un proprio piacere egoistico di consumo della donna stessa. Così,
l’invidia attiva il desiderio (nell’accezione di «concupiscenza») in chi non pone Dio come fonte e
obiettivo dei propri desideri di felicità48. La «concupiscenza degli occhi», come avviene in chi è attirato
da un bene che non gli appartiene, in questo caso Eva, si traduce in «concupiscenza della carne» e nel
cercare di realizzare tale desiderio in una relazione che si spera a proprio favore. Il serpente, sempre
nella tradizione midrashica, è, infatti, rappresentato simile all’uomo49 e appare a Eva in quello splendo-
re che è proprio di Satana, che «si maschera da angelo di luce» (2Cor 11,14).
Il secondo aspetto che caratterizza l’incontro del serpente con Eva, quale membro della coppia, ri-
siede nella persona stessa scelta dal serpente, cioè nella stessa Eva. Quest’ultima appare come sostegno
per Adamo, vale a dire, come «un aiuto che gli corrisponda» (Gen 2,18)50. Tra i due, maschio e femmi-

                                                                                                                       
43
Cf., ad es., Gen 37,11; Sal 106,16; Pr 14,30; Qo 4,4; Mt 27,18; Mc 15,10; At 7,9.
44
Sull’invidia di Satana nella letteratura patristica, si veda l’opera di I.M. SANS, La envidia primigenia del diablo según la
Patristica primitiva, Oña 1963; cf. anche H.U. VON BALTHASAR, Le persone del dramma: l’uomo in Cristo, Milano 1983,
452-453.
45
In ARN A 1,10 si afferma che il serpente vide il primo uomo, «contemplò la sua gloria e fu geloso di lui»; cf. anche 2En
29,4-6; 31,3; AdEvGr 16. Secondo una parte della tradizione, la stessa ribellione degli angeli fu dovuta alla loro invidia ver-
so Adamo: cf., ad es., tSot 6,5; PRE 13,1-2. Tale tradizione è antica e ricorre anche nella letteratura apocrifa: cf., ad es., 2En
(sl.) 11,73-76; 3En (eb.) 4,6ss; AdEvLat 12-17. Per una recente sintesi circa l’invidia del serpente verso la prima coppia nel-
la nella letteratura apocrifa e rabbinica, cf. R. ALDMAN, The Return of the Repressed. Pirqe de-Rabbi Eliezer and the Pseu-
depigrapha, Leiden 2009, 71-94. Anche i Padri della Chiesa rimarcano che la causa dell’invidia del serpente fu la beatitudi-
ne dell’uomo nell’Eden: cf., ad es., AMBROGIO, De paradiso 12,54; MASSIMO IL CONFESSORE, Questiones ad Thalassium,
prolog.; GREGORIO DI NISSA, Oratio catechetica magna 6.
46
Cf. ApAbr 23,3-8, dove si riporta che «uno con l’apparenza di serpente» tenta «i due che aveva visto abbracciati».
47
Cf., ad es., GenR 18,6, che riporta la seguente interpretazione di R. Yehoshua b. Karhah su Gen 3,21: «(Il versetto) ti in-
segna per quale colpa insorse contro di loro quella malvagia creatura: poiché li vide impegnati nelle loro funzioni naturali,
concepì una passione per lei (Eva)»; cf. anche tSot 4,17-18; GenR 20,5. Secondo TgPsJ, il diavolo tentatore è Sammael,
l’angelo della morte (cf. TgPsJGen 3,6), che fu anche il padre di Caino, come si dice in TgPsJGen 4,1: «Adamo conobbe
Eva, sua moglie, che aveva concepito da Sammael, angelo del Signore, e concepì e diede alla luce Caino. Ed ella disse: “Ho
acquistato come uomo l’angelo del Signore”». Così, tra l’altro, si spiega l’origine di Caino: egli è figlio del demonio! Tale
tradizione potrebbe essere antica, poiché in 1Gv 3,12 si nota che Caino «era dal maligno»: cf. J.W. BOWKER, The Targums
and Rabbinic Literature. An Introduction to Jewish Interpretations of Scripture, Cambridge 19792, 132; M. PÉREZ FERNÁN-
DEZ, Tradiciones mesiánicas en el targum palestinense. Estudios exegéticos, EMISJ 12, Valencia – Jerusalén 1981, 50-52;
R. LE DÈAUT, The Message of the New Testament and the Aramaic Bible (Targum), SubBi 5, Rome 1982, 40-42; circa le
tradizioni su Sammael, si veda G. STEMBERGER, «Samael and Uzza: Zur Rolle der Dämonen im späten Midrasch», in ID.,
Judaica Minora II, TSAJ 138, Tübingen 2010, 602-623.
48
La definizione dell’invidia nell’attuale prospettiva psicologica fa riferimento al «desiderio di essere».
49
In GenR 29,1, R. Hoshaya il Grande afferma riguardo al serpente: «Egli stava in piedi eretto come una canna fra gli ani-
mali, stava ritto come una canna e aveva i piedi».
50
Eva è per Adamo l’aiuto in cui «specchiarsi», riconoscere se stesso, mediante la presenza dell’altro (nel significato di
«diverso da sé», ma anche «simile a sé» e quindi «specchio di sé»), e riconoscere l’altro, la donna, come simile a sé (fatta a
propria immagine e somiglianza, pur nella diversità mascolinità/femminilità), a tal punto che è possibile che i due siano una
sola carne (Gen 2,24); cf. FRANCESCO, Udienza generale, 15 aprile 2015; così ID., Udienza generale, 22 aprile 2015:
  10
 
na, esiste un livello profondo di comunicazione come può essere una comunicazione empatica o
d’identificazione proiettiva tra due persone51, cioè tra due esseri che presentano una somiglianza di na-
tura. È interessante notare che sia l’AT che il NT hanno posto in evidenza come sia la donna per prima
ad essere tentata e ad iniziare il percorso verso il tradimento nei confronti di Dio52. Il racconto di Gen 3
non è da intendere in chiave maschilista53, ma evidenzia probabilmente il ruolo primario della donna
nella difesa o nella distruzione della relazione di coppia e con Dio.
Che cosa cerca Eva nella sua esistenza, per cui le interessa la proposta del serpente? L’argomento
principale che il serpente porta nel dialogo con Eva, riguarda l’idea del morire. Questa è percepita da
Eva come limite ed è già noto a lei per precetto che Dio aveva posto nei riguardi del mangiare
dall’albero della conoscenza del bene e del male (cf. Gen 2,17). Il serpente, infatti, in modo astuto, rie-
sce a far ricadere tutta l’attenzione della donna sul divieto, facendolo apparire come una frontiera che
circoscrive la propria libertà, un limite alla propria autorealizzazione. Il processo psicologico è tanto
semplice quanto efficace. Il tentatore, infatti, eclissa la parte positiva del comandamento («tu potrai
mangiare di tutti gli alberi del giardino…», Gen 2,16). La proibizione, in questo modo, diventa il centro
focale dell’interesse provocato e il limite appare come un’ingiustizia che contraddice il piano originario
del Signore, ossia, voler condurre l’uomo alla comunione piena con Lui. La donna, infatti, è distratta
dalla grandezza dei doni ricevuti da Dio. Tutto passa in secondo piano: il dono della vita, quello del
consorte, l’essere stata collocata in un giardino che produce spontaneamente i suoi frutti, e, in definiti-
va, la possibilità di poter mangiare di tutti gli altri alberi del giardino54.
Il discorso sul limite della persona, immagine di tutti i limiti posti dall’esistenza e in essa, attiva in
Eva il dubbio sulla bontà di Dio. Se Dio limita l’uomo – suggerisce il tentatore – è perché, in fondo,
non lo ama ed è geloso di lui. Qui si può intravedere un fine meccanismo psicologico: chi ha un difetto
tende sempre ad attribuire all’altro lo stesso difetto. Così, il serpente, invidioso del Creatore e
dell’amore della coppia, cerca di dividerla accusando Dio di essere geloso e rivale dell’uomo. Dio, se-
condo la proposta del seduttore, ha dato il comando perché è malvagio e non vuole che l’uomo diventi
simile a lui. Il tentatore si presenta, in tal modo, vittima dell’ingiustizia di Dio (anch’egli non è come
Dio!) e desidera coinvolgere Eva. Il meccanismo principe della seduzione, com’è noto, è quello
dell’empatia o della compassione: il seduttore si pone nella medesima situazione del sedotto, facendosi
vittima della stessa ingiustizia.
Le suggestioni che il serpente presenta a Eva sono principalmente il dubbio sulla bontà del Creatore
e la necessità, per essere felice, di essere come Dio. In particolare, quest’ultima suggestione appare di
una sottigliezza veramente diabolica, giacché fa leva su ciò che caratterizza l’essenza e la vocazione
dell’uomo55: il suo desiderio di essere, vale a dire, la sua naturale tensione verso l’Assoluto, verso la

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
«Quando finalmente Dio presenta la donna, l’uomo riconosce esultante che quella creatura, e solo quella, è parte di lui: “os-
so dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2,23). Finalmente c’è un rispecchiamento, una reciprocità».
51
Com’è esplicitato, ad es., in Ct 2,16; 6,3.
52
Cf. 1Tm 2,14; 2Cor 11,3.
53
Anzi, si potrebbe notare che a far cadere la donna è necessaria l’astuzia del serpente, mentre a far cadere Adamo è suffi-
ciente l’invito della donna!
54
Così afferma A. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, I,
Gen 1,1-12,4, Testi e commenti, Bologna 2008, 69: «Innanzitutto, il serpente riporta solo la parte negativa dell’ordine di
Adonai Elohim, quella che pone il limite (“non mangerete”). Non fa quindi nessuna allusione al dono iniziale di “ogni albe-
ro del giardino”. In questo modo, nella sua bocca, l’albero proibito occupa tutto il posto e diventa esattamente l’albero che
nasconde la foresta di tutti quelli che sono stati donati. Così, il serpente fa sparire l’elemento che invita, o addirittura inco-
raggia, a interpretare il precetto come segno dell’amore discreto di un Dio bene intenzionato. Senza il dono, infatti, la parola
divina è solo una legge che proibisce di mangiare e di godere, cioè, di vivere».
55
Ben nota è la definizione di «uomo» di J.-P. SARTRE, L’être et le néant. Essai d’ontologie phénoménologique, Paris
195030, 653-654: «L’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio».
  11
 
comunione con Dio, desiderio e tensione che questi ha posto nel cuore dell’uomo e comunione a cui lo
vuole condurre56.
Eva, dal canto suo, continua il dialogo con il seduttore invidioso, condividendone le suggestioni, e
così instaura un feeling con lui: il sedotto s’identifica con la figura del seduttore. Così, Eva comincia a
essere invidiosa di Dio e del suo status, a percepire Dio come un rivale che è geloso della sua creatu-
ra57, e desidera prendere il suo posto. In tal modo, la donna si fa «dio» di se stessa, decidendo autono-
mamente cos’è bene, cercando di attuare il desiderio di essere al di fuori dell’Essere, che ha ormai
escluso dal suo orizzonte58. In questo consiste tutta la tragedia della caduta originale e del conseguente
stato esistenziale dell’uomo: cercare di essere, avendo tagliato le radici con l’Essere. La donna, quin-
di, crede alla «catechesi» del maligno, trovandosi in sintonia e in intesa con il suo discorso59, e ciò pro-
voca in lei la distruzione dell’immagine di Dio come un Padre buono. Così, Eva «taglia» le radici con
Dio, con l’Essere: comincia ad avere paura della morte e del non-essere60.

L’inizio della crisi nella coppia


Come mai Eva risponde adeguandosi alle provocazioni poste dal serpente? Nel NT, Gesù Cristo af-
ferma chiaramente che ciò che rende immondo l’uomo non è ciò che entra, ma ciò che esce dal suo
cuore (cf. Mt 15,18-20). Questa chiave di lettura del comportamento umano e, quindi, anche di Eva,
permette di considerare come le parole del serpente, benché entrate dal di fuori nella mente di Eva, di
per sé non hanno il potere di trascinare Eva verso la trasgressione. Le parole del serpente, come sedut-
tore, costituiscono solo la proposta di un cammino diverso per ottenere la felicità, affinché Eva scelga
di tradire Dio, giacché, all’interno del suo cuore, ha piena libertà di agire ed è lei stessa, in definitiva,
che ha il potere di decidere. Si può ritenere che le parole del tentatore, accolte dalla donna,
nell’esercizio del proprio libero arbitrio, fanno concepire nel suo cuore il desiderio di scegliere la via
dell’auto-emancipazione, sollecitata dal miraggio di poter «essere come Dio»61. La donna aderisce alla
trasgressione del comando di Dio e avviene, in tal modo, una collusione tra i desideri di due esseri:
quello del serpente, che intende impossessarsi di Eva, e quello di lei stessa, che desidera uscire dalla
figliolanza limitante e che ora inizia a vivere in modo malevolo nei confronti di Dio.
                                                                                                                       
56
AGOSTINO, De civitate Dei 14,13, ha notato come il diavolo tenti Adamo ed Eva tramite il desiderio di essere come dèi,
desiderio che Dio avrebbe certamente colmato, se essi non avessero intrapreso il cammino della disobbedienza e
dell’autosufficienza; cf. anche J.-C. LARCHET, Terapie delle malattie spirituali. Un’introduzione alla tradizione ascetica
della Chiesa ortodossa, Cinisello Balsamo 2003, 5.15.38, e i riferimenti patristici ivi citati; così egli afferma a p. 38: «Ciò
che il serpente proponeva ad Adamo ed Eva, era di diventare “come dèi (…)” (…), cioè altri dèi, indipendentemente da Dio,
ossia di essere dèi senza Dio. Adamo cedendo alla suggestione del Maligno, volle così farsi Dio da se stesso, autodeificarsi:
è in questo che consiste il suo peccato».
57
Secondo A. WENIN, L’homme biblique. Lectures dans le premier Testament, Paris 20042, 53, proprio questo è stato il
peccato dei nostri progenitori: aver visto in Dio un rivale.
58
Cf. ATANASIO D’ALESSANDRIA, De incarnatione Verbi 4.
59
È interessante rilevare che, in Gen 3, il serpente ed Eva, sono portatori ambedue di due sentimenti, l’invidia e la paura.
Essi colludono tra di loro e si soddisfano a vicenda. Ciò può essere considerato come l’attuazione di una profonda intesa,
come avviene nella relazione sessuale. Così, tra i due, come nell’esperienza dell’adulterio (non a caso, come visto sopra, n.
47, secondo la tradizione ebraica, Sammael, il tentatore, ed Eva, si uniscono anche sessualmente), il rapporto sessuale tra il
seduttore e la persona sedotta sono frequentemente espressione di un agito tra i due, che intendono realizzare nell’atto ses-
suale la seduzione reciproca.
60
La tradizione ebraica pone l’accento sul sentimento di paura della morte che prova Eva: ad es., in TPsJGen 3,6 si dice che
«la donna vide Sammael, l’angelo della morte, ed ebbe paura». Da ciò si deduce che, secondo il targumista, la donna abbia
trasgredito il comando di Dio per paura della morte; cf. G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 39-41.
61
EFREM, In Genesim 2,16, giunge perfino ad affermare che, anche se il tentatore non si fosse presentato, la vista dell’albero
avrebbe turbato ugualmente Adamo ed Eva, a causa della loro avidità, per cui quest’ultima fu più nociva a essi della sedu-
zione del serpente. Essi, secondo tale interpretazione, sarebbero stati tentati dal loro stesso desiderio, che li avrebbe così
predisposti ad ascoltare la tentazione del serpente. Anche AGOSTINO, Contra Iulianum, 5,4,17, pone l’accento sul fatto che
dall’anima «è derivato il consenso alla trasgressione».
  12
 
Tale rinnegamento, da parte di Eva, può essere figura di quanto accade nell’ambito della coppia cri-
stiana, come anche di quella costituitasi su valori umani, quali la fedeltà al coniuge e l’unione coniuga-
le. Nella storia della coppia, ferita dal peccato, sopravvengono necessariamente, per le caratteristiche
stesse del rapporto coniugale, che ha insito l’impulso a crescere verso una sempre più perfetta commu-
nio di amore, dei momenti di crisi. Questi costituiscono delle occasioni per il passaggio da uno stadio
di qualità di amore a una fase di maggiore realizzazione dello stesso, oppure di abbandono
dell’esperienza di amore verso il coniuge, a favore di un ritorno all’esperienza di singolo, che afferma e
ricerca la soddisfazione dell’amore per il proprio vantaggio. In questo momento di passaggio esperien-
ziale e relazionale di ambedue i membri della coppia, in Eva si manifesta la libertà di scelta valoriale
(libertà insita in ogni uomo, in quanto creato da un atto di amore del Creatore)62. Il comportamento di
Eva di ascoltare e seguire il discorso del serpente indica, quindi, che avendo accolto la luce negativa
che il tentatore ha proiettato nel suo cuore, inizia a percepire in modo diverso la relazione con Adamo e
il mondo che la circonda. Eva si sente ora, a causa del veleno iniettato dal tentatore, in una situazione
d’insoddisfazione rispetto al passato della sua storia. Si dirige, pertanto, verso la ricerca di nuove pos-
sibilità, per risolvere tale «sofferenza»63. Tutto ciò sembra essere suffragato dall’uso del verbo «man-
giare», utilizzato già nelle prime parole del serpente, e poi nelle parole della donna fino al momento in
cui Eva «prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei, e anch’egli ne
mangiò» (Gen 3,6). La tentazione concernente il «mangiare» richiama quella del popolo nel deserto (Es
16,2-3) e di Gesù (Mt 4,3), vale la dire, a situazioni di grave sofferenza fisica, di fame e di pericolo di
morte, in cui la tentazione è la ricerca di un cibo alternativo quello offerto da Dio. L’occasione di cre-
scita (superare la tentazione e riaffermare l’amore) può divenire, così, occasione di tradimento nei con-
fronti del proprio Dio.
Come accennato sopra, la tradizione midrashica, nelle parole di Abba Halfon b. Koriah e di altri
rabbini (GenR 19,3), evidenzia l’assenza di Adamo, di cui dice che «si era accoppiato con la donna e
dormiva» e che era altrove («lo prese il Santo e lo fece girare per tutto il mondo», per fargli vedere do-
ve piantare e dove seminare). L’interpretazione midrashica è assai fine: l’uomo, appagato dalla soddi-
sfazione del rapporto sessuale, preso dal sonno, o semplicemente distratto da altri interessi, quali il la-
voro, è percepito come assente da parte di Eva, a tal punto che questa nemmeno lo chiama in causa al
momento della comparsa del serpente e nel dialogo con quest’ultimo. La tentazione sopraggiunge ed è
più facilmente accolta in un momento di solitudine, di lontananza dell’uomo. Eva sprofonda nella ten-
tazione anche per il desiderio, indotto dal tentatore, di andare oltre a quanto le è offerto dal rapporto
con il solo Adamo. L’attenzione verso la bontà del cibo da parte della donna (essa, come madre, è la
prima che dona il cibo e nutre: l’albero era «buono da mangiare»), la sua sensibilità estetica (l’albero
era «gradito agli occhi»), la caratteristica, tutta sua, di «genio femminile», che la conduce spontanea-
mente a cercare di aumentare la propria genialità (l’albero era «desiderabile per acquistare saggezza»,
Gen 3,6), muovono la donna non verso il tentativo di un superamento della separazione o limitatezza

                                                                                                                       
62
Tale atto di amore presuppone l’offerta alla persona amata della libertà nella sua forma più piena e quindi, nel caso di
Adamo ed Eva, della libertà di ognuno dei due membri della coppia di scegliere tra la fedeltà al patto coniugale e a Dio, da
una parte, e il tradimento verso Dio e l’alleanza coniugale così come pensata da Dio stesso per la loro felicità, dall’altra.
63
La sofferenza è qui indizio che la donna ha già iniziato ad accogliere nel suo cuore il peccato. La domanda che si pone qui
è perché nasca in Eva un’insoddisfazione della sua situazione di donna e compagna di Adamo. Come sia possibile che Eva
presti attenzione alla seduzione non è spiegato nel testo di Gen 3. Per comprendere il suo comportamento, si può, tuttavia,
far riferimento, per contrasto, a quanto accade quando Satana cerca di indurre un altro uomo, Giobbe, a maledire il suo
Creatore non solo di fronte alla distruzione del suo stesso corpo, ma anche dinanzi all’invito di sua moglie a rinnegare Dio
come buono (Gb 2,7-10). Giobbe, immagine dell’uomo che soffre senza un motivo umanamente comprensibile, è condotto
a riconoscere il mistero dell’operare di Dio per cui nessuno «può oscurare il suo piano» (cf. Gb 42,2-3). In Eva, la situazio-
ne di crescita nell’amore si traduce in un’occasione nella quale lei manifesta come nel suo cuore, essendo entrata nella ten-
tazione, già non esista più questa fiducia totale in Dio, talvolta incomprensibile per l’uomo nei suoi comandi, e si traduca
nell’aderire, invece, alla critica a lui, espressa esplicitamente dal serpente.
  13
 
del rapporto di coppia tramite la richiesta di aiuto ad Adamo, quanto piuttosto verso una ricerca creati-
va di un nuovo ordine nella creazione, nella quale la donna si fa portatrice di una «deità»64, che solo
successivamente vorrà condividere con Adamo.

La collusione di coppia65o l’intesa nel peccato


Il racconto di Gen 3 prosegue con l’azione di Eva che, dopo aver mangiato il frutto, «ne diede anche
al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò» (Gen 3,6b). Perché Eva offre il frutto ad Adamo e
perché costui ne mangia? Un’interpretazione rabbinica pone l’accento sulla necessità per Eva di non
sentirsi sola nella responsabilità della trasgressione e di trascinare il suo compagno in una scelta che lo
renda complice66. Un’altra interpretazione rabbinica rileva la paura di Eva di morire e lasciare Adamo
con un’altra donna67, ed evidenzia così il suo atteggiamento di gelosia68: essa, pur di continuare a pos-
sedere lei sola il suo compagno, lo trascina nella trasgressione, rendendolo di fatto simile a sé. In queste
due interpretazioni, si può riscontrare ciò che è un dato di fatto nella coppia storica: il tradimento
dell’uno si traduce in un invito, spesso concordato, di tradire in due l’unione di coppia, per un reciproco
sgravio dai propri sensi di colpa e per una strategia relazionale di condivisione sulla distruzione del
rapporto d’amore, spesso operato proprio dalla coppia stessa.
Un altro motivo di tale adesione, da parte di Adamo, all’offerta di Eva, si può riferire a quanto acca-
de in Adamo stesso. Come accennato sopra, alcuni testi rabbinici suggeriscono che, mentre il serpente
dialoga con Eva, Adamo è assente perché dorme. Tale sonno rinvia al «torpore» di Adamo (Gen 2,21).
Tuttavia, se in Gen 2,21 il «torpore» è innescato da Dio ed è seguito da un gioioso risveglio nel vedere
Eva, «un aiuto simile a lui», nell’interpretazione rabbinica a Gen 3 il sonno dell’uomo precede il suo
peccato. Questi eventi vissuti al risveglio, vale a dire, al momento in cui Adamo ricompare nella scena,
sono simmetricamente opposti. Adamo, che si era prima rallegrato di avere «un aiuto simile davanti a
lui», si ritrova ora di fronte Eva che è, di fatto, «contro di lui» e strumento della tentazione69. Si potreb-
be supporre, inoltre, che di fronte all’offerta della donna di mangiare del frutto dell’albero proibito, il
processo del peccato di Adamo sia simile a quello di Eva, per cui nella misura in cui entra nella tenta-
                                                                                                                       
64
FILONE, Quaest in Gen 1,36, ha ben evidenziato la tentazione idolatrica con cui il serpente seduce Eva.
65
Con il termine «collusione» (dal latino cum ludere, «giocare insieme») s’intende, in ambito psicologico, un’attribuzione
inconscia vicendevole, nella relazione diadica, di sentimenti, valori e progetti condivisi a livello consapevole, ma ancor più
a livello inconscio, fino a condividere con l’altro una fusione reciproca, un’unione falsa, perché fondata e motivata da proie-
zioni di propri sentimenti e desideri che ognuno attribuisce anche all’altro. Si tratta di una condivisione speculare: cf. J.
WILLI, La collusione di coppia, Milano 1986; D. NORSA – G.C. ZAVATTINI, Intimità e collusione. Teoria e tecnica della
psicoterapia psicoanalitica di coppia, Milano 1997. È interessante notare come la collusione, in ambito psicologico clinico,
si possa intendere come «contratto fraudolento» di coppia, nel quale ognuno dei contraenti coglie l’immagine dei bisogni
profondi dell’altro e agisce come se proprio lui stesso possa essere la persona che potrà soddisfarli, ad esempio, invitando
l’altro all’ascolto dei propri consigli o proposte di azioni volte a soddisfare tali bisogni. L’illusione è, pertanto, l’elemento
sul quale si basa questa parte sommersa del contratto, attraverso la forte idealizzazione di se stessi, dell’altro e della relazio-
ne: cf. l’opera di M. BOWEN, Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare, Roma 1979.
66
Come si afferma in G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale», 48, «Eva, dopo aver mangiato, non vuole sentirsi
sola nella responsabilità della trasgressione, trascina nel male suo marito rendendolo complice e, secondo la tradizione rab-
binica, anche tutta la creazione».
67
Così, ad es., in GenR 19,5, si descrive la dinamica psicologica che s’innesca in Eva con la seguente interpretazione midra-
shica: «R. Simlai disse: (Eva) venne da lui con tutte le risposte pronte e gli disse: “Che cosa pensi? Che io morirò e un’altra
Eva sarà creata per te? Non c’è niente di nuovo sotto il sole (Qo 1,9). O forse pensi che io morirò, mentre tu abiterai da so-
lo? Ti assicuro che Egli non ha creato la terra vuota, ma l’ha plasmata perché fosse abitata (Is 45,18)”. I rabbini dicono: ini-
ziò a lamentarsi contro di lui. La donna diede anche da mangiare alle bestie, agli animali e agli uccelli». Eva, secondo tale
interpretazione, vuole trascinare anche il compagno e tutto il cosmo nella trasgressione, autogiustificandosi mediante la pa-
rola di Dio.
68
Sull’invidia di Eva nella tradizione ebraica antica, cf. R. ALDMAN, The Return of the Repressed, 94-98.
69
Il testo sacro usa in Gen 2,18 neged, un termine ambivalente che significa «davanti», ma anche «contro» e potrebbe trat-
tarsi di un tartê mašma’ («doppio significato»). L’espressione ‘ēzer kenegdô, può essere, infatti, tradotta come «aiuto davan-
ti a lui», oppure come «aiuto contro di lui».
  14
 
zione, anch’egli inizia a vedere con uno sguardo diverso la relazione con la sua consorte e il mondo che
lo circonda, giudicandola non più soddisfacente.
Il «risveglio» di Adamo si traduce, quindi, nel rifiuto dell’alleanza con Dio e, di fronte alla necessità
di relazione, in un bisogno di complicità con Eva. In Adamo, così, si fa presente quella necessità di
communio, che in precedenza aveva dato allo stesso (e ad ambedue) la possibilità di essere e di esistere
in una particolare reciprocità, in una communio personarum che permette all’uomo e alla donna di es-
sere immagine e somiglianza di Dio. In Gen 3, tuttavia, si tratta di una complicità, in sostituzione della
comunione, che ora non è più possibile a causa del veleno causato dall’accoglienza nel cuore della ten-
tazione. Tale complicità, ora, si fonda sulla condivisione alla ribellione a Dio, che produrrà la rottura
del rapporto con Dio e tra i due, e fa riferimento alla natura del dono che Eva fa ad Adamo, offrendogli
il frutto proibito.
Un ultimo aspetto, infine, di quanto accade nel momento in cui Eva mangia del frutto e ne offre al
marito, è che costui mangia accogliendo un’offerta da parte della donna, nella quale non è più presente
quella «innocenza originaria interiore», che genera lo scambio reciproco, il dono della persona, che
trasforma l’eros in agape. Come Eva ha ascoltato un altro, escludendo dal suo gesto il dialogo e il con-
fronto con Adamo, questi, a sua volta, inizia ad avvertire il desiderio di evitare la solitudine e legare a
sé la donna con l’accettazione del suo falso dono, rifiutando l’opera creativa di Dio, che precedente-
mente gli aveva fatto il grande dono della donna. In tal modo, con il suo gesto, l’uomo non si rivolge
più al suo Creatore, che lo ha benedetto e gli ha affidato tutta la terra (cf. Gen 1,28), non lo vede più
come un Padre buono che ha come scopo aiutarlo e che lo ha considerato come «cosa molto buona»
(Gen 1,31). Adamo sembra non ricordare piu la qualità di Dio, che è Amore, che si è manifestato a lui e
continua a manifestarsi come tale70.
L’uomo sceglie, invece, di rivolgersi a Eva, accogliendo il suo dono di morte. In ambito psicologico,
si può parlare di un gesto che esprime una collusione-condivisione con Eva. Nel mangiare il frutto,
Adamo ricerca la soluzione alla paura della solitudine di fronte a Eva, che ha «adulterato», vale a dire,
ha ascoltato un «terzo», il serpente, e non l’uomo come suo compagno. Adamo trasforma Eva in un
idolo da cui attingere sicurezza e tranquillità, come, d’altra parte, idolatrico è stato il «mangiare» di
Eva, in quanto espressione di bisogno che si trasforma nella ricerca idolatrica di qualcosa o qualcuno
che possa offrire sicurezza71. Così, la soluzione alla crisi personale di uno è condivisa dall’altro, benché
tale condivisione non produca communio, ma separazione. Pertanto, nel momento successivo a questo
tradimento di Dio e dell’alleanza con lui, patto fondato sull’obbedienza alla sua parola, si assiste alla
distruzione della communio con Dio e tra i due. La trasgressione alla fedeltà comporta così la perdita
dello Spirito che vivifica il legame di amore nella coppia72.
                                                                                                                       
70
In Gen 3,9-11, Dio va alla ricerca dell’uomo e gli pone tre domande. Nella risposta di Adamo, si rivela quanto già sia
presente una visione di Dio che cerca il colpevole per punirlo e non di un Dio che continua a cercare Adamo ed Eva per far
loro presente che non li abbandona alle conseguenze del loro agire distruttivo dell’unità di coppia.
71
Un testo rilevante, in cui Papa Benedetto XVI si è soffermato in recto sul peccato originale, è l’Omelia in occasione della
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, 8 dicembre 2005. La colpa adamitica è mancanza di
fiducia o sospetto verso Dio; essa manifesta la presunzione di ottenere vera libertà mediante l’indipendenza da lui e un rifiu-
to della propria creaturalità: «L’uomo non vuole ricevere da Dio la sua esistenza e la pienezza della sua vita» (Ibid.). Il pec-
cato è autodivinizzazione e rinuncia all’amore: «Piuttosto che sull’amore punta sul potere col quale vuole prendere in mano
in modo autonomo la propria vita. E nel fare questo, egli si fida della menzogna piuttosto che della verità e con ciò sprofon-
da con la sua vita nel vuoto, nella morte» (Ibid.). La verità rivelata e contrario in Maria Immacolata è che «amore non è
dipendenza, ma dono che ci fa vivere» (Ibid.). La stessa libertà umana, per definizione limitata, potrà compiersi e realizzarsi
«soltanto come libertà condivisa, nella comunione delle libertà» e se sarà vissuta «secondo la verità del nostro essere e cioè
secondo la volontà di Dio. Perché la volontà di Dio non è per l’uomo una legge imposta dall’esterno che lo costringe, ma la
misura intrinseca della sua natura, una misura che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera» (Ibid.).
72
Il seguito del racconto di Gen 3, che nel presente contributo non è trattato giacché riguarda il momento successivo alla
trasgressione e meriterebbe uno studio a parte, mostra come nei due compaiano la «vergogna», il desiderio di nascondersi di
fronte a Dio, e l’accusa contro Dio e contro il partner (per fornire solo l’esempio più evidente, in Gen 3,12, Adamo accusa
  15
 
Il peccato e il tradimento non sono mai momenti di crescita all’interno della coppia, quanto una gra-
ve regressione, che si oppone al raggiungimento l’agape, vale a dire, l’amore pieno. I nostri progenito-
ri, inoltre, con la trasgressione non aumentano neanche la propria conoscenza, intesa come possesso del
bene e del male. Il testo della Genesi, infatti, afferma, non senza ironia: «E conobbero di essere nudi»
(Gen 3,7). La loro saggezza, in altre parole, non è altro che l’aver preso conoscenza del loro stato di
nudità, cosa che prima non causava loro alcun tipo di problema. Il termine ebraico ‘ărûmmîm («nudi»),
nella forma usata in Gen 2,25, può anche avere il significato di «saggi, astuti». Il tentatore, in Gen 3,1,
era stato definito come il più astuto (‘ārûm) di tutti gli animali del campo. Dietro questo gioco di parole
si può riscontrare un tartê mašma‘ («doppio significato»), che si basa sull’ambiguità semantica di un
termine73. Perciò il testo lascia intendere, in modo velato, che Adamo ed Eva, a causa del peccato, sono
diventati ‘ărûmmîm «nudi», ossia, simili al serpente (la cui pelle è priva di peli o piume), oppure, stan-
do alla tecnica sopra citata, i nostri progenitori sono diventati «saggi, astuti» come il «falso dio» al qua-
le avevano creduto74. Tale somiglianza con il tentatore, origine del male, li pone in un cammino che va
nella direzione opposta all’imago Dei che il Signore aveva loro conferito nel momento della creazione.

La tentazione e il tradimento nella «coppia storica»


Il racconto di Gen 3 si può considerare, oltre che come descrizione dei primi due momenti del pec-
cato da parte della coppia originaria, anche come paradigma per considerare meglio quanto accade, in
generale, nella «coppia storica». Il racconto rivelato e presentato nella fede può contribuire a completa-
re quanto già descritto negli studi psicologici su questi momenti della coppia umana, alla luce
dell’antropologia rivelata e illuminata dalla fede75.
Durante la storia della coppia, esistono momenti di crisi, in cui compaiono nei coniugi segni di sof-
ferenza, d’insoddisfazione personale e nei confronti della relazione stessa, che, prima latenti, si manife-
stano poi in scelte di tradimento e di abbandono della coppia, e che sono definiti come espressione di
«crisi» del rapporto coniugale76. Tali momenti di crisi, da considerarsi inevitabili per la crescita
dell’amore nella coppia come comunione di amore, sono spesso distruttivi per la coppia, giacché si pre-
sentano, a causa del peccato, con pensieri non elaborati e sentimenti non mentalizzati, nei quali
s’inserisce o, meglio, s’insinua un «terzo», dato che il rapporto attuale di coppia non è più capace di
evolvere, anzi si è esaurito nelle sue componenti sentimentali: appare, così, la possibilità del tradimento
come soluzione alla crisi. Questo momento inizia, per l’appunto, con l’ascolto di un «terzo», che risie-
de nel cuore della persona stessa o in un estraneo alla coppia, e che è ben rappresentato, nel racconto
biblico, dal serpente, nel suo ruolo di seduttore77. In seguito, tale insoddisfazione affettiva si traduce in
un pensiero e poi in immagini di altri scenari, caratterizzati dal sembrare «belli e buoni». Appare la
convinzione della bontà della trasgressione o del tradimento, mentre la persona è sedotta dal realizzare
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
contemporaneamente Dio e la donna: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato»),
alla ricerca di un colpevole della situazione esistenziale di disorientamento scaturita dal peccato.
73
Se la cosa è discutibile, da un lato, si deve ammettere, perlomeno, che si tratti di un ‘al tiqré (tecnica secondo la quale il
testo in consonanti può essere letto con una diversa vocalizzazione): cf. G. LORI – F.G. VOLTAGGIO, «Il peccato originale»,
35, n. 8.
74
Vedi A. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo, 77.
75
Cf. l’asserzione di TOMMASO D’AQUINO, In Boethium de Trinitate, proem. q.2, a.3, ad 5: «Illi, qui utuntur philosophicis
documentis in sacra doctrina redigendo in obsequium fidei, non miscent aquam vino, sed aquam convertunt in vinum». La
filosofia e le scienze umane, illuminate dalla fede, pur nel rispetto dell’autonomia di ogni singola scienza, danno un contri-
buto di grande valore alla scienza teologica.
76
Negli studi sul «ciclo vitale della coppia» si è evidenziato come esista un momento d’insoddisfazione affettiva della rela-
zione di coppia in ambedue o in uno solo, che l’altro non sa o non vuole ascoltare, e che, percepito spesso empaticamente in
maniera per così dire subconscia, non attiva contemporaneamente un comportamento nella coppia o nel singolo membro che
sia volto alla soluzione del problema: cf. l’opera di H.V. DICKS, Tensioni coniugali. Studi clinici per una teoria psicologica
dell’interazione, Roma 1992.
77
Non si tratta qui, comunque, di una mera rappresentazione letteraria o mitica.
  16
 
il proprio «desiderio di altro», al fine di vivere più soddisfatta di quanto lo sia stata fino allora. Questo
tempo d’insoddisfazione si traduce in un tradimento consumato del patto coniugale e quindi di Colui
che ha confermato il matrimonio. La trasgressione spesso è consapevole e concordata, a tal punto che
produce effetti simili su ambedue, i quali, aperti gli occhi, si accorgono della loro nudità (cf. Gen
3,7)78, prodotta dal peccato avvenuto.
Nella crisi, i due, uniti nella complicità della scelta di tradimento79, riconoscono e affermano che
l’immagine di se stessi è quella di una persona che rinuncia ad amare e ad avere rapporti fisici aperti
alla vita, riconoscendo la verità, benché in modo negativo, che senza amore non esiste desiderio di ge-
nerare. Nella crisi e rottura con l’altro, questi è ancora ritenuto come simile a se stesso (cf. Gen 2,23),
solo che tale considerazione alimenta ora gli effetti della delusione e dell’odio nei suoi confronti80. La
difficoltà è «liberarsi dalle menzogne segrete» con cui ognuno dei due «inganna se stesso»81 e dagli
atteggiamenti coscienti e dominanti di «non riconoscimento della colpa», «illusione dell’innocenza»,
«autogiustificazione»82, che non possono giustificare né salvare, proprio come accade in Adamo ed
Eva.
Nel momento in cui i due partners diventano complici o colludono nel peccato, già sono sordi alla
presenza di Dio, oppure, come accade oggi, il soggettivismo culturale esalta l’ascolto di se stessi, la-
sciando che l’uomo segua le proprie pulsioni e desideri di onnipotenza, e obbedisca a essi. Oggi, forse,
l’uomo già si dichiara «solo» (anche per l’esperienza, fin dalla nascita, di una manipolazione da parte
                                                                                                                       
78
La nudità è associata alla paura delle conseguenze di quanto fatto e alla vergogna che spinge la persona a nascondersi
insieme con l’altro (altro segno della collusione tra Adamo ed Eva e della loro complicità nel male), per la paura conseguen-
te al tradimento, rinunciando, di fatto, a comprendere i motivi che l’hanno prodotta. Nella crisi relazionale, ormai resa mani-
festa dal tradimento attuato, i due riconoscono e affermano che l’immagine che ora hanno di se stessi è quella di persone
che hanno rinunciato a credere nella bontà della situazione di coppia che vive e cresce nell’amore diadico. Nell’uomo reli-
gioso, il confronto è attuato verso Dio, su cui si proiettano i propri sensi di colpa e l’incapacità di perdonare. Dio è conside-
rato un nemico, un giudice e non più un Padre misericordioso.
79
Il bisogno di complicità nella «coppia storica» si manifesta in tutto il suo carattere distruttivo dell’alleanza matrimoniale
in molte scelte successive. Ciò vale, ad es., nella condivisione, per cui i due codificano come giusto che ognuno scelga altri
partners con cui vivere le proprie emozioni ed esperienze di piacere fisico. Tale condivisione si fonda sulla convinzione
comune che esistono e vanno esaltati aspetti di sé, rispetto ai quali il coniuge accetta che l’altro vada a soddisfare i suoi bi-
sogni altrove o con altre persone, al fine di mantenere la vicinanza reciproca, come difesa dalle proprie paure o soluzione
alle difficoltà di una vita da separati; cf. H.V. DICKS, Tensioni coniugali.
80
Nella rottura con l’altro, questi rimane pur sempre «osso delle mie ossa e carne della mia carne» (cf. Gen 2,23); ora, tutta-
via, tale somiglianza produce rabbia, disprezzo, rifiuto, o lite continua. Questi ultimi proseguono tra i due coniugi, benché
abbiano tradito o si siano separati, e sono sempre indicatori di un legame tra i due, anche se l’uno o l’altro ha offeso profon-
damente la dignità e identità dell’altro, vale a dire, sono segni di un desiderio verso «chi mi ha deluso» benché sia «simile a
me». Ora, tuttavia, la persona non può più dire: «Il mio amato è mio e io sono sua» (Ct 2,16; 6,3); o ancora: «Ho trovato una
donna o un uomo che mi appartenga e a cui io appartengo». I due non considerano più l’altro come una persona da accoglie-
re e da considerare come parte di sé, fondamentale per il proprio essere (cf. Ef 5,28-29). Nella falsa soluzione alla crisi co-
niugale, i due riconoscono e affermano di essere persone che rinunciano ad amare così come hanno promesso reciprocamen-
te nel momento del matrimonio. La reciproca rinuncia ad avere rapporti fisici conferma, anche se in senso negativo, la verità
che senza un amore unico e fedele non può esistere un desiderio unitivo di amore totale, quale si esprime nel rapporto senza
barriere anticontraccettive o di solo consumo dell’altro ai fini del piacere. Questa problematica complessa e articolata, lega-
ta ai primi momenti della tentazione ed eventualmente del successivo tradimento, è spesso ricorrente nelle coppie nel primo
periodo della crisi e si può costatare in un contesto psicoterapeutico o, in genere, in una richiesta di aiuto. Dall’azione tra-
sgressiva, non pensata in tutte le sue conseguenze, si passa alla successiva mentalizzazione dei sentimenti e alla valutazione
cognitiva di quanto accaduto. In questo momento, appaiono nei discorsi dei due una serie di accuse reciproche e/o la con-
vinzione che esista un «terzo» con cui si è attuato il tradimento e si cerca di individuare un colpevole su cui spostare la re-
sponsabilità del tradimento. Questo può essere un parente, un amico eccessivamente intrusivo nell’accogliere le insoddisfa-
zioni nella vita di coppia, un figlio nato da poco o portatore di problemi educativi, un impegno lavorativo pressante o che
comporti situazioni di lontananza reciproca, una mentalità mondana in cui i due coniugi sono cresciuti o a cui aderiscono da
adulti.
81
Cf. BENEDETTO XVI, Spe salvi, Città del Vaticano 2007, n. 33.
82
Cf. BENEDETTO XVI, Spe salvi, n. 33.
  17
 
dell’altro, del tipo «voglio un figlio!»), per cui l’unica possibilità è il rifugio in se stessi e l’unica voce
di cui fidarsi è la propria o quella di chi promette di soddisfare il bisogno di esistere senza sofferenza,
potente sugli altri e sull’esperienza quotidiana (come avviene con la droga o con l’adesione a gruppi in
cui il leader afferma la verità nella sopraffazione del diverso).

Conclusioni
Dalla nostra analisi è emerso chiaramente che, nell’antropologia teologica, è quanto mai urgente e
necessario prendere le distanze da un approccio positivo ed emancipativo del peccato originale, propo-
sto, per fornire solo i due esempi più noti, da Kant e Hegel, e che purtroppo «ha fatto scuola»
nell’odierna teologia, con tragiche conseguenze83. Il testo di Gen 3, pur nella «forma arcaica della nar-
razione, che manifesta il suo primitivo carattere mitico»84, esprime «una verità sull’uomo» che «ci stu-
pisce con la sua tipica profondità»85. Si tratta, come ha affermato Giovanni Paolo II, di una profondità
«di natura soprattutto soggettiva e quindi, in un certo senso, psicologica»86. Tale profondità abbiamo
tentato di indagare in queste pagine, con un’analisi del testo operata con un metodo affine alla sua natu-
ra (tramite un approccio psicologico, per l’appunto), in cui «troviamo “in nucleo” quasi tutti gli ele-
menti dell’analisi dell’uomo, ai quali è sensibile l’antropologia filosofica moderna e soprattutto con-
temporanea»87. Il racconto del peccato originale, lungi dall’essere un mero mito, racchiude una verità
storica e meta-storica: esso rappresenta un paradigma di ciò che avviene in ogni coppia e, più in gene-
rale, nell’uomo e nelle sue relazioni. La realtà del peccato originale e delle sue conseguenze è così una
realtà ontologica e paradigmatica.
Secondo la nostra indagine, il testo di Gen 3, pur nella sua brevità, mostra che l’azione del serpente
è rivolta non solo ad Adamo ed Eva in quanto singoli, ma ai due in quanto coppia. In particolare, esso
evidenzia come la scelta del peccato da parte dei due (il «mangiare» ambedue dall’albero proibito) sia
l’esito di un processo interattivo, che inizia con una tentazione rivolta alla coppia: è, per così dire, il
«sacramento» di ciò che i due hanno creduto e scelto, accogliendo la «catechesi» del tentatore, il ser-
pente. Questa, benché coinvolga la coppia, è diretta inizialmente solo a un suo membro, a Eva. Quando
la voce del serpente trova uno spazio di ascolto nel cuore della donna, questo, da un lato, non è più in-
teramente «occupato» dalla voce dell’amato, e, dall’altro, andrà a coincidere con uno spazio di desideri
che lentamente si formano in lei, a causa del veleno generato dall’adesione alle parole del tentatore,
come abbiamo mostrato. La formazione di questo spazio, che è spazio di dialogo e ancor prima di ri-
cerca affettiva, è conseguenza ed espressione di quanto accade nella coppia storica, dal momento in cui
si ha un passaggio da una fase iniziale di vita di coppia (nella quale ognuno dei due è «pieno» di senti-
menti e idee proprie dell’innamoramento), che è quella tipica dell’eros, a quella successiva che è nor-

                                                                                                                       
83
Cf. C.L. ROSSETTI, «Recensione a A. Fabris, Filosofia del peccato originale», RdT 53 (2012) 339, che afferma: «In Kant
e Hegel, l’approccio è squisitamente positivo ed “emancipativo” (salvo il male radicale in Kant). Si ricordi qui, in inciso, la
ben nota seduzione subita dalla filosofia moderna da una positività del peccato adamitico». In alcune facoltà cattoliche teo-
logiche, s’insegna che il serpente non è, in realtà, un antagonista di Dio, bensì contribuisce alla «crescita» e
all’emancipazione della coppia originale, che si troverebbe ancora in uno «stato infantile»; la disobbedienza sarebbe così
una fase importante nello sviluppo umano, e addiritttura «il primo passo verso la libertà» (E. FROMM, Psicoanalisi
dell’amore. Necrofilia e biofilia nell’uomo, Roma 1971, 20). Si tratta di una concezione già presente nello gnosticismo.  
84
  GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979. L’uso dell’aggettivo «mitico» è spiegato dallo stesso Pontefi-
ce nella stessa Udienza, giacché può dare adito ad ambiguità o malintesi; cf. anche GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 7
novembre 1979. Non si tratta, comunque, nel caso di Gen 3 (come, in generale, in Gen 1-11), di un mito da equiparare ai
miti delle origini presenti nelle varie culture, quanto piuttosto di un racconto veramente ispirato da Dio che, pur non essendo
storico in tutti i suoi dettagli, esprime una verità storica e, per così dire, «più che storica», vale a dire, ontologica.  
85
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979.
86
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979.
87
GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale, 19 settembre 1979.
  18
 
malmente una fase di delusione, tappa necessaria verso l’amore pieno e totale, l’agape88. Tale momen-
to di delusione inizia nel momento in cui avviene l’incontro con l’«altro reale» e non più come sede di
proiezioni o identificazioni proiettive89. In questo momento, i coniugi sono di fronte a un’assenza del
precedente sentimento e in attesa di qualcosa che doni loro quella felicità che i due hanno cercato nel
matrimonio, felicità analoga a quella di Adamo, quando è pieno di gioia dinanzi ad Eva, quando scopre
che è finalmente di fronte a «un aiuto che gli fosse simile» (cf. Gen 2,18.23)!
Di fronte a questa sofferenza, nasce il desiderio di «mangiare», che fa vedere «buono, gradevole e
desiderabile» il peccato (cf. Gen 3,6), che si traduce nell’ascolto di una voce che invita a cercare altro-
ve, per disobbedire a un Dio percepito come cattivo e responsabile dell’infelicità, come mostra il ser-
pente. Entra tra i due un «terzo», un falso alleato, al posto del Dio del Sacramento del matrimonio.
L’ascolto di questo nuovo alleato produce separazione con Dio, primo vero alleato, e tra i due. Esso
provoca una sordità psicologica e affettiva nei confronti di Dio, per cui i due non sono in grado di per-
cepire la preoccupazione e l’interesse affettuoso, da Padre misericordioso (come in Lc 15,11.24). Eppu-
re, questo pregiudizio su Dio e sulla sua opera, vale a dire la promessa di un’unione totale tra i due («i
due saranno un’unica carne», Gen 2,24) può essere ritenuto già presente nella fase della tentazione,
poiché il serpente trova ascolto all’interno della coppia, a differenza di quanto avverrà con Giobbe.
Tutto ciò si traduce nella scelta consapevole di tradire l’alleanza con il Creatore e di seguire la pro-
pria ragione, per soddisfare i propri desideri di autonomia e di potenza, in altre parole, per cercare una
propria strada per la felicità, diversa da quella proposta dal Creatore. Nel momento in cui accolgono la
tentazione, tale proposta appare insoddisfacente a Eva prima, e ad Adamo poi, nel momento in cui ini-
ziano ad ascoltare e a credere nella voce del tentatore, e ciò provoca una disponibilità a seguire la voce
di un «terzo», di cui non si riconosce, al momento del dialogo, l’intenzione di tentare per il male e poi
sedurre per impadronirsi dell’altro e così distruggere la coppia.
La tentazione del serpente rappresenta, pertanto, un invito all’individuo e non alla persona e gli pro-
pone un futuro di potenza con cui eliminare la propria insoddisfazione, che sarebbe causata da un Padre
invidioso e rivale, e, in definitiva, malvagio. Così, nella coppia originaria avviene quanto può accadere,
e sempre piu spesso, nella coppia di questo tempo, che, «per la durezza del cuore» (cf. Mt 19,8), rifiuta
Dio e nega la sua realtà di amore, che si esplicita nel perdono, e toglie all’altro ogni attributo di bontà
che inizialmente aveva scorto in esso. La «coppia storica», come quella originaria, e ancor più di questa
per la sua imperfezione, sempre più spesso non rifiuta le parole del tentatore. Tutto ciò avviene a causa
della concupiscenza, che deriva dal peccato e inclina a esso. Essa può essere anche intesa come deside-
rio di possesso per placare la paura della solitudine e il non-senso della vita.
Il Sacramento del matrimonio offre alla coppia la grazia per affrontare questo conflitto, l’impulso
dello Spirito, ricevuto nel Battesimo, che vuole condurre la persona verso la perfetta unità, come pro-
messo in Gen 2. Tale grazia, tuttavia, va alimentata, così come la Chiesa invita, da una vita sacramenta-
le e di fede, nutrita dalla Parola di Dio, sostenuta da corsi di preparazione al matrimonio o cammini
d’iniziazione cristiana e di crescita nella fede. E, anche quando dalla tentazione la coppia passi al pec-
cato e al tradimento come rottura dell’alleanza coniugale, la Chiesa, in nome di Cristo, continua a offri-
                                                                                                                       
88
Così dichiara FRANCESCO, Lumen fidei, Città del Vaticano 2013, n. 27: «L’amore non si può ridurre a un sentimento che
va e viene. Esso tocca, sì, la nostra affettività, ma per aprirla alla persona amata e iniziare così un cammino, che è un uscire
dalla chiusura nel proprio io e andare verso l’altra persona, per edificare un rapporto duraturo; l’amore mira all’unione con
la persona amata. Si rivela allora in che senso l’amore ha bisogno di verità. Solo in quanto è fondato sulla verità l’amore
può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune. Se l’amore non ha
rapporto con la verità, è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. L’amore vero invece unifica tutti
gli elementi della nostra persona e diventa una luce nuova verso una vita grande e piena. Senza verità l’amore non può offri-
re un vincolo solido, non riesce a portare l’“io” al di là del suo isolamento, né a liberarlo dall’istante fugace per edificare la
vita e portare frutto».
89
Tale momento di delusione è ben simboleggiato, nel NT, dalla mancanza di vino, simbolo della festa e della felicità, nelle
nozze di Cana (cfr. Gv 2,2).
  19
 
re il perdono, così come Dio ha fatto, donando all’uomo e alla donna «tuniche di pelle» per ricoprire la
loro nudità (cf. Gen 3,21). Queste «tuniche» possono significare una duplice realtà: da una parte, se-
condo un’interpretazione patristica, corrispondono alla realtà carnale90, che facilita l’ascolto del tenta-
tore e l’adesione alle sue seduzioni; dall’altra, indicano il rinnovo dell’alleanza matrimoniale di Dio
con la coppia che ha peccato (cf. Ez 16,8-9).
Nel passaggio da una fase a un’altra della relazione matrimoniale, la scelta di tradimento è attuata,
giacché propone soluzioni che esaltano la superbia, l’egocentrismo o la scelta narcisistica, e ricercano
l’eros delle emozioni91, associato al disprezzo della persona con la quale si è vissuti fino a quel mo-
mento. Prevale, così, l’astuzia e la caparbietà del tentatore, che prende potere sull’uomo, cosicché
quest’ultimo, dopo il peccato originale, è «venduto come schiavo del peccato» (Rm 7,14). Di fronte a
questa debolezza dell’«uomo della carne», Dio, creatore della coppia, offre il Figlio, Gesù Cristo, che,
anch’egli «rivestito di debolezza» (cf. Eb 5,2), imparò, nel momento della tentazione, l’obbedienza alla
volontà del Padre (cf. Mt 26,36-42; Mc 14,32-42; Lc 22,40-46; Eb 5,7-10), come via per la felicità. Di
fronte all’imperfezione della coppia nel percorrere il cammino verso la perfetta unità, Gesù Cristo può
illuminare, giustificare, perdonare, e aiutare la coppia matrimoniale a ricorrere all’intelligenza e al di-
scernimento che lo Spirito Santo offre92. Lo Spirito di Cristo risorto è capace di curare e sostenere la
coppia nelle tentazioni di divisione, di tentazione e di tradimento del cammino coniugale93. Il dono del-
lo Spirito di Cristo, del «vino nuovo», è mediata da Maria, icona della Chiesa, che, come nelle nozze di
Cana, si fa mediatrice e sostenitrice dell’intervento del Figlio. Nel momento del disorientamento, della
ricerca di un nuovo significato alla relazione di coppia, la fede offre la speranza, in virtù della quale il
presente, benché travagliato, può essere vissuto e accettato, in vista di un futuro nel quale la vita non
finisce nel vuoto. Così, quando il «mito dell’innamoramento» termina (eros), può iniziare un percorso
verso l’amore pieno (agape) mediante l’opera di Cristo risorto94.
Nello spazio tra la fase dell’eros e l’agape, nel luogo della delusione, ove si era inserito un «terzo»,
il serpente, separando la coppia da Dio e al suo interno, nella Nuova Alleanza si pone Gesù Cristo.
Egli, senza peccato, discendendo fino agli abissi della tentazione, dell’angoscia e della delusione, si
sostituisce al serpente, prendendo su di sé la maledizione del peccato di Adamo ed Eva, e distrugge in
                                                                                                                       
90
Cf. GREGORIO DI NISSA, De verginitate, 12,4; 13,1.
91
Così, GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del tribunale della Rota Romana, 5 febbraio 1987: «La visione del matri-
monio secondo certe correnti psicologiche è tale da ridurre il significato dell’unione coniugale a semplice mezzo di gratifi-
cazione o di autorealizzazione o di decompressione psicologica (…). Le perizie, condotte secondo tali premesse antropolo-
giche riduttive, in pratica non considerano il dovere di un cosciente impegno da parte degli sposi a superare, anche a costo
di sacrifici e rinunce, gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del matrimonio e quindi valutano ogni tensione come
segno negativo ed indice di debolezza ed incapacità a vivere il matrimonio».
92
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del tribunale della Rota Romana, 5 febbraio 1987: «Nella concezione cri-
stiana l’uomo è chiamato ad aderire a Dio come fine ultimo in cui trova la propria realizzazione benché sia ostacolato,
nell’attuazione di questa sua vocazione dalle resistenze proprie della sua concupiscenza (Cf. Concilio Tridentino: Denz.-
Schönm. 1515). Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo “si collegano con tale più profondo squilibrio che è radi-
cato nel cuore dell’uomo” (Gaudium et Spes, 10). Nel campo del matrimonio ciò comporta che la realizzazione del signifi-
cato dell’unione coniugale, mediante il dono reciproco degli sposi, diventa possibile solo attraverso un continuo sforzo, che
include anche rinuncia e sacrificio. L’amore tra i coniugi deve infatti modellarsi sull’amore stesso di Cristo che “ha amato e
ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef. 5,2; 5,25). Gli approfondimenti circa la com-
plessità ed i condizionamenti della vita psichica non devono far perdere di vista tale intera e completa concezione
dell’uomo, chiamato da Dio e salvato dalle sue debolezze mediante lo Spirito di Cristo (Gaudium et Spes, 10 et 13); ciò so-
prattutto quando si vuole delineare una genuina visione del matrimonio, voluto da Dio come istituto fondamentale per la
società ed elevato da Cristo a mezzo di grazia e di santificazione».
93
Così afferma FRANCESCO, Lumen fidei, 53: «L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga
l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude (…). Essa fa scoprire una grande chiamata, la voca-
zione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento
si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità».
94
Cf. A. FABRIS, Filosofia del peccato originale, Milano 2008, 85.
  20
 
se stesso il peccato e la morte, togliendo potere al demonio e incarnando in se stesso la vera agape, la
donazione e l’amore totale all’altro, nella dimensione della croce, come via per la vera libertà e felicità.
Egli, «avendo amato i suoi che erano nel mondo fino all’estremo e al compimento (eis telos)»95
dell’agape (Gv 13,1), cioè fino alla croce, è disceso agli inferi e ha fatto risorgere la coppia originaria,
prendendola per mano96, riconciliandola con il Padre e in se stessa97. Solo il suo Spirito, che ha la po-
tenza di cambiare il «cuore di pietra» in «cuore di carne» (cf. Ez 11,19; 36,26-27), è capace di «far vo-
lare» la coppia fino alle altezze dell’agape, verso cui essa tende dinamicamente e che è, in definitiva, la
stessa Santa Trinità.
Cristo, pertanto, redimendo l’uomo e la donna li conforma a se stesso in virtù della partecipazione al
mistero della sua passione, morte e risurrezione. L’adesione al mistero pasquale fa sì che l’immagine di
Dio sia nuovamente configurata nel suo retto orientamento verso la comunione trinitaria. Cristo è
l’immagine perfetta di Dio, e in lui l’umanità attraverso il battesimo riceve l’adozione filiale che per-
mette a ogni uomo di essere introdotto nel mistero della vita trinitaria. L’essere umano creato a imma-
gine del Creatore realizza pienamente la propria imago Dei nell’imago Christi attraverso il dono dello
Spirito Santo98. In tal modo, l’uomo e la donna chiamati in virtu del matrimonio a essere una sola car-
ne, possono realizzare una forma elevata di comunione tra le persone umane nel riflesso della comu-
nione trinitaria99.

Abstract
Il presente studio di antropologia teologica si fonda sull’analisi esegetica di Gen 3,1-7, operata tra-
mite un approccio psicologico, al fine riflettere su quanto accaduto nella coppia originaria, come para-
digma di ogni relazione storica di coppia. Il racconto del peccato originale, lungi dall’essere un mero
mito, racchiude una verità storica e meta-storica e rappresenta un paradigma di ciò che avviene in ogni
coppia. La realtà del peccato originale e delle sue conseguenze è così una realtà ontologica e paradig-
matica. Tale studio è volto a offrire una comprensione di quanto accade nella coppia, al fine di trarre,
alla luce della fede, suggerimenti pastorali diretti ad agire nei confronti dell’attuale «coppia storica» nel
suo cammino dall’eros all’agape, affinché sia aiutata a continuare il suo percorso così come voluto da
Dio, al momento della sua alleanza con gli sposi, realizzata nel sacramento del matrimonio.

Autori
Gentili Paolo, Professore associato di Psicologia clinica della Facoltà di Medicina presso
l’Università «La Sapienza» di Roma; professore invitato di Psicologia pastorale presso lo Studium
Theologicum Galilaeae (Israele)
Voltaggio Francesco Giosuè, Professore stabile di esegesi biblica presso lo Studium Theologicum
Galilaeae (Israele).
Lori Germano, Professore stabile di esegesi biblica presso lo Studium Theologicum Galilaeae (Israe-
le).

                                                                                                                       
95
Il sintagma eis telos in Gv 13,1 può significare sia «fino all’estremo, fino alla fine» sia «fino al compimento, fino al tra-
guardo»: Gesù Cristo ci ha amato fino all’estremo dell’agape, cioè fino alla croce, ma anche fino al compimento dell’agape,
giacché in lui il cammino fino all’agape, fino alla donazione totale di sé, è pienamente compiuto; anche in questo senso,
Gesù Cristo è veramente il nuovo Adamo.
96
Cf. l’icona della Discesa agli Inferi nella tradizione bizantina.
97
Cf. GREGORIO DI NISSA, Oratio catechetica magna 37,2-3.
98
Vedi COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, n. 47.
99
Vedi COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio, n. 39-40.

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