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ARCAISMI ESTETIZZANTI E SACRALITÀ DELLA DECLAMAZIONE: LA

BALLATA DALL’ ESILIO.

Non è possibile comprendere pienamente l’opera di Castelnuovo-Tedesco senza riferirsi al contesto


in cui si mosse, negli anni ’30 del Novecento, quella “generazione dell’ Ottanta” i cui maggiori
esponenti furono Alfano, Respighi, Pizzetti, Casella e Malipiero. Si trattava, per questi musicisti, di
superare la condizione di isolamento in cui era sprofondata la vita musicale italiana, sottoposta alle
pressioni di un regime che alimentava un nazionalismo tanto trionfalistico quanto vacuo, e dunque
prevalentemente chiusa rispetto ai più recenti sviluppi della musica europea (Debussy da una parte,
Schoenberg dall’altra).
A questa cerchia di compositori e a questo sforzo innovativo Castelnuovo-Tedesco è senz’altro
contiguo, al punto di essere indicato, sia pur in modo marginale, partecipe di quella “generazione”,
anche in virtù del legame con Ildebrando Pizzetti, suo maestro di composizione presso il
Conservatorio di Firenze1. Grande studioso della vocalità, nel primo decennio del ‘900 Pizzetti
teorizzava la necessità di un ‘dramma musicale’ in contrapposizione allo spettacolo ‘lirico’ che
contrassegnava eminentemente il teatro d’opera italiano, e in cui denunciava una relazione

1
Al Conservatorio Cherubini di Firenze Castelnuovo-Tedesco, sotto la guida di Edgardo del Valle aveva già
conseguito il diploma di pianoforte nel 1914.
1
‘prevaricante’ della musica sulla verità drammatica al punto da determinare un brusco arresto del
continuo scorrere degli avvenimenti (‘dramma’). Il riscatto da una sorta di “volgarità
melodrammatica”, per dirla con Mila, doveva passare per un alto ideale di dramma che si
identificava con la vita ma retto da un ideale di religiosa bontà: la componente etico-religiosa
doveva perciò trasfigurare l’ aspetto drammatico della composizione conferendole un sapore
ascetico al di là delle inquietudini percepibili2. Di qui i tratti stilistici che contraddistinguono l’opera
di Pizzetti come la vocalità dilagante, intensamente declamata, a tratti “oscillante tra il vocalizzo
alleluiatico e il salmodiare penitenziale” 3, tesa a tracciare le linee base della sua idea estetica e
morale di dramma inteso come conflitto tra vita e arte, all’interno di una visione religiosa che le
abbraccia entrambe.
Castelnuovo-Tedesco manterrà nel tempo una sincera devozione nei confronti di Pizzetti,
nonostante il comportamento tenuto quarant’anni dopo dal maestro 4, mutuandone peraltro alcuni
elementi tecnico-compositivi (spunti modali, melodie di sapore liturgico). D’altra parte, la visione
estetica di Castelnuovo-Tedesco si sforzerà di prescindere da ogni tecnica ricevuta, da ogni stile
dato5, e lo stesso ascendente pizzettiano verrà circoscritto al ritrovato gusto dell’utilizzazione delle
grandi masse vocali (coro), e a quel grande senso etico di bontà e umanità che rimase a fondamento
della sua concezione estetica.
Trascurando necessariamente in questa sede ogni riferimento agli oltre duecento numeri d’opera tra
musiche di scena, balletti, ouvertures sinfoniche, concerti per strumento solista e orchestra e
colonne sonore per film, vogliamo centrare la nostra attenzione sulla vasta produzione per chitarra 6,
strumento di cui Castelnuovo s’innamorò a prima vista 7, e, in particolare, sulla struggente Ballata
dall’esilio, per voce e chitarra8, composta nel 1956 sulla celebre ballatetta del poeta stilnovista
2
“Per dramma musicale io intendo […] quel dramma nel quale alla musica sia data la possibilità di rilevare
continuamente la misteriosa profondità dell’azione, oltre i limiti che la parola non può e non potrà mai
varcare” (cit. in Storia della musica., Il Novecento I, a cura di G. Salvetti, Torino, E.D.T., 1977, vol. IX, p.
184).
3
Ivi, p. 185.
4
Nel 1958, nonostante l’ultimo lavoro operistico di Castelnuovo, Il mercante di Venezia avesse vinto il
prestigioso Concorso Campari, patrocinato dal Teatro alla Scala, Pizzetti fece in modo che la stessa non
figurasse tra le rappresentazioni in cartellone della stagione scaligera.
5
“ In realtà a quindici anni (prima di studiare con Pizzetti, dal quale pure ho imparato moltissimo), la mia
personalità era già formata, ed è cambiata pochissimo nel corso degli anni. Si, da giovane scrivevo in modo
piuttosto complicato, e poi mi sono gradatamente e consapevolmente semplificato; ma le caratteristiche
melodiche, ritmiche e armoniche son sempre quelle” (Beverly Hills, 23 febbraio 1967, cit. in A. GILARDINO,
Un fiorentino a Beverly Hills, “ Sei corde”, Settembre-Ottobre 1995).
6
Per l’elenco completo delle opere per chitarra cfr. l’elenco riportato dopo la bibliografia.
7
“ E’ proprio per questo che io amo tanto la Chitarra! Non solo per la bellezza del suono, ma perché tutto
dev’essere essenziale! Con la chitarra bisogna essere ‘semplici’ e bisogna essere ‘veri’!” (Beverly Hills, 23
febbraio 1967, cit. in Un fiorentino a Beverly Hills, cit.).
8
Altre composizioni vocali con chitarra sono: i Vogelweide op. 186 (1958), un ciclo di dieci lieder
commissionati dal chitarrista S. Behrend, che aveva progettato di eseguirli con il baritono D. Fischer-
Dieskau. Il progetto non fu mai realizzato. Castelnuovo-Tedesco aveva musicato dieci poesie del
2
Guido Cavalcanti9, e ascrivibile, pertanto, a quel periodo della sua produzione compreso tra il 1943
e il 1958 , definito “secondo periodo” dopo quello cosiddetto italiano, che coincide con l’ incontro
con Segovia10 fino alla partenza per l’esilio negli Stati Uniti (1932-1939) per sottrarsi alle leggi
razziali ormai in vigore nel nostro Paese, e dove poi morì11.
Durante i primi anni americani Castelnuovo-Tedesco non scrisse neanche una pagina per chitarra,
fin quando, nel 1943, riprese la sua produzione segoviana 12. I brani risultano formalmente molto
raffinati ma meno immediati di quelli del periodo precedente, quasi come se, astenendosi

Minnesanger W. von der Vogelweide (1170-1230) ispirato nell’accompagnamento chitarristico dalle


suggestioni pianistiche dei lieder di Schumann. Platero y yo op.190 (1960) per voce recitante e chitarra, è
composto su 28 liriche di J. Ramon Jimenez, selezionate da Castelnuovo e ordinate in quattro itinerari
narrativi paralleli. Il compositore scelse di farle narrare da una voce recitante , mentre affidò alla chitarra la
“rappresentazione musicale”, a commento e drammatizzazione del racconto. La sua idea era quella di
un’incisione di un album composto da due LP, con uno dei quattro itinerari sopra ciascuna facciata: interpreti
A. Segovia e l’attore J. Ferrer. Purtroppo, anche questo progetto non andò in porto e si ridusse ad
un’incisione di Segovia che registrò, senza l’ausilio del narratore, solo dieci delle ventotto composizioni.
Questa soluzione fu accettata con poca convinzione da Castelnuovo, che pur ammirava senza riserve il
carismatico chitarrista. La raccolta è dedicata ad Aldo Bruzzichelli, un uomo d’affari, chitarrista dilettante ed
editore, conosciuto nel 1935, ma, soprattutto l’amico di una vita che lo accompagnò con il suo amorevole
conforto durante la fase dolorosa dei primi anni di esilio. Romancero Gitano op. 152 (1951), per quattro voci
miste e chitarra, fu composto su testi di F. G. Lorca, tratti in realtà non dal Romancero, ma dal Poema del
Cante Jondo. Sottolineando la bellezza di quest’opera, unica per suggestione nel corpus chitarristico di
Castelnuovo, Gilardino spiega come la forma madrigalistica dei sette brani “a quattro voci miste di linee d’
inconfondibile gusto ispanico, anzi, più propriamente ‘jondo’ ”, affidi alla chitarra introduzioni concertanti e
brevi postludi, mentre, in genere nelle altre composizioni la funzione dello strumento è quella di creare uno
sfondo ritmico-armonico. ( cfr. A. GILARDINO, Manuale di Storia della Chitarra, Ancona, Berben, vol. II, p.
50). L’ ultimo capolavoro di musica da camera con chitarra è rappresentato dal ciclo The Divan of Moses-
Ibn-Ezra op. 207 (1966), comprendente diciannove liriche tradotte in inglese di un poeta ebraico-spagnolo,
vissuto a Granada tra il 1060 e il 1140. Questa raccolta è stata riconosciuta quale testamento spirituale ed
apice della sua invenzione compositiva nell’ ambito delle liriche da camera.
9
Guido Cavalcanti (1260 c.-1300), appartenente ad una nobile famiglia guelfa di Firenze (figlio di
Cavalcante l’ “epicureo” dannato da Dante nel canto X della Commedia), fu nel 1280 tra i garanti della pace
tra guelfi e ghibellini. ‘Bianco’, aristocraticamente contrario alle riforme ‘democratiche’ del comune
fiorentino, fu nemico acerrimo dei Donati, in particolare di Corso, verso il quale nutrì un’accanita ostilità,
degenerata, secondo le cronache del tempo, in rissosi episodi di intolleranza e violenza partigiana, benché fin
dal 1284 fosse entrato a far parte del consiglio generale del comune. Si ritrovò tra i capi delle due opposte
fazioni che vennero esiliati nel 1300, per decisione dei priori, con l’intento di riportare la pace in città (tra i
priori figura anche Dante). Alcuni mesi dopo, in seguito ad un’ amnistia, poté rientrare dal confino di
Sarzana a Firenze, dove morì nello stesso anno.
10
Tale periodo comincia con le Variazioni attraverso i secoli op.71 (1932) e termina con il Concerto in re
op. 99 (1939). In questi anni, Segovia è il più illustre committente del compositore fiorentino che cerca di
soddisfare con puntualità ogni sua richiesta. Le opere di questo periodo sono caratterizzate da un
‘temperamento mediterraneo’ che si riversa in “un crogiolo stilistico nel quale confluiscono derivazioni
francesi e spagnole; egli non fa abituale ricorso alla musica popolare (al contrario, è un compositore
aristocratico e finanche un poco ‘snob’), ma la tradizione musicale italiana, dal Settecento a Puccini, si
respira nelle sue composizioni – segnatamente in quelle chitarristiche degli anni ‘30- in un complesso di
riferimenti che vanno dal profilo cantabilissimo delle melodie all’esplicito intento di rivivere aspetti formali
e stilistici cari ai maestri italiani” (Sonata Omaggio a Boccherini op. 77) (A. Gilardino, Manuale di storia
della chitarra, cit., p. 50).
11
Se in un primo momento il musicista sottovalutò i pericoli del razzismo incombenti nel suo paese, dopo il doloroso
episodio che portò alla cancellazione di uno dei suoi Concerti per violino dalla programmazione radiofonica e l’ultima
esecuzione degli intermezzi sinfonici scritti per I giganti della montagna di Pirandello, durante il Maggio Musicale

3
dall’elaborare in musica il suo presente, intendesse relegarlo nella memoria di un tempo di vita che
fu, arginando il flusso vitale in un quadro formale ridondante di un marcato tradizionalismo. Di
questo periodo, che è stato definito “inerziale”, la Ballata dall’esilio è l’opera più significativa, e
tale da anticipare il grande ciclo delle liriche per voce e chitarra dell’ultimo periodo (1958-1968) 13,
quando l’ opera di Castelnuovo-Tedesco si colora di un atteggiamento più intimistico fondato su
un’identificazione del proprio ‘vissuto profondo’ con quello degli illustri artisti che lo hanno
preceduto (Goya, Jimenez, Moses-Ibn-Eszra), e diviene perciò testamento e supplica come ricordo
di un intero percorso di vita.

fiorentino, dovette prendere atto dell’impossibilità di proseguire la sua attività in Italia.


12
Ricordiamo la Sérénade op.118 pour guitar et orchestre de chambre (1943), d’ ispirazione mozartiana,
unica composizione scritta durante il periodo bellico che comprenda la chitarra, seguita dal Rondò op. 129
(1946), dalla Suite op. 133 (1947), dal Quintetto op. 143 per chitarrra ed archi (1950), dalla Fantasia op. 150
per pianoforte e chitarra (1950), dal Romancero gitano op. 152, per quattro voci miste e chitarra (1951), dal
Concerto n° 2, in Do M per chitarra e orchestra (1953), dalla Passacaglia op. 180 (Omaggio a Roncalli)
(1956), dal Canto delle Azzorre (1957), una Greeting card, ossia una composizione scritta ad hoc per
qualche amico. L’ espediente era molto bizzarro: ogni lettera del nome e del cognome del dedicatario era
collegata ad una nota di una scala cromatica di due ottave. Ventiquattro note per ventiquattro lettere
dell’alfabeto che costituivano delle sequenze su cui il compositore costruiva l’enunciato del brano ed i
successivi sviluppi. Questa sorta di “cartoline musicali” furono molto ambite da vari musicisti, in quanto
oltre alla celebrazione di un sentimento d’amicizia, rappresentavano un riconoscimento del loro status di
interpreti della musica dell’ Autore.
13
The Divan of Moses-Ibn-Ezra op.207 (1966). La terza fase dell’opera di Castelnuovo-Tedesco è
caratterizzata dalla presenza di ampie raccolte cicliche, la prima delle quali è costituita dai Vogelweide op.
186 (1958), seguita da quattro poderose collezioni: Platero y yo op. 190 (1960), 24 caprichos de Goya op.
195 (1961), Le guitares bien temperée op.199 (1962), The Divan… (1966). L’ ultima raccolta, che porta il
titolo di Appunti op.210 (1967), rimase incompiuta.
4
CAMPO TESTUALE (tempo, luogo, presupposti culturali)

Nel suo celebre componimento il poeta si rivolge alla sua “ballatetta”, sfruttando un tòpos poetico
ricorrente nella poesia delle origini, invitandola a recarsi dalla donna amata per portarle notizia dei
suoi sospiri e del suo sofferto amore. Il terribile presentimento di morte e l’angoscioso tormento
interiore espressi dal poeta, sono stati spesso visti dalla critica quali temi autobiografici, e per molto
tempo si è creduto che la ballata fosse stata composta a Sarzana, durante l’ultima malattia di
Cavalcanti; sebbene ciò non possa essere escluso categoricamente, la presenza ricorrente del tema
nei componimenti di altri poeti stilnovisti porterebbe, tuttavia, a credere che si tratti più
probabilmente di un argomento di natura letteraria. A questo proposito è indicativo anche il fatto
che l’interlocutore diretto sia il prodotto letterario medesimo e che immediatamente l’occasione
poetica diventi un discorso di stile14.
La ballata sembrerebbe comunque rivelare un nuovo stato d’animo di Cavalcanti 15, al punto da far
presumere che effettivamente sia stata composta proprio in ‘summo vitae discrimina’, quando cioè
il poeta, sofferente e consapevole della sua prossima fine, rivela a se stesso una sensibilità nuova,
attraverso la quale i suoni della vita gli giungono affievoliti ma pur sempre distinti ed articolati in
nuove armonie. L’idea della morte, infatti, che è uno dei temi dominanti della sua poesia, appare ora
come trasfigurata, generando un nuovo ordine di sentimenti che, a loro volta, creano una lirica
nuova. Ci troviamo di fronte ad una pacificazione, potremmo dire ad una catarsi, che si compie
nell’animo del poeta quando le forze ostili della vita sono oramai insostenibili 16. La sua pace è
quella dei vinti che accettano con rassegnazione il proprio destino. Accettazione, rassegnazione, ma
non consolate dalla speranza, in quanto la profonda malinconia, pur sottraendo al mondo una
visione di durezza tagliente, non lascia scorgere la luce e la serenità.

14
V. 3, “leggera e piana”.
15
“ La ricerca psicologica cavalcantiana, risentendo del pensiero averroistico, scivola dalle inflessioni trepide
delle ballate precedenti (ne scrisse 11 in tutto, compresa la ballatetta) alle cadenze elegiache di Perch’i’ no
spero di tornar giammai, portando a risultati di estrema rarefazione poetica la lirica d’arte dello Stilnovo e
spianando la strada ai diversi esiti danteschi.
16
Stanco e sofferente, lontano dalla patria (non si sa se nell’esilio di Sarzana o in Provenza), dominato dal
pensiero della morte, senza speranze o desideri, in un momento di viva nostalgia Cavalcanti affida il suo
messaggio alla ballatetta.
5
IMMAGINAZIONE MUSICALE E CAMPO TESTUALE

La poesia per il poeta, come la musica per il musicista, sono custodi delle loro anime. Entrambe
costituiscono, rispettivamente, le privilegiate espressioni delle personalità degli autori. Non siamo
di fronte a uno sfogo dell’ anima, ma ad un esercizio rigorosamente codificato: per la poesia, da
norme tipiche della poetica cortese, per la musica, da referenti culturali che affondano in una
tradizione consolidata. L’evocazione di atmosfere remote attraverso precise soluzioni ritmiche,
melodiche, armoniche e strumentali adottate da Castelnuovo- Tedesco, portano all’elaborazione di
un’ “esemplificazione sonora” che rispecchia gli orientamenti fonici del testo potenziandone le
sonorità verbali. L’azione della musica sul testo determina un’estensione dei significati “modali” 17
di esso proponendo, al tempo stesso, una continuità semantica tra i due linguaggi senza peraltro
tradursi in un duplicato della parola. La musica ha la capacità di reinterpretare il testo, dando luogo
ad un significato ri- configurato. Non sono presenti elementi drammatici poetici e musicali, ma tutto
è perfettamente risolto su di un piano introspettivo intimo e confidenziale. La ballata e la musica
prendono il posto del poeta e del musicista, e si proiettano in un indeterminato futuro successivo
alla morte prendendo le distanze dalle sofferenze, contemplandole come se non appartenessero più
al loro essere: l’ atteggiamento che ne deriva è perciò malinconico e non tragico.

FORMA LETTERARIA E FORMA MUSICALE

La ballata (detta pure ‘canzone a ballo’), forma di parziale origine popolare, presente anche nelle
letterature d’oil e d’oc è un metro che comincia ad essere attestato verso la metà del XIII secolo in
Toscana (non rientra perciò fra i metri dei siciliani). Sua caratteristica fondamentale è la presenza di
un ritornello o ripresa, premesso alla prima stanza, che veniva ripetuto alla fine di ognuna di esse,
riproducendone almeno l’ultima rima.
Il termine stanza, legato alla dimensione musicale, indica le strofe di una ballata o di una canzone18
e sottolinea il fatto che la singola strofa rappresenta uno svolgimento chiuso in sé stesso, che “sta”
cioè su un certo tono recitativo o musicale. Essa presenta in genere una struttura costante, fatta di
17
Per significati “modali” vanno intesi “gli atteggiamenti, le credenze, il coinvolgimento emotivo dell’autore,
che si manifestano in maniera diffusa nel testo attraverso le scelte lessicali, lo stile enunciativo, l’uso di
termini particolari (come ‘forse’, ‘sicuramente’, ‘purtroppo’, ‘magari’)”. M. DELLA CASA, Relazioni fra
musica e testo nelle opere vocali, in “Analisi”, Milano, Ricordi, 1989.
18
“La canzone è – come scrive l’ Elvert- ‘la forma più illustre dell’antica lirica italiana’; essa venne ‘foggiata
dai poeti siciliani sul modello della cansò provenzale, subì molteplici trasformazioni, finché raggiunse quella
sua forma esemplare per la poesia italiana ad opera del Petrarca, il quale aveva accolto le modifiche decisive,
introdotte da Dante e da Cino da Pistoia’ ” (S. GUGLIELMINO – H. GROSSER, Il sistema letterario. Guida alla
storia letteraria e all’analisi testuale, Milano, Principato, 1987, vol. I. p. 214).
6
endecasillabi e/o settenari che si ripete in tutte le stanze del singolo componimento, in cui
s’individua una prima parte chiamata fronte, divisa quasi sempre in due piedi (con rime di vario tipo
tra i versi di un piede e quelli dell’altro); e una seconda parte, chiamata sirma o sirima o coda, che
può essere divisa in due volte (anche qui, ma in modi più vari, con ricorrenze di rime da una volta
all’altra). Tra la fronte e il sirma può esserci un verso di collegamento, chiamato chiave; infine
segue il congedo, che riproduce generalmente la struttura della sirma o di parte di essa.
Le stanze venivano cantate da un solista e figurate dal coro con la danza (mezzo giro in un senso,
corrispondente al primo piede della stanza; mezzo giro dall’altro senso corrispondente al secondo
piede della stanza, e infine un terzo giro intero che costituiva la volta della stanza). Tra l’una e
l’altra si ripeteva il ‘ritornello’ (ripresa), composto di quattro versi ed eseguito dal coro delle
danzatrici che disposte in cerchio compivano un giro intero. Secondo la lunghezza della ripresa, si
parla di ballata grande, di ballata mezzana e di ballata piccola.

Musicalmente, lo schema della ballata, che raggiunse la sua forma definitiva attraverso l’opera dei
poeti del “dolce stil novo” e dei musicisti che la trasposero in musica, ci viene illustrato con
chiarezza sin dalla fine del Trecento nelle principali opere teoriche dell’epoca 19 . Possiamo
individuare 4 sezioni, corrispondenti alla ripresa, al primo piede, al secondo piede e volta; laddove
lo schema metrico è analogo, anche la melodia si ripete identica, così che la struttura musicale
risulta essere ABBA. Si tratta in sostanza di due frasi musicali, A e B, la seconda delle quali
(indicata in quasi tutti i MSS come secunda pars) ritornellata e seguita dalla ripetizione della prima
parte. Alla ballata spettava il compito di soddisfare le esigenze musicali del pubblico più vasto e
vario, di ogni ceto e condizione sociale. Fin dalla prima metà del Trecento il genere si caratterizzò
come “la più importante forma di poesia per musica, mentre il sonetto e la canzone, anch’essi
inizialmente concepiti nel duplice aspetto letterario e musicale, divengono forme esclusivamente
poetiche”20.
Da un punto di vista tonale e melodico, per le ballate vere e proprie chiamate “quia ballantur” che
si distinguevano dai “soni sive sonetti” (canzoni) non esistevano prescrizioni assolute, tranne che
per l’aspetto ritmico in cui il compositore doveva attenersi alla misura di tre movimenti (tempus
perfectum), con divisione binaria (aer ytallicum), corrispondente al nostro ¾, che poteva essere però
alternata in alcuni passi da una divisione ternaria (aer gallicum), corrispondente al nostro 9/8, “sed

19
Ricordiamo tra queste il Trattato delle rime volgari di Antonio da Tempo, l’anonimo Capitulum de
vocibus applicatis verbis (databile intorno alla prima metà del secolo), e il Trattato de li rithimi volgari
scritto nel 1381-84 da Gidino da Sommacampagna.
20
M. PASCALE, voce: Ballata, in Dizionario della Musica e dei Musicisti, Torino, UTET, 1983, vol .I pp.
236-237.
7
non in principio nec in fine”21. Attraverso le intonazioni delle ballate pervenuteci tramite il Codice
Rossi22, viene mostrato come la fedeltà a quest’ultima prescrizione, derivante in origine forse dal
fatto che al principio e alla fine corrispondevano i passi e le movenze ritmiche più caratteristiche
della danza, assuma il valore di una caratteristica espressiva 23.
Tra il 1370 e gli inizi del Quattrocento, la ballata parallelamente al perdurare nella sua forma
monodica viene trattata anche in modo polifonico. Fra i primi esempi di ballate polifoniche si
trovano per lo più componimenti di genere comico, a due voci, con evidente intento caricaturale.
Nelle ballate del Quattrocento, la struttura metrica fondamentale rimane pressoché immutata, pur
cambiando radicalmente il contenuto e l’atteggiamento espressivo. La ballata, infine sostituita nella
forma lirica dallo strambotto, si trasformerà in componimento a soggetto narrativo o semi-
drammatico”.24

FORMA ORGANIZZATIVA DEL TESTO

Perch’i’ no spero di tornar giammai è una ballata mezzana25 (“ballatetta”), composta da quattro
“stanze”, precedute dalla “ripresa”, ognuna delle quali è costituita da cinque endecasillabi seguiti da
cinque settenari, per un totale di dieci versi.
I sei versi della ripresa (un endecasillabo W e cinque settenari yyzzx), vengono generalmente
indicati con le ultime lettere dell’alfabeto per sottolineare lo stacco rispetto alle stanze e,
contemporaneamente per dare risalto alla rima di connessione (X).

21
N. PIRROTTA, Lirica monodica del Trecento, in “La Rassegna musicale”, XI (1936), novembre, pp. 318-
319..
22
4 ballate anonime, contenute nel Cod. Rossiano 215 della Biblioteca Apostolica Vaticana, probabilmente
anteriori alle altre 11 contenute nel Cod. Squarcialupi, inserite tra altre composizioni polifoniche di noti
polifonisti quali Gherardello da Firenze, Lorenzo Masini, e Niccolò da Perugia.
23
“Non soltanto infatti in tutte le intonazioni il ritmo ternario è adottato senza eccezione, ma l’affermazione
ritmica è il tratto caratteristico ed essenziale dello spunto melodico iniziale. Frequentemente il ritmo è
scandito da ripercussioni di un’identica nota sulla stessa sillaba che, per il loro scarso risultato vocale,
devono essere immaginate con ogni probabilità sottolineate da uno strumento accompagnante, a pizzico o a
percussione” (cfr. PIRROTTA, op. cit., p. 321).
24
Ibid.
25
Questa classificazione del Contini, desunta dalla presenza di versi settenari nella ripresa non è seguita da
tutti; alcuni infatti, rilevando che la ballata è composta da una ripresa di 6 versi la classificano come ‘ballata
stravagante’; cfr. ivi, p.217.
8
Lo schema delle stanze è AB, AB; Bccddx. La fronte è formata da quattro endecasillabi (AB, AB).
La sirma è composta da un endecasillabo e cinque settenari (Bccddx). La rima collega l’unico
endecasillabo della sirma all’ultimo della fronte ( rima “natura: disavventura”, segnata con B). Va
infine notato il collegamento tra ripresa e sirma (rima “onore: dolore”, segnata con x).
In sintesi, possiamo affermare che la forma metrica è caratterizzata dalla frequenza delle rime e
dalla regolare alternanza tra fronte e sirma. La fronte presenta versi lunghi e rime alternate; nella
sirma prevalgono i versi brevi e la rima baciata.

Perch’io no spero di tornar giammai.

Perch'i' no spero di tornar giammai, A Lento ( dolce e malinconico); (bb.1-22)


Ballatetta, in Toscana,
va' tu, leggera e piana,
dritt' a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

Tu porterai novelle di sospiri


piene di dogli' e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
ché certo per la mia disaventura A1 Un poco mosso; (bb. 23-38)
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.

Tu senti, ballatetta, che la morte B Un poco agitato; (bb. 39-69)


mi stringe sì, che vita m'abbandona;
e senti come 'l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
Tanto è distrutta già la mia persona,
ch'i' non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l'anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.

Deh, ballatetta mia, a la tu' smistate C Un poco più mosso ( chiaro e dolce);

quest anima che trema raccomando: (bb. 70-89)


menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu' ti mando.
Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se' presente:
"Questa vostra servente C1 Dolcissimo (ma scorrevole) ;
vien per istar con voi, (bb. 90-100)

9
partita da colui
che fu servo d'Amore".

Tu, voce sbigottita e deboletta A2 Tempo I (dolce e malinconico);


ch'esci piangendo de lo cor dolente, (bb. 101-134)
coll'anima e con questa ballatetta
va' ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim', e tu l'adora
sempre, nel su' valore.

10

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