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Lo "Zibaldone di pensieri" di Giacomo Leopardi alla luce della sua lirica

Chapter · January 2019

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Visnja Bandalo
University of Zagreb
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Lo Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi alla luce della sua lirica

Višnja Bandalo
Facoltà di Lettere e Filosofia
Università di Zagabria
vbandalo@ffzg.hr

Nel contesto del romanticismo italiano, nel cui ambito in Occidente vengono creati i
giornali dei primi diaristi nel senso moderno del termine, Leopardi idea un’opera che si può
considerare un antecedente basilare, un libro capostipite per un particolare filone di questo
genere letterario. Lo Zibaldone di pensieri leopardiano inaugura 1, infatti, la categoria del
diario filosofico nella modernità letteraria italiana, dacché si tratta di una raccolta di notazioni
dal carattere eterogeneo ed enciclopedico, che rappresenta esemplarmente l’officina autoriale,
il che non vi toglie un’istanza soggettivistica. Anche se di stampo prevalentemente
speculativo, lo Zibaldone resta pervaso di un’implicita autoreferenzialità, per cui possiede
carattere di una scrittura privata o semiprivata, lasciando trasparire la storia personale del
protagonista, e mantenendo pure la datazione, propria della diaristica. Esso si pone come
un’opera in fieri, recante traccia di quasi tutte le concezioni poetiche fondamentali di
Leopardi, e dimostrando così l’evoluzione delle sue idee, nonché una gradazione dei principi
estetici, il che corrisponde alla natura basilare dell’impianto diaristico, inteso come testo in
perenne ricomposizione e movimento. Lo Zibaldone non rappresenta, dunque, soltanto lo
spazio di un annotare e catalogare fugace, ma anche di un reinterrogare il contenuto, rendendo
possibile quasi una panoramica sul suo pensiero.
Per quel che riguarda le circostanze relative alla stesura, le annotazioni che vi sono
incluse vengono stese tra il luglio/l’agosto 1817 e il dicembre 1832, mentre il manoscritto
originale contiene 4526 pagine, tra le quali la maggior parte, in tutto i tre quarti delle note,
risale al periodo tra il 1821 e il 1823. Quando vengono stampati per la prima volta, in sette
volumi, questi appunti diaristici recano il titolo Pensieri di varia filosofia e di bella
letteratura, da cui si evince che vengono privilegiati due principali livelli tematici: quello
filosofico-morale e quello filologico. Questa intitolazione poi viene sostituita con quella
attuale, che inizialmente funge da soprannome dato dall’autore durante la preparazione
dell’indice dell’opera nel 1827, dopo aver scritto le prime cento pagine (L'indice del mio
Zibaldone). Ed è in seguito a questa prima parte che egli comincia a registrare la data e il
luogo, cronologizzando la sua meditazione. Occorre qui notare che il termine "zibaldone"
viene adottato con il significato di una compilazione erudita appartenente alla tradizione

1
G. Leopardi, Zibaldone di pensieri [1898-1900], scelta a cura di A. M. Moroni, saggi introduttivi di S. Solmi e
G. De Robertis, voll. I-II, Mondadori, Milano, 2006.

1
umanistica, anziché utilizzare la parola "diario", che tuttavia Leopardi usa una volta, a
proposito di Spedizione di Ciro di Senofonte (Zib. 466-467) 2. E si osservi al contempo che
l’istanza della voce narrante mantiene sempre la traccia del lettore implicito, che resta iscritto
in questo testo, anche prima che avvenga la ricezione ufficiale da parte del pubblico, dandolo
alle stampe. Che il lettore non sia escluso aprioristicamente, dimostrano le numerose apostrofi
rivoltegli 3. Si pensi altresì che la pubblicazione dei diari, consacrati come testi di letteratura,
rappresenta un fenomeno abbastanza recente nel quadro storico-letterario italiano, con i primi
esempi risalenti intorno all’inizio del Novecento.
Seppure questo libro di ampio respiro sia da considerarsi pionieristico nella prospettiva
della letteratura europea e mondiale, il suo autore, profilatosi come erudito, verrà apprezzato
in vita soprattutto come poeta, addirittura denominato subito, da parte di alcuni
contemporanei, il maggior lirico italiano dell’Ottocento. La riflessione leopardiana elaborata
nello Zibaldone, dall’accentuata dimensione esistenzialista, si dimostra intrecciata, oltreché
alle prose delle Operette morali (1827, 1834, 1845), al versante lirico della sua produzione,
come rappresentato dai Canti 4, suo principale volume di versi uscito in prima edizione a
Firenze nel 1831, e poi a Napoli nel 1835, dopo che erano precedentemente apparse le
edizioni di Canzoni del 1824 e di Versi del 1826. In tale ottica, una genesi parallela permette
di intraprendere un’analisi correlazionale tra gli appunti diaristici leopardiani e la sua poesia,
pervasa anch’essa da una filosoficità interna, rilevando così gli elementi di congiuntura dal
punto di vista compositivo e stilistico. Consistente nella redazione finale di 41 componimenti,
ripartiti in 4 sezioni (gli Idilli, le Canzoni, i Canti pisano-recanatesi, gli Ultimi canti), il corpus
lirico di questo poeta della protesta presenta un intreccio tra la componente etico-civica
(All’Italia, Sopra il monumento di Dante) e la tematica amorosa ed esistenziale, miscuglio in
cui i toni eroici man man lasciano spazio ad un rassegnato coraggio, ribadito nella parabola de
La ginestra o il fiore del deserto (cfr. Zib. 1393) 5. La lirica leopardiana presenta i ricorrenti
casi di intertestualità relativa allo Zibaldone, anche perché in questo diario di lavoro, che
contiene il materiale preparatorio dando luogo all’autocritica, si trovano documentati gli
episodi che hanno occasionato l’elaborazione versificatoria. L’autore vi attinge il lessico per
l’ideazione dei motivi lirici, oltre a depositarvi le proprie considerazioni sull’atto letterario e
sugli aspetti linguistici.
2
Cfr. G. Panizza, Perché lo «Zibaldone» non si intitolava «Zibaldone», in AA. VV, Lo Zibaldone cento anni
dopo. Composizione, edizioni, temi. Atti del X Convegno internazionale di studi leopardiani, vol. I, Olschki,
Firenze, 2001, p. 364.
Nel contesto dell'epoca, la struttura aperta e frammentaria della compilazione diaristica di tipo intellettuale di
Leopardi assomiglia all'omonimo Zibaldone in cui, quasi in concomitanza (1809-1853), G. G. Belli archivia le
sue impressioni. Ma siccome sotto il profilo contenutistico si presenta soprattutto come una raccolta riassuntiva e
un bilancio delle letture, tra cui figura altresì un cenno ai Canti di Leopardi, quest'ultima non viene considerata
per la maggior parte un'opera originale. Tra le affinità tematiche, sono rinvenibili la valenza pedagogica e la
dimensione dell'antropologia culturale in un vasto spettro di interessi (cfr. S. Luttazi, Lo Zibaldone di Giuseppe
Gioachino Belli. Indici e strumenti di ricerca, prefazione di M. Teodonio, Aracne, Roma, 2005, pp. 79-84).
3
A mo’ d’esempio, si consideri un tale uso dei verbi «notate» (Zib. 107, 164, 168, 173, 184), «osservate» (Zib.
117, 125, 153, 155, 158), «vedete» (Zib. 20, 22, 46), «analizzate» (Zib. 1664) e sim.
4
G. Leopardi, Canti, introduzione e nota di F. Brioschi, Rizzoli, Milano, 1994 4.
5
Cfr. G. Tellini, Leopardi, Salerno Editrice, Roma, 2001, p. 95; W. Binni, La protesta di Leopardi, Sansoni,
Firenze, 1973, pp. 262-263.

2
In ciò egli investe lo sforzo di osservazione, generalizzazione e deduzione delle
conclusioni, in cui si ravvisa il genio, che caratterizza altresì il suo intero opus. La necessità
percettiva, che poggia anche sulla capacità comparativa (Zib. 1190-1191, 1650), verrà
memorabilmente espressa nella massima: «tutti vedono, ma pochi osservano» (Zib. 1767). In
un altro passo aggiunge: «tutto nell’uomo ha bisogno di formarsi» (Zib. 2597). Sulla qualità di
afferrare un problema complesso in un colpo d’occhio, come se si trattasse di guardare una
determinata scena (Zib. 1854), nonché sul ruolo della sussunzione (Zib. 1867-1869), scrisse
A. Graf 6. A ciò occorre aggiungere l’osservazione sul talento che non è soltanto innato,
perché l’originalità si può coltivare (Zib. 2185-2186, 2571-2572). A complemento di quanto
esposto, si veda un frammento, datato 30 aprile 1817, tratto dal carteggio con P. Giordani, a
cui egli scrive da Recanati: «che la poesia vuole infinito studio e fatica, e che l’arte poetica è
tanto profonda che come più vi si va innanzi più si conosce che la perfezione sta in un luogo
al quale da principio né pure si pensava» 7.
Nella luce di un’interpretazione convergente, assume un particolare significato il fatto
che il suo quaderno si apre (Zib. 1) con un’immagine che verrà poi tratteggiata sul terreno
della lirica (La quiete dopo la tempesta, 32-34, 42-54; cfr. Zib. 2601-2602) 8. Ma
diversamente dalla prima nota del diario del 7 agosto 1822, il componimento poetico
summenzionato databile al settembre 1829, già testimonia di una visione negativa, riassunta
nella critica come il pessimismo cosmico (1823-1824), quale atteggiamento che si fa esplicito
nella fase matura della filosofia leopardiana 9, in cui egli inizia a descrivere la natura in una
luce di intoccabilità e ostilità. Il dubbio diventa accentuato in un segmento di poesia Canto
notturno (52-56), contrassegnata oltre che dall’ipoteticità (133-143; cfr. Zib. 4399-4400),
anche dalle interrogazioni, che pure altrove costituiscono un tipico tratto semantico della sua
lirica. Esemplificativamente, si pongano a raffronto poi i suoi versi 21-36, al corrispondente
brano del diario (Zib. 4161-4163), nonché nel componimento La sera del dì di festa l’analogo
metaforeggiare (Zib. 51).
Nell’ambito di una prospettiva intertestuale, sul piano teorico, la ricerca delle costanti
determina la ripresa dei temi da un’opera all’altra, il che permette di considerare lo statuto di
alcune parole programmatiche (l’illusione, il piacere, la felicità, la natura) nella produzione
leopardiana, costituita come un insieme di filosofemi di tendenza moralistica, piuttosto che
come un sistema speculativo elaborato sulla base scientifica. L’illusione, sebbene spiritus
movens della poetica di Leopardi, non viene mai esplicitamente menzionata nei Canti. La

6
Cfr. A. Graf, Foscolo, Manzoni, Leopardi. Preraffaeliti, simbolisti ed esteti. Letteratura dell'avvenire [1898],
Loescher, Torino, 19556, p. 122.
7
G. Leopardi, Epistolario [1849], a cura di F. Brioschi e P. Landi, vol. I, Bollati Boringhieri, Torino, 1998, p.
95.
8
In maniera analoga scrive del proprio spirito che «oramai inclina meglio alla calma che alla tempesta» nel
giovanile Diario del primo amore (1906), in G. Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose [1997], a cura di L.
Felici ed E. Trevi, Newton & Compton, Roma, 2001, p. 1099.
9
Conformemente a «une philosophie désespérante» da lui adottata, a cui fu portato dal suo intendimento, come
emerge da una lettera indirizzata a L. De Sinner in data 24 maggio 1832, e viene altresì esplicitato dall'esempio
del componimento poetico Bruto minore, l'autore non prevede la possibilità di attenuare un'esperienza vissuta
(Epistolario, vol. II, cit., p. 1913).

3
forma verbale si riscontra nell’Inno ai Patriarchi (68), ma col significato modificato di
schernire, fomentare. L’omissione potrebbe essere dovuta alla convinzione leopardiana che la
sua efficacia dipenda dalla parziale ermeticità (Zib. 15). Tuttavia, il ruolo centrale della
nozione dell’illusione viene preannunciato già nel suo saggio giovanile Discorso di un
italiano intorno alla poesia romantica (1818) 10, in cui egli descrive la poesia come l'arte di
imitazione, che ha lo scopo di dilettare. L’autore vi sostiene altresì che le illusioni abbiano un
ruolo particolarmente produttivo, perché sono alla base dell'ispirazione poetica.
Nell’affermare in questo modo la sua predilezione per il modello della poesia sentimentale
(Zib. 725-735, 1449), si pronuncia al contempo a favore della superiorità del passato, come
viene dimostrato nella sua opera in versi (Ad Angelo Mai, Nelle nozze, A un vincitore nel
pallone, Bruto minore).
Sullo sfondo di questo atteggiamento sta il credo materialistico del poeta. Sulla scia della
convinzione che l’uomo non possa oltrepassare la materia neppure con il pensiero (Zib. 85,
1464, 3503, 4251-4253, 4288), Leopardi individua l’illusione come rimedio provvisorio.
L’idea per cui così opta lo avvicina all’approccio proprio del romanticismo ed esistenzialismo
11
. In questa prospettiva l’autore ricorre alle illusioni, che anche nella prima fase della sua
meditazione filosofica, in cui la natura rappresenta per lui un indispensabile impulso
vitalistico, considera connaturate all’essere umano (Zib. 99). A conferma si può citare uno
scorcio della lettera, risalente al 30 giugno 1820, che fu rivolta a P. Giordani: «Io non tengo le
illusioni per mere vanità, ma per cose in certo modo sostanziali, giacché non sono capricci
particolari di questo o di quello, ma naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno; e
compongono tutta la nostra vita» 12. Una visione affirmativa della natura, laddove questo
termine non si riferisce soltanto a una cornice rappresentata dal paesaggio, ma essa viene
identificata all'esistenza stessa (Zib. 2381, 2415, 3813-3814) persiste in molti componimenti
(Alla primavera, Il passero solitario, L’infinito, La vita solitaria, Il Risorgimento, Il pensiero
dominante, Il tramonto della luna). La ragione ha bisogno dell'immaginazione e delle
illusioni, che nell'arte producono l'effetto di far innalzare l'anima, il che si ricollega alla teoria
leopardiana del piacere. Perciò l’uomo viene definito dal suo desiderio, mentre la verità
andrebbe percepita intuitivamente. A partire dalle illusioni, il poeta designa e anticipa la
realtà. Anche in questa maniera si realizza nella scrittura leopardiana il connubio di poesia e
filosofia.

10
G. Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in Tutte le poesie e tutte le prose, cit., pp.
972, 984.
11
Cfr. S. Givone, Storia del nulla [1995], Laterza, Bari, 20064, p. 99. P. V. Mengaldo nota che il termine
"nulla", quale presupposto del nichilismo, ha soltanto tre occorrenze nella produzione lirica, specificamente nel
Mai (Sonavan le quiete stanze. Sullo stile dei «Canti» di Leopardi, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 88).
Sulla prospettiva teleologica in Leopardi (Zib. 3497), cfr. A. Frattini, Giacomo Leopardi. Una lettura infinita
[1969], Istituto propaganda libraria, Milano, 1989 3, p. 43; G. Lonardi, Leopardi: memoria della poesia e poesia
della memoria, in AA. VV., «In quella parte del libro de la mia memoria». Verità e finzioni dell'«io»
autobiografico, a cura di F. Bruni, Marsilio, Venezia, 2003, p. 267; L. Felici, L'Olimpo abbandonato. Leopardi
tra «favole antiche» e «disperati affetti», Marsilio, Venezia, 2005, p. 207.
12
G. Leopardi, Epistolario, vol. I, cit., p. 414. Si veda altresì il brano epistolare del 14 dicembre 1818,
indirizzato allo stesso destinatario: «pregandovi a concedere qualche cosa alle illusioni che vengono
sostanzialmente dalla natura benefattrice universale» (ivi, p. 226).

4
Nello stesso tempo, la sua è una sensibilità poetica che si presenta come un miscuglio di
elementi romantici e classicisti, mentre la sua visione è umanistica, perché attenta all'altro e
alle sue numerose sfaccettature (Zib. 108). Vi è sottintesa la fondamentale idea secondo la
quale l'uomo non si può definire del tutto in base a quello che è, perché è altrettanto
importante la dimensione del potenziale (Zib. 2493).

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