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(1) RONCO, La colpa in particolare, in RONCO (opera diretta da), Il reato. Struttura del fatto
tipico. Presupposti oggettivi e soggettivi dell’imputazione penale. Il requisito dell’offensività del
fatto, Bologna, 2007, 538.
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(2) RICHETTA, Sicurezza sul lavoro, commento al D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in GAITO,
RONCO (a cura di), Codice penale ipertestuale, Leggi penali complementari commentate, II ed.,
Torino, 2009, 3246: “l’uso della locuzione “sottopone all’esame” non appare casuale,
racchiudendo in sé il vero significato della riunione periodica, che consiste nel favorire
il dialogo fra i vari soggetti operanti nell’azienda al fine di coinvolgere tutti nel miglio-
ramento delle condizioni di sicurezza delle varie attività lavorative svolte. La formula-
zione della norma porta a pensare che intento del legislatore fosse quello di porre il da-
tore di lavoro nelle condizioni di effettuare le scelte che a lui competono in materia pre-
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venzionistica solo dopo aver adeguatamente ponderato le opinioni di tutti gli altri sog-
getti della sicurezza”. Ebbene, non può negarsi che la partecipazione di tutti i soggetti
dell’impresa alla “creazione” di sicurezza sia ormai divenuto un valore imprescindibile;
pur tuttavia, siffatta partecipazione non può considerarsi come condicio sine qua non del-
la sicurezza medesima.
(3) A tal proposito, si è icasticamente parlato della “democratizzazione delle regole cau-
telari”, ad indicare la natura partecipata e condivisa del procedimento di prevenzione
del rischio, MORGANTE, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavoro nelle re-
centi riforme legislative, in Cass. pen., 2010, 9, 3319, §8.
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(6) A tal proposito, un ulteriore fattore che ha inciso sulla nozione tradizionale di “rego-
la cautelare” è costituito dal passaggio epocale dal concetto di “pericolo” al concetto di
“rischio”. Negli anni ‘50, infatti, i primi atti normativi in tema di sicurezza del lavoro
(D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 e D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303) avevano il dichiarato scopo
di tutelare i lavoratori da specifici pericoli per la loro salute ed incolumità fisica; “in
quest’ultimi, infatti, le misure e le cautele imposte erano stata intese in termini di stru-
menti volti ad abbattere il pericolo eliminandolo alla fonte” v. MORGANTE, Le posizioni di
garanzia nella prevenzione antinfortunistica in materia d’appalto, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2001, I, 98. Di contro, dagli anni ‘90 in poi (e, dunque, dal D. Lgs. n. 626 del 1994), specie
sulla scorta della normativa comunitaria e del noto principio di precauzione, si è assisti-
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to ad un progressivo slittamento dalla “tutela dal pericolo” alla “prevenzione del ri-
schio”, che ha conferito un nuovo volto al sistema antinfortunistico: se, in precedenza,
si dettavano misure tendenti ad eliminare la fonte di uno specifico pericolo, inteso qua-
le situazione concretamente suscettibile di evolvere verso il danno, adesso si affronta il
problema della gestione globale della sicurezza attraverso complesse procedure capaci
di controllare il rischio, quale situazione prodromica al vero e proprio pericolo v. PA-
DOVANI, Il nuovo volto del diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1996, 1163;
cfr. anche PADOVANI, Il destino sistematico e politico-criminale delle contravvenzioni e le ri-
forme del diritto penale del lavoro in Italia, in DONINI (a cura di), Modelli ed esperienze di ri-
forma nel diritto penale complementare, Milano, 2003, 55.
(7) Come osservato in dottrina, secondo il nuovo paradigma teorico propugnato dal le-
gislatore in tema di attività produttive, «la figura-modello esplode verso l’esterno: si al-
lude agli sviluppi della criminalità colposa all’interno delle organizzazioni complesse, nel
cui ambito ci si confronta con un ‘agire collettivo’ che non si presta ad essere ricondotto
nei parametri dell’agente-modello. […] L’organizzazione dell’organizzazione si fonda
sull’adozione di protocolli comportamentali ‘proceduralizzati’, posti in sequenza, nel cui
ambito l’individuo padroneggia solo un frammento del processo» v. ATTILI, L’agente-
modello nell’era della complessità: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2006, 1243-1244, corsivi originali.
(8) «Il comportamento diligente del soggetto apicale-modello è quello di assicurare che il
sistema funzioni. […] Come si veda, […] si può parlare di figure-modello individuali sul-
le quali si proiettano obblighi di garanzia essenzialmente organizzativi e di controllo
che si saldano immediatamente con la responsabilità dell’organizzazione» v. ATTILI,
L’agente-modello nell’era della complessità”, cit., 1268, corsivi originali.
(9) Sul punto, in nota alla sentenza della Corte d’Appello di Venezia, 15 dicembre 2004,
in tema di cloruro di vinile monomero, la dottrina ha così commentato: «la sentenza
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della Corte di appello ha destrutturato (sarebbe più esatto dire: sconvolto) questo para-
digma, attraverso una costante opera di flessibilizzazione e di decontestualizzazione
degli elementi costitutivi della colpa, funzionale ad un alleggerimento degli oneri pro-
batori», PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell’età del rischio: prove di resistenza del tipo,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, III, 1689.
(10) ATTILI, L’agente-modello nell’era della complessità, cit., 1242.
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(11) A tal proposito, seppur nel campo della responsabilità medica, si è correttamente
precisato: «la tipicità del reato colposo, e in particolare nel caso di omicidio per colpa
professionale nell’attività medico chirurgica, si concreta nella violazione di regole cau-
telari che devono essere individuate con il ricorso alla rappresentabilità ed alla preve-
dibilità dell’evento, poiché non può essere posto a carico dell’agente l’obbligo di con-
formare la sua condotta a regole di estensione indefinita, astrattamente idonee ad evita-
re il pericolo che si realizzi un evento non prevedibile» così Tribunale Milano, 20 di-
cembre 1999, in Foro Ambrosiano, 2000, 312.
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(12) ATTILI, L’agente-modello nell’era della complessità”, cit., 1260, corsivi originali; l’Autore
cita, poi, PALIERO, PIERGALLINI, La colpa di organizzazione, in La responsabilità amministrati-
va delle società e degli enti, 3, 2006, 174 e segg., in cui il dovere di auto-organizzazione
viene definitivo come “progettuale”.
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(13) «E’ chiaro il distacco con la struttura e la funzione della regola cautelare che fonda
l’illecito colposo ‘classico’: questa è da sempre concepita come uno strumento per fron-
teggiare un ben specifico pericolo, di cui si conoscono le caratteristiche, sì da poter ri-
correre ad efficaci misure impeditive. Il principio di precauzione prescinde, invece, dal-
la conoscenza della fisionomia del rischio, si accontenta del ‘sospetto’, e preme per
un’interpretazione delle regole prevenzionali in senso ultraprudenziale» v. ATTILI,
L’agente-modello nell’era della complessità”, cit., 1279, corsivi originali.
(14) PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell’età del rischio, cit., 1692.
(15) ATTILI, L’agente-modello nell’era della complessità”, cit., 1242, corsivi originali.
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(16) PULITANÒ, Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico, in Riv. it. dir. proc. pen.,
2006, 800.
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(19) Tra i vari organismi internazionali si citano, ad esempio, in Italia, l’UNI; nel Regno
Unito, il BSI; in Europa, il CEN; nella comunità internazionale, l’ISO.
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(20) Il BSI è un c.d. “ente normativo” costituito a Londra nel 1901; sul punto, si potrà
consultare la pagina web http://www.bsigroup.com.
(21) A tal proposito, il documento BS 18004:2008 (strutturato in linea con la 18001:2007 e
che fornisce una guida per le aziende che desiderano mettere in atto un efficiente siste-
ma di sicurezza) cita il metodo FMEA quale uno fra i vari modelli di valutazione dei ri-
schi; a sua volta, il metodo FMEA (Failure Modes and Effects Analysis), nasce nel 1949, in
seno all’esercito statunitense, quale metodologia adoperata allo scopo di classificare i
guasti delle macchine in base all’impatto sul successo della missione e sulla sicurezza
del personale e degli equipaggiamenti; tale metodo si fonda su un calcolo probabilistico
relativo ai rischi di guasto.
(22) Va osservato che la predetta “norma volontaria”, nel proprio preambolo, recita: “the
OHSAS 18001 have been developed in response to urgent customer demand for a recognizable
occupational health and safety management system standard against which their management
systems can be assessed and certified”: il tenore ed i toni della norma (laddove la stessa di-
chiara che il sistema di gestione è stato approntato anche al fine di tacitare l’urgente
“domanda degli utenti” –urgent customer demand– in merito alla sicurezza del lavoro),
non destano meraviglia, se solo si considera che un tale principio ha una genesi pretta-
mente gestionale e sancisce, in tale ottica, un’auspicabile meta di neutralizzazione del
rischio infortunistico
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(23) Cfr. RONCO, La colpa in particolare, cit., 563: «La violazione della regola di diligenza
[deve] relazionarsi strettamente, con una sorta di vincolo causale, con l’evento che è sta-
to in concreto realizzato. […] Questa esigenza implica che l’evento verificatosi sia pro-
prio quell’evento che la regola di diligenza violata mirava a prevenire e non un evento
diverso. […] Se così non fosse si punirebbe il soggetto semplicemente per il disvalore
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della condotta, senza che questo disvalore abbia impresso le sue stigmate (“abbia causa-
to”) sull’evento concretamente determinatosi».
(24) «Per integrare la colpa punibile non è sufficiente la mera violazione di u-
na regola cautelare, sebbene codificata, ma è necessario che la violazione di det-
ta regola abbia determinato il concretizzarsi del rischio che essa mirava a prevenire, la
cosiddetta causalità della colpa» così Cass., Sez. IV, 9 febbraio 2010, A. , in Guida al Di-
ritto, 2010, 27, 82.
(25) M. GALLO, voce Colpa penale, in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1960, vol. VII, 637.
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6. Alla luce di quanto sopra esposto, deve rilevarsi che, nel diritto
vivente, non sempre viene posta la dovuta attenzione al tema del-
la natura cautelare dei precetti normativi; in particolare,
l’individuazione delle disposizioni cautelari e della “condotta al-
ternativa lecita” viene sovente aggirata, mediante il tralatizio rin-
vio alla clausola generale dell’art. 2087 c.c., in combinato disposto
con l’altrettanto generalissima clausola dell’art. 40, co. 2, c.p..
Accade, così, che la giurisprudenza faccia ricorso ad argomenta-
zioni dal seguente tenore: «in forza della disposizione generale di
cui all’art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa
antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante
dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità mora-
le dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli
non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamen-
te gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto
dall’art. 40 c.p., co. 2. Ne consegue che il datore di lavoro, ha il
dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del
fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizio-
ni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza
siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera. In al-
tri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamen-
te per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicu-
rando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose
misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi
connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondur-
re, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmen-
te, al disposto dell’art. 2087 c.c.. In forza del quale il datore di la-
voro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della
salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con
l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tu-
un’azione umana dolosa o colposa e si verifica per circostanze sottratte al fuoco del
dominio pratico della persona.
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(31) Cass., Sez. IV, 29 aprile 2008, Barzagli e altro, integrale in De Jure.
(32) Sul punto, la dottrina ha correttamente rilevato che il richiamo tralatizio all’art. 2087
c.c. «quando non si riduce a una clausola di stile –quasi un omaggio alla tradizione– dif-
ficilmente si presta a definire autonomamente la tipicità del reato colposo, venendo
sempre impiegato per supportare la doverosità di una regola cautelare formalizzata dal
legislatore o indicata dal modello prevenzionistico» sul punto GIUNTA, MICHELETTI (a
cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2010, 210.
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(33) «Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costi-
tuzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore» così Cass., Sez. IV, 13
gennaio 2011, Galante, integrale in De Jure.
(34) Si pensi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 609 sexies c.p. (in tema di
inescusabilità dell’errore sull’età del minore nei reati di violenza sessuale): nel corso del
giudizio innanzi la Consulta, l’Avvocatura dello Stato aveva sostenuto la costituzionali-
tà della disposizione, in quanto con la stessa «il principio di colpevolezza non verrebbe
nella specie sacrificato, ma, semmai, solo attenuato; […] il legislatore ben potrebbe, in
ogni caso, sacrificare -«per fondate ragioni»- un determinato valore costituzionale [ossia
il principio di colpevolezza ex art. 27 Cost.: n.d.r.] a vantaggio di altro valore di pari
rango [ossia la tutela dell’infanzia e della gioventù ex art. 31 Cost.: n.d.r.]». Sennonché,
le Corte Costituzionale respingeva un tale argomento, affermando che «contrariamente
a quanto sostiene l’Avvocatura dello Stato - il principio di colpevolezza non può essere
«sacrificato» dal legislatore ordinario in nome di una più efficace tutela penale di altri
valori, ancorché essi pure di rango costituzionale. I principi fondamentali di garanzia in
materia penale, difatti, in tanto si connotano come tali, in quanto “resistono” ad ogni
sollecitazione di segno inverso (si veda, con riguardo al principio di irretroattività della
norma penale sfavorevole, la sentenza n. 394 del 2006). Il principio di colpevolezza par-
tecipa, in specie, di una finalità comune a quelli di legalità e di irretroattività della legge
penale» testualmente Corte Cost., n. 322 del 2007.
(35) Sul punto, cfr. art. 33, D. Lgs. n. 81 del 2008. La Suprema Corte ha statuito, a tal pro-
posito, che «il responsabile del servizio di prevenzione, al di fuori delle ipotesi di speci-
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fica delega in questo senso, non è dotato di autonomia decisionale e svolge essenzial-
mente una funzione propositiva, di consulenza, nei confronti del datore di lavoro» così
Cass., Sez. IV, 23 aprile 2008, Marciocia, in Foro it, 2008, II, 413. Si veda anche GIUNTA,
MICHELETTI (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, cit., 78 («Il
compito primario [del responsabile del servizio di prevenzione e protezione] si concre-
tizza nell’individuazione dei rischi per i lavoratori, con specifico riferimento al tipo di
attività esercitata, nonché nell’indicazione delle misure necessarie per eliminare o ri-
durre gli stessi»).
(36) Cass., Sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2814, B., integrale in De Jure.
(37) Cass., Sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2814, B., cit.; Id., Sez. IV, 23 novembre 2010, Sali-
ni e altro, inedita; Id., Sez. IV, 23 novembre 2010, Di Bella e altro, inedita; Id., Sez. IV, 15
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luglio 2010, Scagliarini, in Mass. Uff. 248555; Id., Sez. IV, 13 marzo 2008, Reduzzi, inte-
grali in De Jure.
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(38) «Il legislatore italiano con il Decreto Legislativo n. 626 del 94, ha recepito compiu-
tamente il modello di impresa sicura di derivazione comunitaria, ribadendo all’art. 3
comma 1 allorché impone l’eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisi-
te in base al progresso tecnico e, ove sia possibile, la loro riduzione al minimo» così
Tribunale Bari, 3 ottobre 2006, integrale in De Jure.
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