L’indagine
campionaria &
il sondaggio
d’opinione
Metodi quantitativi della ricerca sociale
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Carlo De Rose
Questo fenomeno è riconducibile alla Scienza politica, a quella Sociale e ad alcune branche dell’economia.
I ricercatori sociali studiano i soggetti in modalità anonima, ma si soffermano maggiormente sulle scienze
umane, ovvero le espressioni della soggettività nel proprio spazio di azione, ad esempio i loro
comportamenti, le loro opinioni e preferenze.
I ricercatori sociali non sono gli “unici esperti” di studio su questo fenomeno, su di essi sono
presenti, o possono essere presenti numerosi ricercatori di vario tipo e di diversa competenza.
Comunque sia esistono diversi modi per descrivere e comporre i fenomeni sociali, i ricercatori
sociali si distinguono dal resto dei soggetti che attuano lo stesso comportamento da alcune
focalizzazioni.
La prima ha a che fare con l’identificazione dei fenomeni e la loro formulazione per l’attività di
ricerca; Il secondo elemento è l’inquadramento teorico dei fenomeni; Il terzo elemento è la
giustificazione e spiegazione dei fenomeni.
Un elemento importante è lo strumento che in ogni campo il ricercatore utilizza, nella ricerca
quantitativa prevale l’uso di strumenti funzionali che possono essere questionari e matrici di dati.
Le informazioni da rilevare sono sottoposte sotto forma di alternative già prescritte dove il
candidato deve scegliere il che comporta una condizione importante:
a) Il ricercatore è a conoscenza del fenomeno e quindi è in grado di formulare domande e
presentare alternative di risposta
b) Le informazioni sono reperibili mediante il sistema domande/risposte.
Nella ricerca qualitativa, invece, prevale l’uso di strumenti tecnici ovvero colloqui e interviste
dove i ricercatori mediante il focus Group sono guidati da alcuni interrogativi di fondo molto vicini
alla realtà.
Inoltre i modelli deduttivi sono i fondamenti della filosofia della scienza, come sostiene Hempel,
l’insieme delle conoscenze necessarie alla spiegazione di un fenomeno viene detto “explains”,
questo però deve comprendere una o più leggi di copertura, ovvero una espressione usata per
definire un certo fenomeno naturale, e poi deve essere un modello deduttivo.
1.6.3 L’osservazione
Vi sono circostanze in cui i ricercatori sociali non possono utilizzare alcun metodo
precedentemente scritto, in questo caso l’unico approccio empirico è dato dall’iterazione umana,
ovvero dal guardare ciò che succede e ascoltando ciò che si dice per reperire informazioni utili per
la nostra causa.
1.6.4 L’uso dei documenti
I documenti dei ricercatori possono essere giornali, filmati, registrazioni audio e altri dati statistici
e non. Perché questo?
Perché le informazioni possono essere sparse e confuse quindi il metodo migliore è estrapolare le
informazioni più utili e eliminare le altre che appunto non servono, ma un altro problema
potrebbe essere dato dalla attendibilità dei documenti che si hanno a disposizione ma questo
metodo può comunque assicurare una via migliore delle altre.
Nel capitolo precedente abbiamo visto diversi approcci empirici. L’adozione di queste scelte
implicano un insieme di strategie e valutazioni che determinano un determinato percorso. Tale
percorso si chiama “piano di azione”.
Il piano di azione prende il nome da “disegno della ricerca” che ha due dimensioni essenziali:
- La prima definisce l’oggetto, ovvero cosa indagare
- La seconda riguarda la logica dell’oggetto, ovvero come condurre l’indagine
Il disegno di ricerca deriva da una progressiva precisazione dell’oggetto di indagine e del percorso
metodologico più idoneo a conseguire risultati attesi. Il disegno della ricerca si divide in una parte
che ambisce alla logica operativa che risponde a due modelli, quello ipotetico-deduttivo (contesto
della giustificazione) e quello induttivo-inferenziale (contesto della scoperta). I due principi sono
applicabili sia al metodo qualitativo che quantitativo.
2.2.1 Testare teorie
I ricercatori che perseguono il modello ipotetico-deduttivo circoscrivono la propria attività
empirica in funzione di ipotesi specifiche.
I ricercatori che perseguono il modello induttivo-inferenziale circoscrivono la propria attività
dall’estrapolazione di ipotesi specifiche da verificare in modo empirico.
2.2.2 Esplorare, descrivere e spiegare
I ricercatori non sempre utilizzano una teoria già presente, questo a causa di tre motivi:
1) Perché non esiste una teoria specifica cui ricondurre il fenomeno di interesse
2) Perché le teorie esistenti non sempre si possono applicare
3) Perché si preferisce condurre una indagine adeguata e non utilizzare le informazioni già
trovate in passate (ex novo).
Esiste una categoria di domande cui la ricerca può dare delle risposte, ovvero quella che rinvia alle
domande introdotte da un “perché?”, cioè quella che si incentra sulle cause dei fenomeni in
assenza di una teoria di riferimento, quindi la “spiegazione”.
Per quanto riguarda l'approccio quantitativo e qualitativo?
Nel metodo quantitativo la spiegazione si traduce nell'identificazione di relazioni statistiche tra le
variabili, tali relazioni suggeriscono la presenza di rapporti causa-effetto sul piano fenomenico.
Nel metodo qualitativo la spiegazione traduce i costrutti argomentativi i quali spiegano i nessi
dell'osservazione.
2.2.3 Prevedere
Per prevedere, in qualsiasi caso questo termine viene associato a quello della previsione. Ciò
dipende dal fatto che la spiegazione scientifica di un qualsiasi fenomeno presuppone
l’identificazione di relazioni di causa/effetto e la riconducibilità di queste a leggi copertura. La
previsione costituisce una semplice anticipazione operata su una serie di informazioni che
consentono di prefigurare una determinata circostanza. In questa eccezione, la previsione
deve necessariamente essere distinta dalla spiegazione.
2.2.4 Valutare
La valutazione può considerarsi a pieno titolo una specifica finalità della ricerca sociale. La logica
sottostante alla ricerca sociale di tipo valutativo è quella di mettere a confronto la realtà così come
è con la realtà che si vorrebbe fosse.
Gli interrogativi devono essere affrontabili con gli strumenti metodologici propri della ricerca
sociale. Devono essere:
- Circoscrivibili nel suo oggetto e nei suoi obiettivi
- Significativo in rapporto allo stato delle conoscenze esistenti - Fattibile in
termini operativi.
Ovviamente questa fase di esplorazione rivestirà maggiore o minore rilievo e assorbirà più o meno
tempo anche a seconda delle conoscenze già acquisite.
Comunque sia non si tratta di un’attività da sottovalutare, perché da essa spesso si ottengono
indicazioni fondamentali per identificare l’indagine.
Una volta definito l’oggetto di studio si passa a identificare l’insieme di informazioni di cui si
necessita e che si intende acquisire attraverso la successiva attività di indagine.
A questo punto si spiega quelli che sono i diversi aspetti o dimensioni che caratterizzano il
fenomeno.
Ognuno di questi è assunto come una area rispetto alla quale è possibile stabilire quali sono le
informazioni che vi afferiscono, quali tra queste sono significative ai fini dell’analisi.
Procedendo in tal modo si disegna una “mappa concettuale” dei diversi aspetti e delle possibili
relazioni esistenti tra essi, la definizione di tale mappa rappresenta un momento di verifica e
messa a punto dei contenuti e delle ipotesi della ricerca. Infatti esplicita quali sono le informazioni
più significative da acquisire e quali sono importanti per costruire l’informazione per come dovrà
essere rilevata.
Allo stesso tempo si rende necessario un ritorno alla teoria, ovvero delle conoscenze già acquisite.
La costruzione della mappa concettuale di riferimento e la successiva esplicitazione delle
informazioni da acquisire attraverso la ricerca empirica impone conseguentemente al ricercatore
di determinare quali siano le fonti di queste informazioni. A tal proposito, si può affermare di
ricorrere a fonti primarie se le informazioni sono acquisite attraverso un approccio empirico
fondato solo sugli esperimenti, l’attività di interrogazione o l’osservazione. In questo caso le
informazioni sono tratte direttamente dai soggetti. Si parla invece di un ricorso a fonti secondarie
se le informazioni sono tratte sostanzialmente da documenti esistenti.
con i singoli individui, ma può anche essere rappresentata da famiglie, da piccoli gruppi o da altri
aggregati di individui giudicati particolarmente significativi dal ricercatore.
Nei due precedenti capitoli abbiamo descritto i diversi approcci metodologici ed empirici che
contraddistinguono la ricerca sociale, segnalando una varietà di soluzioni in rapporto alle finalità
disponibili. L’obiettivo è esprimibile in due modi, da una parte abbiamo tenuto conto dei diversi approcci
metodologici , dall’altra abbiamo distinto le divisioni tra ricerca qualitativa e quantitativa.
3.1 Antecedenti
In questo paragrafo riassumiamo come le ricerche siano basate sui resoconti delle osservazioni
e delle interviste e su un ricorso di dati statistici. Queste condizioni sono state condotte in
Europa nella seconda metà dell’800 e costituiscono le radici della ricerca sociale a carattere
empirico, questi tratti sono importanti per i futuri tratti di sviluppo dell’indagine campionaria
del 900. In questo periodo si ricorre l’uso di questionari, che diventano lo strumento di
eccellenza per acquisire informazioni predefinite.
Dopo l’excursus sulle origini dell’indagine campionaria, è ora necessario capire i caratteri distintivi
di questo metodo, ovvero acquisire informazioni utili per descrivere i comportamenti, le opinioni e
le preferenze degli individui come singolo o come gruppi.
Ciò significa che i 4 caratteri distintivi descritti prima contraddistinguono anche il sondaggio. Tale
confronto tra indagine campionaria e sondaggio suggerisce infine un chiarimento rispetto ad
un’altra soluzione citata nei paragrafi precedenti perché in qualche modo assimilabile sul piano
empirico. Ci si riferisce in particolare all’indagine totale, la cui differenza principale rispetto
all’indagine campionaria è circoscrivibile alla sola assenza di una selezione campionaria. Come già
accennato, infatti, definiamo totale quell’indagine sociale condotta sull’intera popolazione di
riferimento della ricerca.
3.7 Finalità e logica processuale di riferimento: alcune considerazioni comparative
Muovendo dal sondaggio, possiamo osservare che si tratta di un metodo che risulta strettamente
funzionale alla duplice finalità della descrizione e della previsione e più marginalmente a quello
della valutazione. Nel caso del sondaggio queste finalità sono declinate in una accezione
elementare che prevede in definitiva una semplice ricognizione su un numero ristretto di variabili.
Il sondaggio deve offrire risposte rapide a pochi essenziali quesiti che possono riguardare ora le
opinioni e gli orientamenti dei cittadini, ora le preferenze dei consumatori o le valutazioni di utenti
e clienti.
L’indagine campionaria, nelle sue diverse applicazioni disciplinari, può essere invece associata ad
un insieme più variegato di finalità. A tal proposito c’è intanto da osservare che l’indagine
campionaria costituisce, nel raggruppamento dei metodi quantitativi fondati sull’approccio
empirico dell’interrogazione, quello privilegiato per la verifica di ipotesi formulate in rapporto ad
una determinata teoria e in conformità con il modello ipotetico-deduttivo di matrice positivista.
Diversamente dal sondaggio, tuttavia, l’indagine campionaria è generalmente caratterizzata da un
più netto orientamento alla teoria, sia nelle fasi iniziali di impostazione del disegno della ricerca,
sia nella sua fase conclusiva.
3.8 Sulla natura delle informazioni oggetto di rilevazione
Un approfondimento in conclusione di questo capitolo si può esprimere con due intendi espositivi;
a) Offrire delle concrete illustrazioni delle diverse dimensioni implicate nel processo di
ricostruzione dei fenomeni di interesse
b) Richiamare l’attenzione sulla logica descrittiva ed esplicativa sottesa alla scelta delle
informazioni da acquisire.
Pur tenendo conto della varietà di fenomeni oggetto di interesse dei ricercatori sociali, è
utile quanto meno identificare delle tipologie di informazioni riconducibili a distinte
dimensioni che concorrono a qualificare e descrivere la condizione e l’azione degli
individui, ovvero le espressioni della loro soggettività.
I ricercatori sociali analizzano fenomeni che possiamo considerare di origine generale,
collezionando informazioni che riguardano le unità elementari che compongono le
collettività coinvolte.
A tal proposito possiamo distinguere 4 raggruppamenti tipologici:
1) Riunire tutte le informazioni che afferiscono a una dimensione fattuale
2) Tipologie di informazioni che implicano una dimensione che possiamo definire volitiva o
motivazionale
3) Orientamento culturale o valutativo
4) Tipologia di informazioni che afferiscono alla dimensione psicologica dell’individuo
Ciascuno di questi raggruppamenti riunisce una tipologia composita di informazioni di cui più
avanti forniamo alcune illustrazioni con 3 necessarie avvertenze:
1) La prima riguarda il fatto che si tratta di una tipologia che si colloca su un livello analitico
superiore a quello proprio della singola informazione intesa in senso stretto
2) La seconda avvertenza riguarda la collocazione di ciascun tipo di informazione
3) La terza avvertenza ha a che fare con il riferimento temporale della rilevazione
3.8.1 Dimensione fattuale
In questa prima aggregazione tipologica includiamo quella vasta famiglia di informazioni che
descrivono le condizioni e le azioni individuali su un piano che potremmo definire dei “fatti”.
A questo raggruppamento appartengono intanto tutte le informazioni relative ai caratteri
sociografici, ossia quelle informazioni che permettono di identificare gli individui in rapporto a
caratteri descrittivi abbastanza universali quali l’età, il genere, lo stato civile, il titolo di studio
conseguito, la condizione occupazionale, la condizione familiare, la residenza o il luogo di nascita,
l’appartenenza ad una determinata comunità nazionale, linguistica o territoriale. A questo
raggruppamento appartengono poi le informazioni relative ai comportamenti, sia quelli abituali
che quelli occasionali.
Consideriamo comportamenti abituali quelli riconducibili alla condotta individuale adottata
Consideriamo comportamenti occasionali quelli posti in essere in relazione a determinate
circostanze oppure per far fronte a fatti inattesi, situazioni nuove o difficilmente interpretabili.
Alla dimensione fattuale è poi riconducibile quella tipologia di informazioni relative alle condizioni
psicofisiche, ci si riferisce in particolare alle informazioni relative alle condizioni di salute, alla
capacità di svolgere o non una attività.
Sempre a questo primo raggruppamento afferisce quella tipologia di informazioni relative alle
conoscenze. Si tratta di una tipologia di informazioni che non sono frequentemente oggetto di
rilevazioni nelle ricerche sociali e che non rispondono all’esigenza di stabilire livelli culturali o
competenze delle persone.
Nel primo raggruppamento rientra quella tipologia di informazioni che descrive ruoli, status,
posizioni e regolazioni degli individui. Ci si riferisce ai ruoli sociali direttamente associati alle
strutture fondamentali della vita sociale. In questo primo raggruppamento possiamo includere
anche la tipologia delle informazioni relative alle risorse. Ci si riferisce qui alle informazioni che
riguardano sia le risorse economiche e materiali, sia quelle immateriali e simboliche, il cui
controllo e la cui distribuzione riveste un aspetto che assume un rilievo non marginale nella
descrizione e interpretazione di una serie di fenomeni sociali.
3.8.2 Dimensione volitiva e motivazionale
In questo raggruppamento comprendiamo una tipologia della centralità che riveste la dimensione
volitiva degli individui, ovvero delle loro posizioni che passa sia attraverso i processi atti
deliberativi, sia attraverso processi di giustificazione.
Tale distinzione trova una duplice giustificazione.
Intanto in questo raggruppamento si collocano soprattutto le informazioni che descrivono quelle
deliberazioni soggettive già tradotte in scelte concrete.
Inoltre vengono incluse quelle informazioni che consentono di descrivere la natura del
coinvolgimento soggettivo in rapporto ai processi casuali o finali implicati.
Dunque in questo raggruppamento ritroviamo una prima tipologia di informazioni che riguardano
scelte e decisioni. Ci si riferisce a quel genere di informazioni che consente ai ricercatori sociali di
stabilire un processo di selezione tra opzioni diverse.
Ciò che contraddistingue questo tipo di informazioni è che esse riguardano deliberazioni già
assunte, quindi decisioni e scelte operate in un tempo precedente, risultando confermate nel
presente, o se invece sono state superate risultando oggetto di ripensamenti.
Nel secondo raggruppamento ritroviamo quella tipologia di informazioni che attiene alle
motivazioni, scopi, aspettative.
Per motivazioni ci riferiamo ai “perché” cui fanno riferimento gli individui per dare ragione dei
propri comportamenti. Le motivazioni e gli scopi sono introdotte entrambe dalla stessa locuzione
interrogativa. La distinzione, di solito è sottovalutata anche sul piano lessicale, ma ha una rilevanza
concettuale che rinvia a questioni teoriche che riguardano l’interpretazione delle azioni così dette
intenzionali, cioè non istintive. Con le motivazioni, i ricercatori indagano le cause delle azioni
umane mentre con gli scopi i ricercatori spostano l’attenzione sulle finalità e gli obiettivi perseguiti
attraverso i comportamenti posti in atto o le scelte adottate.
Inoltre c’è da dire che i ricercatori hanno interesse ad acquisire informazioni sugli scopi perseguiti
tramite informazioni relative alle aspettative e aspirazioni individuali, dove con questi concetti ci si
riferisce a quell’insieme di proiezioni soggettive focalizzate su ciò che può riservare il futuro sui
vari ambiti della vita personale.
3.8.3 Dimensione culturale e valutativa
Questo terzo raggruppamento comprende una tipologia di informazioni che concorrono a
descrivere gli orientamenti culturali degli individui. Si tratta di una tipologia di informazioni di
rilevazioni nelle indagini a carattere quantitativo fondate sull’approccio dell’interrogazione.
A questo raggruppamento appartengono le informazioni relative alle maggioranze dei sondaggi.
A questo raggruppamento afferiscono le informazioni relative alle opinioni.
Ci si riferisce a quelle informazioni che descrivono i giudizi e le valutazioni degli individui su un
qualsiasi “oggetto” su cui è possibile esprimere una considerazione di merito.
Le opinioni possono anche riguardare servizi e prodotti offerti sul mercato, eventi e prodotti
culturali. Su un piano attiguo alle opinioni si collocano le informazioni relative alle preferenze e alle
previsioni.
Parliamo di preferenze per riferirci a quelle informazioni che descrivono un orientamento
valutativo in rapporto a delle opzioni poste a confronto.
Parliamo di previsioni per riferirci a quelle informazioni che descrivono le prefigurazioni soggettive
espresse a riguardo di un qualsiasi evento e processo.
Collochiamo sia le preferenze che le previsioni su un piano attiguo alle opinioni perché possiamo
considerarle delle espressioni direttamente derivanti da queste.
Per i ricercatori sociali le informazioni relative alle convinzioni assolvono dunque una funzione
descrittiva in rapporto ai sistemi culturali sottostanti cui esse rinviano. E a tal riguardo assolvono
anche le informazioni relative ai dubbi e alle incertezze.
A fianco all’ampia famiglia di informazioni che descrivono gli orientamenti culturali occorre
collocare anche quella tipologia di informazioni che attengono alle credenze. Ci si riferisce a quelle
informazioni che consentono ai ricercatori sociali di rilevare l’adesione a sistemi socialmente
codificati di credenze.
Le informazioni relative all’adesione ai sistemi di credenza non di rado si ritrovano rilevate anche
in ricerche aventi ad oggetto tutti altri fenomeni.
Infine in questo terzo raggruppamento ritroviamo le informazioni relative alle rappresentazioni
individuali della realtà, ossia quelle informazioni che consentono di descrivere quella che è la
“narrazione” e interpretazione che gli individui fanno sia degli eventi, delle vicende, dei
cambiamenti, e di qualsiasi altro fenomeno che assume rilevanza sociale, sia degli altrui
comportamenti e atteggiamenti.
3.8.4 Dimensione psicologica e introspettiva
In questo ultimo raggruppamento comprendiamo l’insieme di informazioni che concorrono a
descrivere quelle espressioni della soggettività che hanno a che fare con una dimensione più
interiore degli individui e che non sono necessariamente soggetti a processi di razionalizzazione.
La prima è che l’acquisizione delle informazioni in questione implica un processo di introspezione
da parte degli individui interrogati che non è sempre semplice ne immediato.
La seconda ragione ha a che fare con i differenti gradi di autoconsapevolezza degli individui e con il
difficile riconoscimento del proprio vissuto interiore e l’ancor più difficile narrazione di esso.
Per emozioni qui ci riferiamo a tutte quelle espressioni dei processi adattivi posti in essere dagli
individui in relazione a stimoli ambientali esterni ovvero a situazioni che possono richiedere
risposte in termini di adattamento o reazione.
Su un piano concettualmente attiguo a quello delle emozioni collochiamo poi i sentimenti intesi
come quelle emozioni che si strutturano nel tempo focalizzandosi su specifici soggetti, oggetti,
valori e situazioni esistenziali.
Tali sentimenti possono a loro volta caratterizzare determinati stati di animo che si configurano
come condizioni esistenziali.
A questo raggruppamento afferiscono comunque molte altre informazioni di interesse dei
ricercatori sociali. In esso potremmo ad esempio includere le informazioni relative alle percezioni,
ai bisogni e alle rappresentanze di sé, ma anche a quelle relative alla natura delle relazioni e dei
legami interpersonali o quelle relative alla manifestazione di disagi e sofferenze
Nelle ricerche improntate sul modello ipotetico-deduttivo, tali costrutti costituiscono gli enunciati
di ipotesi rigorosamente desunte da una teoria.
Nelle ricerche improntate sul modello induttivo-inferenziale, i costrutti in questione sono invece
degli enunciati che riassumono propositi conoscitivi riconducibili a istituzioni o ipotesi che non
trovano ancora una sistematizzazione all’interno di una precisa teoria o di un determinato
paradigma.
In questo capitolo ci soffermeremo in particolare sulla logica che sottende le operazioni di
traduzione empirica dei concetti nel caso delle indagini campionarie e dei sondaggi.
4.1 Concettualizzazione
Per poter tradurre empiricamente un concetto, dunque, occorre che esso sia dapprima esplicitato
in rapporto al significato che assume nella proposizione in questione. L’esplicitazione del
significato di un determinato concetto non consiste tuttavia in un mero adempimento di
chiarificazione lessicale, non si esaurisce cioè con la ricerca di quella che può considerarsi una
definizione esaustiva o “corretta” del concetto stesso.
4.2 Identificazione degli indicatori
La seconda tappa del processo di traduzione empirica dei concetti è quella relativa
all’identificazione degli indicatori attraverso i quali è possibile riconoscere e rilevare i fenomeni cui
rinviano i concetti specifici. Il prodotto finale di tale processo di ricognizione ed esplicitazione
concettuale si concretizza sempre in un insieme più o meno articolato di concetti specifici; esso
tuttavia non è sempre sufficiente per procedere a una rilevazione empirica. Un concetto specifico
si riferisce ad un fenomeno circoscritto in modo da non poter essere confuso con altri, ovvero in
modo da consentire un’adeguata delimitazione del perimetro dell’osservazione fenomenica. Altre
volte, tuttavia i concetti implicano un campo semantico più ampio, il che significa che i fenomeni
cui essi rinviano potrebbero manifestarsi in modi variegati e dunque essere rilevati o osservati in
modi diversi. In tale circostanze i ricercatori sono chiamati a identificare gli indicatori che
considerano più significativi per il riconoscimento del fenomeno cui il concetto si riferisce.
Il rapporto semantico tra un fenomeno e i relativi indicatori che lo descrivono e che lo rendono
riconoscibile e rilevabile sul piano empirico può essere definito “rapporto di indicazione”.
Si tratta di un rapporto che non è iscritto nella natura stessa dei fenomeni, bensì di un rapporto
definito concettualmente dal ricercatore e che introduce possibili elementi di criticità per più di
una ragione.
Su un piano molto generale c’è intanto da rilevare che non sempre un concetto risulta facilmente
trasponibile sul piano empirico, ovverosia chiaramente associabile a elementi “vicini
all’esperienza”.
C’è poi da considerare che le caratteristiche e le manifestazioni di un fenomeno potrebbero essere
descritte ricorrendo anche a una varietà di indicatori, il che si traduce in due ordini di valutazione.
Da una parte si tratta di stabilire quali indicatori considerare effettivamente significativi, scartando
quelli che presentano un dubbio.
Dall’altra parte si tratta di valutare il contributo di ciascun indicatore in rapporto agli altri.
Oltre a implicare una valutazione in termini di ponderazione, la comparazione tra più indicatori
assume talvolta un’ulteriore funzione di discernimento in rapporto alle declinazioni interne di un
fenomeno che possono riassumersi in descrizioni tipologiche.
Infine c’è da osservare che il rapporto di indicazione può essere reso complicato anche dalla
polivalenza di uno stesso indicatore.
4.3 Trasformazione delle informazioni in variabili
Il modo in cui tali informazioni vengono definite risponde alle esigenze proprie del tipo di
rilevazione empirica adottata e risulta altresì funzionale alla forma dell’output caratteristico delle
indagini quantitative, ovvero la matrice dei dati.
Le informazioni da rilevare possono essere considerate come proprietà di oggetti, gli oggetti cui ci
si riferisce costituiscono le unità di analisi e sono rappresentati da individui, gruppi, organizzazioni
o collettivi.
Le informazioni oggetto di interesse sono quelle che consentono di rilevare le proprietà distintive
delle unità di analisi. Nelle ricerche di tipo quantitativo, le informazioni vengono definite in modo
tale da poter essere assunte operativamente come variabili.
Ciò che contraddistingue una variabile e che la rende un’efficace modalità di rappresentazione è
che essa può variare tra diverse modalità. Una variabile è uno strumento concettuale che consente
di rappresentare in modo formale la variabilità delle proprietà ad essa associate.
Tuttavia occorre segnalare che una determinata proprietà cui corrisponde una variabile potrebbe
anche risultare invariante, per lo meno nello specifico insieme di unità di analisi prese in
considerazione. In tal caso, la proprietà in questione assume la veste di una costante dal momento
che presenta un'unica modalità.
4.4 Sulla distinzione degli stati di una proprietà
Entrando nel processo di definizione operativa di una variabile, è opportuno però soffermarsi sul
modo in cui si procede nel distinguere gli stati di una proprietà. A tal proposito occorre osservare
che il ricercatore spesso è chiamato a operare delle scelte tra soluzioni alternative: ciò anche
quando la proprietà in questione è identificata da un concetto semanticamente univoco.
Consideriamo i seguenti esempi che potrebbero riguardare l’identificazione degli stati che
contraddistinguono tre differenti proprietà descrittive delle unità di analisi:
- Nel primo caso, l’informazione da rilevare riguarderebbe una specifica condotta
individuale. Di fatto gli stati che descrivono la proprietà indagata potrebbero essere distinti
in modi diversi. La distinzione potrebbe ridursi a un’opzione dicotomica del tipo:
“partecipa” o “non partecipa”; ovvero “si” o “no”. Ma si potrebbe anche introdurre una
distinzione più articolata che descriva la frequenza di questa partecipazione. Similmente il
dichiarare la soddisfazione o meno per un servizio non equivale a esprimere il grado di
soddisfazione per esso.
possono distinguersi sotto molteplici aspetti, possiamo qui fare riferimento a una fondamentale
distinzione tra variabili categoriali e variabili cardinali.
Per meglio esplicitare le differenze tra queste due variabili è opportuno porle a confronto sulla
base di 3 diversi criteri:
a) La natura delle proprietà descritta dalla variabile e più precisamente il tipo di stati che
questa proprietà può assumere.
b) Il tipo di procedura posta in atto per tradurre le proprietà in variabile e le caratteristiche
distintive dei valori che essa assume
c) Il tipo di operazioni logico-matematiche che è possibile effettuare su valori della variabile
4.6.1 Variabili categoriali
Definiamo categoriale quella variabile associata a una proprietà intrinsecamente qualitativa delle unità di
analisi.
Gli stati delle proprietà descritte attraverso una variabile categoriale sono per loro natura discreti, il che
significa che risultano enumerabili e in principio finiti. Essi vengono indicati come “categorie”. Le categorie
definite in forma operativa costituiscono le “modalità” di una variabile e sono espresse per lo più sotto
forma verbale.
Nel processo di definizione operativa di una variabile categoriale, gli stati della proprietà rappresentata
possono essere identificati ricorrendo a due distinte logiche: la “classificazione” oppure l’ordinamento.
Esempio: se prendiamo in considerazione due classificazioni, come religione cattolica ed islamica, queste
due non possono andare una contro l’altra in quanto già da sole sono indipendenti, quindi il significato di
religione cattolica non dipende dal significato di religione islamica e viceversa.
L’ordinamento costituisce pertanto una procedura concettualmente diversa da quella della classificazione.
A seconda del processo adottato nel distinguere gli stati delle proprietà ad esse associate, le variabili
vengono ricondotte a due distinte sottospecie. Le variabili categoriali che implicano una procedura di
classificazione prendono il nome di variabili “nominali”. Quelle che invece implicano una procedura di
ordinamento prendono il nome di variabili “cardinali”.
Si definiscono dicotomiche quelle variabili che presentano solo due modalità (si e no; maschio e femmina).
Tanto nelle variabili nominali che nelle variabili ordinali tra uno stato ed un altro di una proprietà
presuppone sempre un discernimento qualitativo, riguardando, come abbiamo già precisato, il modo in cui
si manifesta la proprietà associata alla variabile e non una sua grandezza o quantità.
Dal momento che i valori delle variabili nominali sono discreti e non ordinabili e non esprimono quantità o
grandezze, ma solo qualità intrinseche della proprietà cui sono associate, tra di essi è possibile stabilire solo
relazioni di uguaglianza o differenza. Sui valori delle variabili ordinali, invece è possibile altresì stabilire
relazioni di ordine. Ciò significa che i valori riscontrati nei casi esaminati possono essere reciprocamente
qualificati come “maggiori di” o “minori di” oltre che in termini di uguaglianza e differenza come avviene
per i valori delle variabili nominali.
Definiamo cardinale quella variabile associata ad una proprietà che implica il riferimento ad una grandezza
o a una quantità. Costituiscono proprietà di questo tipo, l’età, l’altezza, il numero dei figli, ecc. La
distinzione tra gli stati di una proprietà rappresentata da una variabile cardinale può avvenire attraverso
una operazione di conteggio oppure attraverso un’operazione di misurazione.
Si ricorre al conteggio allorché la proprietà da rilevare è discreta, ossia gli stati della proprietà risultano finiti
e non frazionabili. Il conteggio presuppone l’esistenza di una unità di conto, intesa come quella unità
elementare non scomponibile che risulta contenuta per un certo numero di volte nella proprietà
considerata. Ciò significa che la variabile può assumere solo valori discreti non negativi rappresentati da
numeri naturali, ossia numeri interi uguali o superiore a zero.
Si ricorre invece alla misurazione, ossia gli stati della proprietà si distribuiscono lungo un continuum, il che
significa che essa può assumere per lo meno in linea teorica, innumerevoli stati intermedi all’interno di un
determinato intervallo. Il reddito, il peso, l’altezza e le ore dedicate al lavoro possono considerarsi
proprietà in principio misurabili in modo continuo. La misurazione presuppone un’unità di misura che è
scelta convenzionalmente.
Per unità di analisi di ricerca si intende l’unità tipologica elementare in rapporto alla quale si stabiliscono le
informazioni da acquisire per dare risposta agli interrogativi della ricerca. Noi parliamo dell’unità di analisi
di una ricerca e non delle unità di analisi di una ricerca, sempre che il ricercatore, nel definire il suo disegno
della ricerca, non abbia stabilito il condurre più indagini che prevedono differenti unità di analisi. L’unità di
analisi non va confusa con l’oggetto della ricerca, ovvero con il fenomeno che il ricercatore intende
descrivere e spiegare.
L’unità di analisi non va confusa neanche con l’insieme dei soggetti concretamente osservati, ovvero con i
soggetti presso i quali si procede all’affettiva rilevazione empirica delle informazioni; questi ultimi
costituiscono piuttosto la popolazione osservata.
Infine l’unità di analisi non va confusa con la popolazione di riferimento della ricerca, ossia con l’insieme di
soggetti le cui caratteristiche corrispondono a quelle distintive dell’unità di analisi.
L’unità di analisi di una ricerca sociale può anche essere stabilita in una entità sopraindividuale, quale può
essere un gruppo, un’organizzazione-istituzione, un collettivo. L’unità di analisi afferente alla tipologia del
gruppo che ricorre più spesso è quella rappresentata dalla famiglia, intesa in termini generici oppure
identificata in rapporto a specifiche caratteristiche.
Per ciò che riguarda la tipologia dell’organizzazione-istituzione, gli esempi da fare potrebbero essere
innumerevoli, spaziando dalle imprese alle associazioni, dai sindacati ai partiti, dalle scuole agli ospedali
ecc. Anche in questo caso, l’unità di analisi può essere identificata in modo generico o, come più spesso
accade, scelta definendo criteri di selezione specifici.
Una questione che assume un particolare rilievo nelle ricerche di tipo quantitativo è costituita
dall’individuo. Essa appare assolutamente evidente nella sua “ratio” tutte le volte in cui la proprietà rilevata
riguarda un carattere che qualifica direttamente i soggetti appartenenti all’unità di analisi.
Nelle ricerche sociali, tuttavia, non sempre le informazioni acquisite riguardano caratteristiche intrinseche
degli individui presso i quali si procede a operare la rilevazione empirica.
L’assunto riconoscibile sullo sfondo è quello secondo cui la soggettività che trova espressione nell’agire e
negli orientamenti individuali sia in qualche modo riconducibile anche a fattori esterni all’individuo, fattori
che possono esercitare un’influenza anche sui giudizi, le scelte, le preferenze, i comportamenti dei singoli.
In definitiva, dunque, possiamo affermare che anche le informazioni indirettamente afferenti ai soggetti
indagati possono essere assunte a pieno titolo come proprietà dell’unità di analisi, almeno nella misura in
cui è possibile giustificarne il rilievo che assumono.
5 Il questionario
Occorre adesso spostare l’attenzione sugli strumenti attraverso i quali i ricercatori sociali acquisiscono le
informazioni.
Il Questionario è diffuso in molti ambiti disciplinari trovando applicazioni variegate in diversi modi di
indagine. Esso costituisce lo strumento per eccellenza nell’indagine campionaria, ma altresì lo strumento
privilegiato nei sondaggi di opinione. Per risultare funzionale alla logica operativa propria dell’approccio
metodologico di tipo quantitativo, tale progettazione deve fondarsi su precisi criteri:
La standardizzazione del processo interrogativo consente di evitare che una stessa informazione possa
essere rilevata in modi difformi. Il criterio per garantire una uniformità delle informazioni acquisite è
relativamente semplice, prevede che tutti gli intervistati abbiano lo stesso numero delle domande poste in
ordine e ricorrendo alla stessa formulazione. La standardizzazione del sistema di domande/risposte tipico
di un questionario corrisponde a quella che sul piano sperimentale viene anche definita “invarianza dello
stimolo”.
A tal proposito occorre distinguere due forme della domanda, quella chiusa e quella aperta.
- Per domanda chiusa si intende una domanda alla quale è associato un elenco predefinito di
alternative di risposta; all’intervistato si chiede di rispondere alla domanda scegliendo una
o più alternative di risposta presenti nell’elenco.
- Per domanda aperta, invece, si intende una domanda alla quale non è associata alcuna
alternativa di risposta; in questo caso l’intervistato può rispondere con proprie parole
5.1.1 Le domande chiuse: i vantaggi
L’elenco delle alternative di risposte favorisce l’interpretazione del senso della domanda, orientando gli
intervistati verso il tipo di informazione oggetto di rilevazione. In questo senso si può affermare che la
domanda chiusa riduce le possibilità di fraintendimento presso gli intervistati in merito all’informazione su
cui vengono interpellati ad esprimersi.
Oltre a favorire la corretta interpretazione della domanda, la forma chiusa offre un altro significativo
vantaggio perché facilita il processo di restituzione della risposta da parte degli intervistati. Si tratta di un
vantaggio significativo allorché la domanda in questione implica una risposta che presuppone un momento
di discernimento da parte dell’intervistato.
Mentre la domanda aperta ha due problemi, il primo è una perdita dell’informazione, mentre il secondo è
costituito dal fatto che la domanda aperta obbliga il ricercatore a un laborioso lavoro di riclassificazione di
tutte le risposte per poterle ricondurre a un criterio di classificazione univoco.
Il ricorso alla forma chiusa della domanda presuppone che siano identificati le possibili alternative di
risposta, ma questo non è del tutto facile come sembra questo perché si ci trovassimo dinnanzi un
questionario con una domanda e molteplici risposte dovremmo scorrere l’elenco per trovare quella che ci
rispecchia, questa azione è dispendiosa sia in termini di tempo che di attenzione. Il che significa che
qualunque elenco, per quanto accuratamente costruito, lascerebbe un margine di incertezza a proposito
della sua esaustività.
Includere nell’elenco di risposte predefinite la categoria “altro” lo si fa perché si ricorre a due circostanze:
- Quando si vuole ridurre l’estensione dell’elenco delle risposte che altrimenti risulterebbe
troppo lungo
- Quando non si è sicuri della completezza dell’elenco delle risposte identificate
Utilizzata in questi termini la categoria “altro” posta alla fine dell’elenco rende automaticamente l’elenco
completo. Ciò significa che tutti possono rispondere alla domanda scegliendo la risposta “altro” qualora le
risposte predefinite non rispecchino le loro situazioni o la loro opinione (ad es. la scelta tra lingue)
La valutazione finale sull’adeguatezza della soluzione adottata dipende in definitiva dagli obiettivi perseguiti
attraverso la ricerca. Se il dettaglio che viene riassunto in modo indistinto nella voce residuale dell’elenco
non assume un rilievo significativo, allora il ricorso alla voce “altro” può costituire una soluzione più che
accettabile al problema dell’eccessivo numero delle possibili risposte. Alla voce “altro” si ricorre inoltre
quando non si vuole rinunciare ai vantaggi della domanda chiusa, ma si teme di proporre un elenco di
risposte potenzialmente incompleto.
Quando troviamo “Altro(specificare)” ci riferiamo a una richiesta di esplicitazione del contenuto specifico di
tale voce residuale. In questo modo, all’interno di una domanda chiusa, si introduce lo spazio di una
risposta aperta. La domanda semichiusa risponde soprattutto all’esigenza di non perdere il dettaglio
dell’informazione contenuta nella voce residuale dell’elenco delle risposte.
La domanda semichiusa non deve però essere considerata come una soluzione adatta a ogni circostanza.
Soprattutto non deve trasformarsi in una soluzione di comodo per evitare una progettazione delle
domande e una selezione più attenta delle alternative di risposta. Un ricorso eccessivo alle domande
semichiuse può portare inconvenienti tipici delle domande aperte.
Un rilievo centrale lo assume anche la formulazione della domanda, atteso che essa può influenzare in
misura significativa le risposte degli intervistati. Una domanda non ben formulata può infatti determinare
dubbi in merito all’informazione effettivamente indagata. Talvolta anche un semplice dettaglio lessicale o
sintattico può trasformare il senso di una domanda. Nella formulazione della domanda e delle relative
alternative di risposta occorre prestare attenzione ai diversi fattori che concorrono alla sua efficacia. Una
buona domanda deve risultare chiaramente focalizzata sull’informazione da acquisire e al contempo
uniformemente interpretabile dagli intervistati.
La formulazione delle domande richiede una scelta attenta dei termini utilizzati affinché si evitino
interpretazioni difformi tra gli intervistati. Occorre tenere presente che vi sono alcuni termini che hanno un
carattere “polisemico”, dal momento che ad essi sono associati significati diversi. La varietà di significati dei
termini polisemici talvolta è riconoscibile con facilità senza che si possono creare fraintendimenti.
Prendiamo ad esempio, la seguente domanda “lei ha un lavoro regolare”, questa domanda potrebbe essere
intesa in modi diversi dalle persone cui è rivolta. Ciò perché l’espressione “lavoro regolare” si presta difatti
a piè di una interpretazione. Per altre persone, l’aggettivo utilizzato per qualificare il lavoro svolto potrebbe
essere assunto come significativo di una condizione di regolarità nel tempo. Per altri, ancora potrebbe
significare qualsiasi condizione lavorativa priva di irregolarità. Detto in altri termini, è la domanda a non
essere adeguata, non le interpretazioni di essa. 5.2.2 Rigore sintattico e adeguatezza lessicale
Le domande in un questionario devono essere formulate quanto più possibile in modo coinciso. Una
domanda eccessivamente lunga, può disorientare gli intervistati con il rischio che essi finiscano per non
riconoscere chiaramente quale sia l’oggetto della domanda stessa, cioè l’informazione su cui si è chiamata
fornire una risposta. Inoltre una domanda lunga porta via tempo prezioso appesantendo il processo di
restituzione della risposta anche perché può indurre gli intervistati a rileggere la stessa domanda o a
richiedere agli intervistatori di riformularla.
Talvolta succede che alcune domande, per come formulate, disorientino gli intervistati facendo loro
sorgere dei dubbi. Situazioni del genere si determinano quando una domanda contiene in sé più richieste di
informazioni per le quali sarebbe invece opportuno prevedere domande diverse.
Ad es. se si chiede a più soggetti di dichiararsi favorevoli/sfavorevoli alla politica economica e fiscale ci
potrebbero essere alcuni a favore della politica economica e altri che potrebbero essere sfavorevoli al
modello fiscale, avrebbero dunque difficoltà ad esprimere la propria opinione. Il che ha due conseguenze:
Se le domande che rivolgiamo agli intervistati tramite un questionario sono finalizzate ad acquisire le loro
opinioni, possiamo definirle “neutrali”. Ciò significa che non devono contenere giudizi e valutazioni, né
qualunque tipo di qualificazione su quello che è l’oggetto della domanda stessa.
Percependo nella domanda un’implicita posizione o interpretazione rispetto alla quale ritiene di dissentire,
l’intervistato può decidere di rinunciare del tutto alla risposta. Tale rinuncia produrrebbe una perdita di dati
ai fini della ricerca, definite meglio come domande “di mancata risposta”.
La neutralità della domanda può essere compromessa anche da una inadeguata offerta di alternative di
risposta che possono risultare sbilanciate a favore di una posizione piuttosto che un’altra.
La formulazione delle alternative di risposta è parte integrante della composizione di una domanda chiusa.
La precisa determinazione delle opzioni di risposta è il modo in cui l’informazione da rilevare viene definita
nella fase di traduzione empirica. Le scelte da operare a riguardo sono molteplici, da una parte si tratta di
identificare le possibili alternative di risposta garantendo agli intervistati di trovare nell’elenco di risposte
quella che fa al caso loro; dall’altra parte bisogna stabilire il numero delle risposte che gli intervistati
possono esprimere.
Sono dunque, le alternative di risposta a orientare gli intervistati verso una specifica interpretazione
dell’informazione richiesta attraverso la domanda.
Ciò significa che gli intervistati cui viene proposta quella domanda debbano poter indicare tra le alternative
di risposta quella adeguata al proprio caso.
Non si può pensare di utilizzare la voce “altro” o la domanda semichiusa per completare al meglio l’elenco
perché l’uso scorretto di questi due metodi implicano due conseguenze:
- Adottando con troppa facilità la voce “altro” si potrebbe riscontrare che su questa scelta
converge una quota per nulla residuale delle risposte degli intervistati.
Il criterio dell’esaustività applicata nella composizione di una domanda chiusa imporrebbe di prendere in
considerazione l’eventualità di una incertezza degli intervistati, prevedendo tra le alternative di risposta
opzioni quali “non so”, “non so giudicare” ecc. L’inclusione di simili opzioni nell’elenco delle alternative di
risposta a una domanda chiusa trova tuttavia pareri discordanti.
Schuman e Presser hanno dimostrato che una quota non marginale degli intervistati finisce per scegliere
l’opzione “non so” quando questa viene inclusa nell’elenco di risposte, mentre in assenza di tale opzione
l’intervistato va per scegliere una delle citate risposte nell’elenco.
Al “non so” viene attribuita un’utile funzione di rappresentazione dell’incertezza, ovvero della mancanza di
opinioni, conoscenza in merito all’oggetto della domanda.
Al “non so” viene associato un possibile effetto di ripiegamento degli intervistati verso posizioni neutrali
che non consentono alcun discrimine.
L’opzione “non so” potrebbe scoraggiare gli intervistati a valutare le altre opzioni di risposta cui poter
ricondurre i propri orientamenti e le proprie posizioni.
Nella composizione dell’elenco delle alternative di risposta, il criterio dell’esaustività deve infine combinarsi
con quello della mutua esclusività. Ciò significa che occorre identificare le alternative di risposta in modo
tale che ciascuna di esse corrisponda a una specifica modalità del carattere indagato. Se ad esempio,
nell’elenco associato a una domanda relativa alla confessione religiosa venissero riportate le risposte
“cattolica”, “protestante”, “ortodossa” e “cristiana” si verrebbe con tutta evidenza a determinare una
sovrapposizione dovuta al fatto che la voce “cristiana” ricomprende le altre tre.
Oltre a decidere quali e quante categorie di risposta prevedere per ciascuna domanda, risulta
indispensabile stabilire altresì l’ordine con cui queste vengono elencate, anche quando fossero solo due. A
tal proposito la differenza più significativa è quella tra presentazione orale e visiva.
La “presentazione orale” si rende possibile quando il questionario è somministrato attraverso una intervista
(faccia a faccia oppure per telefono).
Nel caso di presentazione orale, dunque, gli intervistati non hanno la possibilità di leggere le alternative di
risposta ma solo di ascoltare.
Gli studi hanno dimostrato come nel caso di presentazione visiva si registra una maggiore ricorrenza delle
alternative di risposta che si collocano in alto nell’elenco (primary effects), mentre nel caso di
presentazione orale si registra una maggiore ricorrenza delle alternative di risposta sopra citate per ultime
(recency effects).
Quando invece, le alternative di risposta sono presentate a voce dagli intervistatori, l’attenzione degli
intervistati si viene a focalizzare più facilmente sulle alternative finali dal momento che il compito di
ritenere in memoria le prime è tanto più gravoso quanto più numerose sono le alternative proposte.
La scelta delle alternative di risposta finali, potrebbe essere anche una parziale conseguenza di questo
sfasamento.
Da una parte si tratta di formulare in modo chiaramente discriminante ciascuna delle singole alternative di
risposta, ciò al fine di rendere più improbabile che gli intervistati scelgano la prima alternativa di risposta
“accettabile” che incontrano nell’elenco a scapito della risposta “ottimale” che potrebbe anche collocarsi
alla fine dello stesso elenco. C’è infatti da considerare che gli intervistati si fermano più facilmente alla
prima risposta accettabile quando non percepiscono le distanze che ricorrono l’una dall’altra.
Il numero di risposte ammesse può essere considerato un altro elemento classificatorio del sistema di
domanda/risposte, dove è possibile operare una distinzione fondamentale tra domande che ammettono
una sola risposta e domande che ne prevedono più di una.
Le “domande a risposta unica” riguardano le informazioni per le quali le opzioni previste sono tra loro
intrinsecamente alternative, il che significa che un intervistato potrebbe selezionare anche puiù di una
risposta tra quelle proposte nell’elenco.
Tra le domande a risposta unica assumono uno specifico rilievo quelle con risposta dicotomica (si/no;
approvo/disapprovo; maschio/femmina). Il ricorso a risposte dicotomiche costituisce una scala obbligata
quando l’informazione da acquisire è di per se riconducibile a una condizione di fatto che si risolve
necessariamente in due uniche alternative.
C’è però da osservare che il sistema di risposte dicotomiche talvolta costituisce una soluzione adottata
deliberatamente dai ricercatori per semplificare il processo di acquisizione delle informazioni e per indurre
gli intervistati ad esprimere posizioni più nette in merito alle proprie opinioni.
Le “domande a risposta multipla” rappresentano per contro una soluzione privilegiata in tutti quei casi in
cui effettivamente gli intervistati potrebbero fornire più indicazioni relativamente alla propria condizione o
alle proprie preferenze. Consentire agli intervistati di esprimere più risposte significa non costringere loro a
operare una scelta selettiva che inevitabilmente comporterebbe una perdita di informazioni, ovvero una
semplificazione della realtà.
Stabilire il numero massimo di risposte consentite permette anche di evitare che gli intervistati finiscano
per contrassegnare un numero elevato di alternative di risposta senza poter chiarire l’eventuale diversa
rilevanza che assume ciascuna delle opzioni di risposta selezionate. Per aggirare tale problema talvolta si
preferisce anche richiedere agli intervistati di mettere in ordine le opzioni di risposta oppure segnare un
punteggio a ciascuna di esse.
Il ricorso al linguaggio numerico trova invece un’applicazione più circoscritta, rispondendo a due distinte
esigenze:
- La prima ha a che fare con la funzione assegnata ai numeri, ossia con il conteggio e la
misurazione.
- La seconda è quella di rappresentare dimensionalmente dei concetti.
Detto in altri termini, agli intervistati si propone di esprimere la propria risposta ricorrendo a tal fine a una
trasposizione semantica dai concetti alla metrica dei numeri. Ciò avviene per lo più nella definizione dello
spazio di risposta a quelle domande che, ad esempio, riguardano: la soddisfazione per un servizio; l’accordo
nei confronti di una certa idea, di una specifica affermazione o posizione; la valutazione o il giudizio su un
qualsiasi oggetto, la reazione prodotta da una certa situazione. (tab 5.11 pag. 239)
Le alternative di risposta proposte agli intervistati possono poi prevedere una combinazione di due
linguaggi. Frequente è quella tra linguaggio verbale e linguaggio numerico quando si vuole favorire la
sovrapposizione semantica tra concetti e valori metrici. In questo caso i concetti espressi verbalmente
assumono la funzione di etichette.
Il ricorso a linguaggi diversi va comunque valutato in rapporto al livello di modulazione della risposta. Un
maggior livello di dettaglio tra le alternative di risposta è per lo più perseguito ricorrendo al linguaggio
numerico la cui metrica già codificata sembra garantire più facilmente un’estensione del numero delle
alternative.
Una corretta formulazione delle domande e una selezione attenta delle relative alternative di risposta
costituiscono un presupposto fondamentale per una efficace rilevazione delle informazioni. Nella
progettazione di un questionario, occorre tenere presenti altri aspetti che assumono un preciso rilievo nello
svolgimento del compito richiesto agli intervistati. Per prevenire simili effetti si può intervenire su piani
diversi nella composizione del questionario. Un primo e più elementare contributo in questa direzione può
derivare da un attento posizionamento e accorpamento delle domande.
Le domande da rivolgere agli intervistati possono presentare livelli differenti di difficoltà e risultare più o
meno intrusive. Al fine di mettere a proprio agio gli intervistati, risulta opportuno operare delle scelte
precise nella collocazione delle domande nel questionario.
Il primo criterio cui attenersi è quello della “difficoltà progressiva del compito”, un criterio che tiene anche
conto di quella che è la curva di attenzione sottesa e dell’eventuale stanchezza degli intervistati che ne può
derivare. Queste domande iniziali dovrebbero risultare funzionali a una sorta di percorso di avvicinamento
a quello che è il nucleo centrale del questionario. Si tratta di domande che al contempo consentono agli
intervistati di acquisire fiducia in sé stessi. Se non hanno già avuto altre esperienze con i questionari, queste
prime domande consentono loro di capire la logica sottostante alla comprensione degli interrogativi e alla
scheda tra le alternative di risposta loro presentate. Tra le prime domande talvolta si collocano quelle che
riguardano le informazioni socio anagrafiche (età, genere, luogo di residenza). Le domande relative ai
caratteri socio anagrafici risultano più aride e poco stimolanti, tali domande possono collocarsi meglio alla
fine in corrispondenza della fase presunta di declino dell’attenzione richiesta agli intervistati. Di seguito alle
domande che svolgono una funzione introduttiva si possono collocare le domande che implicano un
impegno cognitivo maggiore in termini di comprensione, discernimento e scelta. Ci si riferisce qui a quelle
domande che bisogna prestare più attenzione agli elementi di discrimine tra un’alternativa di risposta e
un’altra.
Il secondo criterio è quello della “intrusività graduale”, tale criterio assume uno specifico rilievo quando il
questionario prevede delle domande che possono essere percepite come intrusive da parte degli
intervistati. Così ad esempio, per quelle domande che riguardano atteggiamenti culturali, opinioni o
comportamenti socialmente connotati sul piano etico o valoriale.
Per evitare, o almeno limitare simili distorsioni è opportuno collocare questo genere di domande nella
parte centrale del questionario sulla base di un’intensità crescente dell’intrusività.
Il terzo criterio applicabile nella definizione della sequenza delle domande è quello della “linearità del
percorso di interrogazione” proposto agli intervistati. L’adozione di tale criterio risulta particolarmente
importante nel caso in cui l’indagine preveda un’esplorazione articolata su diverse aree tematiche.
Pertanto in simili casi la sequenza sarà definita non tanto in relazione all’impegno richiesto dalle singole
domande, quanto piuttosto in relazione alle singole aree tematiche. A tal fine può anche risultare utile
combinare una sequenza ordinata rapportata a singole aree tematiche con un approccio interrogativo ad
“imbuto” che consiste nel formulare prima domande ampie e generali, per stringere poi progressivamente
sugli aspetti più specifici.
L’articolazione della sequenza delle domande in più percorsi differenziati è di prassi introdotta attraverso le
così dette “domande filtro”. Si tratta di domande cui sono associate alternative di risposta che
condizionano la sequenza delle domande successive.
Ovviamente c’è da considerare che l’introduzione di una o più domande filtro genera a cascata una serie
più o meno ampia di domande così dette “condizionate”. Ci si riferisce a quelle domande che in virtù della
risposta data a una precedente domanda filtro, vengono proposte esclusivamente a una parte della
popolazione coinvolta nella rilevazione.
Ad esempio, se poniamo a più soggetti la seguente domanda. <<Attualmente svolgi una attività lavorativa?
>> per coloro che dichiarano di svolgerla si potrà prevedere di rivolgergli ulteriori domande di
approfondimento, mentre per coloro che dichiarano di non svolgere alcuna attività lavorativa si potranno
prevedere altre domande tese, magari, ad acquisire informazioni su eventuali esperienze precedenti.
Il ricorso alle domande filtro, oltre a creare le condizioni per successivi approfondimenti consente anche di
evitare il senso di estraneità che una domanda può generare presso gli intervistati quando essa attiene una
qualche informazione che non la riguarda direttamente.
Infine, le domande filtro possono rispondere anche all’obiettivo di evitare l’acquisizione di pseudo opinioni
degli intervistati. Ci si riferisce qui al problema dell’incertezza d’opinione in parte già introdotto in relazione
all’opzione di risposta “non so”. Il ricorso a una domanda filtro può ridurre il rischio che gli intervistati più
incerti o meno informati si sentano in obbligo di esprimere comunque una opinione o una posizione anche
quando non ne hanno veramente maturato una.
Alle domande filtro è associato quasi sempre un elenco di alternative di risposta di tipo dicotomico. Un
numero maggiore di alternative di risposta determinerebbe una disarticolazione più complessa, con il
rischio di generare confusione in merito ai passaggi successivi. Per questo motivo le domande filtro sono
preferibilmente identificate tenendo conto dell’effettiva possibilità di associare ad esse due sole opzioni di
risposta senza che con ciò si produca una eccessiva semplificazione o una forzatura interpretativa.
La soluzione dei percorsi differenziati pone in evidenza come nella progettazione dei questionari si possa
ricorrere a una varietà di costrutti a seconda della natura delle informazioni da acquisire. La scelta della
soluzione da adottare risponde anche ad una esigenza di efficacia e di semplificazione del processo di
restituzione delle risposte da parte degli intervistati. In termini grafici, una batteria di domande si presenta
come una sorta di tabella o di griglia, costruita in modo tale da consentire una elencazione delle domande
poste in successione e una combinazione delle alternative di risposta previste poste in parallelo alle
domande stesse (tab. 5.12 pag 251). Le alternative di risposta possono essere di tipo dicotomico, ma più
spesso ritroviamo elenchi di risposta categoriali a parziale autonomia semantica.
Intanto c’è da osservare che questa soluzione consente di presentare agli intervistati un insieme di
domande come afferenti a un unico tema o unità fenomenica oggetto di indagine. Una volta comprese
quelle che sono le alternative previste, gli intervistati le possono utilizzare per fornire la propria risposta in
merito a ciascuna delle domande (items) della batteria.
C’è poi da segnalare che la batterie di domande comporta anche un vantaggio nella gestione degli spazi di
un questionario, dal momento che costituisce un’alternativa a un elenco di domande poste in successione
per le quali occorrerebbe prevedere ogni volta la riproposizione di uno stesso elenco di risposte.
Si tratta ora di spostare l’attenzione dai criteri e dalle soluzioni applicabili nella composizione formale degli
interrogativi, alla valutazione dei processi di elaborazione cognitiva posti in essere dagli intervistati
nell’interpretare le domande e nel decidere come posizionarsi rispetto ad esse. Ciò, tuttavia, potrebbe non
essere sufficiente a garantire un’efficace rilevazione delle informazioni. Vi sono infatti altri fattori che
possono condizionare la validità ultima dei risultati di una indagine. Tra questi assumono un rilievo
particolare:
Entrando nel merito della questione occorre osservare che nel rispondere alle domande di un questionario i
soggetti intervistati sono coinvolti in un compito che per la gran parte di essi costituisce un evento
episodico, per molti di loro anche unico.
Se per la più parte delle persone rispondere alle domande di un questionario costituisce una situazione
inusuale, è dunque comprensibile che tra loro si riscontri una varietà di reazioni nei confronti di tale
compito. Le reazioni delle persone possono anche essere di segno opposto e comportare un totale rifiuto
oppure un’adesione stentata al compito proposto, non supportata cioè da un’effettiva motivazione.
La disposizione dei rispondenti/intervistati non è però solo riconducibile alla loro motivazione e al loro
interesse verso il compito loro proposto; essa dipende anche dalla sostenibilità del compito medesimo.
Altre volte l’impegno richiesto è ben più importante, richiedendo sia una particolare attenzione e
concentrazione nello svolgimento del compito, sia delle specifiche competenze cognitive.
Il modo in cui le informazioni sono selezionate, organizzate e archiviate in memoria e l’efficacia del loro
richiamo nel tempo dipende da una serie di fattori che afferiscono sia alla dimensione contestuale che a
quella personale, ovvero biografica, di ciascun individuo.
Succede così che due persone che pure partecipano a una stessa esperienza possono conservare in
memoria informazioni anche molto differenti di essa, sia nell’immediato (memoria di breve termine e
memoria sensoriale), sia col passare del tempo (memoria di lungo termine).
La sostenibilità del compito degli intervistati dipende infine dalle specifiche competenze richieste sia per
inquadrare e interpretare correttamente il contenuto e il senso delle domande, sia per l’elaborazione
pertinente delle risposte nei termini e nei modi esplicitamente stabiliti.
Una forma di distorsione ricorrente in tali circostanze consiste nella tendenza a fornire risposte socialmente
desiderabili. La desiderabilità sociale cui qui si fa riferimento si fonda sull’assunto che all’interno di ciascuna
collettività esista una certa convergenza di valutazioni (positive e negative) in merito a taluni
comportamenti o atteggiamenti individuali. La distorsione in questione si produce quando gli intervistati
tendono a selezionare le alternative di risposta che appaiono più coerenti con le aspettative sociali,
piuttosto che quelle corrispondenti alla propria effettiva posizione o esperienza. Si tratta di un tipo di
distorsione riscontrabile soprattutto in relazione a domande tese ad esplorare gli atteggiamenti individuali
ovvero i comportamenti caratterizzati da una qualche connotazione sociale sul piano valoriale. A questo
tipo di distorsione si prestano anche quelle domande che hanno per oggetto aspetti della vita personale o
comportamenti considerati più imbarazzanti, oppure potenzialmente esposti a forme di etichettamento e
discriminazione. La distorsione in questione opera come una sorta di compensazione soggettiva
dell’eventuale distanza tra la dimensione reale e quella ideale. Al contrario, se il comportamento in
questione risulta connotato positivamente dalla collettività di appartenenza, allora gli intervistati sono
maggiormente indotti a dichiarare di adottarlo ovvero di condividerlo. Detto in altri termini, gli individui
<<tipicamente sovrastimano (overreporting) la frequenza dei comportamenti socialmente desiderabili; essi
invece sottostimano (underreporting) la frequenza di quelli indesiderabili.
Una altra forma di distorsione associata tanto alla percezione di esposizione personale che alla carenza
delle competenze rispetto al compito richiesto è quella delle così dette “pseudo opinioni”, cui si è già fatto
cenno con riguardo alla questione relativa all’opzione di risposta “non so”. Le pseudo opinioni riflettono in
un certo senso il bisogno degli intervistati di tutelarsi rispetto al senso di inadeguatezza che può generare il
compito loro richiesto soprattutto quando si è sollecitati da domande loro rivolte direttamente dagli
intervistatori. Da qui la tendenza a celare l’effettiva mancanza di opinioni che Converse propone di
ricomprendere nella questione metodologica da lui denominata delle “nonattidudines”.
La distorsione che deriva dalle pseudo opinioni è metodologicamente insidiosa anche perché non
facilmente riconoscibile. Diversamente dalle risposte socialmente desiderabili, infatti, le risposte
qualificabili come pseudo opinioni possono distribuirsi in modo statisticamente non significativo e
confondersi di fatto con le risposte che esprimono delle opinioni fondate su un reale discernimento.
Esistono componenti casuali variegate alla base delle possibili mancanze di opinioni, gli intervistati che si
ritrovano in una delle circostanze indicate possono orientarsi verso tre distinte soluzioni:
La disposizione degli intervistati può poi essere all’origine di altre differenti reazioni distorsive, tra cui
l’acquiescenza. Con questo termine ci si riferisce alla tendenza riscontrabile presso alcuni intervistati a dare
risposte affermative (yea-saying) cui è normalmente associata una coppia di alternative di risposte
dicotomiche.
L’acquiescenza è una forma di distorsione assimilabile alla pseudo opinione, ma che non si produce in
ragione di scelte causali, quanto piuttosto attraverso un ripiegamento sistematico degli intervistati su
un’espressione di approvazione.
L’acquiescenza sarebbe inoltre riconducibile a una sorta di atteggiamento acritico degli intervistati
conseguente all’assenza di propri punti di riferimenti rispetto ai quali esprimere in modo convinto le
proprie posizioni su quello che è l’oggetto delle domande.
Una forma di distorsione simile all’acquiescenza è indicata come response set. Ci si riferisce in questo caso
a quella tendenza presso alcuni intervistati a selezionare le stesse alternative di risposta a prescindere dal
contenuto delle domande.
Il fenomeno del response set può assumere una certa rilevanza nell’applicazione della tecnica quando
l’elenco delle risposte associato a una batteria di domande è formulato come un elenco di categorie
ordinale a parziale autonomia semantica del tipo “totalmente d’accordo”.
Un effetto distorsivo consiste nella tendenza a privilegiare le opzioni estreme quando a una domanda è
associato un elenco di alternative graduali di risposta. A un simile effetto le domande che prevedono
l’espressione di un giudizio attraverso il ricorso a valori numerici (es.su una scala da 1 a 10), tanto quelle
domande cui sono associate delle categorie di risposta a parziale autonomia semantica (es. eccellente;
molto buono).
La selezione delle risposte estreme può derivare da un atteggiamento anticonformista che si esprime
attraverso la preferenza per le risposte quanto più possibili difformi dalle aspettative sociali. Tale
atteggiamento è così detto “stile di risposta derivante”. Esso infatti, non si traduce in una sistematica
preferenza per le risposte estreme, dipendendo la scelta ultima della risposta da quella che è la percezione
soggettiva dell’aspettativa sociale rispetto alla quale marcare la distanza.
Le diverse forme di distorsione delle risposte sono riconducibili anche al tipo di approccio adottato. Il
processo cognitivo che si rende necessario per comprendere le domande ed elaborare le risposte può
infatti essere affrontato dagli intervistati adottando modalità di discernimento che rispondo a logiche
differenti. A tal proposito è stata proposta una distinzione tra un approccio orientato verso la scelta della
risposta ottimale (optimizing) e un approccio verso la scelta della risposta accettabile e soddisfacente
(satisficing).
Le forme di distorsione fin qui presentate intervengono in frangenti diversi di processo di formulazione
delle risposte da parte degli intervistati. Il modello in questione prevede un percorso base articolato in 5
fasi. Si tratta del percorso seguito dagli intervistati quando essi sono condizionati da qualche elemento di
valutazione estraneo sia all’oggetto della domanda che alle finalità della ricerca. Succede così che gli
intervistati, piuttosto che seguire linearmente le fasi, siano indotti a spostare la propria attenzione su altri
piani che non riguardano il merito del compito loro proposto. Ciò produce di conseguenza una risposta che
risulta in qualche misura inadeguata, potendosi inquadrare in una delle forme di distorsione già discusse,
quali ad esempio l’acquiescenza e la desiderabilità sociale. Da questo modello si ricavano indirettamente
delle indicazioni utili per l’attività di progettazione di un questionario da cui dipende il possibile livello di
attendibilità dei dati acquisiti:
La piena comprensibilità delle domande costituisce la prima e più elementare condizione da perseguire nel
lavoro di composizione del questionario. Una condizione cui contribuiscono anche le alternative di risposta
associate alle domande, nella misura in cui chiariscono sia il quadro semantico che il compito sotteso alle
domande stesse. La comprensibilità delle domande non è tuttavia una condizione circoscrivibile soltanto
alla dimensione linguistica, dipendendo in definitiva all’interpretazione soggettiva degli intervistati, la quale
a sua volta è condizionata anche da fattori contingenti che riguardano la situazione comunicativa e i
processi psicologici attivati. Da tale considerazione si possono ricavare due fondamentali raccomandazioni:
la “delimitazione del campo semantico” dei costrutti verbali e l’attenta “esplicitazione del compito
richiesto”. L’obiettivo di questa duplice ricognizione è quello di identificare gli elementi dei costrutti verbali
che si prestano a interpretazioni variegate o che fanno sorgere tra gli intervistati veri e propri dubbi o
rinunce della risposta. L’efficacia di questa ricognizione è ovviamente subordinata a un’attenta selezione
del campione presso cui condurre le interviste e testare la versione preliminare del questionario. La
presunta evidenza del compito richiesto può al contrario essere all’origine di incertezze degli intervistati in
merito ad aspetti cruciali per una corretta compilazione del questionario:
a) Quali sono le domande che li riguardano e in quali circostanze devono o non devono
rispondere ad esse
b) Come esattamente devono essere espresse le risposte e quale elaborazione cognitiva viene
loro richiesta
c) Quale sistema adottare per contrassegnare le proprie scelte
d) Quante risposte possono dare a una stessa domanda
5.6.2 Competenze degli intervistati e impegno cognitivo richiesto
Al fine di contenere le possibili distorsioni derivanti dal processo di elaborazione delle risposte occorre
inoltre operare delle valutazioni in merito all’impegno cognitivo richiesto dalle domande. L’eventuale
disallineamento tra competenze e abilità necessarie allo svolgimento del compito e competenze e abilità
affettive dei rispondenti può essere all’origine di significate distorsioni che spaziano dalle pseudo risposte
all’acquiescenza. Oltretutto, può anche succedere che le domande che presuppongono competenze e
abilità specifiche costituiscano solo un sottoinsieme circoscritto rispetto al totale delle domande previste in
un questionario. In queste circostanze, un controllo sulle distorsioni associate è comunque perseguibile
introducendo delle domande filtro che consentono di proporre percorsi differenziati sulla base delle
conoscenze.
Il ricorso a domande filtro non costituisce invece una soluzione perseguibile per il controllo delle distorsioni
imputabili alle abilità richieste nel processo di elaborazione delle risposte, gli unici possibili interventi
correttivi restano dunque quelli legati alla semplificazione dell’impegno cognitivo richiesto agli intervistati
oppure a un contestuale addestramento all’elaborazione della risposta. Detto in altri termini,
semplificazione e addestramento rappresentano due possibili soluzioni perseguibili quando la
Il controllo sulle distorsioni che possono intervenire nel processo di elaborazione delle risposte da parte
degli intervistati riguardano infine le forme di distrazione o deviazione dal compito riconducibili sia al
contenuto della domanda che alla situazione dell’intervista, ovvero delle risposte che non riflettono la
propria effettiva condizione, posizione o esperienza.
La desiderabilità sociale delle risposte costituisce un effetto distorsivo derivante da una tendenziale
convergenza di valutazioni riconoscibile all’interno di una determinata collettività in merito a taluni
comportamenti o atteggiamenti individuali connotabili come positivi o negativi.
Per contenere questo effetto distorsivo è possibile adottare una strategia di relativizzazione della normalità
di tali comportamenti o atteggiamenti. Si tratta a tal fine di porre le domande in modo tale che eventuali
posizioni divergenti delle aspettative sociali siano assunte come relativamente plausibili, comprensibili, in
qualche modo giustificabili. Esempio pag. 284 (IN GRAFFE).
Per concludere nell’elaborazione delle risposte da parte degli intervistati, restano infine da considerare
anche i fattori che non hanno direttamente a che fare con il contenuto delle domande, quanto con la
situazione dell’intervista. In particolare ci si riferisce al ruolo che gioca la figura dell’intervistato quando si
ricorre alla somministrazione del questionario piuttosto che all’auto compilazione da parte degli
intervistati.
Con l’obiettivo di contenere i possibili effetti distorsivi appena richiamati risulta prestare attenzione a una
serie di aspetti:
La distinzione più importante da fare quando parliamo di questionario è quella che passa tra “questionario
auto compilato” e “questionario somministrato”.
Nel caso della compilazione diretta, gli intervistati prendono autonomamente visione del questionario e
provvedono da sé stessi a contrassegnare le risposte da dare a ciascuna domanda. Il questionario auto
compilato consente agli intervistati di prendere direttamente visione delle domande e delle relative
risposte. Si tratta di un vantaggio molto importante dal momento che, come già evidenziato, la visione
d’insieme delle alternative di risposta associate a ciascuna domanda favorisce il processo di elaborazione e
di restituzione delle risposte da parte degli intervistati. Il secondo vantaggio è che esso asseconda meglio i
tempi dei rispondenti. L’ultimo vantaggio è che esso favorisce meglio la percezione di anonimato da parte
degli intervistati. Ma, la soluzione dell’auto compilazione presenta anche qualche svantaggio, quello più
significativo ha a che fare con il rischio di compilazioni erronee o incomplete dei questionari.
Nel caso della somministrazione, invece, interviene un’interazione tra i due soggetti: gli intervistatori e gli
intervistati. Certamente il vantaggio più significativo è rintracciabile in quell’azione di supporto svolta dagli
intervistatori sia nella fase che precede l’intervista sia nella parte che segue. Con la somministrazione la
modalità “anonima” non viene rispettata e in qualche modo può incidere con il compromesso della propria
figura, una controindicazione associata riguarda i margini di arbitrio degli intervistatori che possono
determinarsi nel processo di acquisizione delle risposte verbali espresse dagli intervistati
La lunghezza del questionario costituisce in ogni caso un fattore critico. Anche quando si decide di ricorrere
alla somministrazione tramite intervistatori, dunque, occorre sempre operare una valutazione molto
attenta delle informazioni che si intende rilevare.
Nel decidere se ricorrere all’auto compilazione o alla somministrazione, i ricercatori devono tener conto dei
relativi vantaggi e svantaggi fino ad ora espressi. 5.7.1 Il questionario con compilazione contestuale
Una soluzione operativa frequente nelle ricerche sociali è quella della compilazione contestuale. Ad essa si
ricorre quando è possibile proporre l’auto compilazione del questionario utilizzando dei luoghi per riunire i
soggetti selezionati. Alla soluzione della compilazione contestuale si può fare ricorso anche quando è più
genericamente possibile sfruttare le occasioni in cui i potenziali intervistati, ossia quei soggetti che
appartengono alla popolazione di riferimento della ricerca, oppure in una indagine di mercato finalizzata a
rilevare il livello di soddisfazione.
La frequenza con cui si ricorre alla compilazione contestuale trova una spiegazione nei vantaggi che offre
questa soluzione.
Il primo consiste nel supporto offerto agli intervistati attraverso il personale della ricerca, tale supporto può
concretizzarsi in diversi modi rispondendo alla duplice finalità di ottenere la disponibilità e motivare gli
intervistati. Gli intervistati selezionati hanno così la possibilità di ricevere tutte le istruzioni necessarie prima
di procedere alla compilazione del questionario. Il secondo vantaggio è che questa soluzione semplifica il
processo di selezione e di contatto dei possibili intervistati. Infine offre il vantaggio di contenere i tempi e i
costi delle rilevazioni sul campo. Il contenimento dei tempi e dei costi delle rilevazioni può per altro verso
derivare dal fatto che la compilazione contestuale può anche configurarsi come una compilazione proposta
a più individui contemporaneamente.
Quando parliamo di questionario postale, intendiamo quel questionario che non viene consegnato di
persona ma inviato tramite un plico di presentazione via posta e gode della modalità andata e ritorno. Il
questionario postale consente di contenere i costi di contatto dei potenziali intervistati. La spedizione
postale permette di contattare persone risedenti anche in aree distanti o più difficili da raggiungere.
Il questionario postale presenta anche degli svantaggi di cui occorre tenere ugualmente conto. Il primo di
essi riguarda il tasso di ritorno, infatti solo una parte delle persone che ricevono il questionario
effettivamente lo compilano e lo rimandano al mittente. Altri svantaggi del questionario postale derivano
infine dal mancato presidio operato sulla compilazione e dall’assenza di qualsiasi supporto diretto agli
intervistati. Di fronte ad un questionario lungo però, c’è da dire che una parte delle persone potrebbero
rinunciare a compilarlo o meglio, delegarlo a terzi, oppure potrebbe essere indotta a operare una
compilazione solo parziale restituendo al mittente questionari inutilizzabili.
Una variante al questionario postale è quello digitale o telematico, in termini di svantaggi e vantaggi
valgono gli stessi di quello postale, il questionario telematico consente in aggiunta di beneficiare di un
vantaggio ancora più netto in termini dei costi e dei tempi, ovvero la popolazione contattabile tramite
internet resta ancora confinata ai suoi utenti abituali, il che esclude quella quota di persone solo
parzialmente interessate ai nuovi strumenti della comunicazione web.
In alternativa alle soluzioni fin qui presentate, una delle soluzioni cui si fa riferimento è il questionario faccia
a faccia, ovvero sul campo. Il principale vantaggio sta nel fatto che questo tipo di somministrazione è che
esso consente di proporre agli intervistati anche questionari complessi e lunghi e combattere la questione
“stanchezza”. Questo principale vantaggio si realizza attraverso una serie di azioni:
Quando parliamo di interviste telefoniche, si tratta di una modalità di somministrazione che con la
diffusione di massa del telefono e con il più recente avvento dei telefoni cellulari è diventata sempre più
frequente, soprattutto in alcuni ambiti di indagine come indagini di consumo e sulla condizione
professionale. I vantaggi associati a questa modalità sono diversi, intanto c’è da considerare la facilità del
contatto con gli intervistatori, infatti coloro i quali sono coinvolti nell’attività di rilevazione possono
contattare molte persone al giorno, senza essere limitati dalle distanze. Per questa ragione l’intervista
telefonica diventa un obbligo quando si vuole portare a termine un indagine che comprende l’unità
nazionale. L’intervista telefonica è quasi sempre indotta da un computer che pone le domande
automaticamente agli intervistati.
6 Il campionamento
Nel Descrivere lo sviluppo degli orientamenti empirici nelle scienze sociali, abbiamo già avuto
modo di soffermarci sulla centralità che assume la rilevazione campionaria. Un campionamento
inappropriato, infatti, può anche essere all’origine di risultati distorti o di clamorosi errori.
In questo capitolo viene pertanto proposto un percorso introduttivo ai metodi di campionamento
con due principali obiettivi. Da una parte ci si prefigge di illustrare la logica sottostante alla
selezione di un campione e le sue implicazioni; dall’altra, di presentare i principali metodi di
campionamento utilizzati nella ricerca sociale.
6.1 Popolazione e campione
Al fine di descrivere la logica di campionamento si rende necessario dapprima un chiarimento in
merito ai concetti di popolazione e campione. Per popolazione si intende un insieme di unità
identificabili sulla base di un qualche criterio di aggregazione. La popolazione si può anche
chiamare “universo” per riferirsi genericamente a un qualsiasi insieme di unità.
Nelle ricerche sociali comunque, il concetto di popolazione è utilizzato prevalentemente per
riferirsi a un insieme di individui. Questi individui possono essere identificati in ragione di un
qualche carattere o una condizione o anche di ruolo sociale. Essi possono essere identificati anche
in ragione di una combinazione di caratteri.
Una prima interruzione del campione consiste nel così detto “errore di copertura”. Si tratta di un
errore che si produce quando ai fini della selezione si ricorre a elenchi che riportano in modo
incompleto i nominativi dei soggetti che compongono la popolazione di riferimento della ricerca.
L’errore di copertura in genere interviene quando non esistono elenchi affidabili che possono
essere assunti come liste di campionamento.
Ci si riferisce all’errore “di non risposta”, ossia a quella distorsione che si produce nel campione
nella fase di rilevazione, quando cioè dal campione estratto sulla carta bisogna passare ad
acquisire le informazioni dai singoli soggetti che costituiscono il campione stesso.
6.7 Campionamento probabilistico e non probabilistico
Un campione si definisce “probabilistico” se prevede una selezione causale dell’unità campionarie,
Si assume inoltre che ciascuna unità della popolazione abbia una probabilità nota di essere inclusa
nel campione. L’importante è poter determinare quale sia questa probabilità, in modo da poter
operare varie ponderazioni per correggere gli effetti delle differenze esistenti tra sottoinsiemi e
selezione campionaria di popolazione.
Un campione si definisce “non probabilistico” quando la probabilità di ciascuna unità della
popolazione di essere inclusa nel campione non è note; ciò sia perché non determinabile per
ragioni riconducibili per lo più all’identificabilità della popolazione stessa o all’assenza di elenchi da
utilizzare come liste di campionamento.
proprie di tutti i caratteri assunti come base della stratificazione. Si può parlare di campionamento
stratificato proporzionale dal momento che il campione complessivo ottenuto dall’unione di tutti i
sottocampioni riproduce proporzionalmente la composizione in strati della popolazione. Se si
sceglie di assegnare ai singoli strati un peso diverso da quello che essi rivestono nella popolazione,
si realizza un campionamento stratificato non proporzionale.
6.10 Campionamento a stadi
Si ricorre al campionamento a stadi per semplificare la procedura di selezione del campione.
Al campionamento a stadi si può ricorrere solo se le unità che compongono la popolazione di
riferimento della ricerca sono riconducibili a delle unità di ordine superiore (raggruppamenti
funzionali, unità amministrative, ripartizioni territoriali ecc.) che le ricomprendono tutte senza
alcuna esclusione. L’unica condizione da garantire è che ciascuna aggregazione di ordine superiore
contenga l’insieme delle unità afferenti agli aggregati di ordine inferiore fino ad arrivare per
l’appunto alle unità elementari che compongono la popolazione oggetto di studio.
Nel campionamento a stadi di procede quindi operando più selezioni campionarie per ciascuno dei
livelli gerarchici di aggregazione delle unità elementari della popolazione muovendo da quello più
alto. Per questo tale metodo è detto a “imbuto”.
6.11 Campionamento a grappoli e per aree
Il campionamento a grappoli è un tipo di Campionamento statistico detto anche probabilistico, che
rispetto al disegno di campionamento non prevede l'estrazione di singole unità della popolazione, ma di
grappoli di individui, cioè agglomerati di unità statistiche. Esempi di grappoli sono: le famiglie, le classi
scolastiche, i reparti di lavoro o le camere di ospedale. Tutte le unità che costituiscono il grappolo
estratto entrano a far parte del campione. Se da ogni grappolo estratto entrano a far parte del
campione solo un certo numero di unità, si sta effettuando un campionamento a due stadi ove,
all'interno del primo stadio vengono estratti i grappoli "per intero" e, nel secondo stadio da essi vengono
estratte unite elementari.
Su una logica procedurale simile a quella del campionamento a stadi si fonda anche il campionamento
per aree, ovvero la distribuzione spaziale della popolazione.
6.12 Ponderazione
La ponderazione rappresenta una procedura attraverso la quale si modifica a posteriori la
composizione del campione utilizzato per la rilevazione. La finalità ultima, dunque è quella di
intervenire sulla composizione del campione selezionato per garantire una sua maggiore
rappresentatività in rapporto a quella che è l’effettiva composizione della popolazione.
La ponderazione costituisce una soluzione cui si ricorre in circostanze diverse, configurandosi
talvolta come un’operazione pianificata a monte in ragione delle scelte operate nella definizione,
altre volte come un correttivo che si impone in ragione degli effetti non controllabili del processo
di selezione delle unità campionarie.
In parole povere la ponderazione serve per ristabilire il peso. A questo tipo di azione correttiva si fa
ricorso nella così detta “poststratificazione”. Alla ponderazione si ricorre, infine per correggere gli
effetti distorsivi derivanti dagli eventuali “errori di non risposta”.
L’analisi e l’interpretazione dei dati acquisiti attraverso le rilevazioni condotte utilizzando i metodi e gli
strumenti descritti nei precedenti capitoli costituiscono la fase conclusiva di ogni ricerca fondata su un
approccio metodologico di tipo quantitativo.
Nel definire l’impostazione da dare a quest’ultimo capitolo, si è operata una precisa scelta espositiva
circoscrivendo nettamente la trattazione a un inquadramento di ordine generale del processo di analisi dei
dati.
L’attività di analisi ha per oggetto i dati acquisiti attraverso le unità di rilevazione fondate su un approccio
metodologico di tipo quantitativo. C’è da osservare che essi derivano da una procedura di rilevazione
standardizzata che implica l’omogeneità delle unità di analisi e l’uniformità delle informazioni rilevate. Ciò
significa che i dati oggetto di analisi si riferiscono esclusivamente alle unità di una stessa popolazione e
riguardano, per ciascuna unità di questa popolazione lo stesso insieme di informazioni.
Le basi di dati oggetto di analisi è infine organizzata sotto forma di una matrice casi X variabili, raffigurabile
come una tabella composta da tante righe quanti sono i casi esaminati (unità di popolazione) e da tante
colonne quante sono le variabili (informazioni rilevate).
L’analisi statistica dei dati consisterà più precisamente nello studio delle variabili e delle loro relazioni e sarà
guidata dagli interrogativi che sono alla base del disegno stesso della ricerca.
Un'analisi descrittiva implica semplicemente affermare i fatti così come sono. Un'analisi descrittiva
non dovrebbe in alcun momento fornire conclusioni o generalizzazioni. Al massimo un'analisi
descrittiva può implicare la fornitura di riepiloghi, statistiche descrittive quali medie, deviazioni
standard e grafici e visualizzazioni per comprendere meglio i dati. Stai cercando il “cosa”.
Un'analisi esplicativa cercherà non solo di descrivere l'informazione ma anche di fornire relazioni causali tra
i vari dati presentati. Non descrivi più solo i fatti, descrivi anche la relazione di causa ed effetto tra i fatti.
Stai cercando il "perché".
7.3 Il piano delle elaborazioni statistiche
L’attività di rilevazione deve essere oggetto di una pianificazione che trova espressione nel “piano delle
elaborazioni statistiche”. Le decisioni in merito a quali elaborazioni non sono da rinviare alla fase successiva
alla rilevazioni ma devono essere fatte prima di essa, questo per due ragioni:
1) La scelta di condurre un’analisi descrittiva piuttosto che esplicativa sui dati acquisiti non è
ininfluente rispetto alle decisioni da assumere in merito alle informazioni da rilevare.
2) Anticipare il più possibile le decisioni in merito al tipo di analisi e al piano delle elaborazioni
statistiche da realizzare sui dati acquisiti è da ricercare nei vincoli intrinseci alla natura delle
variabili
I risultati di questa semplice elaborazione potranno essere rappresentati sotto forma di tabella e potranno
essere espressi in valori assoluti e in valori percentuali.
Al fine di favorire i confronti tra più popolazioni, può risultare opportuno tradurre i valori assoluti in valori
relativi. Tale trasformazione può operarsi suddividendo la frequenza assoluta di ciascuna modalità della
variabile per il totale dei casi
L’altra soluzione per trasformare le frequenze assolute in relative consiste nel moltiplicare per 100 le
proporzioni ottenendo così i valori percentuali delle frequenze.
Mentre la frequenza cumulata corrisponderà, per ciascuna modalità della variabile, alla frequenza relativa
di quella stessa modalità sommata a quella di tutte le modalità di ordine inferiore.
Una distribuzione delle frequenze consente di riconoscere a colpo di occhio come la popolazione si
distribuisce rispetto alle diverse modalità della variabile, e questo spesso è sufficiente a fornire indicazioni
utili sulla popolazione studiata e a rendere anche possibile delle comparazioni con altre popolazioni o
anche con altri periodi qualora si disponga delle relative frequenze riguardanti lo stesso carattere rilevato.
• A controllare che la matrice dei dati non contenga valori errati (non presenti nel libro codice per quella
variabile);
• A prendere decisioni circa l'aggregazione delle categorie tra di loro (ad es. quelle con pochi casi);
• A dare una rappresentazione statistica del campione secondo la variabile esaminata (utile solo se si
dispone di dati comparabili).
Di solito si usano soltanto le frequenze percentuali, inserendo nella tavola una riga che riporta la base N dei
casi corrispondente al 100%. In questo modo è possibile ricalcolare le frequenze assolute della
distribuzione.
Notare:
Le tecniche di analisi monovariata fin qui presentate risultano di grande utilità nella presentazione e nella
sintesi dei dati a fini descrittivi. Se l’obiettivo dell’analisi dei dati è invece di tipo esplicativo si è interessati a
identificare e a valutare le relazioni tra le variabili. Prima di passare a presentare queste tecniche, è
opportuno però chiarire preliminarmente il concetto di “relazione tra variabili”.
Iniziamo col dire che una relazione tra variabili è una relazione che si manifesta, e dunque si rende
riconoscibile, attraverso una variazione concomitante dei valori delle variabili in questione. Tale variazione
prende il nome di “covariazione”.
Se si riscontra covariazione tra due o più variabili e se pertanto si assume che possa esistere una relazione
tra esse, occorre tener presente che questa relazione è da intendere in termini puramente statistici. Più
precisamente parliamo di “relazione statistica” per riferirci a una relazione di tipo “probabilistico”.
Parliamo invece di “covariazione rilevata” di quella relazione tra le due variabili che si verifica con una certa
probabilità.
Detto in altri termini, una relazione statistica tra due variabili stabilisce solo che esiste una significativa
probabilità che si riscontri una covariazione fra i rispettivi valori.
e .
Può trattarsi di due caratteri qualitativi o di due caratteri quantitativi, oppure di un carattere qualitativo e di
un carattere quantitativo.
frequenza congiunta di e .
coppia
detta
Inoltre intorno alla posizione che ciascuna delle variabili assume all’interno dell’eventuale relazione
statistica riscontrata tra esse, a tal riguardo si deve distinguere tra variabili “indipendenti” e “dipendenti”.
La variabile indipendente è quella variabile che nei termini di una relazione causale assolve la funzione di
“causa” generando un cambiamento (effetto) sulla seconda variabile.