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Capitolo terzo

Il valore dell’ambiente.

Valutazione economica dei beni ambientali: valore d’uso e valore di non uso.

Abbiamo visto che per determinare un livello efficiente di sfruttamento dell’ambiente è


necessario disporre di una valutazione economica del danno ambientale e che per
determinare un livello efficiente di protezione dell’ambiente è necessario disporre di
una valutazione economica del beneficio di tale protezione. In generale, la protezione
dell’ambiente o il suo miglioramento è un “bene ambientale”; lo sfruttamento
dell’ambiente o il suo degrado è un “male ambientale”. Più specificamente la qualità
dell’aria o la qualità dell’acqua sono beni ambientali; l’inquinamento dell’aria o
l’inquinamento dell’acqua sono mali ambientali. Una piacevole vista su un paesaggio
verde o sul mare pulito è un bene ambientale; la vista su una città inquinata dallo smog
è un male ambientale. La sopravvivenza di una specie animale può essere considerata
un bene ambientale; l’estinzione di quella specie può essere considerata un male
ambientale.

Come per ogni bene, il valore di un bene ambientale è legato alle preferenze delle
persone per questo bene. La funzione di domanda costituisce il modo tipico con cui si
rappresentano le preferenze di una persona per un bene. La funzione di domanda ci dice
quanto una persona è disposta a spendere per acquistare una certa quantità di un certo
bene; oppure di quanto si riduce la quantità acquistata di un bene se il prezzo aumenta.

La cosa importante da notare è che, mentre le informazioni fornite da una funzione di


domanda sono agevolmente ricavabili nel caso di beni privati scambiabili su un
mercato, il problema con i beni ambientali è che essi sono beni pubblici per i quali non
esiste un mercato sul quale possono essere scambiati. Non abbiamo quindi dal mercato
informazioni sulla quantità di un bene ambientale che viene scambiata a diversi prezzi.

Eppure la domanda “quanto è disponibile a pagare una persona per godere di una certa
quantità di un bene ambientale?” è una domanda importante perché ogni problema
ambientale implica un “trade off” tra l’usare risorse limitate per procurarsi beni e servizi
convenzionali di mercato e l’usare risorse limitate per favorire la protezione
dell’ambiente. Conoscere i benefici di un progetto di miglioramento ambientale in
termini di disponibilità a pagare per ottenerli è importante al fine di determinare la
decisione di sostenere i costi associati al progetto.

Il fatto che sia difficile calcolare il valore che le persone assegnano a un bene
ambientale, e quindi che sia difficile calcolare quanto sono disposte a contribuire per la
protezione di tale bene, non diminuisce l’importanza dello sforzo volto a stimare tale
valore, e quindi la domanda del bene ambientale in questione. Può essere difficile
stimare quanto le persone sono disposte a pagare per disporre dell’aria pulita; ma è
chiaro che rendere disponibile l’aria pulita costa, e questi costi non verranno
probabilmente sostenuti se non c’è una disponibilità a pagare per finanziarli.
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Nella valutazione economica dei beni ambientali dobbiamo distinguere due componenti
del valore: il valore d’uso e il valore di non uso. Si tratta di una distinzione basata sul
modo in cui le persone percepiscono il danno che deriva dalla mancata disponibilità di
un bene ambientale o, se si vuole, dalla esistenza di un male ambientale.

Il valore d’uso deriva dal consumo di un bene. Nel caso di un bene ambientale, questo
include l’uso corrente (“sto attualmente visitando un parco naturale”), l’uso atteso (“ho
in programma di visitare il parco naturale quest’anno”), l’uso possibile (“potrei visitare
il parco naturale nei prossimi anni”). Il fatto che vi sia un uso possibile significa che il
bene ambientale può avere un valore anche se non è usato attualmente, ma
semplicemente per il fatto della possibilità di essere usato in futuro.

Il miglioramento del valore d’uso avviene attraverso il modo in cui il bene ambientale
influisce sulle persone. Vi possono essere effetti diretti, come l’effetto diretto sulla
salute in termini di riduzione della morbidità derivante da una riduzione
dell’inquinamento, o come l’effetto sul benessere in termini di minore rumore o minore
impatto visivo. Oppure vi possono essere effetti indiretti attraverso il miglioramento
degli ecosistemi nei quali le persone vivono. Ad esempio l’inquinamento può
danneggiare l’ecosistema che costituisce un parco naturale e quindi ridurne il valore
ricreativo; ridurre l’inquinamento migliora il valore ricreativo. A volte gli effetti
indiretti possono essere molto mediati: per esempio il danno alla biodiversità di una
foresta tropicale può tradursi in una perdita di risorse genetiche e in minori possibilità di
nuove medicine.

Il valore di non uso deriva dall’incremento di utilità che una persona deriva dalla
semplice esistenza del bene ambientale, senza che questa persona usi o si proponga di
usare oggi o nel futuro il bene. Ci sono essenzialmente tre tipi di valore di non uso: il
valore di esistenza, il valore altruistico e il valore di eredità.

Il valore di esistenza vero e proprio di un bene deriva semplicemente dal fatto di sapere
che quel bene esiste e continua ad esistere: ad esempio una determinata specie animale
o vegetale, o un intero ecosistema, magari localizzato in siti remoti, che chi lo valuta
magari mai visiterà e dal cui uso mai trarrà alcun beneficio neppure indiretto.

Il valore altruistico deriva non dal consumo di chi esprime la valutazione, ma dal fatto
che chi esprime la valutazione ricava utilità dall’esistenza del bene perché questo
consente che qualcun altro goda del bene.

Il valore di eredità è simile ma è associato con i discendenti di chi esprime la


valutazione: il fatto che una particolare area di pregio naturalistico venga preservata per
poter essere goduta dai miei figli o nipoti è per me fonte di valore anche se non la godo
e non intendo goderla in futuro.

Data l’assenza di mercati di beni ambientali, misurare la domanda di tali beni è


particolarmente difficile. Vi sono fondamentalmente due metodi di misurazione della
domanda: metodi indiretti, chiamati anche delle “preferenze rivelate”, e metodi diretti,
chiamati anche delle “preferenze dichiarate”. Con l’approccio delle preferenze rivelate,
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noi osserviamo una scelta reale effettuata in qualche mercato collegato al bene
ambientale e traiamo da ciò una informazione sulla valutazione del bene ambientale. Il
secondo approccio, delle preferenze dichiarate, si ricava una informazione sulla
valutazione del bene ambientale chiedendola direttamente alle persone interessate.

Valutazioni delle variazioni di benessere per i beni di mercato.

Prima di analizzare la teoria della domanda di beni ambientali è opportuno ripercorrere


alcuni elementi della teoria della domanda di beni di mercato che potranno essere utili
proprio al fine della specificazione della domanda dei beni ambientali.

La teoria economica ci dice come costruire una funzione di domanda individuale


basandosi sulla massimizzazione dell’utilità del consumatore. La curva di domanda di
mercato è la somma orizzontale delle curve di domanda individuali.

Il punto di partenza è una funzione di utilità di un consumatore u(z,q) dove z e q sono


due beni. I prezzi di z e q, rispettivamente pz e pq, e il reddito monetario del
consumatore y sono dati. Dalla massimizzazione dell’utilità dato il reddito, facendo
( )
variare il prezzo del bene q si ricava la funzione di domanda ordinaria x q p q , p z , y del
bene q.

La costruzione della funzione di domanda ordinaria per il bene q è rappresentata nella


fig.3.1. Nella figura sono tracciate varie curve di indifferenza ( u A , u B , u C ), ciascuna
delle quali rappresenta le combinazioni di consumo dei due beni che danno lo stesso
livello di utilità al consumatore. E sono inoltre tracciate varie rette di bilancio, ciascuna
delle quali rappresenta le combinazioni di consumo dei due beni che il consumatore può
acquisire spendendo tutto il suo reddito. Le rette di bilancio sono associate a livelli
diversi del prezzo del bene q. Esse ruotano intorno al punto sull’asse delle ordinate in
cui tutta la spesa è rivolta al bene z. La loro inclinazione, che rappresenta p q / p z , ossia
il prezzo relativo del bene q in termini del bene z, si riduce man mano che si riduce il
prezzo del bene q.

Come sappiamo dalla teoria della scelta del consumatore, data un retta di bilancio, ogni
consumatore sceglierà la combinazione di beni nel punto in cui quella retta di bilancio è
tangente alla curva di indifferenza, perché questo significa che con quella retta di
bilancio il consumatore si colloca sulla curva di indifferenza più elevata, ossia
massimizza il proprio benessere. Nella parte superiore della fig.2.1 i vari punti A,B,C
rappresentano vari punti di ottimo per il consumatore al variare del prezzo del bene q.
Quindi nella parte inferiore della figura si associano le varie quantità scelte del bene q
con il prezzo, ottenendo la curva di domanda ordinaria

Un modo alternativo di ricavare una funzione di domanda per il bene q è quello di


mantenere costante, non il reddito, ma l’utilità, al variare del prezzo del bene q. L’unico
modo per mantenere costante l’utilità quando varia il prezzo è far variare il reddito in
modo che il consumatore rimanga sulla stessa curva di indifferenza. La funzione di
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domanda ottenuta mantenendo costante il livello di utilità è chiamata funzione di


( )
domanda compensata; per il bene q essa è h q p q , p z , U dove U è il particolare livello
di utilità che viene mantenuto costante. La costruzione della funzione di domanda
compensata per il bene q è rappresentata nella fig.3.2.

Le due curve di domanda consentono di tenere separatamente conto di due effetti della
variazione del prezzo di un bene, l’effetto di sostituzione e l’effetto di reddito. Quando
il prezzo del bene q cresce, la gente ne consuma di meno, sostituendolo con il bene z:
questo è l’effetto di sostituzione. Ma quando il prezzo del bene q cresce, la gente
diventa più povera perché il potere d’acquisto diminuisce e consumerà di meno di
entrambi i beni: questo l’effetto di reddito. La curva di domanda compensata mostra
solo l’effetto di sostituzione. Quindi confrontando la curva di domanda compensata con
quella ordinaria possiamo isolare l’effetto di reddito.

Poiché l’effetto di reddito (almeno per un bene normale) si aggiunge all’effetto di


sostituzione, la curva di domanda compensata sarà più inclinata della curva di domanda
ordinaria. D’altra parte poiché ogni punto sulla curva di domanda ordinaria si riferisce
ad un diverso livello di utilità, per ogni punto della curva di domanda ordinaria passa
una diversa curva di domanda compensata. La relazione tra le due curve è rappresentata
nella fig.3.3.

Ciascun punto su una curva di domanda ordinaria rappresenta la disponibilità marginale


a pagare per una unità addizionale del bene. Quindi l’area sottostante la curva di
domanda ordinaria rappresenta il valore totale del consumo. Il surplus dei consumatori è
la differenza tra il valore totale del consumo e la spesa effettiva per il consumo. Nella
fig.3.4, se il prezzo è p ∗q , la quantità domandata dai consumatori è q ∗ . L’area OBAq*
sottostante alla curva di domanda ordinaria rappresenta il valore totale del consumo
come somma dei valori marginali rappresentati dalla disponibilità marginale a pagare.
La spesa effettiva è rappresentata dall’area Op ∗q Aq ∗ . Il surplus dei consumatori è

rappresentato dall’area tratteggiata p ∗q BA .

La variazione del surplus dei consumatori al variare del prezzo di un bene, rappresentata
nella fig.3.5, è una misura della connessa variazione di benessere. Se il prezzo del bene
scende, questo rappresenta un beneficio per il consumatore e quindi il benessere
aumenta; se il prezzo del bene aumenta, questo rappresenta un danno per il consumatore
e quindi il benessere diminuisce. Se prendiamo come misura della variazione di
benessere associata ad una variazione di prezzo, la variazione del surplus del
consumatore, in questa misura l’effetto di prezzo è mescolato all’effetto di reddito.

Una ragionevole misura della variazione di benessere associata al beneficio per il


consumatore costituito da una riduzione di prezzo è rappresentata dalla massima
disponibilità a pagare per ottenere il beneficio, e cioè la riduzione di prezzo. Questa
misura di variazione di benessere è chiamata variazione compensativa (VC) ed è
rappresentata nella fig.3.6. Quando c’è una riduzione di prezzo il consumatore passa dal
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punto A al punto B della fig.3.6, e quindi da un livello di utilità iniziale u 0 ad un livello


di utilità finale u1 .

Qual è il massimo che il consumatore è disposto a pagare per conseguire il beneficio


della riduzione del prezzo? Evidentemente una somma che lo mantiene sul livello di
utilità iniziale con il beneficio ottenuto, ossia con il prezzo più basso (punto C nella
fig.3.6). Se il consumatore paga meno della variazione compensativa, va su una curva di
indifferenza più alta di quella iniziale e quindi non si tratta del massimo che è disposto a
pagare; se paga di più peggiora la sua situazione rispetto a quella iniziale e non gli
conviene avere il beneficio.

La variazione compensativa è la massima disponibilità a pagare per ottenere il beneficio


di una riduzione del prezzo; essa è pertanto un reddito sottratto ai consumatori in modo
che ottengano il beneficio e rimangano sulla stessa utilità iniziale. Per ottenere la
variazione compensativa, passiamo dal punto A al punto C nella fig.3.6; ossia
utilizziamo solo l’effetto di sostituzione. Questo vuol dire che abbiamo a che fare con la
curva di domanda compensata. Ed in effetti possiamo mostrare che la variazione
compensative è l’analogo della variazione del surplus del consumatore se invece di
utilizzare la curva di domanda ordinaria, utilizziamo la curva di domanda compensata.

Per renderci conto di ciò partiamo dalla seguente funzione di spesa

( ) ( ) (
E p z , pq , U = p z h z p z , pq , U + pq h q p z , pq , U ) (3.1)

Come si vede la funzione di spesa indica quanto reddito è necessario per conseguire il
livello di utilità U dati i prezzi pz e pq.

Consideriamo la variazione al variare del prezzo del bene q in modo da mantenere il


consumatore su un determinato livello di utilità:

( ) (
dE p z , p q , U = h q p z , p q , U dp q )
ossia

(
dE p z , p q , U )
h q (p z , p q , U) = (3.2)
dp q

La funzione di domanda compensata di un bene è la derivata della funzione di spesa


rispetto al prezzo del bene. Ma questo vuol dire che la variazione del reddito che
dobbiamo sottrarre al consumatore come variazione compensativa per mantenerlo al
livello di utilità iniziale in presenza di una riduzione di prezzo, è rappresentata dall’area
al di sotto della curva di domanda compensata relativa all’utilità iniziale come somma
delle variazioni marginali di reddito. Questo si vede nella fig.3.7.

La variazione compensativa è quindi esprimibile come


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( ) ( ) (
VC p 0q , p1q = E p 0q , p z , U 0 − E p1q , p z , U 0 ) (3.3)

Un'altra ragionevole misura della variazione di benessere associata al beneficio per il


consumatore costituito da una riduzione di prezzo è rappresentata dalla minima somma
che il consumatore chiede come compensazione per rinunciare al beneficio, cioè per
rinunciare alla riduzione di prezzo. In questo caso dobbiamo dare al consumatore un
reddito aggiuntivo che lo collochi sul livello di utilità finale, ossia su un livello di utilità
equivalente a quello al quale la riduzione di prezzo lo avrebbe portato, senza però che
egli goda di tale beneficio. Dobbiamo cioè considerare una variazione di reddito che ai
vecchi prezzi mantenga il consumatore sul livello di utilità finale; chiamiamo questa
variazione di reddito variazione equivalente.

Il reddito addizionale che rappresenta la variazione equivalente permette al consumatore


di rinunciare al beneficio della riduzione del prezzo pur conseguendo il livello finale di
utilità. Per ottenere la variazione equivalente consideriamo la fig.3.8. Il beneficio della
riduzione di prezzo porta il consumatore al punto B sul livello di utilità finale u1. La
minima somma che il consumatore chiederà per non godere del beneficio della
riduzione di prezzo è una variazione di reddito che lo mantenga sul livello di utilità al
quale la riduzione di prezzo lo avrebbe portato senza che vi sia la riduzione di prezzo,
ossia usando una retta di bilancio la cui inclinazione è data dai vecchi prezzi. Si passa
cioè dal punto B al punto C nella fig.3.8, e la variazione equivalente di reddito è data
dal segmento indicato con VE.

Ancora una volta agisce solo l’effetto di sostituzione e quindi dobbiamo considerare la
curva di domanda compensata relativa al livello di utilità finale u1 . Utilizzando la (3.2)
ci rendiamo conto che la variazione equivalente è l’area al di sotto della curva di
domanda compensata associata al livello finale di utilità, come si vede nella fig.3.9.

La variazione equivalente è esprimibile nella forma

( ) (
VE= E p 0q , p z , U1 − E p1q , p z , U1 ) (3.4)

Possiamo allora riassumere quanto fin qui trovato nel modo seguente. In presenza di un
beneficio costituito da un riduzione di prezzo possiamo considerare tre misure di
variazione di benessere: il surplus dei consumatori, la variazione compensativa e la
variazione equivalente. La variazione compensativa è la massima disponibilità a pagare
per ottenere il beneficio; la variazione equivalente è la minima compensazione richiesta
per rinunciare al beneficio.

Poiché la variazione del surplus dei consumatori è l’area compresa al di sotto della
curva di domanda ordinaria, la variazione compensativa è l’area al disotto della curva di
domanda compensata relativa al livello di utilità iniziale e la variazione equivalente è
l’area al disotto della curva di domanda compensata relativa al livello di utilità finale,
è chiara la relazione che c’è tra queste tre misure di variazione di benessere.
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Nella fig.3.10, l’area ABCD rappresenta la variazione compensativa; l’area ABCF


rappresenta la variazione del surplus dei consumatori; l’area ABEF rappresenta la
variazione equivalente. Indicando con SC il surplus dei consumatori possiamo
concludere che nel caso di un beneficio costituito da una riduzione di prezzo si ha

VC < SC < VE (3.5)

E’ interessante notare che la misura di variazione di benessere che esprime la


disponibilità a pagare (in questo caso la variazione compensativa) è inferiore alla misura
di variazione di benessere che esprime una compensazione richiesta (in questo caso la
variazione equivalente).

Che cosa succede nel caso in cui si considera un aumento di prezzo, che rappresenta un
danno per i consumatori? Anche in questo caso una prima misura di variazione
(peggioramento) di benessere è data dalla variazione del surplus dei consumatori,
misurato dall’area sottostante la curva di domanda ordinaria.

Un’altra misura di variazione di benessere è la massima disponibilità a pagare dei


consumatori per evitare il danno. E’ evidente che il consumatore, dopo aver pagato
questa somma e quindi aver evitato il danno dell’aumento di prezzo, non vorrà trovarsi
su un livello di utilità più basso di quello al quale l’aumento di prezzo l’avrebbe portato.
Siamo dunque in presenza di una variazione di reddito che mantiene il consumatore sul
livello di utilità finale, ma senza l’aumento di prezzo che avrebbe portato il
consumatore al livello di utilità finale. Siamo cioè in presenza di una variazione
equivalente.

Una terza misura di variazione di benessere è la minima compensazione richiesta dai


consumatori per accettare il danno. In questo caso, l’aumento di prezzo avviene, ma il
consumatore vorrà essere compensato in modo da rimanere sul livello di utilità iniziale
che avrebbe goduto senza il danno connesso all’aumento di prezzo. Siamo cioè in
presenza di una variazione compensativa.

In conclusione nel caso di un danno ai consumatori rappresentato da un aumento di


prezzo la variazione equivalente è la massima disponibilità a pagare per evitare il
danno; la variazione compensativa è la minima compensazione richiesta per subire il
danno.

Quindi nel caso di un aumento di prezzo la relazione tra variazione di surplus dei
consumatori, variazione compensativa e variazione equivalente è quella rappresentata
nella fig.3.10. L’area ABCF è la variazione di surplus dei consumatori; l’area ABCD è
la variazione equivalente; l’area ABEF è la variazione compensativa. In questo caso si
ha che

VE < SC < VC (3.6)

La (3.6) conferma che la misura di variazione di benessere consistente in una


disponibilità a pagare (in questo caso la variazione equivalente) è minore della misura
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di variazione di benessere consistente in una compensazione richiesta (in questo caso la


variazione compensativa).

Valutazione delle variazioni di benessere per i beni ambientali.

Con i beni di mercato il consumatore sceglie la quantità dato il prezzo. Con i beni
pubblici, e quindi con i beni ambientali, la quantità non viene scelta dal consumatore
dato il prezzo. Nel caso dei beni pubblici e quindi dei beni ambientali il prezzo non
viene rivelato dal mercato. Quindi quando parliamo di funzioni di domanda e funzioni
di spesa, il prezzo del bene ambientale non è un parametro appropriato; dovremmo
semplicemente considerare la quantità.

Supponiamo che q sia un bene ambientale e z sia un bene convenzionale di mercato.


La funzione di domanda ordinaria del bene di mercato si scriverà x z (p z , q, y ) . La
funzione di domanda compensata del bene di mercato si scriverà h z (p z , q, U ) . La
funzione di spesa si scriverà E(p z , q, U ) = p z h z (p z , q, U ) . Sul mercato infatti si
manifesta solo la spesa per il bene di mercato. Come si vede, sia nella funzioni di
domanda sia nella funzione di spesa appare la quantità del bene ambientale q piuttosto
che il prezzo. Chiamiamo questo tipo di funzioni “funzioni ristrette” di domanda e di
spesa.

Consideriamo la funzione di spesa ristretta E(p z , q, U ) = p z h z (p z , q, U ) . Cosa succede


se aumentiamo q di una piccola quantità ∆q? L’utilità salirà perché il bene ambientale è
desiderabile. Potremmo considerare come misura della variazione di benessere connessa
al beneficio costituito dall’aumento della disponibilità del bene ambientale, la
variazione compensativa, ossia la massima disponibilità a pagare per ottenere il
beneficio, cioè il reddito che bisogna togliere al consumatore per mantenere l’utilità
costante al livello iniziale. Si vede subito che la variazione del reddito per mantenere
l’utilità costante, rappresentata dalla variazione della spesa, è misurata dalla variazione
della funzione di domanda compensata connessa all’utilità costante che si vuole
mantenere.

Si consideri la fig.3.12. Quando aumenta la disponibilità del bene ambientale, la curva


della domanda compensata si sposta verso sinistra perché, dato il prezzo del bene di
mercato z, per mantenere l’utilità costante occorre ridurre la spesa nel bene di mercato.
L’area compresa tra le due curve di domanda compensata esprime la variazione
compensativa di reddito.

Il rapporto tra la variazione di reddito che esprime la variazione di benessere e la


variazione di q è la valutazione marginale di q ossia un prezzo implicito del bene
ambientale; perciò possiamo scrivere

∆E(p z , q, U )
= pq (3.7)
∆q
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Nella (3.7) possiamo considerare quattro variabili: pz, pq, q e U. Una di queste quattro
variabili può essere espressa in funzione delle altre tre; in particolare possiamo ricavare
la seguente funzione di domanda compensata del bene ambientale:

(
q = h q p z , pq , U ) (3.8)

La misura di variazione di benessere che abbiamo appena usato è l’ammontare di


moneta che mantiene il consumatore sul livello di utilità iniziale in presenza del
cambiamento ambientale; in questo contesto di valutazione dei beni non di mercato
chiamiamo questa misura di valutazione “surplus compensativo”.

Se per valutare il cambiamento ambientale usiamo come misura di variazione di


benessere l’ammontare di moneta che collocherebbe il consumatore sul nuovo livello di
utilità senza che il cambiamento si verifichi, questa misura di valutazione è chiamata
“surplus equivalente”.

Dal punto di vista concettuale, i due termini sono analoghi ai concetti di “variazione
compensativa” e “variazione equivalente”. La ragione per usare il temine “surplus”
invece che il termine “variazione” è di sottolineare che il consumatore non è libero di
variare la quantità del bene ambientale.

Consideriamo un semplice esempio occupandoci invece che di un miglioramento, di un


peggioramento ambientale. Il signor A vive in una casa davanti al mare con un prato
libero tra la casa e il mare. Il signor B, proprietario del prato, vuole costruire una casa
che bloccherebbe la vista al signor A. Come valutare il danno che deriverebbe ad A
dalla casa costruita da B?

Analogamente a quanto abbiamo visto nel caso dei beni di mercato, ci sono due modi.
Il primo modo è di usare come misura della valutazione il massimo ammontare di
moneta che A sarebbe disposto a pagare a B per evitare il danno, ossia perché
quest’ultimo non costruisca la casa. In analogia con quanto succede nel caso di un
danno consistente nell’aumento di prezzo di un bene di mercato dove in questo caso si
calcolerebbe la variazione equivalente, questo è il “surplus equivalente”.

Questo ammontare è la somma massima che verrebbe sottratta al reddito di A in modo


tale da non portarlo, una volta effettuato il pagamento e mantenendo la vista sul mare,
cioè evitando il danno, al di sotto del livello di utilità finale al quale si verrebbe a
trovare senza il pagamento, e quindi con il reddito intatto, ma senza più la vista sul
mare.

Cioè il surplus equivalente è la variazione di reddito che avrebbe l’effetto equivalente


alla modificazione (peggioramento) della qualità ambientale, senza che quest’ultima di
fatto si verifichi.

In generale una espressione per il surplus equivalente è la seguente


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ES(q 0 , q1 ) = E(p z , q 0 , U1 ) − E(p z , q1, U1 ) (3.9)

Notiamo che se A paga il surplus equivalente mantenendo la vista sul mare, finisce sul
livello di utilità finale U1 con il livello di qualità ambientale iniziale q0. Il suo reddito
diventa E(pz , q 0 , U1 ) . D’altra parte se la modificazione ambientale si verifica e il
consumatore non paga nulla il suo reddito E (p z , q1, U1 ) rimane uguale a quello iniziale
E(p z , q 0 , U0 ) . Per cui un altro modo di scrivere la (3.9) è

ES(q 0 , q1 ) = E(p z , q 0 , U1 ) − E(p z , q 0 , U 0 ) (3.10)

La (3.10) rende evidente che il surplus equivalente è la variazione di reddito, rispetto al


reddito iniziale, che porta al livello di utilità finale, ma senza il cambiamento
ambientale.

Il secondo modo di valutare il danno che deriverebbe ad A dalla casa costruita da B


consiste nel valutare quanto B deve pagare ad A per acquisire il suo consenso alla
costruzione. Il minimo che A chiederà è un ammontare di moneta tale da mantenerlo
almeno al livello di utilità iniziale, ossia quello che A gode senza il pagamento, ma con
la visuale intatta. Questo è il surplus compensativo per la perdita di qualità ambientale.

In generale una espressione per il surplus compensativo è la seguente

CS(q 0 , q1 ) = E(p z , q 0 , U 0 ) − E(p z , q1, U 0 ) (3.11)

Il surplus compensativo è cioè la differenza tra il reddito necessario per mantenere il


vecchio livello di utilità con la nuova qualità ambientale e il reddito iniziale.

In sintesi possiamo dire che: in presenza di un danno ambientale, il surplus equivalente


è la massima somma che si è disposti a pagare per evitare il danno e il surplus
compensativo è la minima somma che si richiede per accettare il danno; in presenza di
un miglioramento ambientale, il surplus equivalente è la minima somma che si richiede
per rinunciare al beneficio e il surplus compensativo è la massima somma che si è
disposti a pagare per avere il beneficio.

Quando parliamo di surplus equivalente si modifica l’utilità senza variare la qualità


dell’ambiente. Quando parliamo di surplus compensativo, si mantiene fissa l’utilità
variando la qualità ambientale.

Per avere una rappresentazione grafica del surplus equivalente e del surplus
compensativo, consideriamo la fig.3.13. Il bene q è il livello di qualità ambientale che è
un bene pubblico del quale si ha inizialmente una disponibilità q0. Il consumatore ha un
reddito y e al prezzo pz compra una certa quantità z, per cui il suo vincolo di bilancio è
y=pzz, rappresentato dalla retta orizzontale nella fig.3.13.

Supponiamo che la quantità del bene ambientale aumenti al livello q1, permettendo di
passare dal livello di utilità iniziale U0 al livello di utilità U1. Il surplus compensativo
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(SC) è il valore monetario della spesa nel bene z che farebbe ritornare al livello di
utilità U0 con il nuovo livello di bene ambientale q1. Il surplus equivalente (SE) è il
valore monetario della spesa in z che permetterebbe di passare al livello di utilità U1
invece che modificare q.

Metodi indiretti di valutazione economica dell’ambiente: il metodo del prezzo edonico.

Abbiamo visto che per individuare un valore economico dei beni ambientali possiamo
avvalerci di metodi basati su preferenze rivelate oppure di metodi basati su preferenze
dichiarate.

I primi sono chiamati metodi indiretti perché ricavano la valutazione del bene
ambientale indirettamente dalla valutazione di un bene di mercato connesso al bene
ambientale; i secondi sono chiamati metodi diretti perché consistono nel richiedere
direttamente una valutazione a dei soggetti intervistati.

I metodi indiretti possono essere classificati in due grandi categorie: il metodo del
prezzo edonico e i metodi di “household production”.

Cominciamo con il metodo del prezzo edonico. Esempi di domande alle quali questo
metodo cerca di rispondere sono: se la qualità dell’aria di una città migliora, che cosa
possono dirci le modificazioni nei valori immobiliari sul modo in cui la gente valuta
l’aria pulita? Se alcune occupazioni sono più rischiose di altre, che cosa possono dirci le
differenze nelle remunerazioni su come i lavoratori valutano le differenze nel rischio?

Nel primo caso si cerca di misurare il prezzo delle abitazioni in zone caratterizzate da
diversità nei livelli di inquinamento atmosferico e vedere come il prezzo cambia quando
si modifica l’inquinamento atmosferico, mantenendo ogni altro fattore costante; nel
secondo caso si cerca di misurare le remunerazioni di lavori con diverso grado di rischio
e di vedere come la remunerazione cambia al variare del rischio.

Queste funzioni che mettono in relazione il prezzo delle abitazioni con il livello di
inquinamento o il livello delle remunerazioni con il livello di rischio delle occupazioni
sono esempi di funzioni del prezzo edonico. Poi si tratta di passare da queste funzioni
del prezzo edonico a delle funzioni di domanda del bene ambientale considerato.

La base del metodo del prezzo edonico è il fatto che il prezzo di un bene (ad esempio
una abitazione) è influenzato da una serie di caratteristiche del bene (ad esempio il
numero delle stanze, la qualità del vicinato, la distanza dal centro, la qualità
dell’ambiente).

Per semplificare al massimo l’analisi, consideriamo un bene, l’abitazione, con una sola
caratteristica, la qualità dell’aria. Indichiamo con z sia l’abitazione sia la qualità
dell’aria che la caratterizza.

Consideriamo un consumatore il quale debba decidere come allocare il suo reddito y tra
l’abitazione (e quindi la qualità dell’aria) z e un altro bene di mercato x.
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Sottraendo dal reddito quanto spende per il bene x, il consumatore ha disponibile la


somma θ per l’abitazione. L’utilità del consumatore dipende da quanto consuma per il
bene x e per l’abitazione z, ossia U(x,z). Nella parte superiore della fig. 3.14 sono
tracciate le usuali curve di indifferenza nello spazio (x,z). Normalizzando a 1 il prezzo
del bene x, il consumo di x è uguale alla spesa in x e tale spesa è y-θ, per cui la funzione
di utilità si può scrivere U(y-θ,z).

Nella parte inferiore della fig.3.14 sono tracciate una serie di curve di indifferenza nello
spazio (θ,z) ciascuna associata allo stesso livello di utilità. Si tratta di curve crescenti
perché quando aumenta z, a parità di benessere x si riduce e quindi θ aumenta. Inoltre,
poiché dato z, un più basso θ significa un più alto x e quindi una utilità più alta, le curve
di indifferenza più basse nella parte inferiore della fig.3.14 sono associate ad una utilità
più elevata.

Ricordiamo che la variabile z rappresenta anche la qualità dell’aria. Il prezzo


dell’abitazione come funzione della caratteristica qualità dell’aria p(z) è stabilito dal
mercato. E’ ragionevole ipotizzare che il prezzo di mercato dell’abitazione cresca al
crescere della qualità dell’aria. Il consumatore massimizza la sua utilità nel punto in cui
la curva di indifferenza, la cui inclinazione rappresenta la disponibilità marginale a
pagare per l’abitazione, e quindi per la qualità dell’aria, è tangente alla curva del prezzo
edonico. In altri termini l’ottimo per il consumatore sia ha nel punto E della fig.3.15,
dove la disponibilità marginale a pagare è uguale alla derivata prima del prezzo edonico
p′(z ) .

Noi possiamo quindi tracciare una curva che rappresenta il prezzo edonico marginale
p′(z ) in funzione della qualità dell’ambiente; l’ipotesi più naturale è che questa curva
sia decrescente. Questa curva è rappresentata nella fig.3.16. Ogni punto di questa curva
corrisponde alla disponibilità marginale a pagare di un gruppo di persone che hanno
scelto sul mercato quella qualità. Questo significa che per ogni punto della curva p′(z )
passa una particolare curva di domanda della qualità ambientale per un individuo o per
un gruppo di individui. Nella fig.3.16 sono tracciate due di queste curve indicate come
curve della disponibilità marginale a pagare, DMP, di due persone e gruppi di persone.

La curva p′(z ) non può essere automaticamente identificata come una curva di
domanda di mercato della qualità ambientale, a meno che tutte le persone abbiano una
identica curva di domanda. Questo significa che la stima del prezzo edonico marginale è
solo il primo passo per la stima di una funzione di domanda della qualità ambientale. Il
passo successivo è quello di considerare le diverse persone come dotate di preferenze
diverse per la qualità dell’ambiente e di altre caratteristiche diverse, come ad esempio il
reddito. Indicando con α queste altre caratteristiche (ad esempio il reddito) che variano
da persona a persona, e indicando con f (z, α ) la funzione della disponibilità marginale a
pagare, possiamo stimare una funzione del tipo

p′(z ) = f (z, α ) (3.12)


13

che esprime l’uguaglianza tra prezzo edonico marginale e disponibilità marginale a


pagare per diversi tipi di individui diversi per la loro preferenza per l’ambiente e per le
altre caratteristiche, tipo il reddito. La (3.12) è una funzione di domanda che esprime il
prezzo del bene ambientale come funzione della quantità, del reddito e di altre
caratteristiche legate alle preferenze.

Il valore statistico della vita.

Vi sono alcuni tipi di inquinamento che pongono seri rischi alla salute umana e
addirittura rischi di morte. In questi casi è legittimo porsi la domanda di quali siano i
benefici derivanti dalla riduzione del rischio di morte. Ad esempio ci si può chiedere
quali sono i benefici che derivano dal fatto che in seguito ad un certo intervento la
probabilità di morte si riduce da 2 persone su 10.000 a 1 persona su 10.000.

Dietro questa domanda c’è un problema di valutazione della vita umana. Si tratta però
della valutazione di una “vita statistica” nel senso statistico di riduzione del rischio di
mortalità, e non della valutazione della vita di una particolare specifica persona.

Questo permette di accantonare il problema etico sulla opportunità della valutazione


della vita umana, per concentrarsi invece sul problema che riguarda l’opportunità di
spendere quantità di risorse a volte enormi per ridurre certi rischi. Ciascuno di noi
affronta continuamente problemi di questo tipo, ad esempio quando decide di non
cambiare la macchina con una più sicura perché costa troppo. La società analogamente
affronta continuamente problemi di questo tipo, quando ad esempio decide di non
investire più di tanto nella protezione contro la criminalità urbana.

Il problema della valutazione della “vita statistica” è un tipico problema che si affronta
con il metodo del prezzo edonico. Il punto di partenza è che diversi tipi di lavoro che
comportano rischi diversi vengono anche remunerati diversamente; in particolare il
lavori più rischiosi sono pagati di più, ossia ci deve essere un premio per indurre i
lavoratori ad accettare tipi di lavoro più rischiosi. Se riusciamo a stimare come la
variazione di remunerazione è associata alla variazione del rischio, abbiamo a
disposizione un modo per stimare il valore delle variazioni del rischio.

La stima della relazione w = f (π ) tra remunerazione w e probabilità di morte associata


ad un certo tipo di lavoro π è una vera e propria stima di una funzione di prezzo
edonico. Da questa possiamo ricavare il prezzo edonico marginale ∆w / ∆π .

Ad esempio, supponiamo di partire da una probabilità di morte di 1/10.000=10-4 e che si


osservi che, se tale probabilità di morte raddoppia diventando 2/10.000=2x10-4, il
salario annuo aumenta di 600 euro. Questo significa che ∆w = 600 e che
∆π = 2x10 −4 − 10 −4 . Il salario edonico marginale sarà perciò
∆w / ∆π = 600 /(2x10 −4 − 10 −4 ) = 6.000.000 di euro.
14

Diciamo che questo salario edonico marginale rappresenta il valore statistico di una vita
umana. Una interpretazione possibile di questo dato è la seguente. Supponiamo di avere
10.000 lavoratori; inizialmente ci si aspetta che uno di essi muoia all’anno. Quanto
dovranno pagare le imprese per convincere i lavoratori ad accettare il rischio che due
lavoratori all’anno possano morire? Le imprese ovviamente debbono pagare a ciascun
lavoratore i 600 euro da lui richiesti per accettare il rischio aggiuntivo, e quindi per tutti
i lavoratori devono pagare 600x10.000=6.000.000 di euro. Le imprese cioè dovrebbero
pagare 6 milioni di euro in più.

Se le imprese riescono a trovare dei modi per eliminare questo rischio aggiuntivo,
spendendo al massimo fino a questa somma, conviene loro farlo. Che cosa hanno fatto
in questo modo? Hanno salvato in media una vita in più all’anno. In questo senso
possiamo concludere che salvare una vita vale 6 milioni di euro.

Metodi indiretti di valutazione economica dell’ambiente: il metodo delle spese


difensive.

Passiamo adesso ai metodi di “household production”. Si tratta di metodi indiretti di


valutazione adatti a situazioni nelle quali gli effetti di beni (o di mali) ambientali su una
persona possono essere modificati usando beni di mercato, in modo che il consumatore
possa combinare il bene (o il male) ambientale con i beni di mercato per produrre una
nuova situazione che aumenta il suo benessere. Le spese nell’uso dei beni di mercato
sono utilizzate per valutare il bene o il male ambientale.

Se parliamo di un bene ambientale, ad esempio un parco naturale, l’uso di beni di


mercato ( ad esempio il sostenimento di costi di viaggio per visitare il parco) può
permettere alla persona un godimento più completo di tale bene. Se invece parliamo di
un male ambientale, ad esempio un danno provocato dall’inquinamento, allora l’uso dei
beni di mercato (ad esempio le spese per difendersi dall’inquinamento) può permettere
alla persona di ridurre il danno prodotto da questo male.

Cominciamo con il considerare un male ambientale. Il consumatore danneggiato


dall’inquinamento atmosferico e che vuol vivere in pace e tranquillità nella sua casa può
spendere per isolare la casa dall’inquinamento e quindi ridurre il danno almeno in parte.
Noi non osserviamo il danno, ma osserviamo gli sforzi dei consumatori per ridurre il
danno, e queste spese ci dicono qualche cosa sul valore del danno: più una persona
spende per ridurre il danno, maggiore è il valore che assegna al danno stesso. Questo
tipo di considerazioni sono alla base del metodo chiamato delle “spese difensive”:
osservando le spese difensive, cioè le spese fatte per difendersi da un male ambientale,
impariamo quanto le persone valutano il male ambientale.

In generale le spese difensive costituiscono un limite inferiore alla valutazione


appropriata del bene. Di questo possiamo renderci conto immaginando di avere una
variabile P che esprime l’inquinamento e una variabile Q che esprime la qualità della
vita (che migliora quanto minore è l’inquinamento). Le spese difensive D crescono ad
un ritmo crescente in funzione della qualità della vita Q che si vuole mantenere per ogni
livello di inquinamento P; per ogni livello di qualità della vita Q, è ovvio che le spese
15

difensive crescano con il livello di inquinamento P. Questo è rappresentato nella


fig.3.17.

L’utilità di un generico consumatore dipende da un certo ammontare di beni privati X e


dal livello di qualità della vita Q ossia il consumatore ha una funzione di utilità U(X,Q).
Il consumatore d’altra parte può spendere il suo reddito Y nell’acquisto di bene privato
X oppure in spese difensive D(Q,P) che gli consentono di mantenere e migliorare la
qualità della vita Q dato un certo livello di inquinamento P. Questo vuol dire che il
consumatore ha un vincolo di bilancio

X+D(Q,P)=Y (3.13)

Nella fig.3.18 sono rappresentate sia le curve di indifferenza del consumatore, associate
ciascuna ad un certo livello di utilità, sia questo vincolo di bilancio per un dato livello di
reddito Y e di inquinamento P. La forma concava del vincolo di bilancio dipende dal
fatto che, dato il livello di inquinamento, le spese difensive necessarie ad aumentare la
qualità della vita Q crescono ad un tasso crescente (vedi la fig.3.17). Il consumatore
determina il livello di spese difensive massimizzando l’utilità sotto il vincolo di
bilancio; il punto di ottimo è rappresentato dal punto di tangenza E di una curva di
indifferenza con il vincolo di bilancio nella fig.3.18.

Supponiamo ora che il livello di inquinamento aumenti da un livello iniziale P1 al


livello P2. Un criterio per stabilire qual’è la disponibilità marginale a pagare per
accettare questo danno addizionale è quello di riferirsi al fatto che, anche in presenza
del danno aggiuntivo, il consumatore vorrà essere compensato per rimanere al livello di
utilità iniziale. Come abbiamo visto, questa misura di variazione di benessere è il
surplus compensativo. Dal vincolo di bilancio (3.13) osserviamo che se P aumenta, le
spese difensive per mantenere un certo livello di Q devono aumentare (vedi anche la
fig.3.17). Il surplus compensativo è l’ammontare di reddito che deve essere dato ai
consumatori per pagare questo incremento di spese difensive e rimanere sullo stesso
livello iniziale di utilità. Indichiamo con DP>0 la variazione di spese difensive derivante
da un aumento dell’inquinamento P e necessaria per mantenere lo stesso livello di
qualità della vita Q, ossia DP rappresenta il surplus compensativo.

Senonchè, quando aumenta il livello di inquinamento P, succede che il vincolo di


bilancio si sposta verso sinistra ruotando intorno al punto che rappresenta il reddito
sull’asse delle ordinate. Infatti se il livello di inquinamento aumenta, le spese difensive
necessarie per mantenere un certo livello di qualità della vita aumentano e questo lascia
meno reddito disponibile per acquistare il bene privato. Ma questo significa che alla fine
il consumatore sceglierà un minore livello di qualità della vita (Q2* invece che Q1*
nella fig.3.19).

In altri termini, la variazione delle spese difensive al variare dell’inquinamento dipende


da due fattori: la variazione per mantenere il livello di qualità della vita e la variazione
in seguito alla variazione del livello di qualità della vita a causa del variare
dell’inquinamento. Si avrà cioè
16

∆D = D Q ∆Q + D P ∆P

da cui si ottiene

∆D ∆Q
= DQ + DP (3.14)
∆P ∆P

Ma abbiamo appena visto che la variazione di qualità della vita a causa del variare
dell’inquinamento è negativa, ossia (∆Q / ∆P ) < 0 . Questo vuol dire che

∆D
< DP (3.15)
∆P

Ossia la variazione delle spese difensive in seguito ad un aumento dell’inquinamento


sarà inferiore al surplus compensativo. Quindi le spese difensive rappresentano una
soglia minima, una misura che sottovaluta il valore del danno derivante
dall’inquinamento. La ragione di ciò è che le spese difensive non sono di solito spinte
fino al livello necessario a neutralizzare completamente il danno, perchè questo si
rivelerebbe troppo costoso.

Metodi indiretti di valutazione economica dell’ambiente: il metodo del costo di viaggio.

Passiamo ora al caso in cui il consumatore combina beni di mercato e un bene


ambientale per produrre un miglioramento nella qualità della vita. Se per esempio il
bene ambientale è un parco naturale che è costoso visitare, osservando i costi sostenuti
per visitare e godere il parco, possiamo avere un’idea di quanto le persone valutano il
parco stesso o un miglioramento nella qualità del parco. I principali costi che si
sostengono per visitare un sito naturale pregiato sono rappresentati dai costi del viaggio.
Ecco perché questo metodo di valutazione è chiamato metodo del costo di viaggio.

Per vedere come funziona il metodo del costo di viaggio, consideriamo un consumatore
generico e indichiamo con q il livello di qualità del parco naturale, qualità che può
essere rappresentata da uno o da un insieme di indicatori; indichiamo con v il numero di
visite del consumatore al parco in un certo periodo di tempo, e con x il suo consumo di
un bene (o un paniere composito di beni) di mercato. Indichiamo inoltre con p0 il costo
effettivo di un viaggio per visitare il parco.

Il reddito del consumatore è rappresentato dal suo reddito da lavoro; il tempo dedicato
al lavoro è indicato con L, mentre con w si indica la remunerazione (salario) per unità di
tempo di lavoro, per cui wL è il reddito del consumatore. Questo reddito si può
spendere o nel consumo del paniere di beni provati x o in viaggi; il costo dei viaggi è
p0v. Perciò il vincolo di bilancio del consumatore si può scrivere nella forma

wL = x + p 0 v (3.16)
17

Le spese effettivamente sostenute per il viaggio non sono l’unico costo opportunità del
consumatore per visitare il parco. Il tempo dedicato al viaggio e alla visita al parco
poteva infatti essere usato in modo alternativo come tempo di lavoro per aumentare il
reddito. Per cogliere questo aspetto, indichiamo con T il tempo di lavoro
complessivamente disponibile; questo tempo viene valutato con il salario w, per cui wT
è il valore del tempo a disposizione del consumatore. Il tempo T può essere utilizzato
sia come tempo di lavoro L sia come tempo per il viaggio Tt, sia come tempo per la
visita al parco Tv; si avrà cioè

T = L + Tt + Tv (3.17)

Sostituendo la (3.17) nella (3.16) si ottiene la forma seguente del vincolo di bilancio

wT = x + p v v (3.18)

dove pv è il costo di una visita ed è definito da pv=p0+w(Tt+Tv). Ossia il costo


opportunità di una visita non è solo costituito dal costo sostenuto per il viaggio ed
eventualmente per l’entrata nel parco, ma anche dal valore del tempo a ciò dedicato,
valutato al tasso di salario.

Nella funzione di utilità del consumatore entrano il consumo del bene di mercato x, il
numero delle visite v e la qualità del parco q; cioè la funzione di utilità è del tipo
U(x,v,q). Il consumatore massimizza la funzione di utilità sotto il vincolo di bilancio
(3.18). Questo consente di ricavare una funzione di domanda per le visite al parco della
forma

v = f ( p v , q, y) (3.19)

dove y =wT è il reddito.

Questa funzione di domanda è rappresentata nella fig.3.20 per due livelli di qualità del
parco q1 e q1 + ∆q . Dato il prezzo di una visita la parco p ∗v , l’area ombreggiata
compresa tra le due curve di domanda rappresenta la disponibilità a pagare per il
miglioramento della qualità del parco.

Metodi diretti di valutazione dell’ambiente.

I metodi indiretti non sono adatti a stimare il valore di non uso, perché i benefici che
danno luogo a tale valore non sono associati ad un uso del bene ambientale da valutare.
In questi casi si punta sulla dichiarazione diretta delle preferenze da parte dei soggetti.
Ecco perché i metodi di valutazione diretta sono anche chiamati metodi delle
“preferenze dichiarate”. Tutti i metodi di valutazione diretta cercano di far emergere
delle valutazioni dei beni ambientali attraverso un insieme di domande
appropriatamente costruito.
18

Il più diffuso tra i metodi di valutazione diretta è il metodo della “valutazione


contingente”. Ci si riferisce alla dichiarazione di una valutazione che la persona compie
come se si trovasse in un mercato effettivo (ossia contingente alla esistenza del
mercato).

Il metodo di valutazione contingente è stato oggetto di molte critiche in quanto i


risultati che si ottengono dalla sua applicazione dipendono molto dalle caratteristiche
della applicazione stessa. Poiché queste caratteristiche dipendono a loro volta da
decisioni di chi compie l’applicazione, si ritiene da molti critici che il metodo sia troppo
soggettivo ed arbitrario.

C’è stato quindi molto lavoro per arrivare ad un miglioramento del metodo e si può dire
che alcuni risultati siano stati raggiunti. Vediamo brevemente i punti oggetto di
maggiore discussione.

Vi è innanzitutto il problema delle persone alle quali ci si rivolge per l’indagine. Non è
solo un problema di tecniche di campionamento per scegliere il campione che meglio si
presta a rappresentare una data popolazione. C’è il problema più sostanziale della
popolazione di riferimento, che è particolarmente importante quando si voglia arrivare a
valutazioni del valore di esistenza di un certo bene ambientale.

Chi si consulta per sapere il valore di un ecosistema di particolare pregio da mantenere?


Gli abitanti della zona nella quale l’ecosistema si trova o una popolazione più ampia? E
se si deve sentire la valutazione di una popolazione più ampia, come si stabiliscono i
confini? Si supponga che si deva decidere quanto spendere per salvare la laguna di
Venezia dalla minaccia di un eccessivo aumento del livello del mare? A chi si chiede di
esprimere la disponibilità a pagare per sostenere un certo progetto di intervento? Ai soli
abitanti dell’area? A un campione di cittadini italiani? A un campione di cittadini
europei? O mondiali?

Uno dei criteri sui quali basare questa scelta è la comunità di riferimento coinvolta nel
finanziamento del progetto.

Un altro punto importante riguarda la domanda fatta agli intervistati. Si può chiedere
alle persone: a) quanto sono disposte a pagare per avere un bene ambientale; b) quanto
chiedono per rinunciare al bene ambientale; c) quanto sono disposte a pagare per non
avere un male ambientale; d) quanto chiedono per subìre un male ambientale.

Ciascuna di questa domande corrisponde ad una delle misure di benessere che abbiamo
esaminato in precedenza. Il lavoro empirico sulla valutazione contingente ha mostrato
che nella maggior parte dei casi i valori della compensazione richiesta sono stati
significativamente maggiori dei valori della disponibilità a pagare. Questo corrisponde
alle differenze nelle misure di valutazione della variazione di benessere trovate sulla
base della precedente analisi teorica.

Le ragioni della differenza tra stime di disponibilità a pagare e stime di somme richieste
per compensazione sono di natura psicologica. E’ del tutto comprensibile che la
19

richiesta di compensazione per subire un danno o per non ricevere un beneficio sia
superiore alla disponibilità a pagare per ricevere un beneficio o per evitare un danno.

Il richiedere simultaneamente informazioni sulla disponibilità a pagare e sulla


compensazione richiesta può servire per un controllo di coerenza interna delle risposte:
quanto più queste risposte sono vicine, tanto più attendibile è la stima ottenuta.

Nel porre le domande si può usare un metodo aperto o un metodo chiuso iterativo. Con
il metodo aperto, si chiede di indicare la massima disponibilità a pagare. Con il metodo
chiuso iterativo si chiede innanzitutto se la persona è disposta a pagare un ammontare
specifico. Se la risposta è positiva l’ammontare viene accresciuto, fino a che si continua
a ricevere una risposta positiva.

Questo metodo è soggetto alla cosiddetta distorsione del punto di partenza. In una
particolare metodologia a volte applicata (detta di contingent ranking), agli intervistati
viene chiesto di ordinare combinazioni specifiche del bene da valutare e
dell’ammontare di pagamento.

Il metodo della valutazione contingente presenta poi due problemi di particolare


importanza. Il primo riguarda le distorsioni di tipo strategico dovute al comportamento
seguito dagli intervistati nel decidere il tipo di informazione da fornire.

Se gli intervistati ritengono che la loro risposta influenzerà il loro contributo effettivo al
finanziamento del progetto, essi potrebbero essere indotti a sottostimare la loro
disponibilità a pagare. Se invece si afferma la natura esplicitamente ipotetica della
dichiarazione, vi è il pericolo che la distorsione strategica diventi del tipo opposto, in
quanto gli intervistati potrebbero essere indotti a sovrastimare la loro disponibilità a
pagare.

Il secondo problema riguarda il fatto che le stime sul valore di esistenza sono
particolarmente difficili da ottenere proprio per le distorsioni che possono conseguire
alle motivazioni morali per la giustificazione stessa del valore di esistenza.

Sembrerebbe che i risultati della valutazione contingente, più che esprimere specifici
valori di esistenza relativi a particolari e ben individuati beni ambientali, esprimano un
generico sentimento a favore della protezione dell’ambiente.

La dichiarazione di una disponibilità a pagare manifesta la necessità di mettere la


coscienza a posto di fronte ad un obbligo sentito come obbligo morale generale,
secondo una convenzione sociale che impone di intervenire a favore della “buona
causa” ambientale. Nella letteratura anglossassone si usa il termine “warm glow” che
potrebbe essere reso con il termine “passione eccessiva” per l’ambiente.

Questo atteggiamento ha conseguenze rilevanti sulle risposte. La disponibilità a pagare


ad esempio non varierà molto a seconda della dimensione del progetto che viene
sottoposto: se mi si chiede quanto sono disposto a pagare per salvare l’area X dico 100;
se mi si chiede quanto sono disposto a pagare per salvare l’area Y dico 100 e se mi si
20

chiede quanto sono disposto a pagare per salvare l’area X+Y dico ancora 100 o poco
più; ma non dico 200.

Questo effetto è noto nella letteratura anglosassone con il termine “embedding” che si
potrebbe rendere con “imprimere nella mente”. L’idea è che “ci si mette in testa” di fare
qualcosa per l’ambiente ed è a questo qualcosa che si da un valore. E’ evidente che
questo atteggiamento non è di grande aiuto nel valutare economicamente un intervento
specifico.

Il metodo della valutazione contingente è stato sottoposto a critiche anche perché


semplifica eccessivamente il problema di scelta, riducendolo a quello di avere il bene
ambientale o evitare il male ambientale.

In realtà progetti concreti per il miglioramento dell’ambiente o per la riduzione del


danno possono avere diverse caratteristiche, e quindi c’è anche un problema di scelta tra
progetti.

Recentemente sono stati proposti ed applicati altri metodi di valutazione diretta che
cercano di mettere le persone di fronte a scelte di tipo discreto. Un aspetto comune di
questi altri metodi è l’idea che l’utilità di un bene deriva dagli attributi o caratteristiche
che lo costituiscono. Si tratta di una idea che è, come si ricorderà, alla base del metodo
del prezzo edonico, ma che sta anche alla base di metodi molto usati negli studi di
“marketing” per il lancio di nuovi prodotti o per la valutazione di nuovi mercati sui
quali collocare prodotti esistenti.

Il più diffuso di questi metodi è il metodo della “analisi congiunta” (conjoint analysis).
Nell’analisi congiunta vengono prima di tutto identificati tutti i possibili attributi del
bene ambientale in questione, e vengono associati ad una scala di misura che può essere
cardinale o ordinale. In generale il numero di combinazioni possibili tra gli attributi è
molto elevato per cui occorre isolare un sottoinsieme di combinazioni gestibile su cui
effettuare le valutazioni. Oltre ai vari attributi del bene ambientale, le scelte includono
almeno un attributo monetario, ad esempio il costo per ottenere il bene o il costo di
accesso.

Agli intervistati viene richiesto di scegliere una tra le varie opzioni, oppure di scegliere
in modo sistematico tra coppie di opzioni, oppure di effettuare un ordinamento (in
questo caso si parla di ordinamento contingente o “contingent ranking”).

Valutazione del rischio ambientale: valori di opzione.

In molti casi la valutazione dell’ambiente avviene in condizioni di incertezza. In questo


caso la classificazione di tipi di valore presentata finora si arricchisce, rendendo peraltro
il processo di valutazione più complesso. Prima di definire i nuovi tipi di valore in
condizioni di incertezza dobbiamo richiamare alcuni concetti della teoria delle scelte in
queste condizioni.
21

Diciamo che una certa azione è rischiosa se il suo risultato è incerto nel senso che
dipende da quale situazione esterna, ossia al di fuori del controllo di chi compie
l’azione, si verificherà. Chiamiamo “stato di natura” la situazione esterna che
verificandosi determinerà il risultato dell’azione, e supponiamo di poter assegnare una
probabilità di verificarsi a ciascuno stato di natura.

Più in particolare supponiamo che se prevale lo stato di natura A con probabilità pA=0.5
il risultato dell’azione sia una perdita xA=-4 mila euro; se invece prevale lo stato di
natura B con probabilità 1-pA=0.5 il risultato dell’azione sia un guadagno xB=2 mila
euro.

Diciamo che il “rendimento atteso” di questa azione rischiosa è ER=pAxA+(1-pA)xB=


0.5x(-4)+0.5x2=-1. Cosa intendiamo dire con questo? E’ evidente che un risultato di –1
non si verificherà mai. Però quello che succederà è che ripetendo l’azione molte volte,
in alcuni casi si verificherà la perdita e in altri casi si verificherà il guadagno. Ogni
volta, se si volesse prevedere il risultato e lo si prevedesse pari a -1, si compirebbe un
errore; alcune volte un errore pari a –3, altre un errore di 3. In media però l’errore
sarebbe nullo; ossia, in media il risultato di questa azione ripetuto molte volte sarebbe –
1.

Qual è il valore attribuito all’azione rischiosa? Supponiamo che l’utilità del reddito
monetario sia una funzione u(x) con u’(x)>0 e u’’(x)<0. Ossia l’utilità del reddito è
crescente, ma a tasso decrescente: se aumenta il reddito quando si è povero l’incremento
di utilità è maggiore di quello che deriva da un aumento del reddito quando si è già
ricchi. Allora nella stato di natura A, il risultato xA darà una utilità u(xA) con probabilità
pA, mentre nello stato di natura B, il risultato xB darà una utilità u(xB) con probabilità 1-
pA.

Diciamo che l’ “utilità attesa” dall’azione rischiosa è EU=pAu(xA)+(1-pA) u(xB).


Rendimento atteso e utilità attesa sono rappresentati nella fig.3.21. Data la forma della
funzione di utilità, si vede subito nella figura che l’utilità certa del rendimento atteso è
maggiore dell’utilità attesa. Questo vuol dire che se la persona fosse sicura di avere con
certezza un risultato pari al rendimento atteso, preferirebbe questa situazione certa ad
una situazione rischiosa in cui potrà avere una perdita o un guadagno, e comunque un
guadagno pari al rendimento atteso soltanto in media. Una persona che preferisce una
situazione certa che le da con certezza un certo rendimento, ad una situazione incerta
che da quello stesso rendimento solo come rendimento atteso si dice “avversa al
rischio”.

Una persona che è indifferente tra una situazione certa che le da con certezza un certo
rendimento, ed una situazione incerta che da quello stesso rendimento come rendimento
atteso si dice neutrale rispetto al rischio. Per una persona neutrale rispetto al rischio
l’utilità attesa è uguale rendimento atteso; perciò la funzione di utilità deve essere una
retta crescente, ossia l'utilità marginale del reddito deve essere costante al variare del
reddito stesso.

Una persona avversa al rischio è disposta a pagare per evitare il rischio. Quale sarà la
sua massima disponibilità a pagare? La persona non vorrà scendere al di sotto
22

dell’utilità attesa. Chiamiamo “equivalente certo” (CE) la somma che da con certezza
l’utilità attesa; la somma RP=ER-CE è la massima disponibilità a pagare di una persona
avversa al rischio per evitare il rischio stesso; chiamiamo RP “premio per il rischio”.

Consideriamo ora una persona che è disposta a pagare 40 euro per visitare un parco
naturale; effettuerà la visita, e quindi sarà disposta a pagare effettivamente questa
somma, solo se la giornata è bella; altrimenti, se la giornata è brutta, non effettuerà la
visita, e non sarà disposta a pagare nulla.

Supponiamo che la probabilità che la giornata sia bella sia del 50% (quindi la
probabilità che piova sarà anche del 50%). Possiamo dire che vi sono due stati di natura
possibili: se la giornata è bella diremo che si realizza lo stato di natura favorevole; se
piove diremo che si realizza lo stato di natura sfavorevole; ciascuno dei due stati di
natura ha la probabilità del 50% di realizzarsi. Nel caso che si realizzi lo stato di natura
favorevole, la persona visiterà il parco e la sua disponibilità a pagare è 40 euro; se
invece si realizza lo stato di natura sfavorevole la persona non visiterà il parco e non
manifesterà alcuna disponibilità a pagare.

Chiamiamo “surplus atteso” (ES) la disponibilità attesa a pagare; avremo cioè


ES=40x0.5+0x0.5=20. Il surplus atteso è una misura del valore atteso che il
consumatore attribuisce alla visita al parco se la decisione di effettuare la visita avviene
una volta che si sia verificato un certo stato di natura, ossia ex-post. Il consumatore non
corre alcun rischio, nel senso che se la giornata è bella visiterà il parco; se piove non lo
visiterà.

Supponiamo adesso che il consumatore debba comprare il biglietto di ingresso al parco


il giorno prima. In questo caso corre un rischio: se compra il biglietto e il giorno dopo
piove, non lo userà per visitare il parco. Possiamo chiederci qual è la massima
disponibilità a pagare per acquistare un biglietto che la persona potrebbe non usare. E’
del tutto verosimile che questa somma sia più piccola della somma che la persona
sarebbe disposta a pagare per acquistare il biglietto nella situazione certa in cui c’è una
bella giornata. Ad esempio questa somma potrebbe essere di 30 euro invece che di 40
euro. Questa somma esprime il “prezzo di opzione”, mentre la differenza tra il prezzo di
opzione e il surplus atteso, in questo caso 10 euro, si chiama “valore di opzione”.

Cerchiamo di chiarire meglio questi concetti facendo riferimento ad una situazione di


rischio ambientale. Supponiamo che una comunità usi come acqua potabile l’acqua
proveniente da una falda acquifera che potrebbe venire contaminata da una discarica
con una probabilità p. Possiamo rappresentare la situazione rischiosa immaginando che
vi siano due stati di natura: uno stato di natura favorevole (F) in cui la discarica non
lascia filtrare inquinanti tossici e la falda resta pura, e uno stato di natura sfavorevole
(S) in cui invece la discarica inquina la falda; lo stato di natura S si presenta con
probabilità p, mentre lo stato di natura F si presenta con probabilità (1-p).

La comunità può proteggersi dal rischio con un intervento di protezione della discarica
che indichiamo con W. W è una variabile binaria che può assumere un valore W=1 nel
caso in cui il progetto venga realizzato, mentre assumerà un valore W=0 se il progetto
non viene realizzato.
23

L’utilità della comunità dipende dal reddito Y e dal fatto che il progetto sia o non sia
messo in opera; sia avrà una utilità nello stato S: US(Y,W); e si avrà una utilità nello
stato F: UF(Y,W).

Ci chiediamo ora come valutare i benefici del progetto di riduzione del rischio
ambientale W. Un primo modo di effettuare questa valutazione è di calcolare il surplus
atteso dal progetto. Per questo si calcola quale è il beneficio del progetto nello stato S;
poi si calcola il beneficio del progetto nello stato F; e infine si calcola il beneficio o
surplus atteso. Si tratta di una media delle somme che la comunità sarebbe disposta a
pagare qualora si trovasse con certezza di fronte all’uno o all’altro dei due stati di natura
possibili; si tratta in altri termini di un “rendimento atteso”.

Il beneficio del progetto nello stato S è la massima disponibilità a pagare per il progetto
nello stato S, ossia la somma VS che, sottratta al reddito Y per realizzare il progetto
(W=1), porterebbe la comunità al livello di utilità in cui il reddito Y non viene toccato,
ma il progetto non si realizza (W=0). Il beneficio VS è quindi la soluzione
dell’equazione:

U S (Y − VS ,1) = U S (Y,0) (3.20)

Il beneficio del progetto nello stato F è la massima disponibilità a pagare per il progetto
nello stato F, ossia la somma VF che, sottratta al reddito Y per realizzare il progetto
(W=1), porterebbe la comunità al livello di utilità in cui il reddito Y non viene toccato,
ma il progetto non si realizza (W=0). Il beneficio VF è quindi la soluzione
dell’equazione:

U F (Y − VF ,1) = U F (Y,0) (3.21)

Il surplus atteso del progetto è

ES = pVS + (1 − p)VF (3.22)

E’ del tutto ragionevole assumere che VS>VF. Infatti se si verifica lo stato favorevole F
la comunità sarà disposta a pagare relativamente poco perché il rischio non esiste; ad
esempio la comunità sarà disposta a pagare solo per un progetto di monitoraggio;
mentre se si verifica lo stato sfavorevole S, la comunità sarà pronta a pagare per un
significativo progetto di investimento in protezione e isolamento della discarica.

Ma questa decisione sulla disponibilità a pagare per la protezione dal rischio in ciascuno
stato dipende dalla conoscenza che si viene a formare una volta che lo stato di natura si
è realizzato. Questo significa che il surplus atteso è solo una misura media di
disponibilità a pagare legate a specifici stati di natura, non una misura della
disponibilità a pagare per coprirsi dal rischio prima di sapere quale stato di natura si
verifichi, ossia indipendentemente dallo stato di natura che si verificherà.
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In altre parole, è opportuno cercare una misura della disponibilità a pagare per coprirsi
dal rischio che tenga conto che si può verificare lo stato favorevole, ma anche quello
sfavorevole e che non precluda l’opzione della protezione se si verifica lo stato
sfavorevole, anche se questo comporta la messa in opera di un progetto che potrebbe
non servire se si verifica lo stato favorevole.

Questo calcolo conduce al “prezzo di opzione” che definiamo come la somma massima
che si è disposti a pagare per un progetto di protezione del rischio prima di sapere quale
stato di natura si verificherà, e più precisamente come la somma che, sottratta al reddito,
nel caso che il progetto venga realizzato porta l’utilità attesa allo stesso livello
dell’utilità attesa senza che al reddito venga sottratto nulla, ma anche senza che il
progetto si realizzi.

Quindi il prezzo di opzione deriva come soluzione della seguente equazione:

pU S (Y − OP,1) + (1 − p )U F (Y − OP,1) = pU S (Y,0) + (1 − p) U F (Y,0) (3.23)

Dobbiamo aspettarci che il prezzo di opzione sia maggiore del surplus atteso. Vediamo
perché. Definiamo con PS il pagamento per il progetto nello stato sfavorevole e con PF il
pagamento per il progetto nello stato favorevole che, sottratti dal reddito, renderebbero
l’utilità attesa del progetto uguale all’utilità attesa senza il progetto; scriviamo cioè

pU S (Y − PS ,1) + (1 − p )U F (Y − PF ,1) = pU S (Y,0) + (1 − p) U F (Y,0) (3.24)

Tutte le possibili coppie dei pagamenti dipendenti dallo stato (PS, PF) che soddisfano la
equazione (3.24) si trovano sulla curva SDP, una curva concava rappresentata nella
fig.3.22. La ragione della concavità della curva SDP sta nell’ipotesi di avversione al
rischio. Infatti differenziando la (3.24) rispetto a PS e a PF si ottiene

pU SY (−1)dPS + (1 − p) U FY (−1)dPF = 0

da cui si ha che l’inclinazione della curva SDP è data da

dPF pU SY
=− <0 (3.25)
dPs (1 − p) U FY

Confrontiamo i punti B e C della curva SDP. Nel punto B, PF è maggiore e PS è minore


che nel punto C. Ma questo vuol dire che, nel punto B, Y-PF è minore mentre Y-PS è
maggiore che nel punto C. L’ipotesi di avversione al rischio comporta che l’utilità
marginale del reddito sia decrescente; quindi, nel punto B, UFY sarà maggiore e USY
sarà minore che nel punto C. Quindi il valore assoluto dell’inclinazione della curva sarà
minore nel punto B che nel punto C.

E’ evidente che se PS=PF la (3.24) implica la (3.23) e quindi PS=PF=OP. Questo ci


consente di collocare OP nella fig.3.22.
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Moltiplichiamo ora ambo i lati della (3.20) per p e ambo i lati della (3.21) per (1-p);
avremo

pU S (Y − VS ,1) = pU S (Y,0) (3.26)

(1 − p) U F (Y − VF ,1) = (1 − p) U F (Y,0) (3.27)

Sommando lato a lato la (3.26) e la (3.27) avremo

pU S (Y − VS ,1) + (1 − p )U F (Y − VF ,1) = pU S (Y,0) + (1 − p) U F (Y,0) (3.28)

Confrontando la (3.28) con la (3.24) vediamo che la coppia (VS,VF) si trova sulla curva
SDP della fig.3.22; questo punto si trova al di sotto della bisettrice perché abbiamo
assunto VS>VF.

Consideriamo adesso la (3.22) e notiamo che se PS=VS e PF=VF , essa diventa

ES = pPS + (1 − p)PF

da cui si ha

ES p
PF = − PS (3.29)
1− p 1− p

Questa retta decrescente è rappresentata con il nome ESP nella fig.3.22. Essa passa per
il punto (VS,VF) sulla SDP e per la bisettrice dato che vale sempre

ES = pES + (1 − p)ES

Dalla fig.3.22 vediamo dunque che OP>ES. Chiamiamo valore di opzione la differenza
tra OP e ES ossia OV=OP-ES.

Abbiamo visto che il surplus atteso è solo una misura media di disponibilità a pagare
legate a specifici stati di natura, non una misura della disponibilità a pagare per coprirsi
dal rischio prima di sapere quale stato di natura si verifichi, ossia indipendentemente
dallo stato di natura che si verificherà.

E’ invece il prezzo di opzione che rappresenta una misura della disponibilità a pagare
per coprirsi dal rischio che tenga conto che si può verificare lo stato favorevole, ma
anche quello sfavorevole e che non precluda l’opzione della protezione se si verifica lo
stato sfavorevole, anche se questo comporta la messa in opera di un progetto che
potrebbe non servire se si verifica lo stato favorevole.

E’ del tutto ragionevole che in condizioni di avversione al rischio vi sia una differenza
positiva tra prezzo di opzione e surplus atteso, ossia un valore di opzione positivo. Il
valore di opzione rappresenta infatti l’ammontare di moneta al di là del surplus atteso
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che si è disposti a pagare per garantirsi l’opzione di avere a disposizione un intervento


di protezione dal rischio in qualsiasi stato di natura.

Valutazione del rischio ambientale e irreversibilità: il valore di quasi opzione.

Il concetto di valore di opzione è legato all’ipotesi di avversione al rischio. Un concetto


che ha una qualche analogia con il valore di opzione è stato proposto anche in
condizioni di neutralità rispetto al rischio. Questo concetto si chiama “valore di quasi
opzione”; esso si applica in situazioni nella quali la decisione di intraprendere un
progetto ha un effetto irreversibile, ma al momento di prendere la decisione non si
conoscono delle opportunità che potrebbero evidenziarsi solo in futuro attraverso
l’informazione connessa al passaggio del tempo.

Consideriamo il seguente esempio. Sia S0 la frazione di un’area naturale che deve essere
distrutta se si decide di realizzare un progetto di sviluppo nel periodo presente, e sia S1
la frazione dell’area che dovrà essere distrutta se si decide di realizzare il progetto di
sviluppo nel periodo futuro.

Supponiamo inizialmente che il progetto di sviluppo sia completamente reversibile:


questo significa che, se nel periodo corrente è stata presa una decisione di sviluppare
l’area e nel periodo futuro questa decisione si rivela sbagliata, è possibile ricostituire nel
periodo futuro l’ambiente naturale senza costi.

Sia b0 il beneficio netto unitario (per unità di area usata) dello sviluppo nel periodo
presente e sia b1 il beneficio netto unitario dello sviluppo nel periodo futuro. Allora, se
b0>0, S0=1; e se b1<0, S1=0, ossia se il beneficio dello sviluppo presente è positivo
conviene sviluppare interamente l’area nel periodo presente; e se nel futuro il beneficio
dello sviluppo risulta essere negativo, si ripristina nel futuro l’ambiente distrutto nel
presente, senza costo.

Supponiamo ora invece che il progetto di sviluppo sia irreversibile: potrebbe essere il
caso di un’area che appartiene ad una foresta, che, nel caso venga distrutta, non può
essere ricostituita. In questo caso, se nel periodo presente viene presa una decisione di
sviluppo, che comporta S0>0, questa decisione vincolerà la decisione che potrà essere
presa nel periodo futuro.

Supponiamo che nel periodo futuro possano verificarsi due stati di natura: uno stato di
natura S sfavorevole allo sviluppo può verificarsi con probabilità p e con un beneficio
unitario netto b1S<0; uno stato di natura F favorevole allo sviluppo può verificarsi con
probabilità (1-p) e con beneficio unitario netto b1F>0. L’informazione circa il vero stato
di natura nel periodo futuro si potrà avere soltanto in futuro.

Ciò che sappiamo nel presente è che, se nel periodo futuro prevarrà lo stato di natura F
cioè lo stato di natura favorevole, S1=1 e il beneficio netto totale sarà b1FS1=b1F con
probabilità (1-p). Ciò che è stato deciso nel periodo presente è irrilevante: se la
decisione è stata per lo sviluppo, essa verrà confermata nel periodo futuro; se la
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decisione è stata invece per la conservazione, essa non avrà impedito la decisione per lo
sviluppo nel periodo futuro.

Ma nel periodo presente noi sappiamo anche che, se nel periodo futuro prevale lo stato
S cioè lo stato di natura sfavorevole, ci sarà una perdita pari a b1SS0, che si verificherà
con probabilità p e che dipenderà da quello che è stato deciso circa S0 nel periodo
presente. Se nel periodo presente è stata decisa la conservazione (S0=0) non vi sarà
alcuna perdita, se invece è stato deciso lo sviluppo (S0>0), allora vi sarà una perdita.

Sapendo che ciò che viene deciso nel periodo presente vincolerà la decisione nel
periodo futuro, la decisione del periodo presente deve essere presa in modo da
massimizzare non solo il beneficio netto dello sviluppo presente, ma anche il valore
attuale atteso dei benefici netti futuri. Occorrerà cioè

pb1SS0 + (1 − p )b1F
Max b 0S0 +
1+ r

Come si vede, la funzione da massimizzare è una funzione lineare di S0, cioè delle
decisioni di sviluppo nel periodo presente. Poiché queste decisioni riguardano la
frazione dell’area da sviluppare, la variabile S0 sta nell’intervallo compreso tra 0 e 1. La
funzione può essere crescente o decrescente e ciò dipende dal segno del coefficiente di
pb
S0, b0 + 1S .
1+ r
pb
Se la funzione è decrescente, cioè se b0 + 1S < 0 , allora il massimo della funzione si ha
1+ r
per S0=0. Questo è il caso rappresentato nella parte superiore della fig.3.23. Se invece la
pb
funzione è crescente, cioè se b0 + 1S > 0 , allora il massimo della funzione si ha per
1+ r
S0=1. Questo è il caso rappresentato nella parte inferiore della fig.3.23.

E’ chiaro perciò che converrà scegliere S0=1, cioè converrà scegliere l’opzione del
completo sviluppo dell’area nel presente, solo se

pb1S pb
b0 + > 0 → b 0 > − 1S (3.30)
1+ r 1+ r

Questo significa che, se b0<0 non c’è sviluppo nel periodo presente e viene lasciata
aperta ogni opzione per lo sviluppo o per la conservazione nel periodo futuro. Ma se
b0>0, allora nel periodo presente si dovrà scegliere lo sviluppo soltanto se il beneficio
netto dello sviluppo stesso supera una certa soglia; questa soglia rappresenta il valore di
“quasi opzione”. Si tratta di un costo associato alla decisione a favore dello sviluppo nel
periodo presente ed esprimibile come rinuncia alla possibilità di esercitare una opzione;
la decisione di sviluppo nel periodo presente appare costosa nel senso che chiude
l’opzione per la conservazione nel periodo futuro, qualora la maggiore informazione
resa possibile dallo sviluppo della conoscenza la consigliasse.
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E’ facile vedere che quanto più elevato è il tasso di sconto tanto minore è il costo di
rinuncia all’opzione per la preservazione futura al quale si va incontro decidendo lo
sviluppo presente; tanto più elevato è il tasso di sconto, tanto minore è il valore di
“quasi opzione”; la conclusione è che tanto maggiore è il tasso di interesse usato come
tasso di sconto, tanto minore è l’incentivo alla conservazione dell’ambiente e tanto
maggiore è l’incentivo allo sviluppo che comporta distruzione dell’ambiente.

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