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LA STORIA ECONOMICA

L’OGGETTO
La storia economica studia gli avvenimenti economici e la politica economica dei diversi Paesi nel breve e
nel lungo periodo.
Nel breve studia le tecniche e l’organizzazione della produzione, la quantità di risorse disponibili o la
distribuzione per sesso e per età della popolazione.
Nel lungo esamina le trasformazioni della struttura economica (Sistemi Economici, le problematiche dello
sviluppo, i trends).
Studia i diversi fenomeni sia sotto l’aspetto statico (riproduzione semplice) che l’aspetto dinamico
(riproduzione allargata).
Definendo il concetto di sistema economico come l’organizzazione economica complessiva esistente in una
determinata area geografica: nella riproduzione semplice il sistema si riproduce sempre uguale a se stesso e
manca di qualsiasi forma di Surplus; mentre nella riproduzione allargata il sistema è in grado di produrre
l’accumulazione necessaria a creare una diversa combinazione delle risorse disponibili e l’innovazione dei
prodotti e dei processi di fabbricazione.
POSTULATI: L’analisi storico economica deve tenere conto, oltre che dei fatti, delle peculiarità mentali,
sociali e culturali dell’uomo a livello individuale e collettivo. Inoltre è necessaria l’adozione di un paradigma
interpretativo che permetta di classificare gli avvenimenti considerati secondo un ordine logico.
Ecco che storia economica ed economia si giustappongono e si integrano in modo speculare.

IL METODO
Definizione: è il processo di razionalizzazione di una scienza o di una dottrina allo scopo di determinare le
uniformità o le leggi che ne regolano l’oggetto studiato.
L’economia nacque, come scienza organica, tra la fine 1700 e gli inizi del 1800 in Inghilterra fase di
ottimismo grazie alla Prima Rivoluzione Industriale.
Smith, Ricardo e Malthus furono i fondatori della “Scuola Classica”.
Essa adoperò il metodo logico–deduttivo che si fondava su un postulato dato e sulla conseguente scoperta di
leggi che governavano il corretto funzionamento economico dell’ordinamento sociale. La filosofia
giusnaturalistica (esistenza di una generale armonia tra gli interessi umani e fiducia nel funzionamento del
sistema libero concorrenziale) fece rifiutare ai classici ogni forma di intervento dello Stato nella vita
economica; l’equilibrio economico era garantito dal mercato attraverso il meccanismo dei prezzi e dal gioco
della domanda e dell’offerta. Questo tipo di dottrina spinse l’Inghilterra sulla via del capitalismo industriale.
La dottrina classica si diffuse anche in Francia nel 1789 con J. B. Say secondo il quale le leggi dell’economia
sono insite nella natura delle cose; non occorre decretarle ma scoprirle; esse governano legislatori e principi e
non possono essere violate.
Le dottrine classiche in Germania furono decisamente avversate. Tra il 1843 e il 1900 venne a crearsi una
nuova scuola di pensiero, la “Scuola Storica”; che può essere considerata la fondatrice della Storia Economica.
Questa differenza di idee era dovuta al fatto che all’indomani del Congresso di Vienna la Germania era divisa
in molti stati con strutture assai diverse tra loro che condussero ad una sorta di conservatorismo che attribuiva
all’azione di ogni singolo Stato la tutela della propria identità nazionale.
Rosher, Hildebrand e Knies, esponenti della prima scuola storica, adoperarono il metodo induttivo cioè
l’osservazione sistematica dei fatti per pervenire ad una sintesi dell’attività umana; l’economia aveva il compito
di individuare le leggi e regolarità, ma negava a queste il carattere di universalità perché legate a determinate
contingenze storiche ed a specifiche condizioni geografiche, ambientali e costituzionali; sono temporalmente
definite e spazialmente delimitate.
Nel 1840, List, definì la teoria degli stadi dello sviluppo classificando la struttura professionale di ciascuna
popolazione in base al livello di civiltà raggiunto: cacciatrice, pastorale, agricola - manifatturiera e agricola –

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industriale - commerciale. Quest’ultimo stadio poteva essere raggiunto da una nazione ricca di risorse naturali e
di capitale umano ed a mezzo dell’intervento dello Stato volto al coordinamento intersettoriale e alla protezione
dell’industria nascente.
Nel 1860 Hildebrand elaborò una periodizzazione della crescita in rapporto agli scambi economici, peculiari
della transizione da un’economia naturale ad una monetaria e da quest’ultima alla diffusione dell’economia
creditizia quale si andava affermando in Inghilterra, paese più ricco del mondo.
L’applicazione del metodo induttivo e della teoria degli stadi vennero ulteriormente approfondite da Schmoller
e Bucher che diedero vita alla “Nuova Scuola Storica”, che avviò il processo di affermazione della storia
economica come disciplina autonoma e l’intervento dello Stato nell’economia.
Il diffondersi dell’industrializzazione ed il miglioramento dello standard of life, sollevarono enormi critiche nei
confronti del nascente capitalismo e della scuola classica inglese.
Il recupero dell’ideologia liberista si ebbe nel 1870 ad opera degli economisti marginalisti (denominati Neo –
Classici). Essi a differenza dei classici privilegiavano l’analisi della domanda rispetto a quella dell’offerta ed
elaborarono sofisticate teorie grazie a modelli matematici. Durante il 1800 l’affermazione della statistica, come
scienza sistematica di osservazione dei fenomeni sociali, permise agli studiosi la costruzione di serie storiche
delle variabili economiche.
Schmoller fece una distinzione tra leggi morali e leggi naturali e riconobbe la complementarità tra metodo
induttivo e metodo deduttivo.
Leggi morali: operano in una realtà mutevole quale è la società e giungono a conclusioni relative.
Leggi naturali: peculiari della fisica, giungono a conclusione di carattere universale.
La scuola storica (tedesca) riteneva le leggi morali proprie dell’economia; la scuola marginalista valutava,
invece, le leggi economiche simili a quelle fisiche. La scuola storica elaborò gli strumenti concettuali, il metodo
di ricerca e le categorie analitiche mentre la scuola classica elaborò una teoria.
Nel 1875 anche in Italia si costituì un gruppo di economisti socialisti della cattedra.
Agli inizi del 900 la dottrina “istituzionalista” americana poteva considerarsi una diretta filiazione della
“nuova scuola tedesca”. Fino alla prima guerra mondiale sia l’approccio storicistico che quello marginalistico
offrirono una valida interpretazione del funzionamento dell’economia. Negli anni successivi la nascita della
macroeconomia keynesiana ed il recupero della teoria neo-classica fecero sopire il prestigio dello stile
intellettuale tedesco; ma ormai la storia economica vantava di un a propria autonomia scientifica e didattica.
Negli anni ‘20 e ’30 storici economisti ed economici collaborarono dando vita a delle teorie sui cicli economici.
Dopo la seconda guerra mondiale la storia economica divenne il supporto irrinunciabile allo studio
dell’economia del sottosviluppo. In particolare venne rielaborata in chiave moderna la teoria degli stadi dello
sviluppo che prese il nome di “sistema mondo”(Wallerstein). La new economic history ha recuperato
l’approccio neo-classico attraverso la costruzione di modelli matematici.

L’INTERDISCIPLINARITA’
La storia economica ha un legame interdisciplinare con le seguenti materie:
Economia: attraverso la quale si individuano leggi di ampia portata per fornire alla storia economica i criteri
teorici necessari alla scelta, alla coordinazione ed all’apprezzamento dei fatti, delle condizioni e degli istituti
che ne costituiscono la materia. Sono quindi due materie complementari.
Statistica: fornisce serie molteplici e più o meno complesse di dati , quantitativi e qualitativi, su: prezzi, corsi
dei titoli, produzioni, salari.
Demografia: connaturata alla storia economica per l’interdipendenza tra popolazione ed attività economica.
Teoria di Malthus 1798: espose la relazione tra popolazione e risorse alimentari nella fase sella proto-
industrializzazione, intravedendo la crescita della prima in progressione geometrica e delle seconde in
progressione aritmetica. Si accorse che l’eccessivo aumento demografico portava all’aumento della mortalità, in
quanto la crescita della domanda comportava l’innalzamento dei prezzi delle derrate agricole.
Egli, nel 1803, per ovviare a questo problema, propose il ricorso alla restrizione morale; secondo la quale i
lavoratori non dovevano contrarre matrimonio finché non fossero stati in grado di mantenere se stessi e la
famiglia.
Geografia: in quanto lo studio dell’uomo quale agente economico dei suoi eventi vitali non può essere avulso
dall’ambiente nel quale egli opera. La geografia esamina i rapporti esistenti tra i comportamenti delle
collettività passate e presenti e l’ambiente che è la risultante di quel comportamento.
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Sociologia: d’ausilio nel determinare l’agire dei gruppi o delle classi all’interno del processo storico ed i
comportamenti che ne costituiscono la dinamica.
Kula: la storia economica è la scienza che studia gli aspetti economici della vita sociale nelle differenti società e
culture. Si occupa delle ricerche intese a fissare le “uniformità” che si manifestano nelle azioni socio-
economiche e dei fattori sociali che le determinano.

I SISTEMI ECONOMICI
LE ORIGINI
Definizione: Sistema economico è l’insieme delle forme istituzionali, dei rapporti giuridici o
consuetudinari, delle strutture sociali e delle modalità di organizzazione della produzione che regolano
l’attività economica dell’uomo.
Il processo storico di sviluppo ha determinato dalle originarie formazioni comunitarie, tributarie e
schiavistiche ai più complessi sistemi feudale, mercantile, capitalistico e collettivistico.
Dobb: nella realtà non si riscontrano sistemi “puri”, poiché in ciascuno di essi sono presenti elementi
caratteristici sia dei periodi precedenti che di quelli successivi; un’organizzazione produttiva dominante
coesiste sempre con un’altra subordinata o periferica.
-Formazione Comunitaria: fondata sulla proprietà collettiva della terra e sul lavoro articolato su base
individuale-familiare e su base comune: clan e villaggio. Non esistono forme di scambio. (es: Africa di oggi).
-Formazione Tributaria: la casta dominante monopolizzava la terra e percepiva un contributo dai contadini,
che erano organizzati in comunità. Produzione di surplus in pochi casi (Cina, Egitto) e nel lungo periodo.
-Formazione Schiavistica (Feudale): può considerarsi una formazione periferica a quella tributaria, dove vi è
una combinazione del lavoro libero con quello coatto (imposto per legge). Il surplus si venne a creare grazie al
lavoro degli schiavi ma le possibilità di esportazione furono limitate a causa dalla dipendenza dalla
manodopera esterna. Quando le invasioni barbariche ne causeranno la distruzione, dalle sue macerie nascerà
una nuova formazione tributaria: il feudalesimo.

L’ECONOMIA MEDIEVALE
Il sistema economico feudale dell’Europa centro occidentale, nell’arco di tempo 700-800, è stato definito come
una organizzazione della produzione fondata sulla combinazione di terra signorile e lavoro servile, finalizzata
all’uso dei beni prodotti.
Rispetto alla formazione precedente esso rappresentò un accelerato processo di ruralizzazione
dell’economia, basato sulla cessione della terra dal sovrano > feudatario > vassalli > signore > gleba. Questi
ultimi erano tenuti a prestazioni lavorative a favore del signore sulla pars dominicale del feudo (corvees), oltre
al pagamento in natura di un censo per l’uso delle terre da essi coltivate e nelle quali abitavano (pars
massaricia). L’assenza di un mercato non comportava la creazione di alcun surplus.
Fino al 900 il feudalesimo si configurò come un’economia chiusa, basata sull’autoconsumo, sugli scambi in
natura e sull’assenza di mercati monetarizzati (sistema a riproduzione semplice).
A partire dal 1100 cominciarono a manifestarsi i primi mutamenti; con la cessazione delle invasioni barbariche,
la popolazione entrò in una notevole fase di crescita, grazie allo sviluppo dell’agricoltura, che durerà fino al
1300, quando la peste la ridurrà drasticamente. L’aumento della popolazione causò il migliore sfruttamento
delle tecniche produttive che conseguentemente spinse alla colonizzazione di nuove terre; ciò generò surplus.
L’innovazione in campo agricolo incrementò la produttività dei contadini cosicché il signore cedette ad essi il
lavoro di tutte le terre ottenendo in cambio un prodotto maggiore di quello ottenuto con le corvees.
Il comune interesse del signore ed dei contadini alla formazione dell’eccedenza fu alla base della
trasformazione della rendita in natura in rendita monetaria, grazie anche alla crescita ed allo sviluppo delle
economie urbane. Le città erano parte integrante, ma non dominante del sistema feudale. I feudatari

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riscuotevano tributi in moneta per proteggere le città e gli scambi, i quali tributi venivano riutilizzati per
acquistare i beni degli stessi mercanti. La condizione di vita dei servi e dei contadini andò però peggiorando a
causa dei più sempre alti tributi da pagare: abbandono delle terre e fuga verso le città. Ciò comporto un
notevole calo della produzione e soffocò qualsiasi elemento reale di novità. Senza dubbio, ciò che più
ricondusse il sistema feudale alla sua staticità economica fu la mancanza di braccia e la caduta della produzione
successive alla peste del 1347.

LA TRANSIZIONE AL CAPITALISMO. IL MERCANTILISMO


Il mercantilismo si basava sul commercio su grandi distanze e sull’acquisizione di profitti monopolistici
derivanti dalla differenza dei costi e dei valori d’uso dei prodotti tra le diverse aree geografiche.
Esso si diffuse in Europa occidentale tra la fine del 1400 (grandi scoperte geografiche) e la fine del 1770
(quando la Riv. Ind. decreto l’avvio del capitalismo). Si trattava di un sistema mercantile-tributario le cui
premesse furono la ripresa del ciclo economico di periodo, la costituzione degli Stati nazionali, la
colonizzazione che seguì le grandi scoperte geografiche. La costituzione degli Stati, intensificando l’attività
economica, aveva infatti permesso sia di combattere il feudalesimo che l’universalismo della Chiesa. La
Chiesa venne indebolita dalla riforma protestante che vedeva il lavoro, la parsimonia e l’operosità valori
fondamentali nella vita terrena e strumenti di elevazione per quella ultraterrena.
Vennero rivisti i principi di giusto prezzo ed usura: il divieto di quest’ultima fu superato con l’eccezione del
danno emergente, subito dal mutuante per la mora al rimborso, e del lucro cessante, sopportato dallo stesso per
la perdita di opportunità di guadagno del denaro dato in prestito; per quanto al primo, esso era rapportato alla
stima comune del bene e non si allontanava eccessivamente dal suo costo di produzione, in quanto doveva
essere sufficiente al mantenimento del produttore e della sua famiglia. La Chiesa successivamente giustificò i
guadagni perché essi permettevano, oltre al mantenimento del mercante e del suo nucleo familiare, di recare
beneficio alla nazione. Furono le grandi scoperte geografiche e i consistenti traffici che crearono uno stretto
legame tra Stato e commercianti ed avviarono verso la sua massima espansione il mercantilismo. I traffici con
l’Africa, l’India e il Nuovo mondo fecero cambiare le rotte dell’economia internazionale, in particolar modo
grazie all’importazione di nuovi prodotti, in particolare i metalli preziosi. Tra il 1500 e il 1600 vi fu un
eccezionale rialzo dei prezzi a causa dei metalli preziosi che condusse mercanti e statisti ad identificare la
ricchezza nel possesso di oro ed argento. I governi mirarono all’intensificazione dell’esportazione, alla
colonizzazione di nuovi territori ed alla creazione di barriere protezionistiche.
SPAGNA: privilegiò la tesaurizzazione dei metalli preziosi e stabilì che i beni venduti all’estero fossero
remunerati in moneta e quelli acquistati scambiati con prodotti nazionali (Bullionismo).
INGHILTERRA: diede un forte impulso alla marina mercantile (Compagnia delle Indie orientali britanniche)
per incrementare le proprie riserve di metalli preziosi. Con l’atto di navigazione del 1651 sancì il monopolio
dei trasporti con le colonie soggette alla sua dominazione e proibì alle navi straniere di importare prodotti che
non provenissero dai loro paesi di origine.
FRANCIA: Colbert con l’emanazione di 150 “regolamenti di fabbrica” favorì una produzione di qualità ai
massimi livelli e incentivò la nascita di grandi società commerciali (Compagnia del Levante, Compagnia delle
indie orientali ed occidentali); inoltre venne attuata una politica fortemente protezionistica favorendo
l’importazione dei prodotti francesi.
OLANDA: concesse la piena libertà di esportazione dei capitali in quanto godeva di un’affidabile moneta e di
un’efficiente Borsa (la più importante fino al 1700). La sua decadenza è stata attribuita all’assenza di
investimenti produttivi, in quanto i cittadini vivevano di rendita, ma anche dalla sempre maggiore affermazione
dell’Inghilterra e della Francia. L’analisi dei mercantilisti fu assai carente in quanto essi confusero la ricchezza
con la moneta non comprendendo che la sovrabbondanza di questa causava l’aumento dei prezzi dei beni
prodotti rendendoli poco competitivi sui mercati nazionali a vantaggio di quelli esteri. Il concetto di
ricchezza cominciò a mutare in Inghilterra (Mun e Tucker l’attribuirono alla produzione destinata
all’esportazione ed alla quantità di lavoro contenuta nelle merci vendute all’estero) ed in Francia (Quesnay e
Turgot ritennero l’agricoltura l’unico settore in grado di creare surplus).

IL CAPITALISMO INDUSTRIALE E LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA

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Definizione: Il capitalismo è un sistema economico caratterizzato dalla formazione e dall’impiego
produttivo del capitale, dalla divisione internazionale e libertà del lavoro e fondato sull’impresa, sulla
proprietà privata dei mezzi di produzione e sull’economia di mercato.
Nascita delle Banche (elemento molto importante per il Capitalismo) in seguito alle necessità legate
all’afflusso dei metalli preziosi, alla continua svalutazione della moneta ed alla salvaguardia e facilitazione dei
pagamenti internazionali. La progressiva accumulazione di capitale e il diffondersi delle banche spinsero il
mercante ad allargare la propria azione alla sfera della produzione, prima domestica e poi manifatturiera.
Alla figura del maestro subentrò quella del mercante. Il Putting – out segnò l’inserimento del mercante
nell’ambito della produzione. Con il Putting – out il mercante acquistava la materia prima (lana grezza
Inglese) che rivendeva al tessitore (paesi bassi) il quale ne faceva curare la filatura e la tessitura alle famiglie
contadine. Questo sistema avvantaggiava l’imprenditore che, oltre a realizzare un guadagno già all’atto della
cessione della lana, non era più tenuto a ricomprarla. Il Putting – out rappresentò un esempio di divisione
internazionale del lavoro: gli allevatori inglesi vendevano la lana ai mercanti fiamminghi, che la davano fuori
(to put out) ai filatori ed ai tessitori per la trasformazione in panno. Questo, quando non era sottoposto il loco
alle fasi finali della lavorazione, era venduto ai mercanti italiani che ne affidavano la finitura a maestri
particolarmente esperti e poi lo smerciavano nelle città musulmane bagnate dal Mediterraneo.
Inghilterra nacque il Domestic system che altro non era che un’organizzazione domiciliare della produzione,
dove l’imprenditore inglese era proprietario della materia prima e degli stessi strumenti della produzione. Gli
operai/artigiani non erano sottoposti alla rigida disciplina, quale sarà quella della fabbrica, poiché essi potavano
assimilarsi a dei salariati a contratto.
Tra il 1500 ed il 1600 nacque un’altra organizzazione, il Factory system (sistema della manifattura) con
l’accentramento dei telai, prima presso le abitazioni dei capitalisti, poi in appositi edifici (manifatturiere).
Esempi di manifatturiere artigianali furono le tappezzerie Gobelins in Francia e le cartiere, gli arsenale e le
fabbriche di armi in Russia, con il reclutamento di manodopera non qualificata ne salariata. In questa fase di
proto-industrializzazione si ha una produzione artigianale non finalizzata al consumo di massa. Quando nella
seconda metà del 1700 la rivoluzione industriale decretò la proprietà privata dei mezzi di produzione, la
diffusione della meccanizzazione e del rapporto salariale e l’ampliamento del mercato, la transizione dalla
proto-fabbrica alla fabbrica poteva considerarsi conclusa e la nascita del capitalismo industriale avviata.
In Francia, l’edito di Turgot del 1776 fu l’affermazione della libertà come principio e valore della
emancipazione e della condotta dell’uomo che caratterizzò lo spirito, la cultura e l’ideologia dell’Europa e a
questo principio s’ispirò il capitalismo attraverso la libera concorrenza, il rifiuto dell’intervento dello Stato
nell’economia, la tutela della proprietà privata, l’uso non vincolato dei fattori di produzione.
La “scuola classica” si occuperà di dare forma compiuta e riferimento teorico al capitalismo come sistema
economico. Essa riconobbe pienamente il principio dell’ordine naturale, secondo il quale il mondo è governato
da leggi non modificabili, create da Dio per la felicità degli uomini. Il motto laissez faire – laissez passer
divenne il vessillo della scuola classico contro il mercantilismo.
La legge degli sbocchi di Say, il quale diede sistemazione organica all’opera di Smith e la diffuse in Francia,
permette di sintetizzare gli automatismi del capitalismo.
Secondo Say l’offerta crea sempre la propria domanda in quanto c’è una corrispondenza tra redditi spesi
e redditi percepiti. Egli attribuì la responsabilità delle crisi all’insufficiente produzione delle nazioni povere.
A differenza dei fisiocratici, Smith riteneva che la fonte della ricchezza era nel lavoro produttivo (capace di
generare surplus), il cui grado di produttività era determinato dall’aumento della divisione del lavoro stesso
connesso alla diffusione della meccanizzazione ed al continuo ampliamento degli scambi.
Decenni dopo Ricardo con la teoria dei costi comparati, dimostrò che due nazioni, con differente produttività
del lavoro, potevano scambiare i loro prodotti con reciproco vantaggio se ciascuna si fosse specializzata nella
produzione del bene il cui costo relativo risultava minore.
Questa situazione si volgeva del tutto favorevole all’Inghilterra la quale esportava prodotti agricoli e importava
prodotti industriali che, per il loro contenuto tecnologico, avevano un valore elevato.

IL MARXISMO E LE ECONOMIE SOCIALISTE

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La critica marxiana all’economia classica poggia sulla teoria del valore – lavoro elaboratala Smith e da
Ricardo, teoria sulla quale Marx sviluppo la tesi della transizione al socialismo attraverso lo sfruttamento
della classe operaia, la creazione del plusvalore, la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, le
crisi di sovrapproduzione.
Teoria di Smith : osservò che ciascun bene possiede un valore d’uso (commisurato alla sua qualità di
soddisfare bisogni soggettivi degli individui) e un valore di scambio (rappresentato dalla sua capacità di
acquistare altri beni sul mercato). Esistono merci che hanno un elevato valore d’uso ed un basso valore di
scambio (acqua) e viceversa (diamanti). Smith focalizzò la sua attenzione sul valore di scambio, perché
interessato alle cose che producono ricchezza. Egli fece una differenza tra valore di scambio nella società
precapitalista e capitalista.
Nella società precapitalista il valore di scambio corrisponde alla quantità di lavoro necessario alla produzione
di un bene, in quanto vi era un’identità tra lavoratori e proprietari dei mezzi di produzione; in questo caso il
lavoro comandato corrisponde al lavoro contenuto e non c’è nessun surplus.
Nella società capitalista il valore di scambio non coincide più con il lavoro impiegato in un bene, perché esso
dovrà remunerare anche altri due fattori della produzione: terra e capitale. Il valore dipende dal “potere di
disporre del lavoro” ancor più che dalla sua quantità e questo potere è esercitato dal capitale, che può impiegare
uomini industri ai quali fornire materie prime e mezzi di sussistenza, al fine di ricavare una eccedenza dalla
“vendita del loro lavoro”; quindi il lavoro comandato risulta maggiore di quello contenuto e viene a crearsi il
surplus.
Teoria di Ricardo: formulò una diversa teoria del valore-lavoro ed escluse la rendita quale componente del
valore di scambio, perché essa non rappresentava un reddito originario ma derivato. Egli dimostrò che il lavoro
è la fonte del valore sia nelle società precapitalista che in quelle industrializzate. Egli infatti assimilò il capitale
al lavoro accumulato nel tempo e incorporato nei mezzi di produzione, negli impianti o nella costruzione di
opifici; questo lavoro indiretto sommato al lavoro diretto, prestato dall’operaio nel processo di fabbricazione, è
la misura del valore di scambio di una merce.
Il valore di scambio delle derrate agricole, secondo Ricardo, è dato dal prezzo di mercato, a sua volta
determinato dal costo più elevato del prodotto ottenuto nel terreno meno fertile, la cui messa a coltura era
divenuta indispensabile per adeguare l’offerta al livello della domanda.
Premettendo che, l’individuazione del valore di un bene sta nel lavoro in esso contenuto, Marx costruì l’analisi
del capitalismo e della sua transizione al socialismo.
Nella teoria Marxista vi è una trasformazione del metodo dialettico di Hegel (la natura umana è mutabile in
quanto subisce le trasformazioni della storia) dalla filosofia all’economia, che prende il nome di materialismo
dialettico.
Per Marx ogni forma di produzione è caratterizzata da determinati rapporti sociali e regolamentata da una
sovrastruttura (politica, istituzionale, giuridica, ideologica e psicologica) strettamente correlata e dipendente.
Marx sostiene che scopo dell’economia è lo studio dei rapporti sociali di produzione i quali permettono il
massimo utilizzo delle forze produttive, fino al punto da diventare inadeguati all’espansione del sistema; questa
contraddizione porterà al mutamento della sovrastruttura attraverso una rivoluzione politica che integra la
precedente, crea una struttura adeguata al nuovo ordine economico e permette alle forze produttive di trovare il
loro ambito naturale.(*)
Marx ritiene che il capitalismo sia solo una fase storica dell’intero processo di sviluppo, perché caratterizzata
da una contraddizione fondamentale: da un lato esso era organizzato sulla proprietà privata dei mezzi di
produzione, dall’altro, i suoi processi di produzione richiedevano rapporti sociali di tipo cooperativo, adeguati
alle nuove forze produttive disponibili. Questa dicotomia tra capitale e lavoro si sarebbe manifestata con la
lotta di classe e con il passaggio ad una società socialista, caratterizzata dalla proprietà collettiva dei mezzi e
dalla socializzazione dei rapporti di produzione.
Attraverso lo sfruttamento della classe operaia, da parte dei detentori del capitale, il valore di scambio del
lavoro è inferiore al prodotto del lavoro, sfruttamento che Marx sintetizzò nella Teoria del Plusvalore. Il
Plusvalore è appunto la differenza tra il valore di uso e il valore di scambio della forza lavoro; è in sostanza la
conseguenza della proprietà privata dei mezzi di produzione e del sistema di lavoro salariato, ossia la divisione
in classi della società tra i detentori di capitale ed il proletariato.
(*) Questo processo verrà accelerato, secondo Marx, dalla legge della caduta tendenziale del saggio di
profitto e dalle crisi di sovrapproduzione.

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Marx elaborò un indice dello sfruttamento dell’operaio che chiamò, saggio di plusvalore (Plusv / valore del
capitale variabile [salari]); poiché il capitalista non potrà sfruttare l’operaio oltre un certo tempo, egli aumenterà
la produzione tramite l’introduzione della meccanizzazione. Si tenderà così ad accrescere la composizione
organica del capitale (capitale costante[materie prime, ammodernamenti degli impianti] / capitale variabile).
Un indice del plusvalore ottenuto dall’utilizzo del capitale totale è il saggio di profitto (Plusv / capitale fisso +
capitale variabile). La interrelazione tra queste variabili consente di esporre la legge della caduta tendenziale del
saggio di profitto e l’origine delle crisi di sovrapproduzione.
Correlazione tra meccanismo della caduta tendenziale del saggio di profitto ed il verificarsi di crisi di
sovrapproduzione: il maggiore impiego di capitale fisso ampliava, da un lato, la scala di produzione ed
accresceva, dall’altro, l’esercito industriale di riserva, ossia i disoccupati (per cui, cresceva l’offerta, ma si
riduceva la domanda).
La storia ci dimostra però che le previsioni Marxiste non si vennero a verificare in quanto l’affermazione dei
sindacati, la diffusione del welfare state e di adeguate legislazioni sociali hanno tutelato lo status e le
condizioni del lavoro. Inoltre grazie all’enorme potenziale produttivo del capitalismo, i governi hanno potuto
traslare parte del reddito a soggetti, quali anziani, disoccupati o estranei al circuito produttivo.
I regimi socialisti si instaurarono in Paesi (Russia e Cina) dove la struttura economica era ancora feudale.

CRISI E RINASCITA DEL CAPITALISMO


In Inghilterra, in seguito alla grave carestia che falcidiò il potere di acquisto dei paesi importatori dopo le guerre
napoleoniche (riconversione delle industrie) ed in particolare tra il 1816-1817 (carestia): estrema gravità della
recessione caratterizzata dalla sovrabbondanza di merci invendute e dalla crescente disoccupazione. Intensità e
durata della recessione: prova evidente dell’inadeguatezza degli automatismi del mercato per il riequilibrio
spontaneo, mettendo in discussione uno dei capisaldi su cui poggiava il regime libero concorrenziale: Legge
sugli sbocchi, la quale prevedeva che tutto il reddito percepito dall’impiego dei fattori della produzione fosse
speso, escludendo quindi ogni forma di tesaurizzazione.
Inghilterra, nei periodi critici: iscrizione di un numero notevole di indigenti nelle liste parrocchiali, al fine di
garantirsi un sussidio. Questi motivi spinsero Malthus (prete anglicano, fautore della scuola classica) allo studio
delle cause della sovrapproduzione in Inghilterra, anticipando il lavoro di Keynes di 115 anni.
Secondo Malthus la crisi di sovrapproduzione fu dovuta all’investimento in macchinari, i quali provocavano un
aumento dell’offerta sul mercato senza un corrispondente aumento della domanda. Questo squilibrio, originato
dalla crescente trasformazione del reddito in capitale poteva essere superato attraverso il consumo alimentato
dai lavoratori improduttivi: domestici, impiegati, militari, coloro i quali offrivano solo servizi e dovevano
quindi ricevere dai “ricchi” la remunerazione alle prestazioni rese.
Perciò, Malthus individuò nella rendita la fonte del consumo improduttivo e difese, al contrario di Ricardo, il
ruolo sociale ed economico di questi ultimi all’interno del sistema capitalistico. Egli ritiene che la domanda
effettiva, ossia necessaria ad assorbire l’offerta dei beni prodotti, poteva essere sostenuta anche con quelle
attività (riparazione delle strade, attuazione di lavori pubblici) i cui risultati non vengono venduti sul mercato,
ma che permettono di ridurre il capitale da utilizzare nei lavori produttivi.
Il periodo di tempo compreso tra il 1873 (periodo della “grande depressione” caratterizzata dalla
contemporanea caduta dei profitti, dell’occupazione, del commercio internazionale e dei prezzi agricoli) e il
1929 (“grande crollo” della borsa di Wall Street) sembrava decretare le previsioni marxiane sulla fine del
capitalismo, l’economia non aveva fatto grandi progressi in materia, o meglio, aveva esplorato campi diversi di
ricerca:
Dopo il 1870 gli studiosi marginalisti spostarono l’analisi economica su problemi di teoria pura, tralasciando
qualsiasi implicazione storica sulla formazione e distribuzione della ricchezza in relazione alle diverse classi
sociali; questo perché tra la fine del 1800 ed il 1914 l’economia mondiale ebbe un notevole sviluppo grazie al
rafforzarsi dei mercati e grazie alla stabilità del sistema monetario internazionale (gold standard = passaggio
da bimetallismo al monometallismo). Ignorarono però certi fenomeni quali la concentrazione delle imprese
attraverso cartelli, trust e la sindacalizzazione dei lavoratori. Alla fine della I guerra mondiale la grave
situazione debitoria degli Stati per le spese belliche e la distruzione di buona parte dell’apparato produttivo si
sommarono alla sovrapproduzione conseguente, nel 1921, alla riconversione dell’industria a scopi di pace.

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La riduzione della domanda, causata dal soddisfacimento dei bisogni più urgenti, corrispose ad un ampliamento
dell’offerta dovuto agli “effetti normali” del capitalismo. Questi effetti si fecero risentire particolarmente negli
Stati Uniti, non a caso negli anni ’20 e ’30 furono elaborate le teorie della concorrenza imperfetta e della
concorrenza monopolistica e gli economisti cominciarono ad attribuire il persistere della disoccupazione ed il
protrarsi degli squilibri che ostacolavano il corretto funzionamento del mercato alle concentrazioni d’impresa
ed all’azione dei sindacati. Per ovviare a ciò, all’inizio degli anni ’30, venne intrapreso un nuovo percorso
(New deal) che vedeva l’attuazione di vasti programmi di lavori pubblici per lenire la disoccupazione; questi
programmi erano ispirati a scopi umanitari e pragmatici. Essi avviarono una presa di coscienza del ruolo che lo
Stato avrebbe potuto svolgere per migliorare le condizioni di vita della collettività.
Le dottrine economiche che affermavano gli automatismi del mercato erano state smentite dalla crisi del 1929.
Keynes sosteneva che condizione necessaria all’equilibrio economico è l’uguaglianza tra risparmio ed
investimento che si determina attraverso le variazioni del reddito, coerentemente con le diverse premesse
metodologiche che caratterizzano le due impostazioni. Scopo della sua analisi era l’individuazione all’interno di
una società capitalistica avanzata, delle cause che perturbano l’economia e dei meccanismi in grado, nel breve
periodo, di ristabilire le condizioni di equilibrio che solo eccezionalmente corrispondevano al livelli di pieno
impiego. Keynes si può considerare il fondatore della moderna macroeconomia (interesse verso i
comportamenti dei singoli soggetti nella loro qualità di produttori per il mercato o di consumatori).

Premessa della sua Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta è che il reddito
complessivo è uguale alla spesa globale in consumi correnti ed investimenti e che il volume dell’occupazione è
determinato dal livello del reddito; quando quest’ultimo aumenta, il risparmio cresce sia in valore assoluto che
percentualmente (propensione media al risparmio); la spesa in consumo, invece, pur incrementandosi in
termini assoluti tende ad assorbire una quota decrescente del reddito (propensione media al consumo).
Quindi per raggiungere l’equilibrio tra risparmio ed investimento, ad un livello di attività economica di pieno
impiego, saranno indispensabili sempre nuove occasioni di investimento. Il volume di quest’ultimo sarà
determinato dal saggio di rendimento che gli imprenditori intendono di ottenere, ossia dell’efficienza marginale
del capitale, in raffronto al saggio di interesse che essi devono pagare per acquisire la quantità di moneta
necessaria agli impieghi e, soprattutto dalle loro aspettative di ricavi futuri, che rappresentano la motivazione
psicologica della decisione stessa di intervenire; nel caso di aspettative negative prevale la preferenza per la
liquidità. Negli USA, nei primi anni ’30, a causa della preferenza per la liquidità e della tesaurizzazione si
ebbe una riduzione degli investimenti e, quindi, della spesa complessiva; di conseguenza, contrazione del
reddito e dell’occupazione.
Questo processo di riduzione della ricchezza, che andrà avanti fino a quando l’uguaglianza tra investimento e
risparmio sarà ripristinata, può essere interrotto, secondo Keynes, dall’intervento dello Stato, che attraverso la
spesa pubblica, può effettuare gli investimenti necessari ad aumentare il reddito e ad avviare un circuito inverso
al precedente (aumentare la domanda senza aumentare l’offerta e senza generare concorrenza con l’industria
privata).
L’investimento ha effetti moltiplicativi sul reddito (nel senso che questo aumenta più che proporzionalmente
rispetto a quanto si investe).
Per il procacciamento di quanto necessario per affrontare la spesa pubblica:
a) ricorso al prestito (deficit spending);
b) ricorso all’espansione monetaria.
La Teoria generale mutò completamente l’impostazione tradizionale del meccanismo economico e decreto la
fine della Legge degli sbocchi di Say, in quanto dimostrò che non sempre tutto il reddito è speso; quando vi è
una perturbazione economica entrano i gioco anche i fattori psicologici che frenano la domanda ed aumentano
il risparmio.
Tra gli anni ’50 e gli anni ’70, con apposite politiche fiscali e monetarie, restrittive o espansive
dell’investimento: maggiore stabilità nello sviluppo dei paesi industrializzati.
Negli anni ’70: ulteriore evoluzione delle politiche economiche per contrastare una nuova recessione dovuta
all’aumento del costo del petrolio, con connotazioni diverse dalle precedenti (problema della stagflazione).
Stagflazione (inflazione con stagnazione): a causa dell’aumento dei costi delle materie prime ed in particolare
del petrolio, per il conseguente adeguamento di salari e stipendi alle variazioni del costo della vita.

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In tutte le nazioni ricche, comunque, lo sviluppo del welfare state ha funzionato a ammortizzatore delle
tendenze sociali e la lotta all’inflazione, nonostante il suo elevato costo in termini di riduzione del prodotto e
dell’occupazione, poteva ritenersi superata nella seconda metà degli anni ’80.

I CICLI ECONOMICI
ONDE LUNGHE E ONDE BREVI NELL’ATTIVITA’ ECONOMICA
La dinamica del capitalismo è stata caratterizzata da alcune tendenze secolari, Trend, quali:
- progressivo aumento degli addetti all’industria, e poi, successivo aumento degli addetti nel terziario;
- progressivo aumento della produzione globale dal 1820 (eccetto Giappone ed Italia);
- progressivo aumento dei prezzi.
Nonostante la progressiva espansione del capitalismo, ai trend si sono sovrapposte delle variazioni del ritmo di
sviluppo di carattere ciclico.
Nel 1862 il medico parigino Juglar si accorse che, attraverso l’andamento dei saggi di interesse in Francia,
Inghilterra e Stati Uniti, si verificavano onde brevi (o cicli maggiori) dell’attività economica, della durata
media di otto anni, contraddistinte da una fase di prosperità, da una crisi e da una conseguente recessione.
Nel 1923 Kitchin individuò l’esistenza, in Inghilterra e negli Stati Uniti, di cicli minori (o ipocicli) della
durata media di tre anni e mezzo; questo attraverso l’analisi dell’andamento dei prezzi all’ingrosso e dei saggi
di interesse.
Nel 1926 l’economista russo Kodrat’ev dimostrò, mediante serie statistiche sull’andamento dei prezzi e della
produzione, relative alla Gran Bretagna, alla Francia, agli Stati Uniti e la Germania, la periodicità di onde
lunghe (o cicli di lungo periodo) nell’attività economica della durata media di cinquant’anni.
Le onde di lungo periodo furono studiate anche da Imbert accorgendosi che al termine di ogni fase di recessione
sono disponibili, sul mercato, fattori della produzione inutilizzati, che saranno in parte impiegati nelle imprese
più dinamiche per aumentare la produzione, senza che ciò causi il contemporaneo aumento dei salari e dei
prezzi.
Nel 1930 Kuznets individuò degli ipercicli o secondary movements della durata media di vent’anni. Questi si
ponevano al centro tra le onde brevi di Juglar e quelle lunghe di Kodrat’ev.

I CICLI ECONOMICI

Crisi intense ed estese intorno al 1816-17, al 1873 e nel 1929.


(1) Fasi di rialzo dei prezzi si ebbero dal 1789 al 1814, dal 1850-73 e dal 1897 al 1920.
(2) Fasi di ribasso dal 1815-49 (a), dal 1874-96 (b), 1921-39 (c).
(1) Secondo Schumpeter i cicli lunghi di Kodrat’ev corrispondono alle successive rivoluzioni industriali che
hanno dominato il processo di sviluppo capitalistico e che hanno trovato nell’innovazione la loro spinta
propulsiva. Tre rivoluzioni industriali, tre cicli lunghi.
(2)
(a) Depressione 1815-49 fu successiva al blocco continentale ed alla Restaurazione. Causata dalla continua
discesa dei prezzi agricoli che negli anni precedenti (1816-17 carestia e guerre) erano stati molto elevati, dalla
messa a coltura di nuove terre e dalla riduzione della produzione di oro. In questa situazione l’unico paese a
sviluppo capitalistico fu l’Inghilterra, la quale non trovando mercati di sblocco alle proprie esportazioni, soffrì
di una grave crisi di sovrapproduzione.
(b) Depressione 1874-96 ebbe inizio dopo la guerra di secessione degli Stati Uniti, quella franco-prussiana ed
altri conflitti. Si innestò a causa della forte riduzione del costo dei trasporti, che permise agli USA di esportare i
propri prodotti agricoli in Europa, dove risultavano più competitivi rispetto a quelli locali. La depressione non
toccò allo stesso modo tutte le nazioni, USA e Germania accelerarono il loro sviluppo proprio in quegli anni.

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(c) Depressione 1921-39 si ebbe all’indomani della I guerra mondiale. Essa fu il riflesso della riconversione
dell’economia di pace, dei tentativi di stabilire ordine nei mercati monetari e, soprattutto, di una latente
sovrapproduzione che si manifestò con la crisi del 1929.
I cicli brevi e gli ipocicli si inseriscono nelle fasi di espansione e di depressone delle onde lunghe. Tre cicli
Kitchin formano un ciclo Juglar e sei di questi ultimi un Kodrat’ev.

RECENTI INTERPRETAZIONI DELLE FLUTTUAZIONI ECONOMICHE

Nel corso degli anni ’70 del Novecento, la crisi petrolifera, la stagflazione, il rallentamento del ritmo di
sviluppo dei paesi industrializzati hanno rinnovato l’interesse per lo studio dei cicli economici.
Mandel ha individuato una quarta onda lunga iniziata nel 1940 e originata dalla rivoluzione “elettronica” e dallo
sfruttamento dell’energia nucleare. La fase ascendente di questa fluttuazione sarebbe terminata alla fine degli
anni ’60.
Maddison sostiene che non esistono elementi sufficienti a provare l’esistenza di onde lunghe nell’attività
economica. Si tratta invece di comprendere quali fattori di disturbo hanno generato rallentamenti nella velocità
di crescita del capitalismo, a partire dal 1820, e quali sono stati i mutamenti della struttura economica. A suo
giudizio, dopo il 1973 (crisi petrolifera), si è aperta una nuova fase del capitalismo, in considerazione dei
cambiamenti che si sono avuti nella bilancia del potere economico mondiale, nel sistema internazionale (con la
fine degli accordi di Bretton Woods), nella gestione della politica keynesiana della domanda da parte dei diversi
governi, nelle aspettative del mercato del lavoro e nella conseguente esplosione della spirale prezzi-salari.

LA RIVOLUZIONE URBANA

ORIGINI E CARATTERI DELLE CITTA’ DELL’EUROPA MEDIOEVALE


Il sorgere o risorgere delle città nell’Europa del 1000-1200 segnò una svolta nella storia della civiltà europea.
Le città avevano prosperato ed erano proliferate nel mondo greco-romano, ma la decadenza dell’impero segnò
anche la loro decadenza e le invasioni germaniche ne decretarono la morte. Con al caduta dell’impero l’Europa
del Nord migliorò lentamente. Ai tempi di Roma vi erano stati due mondi separati: il mondo mediterraneo e il
mondo nordico. Nel 600 il mondo mediterraneo si spacco in due, e la parte europea si legò più strettamente al
subcontinente. Sotto l’egida di un comune credo religioso emerse l’Europa.
Era un’Europa povera e primitiva, fatta di tanti microrganismi rurali (curtes) largamente autosufficienti, la cui
autarchia era in parte conseguenza della decadenza del commercio ed in parte anche causa. Lo stato delle arti, il
commercio, l’istruzione, l’uso della moneta erano ridotti a livelli minimi se non addirittura scomparsi. Il legno
andava a sostituirsi alla pietra come materiale da costruzione.
Con l’avvento dei Carolingi (747) il circolo vizioso che aveva funestato la vita dell’Europa dai tempi della
caduta dell’Impero Romano sembrò finalmente rompersi e si verificò una certa ripresa, incentrata
sull’agricoltura. Furono progressi modesti legati unicamente all’Europa del Nord in quanto l’Europa
meridionale era soffocata dalla pressione degli Arabi. Sul mare del Nord, il commercio con la Scandinavia e
l’Inghilterra fece nascere due centri Quentovic e Durstede. Questa ripresa fu però fermata dalla seconda ondata
di invasioni barbariche, tra la fine del 800 e l’inizio del 900, che attaccarono l’Europa da Nord (Normanni e
Vichinghi), da Sud (Arabi) e da Oriente (Magiari). Nel 955, il re di Germania Ottone riuscì però a distruggere
l’esercito magiaro nella battaglia di Lechfeld mettendo fine alle scorribande; conseguentemente cessarono le
incursioni normanne; fu allora che in Europa cominciarono a svilupparsi nuove città. Il sistema curtense fu
sostituito da un sistema economico basato sulle città, gli scambi e il lavoro libero.
Perenne cercò di formulare una teoria generale che servisse a spiegare il sorgere delle città nelle varie parti
d’Europa. Secondo ciò era spiegabile attraverso la teoria del portus che si espande fino a conglobare l’originale

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nucleo fortificato feudale e a costruire la nuova unità urbana (questo vale però solo per i Paesi Bassi e per la
Francia settentrionale).
Secondo Ennen, invece, si possono distinguere nell’Europa occidentale tre zone in cui il processo di
urbanizzazione assunse forme diverse:
a) l’Italia, la Francia meridionale e la Spagna, dove in fondo le città, per quanto decadute, continuarono ad
esistere nei secoli dell’Alto Medioevo;
b) l’Inghilterra, Francia del Nord, Paesi Bassi, Svizzera, Renania, Germania meridionale e l’Austria, dove
Roma aveva creato delle città, ma ogni forma di vita cittadina scomparve nei secoli dell’Alto Medioevo.
c) La Germania del nord e la Scandinavia dove l’influenza di Roma non penetrò mai e non erano mai sorti
nuclei urbani di qualsiasi tipo o natura.
L’unità non va cercata nelle forme che variano da luogo a luogo, ma nella sostanza dell’evoluzione. Alla base
del fenomeno cittadino vi fu un massiccio movimento migratorio. La gente si spostò dalla campagna alla città
per ragioni di repulsione e per ragioni di attrazione (il push e il pull dei demografi anglosassoni). C’è da
considerare che la tendenza economica nel mondo rurale dal 900 al 1200 non era per niente in peggioramento;
al contrario la situazione andava migliorando grazie ad una serie di innovazioni tecnologiche, investimenti e
riorganizzazione della proprietà. La città entrò in gioco, come elemento di rottura, come luogo in cui emigrare
per tentare fortune nuove. La città medievale non è un organo di un organo più vasto, ma è un organismo a se
stante, fieramente autonomo, e in netta opposizione con il mondo circostante.
Vi furono delle differenze sostanziali nello sviluppo delle città italiane rispetto a quelle oltralpe. Fuori
dall’Italia la borghesia abitava nelle città mentre i nobili nei castelli che popolavano le campagne;
nell’Italia centrale e settentrionale i nobili fiutarono la direzione in cui spiravano i venti e numerosi nobili si
spostarono nelle città, dove si costruirono dimore turrite che ricordavano i loro castelli rurali e che diedero alla
città italiana un aspetto feudale che manca alle città d’oltralpe.
Tra nobili inurbati e gli altri abitanti della città non corsero però mai buoni rapporti. L’amministrazione
cittadina era di solito affidata al vescovo, ma con il tempo i borghesi acquisirono ricchezze, riuscirono a mettere
fuori gioco i nobili e tolsero l’amministrazione dalle mani del vescovo. Certi comuni acquistarono tanta forza
da partire all’attacco dei territori circostanti, finendo col creare veri e propri Stai territoriali autonomi e sovrani.

La gente della città dell’Europa centrale, circondata da un mondo ostile, avvertì la necessità dell’unione e della
collaborazione reciproca. Là dove il mondo feudale circostante è troppo potente per le sue forze (Germania) la
città resta sulla difensiva, nella sicurezza delle sue mura; là dove la città si sviluppa economicamente al punto
tale da travolgere gli equilibri del mondo feudale (Italia) la città si espande alla conquista della regione.
La rivoluzione urbana dei secoli 1000 -1200 fu il preludio e creò i presupposti della Rivoluzione industriale del
1800.

LA POPOLAZIONE
Attorno all’anno Mille l’Europa non contava più di 30/35 milioni di abitanti. Tra la metà del 900 e gli inizi del
1300 la popolazione aumento, triplicandosi in Germania, Francia ed Inghilterra e raddoppiando in Italia. Tra il
1330 e il 1340 la popolazione europea poteva contare di 80 milioni di abitanti. Nel 1348 scoppiò una pandemia
di peste che in meno di tre anni eliminò 25 milioni di persone. Alla fine del 400 la popolazione doveva aggirarsi
ancora tra gli 80 milioni di abitanti. Nel 1600 sui 105 milioni, nel 1700 sui 115 milioni.
Della popolazione europea di quel periodo due tratti vanno messi in rilievo: la popolazione rimase sempre di
tipo “giovane” (grazie all’alta fertilità) e ridotta (a causa di un’alta mortalità).
Nuzialità e fertilità: una percentuale non trascurabile della popolazione adulta non si sposava e che parte di
coloro che si sposavano lo facevano in tarda età. Vari elementi culturali favorirono questa tendenza che facilitò
una certa natalità illegittima, al quale fu però più che compensata dalla riduzione della natalità legittima. La
fertilità dell’Europa si collocò sempre nella fascia degli alti livelli.
Mortalità: è opportuno fare una distinzione tra mortalità ordinaria e mortalità catastrofica. Negli anni normali
la mortalità era molto elevata. La componente maggiore della mortalità ordinaria era data dalla mortalità
infantile (numero dei morti nel primo anno di vita rapportato al numero dei nati vivi) e dalla mortalità degli

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adolescenti (numero dei fanciulli che morivano in età da 1 a 5 o 10 anni rapportato al numero dei fanciulli
viventi dello stesso gruppo d’età). L’alta mortalità dei giovani era un indice della povertà della popolazione e
delle dure condizioni in cui viveva. La mortalità catastrofica al era invece generata da guerre, carestie ed
epidemie. La guerra era l’elemento che scaturiva carestie (in seguito ai saccheggi di raccolti, bestiame e
impianti agricoli) e le epidemie, le quali spesso erano le involontarie conseguenze delle condizioni igenico-
sanitarie degli eserciti (lo scienziato Zinsser ha illustrato il fatto che gli eserciti servirono più che a far la guerra
a disseminare epidemie di tifo, peste e sifilide). Le epidemie furono l’elemento che più contribuì alla frequenza
e all’intensità della mortalità catastrofica, ed in particolare quelle di peste furono le più luttuose. Perché? Oltre
che ad aumentare, tra il 1000 e il 1300 la popolazione europea andò sempre più concentrandosi nelle città, dove
le condizioni igienico-sanitarie erano pessime (acqua non sempre potabile, animali mischiati agli uomini, rifiuti
ovunque, lavarsi d’inverno voleva dire rischiare una polmonite) e, inoltre, l’intensificarsi delle comunicazioni e
delle relazioni commerciali aumentavano le possibilità di contagio. Verso i primi del Trecento vennero a crearsi
i presupposti per una tragedia ecologica: Yersinia pestis. Con la pandemia del 1347-51 la peste si stabilì in
Europa in forma endemica. La peste è una malattia tipica dei roditori (ratti,scoiattoli) scoperta da Yersin.
Quando una pulce passava da un animale infetto ad un uomo, al momento di succhiargli il sangue lo
contagiava. A sua volta il microbo poteva passare da uomo a uomo attraverso l’aria, in tal caso il tasso di
letalità era del 100%. Il ruolo delle carestie e delle epidemie nella dinamica di lungo periodo della popolazione
non può venir misurato sulla sola base di mortalità generale.
Molto dipende dalla distribuzione per età dei decessi, ma anche dal fatto che durante un’epidemia/carestia
non solo aumentavano i morti ma in aggiunta diminuivano le nascite. Tra il 1300 e il 1700 la popolazione
europea si mantenne in uno stato di quasi equilibrio. Questo equilibrio ebbe conseguenze decisive sul piano
economico: l’Europa non seguì il destino dell’Asia e la popolazione non fu bloccata nel suo sviluppo da una
soffocante pressione demografica; ciò non fu merito della razionalità europea, ma di condizioni che facilitarono
l’opera dei microbi.

LA STORIA DELLA TECNOLOGIA

LO SVILUPPO TECNOLOGICO: 1000 – 1700


Il mondo greco e soprattutto il mondo romano pur altamente creativi in altri campi dell’attività umana, rimasero
inerti nel campo tecnologico. Questo “fallimento” del mondo classico sarebbe imputabile all’abbondanza della
mano d’opera di quei tempi e al tipo di cultura e di interessi prevalenti nella società. Il progresso tecnologico
nel mondo classico era visto come possibile apportatore di più o meno dubbi vantaggi materiali, ma anche
temuto come possibile fonte di pericolosi turbamenti politici, sociali ed ecologici. Col Medioevo nell’Europa
occidentale le cose cambiarono drasticamente.
I maggiori progressi tecnologici dal 500 al 1000 furono:
1) 500 – Diffusione del mulino ad acqua (già conosciuto dai romani);
2) 600 – Diffusione nell’Europa settentrionale dell’aratro pesante (di derivazione slava);
3) 700 – Diffusione della rotazione agraria triennale;
4) 800 – Diffusione dell’uso del ferro di cavallo (dai celti), del basto per cavalli (dalla Cina),
dell’attacco a tandem per gli animali da traino.
Riguardo tutte queste scoperte bisogna fare tre osservazioni:
- Non furono innovazioni vere e proprie, gli europei non dimostrarono una capacità inventiva, ma quanto
una notevole capacità di assimilazione ;
- Tutte le innovazioni si riferivano all’attività agricola, le varie innovazioni si potenziarono
vicendevolmente;

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- Talune delle innovazioni in questione permisero un più efficiente sfruttamento energetico del cavallo.
La sostituzione del cavallo al bue significò un ricorso a un tipo di capitale più costoso, ma più efficiente.
Uno dei fatti più importanti del Medioevo europeo fu la diffusione del mulino ad acqua. I signori feudali
proibirono ai contadini di macinare il grano in casa, stabilendo il monopolio della macinazione del grano che
venne ad aumentare il loro credito, mentre contemporaneamente aumentava il carico fiscale dei servi.
Dal 500 al 600 l’economia europea si sviluppo in senso manifatturiero ed i mulini ad acqua non solo
aumentarono di numero ma furono sempre più adatti alle più diverse produzioni (preparare il malto per la
produzione della birra, per follare il panno). Nel 1150 la forza motrice derivata dall’energia idraulica venne
applicata alla lavorazione del ferro, azionare seghe per legname, alla lavorazione della carta.
Tra le innovazioni principali: 1050 telaio verticale, 1100 bussola, 1200 innovazioni nella navigazione
mediterranea (perfezionamento della bussola, l’adozione della clessidra, la redazione di carte nautiche, tavole
di martellio, adozione del timone di poppa sulla linea centrale della nave), 1250 ruota per filare e strumenti
chirurgici, 1300 occhiali (ai tempi di Dante la gente doveva avere la sensazione di vivere in un mondo ricco di
innovazioni tecnologiche), 1300 i primi orologi e armi da fuoco.
Nel 1400 la nave a vela oceanica (combinazione della vela quadra nordica con quella triangolare latina) favorì
una maggiore rapidità dei trasporti e una diminuzione dei costi relativi, inoltre si ebbero anche progressi nel
campo della navigazione oceanica (conoscenza dei venti, calcolo della latitudine), queste furono una delle
condizioni che resero possibile l’espansione oceanica dell’Europa la quale mutò il corso della storia.
L’invenzione di Gutenberg aprì una nuova era: come la nave a vela aprì agli Europei nuovi orizzonti geografici
così l’invenzione della stampa a caratteri mobili aprì agli Europei nuovi orizzonti e opportunità nel campo
dell’istruzione e della cultura.
Uno dei caratteri di originalità nello sviluppo tecnologico dell’Occidente fu il crescente accento posto
sull’aspetto meccanico. Il caso dell’orologio meccanico è particolarmente significativo. L’uomo prima per
misurare il tempo faceva uso delle mediane, delle clessidre e di barre di materiale combustibile debitamente
graduate. Nel 1350 il medico Giovanni de’Dondi produsse il primo orologio meccanico che indicava
automaticamente i giorni, i mesi, gli anni e le rivoluzioni dei pianeti. L’orologio si diffuse molto velocemente
perché l’acqua ghiacciava nelle clessidre durante gli inverni e le nubi rendevano troppo sovente inutili le
meridiane.
Comunque questi orologi erano sempre poco affidabili e necessitavano di correzioni fatte da appositi
“governatori d’orologi”, i quali regolavano la lancetta dell’ora facendo riferimento alla mediana o alla clessidra.
Pur dando una lettura approssimativa l’europeo decise di utilizzare l’orologio proprio perché si stava
sviluppando una mentalità meccanica.

Un elemento caratteristico della mentalità medievale fu l’abbandono dell’animismo che aveva caratterizzato il
concetto della natura nutrito dai classici. Il tema dominante di questa mentalità è quello di un’armonia tra uomo
e natura, rapporto che presupponeva però nella natura le forze inviolabili cui l’uomo doveva fatalmente
sottomettersi. All’Animismo dei classici e degli orientali si sostituì il culto dei santi, i quali erano uomini che si
davano di continuo da fare per dominare le forze avverse della natura.
Dominare la natura non era un peccato, era un miracolo e credere nei miracoli è il primo paso per renderli
possibili.
L’attitudine ricettiva dell’Europa, la sostituzione dell’animismo naturale con il culto dei santi e con la fede nel
miracolo, il sorgere e la diffusione di una mentalità meccanicistica, non sono “spiegazioni” ma solo temi di una
più vasta e complicata “problematica”. Il progresso tecnologico del Medioevo e del Rinascimento fu fatto di
continui miglioramenti e successivi perfezionamenti, frutti di una pratica artigianale che per quanto
ammirabile non fu mai né dotta né sistematica. Risultato sostanziale di tutto questo complesso movimento di
innovazioni fu progressivo aumento di produttività (del ferro, dei libri, nel campo della navigazione);
fondamentalmente ala base della maggior parte delle innovazioni stava sempre la necessità di sfruttare in
maniera più efficiente le scarse disponibilità di energia.

LA DIFFUSIOINE DELLE TECNICHE

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Dal 1100 al 1400 gli italiani furono all’avanguardia non solo nel progresso economico ma anche in quello
tecnologico. Dal 1500 al 1600 il primato passo agli Inglesi e agli Olandesi. Questo perché le innovazioni
tecnologiche ebbero una loro diffusione sul territorio europeo.
Nel 1607 Zonca pubblicò numerosi disegni dei macchinari più vari; le informazioni tecniche sui mulini da seta
erano considerate segreto di Stato e qualsiasi tentativo di violare questo segreto era punibile con la pena di
morte. Nel 1716 un certo Lombe riuscì a portare a termine una vera e propria operazione di spionaggio
industriale, riuscendo a replicare i meccanismi. Attraverso i secoli e fino ad epoca recentissima le tecniche non
si diffusero praticamente mai mediante l’informazione scritta. Il mezzo prevalente di diffusione fu la
migrazione dei tecnici.
Nell’Europa pre-industriale la propagazione delle innovazioni tecnologiche avvenne soprattutto con la
migrazione di individui che decidevano di emigrare. In questo casi si possono distinguere forze di repulsione e
forze di attrazione.
Dalla parte delle “spinte” stava la fame, la peste, le guerre, le tasse, la difficoltà d’impiego, l’intolleranza
politico e/o religiosa. Governi e amministrazioni erano perfettamente coscienti di questa situazione tanto i
decreti che proibivano l’emigrazione di mano d’opera specializzata non si contano nel Medioevo come nel
1500 e nel 1600. La capacità dello Stato pre-industriale di controllare i movimenti delle presone era
estremamente limitata.
Gli elementi di “attrazione” che potevano calamitare mano d’opera potevano essere la presenza di opportunità
di lavoro e/o la pace e/o la tolleranza religiosa. Nella Francia di Colbert, per poter disporre di manodopera
specializzata di altre aree: dagli incentivi (per le manifatture seriche) ai rapimenti e ai sequestri di persona (per
il comparto del ferro).
I tentativi francesi, come quelli di altri paesi, fallirono in quanto l’introduzione e l’applicazione di nuove
tecnologie non sono un fatto tecnologico; sono un fatto socio-culturale e quindi come disse Witsen, tutto di
pende dalla “disposizione mentale”.

IMPRESE, CREDITO E MONETA

Nel corso del 1000-1400 si verificò un notevole sviluppo di tecniche di affari: l’organizzazione delle fiere e
delle compensazioni di fiera, lo sviluppo della lettera di scambio, la comparsa e la diffusione di manuali di
mercatura, l’evoluzione di nuovi tipi di contabilità, lo chèque, la girata, le assicurazioni, nuovi tipi di società
quali la colleganza e la commenda. Tutto questo fu sviluppato nell’area mediterranea dal 1100 al 1400.
Bisogna sottolineare l’importanza che queste innovazioni ebbero nell’attivare il risparmio contribuendo in
maniera decisiva a sostenere l’espansione dell’economia europea nei secoli medievali.

REDDITI, PRODUZIONE E CONSUMI: 1000 – 1500

L’ESPANSIONE NEL PERIODO 1000 – 1300

I vari elementi considerati precedentemente giocarono a favore dell’espansione economica. Dall’inizio del
secolo fino al 1250 lo sviluppo dell’Europa fu all’insegna di una frontiera in continua espansione, la risorsa
naturale per eccellenza, la terra, era abbondantemente disponibile. Inoltre negli ultimi secoli la gente si era
arroccata non dove le terre erano più fertili ma dove le posizioni erano più facilmente difendibili. Man mano
che la popolazione aumentò e condizioni relativamente più sicure prevalsero, si misero a cultura nuove terre
nella maggior parte dei casi migliori di quelle già coltivate. L’effetto dell’espansione della frontiera fu quindi
duplice.
La colonizzazione interna si accompagnò a un complesso movimento di espansione su più direttrici:
A Occidente si sviluppò la Riconquista della Penisola Iberica da parte dei Cristiani a danno dei Musulmani; nel
corso del 1200 l’intera penisola fu lentamente riconquistata.

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Sul fronte meridionale i Normanni posero fine alla dominazione araba in Sicilia tra il 1061 e il 1091 mentre
una serie di attacchi passati alla storia sotto il nome di Crociate vennero sferrati dall’Europa contro i territori
musulmani del Medio Oriente tra il 1000 e il 1100. Temporaneamente vittorioso l’Occidente riuscì ad
impiantare una serie di principati in punti strategici del Mediterraneo orientale.
Sul fronte orientale si sviluppò l’espansione tedesca (teutoni) nei territori slavi. Il Drang nach Osten cominciò
tra il 919 e il 932 attivando un vasto movimento espansivo lungo tutto il corso dell’Elba; alla fine del 1100 la
frontiera era avanzata di cento chilometri. Le perdite demografiche causate dalla peste nel 1348 ridussero
l’impeto dell’espansione. Il significato economico del Drang nach Osten stava nel colonizzare le terre slave in
quanto erano coltivate in modo ancora primitivo e quindi ancora di ottima qualità. I coloni teutonici mossero
nei nuovi territori importando l’aratro pesante e un tipo di ascia pesante e , inoltre, importarono tecniche
minerarie e metallurgiche ignote alle popolazioni locali. Tutto ciò contribuì alla formazione di un surplus
agricolo nell’Europa orientale, allo sviluppo del commercio nel Baltico (esportazioni di grano in Inghilterra e
nelle Fiandre), lo sviluppo della Lega anseatica e lo sviluppo di attività minerarie e metallurgiche nell’Europa
orientale.
Fino alla rivoluzione industriale l’agricoltura rimase il settore di base di tutta l’economia europea e lo sviluppo
tra il 1000 e il 1100 risulterebbe incomprensibile se non si ammettesse un notevole aumento della produzione
agricola. Ma, tra il 1000 e 1300, furono le città a dare il tono alla grande ripresa.
I settori di guida dello sviluppo che si verificò dopo il 1000 furono:
- il commercio internazionale;
- le manifatture tessili;
- il settore delle costruzioni edili;
- il settore finanziario;
Il grosso del commercio internazionale restò incentrato su: prodotti alimentari, prodotti tessili e spezie.
Come vi erano i settori di guida, vi erano anche le aree trainanti. Le regioni d’Europa all’avanguardia dello
sviluppo economico medievale furono l’Italia centro-settentrionale e i Paesi Bassi meridionali.
L’Italia trasse vantaggio da tradizioni classiche di vita cittadina e soprattutto dalla vicinanza dei due imperi
bizantino e arabo che fino al 1100 erano assai più sviluppati dell’Europa.
I Paesi Bassi meridionali capitalizzarono sullo sviluppo economico che la regione aveva sperimentato durante
la cosiddetta Rinascenza carolingia.
Entrambe trassero vantaggio dalle rispettive posizioni geografiche: l’Italia come ponte tra l’Europa, il Nord
Africa e il Vicino Oriente; i Paesi Bassi meridionali come snodo di strade e di rotte tra il Mare del Nord e le
coste atlantiche della Francia e della Spagna.
Nei Paesi Bassi si sviluppò presto una importante attività manifatturiera di pannilani che si avvantaggiava della
vicinanza del mercato inglese dove si produceva e largamente si esportava la più pregiata lana d’Europa.
Nell’Italia settentrionale lo sviluppo fu meno marcatamente incentrato sull’attività manifatturiera e più
equilibratamente distribuito tra attività commerciali, manifatturiere, amatoriali e finanziarie. Punti di forza dello
sviluppo furono in un primo tempo le repubbliche marinare di Pisa, Venezia e Genova. Le fonti di vita
principali per i veneziani furono la pesca, la raccolta e la macinazione del sale e un’attività di trasporto e
commerciale in parte per mare e in misura ben maggiore lungo i canali della laguna e lungo i fiumi che
sboccavano in esse. Pisa e poi Genova strinsero sempre più i contatti con il Nord Africa, il Medio Oriente e la
Sicilia mentre si rendevano sempre più conto delle opportunità offerte dal polo manifatturiero dei Paesi Bassi.
Presto ci si accorse però che conveniva stabilire un luogo intermedio di scambio; questo luogo fu individuato
nelle città di Troyes, Bar, Provins e Lagny dove si teneva la fiera de Champagne che serviva da centro di
raccolta, di scambi e da stanza di compensazione. Lo sviluppo di Firenze fu relativamente tardo. Solo verso la
fine del 1100 i mercanti fiorentini si distaccarono da Firenze e da Pisa e si avventurarono su mercati più lontani
(nel 1250 si trovano mercanti fiorentini un po’ dovunque). L’asse Paesi Bassi meridionali – Italia settentrionale
convogliava il maggior complesso di flussi commerciali tra il 1100 e il 1200. Verso l’Est era importante l’asse
Paesi Bassi – Colonia. I mercanti fiamminghi dovevano limitarsi a portare i loro panni a Colonia, dove
venivano prelevati da mercanti tedeschi e austriaci che provvedevano a diffondere il prodotto nell’Europa
centrale e anche ad Oriente. La Germania ricopriva questo ruolo grazie alle sue elevate disponibilità
economiche, originate dallo sfruttamento delle miniere d’argento presenti nelle sue regioni.
Contemporaneamente si verificò un aumento della produzione di tessuti di lana più grossolani grazie
all’avvento del mulino ad acqua nella follatura del panno e l’adozione della filatura a ruota. In Italia i progressi

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dell’industria laniera durante il 1200 furono più notevoli che altrove. I mercanti fiorentini cominciarono ad
importare pannilana fiamminghi grezzi i quali venivano sottoposti alla tintura e all’affinamento in Firenze,
strappando così ai Fiamminghi parte del valore aggiunto del prodotto finito. La corporazione che raggruppava i
commercianti di panni fiamminghi e quelli che si occupavano dell’affinamento era chiamata l’Arte di Calmala.
Mercanti senesi e fiorentini accumularono grandi ricchezze per la funzione di intermediari svolta per conto
della Santa Sede nella riscossione di oboli, o di quanto ad essa dovuto a qualunque titolo, in ogni parte
d’Europa. Le ricchezze dei mercanti fiorentini vennero utilizzate per effettuare operazioni bancarie, soprattutto
prestiti a Principi, ottenendo, in cambio, non soltanto la promessa di restituzione del capitale con gli
interessi, ma anche licenze di esportazione della lana. Pare che una delle ragioni del successo fiorentino fosse
data non solo dall’utilizzo dell’eccezionale lana inglese ma anche dalla meccanizzazione mediante l’uso del
mulino ad acqua nella follatura del panno; anche se il prodotto non era della stessa qualità di quello prodotto
tradizionalmente, comportava un costo decisamente inferiore, da qui il suo successo sul mercato internazionale.
Intanto si erano sviluppati il commercio e la produzione della seta e del cotone e, anche in questi settori, l’Italia
fu all’avanguardia. L’industria del cotone nell’Italia del Nord del 1100 era una imitazione, sia nei prodotti che
nelle tecniche di produzione, di più antiche manifatturiere islamiche. Ai primi del 1500 era la seta ad occupare
un ruolo predominate, seguita dal cotone e per ultima la lana. A Lucca la produzione della seta si sviluppò nel
1200 e per tutto il secolo mantenne il primato. Nel 1320 però la situazione politica interna di Lucca si fece
infuocata e molti artigiani decisero di abbandonare la città rifugiandosi nelle città di Venezia, Firenze, Genova e
Bologna.
Questa massiccia migrazione di artigiani esperti nella lavorazione della seta fu la causa principale della
diffusione dell’industria serica in Italia dove la manifattura della seta divenne una delle fonti principali di
ricchezza del paese e tale rimase per tutto il 1400 e gli inizi del 1500 fin quando questa attività si sviluppo in
Francia e in Inghilterra.
Nella Penisola Iberica la Catalogna si distinse per un eccezionale sviluppo commerciale, marinaro e bancario.
L’attività marinara consistette soprattutto nel trasporto di grano, spezie e fibre tessili. Inoltre la Catalogna tra la
fine del 1200 e l’inizio del 1300 questa nazione organizzo un impero oltremare che comprendeva anche
Sardegna e Sicilia.
Non vi è dubbio che nel 1100 e il 1200 il Meridione d’Europa, grazie soprattutto all’attività degli Italiani, fosse
la parte d’Europa dove lo sviluppo economico era più intenso. Anche nel Nord non mancarono interessanti
progressi grazie soprattutto all’attività dei Tedeschi. La punta di diamante dell’espansione tedesca nel Mar
Baltico fu la città di Lubecca. Nel corso del 1200 si formarono associazioni (Hanse) e unioni tra diverse città
della Germania settentrionale, tra queste emerse Lubecca che mantenne una posizione di predominio per tutto il
periodo di vita della Lega anseatica. Questo perchè la tecnologia della navigazione marittima non permetteva
allora la circumnavigazione della penisola danese, per cui gli scambi tra il Baltico e il Mar del Nord avvenivano
principalmente via terra; le merci che provenivano dal Baltico venivano scaricate ad Amburgo, trasportate via
terra a Lubecca e qui imbarcate ancora su navi che le portavano ai paesi del Baltico orientale. Questa posizione
chiave fece la fortuna di Amburgo e Lubecca, le quali nel 1241 raggiunsero un accordo per difendere con le
armi la strada che le collegava. Nel 1250 la Germania riuscì a sostituirsi all’Inghilterra nel commercio con la
Norvegia. In Inghilterra nel 1200 la follatura dei pannilana venne meccanizzata mediante l’uso del mulino;
questo fenomeno determinò lo spostamento geografico dell’industria dal Sud Est del paese verso l’Ovest dove
c’era maggior abbondanza di corsi d’acqua. Verso la fine del 1200 venne costruito il “ponte del diavolo”, un
avvenimento considerevole per l’Europa intera; il ponte rese possibile il trasporto di merci dalla pianura padana
al territorio zurighese e renano e divenne una delle vie più intensamente battute in Europa.
Nella prima metà del Trecento era avvenuto un sostanziale miglioramento nel tenore di vita.

LA TENDENZA ECONOMICA NEL PERIODO 1300 – 1500

Nel corso del 1200 alcune strozzature avevano cominciato a manifestarsi. A partire dal 1250 in diverse aree
dell’Europa il rapporto medio semente – prodotto cominciò a diminuire; con la popolazione che continuava a
crescere mentre le terre buone cominciavano a divenire relativamente scarse, la legge della domanda e
dell’offerta dovette spingere al rialzo le rendite e al ribasso i salari. Si prevedeva l’avvento di una apocalisse
che avvenne sotto forma di una spaventosa pandemia di peste. Al di fuori del settore agricolo i disastri si
susseguirono ai disastri.
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Nel 1300 Firenze era la piazza finanziaria più rilevante d’Europa e il fiorino era il mezzo di pagamento più
apprezzato ed usato in Europa e fuori d’Europa. Dopo il 1330 la città subì un declino irrefrenabile dovuto
all’indebitamento causato dalle spese sostenute per le diverse guerre affrontate. La rovina del sistema
finanziario fiorentino fu dovuta al combinarsi del crollo dei titoli del debito pubblico, della bancarotta inglese e
dei prelievi napoletani.
Conseguenze della bancarotta delle compagnie fiorentine: distruzione di ricchezza anche per i risparmiatori,
drastica contrazione del credito e danni alle attività mercantili e manifatturiere. Dopo il 1346 Firenze non è più
quello che era stata e che aveva rappresentato tra il 1250 e il 1300.
Questa crisi però non ebbe ripercussioni notevoli nelle altre primarie piazze europee in quanto il sistema
economico non era ancora strettamente integrato.
Il 1300 e il 1400 non videro tempi tranquilli neppure per i Paesi Bassi in quanto la prosperità di questa area
sollecitò antagonismi e concorrenze da più parti: gli italiani tagliarono la strada del Mediterraneo ai
fiamminghi, gli inglesi quella dell’Inghilterra, Colonia bloccò la loro strada renana, Lubecca e la Hansa
teutonica chiusero loro il Baltico.
Nel 1290 circa gli Italiani inaugurarono regolari linee di trasporto marittimo tra il Mediterraneo e il Mar del
Nord circumnavigando la Penisola Iberica, grazie alle scoperte nel campo della navigazione marittima. Queste
nuove rotte andarono a colpire la via terrestre che univa l’Italia alle Fiandre passando per le terre di
Champagne.
Nello stesso periodo anche la Catalogna e la Castiglia furono attraversate da crisi finanziarie e la seconda da
cicli di guerre con il Portogallo e guerre interne.
Nel 1337 scoppiò un conflitto tra Inghilterra e Francia, “la Guerra dei Cent’anni”, che si combatte in territorio
francese e le devastazioni che arrecò all’economia francese furono incredibili.
Tutti questi disastri Europei furono contornati dalla pandemia di peste nel 1348-51; il periodo 1300-1450 fu
definito dagli storici come uno dei periodi più neri dell’economia europea.
Vi furono però talune aree privilegiate in cui si verificò un notevole sviluppo: la Hansa toccò l’apice della
potenza nel 1300, per la Lombardia fu un periodo di innegabile sviluppo, il Portogallo entrò in una fase di
espansione geografica che si concluse con la formazione di un impero di dimensioni mondiali.
Il fatto fondamentale del 1300 – 1500 è che le epidemie di peste sgravarono l’Europa di quella pressione
demografica che s’era andata cumulando e s’era fatta sempre più sentire nel 1250. Nel settore agricolo terre
marginali occupate in periodo di pressione demografica furono abbandonate quando la popolazione diminuì; il
risultato fu un aumento della produttività del lavoro agricolo e una redistribuzione del reddito. Prima della
peste i lavoratori erano abbondanti mentre il capitale era relativamente scarso, dopo la pandemia i lavoratori
potevano fare la voce grossa, i salari aumentarono e con essi le condizioni di vita migliorarono sensibilmente.
La serie di disastri che aveva messo a soqquadro l’intera Europa si esaurì verso la fine Quattrocento.
La guerra dei Cent’anni terminò nel 1453 e i decenni che seguirono videro la Francia ricostruire la propria
economia, lo stesso valse per i regni di Castiglia e Aragona.
I Portoghesi continuarono la loro espansione.
La Germania entrava in uno stato di eccezionale sviluppo grazie ai suoi giacimenti di argento e rame e vide la
nascita di importanti famiglie di banchieri e mercanti. I sistemi di contabilità rimanevano però arretrati rispetto
alle compagnie italiane.

IL RIBALTAMENTO DELL’EQUILIBRIO MONDIALE


E INTRA – EUROPEO: 1500 – 1700

EUROPA SOTTOSVILUPPATA O EUROPA SVILUPPATA?

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Non c’è dubbio che dalla caduta dell’Impero Romano sino agli inizi del Duecento l’Europa fu un’area
sottosviluppata rispetto ai Bizantini, gli Arabi ed i Cinesi. Gli stessi Europei erano consci della loro inferiorità
culturale, economica e tecnologica. Nel corso del Duecento i mercanti veneziani dimostrarono di aver
sviluppato tecniche d’affari superiori a quelle tradizionali in uso a Bisanzio, e i mercanti bizantini dovettero
cedere il passo ai nuovi aggressivi concorrenti. Tra il 1300 e il 1400 le esportazioni di merce europea andarono
aumentando e, in certi casi manifestarono la superiorità tecnologica dell’Occidente (esempio ne è l’orologio).
Il galeone armato fu l’espressione più drammatica di questa superiorità tecnologica – economica.

L’EUROPA E I SUOI RAPPORTI CON IL RESTO DEL MONDO

La conseguenza più spettacolare della supremazia acquisita dall’Europa in campo tecnico furono le esplorazioni
geografiche e la successiva espansione economica, militare e politica dell’Europa. L’Europa del 1200 era
militarmente incapace, solo per un caso di coincidenze non venne attaccata dalle potenze orientali. La sua
debolezza era marcata dalla progressiva erosione dei suoi territori orientali: i Turchi invasero Costantinopoli, la
Bosnia – Erzegovina, il Negroponte e l’Albania. Ma nel momento in cui i Turchi sembravano prossimi a colpire
il cuore dell’Europa si verificò un cambiamento improvviso e rivoluzionario: aggirando il blocco turco, alcuni
paesi europei si lanciarono all’offensiva sugli oceani in ondate successive. In poco più di un secolo Portoghesi e
Spagnoli prima, Olandesi e Inglesi più tardi, gettarono le basi della supremazia europea su scala mondiale. Il
galeone armato creato tra il 1400 e il 1500 distrusse completamente la navigazione araba. Contemporaneamente
la Russia europea iniziava la sua espansione trans – steppiana verso Oriente. Quest’ultima non fu rapida come
quella transoceanica in quanto la superiorità tecnologica per terra non era sviluppata come quella per mare.
L’avanzata russa divenne inesorabile dopo il 1650 quando la tecnica europea riuscì a sviluppare armi da fuoco
più mobili a tiro rapido. Fu quindi la fulminea espansione transoceanica che ebbe conseguenze economiche
profonde: la scoperta di giacimenti d’argento in Bolivia e Messico. L’estrazione del metallo fu resa più
efficiente grazie all’adozione del mercurio nel processo produttivo (metodo di estrazione italiano), esso
riduceva i costi e consentiva di sfruttare al meglio tutti i giacimenti; inoltre vennero scoperte miniere di
mercurio sfruttate grazie al lavoro coatto degli indios. Per oltre un secolo, dagli inizi del 1500, le leggendarie
Flotas de Indias spagnole trasportarono in Europa una massa imponente di argento. Il 25% fu trasferito in
Europa come reddito della Corona e speso per le Crociate cristiane; l’altro 75% arrivò in Europa come
domanda effettiva di beni di consumo e di beni capitali (vino, olio, armi, sandali, cappelli, sapone, mobili,
gioielli, vetro) da parte degli emigrati e di servizi commerciali e di trasporto relativi al trasferimento dei beni in
questione. Per quanto l’offerta era elastica, l’aumento della domanda si tradusse in un aumento della
produzione, ma nel settore agricolo, dove l’aumento della produzione era limitato, questo aumento di domanda
provocò un aumento dei prezzi. Il periodo 1500 – 1620 è stato etichettato dagli storici economici come il
periodo della “Rivoluzione dei prezzi”. L’aumento della disponibilità di oro e argento significò quindi aumento
della liquidità internazionale il che favorì lo sviluppo degli scambi. Gli Europei trovarono in Oriente prodotti
che ebbero subito largo esito in Europa, mentre nessun prodotto europeo riuscì a trovare un esito analogo in
Oriente. Con i loro galeoni gli Europei spazzarono via la flotta araba e si impossessarono delle loro rotte di
scambio. Il commercio intercontinentale nel 1500 e 1600 consistette essenzialmente in una cospicua corrente
d’argento che muoveva verso Oriente prima dalle Americhe verso l’Europa e poi dall’Europa verso l’Estremo
Oriente e di una corrispondente corrente di merci che fluivano in direzione opposta: prodotti asiatici diretti
all’Europa e prodotti europei diretti alle Americhe. Questo tipo di commercio unilaterale spaventò l’Europa in
quanto era ancorata al credo mercantilistico. Soltanto alla fine del 1700 gli Europei, ed in particolare gli Inglesi,
riuscirono ad esportare in Cina l’oppio indiano causando un progressivo e rovinoso deterioramento della
bilancia commerciale cinese.

Le esplorazioni geografiche arricchirono gli Europei di conoscenze circa nuovi prodotti: gli Spagnoli si
interessarono vivamente alla farmacopea e alle pratiche terapeutiche attraverso la scoperta di nuove piante ed

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erbe nelle Indie Occidentali; sempre nelle Americhe gli Europei impararono a conoscere e a usare il tabacco
(importazioni crescenti grazie all’uso molto diffuso), il cacao (prodotto costoso il cui consumo rimase per
molto tempo limitato a gruppi aristocratici o snobisti; indi per cui si sviluppò un intenso contrabbando che ebbe
come centro Amsterdam), il pomodoro, il mais e la patata (gli ultimi due contribuirono a risolvere il problema
delle carestie a partire dal 1700 influendo sull’aumento della popolazione europea); dall’Oriente vennero
importati, oltre alle spezie e la seta, caffé, tè e porcellana. La notevole espansione dell’importazione di tè, caffé,
e cacao in Europa fu un fenomeno del 1700: per addolcire queste bevande veniva solitamente utilizzato il miele
in quanto lo zucchero era un bene molto raro. Nel 1580 vennero scoperte in Brasile immense piantagioni di
canna da zucchero coltivate dagli schiavi acquistati sulle coste dell’Africa occidentale in cambio di tessile, armi
da fuoco, polvere da sparo, alcolici e perline di vetro (fu una storia miserabilmente triste).
Il commercio transoceanico fu una grande scuola pratica di imprenditorialità, non solo per coloro che andavano
per mare, ma anche per i mercanti, gli assicuratori, i costruttori che in una maniera o nell’altra operarono in
relazione a commercio d’oltremare. Una delle conseguenze economiche più significative del 1500 e 1600 fu
l’accumulazione di ricchezza che esso permise in taluni Paesi europei. Altrettanto importante fu la formazione
di un prezioso e robusto “capitale umano”, cioè lo sviluppo e la diffusione di una mentalità, di uno spirito e di
una capacità imprenditoriale in strati più larghi della popolazione.

LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

Alla base di una rivoluzione culturale vi furono fatti quali la scoperta di nuovi mondi e di nuovi prodotti, la
prova della sfericità della terra, l’invenzione della stampa, il perfezionamento delle armi da fuoco, lo sviluppo
delle costruzioni navali e della navigazione. Gli Europei cominciarono a guardare ottimisticamente avanti,
proiettati nel futuro e volti alla ricerca del nuovo. Il 1600 vide svolgersi una violenta battaglia intellettuale tra
gli “antichi” e i “moderni”. L’età di Galileo, Newton, Huygens e Leeuwenhoek marcò la vittoria dei “moderni”,
del metodo sperimentale e dell’applicazione delle matematiche nella spiegazione della realtà. Fece parte di
questi sviluppi una decisa tendenza verso la misurazione quantitativistica: cercare di dare un’espressione
quantitativa ai fenomeni che si volevano descrivere. Una delle caratteristiche fondamentali della Rivoluzione
scientifica del 1600 fu quella di distogliere la speculazione umana da problemi irrisolvibili e assurdi e
indirizzarla invece verso problemi che potevano avere una risposta. Sul piano delle relazioni umane si preparò
il terreno alla tolleranza dell’Illuminismo. Sul piano tecnologico si basò sempre più sulla sperimentazione per la
soluzione dei problemi concreti dell’economia e della società. Nel Medioevo scienza e tecnica erano rimaste
due cose distinte e separate: la scienza era filosofia e la tecnica era l’ars degli artigiani. Il Rinascimento, con il
suo culto per i valori classici accentuò questa dicotomia. I moderni combatterono per rivalutare l’opera tecnica
degli artigiani e sottolinearono la necessità di collaborazione tra scienziati ed artigiani. Il protestantesimo, con
la sua bibliolatria, fu un poderoso fattore di diffusione dell’alfabetismo. Nei paesi della Riforma il numero degli
artigiani che sapevano leggere e scrivere aumentò notevolmente nel corso del 1600, ciò comportò il progressivo
abbandono di atteggiamenti consuetudinari e tradizionalistici a favore di atteggiamenti razionali e sperimentali.

LA CRISI DEL LEGNO

Nei secoli il legname aveva rappresentato il combustibile per eccellenza e il materiale di base per le costruzioni
edili, navali, per la fabbricazione di mobili e la maggior parte dei pezzi delle macchine. A partire dal 1100 e
1200, soprattutto nell’area mediterranea, il legname aveva cominciato a scarseggiare e nell’attività edile lo si
andò sostituendo con il mattone, con la pietra o con il marmo. Nel corso del 1500 l’aumento della popolazione,
l’espansione della navigazione oceanica e delle costruzioni navali, lo sviluppo della metallurgia e il
conseguente aumento del consumo del carbone di legna per la fusione dei metalli provocarono in Europa un
rapidissimo consumo del legname. Nel 1600 l’Italia entrò in un periodo di declino economico e la domanda di
legname ristagnò. Ma nell’Europa del Nord il prezzo del legname continuò a crescere contemporaneamente a
quello del carbone di legna. La crisi del legno scoppiò nel 1630, ed intorno al 1670 l’Inghilterra cominciò ad
importare cannoni dalla Svezia. Questa crisi avrebbe potuto rappresentare una strozzatura per le aree
dell’Europa che erano in fase di sviluppo, invece, analizzando gli sviluppi inglesi la crisi servì a spingere
l’Europa nord – occidentale sulla via della Rivoluzione industriale.

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IL RIBALTAMENTO DEGLI EQUILIBRI ECONOMICI IN EUROPA: 1500 – 1700

Il Cinquecento, “el siglo de oro”: secolo felice soltanto per l’Inghilterra, la Spagna, il Portogallo, l’Olanda ed
anche la Francia (tranne l’ultimo trentennio, a causa delle guerre di religione), ma non per l’Italia, i Paesi Bassi
meridionali o la Germania (ad eccezione della sola Amburgo).
Il Seicento, “secolo critico”: secolo nefasto per la Germania (“Guerra dei Trent’anni”), la Turchia, la Spagna e
l’Italia, ma secolo felice, salvo brevi periodi, per l’Olanda, l’Inghilterra e la Svezia e, tra il 1660 ed il 1690,
anche per la Francia.
Le aree decisamente più sviluppate tra la fine del 1400 ed il 1500: l’area mediterranea, in particolare l’Italia
centro-settentrionale nel 1400 e la Spagna nel 1500 grazie all’afflusso dei tesori americani.
Nel 1600: spostamento del baricentro dell’economia europea nel Mare del Nord.

IL DECLINO ECONOMICO DELLA SPAGNA

Alla metà del Quattrocento la Spagna non esisteva. Esisteva la Penisola Iberica divisa in quattro reami: la
Corona di Castiglia, la Corona di Aragona, il Regno di Portogallo e il Regno di Navarra. L’orografia della
penisola non ha contribuito alla nascita di una fiorente agricoltura in quando composta da un altopiano poco
fertile chiamato meseta. La naturale povertà del Paese era accentuata dalla qualità del capitale umano.
L’afflusso massiccio di materiali preziosi dalle Americhe e l’espansione della domanda effettiva in cui tale
afflusso si tradusse avrebbero potuto stimolare un notevole sviluppo economico, ma la domanda non è
sufficiente per attuare lo sviluppo. Il fallimento della Spagna fu dovuto alle strozzature nell’apparato
produttivo (mancanza di lavoro specializzato, le scale di valori sfavorevoli all’attività artigianale e mercantile,
l’aumento delle corporazioni e la loro politica restrittiva). Proprio per queste strozzature l’aumento dell’offerta
fu ben lungi dal corrispondere all’aumento della domanda, i prezzi rialzarono e la larga parte della domanda si
riversò sui prodotti e servizi stranieri.
La Spagna tra il 1548 e il 1555 oscillò tra contrastanti politiche economiche di liberismo e di protezionismo e,
quando prevalse il protezionismo, gli esportatori si videro costretti a scegliere la via del contrabbando.
Nel 1570 la Spagna dipendeva largamente dalla Francia per importazioni di grani, tele, drappi, carta, libri,
oggetti di falegnameria e altro che riesportava poi in gran parte dalle colonie americane.
La mentalità spagnola considerava le importazioni come motivo di orgoglio anziché come una possibile
minaccia per le manifatture del Paese.
Con simili idee circolanti nel Paese nel 1659 alla Pace dei Pirenei la Francia ottenne di poter introdurre
liberamente i propri prodotti e nel 1667 lo stesso valse per l’Inghilterra; da allora non ci fu più bisogno del
contrabbando.
Tramite le importazioni, sia legali che di contrabbando, la domanda effettiva spagnola alimentata dal metallo
americano finì col sollecitare lo sviluppo economico dell’Olanda, dell’Inghilterra e di altri Paesi europei. Inoltre
la Spagna impantanata in guerre senza fine, spese i proventi dell’imposizione fiscale e i tesori delle Indie prima
ancora di percepirli; questo la costrinse a chiedere prestiti ai banchieri tedeschi, genovesi ed infine ebrei
portoghesi.

Nel corso del 1600 l’afflusso dei metalli preziosi dalle Americhe diminuì e le ragioni furono:
- un ristagno nella produzione mineraria nelle colonie americane (dubbio);
- l’indipendenza delle colonie grazie alla produzione in loco di ciò che prima importavano dalla Spagna;
- il successo dei contrabbandieri olandesi, francesi e inglesi (il più importante).
La principale fonte di benessere spagnolo venne ad inaridirsi, intanto però un secolo di artificiosa prosperità
aveva spinto molti ad abbandonare le campagne per le città.

La Spagna del 1700 mancò di imprenditori ed artigiani ma ebbe sovrabbondanza di burocrati, preti e poeti…il
Paese sprofondò in una tragica decadenza.

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IL DECLINO ECONOMICO DELL’ITALIA

A partire dal 1300, con la decadenza dell’ordinamento democratico comunale e l’instaurarsi delle Signorie si
ebbe un grande periodo di prosperità, ma subentrò un deciso deterioramento sociale tra le masse. Tra il 1494 e
il 1538 il Paese divenne campo di battaglia di un conflitto internazionale che coinvolse Spagnoli, Francesi e
Germanici; con la guerra vennero le carestie, le epidemie, le distruzioni del capitale e le interruzioni dei traffici.
Verso il 1550 tornò la pace e grazie al capitale umano, ricco di laboriosità ed intraprendenza, Bergamo
(produzione di panni), Firenze (produzione di lana) e Venezia furono le città portavoce di questa energica
ricostruzione economica. La ricostruzione riprese però vecchie strutture secondo direttrici tradizionali:
l’ordinamento corporativo si rafforzò; il numero delle corporazioni artigiane crebbe a dismisura irrigidendo la
struttura produttiva del Paese. Nel frattempo i Paesi Bassi settentrionali e l’Inghilterra svilupparono le loro
attività manifatturiere e amatoriali, aiutando l’affermazione dei loro prodotti sul mercato internazionale. Fino ai
primi del 1600 l’esuberante domanda internazionale poteva mantenere i produttori italiani efficienti, meno
efficienti e marginali. Tra il 1618 e il 1638 una serie di guerre capovolsero la situazione economica
internazionale (1618 scoppio Guerra dei 30 anni; 1623 scoppio Guerra turco - persiana), comportando una
notevole contrazione nella liquidità: per i produttori marginali non ci fu più posto e l’Italia era ormai uno di
questi. Inoltre nel 1630-31 si diffuse la peste che comportò una drastica riduzione della popolazione e un
notevole rialzo dei prezzi. I prodotti italiani non furono eliminati solo sui mercati esteri ma anche sugli stessi
mercati della penisola, ciò provocò un drastico crollo della produzione e massicci fenomeni di disinvestimento
nei settori manifatturiero e dei servizi. Questo avvenne perché la concorrenza inglese, olandese e francese
aveva prezzi molto più contenuti. I capi italiani erano troppo cari a causa della loro qualità e delle elevate spese
di produzione. L’elevato costo delle spese di produzione era dovuto ad una pressione fiscale troppo elevata ed
eccessivo controllo delle corporazioni, causa dell’obsolescenza dei metodi produttivi e dell’alto costo del
lavoro. Le conseguenze di tutte queste circostanze sull’economia italiana furono:
- il drastico declino delle esportazioni che si protrasse per decenni via via aggravandosi;
- un prolungato decesso di disinvestimenti manifatturieri, amatoriali e bancari;
- la tendenza delle manifatture a spostarsi dai grossi centri urbani ai piccoli centri rurali sviluppando
quella che oggi sarebbe detta economia sommersa;
Quest’ultimo fenomeno era a sua volta conseguenza delle seguenti circostanze:
- il costo del lavoro era meno alto nei centri minori che nei maggiori;
- nei centri minori si sperava fosse più facile sfuggire ai controlli fiscali;
- nei centri minori si sperava fosse più facile sfuggire ai controlli restrittivi delle corporazioni.
Al contrario delle manifatturiere d’oltralpe, quelle italiane venivano perseguitate dalle corporazioni, rimanendo
così prigioniere del passato. La mentalità italiana era troppo provinciale e presuntuosa.
Ciò si accompagnava a un ritardo tecnologico e organizzativo che rifletteva tutti gli elementi fin qui citati.
Tra il 1500 e il 1600 ebbero gran voga le Compagnie commerciali, tra le quali la Compagnia Inglese delle Indie
Orientali (1600), la Compagnia olandese (1602), la Compagnia Francese delle Indie e la Compagnia danese
delle Indie. Alcuni imprenditori genovesi tentarono la stessa impresa e nel 1647 veniva fondata la Compagnia
Genovese delle Indie Orientali: non si trovavano a Genova cantieri che sapessero costruire navi adatte per la
navigazione oceanica (le navi furono commissionate presso i cantieri Texel in Olanda) e non esistevano marinai
capaci di operare con queste navi nelle difficili navigazioni oceaniche (si ricorse all’ingaggio di un equipaggio
olandese). Sciolti questi nodi che dimostravano l’arretratezza italiana, le navi salparono da Genova il 3 marzo
1648 ma le potenze europee, timorose di una possibile concorrente, le catturarono per mano di una flotta
olandese che le condusse come preda a Batavia. I genovesi nel campo finanziario non ebbero rivali: dal 1550 al
1640 salassarono in maniera estrema il monarca spagnolo e tali furono i profitti che questo periodo passò alla
storia come “il secolo dei Genovesi”. Il caposaldo del sistema creditizio genovese fu rappresentato dalle “fiere
di scambio” che possono considerarsi la più antica stanza di compensazione internazionale. Nel 1630 la
tesoreria spagnola, sempre in ritardo con i pagamenti e in rischio di bancarotta, non interessò più i genovesi che
lasciarono il campo agli ebrei portoghesi. A partire dalla fine del 1500 anche l’economia del Regno di Napoli
mostrò una grave stagnazione e quindi un pesante declino di natura fiscale alimentato dagli onerosi costi che
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l’amministrazione sostenne cercando di modernizzare le strutture dello Stato. L’attività di scambio alla fine del
1600 era incentrata sulle importazioni di manufatti e sulle esportazioni di prodotti agricoli, materie prime e
semilavorati. L’affermazione del predominio economico della nobiltà su quello della borghesia, l’accentuazione
delle discriminazioni e la perdita di prestigio delle più importanti scuole di medicina fecero dell’ Italia il paese
sottosviluppato d’Europa.
IL “MIRACOLO” OLANDESE

Nel corso del 1000-1400 i Paesi Bassi meridionali furono i protagonisti di uno sviluppo economico e civile
eccezionale, secondi solo al polo italiano: le manifatture tessili delle Fiandre provvidero largamente al consumo
dei migliori pannilana nell’Europa settentrionale e centrale. Lo sviluppo dei Paesi Bassi settentrionali nel corso
del 1000-1400 fu più lento ma anch’esso consistente e si fondo sulle attività agricole, di allevamento, sulla
pesca e il commercio con i territori del mar Baltico. Durante il medioevo diverse città dei Paesi Bassi
settentrionali erano entrati a far parte della Lega anseatica. Il commercio con il Baltico rimase sempre la più
importante branca delle attività terziarie e venne praticato, fino alla fine del 1200 circa, utilizzando gli scali di
Amburgo e Lubecca, con trasporti, per un tratto, per via terra; poi, a partire dal 1300, grazie ai sensibili
miglioramenti della navigazione, effettuato interamente per via mare, circumnavigando la penisola dello Jutland
(evitando, così i costosissimi trasbordi ad Amburgo e Lubecca). Il transito dello stretto del Sund era sottoposto
al pagamento di dazi, una della fonti più importanti per la storia del commercio di quelle regioni.
Nel 1500 la città di Anversa (Paesi Bassi meridionali) era il centro internazionale della finanza e del
commercio di merci pregiate, mentre Amsterdam (Paesi Bassi settentrionali) era il centro principale per il
commercio internazionale di granaglie e legnami.
Sullo sfondo di una evoluta attività commerciale e manifatturiera stava anche un’agricoltura che era tra le più
evolute del tempo; questi erano i presupposti del miracolo olandese del 1600. Il Paese che nel 1557 si sollevò
contro l’imperialismo spagnolo e che poi assunse al ruolo di paese economicamente più dinamico d’Europa era
un Paese dalle solide basi economiche e con notevoli potenzialità.
Con la rivolta contro la Spagna e la lunga guerra che ne derivò venne la rovina dei Paesi Bassi meridionali: i
mulini vennero ridotti in cenere, gravi danni furono arrecati ai centri di produzione tessile e il centro finanziario
di Anversa venne saccheggiato. Dalla pace del 1609 le Province Unite settentrionali emersero con
l’indipendenza politica e la libertà religiosa; l’economia del nuovo Stato era vitale nonostante i quarant’anni di
guerre alle spalle; fu un trionfo politico, economica e militare. Le ragioni di questo miracolo sono diverse……..
Il danno maggiore che fecero gli spagnoli fu quello di causare la fuga di “capitale umano” dai Paesi Bassi
meridionali, arricchendo involontariamente il proprio nemico. I profughi delle province meridionali (Valloni) si
diressero un po’ dappertutto: Inghilterra, in Germania, in Svezia ma ovviamente soprattutto nei Paesi Bassi
settentrionali. Tra i valloni c’erano artigiani, marinai, mercanti, finanzieri, professionisti che apportarono al
Paese d’elezione capacità artigianali, conoscenze commerciali e spirito imprenditoriale. Per le Province
meridionali fu un pauroso salasso; per quelle settentrionali un tonificante poderoso. Grazie a questa iniezione di
vitalità e alle opportunità che favorivano i Paesi Bassi settentrionali entrarono nell’epoca dell’oro.
Amsterdam divenne un emporio internazionale e le attività commerciali facilitarono la nascita della Borsa: gli
Olandesi si trovavano in ogni angolo del mondo, nel Nord America fondarono Nuova Amsterdam più tardi
chiamata New York. Essi furono grandi nell’industria come nella navigazione e nel commercio, nella pittura
come nella filosofia e nella scienza; Leida si affermava come il più importante centro d’Europa per lo studio
della medicina. La vita e la prosperità dei Paesi Bassi settentrionali nella loro età dell’oro continuarono a
dipendere dalla libertà dei mari e dalla efficienza della loro flotta (militare e mercantile) sia qualitativamente
che quantitativamente. Il settore più dinamico fu senza dubbio quello del commercio internazionale che può
essere distinto in due settori caratterizzati da diverse tecniche di affari e di navigazione: il commercio a grande
distanza con le Indie orientali e quelle occidentali e il commercio nel Mar del Nord e nel Mar Baltico (branca di
gran lunga preminente nel commercio d’oltremare dell’Olanda). L’agricoltura divenne una delle più avanzate
d’Europa grazie alle progredite tecniche di canalizzazione, d’irrigazione e di rotazione dei raccolti. Quanto alle
manifatturiere, tra il 1560 e il 1660, conobbero uno sviluppo straordinario infatti venivano importate materie
prime che lavoravano e riesportavano (zucchero, cannoni e vino).
Riuscirono a rompere la strozzatura rappresentata dal vincolo energetico sfruttando su larga scala due fonti di
energia inanimata: la torba (enorme massa di energia utilizzata per il riscaldamento domestico e per scopi

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industriali) e l’energia del vento (sui mari con l’impiego sempre più massiccio della vela, per terra mediante
l’utilizzo del mulino a vento).
I loro prodotti erano venduti in tutto il mondo perché avevano prezzi molto bassi, grazie ai bassi costi che
implicava la loro produzione, o alla riduzione degli standard qualitativi (es: pannilana di qualità inferiore ma
dai colori vivaci; riduzione dei costi operativi nei trasporti marittimi riducendo lo spazio destinato agli alloggi
dei marinai).
OLANDA = PAESE PUNTO DI RIFERIMENTO IN EUROPA.

LO SVILUPPO DELL’INGHILTERRA

Sul finire del 1400 l’Inghilterra era un paese arretrato rispetto alla maggior parte del continente sia dal punto di
vista tecnologico che dal punto di vista economica. Il 50% del suo commercio era controllato da mercanti
stranieri (10-20% Anseatica, 30-40% Italiani). L’Inghilterra produceva comunque la migliore lana in Europa.
Lana e pannilana rappresentarono il grosso delle esportazioni inglesi negli ultimi secoli del Medioevo. Nel 1200
viene adottato il mulino ad acqua per la follatura dei panni. Dal 1300 l’Inghilterra passò dallo stadio tipico del
Paese sottosviluppato che esporta soprattutto materia prima locale allo stadio più evoluto di Paese che esporta
oltre che la materia prima locale anche manufatti basati sulla materia prima stessa. I prodotti inglesi venivano
tradizionalmente trasportati negli empori dei Paesi Bassi meridionali e di qui distribuiti nelle varie parti del
continente.
Nel 1500, a causa della drastica contrazione della produzione di panni-lana italiani (per effetto della guerra) la
domanda dei mercanti tedeschi si spostò su quelli inglesi, disponibili nel mercato di Anversa; da qui l’inizio di
un’epoca d’oro per le esportazioni inglesi favorite dal progressivo deterioramento della sterlina.
Lo sviluppo economico inglese nel periodo 1500-50 si basò prevalentemente sulla creazione e la prosperità
dell’asse Londra – Anversa, in quanto il Mar Baltico era sotto il controllo degli Olandesi e i territori della
renania controllati dai mercanti anseatici. Tra il 1550 e il 1564 gli esportatori di pannilana inglese ebbero delle
difficoltà dovute alla ripresa dell’industria tessile italiana, alla guerra nei Paesi Bassi (rovina di Anversa) e alla
rivalutazione della sterlina. Il “malanno” fu rimediato grazie al notevole sviluppo di diverse attività artigianali
per la produzione di ferro, piombo, armi, vetro, seta, nuovo tipo di panni-lana. Il periodo 1550-1650 fu
caratterizzato dal fatto che l’Inghilterra entrò in una nuova fase del suo sviluppo economico dovuto, soprattutto,
a tre fattori:
1) al commercio oceanico e alla pirateria: importanza dei capitali cumulati con la pirateria nella creazione
della Compagnia delle Indie Orientali e nella fondazione delle prime colonie in America;
2) alla politica economica del governo: politica mercantilistico – protettivistica favorevole
all’immigrazione di forze di lavoro che proteggeva gli immigrati dalle ostilità dei lavoratori inglesi che
ne temevano la concorrenza; imposizione di dazi all’importazione di manifatture straniere e di prodotti
considerati di lusso che causavano l’esportazione di numerario; Atti di Navigazione del 1651 (tutte le
importazioni inglesi dovevano essere trasportate su navi inglesi o del paese esportatore e le merci
provenienti da paesi extra-europei dovevano essere trasportate solo su navi inglesi), del 1660 (tutto il
traffico costiero doveva essere riservato alle navi inglesi = capitano e ¾ dell’equipaggio inglese) e del
1662 (limitava l’uso di navi costruite fuori d’Inghilterra e di navi di proprietà di stranieri). Tra il 1652 e
il 1688 la consistenza della marina mercantile inglese e l’industria delle costruzioni navali aumentarono
considerevolmente;
3) l’apporto degli immigranti: Valloni e Ugonotti affluirono sempre più numerosi in Inghilterra, dopo il
1550, apportando enormi migliorie al sistema produttivo (new drapery, industria del vetro e orologiera).

Due tratti della società inglese del tempo colpiscono facilmente: una straordinaria capacità di ricezione naturale
e di capacità di reagire con decisione alle difficoltà del momento, traendone addirittura spunti per nuovi
sviluppi e nuovi vantaggi. La ricezione naturale nasce dal fatto che l‘inglese era abituato viaggiare e a mandare
i giovani a studiare presso le università estere. Nella capacità di reagire si possono individuare due episodi:
- costruzione dei cannoni di ferro anziché di bronzo (poco rintracciabile in Inghilterra e molto più
costoso);
- utilizzo del carbon coke al posto del legname (che comunque veniva importato dai Paesi Scandinavi).

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Con l’utilizzo del ferro e del carbone e con la creazione di prototipi delle fabbriche, ma anche con l’espansione
davvero notevole del settore commerciale (con riferimento particolare al commercio internazionale): creazione
di importanti premesse per la rivoluzione industriale.

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