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c) le mutate condizioni dello spostamento degli esseri umani sul pianeta (il passaggio dalle
migrazioni alle diaspore in movimento negli etnorami) hanno de-territorializzato le nazioni, che ora
sempre meno coincidono con le entità territoriali che pretendono di rappresentarne la forma politica.
Le azioni intraprese sono ambivalenti e contraddittorie, producendo alla fine una destabilizzazione e
l’emergere preoccupante delle “etnicità”.
Quanti di noi hanno compiuto una ricognizione sulla consistenza quantitativa (ovvero per numero) e
qualitativa (ovvero per paese di provenienza e anche per età) degli immigrati in Italia, in Europa, negli Stati
Uniti? Una ricognizione che si può facilmente fare servendosi degli “osservatori” nazionali e internazionali.
Uno fra tutti la Caritas, poi l’OCSE, poi il sito della Comunità Europea.
Queste tre premesse sembrano indicare appunto la modernità in polvere. Tutti i grandi miti nati e
sviluppatesi intorno a questa nozione centrale (l’idea stessa della scuola) sono irrimediabilmente messi
in discussione. Lo stato-nazione adesso è percepito adesso come semplice custode e/o gendarme della
territorialità. Ma cresce di pari tempo l’insoddisfazione e la disaffezione dalle istituzioni statali. Di
pari tempo si assiste alla nascita e alla diffusione di tanti piccoli stati-nazione, spesso poco più di un
lembo di terra.
Dai 51 stati membri del 1945 all’ONU si è passati a 55 (1946), 57 (1947), 58 (1948), 59 (1949), 60 (1950), 76
(1955), 80 (1956), 82 (1957), 99 (1960), 104 (1961), 110 (1962), 113 (1963) 115 (1964), 117 (1965), 122 (1966),
123 (1967), 126 (1968), 127 (1970), 132 (1971), 135 (1973), 138 (1974), 144 (1975), 147 (1976), 149 (1977), 151
(1978), 152 (1979), 154 (1980), 157 (1981), 158 (1983), 159 (1984), 166 (1991), 179 (1992), 184 (1993), 185
(1994), 188 (1999), 189 (2000), 191 (2002), 192 (2006), 193 (2011), 251 (2014) stati membri.
Questa crescita della rappresentanza è indice dell’esplosione delle etnicità che è da considerare come la
risposta alle politiche uniformanti dello stato, a volte come reazione, a volte proprio come assecondamento di
quelle politiche
Gli esseri umani oggi «producono località», ovvero costruiscono società e culture posizionate
localmente, ma a partire da dialoghi, conflitti e negoziazioni con quei format politici e mediatici che
viaggiano senza sosta sulle reti globali3.
Mentre nel campo della politica, dell’economia, della tecnologia, della scienza e della medicina, dei
beni di consumo sembra indiscutibile un livello di condivisione che si sta sviluppando una sorta di
cultura globale, in altri settori che riguardano l’umana avventura: la vita sociale, la religione,
l’identità, le differenze e le diaspore tendono ad aumentare, ad acuirsi, anziché diminuire.
1
Appadurai, Modernità in polvere, cit., “Disgiuntura e differenza nell’economia culturale globale”, pp. 39-88.
2
Ivi, “Etnorami globali: appunti e questioni per un’antropologia transnazionale”, pp. 67-87
3
Ivi, “La produzione della località”.
Riflessioni/sollecitazioni/esercitazioni.
Anche in questa sezione invito ad approfondire (e ad accogliere) alcune tematiche che sentite
particolarmente più vicine alla vostra percezione sulla globalizzazione.
1) Considerato che al centro della riflessione di Appadurai non vi è solo l’Europa, e solo
tangenzialmente gli Stati Uniti, si può fare una mappa storico-geografica dei luoghi, degli
eventi, delle persone (leader politici e non) e dei gruppi (etnie, comunità) che segnano la storia
della globalizzazione.
2) Sempre nella prospettiva dell’integrazione didattica, consiglio la visione di uno di questi film-
documentari:
Inside Job, 2010.
Too Big to Fail, 2011
The flaw, 2011
Il teorema della crisi, 2014. La storia vera di Martin Armstrong in un documentario che
retrospettivamente guarda a ciò che è successo. Armstrong è un economista che da anni è in
possesso di un modello finanziario a suo dire in grado di prevedere gli scenari economici. Per
questo motivo è stato soggetto a persecuzione e maltrattamenti da parte dello stato americano (si è
sempre rifiutato di consegnarlo). Incarcerato, mantenuto a lungo in galera in attesa di processo, è
stato vittima di un’odissea infinita solo perché sapeva prevedere quel che sarebbe successo. Si
concentra sui tre mesi tra agosto e ottobre del 2008 facendo ordine negli eventi della crisi e
cercando di adottare tutti i diversi punti di vista necessari.