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SOMMARIO: 1. Dalla crisi dei fondamenti alla crisi del consenso. Attualità
di una riflessione sulla “violenza ermeneutica”. – 2. La nozione di di-
ritti umani è un concetto occidentale? L’argomentazione relativista, la
proposta dialogica. – 3. Conclusioni.
Il XVII secolo è stato il secolo delle matematiche; il XVIII quello delle scienze
fisiche; e il XIX quello della biologia. Il nostro secolo è il secolo della paura.
Mi si dirà che la paura non è una scienza.
Se la paura in se stessa non può essere considerata una scienza, non v’è alcun
dubbio sul fatto che sia comunque una tecnica.
Il lungo dialogo tra uomini è bloccato. E, beninteso, un uomo che non si può
convincere è un uomo che mette paura. Il che fa sì che accanto a persone che non
parlano perché lo giudicano inutile si è estesa e si estende un’immensa congiura
del silenzio, accettata da chi trema di paura e trova delle buone ragioni per na-
scondere a se stesso il tremore, e provocata da chi ha interesse a farlo.
Tra la paura molto generica di una guerra che il mondo intero va preparando
e la paura tutta particolare delle ideologie omicide, è pertanto verissimo che vivia-
mo nel terrore. Viviamo nel terrore perché la persuasione non è più possibile, per-
ché l’uomo è stato interamente consegnato alla storia e non può più volgersi verso
quella parte di sé, non meno vera della parte consegnata alla storia, che ritrova al
cospetto della bellezza del mondo e dei volti; perché viviamo nel mondo
dell’astrazione, quello dei carnefici e delle macchine, delle idee assolute e del mes-
sianismo privo di sfumature.
Ci sentiamo soffocare in mezzo alla gente che crede di avere assolutamente
ragione, sia che si tratti delle sue macchine o delle sue idee. E per chi non può vi-
vere che nel dialogo e nell’amicizia degli esseri umani, questo silenzio è la fine del
mondo.
1. Dalla crisi dei fondamenti alla crisi del consenso. Attualità di una
riflessione sulla “violenza ermeneutica”
1
L. MARCHETTONI, L’antropologia dei diritti umani, in Jura Gentium, 1, 2005,
1, http://www.juragentium.org/topics/rights/it/marchett.htm.
2
N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 1990, 5-16: “Dallo scopo che la ricerca
del fondamento si propone nasce l’illusione del fondamento assoluto, l’illusione
cioè che, a furia di accumulare e vagliare ragioni ed argomenti, si finirà per trovare
la ragione e l’argomento irresistibile cui nessuno potrà rifiutare di dare la propria
adesione. […] Questa illusione fu comune per secoli ai giusnaturalisti, i quali cre-
dettero di aver messo certi diritti (ma non erano sempre gli stessi) al riparo di ogni
possibile confutazione derivandoli direttamente dalla natura dell’uomo. Ma come
fondamento assoluto di diritti irresistibili la natura dell’uomo dimostrò di essere
molto fragile. […] Questa illusione oggi non è più possibile; ogni ricerca del fon-
damento assoluto è, a sua volta, infondata. […] Non si vede come si possa dare un
fondamento assoluto di diritti storicamente relativi. Del resto non bisogna aver
paura del relativismo. […] Che esista una crisi dei fondamenti è innegabile. Biso-
gna prenderne atto, ma non tentare di superarla cercando altro fondamento asso-
luto da sostituire a quello perduto. Il nostro compito, oggi, è molto più modesto,
ma anche più difficile. Non si tratta di trovare il fondamento assoluto – impresa
sublime ma disperata – ma, di volta in volta, i vari fondamenti possibili”.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 223
3
Ivi, pp. 18-19.
4
X. ETXEBARRIA, Universalismo ético y derechos humanos, in Retos pendientes
en ética y politica, a cura di J. Rubio-Carracedo, J. M. Rosales e M. Toscano, in
Contrastes. Revista internacional de filosofía, 5, 2000, 283-298 (traduzione nostra).
Cfr. R. E. AGUILERA PORTALES, Multiculturalismo, derechos humanos y ciudadanía
cosmopolita, in Revista Letras Jurídicas, 3, 2006, 1-29.
5
N. BOBBIO, L’età dei diritti, op. cit., 5-14.
6
Si veda supra, nota 2.
7
N. BOBBIO, L’età dei diritti, op. cit., 70.
8
Cfr. S. FARIELLO, I diritti fondamentali nella società multiculturale: il contri-
buto della sociologia del diritto, in Multiculturalismo, a cura di V. Baldini, Padova,
2012, 267-276.
224 ENRICO BUONO
come disse anche Norberto Bobbio ormai molti anni fa, si sono
moltiplicati e specificati a dismisura, con progressiva diversificazio-
ne delle posizioni sociali e dei soggetti rivendicanti. I diritti della
donna sono diversi da quelli dell’uomo. I diritti della donna sposata
sono diversi dai diritti della donna nubile, i diritti della donna spo-
sata con figli sono diversi da quelli della donna nubile con figli, e
via discorrendo secondo (ragionevoli) criteri di specificazione sem-
pre più individualizzanti, entro una sfera che, a dispetto della ra-
gionevolezza, sembra diventata una galassia sempre più entropica”9.
Paiono condivisibili le conclusioni dell’autore circa l’esistenza
di un “paradosso dei diritti fondamentali”, consistente nella tensio-
ne dialettica tra vocazione universalistica e tendenza al “disegua-
gliamento”10. In particolar modo, concrete e attuali risultano le in-
sidie degli “effetti polemogeni” dei menzionati processi di moltipli-
cazione per specificazione: “più diritti diversi e forti significano po-
tenzialmente più conflitti”11.
Emerge così la meritevolezza di tutela di posizioni individuali e
collettive non più “uguali malgrado le diversità”, bensì “differenzia-
te in ragione delle diversità”: “non si tratta più del diritto di essere
come gli altri ma di essere altri”12.
All’interno delle odierne società multiculturali, infatti, l’impor-
tanza assunta dall’etnicità e dalle rivendicazioni identitarie si con-
creta nei “diritti di appartenenza”, operando un’inversione prospet-
tica in seno alla dottrina dei diritti universali: dall’eguaglianza alla
differenza. La crisi dei fondamenti diviene – per questa via – crisi
del consenso, di quel consensus omnium gentium, cioè, che non può
essere più semplicisticamente presunto.
Le pretese universalistiche della teoria dei diritti umani sono
anch’esse, sul volàno del denunciato paradosso, prodotto di parti-
9
V. FERRARI, Variazioni socio-giuridiche sul tema dei diritti nell’attualità, in
AA. VV., Soggetti, diritti, conflitti: percorsi di ridefinizione, Milano, 2007, 37.
10
V. FERRARI, Lineamenti di sociologia del diritto, Roma-Bari, 2002, 315-317.
11
V. FERRARI, Variazioni socio-giuridiche sul tema dei diritti nell’attualità, in
AA. VV., Soggetti, diritti, conflitti: percorsi di ridefinizione, op. cit., 39.
12
S. FARIELLO, I diritti fondamentali nella società multiculturale: il contributo
della sociologia del diritto, in Multiculturalismo, op. cit., 270 (corsivo nostro).
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 225
13
Cfr. L. MARCHETTONI, L’antropologia dei diritti umani, in Jura Gentium, op.
cit., 1.
14
Per approfondimenti, si veda E. DICIOTTI, Diritti universali, relativismo eti-
co, dialogo interculturale, in Dignità della persona. Riconoscimento dei diritti nelle
società multiculturali, a cura di A. Abignente e F. Scamardella, Napoli, 2013, 77,
nota 5.
15
L. MARCHETTONI, L’antropologia dei diritti umani, in Jura Gentium, op. cit.,
1.
16
Ivi, 2.
17
Ibidem.
226 ENRICO BUONO
18
Cfr. L. CIFFOLILLI, È sbagliato parlare di un islam moderato, in Internaziona-
le, 10 gennaio 2015: “Non esistono solo musulmani moderati contro musulmani
fondamentalisti. Esistono musulmani e musulmane laici, in conflitto o in accordo
con i loro governi o le loro famiglie, praticanti, non praticanti e certo anche mu-
sulmani intransigenti, fondamentalisti. Sì, tra i musulmani ci sono anche malavito-
si, ladri, assassini, dissimulatori. Esistono musulmani e musulmane che rispettano
tutti i precetti della propria religione, altri che ne rispettano solo alcuni e altri an-
cora che non li rispettano affatto. […] Continuare a parlare solo di musulmani
moderati e musulmani terroristi presuppone che l’islam sia, tranne rare eccezioni,
una religione terribile fatta solo di uomini barbuti e armati, di donne velate e sot-
tomesse, di stragi di bambini e sentenze inappellabili. E le eccezioni sarebbero i
moderati, cioè quelli un po’ meno violenti, quelli con cui si può parlare con un
certo timore ma senza essere sparati, quelli che cercano di adeguarsi alle nostre
regole democratiche senza controbattere troppo. […] I musulmani e le musulma-
ne nel mondo sono semplicemente questo: un miliardo e mezzo di uomini e donne
diversi per nascita, origine, cultura, istruzione.
Le parole sono importanti e l’ignoranza è un’arma di cui avere molta paura”.
19
J. CLIFFORD, Culture in viaggio, in ID., Strade. Viaggio e traduzione alla fine
del secolo XX, Torino, 1999, 17-46.
20
L. MARCHETTONI, L’antropologia dei diritti umani, in Jura Gentium, op. cit.,
2.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 227
21
Cfr. M. C. NUSSBAUM, Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil, Bolo-
gna, 2012, 99-108.
22
F. S. B. VANEGAS, Hermeneutical Violence: Human Rights, Law, and the
constitution of a global identity, in International Journal for the Semiotics of Law,
17, 2004, 391 (traduzione e corsivo nostri).
23
F. NIETZSCHE, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, trad. it. di F.
Masini, Milano, 1984, III, 356: “Interpretare significa violentare, riassettare, ac-
corciare, sopprimere, reprimere, immaginare finzioni, falsificare radicalmente”.
228 ENRICO BUONO
24
Né tantomeno può ritenersi innovativa. Di violenza ermeneutica parla, ex
plurimis e per primo, Heidegger; cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, trad. it. di P.
Chiodi, Milano, 1976, 376: “L’interpretazione assume sempre un carattere di vio-
lenza”.
25
F. S. B. VANEGAS, Hermeneutical Violence: Human Rights, Law, and the
constitution of a global identity, in International Journal for the Semiotics of Law,
op. cit., 394.
26
Cfr. S. FARIELLO, I diritti fondamentali nella società multiculturale: il contri-
buto della sociologia del diritto, in Multiculturalismo, op. cit., 274.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 229
27
Cfr. E. DICIOTTI, Diritti universali, relativismo etico, dialogo interculturale,
in Dignità della persona. Riconoscimento dei diritti nelle società multiculturali, op.
cit., Napoli, 2013, 77-78.
28
R. PANIKKAR, Is the Notion of Human Rights a Western Concept?, in Inter-
culture, XVII, 1, Cahier 82, 1984, 75-102.
230 ENRICO BUONO
29
Ivi, 76 (traduzione nostra).
30
Ivi, 90.
31
Ivi, 100-101.
32
Ivi, 77.
33
Si legga la definizione data dallo stesso R. PANIKKAR in Mito, fede, ermeneu-
tica. Il triplice velo della realtà, Milano, 2000, 52: “Io chiamo ermeneutica diatopi-
ca, in quanto la distanza da superare non è meramente temporale, all’interno di
un’unica vasta tradizione , ma il divario che esiste tra due topòi umani, luoghi di
comprensione e di autocomprensione, tra due (o più) culture che non hanno ela-
borato i loro modelli di intelligibilità. L’ermeneutica diatopica parte dalla conside-
razione di base che bisogna comprendere l’altro senza presumere che questi abbia
la nostra stessa autoconoscenza di base. Qui è in gioco l’ultimo orizzonte umano e
non solo contesti tra loro differenti”.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 231
34
R. PANIKKAR, Is the Notion of Human Rights a Western Concept?, in Inter-
culture, op. cit., 86-87.
35
Ivi, 92.
36
Ivi, 95. Per una più puntuale definizione delle nozioni di ermeneutica dia-
topica e di dialogo dialogico, si veda A. CALABRESE, Per uno studio della filosofia
interculturale di Raimon Panikkar, in Democrazia e diritto, 3, 2008, 303-343:
“L’ermeneutica diatopica è il metodo che Panikkar formula per interpretare
l’incontro fra le culture. […] tende a superare la violenza del pensiero oggettivan-
te. […] Il riconoscimento della dimensione culturale dell’identità è uno dei pre-
supposti fondamentali della visione filosofica espressa dall’ermeneutica diatopica.
Essa risponde all’istanza della comprensione fra orizzonti di senso radicalmente
differenti, che hanno preso forma e hanno espresso la loro autocoscienza e i loro
modi di intelligibilità sulla base di tradizioni completamente estranee, nel tempo
come nello spazio. Per questo motivo Panikkar le dà il nome di ermeneutica dia-
topica, perché ha il compito di superare il divario esistente fra i diversi tòpoi, luo-
ghi simbolici o culturali, da cui gli orizzonti di senso hanno avuto origine […] La
considerazione tematica da cui muove l’ermeneutica diatopica è la necessità che io
comprenda l’altro senza presumere che egli condivida i miei stessi modi di intelli-
gibilità del reale, il mio stesso orizzonte di senso, la mia cultura. Il metodo proprio
di questo momento kairologico della consapevolezza umana, che si esprime attra-
verso l’ermeneutica, è il dialogo. Esso ha una struttura dinamica e non oggettivan-
te, adeguata ad esprimere la relazione Io‐Tu. Panikkar ne descrive la natura pecu-
liare introducendo la nozione di dialogo dialogico. Egli lo definisce come quella
forma di dialogo volta al superamento (dià) del proprio modello di conoscenza
(lōgos), da parte di ciascuno degli interlocutori. Il superamento consente
l’approdo a una dimensione ulteriore […] Essi, in certo qual modo, si spogliano
232 ENRICO BUONO
39
B. S. SANTOS, Toward a Multicultural Conception of Human Rights, in Moral
Imperialism. A Critical Anthology, op. cit., 42.
40
Ibidem.
41
Ivi, 43, nota 3: “Uso il termine cosmopolitismo non nell’accezione conven-
zionale. Nella modernità occidentale il cosmopolitismo è associato ad un universa-
lismo apòlide, all’individualismo, alla cittadinanza globale, alla negazione dei con-
fini culturali e territoriali. Questa idea è espressa dalla legge cosmica pitagorica,
dalla philallelia di Democrito, dall’idea medievale di res publica Christiana, dal
concetto rinascimentale di humanitas, dall’aforisma di Voltaire “È triste che spes-
so, per essere un buon patriota, si sia nemici del resto degli uomini”, e, infine,
dall’internazionalismo proletario dei primi anni del Novecento”.
42
Ibidem.
234 ENRICO BUONO
portoghese: “La complessità dei diritti umani sta nel poter essere
concepiti sia come una forma di localismo globalizzato che come
una forma di cosmopolitismo; in altre parole, sia come una globa-
lizzazione dall’alto che come una globalizzazione dal basso. Il mio
obiettivo è specificare quali condizioni culturali possano favorire
una concezione dei diritti umani come globalizzazione del secondo
tipo. Fintantoché i diritti umani saranno concepiti come universali,
opereranno come un localismo globalizzato, una forma di globaliz-
zazione dall’alto. I diritti umani saranno sempre uno strumento di
quel che Samuel Huntington chiama “scontro delle civiltà”, dello
scontro, cioè, dell’Occidente contro il resto del mondo. […] Per
operare come una forma cosmopolita e controegemonica di globa-
lizzazione, i diritti umani devono essere riconcettualizzati come
multiculturali. […] Un discorso ed una pratica controegemonica
dei diritti dell’uomo è stata sviluppata, concezioni extraoccidentali
dei diritti umani sono state proposte, dibattiti interculturali sui di-
ritti umani sono stati organizzati. Il compito centrale di una politica
emancipatoria consiste oggi nella trasformazione della concettualiz-
zazione e della pratica dei diritti umani da localismo globalizzato a
progetto cosmopolita”43.
Il dialogo interculturale sulla nozione di dignità umana può e
deve sfociare in una concezione meticcia dei diritti umani, fondata
non su falsi universalismi, ma su una “costellazione di significati lo-
cali mutualmente intelligibili”44. Il modello metodologico assunto
da Santos per la realizzazione di un progetto – ch’egli stesso defini-
sce utopistico45 – è l’ermeneutica diatopica, alla base d’ogni conver-
sazione interculturale.
Un’ermeneutica diatopica si fonda sull’idea che i tòpoi46 di una
43
Ivi, 44-46.
44
Ivi, 47.
45
Ivi, 58: “Questo progetto può sembrare piuttosto utopistico. Ma, come dis-
se Sartre, prima della sua realizzazione ogni idea ha una strana somiglianza con
un’utopia”.
46
Intendendosi con essi “i luoghi comuni retorici onnicomprensivi di una cul-
tura data, che svolgono la funzione di premesse dell’argomentazione e rendono
possibile la produzione e lo scambio di ragionamenti.”; cfr. ivi, 47.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 235
47
R. PANIKKAR, L’esperienza filosofica dell’India, Assisi, 2000, 87: “Non esiste
universalità né oggettiva né soggettiva. Vediamo quanto possiamo vedere, però
solo tutto ciò che noi possiamo vedere, il nostro totum. La visione che ho della
realtà (totum), la realizzo, al contempo necessariamente e legittimamente, tramite
la mia particolare finestra culturale e religiosa (pars). Deliberatamente noi ci vol-
giamo al totum, ma fino a quando gli altri non ce ne fanno rendere conto, non sia-
mo coscienti del fatto che in virtù dell’effetto pars pro toto conosciamo il totum
solo in parte e per partem. Vediamo tutto attraverso la nostra finestra e allo stesso
tempo riflesso in essa”.
48
B. S. SANTOS, Toward a Multicultural Conception of Human Rights, in Moral
Imperialism. A Critical Anthology, op. cit., 48.
49
Per un approfondimento della nozione di dignità umana nella prospettiva
induista e buddhista, si veda R. PANIKKAR, Is the Notion of Human Rights a We-
stern Concept?, in Interculture, op. cit., 95-100.
50
A. A. AN-NA’IM, Toward an Islamic Reformation: Civil Liberties, Human
Rights and International Law, Syracuse, 1990.
236 ENRICO BUONO
51
Nel solco degli insegnamenti di Ustadh Mahmoud, An-Na’im dimostra che
il messaggio originario dell’Islam (Mecca period) pone l’enfasi sulla dignità di cia-
scun essere umano, indipendentemente dal genere, dal credo religioso o dalla raz-
za. Tale messaggio, ritenuto troppo avanzato, fu sospeso nel settimo secolo (Medi-
na stage). An-Na’im sostiene che i tempi siano ormai maturi per un’interpretazione
del Corano e della Sunna conforme agli originari significati.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 237
3. Conclusioni
52
B. S. SANTOS, Toward a Multicultural Conception of Human Rights, in Moral
Imperialism. A Critical Anthology, op. cit., 46.
53
Per un’informata sintesi delle principali posizioni dell’approccio delle capa-
cità, si veda M. MUSELLA, Verso una teoria economica dello sviluppo umano, San-
tarcangelo di Romagna, 2014. La stessa Nussbaum definisce l’approccio delle ca-
pacità “parente stretto del movimento internazionale per i diritti umani (una sua
fattispecie, secondo me)”; cfr. M. C. NUSSBAUM, Creare capacità. Liberarsi dalla
dittatura del Pil, op. cit., 99.
238 ENRICO BUONO
54
Ivi, 101.
55
Ivi, 100.
56
F. VIOLA, Dalla natura ai diritti. Luoghi dell’etica contemporanea, Bari, 1997,
352.
57
M. C. NUSSBAUM, Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del Pil, op. cit.,
102.
VERSO UNA DEFINIZIONE DELLA “VIOLENZA ERMENEUTICA” 239