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Al Conservatorio Cherubini di Firenze Castelnuovo-Tedesco, sotto la guida di Edgardo del Valle aveva già
conseguito il diploma di pianoforte nel 1914.
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‘prevaricante’ della musica sulla verità drammatica al punto da determinare un brusco arresto del
continuo scorrere degli avvenimenti (‘dramma’). Il riscatto da una sorta di “volgarità
melodrammatica”, per dirla con Mila, doveva passare per un alto ideale di dramma che si
identificava con la vita ma retto da un ideale di religiosa bontà: la componente etico-religiosa
doveva perciò trasfigurare l’ aspetto drammatico della composizione conferendole un sapore
ascetico al di là delle inquietudini percepibili2. Di qui i tratti stilistici che contraddistinguono l’opera
di Pizzetti come la vocalità dilagante, intensamente declamata, a tratti “oscillante tra il vocalizzo
alleluiatico e il salmodiare penitenziale” 3, tesa a tracciare le linee base della sua idea estetica e
morale di dramma inteso come conflitto tra vita e arte, all’interno di una visione religiosa che le
abbraccia entrambe.
Castelnuovo-Tedesco manterrà nel tempo una sincera devozione nei confronti di Pizzetti,
nonostante il comportamento tenuto quarant’anni dopo dal maestro 4, mutuandone peraltro alcuni
elementi tecnico-compositivi (spunti modali, melodie di sapore liturgico). D’altra parte, la visione
estetica di Castelnuovo-Tedesco si sforzerà di prescindere da ogni tecnica ricevuta, da ogni stile
dato5, e lo stesso ascendente pizzettiano verrà circoscritto al ritrovato gusto dell’utilizzazione delle
grandi masse vocali (coro), e a quel grande senso etico di bontà e umanità che rimase a fondamento
della sua concezione estetica.
Trascurando necessariamente in questa sede ogni riferimento agli oltre duecento numeri d’opera tra
musiche di scena, balletti, ouvertures sinfoniche, concerti per strumento solista e orchestra e
colonne sonore per film, vogliamo centrare la nostra attenzione sulla vasta produzione per chitarra 6,
strumento di cui Castelnuovo s’innamorò a prima vista 7, e, in particolare, sulla struggente Ballata
dall’esilio, per voce e chitarra8, composta nel 1956 sulla celebre ballatetta del poeta stilnovista
2
“Per dramma musicale io intendo […] quel dramma nel quale alla musica sia data la possibilità di rilevare
continuamente la misteriosa profondità dell’azione, oltre i limiti che la parola non può e non potrà mai
varcare” (cit. in Storia della musica., Il Novecento I, a cura di G. Salvetti, Torino, E.D.T., 1977, vol. IX, p.
184).
3
Ivi, p. 185.
4
Nel 1958, nonostante l’ultimo lavoro operistico di Castelnuovo, Il mercante di Venezia avesse vinto il
prestigioso Concorso Campari, patrocinato dal Teatro alla Scala, Pizzetti fece in modo che la stessa non
figurasse tra le rappresentazioni in cartellone della stagione scaligera.
5
“ In realtà a quindici anni (prima di studiare con Pizzetti, dal quale pure ho imparato moltissimo), la mia
personalità era già formata, ed è cambiata pochissimo nel corso degli anni. Si, da giovane scrivevo in modo
piuttosto complicato, e poi mi sono gradatamente e consapevolmente semplificato; ma le caratteristiche
melodiche, ritmiche e armoniche son sempre quelle” (Beverly Hills, 23 febbraio 1967, cit. in A. GILARDINO,
Un fiorentino a Beverly Hills, “ Sei corde”, Settembre-Ottobre 1995).
6
Per l’elenco completo delle opere per chitarra cfr. l’elenco riportato dopo la bibliografia.
7
“ E’ proprio per questo che io amo tanto la Chitarra! Non solo per la bellezza del suono, ma perché tutto
dev’essere essenziale! Con la chitarra bisogna essere ‘semplici’ e bisogna essere ‘veri’!” (Beverly Hills, 23
febbraio 1967, cit. in Un fiorentino a Beverly Hills, cit.).
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Altre composizioni vocali con chitarra sono: i Vogelweide op. 186 (1958), un ciclo di dieci lieder
commissionati dal chitarrista S. Behrend, che aveva progettato di eseguirli con il baritono D. Fischer-
Dieskau. Il progetto non fu mai realizzato. Castelnuovo-Tedesco aveva musicato dieci poesie del
2
Guido Cavalcanti9, e ascrivibile, pertanto, a quel periodo della sua produzione compreso tra il 1943
e il 1958 , definito “secondo periodo” dopo quello cosiddetto italiano, che coincide con l’ incontro
con Segovia10 fino alla partenza per l’esilio negli Stati Uniti (1932-1939) per sottrarsi alle leggi
razziali ormai in vigore nel nostro Paese, e dove poi morì11.
Durante i primi anni americani Castelnuovo-Tedesco non scrisse neanche una pagina per chitarra,
fin quando, nel 1943, riprese la sua produzione segoviana 12. I brani risultano formalmente molto
raffinati ma meno immediati di quelli del periodo precedente, quasi come se, astenendosi
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dall’elaborare in musica il suo presente, intendesse relegarlo nella memoria di un tempo di vita che
fu, arginando il flusso vitale in un quadro formale ridondante di un marcato tradizionalismo. Di
questo periodo, che è stato definito “inerziale”, la Ballata dall’esilio è l’opera più significativa, e
tale da anticipare il grande ciclo delle liriche per voce e chitarra dell’ultimo periodo (1958-1968) 13,
quando l’ opera di Castelnuovo-Tedesco si colora di un atteggiamento più intimistico fondato su
un’identificazione del proprio ‘vissuto profondo’ con quello degli illustri artisti che lo hanno
preceduto (Goya, Jimenez, Moses-Ibn-Eszra), e diviene perciò testamento e supplica come ricordo
di un intero percorso di vita.
Nel suo celebre componimento il poeta si rivolge alla sua “ballatetta”, sfruttando un tòpos poetico
ricorrente nella poesia delle origini, invitandola a recarsi dalla donna amata per portarle notizia dei
suoi sospiri e del suo sofferto amore. Il terribile presentimento di morte e l’angoscioso tormento
interiore espressi dal poeta, sono stati spesso visti dalla critica quali temi autobiografici, e per molto
tempo si è creduto che la ballata fosse stata composta a Sarzana, durante l’ultima malattia di
Cavalcanti; sebbene ciò non possa essere escluso categoricamente, la presenza ricorrente del tema
nei componimenti di altri poeti stilnovisti porterebbe, tuttavia, a credere che si tratti più
probabilmente di un argomento di natura letteraria. A questo proposito è indicativo anche il fatto
che l’interlocutore diretto sia il prodotto letterario medesimo e che immediatamente l’occasione
poetica diventi un discorso di stile14.
La ballata sembrerebbe comunque rivelare un nuovo stato d’animo di Cavalcanti 15, al punto da far
presumere che effettivamente sia stata composta proprio in ‘summo vitae discrimina’, quando cioè
il poeta, sofferente e consapevole della sua prossima fine, rivela a se stesso una sensibilità nuova,
attraverso la quale i suoni della vita gli giungono affievoliti ma pur sempre distinti ed articolati in
nuove armonie. L’idea della morte, infatti, che è uno dei temi dominanti della sua poesia, appare ora
come trasfigurata, generando un nuovo ordine di sentimenti che, a loro volta, creano una lirica
nuova. Ci troviamo di fronte ad una pacificazione, potremmo dire ad una catarsi, che si compie
nell’animo del poeta quando le forze ostili della vita sono oramai insostenibili 16. La sua pace è
quella dei vinti che accettano con rassegnazione il proprio destino. Accettazione, rassegnazione, ma
non consolate dalla speranza, in quanto la profonda malinconia, pur sottraendo al mondo una
visione di durezza tagliente, non lascia scorgere la luce e la serenità.
14
V. 3, “leggera e piana”.
15
“ La ricerca psicologica cavalcantiana, risentendo del pensiero averroistico, scivola dalle inflessioni trepide
delle ballate precedenti (ne scrisse 11 in tutto, compresa la ballatetta) alle cadenze elegiache di Perch’i’ no
spero di tornar giammai, portando a risultati di estrema rarefazione poetica la lirica d’arte dello Stilnovo e
spianando la strada ai diversi esiti danteschi.
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Stanco e sofferente, lontano dalla patria (non si sa se nell’esilio di Sarzana o in Provenza), dominato dal
pensiero della morte, senza speranze o desideri, in un momento di viva nostalgia Cavalcanti affida il suo
messaggio alla ballatetta.
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IMMAGINAZIONE MUSICALE E CAMPO TESTUALE
La poesia per il poeta, come la musica per il musicista, sono custodi delle loro anime. Entrambe
costituiscono, rispettivamente, le privilegiate espressioni delle personalità degli autori. Non siamo
di fronte a uno sfogo dell’ anima, ma ad un esercizio rigorosamente codificato: per la poesia, da
norme tipiche della poetica cortese, per la musica, da referenti culturali che affondano in una
tradizione consolidata. L’evocazione di atmosfere remote attraverso precise soluzioni ritmiche,
melodiche, armoniche e strumentali adottate da Castelnuovo- Tedesco, portano all’elaborazione di
un’ “esemplificazione sonora” che rispecchia gli orientamenti fonici del testo potenziandone le
sonorità verbali. L’azione della musica sul testo determina un’estensione dei significati “modali” 17
di esso proponendo, al tempo stesso, una continuità semantica tra i due linguaggi senza peraltro
tradursi in un duplicato della parola. La musica ha la capacità di reinterpretare il testo, dando luogo
ad un significato ri- configurato. Non sono presenti elementi drammatici poetici e musicali, ma tutto
è perfettamente risolto su di un piano introspettivo intimo e confidenziale. La ballata e la musica
prendono il posto del poeta e del musicista, e si proiettano in un indeterminato futuro successivo
alla morte prendendo le distanze dalle sofferenze, contemplandole come se non appartenessero più
al loro essere: l’ atteggiamento che ne deriva è perciò malinconico e non tragico.
La ballata (detta pure ‘canzone a ballo’), forma di parziale origine popolare, presente anche nelle
letterature d’oil e d’oc è un metro che comincia ad essere attestato verso la metà del XIII secolo in
Toscana (non rientra perciò fra i metri dei siciliani). Sua caratteristica fondamentale è la presenza di
un ritornello o ripresa, premesso alla prima stanza, che veniva ripetuto alla fine di ognuna di esse,
riproducendone almeno l’ultima rima.
Il termine stanza, legato alla dimensione musicale, indica le strofe di una ballata o di una canzone18
e sottolinea il fatto che la singola strofa rappresenta uno svolgimento chiuso in sé stesso, che “sta”
cioè su un certo tono recitativo o musicale. Essa presenta in genere una struttura costante, fatta di
17
Per significati “modali” vanno intesi “gli atteggiamenti, le credenze, il coinvolgimento emotivo dell’autore,
che si manifestano in maniera diffusa nel testo attraverso le scelte lessicali, lo stile enunciativo, l’uso di
termini particolari (come ‘forse’, ‘sicuramente’, ‘purtroppo’, ‘magari’)”. M. DELLA CASA, Relazioni fra
musica e testo nelle opere vocali, in “Analisi”, Milano, Ricordi, 1989.
18
“La canzone è – come scrive l’ Elvert- ‘la forma più illustre dell’antica lirica italiana’; essa venne ‘foggiata
dai poeti siciliani sul modello della cansò provenzale, subì molteplici trasformazioni, finché raggiunse quella
sua forma esemplare per la poesia italiana ad opera del Petrarca, il quale aveva accolto le modifiche decisive,
introdotte da Dante e da Cino da Pistoia’ ” (S. GUGLIELMINO – H. GROSSER, Il sistema letterario. Guida alla
storia letteraria e all’analisi testuale, Milano, Principato, 1987, vol. I. p. 214).
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endecasillabi e/o settenari che si ripete in tutte le stanze del singolo componimento, in cui
s’individua una prima parte chiamata fronte, divisa quasi sempre in due piedi (con rime di vario tipo
tra i versi di un piede e quelli dell’altro); e una seconda parte, chiamata sirma o sirima o coda, che
può essere divisa in due volte (anche qui, ma in modi più vari, con ricorrenze di rime da una volta
all’altra). Tra la fronte e il sirma può esserci un verso di collegamento, chiamato chiave; infine
segue il congedo, che riproduce generalmente la struttura della sirma o di parte di essa.
Le stanze venivano cantate da un solista e figurate dal coro con la danza (mezzo giro in un senso,
corrispondente al primo piede della stanza; mezzo giro dall’altro senso corrispondente al secondo
piede della stanza, e infine un terzo giro intero che costituiva la volta della stanza). Tra l’una e
l’altra si ripeteva il ‘ritornello’ (ripresa), composto di quattro versi ed eseguito dal coro delle
danzatrici che disposte in cerchio compivano un giro intero. Secondo la lunghezza della ripresa, si
parla di ballata grande, di ballata mezzana e di ballata piccola.
Musicalmente, lo schema della ballata, che raggiunse la sua forma definitiva attraverso l’opera dei
poeti del “dolce stil novo” e dei musicisti che la trasposero in musica, ci viene illustrato con
chiarezza sin dalla fine del Trecento nelle principali opere teoriche dell’epoca 19 . Possiamo
individuare 4 sezioni, corrispondenti alla ripresa, al primo piede, al secondo piede e volta; laddove
lo schema metrico è analogo, anche la melodia si ripete identica, così che la struttura musicale
risulta essere ABBA. Si tratta in sostanza di due frasi musicali, A e B, la seconda delle quali
(indicata in quasi tutti i MSS come secunda pars) ritornellata e seguita dalla ripetizione della prima
parte. Alla ballata spettava il compito di soddisfare le esigenze musicali del pubblico più vasto e
vario, di ogni ceto e condizione sociale. Fin dalla prima metà del Trecento il genere si caratterizzò
come “la più importante forma di poesia per musica, mentre il sonetto e la canzone, anch’essi
inizialmente concepiti nel duplice aspetto letterario e musicale, divengono forme esclusivamente
poetiche”20.
Da un punto di vista tonale e melodico, per le ballate vere e proprie chiamate “quia ballantur” che
si distinguevano dai “soni sive sonetti” (canzoni) non esistevano prescrizioni assolute, tranne che
per l’aspetto ritmico in cui il compositore doveva attenersi alla misura di tre movimenti (tempus
perfectum), con divisione binaria (aer ytallicum), corrispondente al nostro ¾, che poteva essere però
alternata in alcuni passi da una divisione ternaria (aer gallicum), corrispondente al nostro 9/8, “sed
19
Ricordiamo tra queste il Trattato delle rime volgari di Antonio da Tempo, l’anonimo Capitulum de
vocibus applicatis verbis (databile intorno alla prima metà del secolo), e il Trattato de li rithimi volgari
scritto nel 1381-84 da Gidino da Sommacampagna.
20
M. PASCALE, voce: Ballata, in Dizionario della Musica e dei Musicisti, Torino, UTET, 1983, vol .I pp.
236-237.
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non in principio nec in fine”21. Attraverso le intonazioni delle ballate pervenuteci tramite il Codice
Rossi22, viene mostrato come la fedeltà a quest’ultima prescrizione, derivante in origine forse dal
fatto che al principio e alla fine corrispondevano i passi e le movenze ritmiche più caratteristiche
della danza, assuma il valore di una caratteristica espressiva 23.
Tra il 1370 e gli inizi del Quattrocento, la ballata parallelamente al perdurare nella sua forma
monodica viene trattata anche in modo polifonico. Fra i primi esempi di ballate polifoniche si
trovano per lo più componimenti di genere comico, a due voci, con evidente intento caricaturale.
Nelle ballate del Quattrocento, la struttura metrica fondamentale rimane pressoché immutata, pur
cambiando radicalmente il contenuto e l’atteggiamento espressivo. La ballata, infine sostituita nella
forma lirica dallo strambotto, si trasformerà in componimento a soggetto narrativo o semi-
drammatico”.24
Perch’i’ no spero di tornar giammai è una ballata mezzana25 (“ballatetta”), composta da quattro
“stanze”, precedute dalla “ripresa”, ognuna delle quali è costituita da cinque endecasillabi seguiti da
cinque settenari, per un totale di dieci versi.
I sei versi della ripresa (un endecasillabo W e cinque settenari yyzzx), vengono generalmente
indicati con le ultime lettere dell’alfabeto per sottolineare lo stacco rispetto alle stanze e,
contemporaneamente per dare risalto alla rima di connessione (X).
21
N. PIRROTTA, Lirica monodica del Trecento, in “La Rassegna musicale”, XI (1936), novembre, pp. 318-
319..
22
4 ballate anonime, contenute nel Cod. Rossiano 215 della Biblioteca Apostolica Vaticana, probabilmente
anteriori alle altre 11 contenute nel Cod. Squarcialupi, inserite tra altre composizioni polifoniche di noti
polifonisti quali Gherardello da Firenze, Lorenzo Masini, e Niccolò da Perugia.
23
“Non soltanto infatti in tutte le intonazioni il ritmo ternario è adottato senza eccezione, ma l’affermazione
ritmica è il tratto caratteristico ed essenziale dello spunto melodico iniziale. Frequentemente il ritmo è
scandito da ripercussioni di un’identica nota sulla stessa sillaba che, per il loro scarso risultato vocale,
devono essere immaginate con ogni probabilità sottolineate da uno strumento accompagnante, a pizzico o a
percussione” (cfr. PIRROTTA, op. cit., p. 321).
24
Ibid.
25
Questa classificazione del Contini, desunta dalla presenza di versi settenari nella ripresa non è seguita da
tutti; alcuni infatti, rilevando che la ballata è composta da una ripresa di 6 versi la classificano come ‘ballata
stravagante’; cfr. ivi, p.217.
8
Lo schema delle stanze è AB, AB; Bccddx. La fronte è formata da quattro endecasillabi (AB, AB).
La sirma è composta da un endecasillabo e cinque settenari (Bccddx). La rima collega l’unico
endecasillabo della sirma all’ultimo della fronte ( rima “natura: disavventura”, segnata con B). Va
infine notato il collegamento tra ripresa e sirma (rima “onore: dolore”, segnata con x).
In sintesi, possiamo affermare che la forma metrica è caratterizzata dalla frequenza delle rime e
dalla regolare alternanza tra fronte e sirma. La fronte presenta versi lunghi e rime alternate; nella
sirma prevalgono i versi brevi e la rima baciata.
Deh, ballatetta mia, a la tu' smistate C Un poco più mosso ( chiaro e dolce);
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partita da colui
che fu servo d'Amore".
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