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Jiddu Krishnamurti

Lettere alle scuole


Titolo originale dell’opera LETTERS TO SCHOOLS
(Krishnamurti Foundation Trust LTD – England)
Traduzione di PATRIZIA NICCII

© 1981, Krishnamurti Foundation Trust LTD – England © 1983, Casa Editrice Astrolabio Ubaldini
Editore, Roma
Ubaldini Editore – Roma

Indice
LETTERE ALLE SCUOLE.....................................................................1
1 settembre 1978..................................................................2
15 settembre 1978................................................................4
1 ottobre 1978......................................................................5
15 ottobre 1978....................................................................7
1 novembre 1978..................................................................9
15 novembre 1978...............................................................11
1 dicembre 1978..................................................................14
15 dicembre 1978................................................................16
1 gennaio 1979...................................................................18
15 gennaio 1979..................................................................20
1 febbraio 1979...................................................................21
15 febbraio 1979.................................................................23
1 marzo 1979......................................................................25
15 marzo 1979....................................................................27
1 aprile 1979.......................................................................30
15 aprile 1979.....................................................................31
1 maggio 1979....................................................................34
15 maggio 1979..................................................................36
1 giugno 1979.....................................................................38
15 giugno 1979...................................................................40
1 luglio 1979.......................................................................42
15 luglio 1979.....................................................................44
1 agosto 1979.....................................................................46
15 agosto 1979...................................................................48
1 settembre 1979................................................................51
15 settembre 1979...............................................................53
1 ottobre 1979....................................................................54
15 ottobre 1979...................................................................56
1 novembre 1979.................................................................57
15 novembre 1979...............................................................58
1 dicembre 1979..................................................................60
15 dicembre 1979................................................................61
1 gennaio 1980...................................................................63
15 gennaio 1980..................................................................64
1 febbraio 1980...................................................................66
15 febbraio 1980.................................................................68
1 marzo 1980......................................................................69

1 settembre 1978
Poiché desidererei tenermi in contatto con tutte le scuole dell’India, la
Brockwood Park in Inghilterra, la Oak Grove School di Ojai, in California, e la Wolf
Lake School in Canada, mi prefiggo di inviare a tutte una lettera ogni due
settimane finché mi sia possibile. Naturalmente, è difficile mantenersi in contatto
di persona con tante scuole e quindi, potendo, mi piacerebbe moltissimo scrivere
lettere in modo da suggerire cosa dovrebbero essere le nostre scuole, e co-
municare a tutti coloro che ne sono responsabili che le scuole non devono essere
eccellenti soltanto accademicamente ma da molti altri punti di vista. Esse si
devono occupare dello sviluppo di tutto l’essere umano. Questi centri d’istruzione
devono aiutare lo studente e l’insegnante a fiorire in modo naturale; fioritura che
è davvero importantissima, altrimenti l’istruzione diviene unicamente un processo
meccanico indirizzato verso una carriera, verso una certa professione. La carriera
e la professione, nella società attuale, sono inevitabili, ma se gli dedichiamo tutto
il nostro interesse la libertà di fiorire avvizzirà gradualmente. Abbiamo dato
troppa importanza agli esami e al conseguimento di buoni titoli.
Ciò non è lo scopo principale per cui furono fondate le nostre scuole, né ciò
significa che lo studente sarà inferiore accademicamente. Al contrario, con la
fioritura del maestro come pure dello studente, la carriera e la professione
avranno il loro giusto posto. La società, la cultura in cui viviamo, favorisce ed
esige che lo studente sia indirizzato verso un lavoro e la sicurezza fisica. È la
pressione costante di tutte le società; innanzitutto la carriera e ogni altra cosa è
secondaria. Vale a dire, innanzitutto il denaro e in secondo luogo i complessi
aspetti della nostra vita quotidiana. Noi stiamo tentando di invertire questo
processo perché l’uomo non può essere felice con il solo denaro. Quando il denaro
diventa il fattore dominante della vita non vi è equilibrio nella nostra attività
quotidiana. Perciò, potendo, vorrei che tutti gli insegnanti se ne rendessero conto
seriamente e ne comprendessero a fondo il significato. Se l’insegnante ne
comprende l’importanza, e gli ha dato il posto che merita nella sua stessa vita,
può aiutare lo studente che viene forzato dai genitori e dalla società a considerare
la carriera la cosa più importante. Pertanto, nella mia prima lettera, vorrei
sottolineare tale punto e conservare sempre nelle nostre scuole un sistema di vita
che coltivi tutto l’essere umano.
Poiché gran parte della nostra istruzione consiste nell’acquisizione di
conoscenze, essa ci rende sempre più meccanici; la nostra mente funziona lungo
stretti canali, quali che siano le conoscenze che acquisiamo: scientifiche,
filosofiche, religiose, commerciali o tecnologiche. Il nostro modo di vivere, tanto
in famiglia quanto al di fuori di essa, e la nostra specializzazione in una
particolare professione, rendono la nostra mente sempre più stretta, limitata e
incompleta. Tutto ciò porta a un sistema di vita meccanicistico, a una
standardizzazione mentale, e così gradualmente lo Stato, anche uno Stato demo-
cratico, impone ciò che dobbiamo divenire. Naturalmente, la maggior parte delle
persone riflessive ne è consapevole, ma sfortunatamente sembra accettarlo.
Pertanto ciò è divenuto un pericolo per la libertà.
La libertà è un argomento molto complesso, e per comprenderne la
complessità è necessaria la fioritura della mente. Ciascuno, naturalmente, darà
una diversa definizione della fioritura dell’uomo, una definizione che dipende dalla
propria cultura, dalla cosiddetta educazione, dall’esperienza, dalla superstizione
religiosa – vale a dire, dal proprio condizionamento. Qui non ci occupiamo di
opinioni o pregiudizi, ma piuttosto di una comprensione non verbale delle
implicazioni e conseguenze della fioritura mentale. Questa fioritura è lo schiudersi
totale e la coltivazione della nostra mente, del cuore e del nostro benessere fisico.
Vale a dire, il vivere in una completa armonia in cui non vi sia alcuna opposizione
o contraddizione tra loro. La fioritura della mente può aver luogo solo quando vi
sia una percezione chiara, oggettiva, impersonale, alleviata da ogni sorta di
imposizioni. Non si riferisce a cosa pensare ma a “come” pensare chiaramente.
Per secoli, tramite la propaganda e così via, ci è stato suggerito cosa pensare.
Gran parte dell’istruzione moderna è così, e non un’investigazione dell’intero
movimento del pensiero. La fioritura implica la libertà; come ogni pianta ha
bisogno di libertà per svilupparsi.
Durante l’anno prossimo, in ogni lettera, tratteremo questo argomento in
modi diversi: il risveglio del cuore, che non è sentimentale, romantico o
visionario, ma è un risveglio della bontà nata dall’affetto e dall’amore; e la cultura
del corpo, la giusta qualità dei cibi, l’esercizio appropriato, che daranno origine a
una profonda sensibilità. Quando questi tre sono in completa armonia – vale a
dire, la mente, il cuore e il corpo – la fioritura giunge in modo naturale, facil-
mente e alla perfezione. Ecco il nostro compito di insegnanti, la nostra
responsabilità: l’insegnamento è la professione più elevata della vita.

15 settembre 1978
La bontà può fiorire soltanto nella libertà. Non può sbocciare nel terreno di
una qualsiasi persuasione, né per costrizione, né è il risultato di ricompense. Non
si rivela quando vi è una specie qualsiasi di imitazione o conformismo, e
naturalmente non può esistere quando è presente la paura. La bontà si mostra
nel comportamento, e il comportamento è basato sulla sensibilità. La bontà viene
espressa nell’azione. L’intero moto del pensiero non è la bontà. Il pensiero, tanto
complesso, deve essere compreso, ma la stessa comprensione lo rende conscio
dei propri limiti.
La bontà non ha alcun opposto. Gran parte di noi considera la bontà
l’opposto della cattiveria o del male, e perciò nel corso della storia in ogni cultura
la bontà è stata considerata l’altra faccia di ciò che è brutale. Quindi l’uomo ha
sempre lottato contro il male al fine di essere buono; ma la bontà non potrà mai
nascere se vi è una qualsiasi forma di violenza o lotta.
La bontà si rivela nel comportamento, nell’azione e nei rapporti.
Generalmente il nostro comportamento quotidiano è basato o sul seguire alcuni
modelli – meccanico e pertanto superficiale – o sul conformarsi a ragioni
ponderate molto accuratamente, basate sulla ricompensa o la punizione. Quindi il
nostro comportamento, consciamente o inconsciamente, è calcolato. Questo non
è un buon comportamento. Quando lo si comprende, non solo intellettualmente o
mettendo insieme le parole, da questa negazione totale si manifesta il vero
comportamento.
In essenza, il comportamento buono è l’assenza del sé, dell’io. Si mostra
nella gentilezza, nel rispetto verso gli altri, sottomettendosi senza perdere
integrità. Quindi il comportamento diviene straordinariamente importante. Non è
una cosa casuale da sorvolare, né un balocco della mente sofisticata. Risulta dal
più profondo del vostro essere, ed è parte della vostra esistenza quotidiana.
La bontà si rivela nell’azione. Dobbiamo distinguere l’azione dal
comportamento. Probabilmente sono entrambi la stessa cosa, ma per chiarezza li
si deve separare ed esaminare. L’agire correttamente è una delle cose più difficili
da fare. È molto complesso e lo si deve esaminare con grande attenzione senza
impazienza e senza saltare a qualche conclusione.
Nella nostra vita quotidiana l’azione è un movimento continuo dal passato,
spezzato di quando in quando da un nuovo gruppo di conclusioni; queste
conclusioni divengono quindi il passato e noi agiamo in conseguenza. Si agisce
conformemente a idee o ideali già concepiti, per cui si agisce sempre o partendo
dalla conoscenza accumulata, cioè il passato, o partendo da un futuro idealistico,
una utopia.
Accettiamo una tale azione come normale. Lo è? La mettiamo in dubbio
dopo che è accaduta o prima di farla, ma la discussione si basa su conclusioni
precedenti o sulla ricompensa o punizione future. Se faccio questo – avrò quello,
e così via. Così ora mettiamo in discussione tutto il concetto accettato di azione.
L’azione ha luogo in seguito all’accumulazione di conoscenza o esperienza;
oppure agiamo, e impariamo da questa azione, piacevole o spiacevole, e
l’imparare diviene ancora una volta l’accumulazione di conoscenza. Quindi
entrambe le azioni sono basate sulla conoscenza; non sono diverse. La
conoscenza è sempre il passato e perciò le nostre azioni sono sempre
meccaniche.
Vi è un’azione che non sia meccanica, non imitativa, non abitudinaria e
perciò priva di rammarico? È veramente importante che noi lo comprendiamo,
perché dov’è la libertà e il fiorire della bontà, l’azione non può essere mai
meccanica. Scrivere è meccanico, studiare una lingua, guidare un’automobile è
meccanico; l’acquisire ogni specie di conoscenze tecniche e l’agire conformemente
a esse è meccanicistico. Di nuovo, in questa attività meccanica vi potrebbe essere
un’interruzione, e in questa interruzione viene concepita una nuova conclusione
che a sua volta diviene meccanica. Si deve tenere a mente sempre che la libertà
è essenziale alla bellezza della bontà. Vi è un’azione nonmeccanica ma dovete
scoprirla. Non potete esserne informati, non potete essere istruiti in essa, non
potete imparare da esempi, perché in tal caso diviene imitazione e conformismo.
Allora avete perso totalmente la libertà e non vi è alcuna bontà.
Penso che ciò sia sufficiente per questa lettera, ma proseguiremo nella
prossima con il fiorire della bontà nei rapporti.

1 ottobre 1978
Dobbiamo proseguire, se possibile, con il fiorire della bontà in tutti i nostri
rapporti, siano essi i più intimi o i più superficiali, o nelle faccende ordinarie di
ogni giorno. Il rapporto con un altro essere umano è una delle cose più importanti
della vita. La maggior parte di noi non è molto seria nei propri rapporti, perché
noi ci interessiamo in primo luogo di noi stessi, e degli altri quando ciò sia conve-
niente, soddisfacente o sensualmente piacevole. Noi trattiamo i rapporti, per così
dire, da lontano, e non come un qualcosa in cui siamo totalmente coinvolti.
Non ci riveliamo quasi mai a un altro, perché non siamo pienamente
consapevoli di noi stessi e ciò che mostriamo all’altro nel rapporto è possessivo,
dominante o dipendente. Vi è l’altro e l’io, due entità separate che mantengono
una divisione permanente fino alla morte. L’altro si interessa di se stesso, per cui
questa divisione è conservata per tutta la vita. Naturalmente si mostra
comprensione, affetto, incoraggiamento generale, ma questo processo separativo
va avanti. E da ciò ha origine l’inopportunità, l’affermazione di temperamenti e
desideri, e quindi vi è la paura e la conciliazione. Sessualmente vi può essere una
riunione, ma questo particolare rapporto quasi statico del tu e dell’io è sostenuto
da liti, offese, gelosie e da tutti gli sforzi penosi. Generalmente tutto ciò viene
considerato un buon rapporto.
Ora, può fiorire la bontà in tutto questo? Eppure i rapporti sono la vita e
senza qualche tipo di rapporto non si può esistere. L’eremita, il monaco, per
quanto si possano allontanare dal mondo, portano il mondo con loro. Lo possono
rifiutare; lo possono reprimere; si possono torturare, ma rimangono ancora in
una specie di rapporto con il mondo, perché essi sono il risultato di migliaia di
anni di tradizione, superstizione e di tutte le conoscenze che l’uomo ha accu-
mulato per millenni. Quindi non vi è scampo da tutto ciò.
Vi è il rapporto tra l’insegnante e lo studente. Deve il maestro conservare,
sia intenzionalmente che inconsapevolmente, il proprio senso di superiorità e
perciò stare sempre su un piedistallo, facendo sì che lo studente si senta
inferiore, una persona che si debba istruire? Evidentemente in questo caso non vi
è alcun rapporto. Da ciò, da parte dello studente, ha origine la paura, un senso di
oppressione e di tensione, e pertanto lo studente impara sin dall’adolescenza la
qualità della superiorità; lo si fa sentire sminuito, e così per tutta la vita o diventa
l’aggressore o è continuamente remissivo e dipendente.
La scuola è un luogo di riposo in cui entrambi, l’insegnante e lo studente,
imparano. Questa è la realtà principale della scuola: imparare. Per riposo non
intendiamo dire l’avere tempo per se stessi, benché anche questo sia necessario;
non significa prendere un libro e sedersi sotto un albero, o nella vostra camera,
leggendo a caso. Non significa uno stato mentale sereno; non significa
certamente essere oziosi o passare il tempo a sognare a occhi aperti. Riposo
significa una mente che non si occupa costantemente di qualcosa, di un
problema, di qualche gioia, di qualche piacere sensoriale. Il riposo implica una
mente che ha un tempo infinito per osservare: osservare ciò che accade intorno a
sé e ciò che accade entro il sé; avere agio di ascoltare, di vedere chiaramente. Il
riposo implica la libertà, che generalmente viene interpretata come il fare ciò che
si desidera, che è poi quanto gli esseri umani fanno in ogni caso, creando
moltissimi mali, sofferenze e confusione. Il riposo implica una mente quieta,
nessun motivo e quindi nessuna direzione. Questo è il riposo, e soltanto in questo
stato la mente può imparare, non solo la scienza, la storia e la matematica, ma
anche sul sé; e si può imparare su se stessi nei rapporti.
Si può insegnare tutto ciò nelle nostre scuole? O è qualcosa che voi leggete
e memorizzate o dimenticate? Ma quando il maestro e lo studente sono coinvolti
nel comprendere realmente l’importanza straordinaria del rapporto, instaurano
nella scuola un giusto rapporto tra loro. Questa è una parte dell’istruzione,
superiore al semplice insegnamento di materie accademiche.
Il rapporto richiede moltissima intelligenza. Non la si può acquisire con i libri
né insegnare. Non è il frutto accumulato di una grande esperienza. La conoscenza
non è intelligenza. L’intelligenza si può servire della conoscenza. La conoscenza
può essere abile, brillante e utilitarista, ma ciò non è intelligenza. L’intelligenza
giunge naturalmente e facilmente quando si comprende l’intera natura e struttura
del rapporto. Ecco perché è importante avere il riposo, perché l’uomo o la donna,
il maestro o lo studente, possano discutere quietamente e seriamente il loro
rapporto in cui appaiono le loro reazioni, suscettibilità e barriere reali, non
immaginate, non distorte per compiacersi l’un l’altro, o represse per conciliarsi
con l’altro.
La funzione della scuola è certamente questa: aiutare lo studente a
risvegliare la propria intelligenza e a imparare la grande importanza dei buoni
rapporti.

15 ottobre 1978
La maggior parte degli uomini passa moltissimo tempo a discutere la sola
chiarezza verbale ma, a quanto pare, non afferra il nocciolo e i contenuti al di là
della parola. Cercando la chiarezza verbale rendono meccanica e superficiale la
propria mente, e molto spesso contraddittoria la loro vita. In queste lettere non ci
occupiamo della comprensione verbale, ma delle realtà quotidiane della nostra
vita. Ecco il punto principale delle nostre lettere: non la spiegazione verbale del
fatto ma il fatto stesso. Quando ci interessiamo alla chiarezza verbale, e quindi
alla chiarezza delle idee, la nostra vita quotidiana è concettuale e non fattuale.
Tutte le teorie, i principi, gli ideali, sono concettuali. I concetti possono essere
disonesti, ipocriti e illusori. Si può avere una molteplicità di concetti o ideali, ma
essi non hanno assolutamente nulla a che fare con gli avvenimenti quotidiani
della nostra vita. Gli uomini sono nutriti di ideali; più sono chimerici, più li si
considera nobili; ma – ancora – la comprensione degli eventi di ogni giorno è
assai più importante degli ideali. Se la propria mente è ingombra di concetti,
ideali, e così via, non si può mai fronteggiare il fatto, l’avvenimento reale. Il
concetto diviene un ostacolo. Quando si comprende perfettamente tutto ciò – non
una comprensione intellettuale, concettuale – la grande importanza del
fronteggiare un fatto, il reale, il presente, diviene il fattore principale della nostra
istruzione.
La politica è una specie di malattia universale fondata sui concetti, e la
religione è una impressionabilità romantica e immaginaria. Quando osservate ciò
che accade realmente, tutto ciò è un segno di pensiero concettuale e un evitare le
sofferenze quotidiane, la confusione e il dolore della nostra vita.
La bontà non può fiorire nel terreno della paura. In questo terreno vi sono
molte varietà di paura, la paura immediata e le paure di molti domani. La paura
non è un concetto, ma la spiegazione della paura è concettuale, e queste
spiegazioni variano da un pandit all’altro o da un intellettuale all’altro. La
spiegazione non è importante, lo è invece l’affrontare il fatto della paura.
In tutte le nostre scuole l’insegnante e coloro che sono responsabili degli
studenti, sia in classe, nel campo da giuoco o nelle loro stanze, hanno la
responsabilità di fare in modo che non sorga alcuna forma di paura. L’insegnante
non deve destare paura nello studente. Ciò non è concettuale perché l’insegnante
stesso comprende, e non solo verbalmente, che qualsiasi forma di paura paralizza
la mente, distrugge la sensibilità, fa indietreggiare i sensi. La paura è il pesante
fardello che l’uomo ha sempre trasportato. Da questa paura hanno origine varie
forme di superstizione – religiosa, scientifica e immaginaria. Si vive in un mondo
di finzioni, e l’essenza del mondo concettuale nasce dalla paura. Precedentemente
abbiamo detto che l’uomo non può vivere senza rapporti, e questi rapporti non
sono soltanto la sua vita privata ma, se egli è un insegnante, vi è anche un
rapporto diretto con lo studente. Se in questo rapporto vi è una specie qualsiasi di
paura, il maestro non può assolutamente aiutare lo studente a esserne libero. Lo
studente proviene da un ambiente di paura, di autorità, di ogni sorta di
impressioni e oppressioni immaginarie e reali. Anche l’insegnante ha le proprie
oppressioni, paure. Non sarà in grado di far nascere la comprensione della natura
della paura se egli stesso non ha scoperto la radice delle proprie paure. Non che
egli debba essere innanzitutto libero dalle proprie paure allo scopo di aiutare lo
studente a essere libero, ma piuttosto nel rapporto quotidiano, nei discorsi, in
classe, il maestro farà notare che egli stesso ha paura, come anche lo studente, e
così essi possono esplorare insieme l’intera natura e struttura della paura. Si deve
sottolineare che questa non è una confessione da parte del maestro. Egli sta
semplicemente enunciando un fatto senza alcuna enfasi emotiva personale. È
come fare una conversazione tra buoni amici. Questo richiede una certa onestà e
umiltà. Umiltà non è servilismo; l’umiltà non è un senso di disfattismo; l’umiltà
non conosce né arroganza né orgoglio. Quindi il maestro ha una responsabilità
tremenda, perché la sua è la professione più elevata. Egli deve far nascere una
nuova generazione nel mondo e ciò, ancora una volta, è un fatto e non un
concetto. Potete trasformare un fatto in concetto, e perdervi così in concetti, ma il
reale rimane sempre. Fronteggiare il reale, il presente, e la paura, è la massima
funzione dell’insegnante – non solo il far conseguire la perfezione accademica –
ma ciò che è ben più importante, la libertà psicologica dello studente e di se
stesso. Quando si è compresa la natura della libertà, allora è eliminata ogni
rivalità; nel campo da giuoco, in classe. È possibile eliminare affatto la
valutazione comparativa, accademicamente o eticamente? È possibile aiutare lo
studente a non pensare con rivalità nel campo accademico e tuttavia a eccellere
negli studi, nelle azioni e nella vita di ogni giorno? Vi prego di tenere a mente che
ci occupiamo della fioritura della bontà, che non può assolutamente fiorire dove vi
sia un qualsiasi spirito di competizione. La competizione esiste solo quando vi è il
confronto, e il confronto non dà origine all’eccellenza. Fondamentalmente le
nostre scuole esistono per aiutare entrambi, lo studente e il maestro, a fiorire
nella bontà. Ciò richiede la perfezione del comportamento, dell’azione e del
rapporto. Questo è il nostro scopo e la ragione per cui sono nate le scuole; non
per fabbricare dei semplici professionisti ma per realizzare la perfezione dello
spirito.
Nella prossima lettera proseguiremo con la natura della paura; non la
parola paura ma l’accadere reale della paura.

1 novembre 1978
La conoscenza non conduce all’intelligenza. Accumuliamo moltissime
conoscenze relative a tante cose, ma sembra quasi impossibile agire
intelligentemente in merito a quanto si è imparato. Le scuole, i college e le
università coltivano la conoscenza sul nostro comportamento, sull’universo, sulla
scienza e su ogni sorta di informazione tecnologica. Questi centri d’istruzione
raramente aiutano un essere umano a condurre una vita quotidiana perfetta. Gli
studiosi affermano che gli esseri umani si possono evolvere solo tramite enormi
accumulazioni di informazioni e conoscenze. L’uomo è sopravvissuto a migliaia e
migliaia di guerre; ha accumulato vastissime conoscenze su come uccidere,
eppure queste stesse conoscenze gli impediscono di porre fine a tutte le guerre.
Accettiamo la guerra come un sistema di vita, e tutte le brutalità, la violenza e le
uccisioni come il corso naturale della vita. Sappiamo che non dovremmo uccidere
un altro. Il saperlo è totalmente estraneo al fatto dell’uccidere. La conoscenza non
impedisce di uccidere gli animali e la terra. La conoscenza non può funzionare
tramite l’intelligenza, ma l’intelligenza può funzionare con la conoscenza.
Conoscere è non conoscere e comprendere questo fatto, che la conoscenza non
può mai risolvere i nostri problemi umani, è l’intelligenza.
L’istruzione nelle nostre scuole non è soltanto l’acquisizione di conoscenze
ma, cosa ben più importante, è il risveglio dell’intelligenza che quindi utilizzerà le
conoscenze. Non è mai il contrario. Il nostro interesse in tutte le nostre scuole è il
risveglio dell’intelligenza, e a questo punto sorge la domanda: in che modo si
deve risvegliare questa intelligenza? Qual è il sistema, quale il metodo e quale la
pratica? La stessa domanda implica che si opera ancora nel campo della co-
noscenza. Comprendere che questa è una domanda errata è l’inizio del risveglio
dell’intelligenza. La pratica, il metodo, il sistema nella nostra vita quotidiana si
adattano alla routine, a un’azione abitudinaria e quindi alla mente meccanica. Il
movimento continuo di conoscenze, per quanto specializzate, pone la mente in
una routine, in un sistema di vita limitato. Imparare a osservare e comprendere
questa struttura complessiva della conoscenza equivale a risvegliare l’intelligenza.
La nostra mente vive nella tradizione. Il significato stesso di questa parola –
trasmettere, consegnare – nega l’intelligenza. È facile e comodo seguire la
tradizione, sia essa una tradizione politica, religiosa o personale. In questo caso
non si deve pensare né porre domande; accettare e ubbidire fanno parte della
tradizione. Più è antica la cultura, e più la mente è legata al passato, vive nel
passato. Lo sgretolamento di una tradizione sarà seguito immancabilmente
dall’imposizione di un’altra. Una mente che abbia alle spalle molti secoli di una
qualsiasi tradizione particolare rifiuta di abbandonarla, e accetta di farlo soltanto
quando vi sia un’altra tradizione ugualmente soddisfacente e salda. La tradizione
in tutti i suoi vari aspetti, dal religioso all’accademico, deve negare l’intelligenza.
L’intelligenza è infinita. La conoscenza, per quanto vasta, è limitata come la
tradizione. Nelle nostre scuole si deve osservare il meccanismo mentale che
produce le abitudini, e da questa osservazione nasce la stimolazione dell’intel-
ligenza.
Accettare la paura fa parte della tradizione umana. Viviamo con la paura,
sia la vecchia che la nuova generazione. La maggior parte degli uomini non è
consapevole di vivere nella paura. Solo con una leggera crisi o un avvenimento
sconvolgente si diviene consci di questa paura costante. Alcuni ne sono
consapevoli, altri la schivano. La tradizione dice di controllare la paura, di
scappare da essa, di soffocarla, analizzarla, di agire su di essa o accettarla.
Abbiamo vissuto per millenni con la paura e in qualche modo riusciamo ad andare
d’accordo con essa. Questa è la natura della tradizione – agire su di essa o
scappare da essa; oppure accettarla sentimentalmente e contare su qualche
agente esterno per risolverla. Le religioni derivano da questa paura, e
l’irresistibile sete di potere degli uomini politici nasce da questa paura. Qualsiasi
forma di dominio su un altro individuo è la natura della paura. Quando un uomo o
una donna possiedono un’altra persona nel retroscena vi è la paura, e questa
paura distrugge ogni forma di rapporto.
È compito dell’insegnante aiutare lo studente a fronteggiare questa paura,
sia la paura dei genitori, del maestro o di un ragazzo più grande, o la paura di
stare solo e la paura della natura. Questa è la conclusione principale quando si
comprende la natura e la struttura della paura: fronteggiarla. Non fronteggiarla
attraverso lo schermo delle parole, ma osservare l’accadere stesso della paura
senza fare alcuna mossa per allontanarsene. Allontanarsi dal fatto equivale a
confonderlo. La nostra tradizione, la nostra educazione, incoraggiano il controllo,
l’approvazione o il rifiuto, o una razionalizzazione molto ingegnosa. Come
maestri, potete aiutare lo studente e quindi voi stessi a fronteggiare ogni
problema che sorga nella vita? Nell’istruzione, non vi sono né l’insegnante né ciò
che è insegnato; vi è soltanto l’istruzione. Per comprendere l’intero moto della
paura ci si deve accostare a essa con una curiosità che abbia una propria vivacità
e intensità simile a quella di un bambino. Il sentiero della tradizione è di
conquistare ciò che non comprendiamo, abbatterlo, calpestarlo; oppure venerarlo.
La tradizione è conoscenza, e la fine della conoscenza è la nascita
dell’intelligenza.
Ora, comprendendo che non vi è né l’insegnante né ciò che è insegnato ma
solo l’atto di imparare da parte dell’adulto e dello studente, è possibile, tramite
una percezione diretta di ciò che accade, conoscere questa paura e tutto ciò che
la riguarda? È possibile se permetterete alla paura di narrare la sua antica storia.
Ascoltatela attentamente senza interferire, perché vi sta narrando la storia della
vostra stessa paura. Quando ascoltate in questo modo scoprirete che quella paura
non è distinta da voi. Voi siete quella stessa paura, quella stessa reazione
collegata a una parola. La parola non è importante. La parola è la conoscenza, la
tradizione; ma il reale, il presente che accade in questo momento, è un qualcosa
totalmente nuovo. È la rivelazione della novità della vostra paura. Fronteggiare il
fatto della paura senza alcun moto mentale è la fine della paura. In questa osser-
vazione non si disgrega qualche paura particolare ma la radice stessa della paura.
Non vi è alcun osservatore, soltanto l’osservazione.
La paura è una cosa molto complessa, è antica come le colline, an tica come
l’umanità, e ci può narrare una storia molto straordinaria. Ma voi dovete
conoscere l’arte di ascoltarla e questo ascolto è colmo di bellezza. Vi è solo
l’ascolto e la storia non esiste.

15 novembre 1978
Si dovrebbe comprendere in tutti i suoi significati la parola responsabilità.
Viene da rispondere, rispondere non parzialmente ma totalmente. La parola
significa anche riferirsi: rispondere al vostro ambiente, che equivale a riferirsi al
vostro condizionamento. La responsabilità, come la si intende generalmente, è
l’azione del proprio condizionamento umano. La propria cultura, la società in cui si
vive, naturalmente condizionano la mente, sia questa cultura nativa o straniera.
Si risponde partendo da questo ambiente e questa risposta limita la nostra
responsabilità. Se si nasce in India, in Europa, in America o in qualunque luogo, la
propria reazione sarà conforme alla superstizione religiosa – tutte le religioni sono
strutture superstiziose – o al nazionalismo, o alle teorie scientifiche. Questi
condizionano le reazioni dell’individuo e sono sempre limitati, finiti. E quindi vi
sono sempre la contraddizione, il conflitto e il sorgere della confusione. Ciò è
inevitabile e causa una divisione tra gli esseri umani. Ogni forma di divisione
provocherà certamente non solo il conflitto e la violenza, ma infine la guerra.
Se si comprende il significato reale della parola responsabile e ciò che
accade oggi nel mondo, ci si rende conto che la responsabilità è divenuta
irresponsabile. Nel comprendere ciò che è irresponsabile inizieremo a
comprendere cosa sia la responsabilità. La responsabilità è della totalità, come
implica la parola, non di se stessi, non della propria famiglia, non di alcuni
concetti o credenze, ma di tutta l’umanità.
Le nostre varie culture hanno accentuato la separazione, detta
individualismo, che si è risolta nel fatto che ciascuno fa quel che vuole o si affida
al proprio scarso talento individuale, per quanto questo talento possa essere
vantaggioso o utile alla società. Ciò non significa quel che i totalitaristi vorrebbero
si credesse: che sono importanti soltanto lo stato e le autorità che rappresentano,
e non gli esseri umani. Lo stato è un concetto, mentre l’essere umano, benché
viva in esso, non è un concetto. La paura è una realtà e non un concetto.
Psicologicamente un essere umano è tutta l’umanità. Non solo la
rappresenta, ma è tutto il genere umano. Essenzialmente è la psiche complessiva
dell’umanità. Le varie culture hanno imposto su questa realtà l’illusione che
ciascun essere umano sia diverso. L’umanità è stata irretita per secoli in questa
illusione, e questa illusione è divenuta una realtà.
Se si osserva attentamente la propria struttura psicologica complessiva si
scoprirà che come si soffre, così tutta l’umanità soffre in vari gradi. Se siete soli,
tutta l’umanità conosce questa solitudine. L’angoscia, la gelosia, l’invidia e la
paura sono note a tutti. Perciò psicologicamente, interiormente, tutti gli esseri
umani sono simili. Vi possono essere differenze fisiche, biologiche. Un individuo è
alto o basso e così via, ma fondamentalmente è il rappresentante di tutta
l’umanità. Quindi psicologicamente voi siete il mondo; siete responsabili di tutta
l’umanità, non di voi stessi come esseri umani distinti, che è un’illusione
psicologica. Come rappresentanti di tutta la razza umana, la vostra risposta è
totale e non parziale. Quindi la responsabilità ha un significato completamente
diverso. Si deve imparare l’arte di questa responsabilità. Se afferriamo il pieno
significato del fatto che noi siamo psicologicamente il mondo, la responsabilità
diviene l’amore irresistibile. Si curerà il bambino non solo in tenera età, ma si farà
in modo che comprenda il significato della responsabilità per tutta la vita. Questa
arte include il comportamento, le opinioni e l’importanza dell’azione corretta. In
queste nostre scuole la responsabilità verso la terra, verso la natura e il prossimo
fa parte dell’educazione – non unicamente l’accentuazione sulle materie
accademiche, benché necessarie.
A questo punto possiamo chiedere cosa insegna il maestro e cosa riceve lo
studente, e da un punto di vista più ampio – cos’è l’istruzione? Qual è la funzione
dell’insegnante? È quella di insegnare unicamente l’algebra e la fisica o quella di
risvegliare nello studente – e così in se stesso – questo enorme senso di
responsabilità? Si possono accoppiare bene queste due? Vale a dire, le materie
accademiche che saranno di aiuto nella professione e questa responsabilità di
tutta l’umanità e la vita. O le si deve tenere separate? Se sono separate, nella sua
vita vi sarà una contraddizione; diventerà un ipocrita e inconsciamente o
volutamente separerà la vita in due parti ben distinte. L’umanità vive in questa
suddivisione. A casa è in un modo e in fabbrica o in ufficio assume una faccia
diversa. Abbiamo chiesto se le due possono proseguire insieme. È possibile?
Quando viene posta una domanda di questo genere si devono esaminare le
implicazioni della domanda e non se sia o no possibile. Quindi è della massima
importanza il modo in cui vi accostate a questa domanda. Se vi accostate a essa
partendo dal vostro ambiente limitato – e ogni condizionamento è limitato – vi
sarà una comprensione parziale delle implicazioni racchiuse in tutto ciò. Dovete
avvicinare questa domanda di nuovo. Allora scoprirete la futilità della domanda
stessa perché, come vi accostate a essa in modo diverso, vi accorgerete che
queste due si incontrano come due torrenti che formano un fiume formidabile che
è la vostra vita, la vostra vita quotidiana di responsabilità totale.
È questo che insegnate, comprendendo che il maestro esercita la
professione più elevata? Queste non sono semplici parole ma una realtà durevole
che non si deve sorvolare. Se non ne percepite la verità dovreste davvero
esercitare un’altra professione. Vivrete allora nelle illusioni che l’umanità si è
creata.
Quindi possiamo chiedere nuovamente: cosa insegnate e cosa impara lo
studente? State creando quella strana atmosfera in cui ha luogo l’istruzione reale?
Se avete compreso l’enormità della responsabilità e la sua bellezza, siete
totalmente responsabili dello studente – di ciò che indossa, di ciò che mangia, del
suo modo di parlare e così via.
Questa domanda ne origina un’altra, cos’è l’istruzione? Probabilmente la
maggior parte di noi non si è neanche posta questa domanda o, in caso contrario,
la nostra risposta è provenuta dalla tradizione, cioè dalla conoscenza accumulata,
conoscenza che opera con o senza capacità per guadagnare il nostro
mantenimento quotidiano. Questo ci è stato insegnato, e per questo esistono le
scuole abituali, i college, le università, ecc. Predomina la conoscenza, uno dei
nostri maggiori condizionamenti, e così il cervello non è mai libero dal conosciuto.
Vi aggiunge continuamente nuovi dati, e così il cervello viene messo nella camicia
di forza della conoscenza accumulata e non è mai libero di scoprire un sistema di
vita che possa non essere basato del tutto su di essa. L’insieme delle conoscenze
crea un binario, largo o stretto, e noi rimaniamo in quel binario pensando che in
esso vi sia la sicurezza. Questa sicurezza viene distrutta dalla stessa conoscenza
limitata. Ecco qual è stato finora il sistema di vita umano.
Vi è quindi un sistema d’insegnamento che non trasformi la vita in una
routine, in uno stretto canale? Cos’è quindi l’istruzione? Si deve essere molto
chiari a proposito delle vie della conoscenza: prima acquisire la conoscenza e in
seguito agire partendo da questa conoscenza – tecnologica e psicologica – oppure
agire, e acquisire la conoscenza da questa azione? Entrambe sono acquisizioni di
conoscenza. La conoscenza è sempre il passato. Vi è un modo di agire senza
l’enorme peso della conoscenza accumulata dall’uomo? Sì. Non è come
l’istruzione che abbiamo conosciuto; è l’osservazione pura – non l’osservazione
che non è continua e che quindi diviene la memoria, ma l’osservazione di
momento in momento. L’osservatore è l’essenza della conoscenza ed egli impone
su ciò che osserva quel che ha acquisito attraverso l’esperienza e le varie forme di
reazione sensoriale. L’osservatore influenza sempre ciò che osserva, e ciò che
osserva viene sempre ridotto a conoscenza. Perciò ricade sempre nella vecchia
tradizione di creare abitudini. Quindi l’istruzione è l’osservazione pura – non solo
delle cose al di fuori di voi ma anche di ciò che accade interiormente; osservare
senza un osservatore.

1 dicembre 1978
Tutto il moto vitale è istruzione. Non vi è mai un istante in cui non vi sia
alcun apprendimento. Ogni azione è un moto d’istruzione, e ogni rapporto è
istruzione. L’accumulazione di conoscenze, che è definita istruzione e a cui siamo
tanto abituati, è necessaria sino a un grado limitato, ma questo limite ci
impedisce di comprendere noi stessi. La conoscenza è più o meno misurabile, ma
nell’istruzione non vi è alcuna misura. Comprenderlo è davvero importantissimo,
soprattutto se dovete comprendere il significato totale della vita religiosa. La
conoscenza è memoria e se avete osservato il reale, il presente non è la
memoria. La memoria non ha luogo nell’osservazione. Il reale è ciò che sta
accadendo effettivamente. Il momento successivo è misurabile ed è questa la via
della memoria.
Osservare il movimento di un insetto richiede attenzione – ciò se siete
interessati a osservare l’insetto o qualsiasi altra cosa. Anche questa attenzione
non è misurabile. La responsabilità dell’insegnante è quella di comprendere
l’intera natura e struttura della memoria, osservare questo limite e aiutare lo
studente a percepirlo. Noi impariamo dai libri o da un maestro che ha moltissime
informazioni in merito a una data materia, e i nostri cervelli vengono riempiti di
queste informazioni. Queste informazioni riguardano le cose, la natura, tutto ciò
che è al di fuori di noi, e quando vogliamo imparare su noi stessi ricorriamo
all’aiuto dei libri che ci parlano di noi. Così questo processo va eternamente
avanti e noi diveniamo gradualmente esseri umani di seconda mano. Questa è
una realtà che è possibile osservare in tutto il mondo, ed è questa la nostra
istruzione moderna.
L’atto dell’apprendere, come abbiamo sottolineato, è l’atto dell’osservazione
pura, e questa osservazione non è compresa nei limiti della memoria. Impariamo
a guadagnarci da vivere ma non viviamo mai. La capacità di guadagnarsi da
vivere occupa gran parte della vita; non abbiamo quasi tempo per le altre cose.
Troviamo tempo per chiacchierare, per divertirci, per giocare, ma tutto ciò non è
vivere. Vi è un intero campo totalmente trascurato, che è la vita reale.
Per imparare l’arte di vivere si deve avere agio. La parola agio, riposo, è
enormemente fraintesa, come abbiamo detto nella terza lettera. Generalmente
significa il non essere occupati nelle cose che dobbiamo fare, quali guadagnarsi
da vivere, andare in ufficio, in fabbrica e così via, e solo quando questi doveri
sono terminati vi è il riposo. Durante questo cosiddetto riposo volete distrarvi,
volete rilassarvi, volete fare le cose che vi piacciono realmente o che richiedono le
vostre massime capacità. Il vostro guadagnarvi da vivere – qualsiasi cosa facciate
– è in opposizione al cosiddetto riposo. Così vi è sempre lo sforzo, la tensione e la
fuga da questa tensione, e quando non avete alcuna tensione vi è il riposo.
Durante questo riposo prendete un giornale, leggete un romanzo, chiacchierate,
giocate, e così via. Questa è la realtà effettiva. Questo è quel che succede
ovunque. Il guadagnarsi da vivere è il rifiuto di vivere.
Perciò arriviamo alla domanda: cos’è il riposo? Il riposo, come lo si intende,
è una tregua dalla pressione dei mezzi di sussistenza. Generalmente
consideriamo assenza di riposo la necessità di guadagnarci da vivere o qualsiasi
pressione ci sia imposta, ma in noi vi è una pressione ben maggiore, conscia o
inconscia, che è il desiderio e noi lo esamineremo in seguito.
La scuola è un luogo di riposo. Solo quando vi riposate siete in grado di
imparare. Vale a dire: l’istruzione può aver luogo soltanto quando non vi sia
alcuna pressione di nessun tipo. Quando vi trovate di fronte a un serpente o un
pericolo vi è una sorta d’insegnamento che deriva dalla pressione della realtà di
questo pericolo. L’istruzione sotto questa pressione è la coltivazione della
memoria che vi aiuterà a riconoscere un pericolo futuro e che diviene quindi una
risposta meccanica.
Riposo significa una mente che non è occupata. Solo in questo caso vi è una
condizione per l’apprendimento. La scuola è un luogo d’istruzione e non
semplicemente un luogo dove accumulare conoscenze. È veramente importante
comprenderlo. Come abbiamo detto, la conoscenza è necessaria e ha il proprio
posto limitato nella vita. Sfortunatamente questo limite ha divorato tutta la nostra
vita e non abbiamo più spazio per l’istruzione. Siamo tanto occupati dal nostro
mantenimento che esso consuma tutta l’energia del meccanismo mentale, così
che alla fine della giornata siamo esausti e abbiamo bisogno di essere stimolati. Ci
riprendiamo da questa spossatezza per mezzo di trattenimenti – religiosi o altro.
Questa è la vita degli esseri umani. Gli esseri umani hanno creato una società che
richiede tutto il loro tempo, tutte le loro energie, tutta la loro vita.
Non vi è alcun tempo a disposizione per imparare e così la loro vita diviene
meccanica, quasi senza senso. Quindi dobbiamo comprendere molto chiaramente
la parola riposo – un tempo, un periodo in cui la mente non è occupata
assolutamente in nulla. È il tempo dell’osservazione. Soltanto la mente non
occupata è in grado di osservare. L’osservazione libera è il moto
dell’apprendimento. Ciò consente alla mente di non essere meccanica.
Perciò, il maestro, l’insegnante, può aiutare lo studente a comprendere
tutta questa faccenda del guadagnarsi da vivere con tutte le sue pressioni? –
l’istruzione che vi aiuta ad acquisire un lavoro con tutte le sue paure, le
inquietudini e il guardare al futuro con terrore? Poiché egli stesso ha compreso la
natura del riposo e dell’osservazione pura, così che il guadagnarsi da vivere non
diventa un tormento, uno sforzo penosissimo per tutta la vita, il maestro può
aiutare lo studente ad avere una mente nonmeccanica? Il coltivare la fioritura
della bontà nel riposo è la responsabilità assoluta del maestro. Le scuole esistono
per questo scopo. È responsabilità del maestro il creare una nuova generazione
che trasformi la struttura sociale allontanandola dalla preoccupazione assoluta
dell’ottenere i mezzi di sussistenza. Allora l’insegnamento diventa un atto santo.
15 dicembre 1978
In una delle lettere scorse abbiamo detto che la responsabilità totale è
amore. Questa responsabilità non è di una particolare nazione o di un particolare
gruppo, comunità, o di una particolare divinità, o di qualche forma di programma
politico o del vostro guru, ma di tutta l’umanità. Lo si deve comprendere e
percepire profondamente e questa è la responsabilità dell’insegnante. Quasi tutti
ci sentiamo responsabili della nostra famiglia, dei bambini e così via, ma non ab-
biamo la sensazione di essere completamente interessati e impegnati
nell’ambiente che ci circonda, nella natura, o totalmente responsabili delle nostre
azioni. Questa partecipazione assoluta è amore. Senza questo amore non vi può
essere alcun cambiamento nella società. Gli idealisti, per quanto possano amare il
loro ideale o concetto, non hanno dato vita a una società radicalmente diversa. I
rivoluzionari, i terroristi, non hanno affatto cambiato fondamentalmente le linee
delle nostre società. I rivoluzionari con la loro violenza fisica hanno parlato di
libertà per tutti gli uomini, di formare una nuova società, ma tutti i gerghi e gli
slogan hanno torturato ulteriormente lo spirito e l’esistenza. Hanno deformato le
parole adattandole alle proprie vedute limitate. Nessuna forma di violenza ha
cambiato la società nel senso più fondamentale. Grandi dominatori per mezzo
dell’autorità di pochi hanno realizzato un certo tipo di ordine nella società. Anche i
totalitaristi hanno stabilito superficialmente con la violenza e la tortura una
parvenza di ordine. Non stiamo discutendo di un tale ordine nella società.
Diciamo in modo ben preciso e molto vigoroso che solo la responsabilità
totale di tutta l’umanità – che è amore – può trasformare fondamentalmente lo
stato presente della società. Qualsiasi possa essere il sistema esistente nelle varie
parti del mondo, è corrotto, degenerato e completamente immorale. Dovete
soltanto guardarvi intorno per accorgervene. In tutto il mondo si spendono milioni
su milioni per gli armamenti, e tutti i politici parlano di pace mentre si preparano
alla guerra. Le religioni hanno dichiarato più e più volte la santità della pace,
eppure hanno incoraggiato le guerre, e violenze e torture di una natura più
sottile. Vi sono innumerevoli suddivisioni e sette con i propri preti, rituali e tutte
quelle assurdità che seguitano a esistere nel nome di Dio e della religione. Dove
vi è la divisione vi deve essere il disordine, la lotta, il conflitto – sia essa religiosa,
politica o economica. La nostra società moderna è fondata sull’avidità, sull’invidia
e sul potere. Quando considerate tutto questo com’è realmente – questo
mercantilismo soffocante – esso esprime degenerazione e immoralità
fondamentale. Il cambiare radicalmente gli schemi della nostra vita, che è la base
di ogni società, è la responsabilità dell’insegnante. Noi stiamo distruggendo la
terra e tutte le cose in essa vengono distrutte per il nostro soddisfacimento.
L’istruzione non è solo l’insegnamento delle varie materie accademiche, ma la
coltivazione della responsabilità totale nello studente. Non si comprende che
l’insegnante, in quanto tale, dà vita a una nuova generazione. La maggior parte
delle scuole si occupa unicamente di impartire nozioni. Non si interessa affatto
della trasformazione dell’uomo e della sua vita quotidiana, e voi – gli insegnanti
delle nostre scuole – avete bisogno di profondo interesse e di attenzione per
questa responsabilità totale.
In che modo potete aiutare lo studente a percepire in tutta la sua
perfezione questa qualità di amore? Se voi stessi non lo sentite profondamente,
non ha senso parlare di responsabilità. Voi, come insegnanti, ne potete sentire la
realtà?
Comprendere la realtà di ciò darà origine in modo naturale a questo amore
e responsabilità totale. Dovete riflettere su di esso, osservarlo quotidianamente
nella vostra vita, nei rapporti con vostra moglie, gli amici, gli studenti. E nei
rapporti con gli studenti ne dovrete parlare dal cuore – non ricercare soltanto la
chiarezza verbale. La sensazione di questa realtà è il massimo dono che un uomo
possa avere, e una volta che essa brucia in voi, voi troverete la parola giu sta,
l’azione giusta e il comportamento corretto. Se considerate lo studente vedrete
che egli giunge a voi totalmente impreparato a tutto questo. Giunge a voi
spaventato, nervoso, preoccupato di soddisfare o sulla difensiva, condizionato dai
genitori e dalla società in cui ha vissuto i suoi pochi anni. Dovete considerare il
suo ambiente, vi dovete interessare di ciò che egli è realmente e non imporgli
opinioni, conclusioni e giudizi personali. Nel considerare ciò che egli è vi si rivelerà
ciò che siete voi, e così scoprirete che lo studente è voi stessi.
E ora, nell’insegnamento della matematica, della fisica e così via che egli
deve conoscere perché in questo modo ci si guadagna da vivere – siete in grado
di comunicare allo studente che egli è responsabile di tutta l’umanità? Benché
possa lavorare per la propria carriera, per il proprio modo di vivere, ciò non
renderà limitata la sua mente. Comprenderà il pericolo della specializzazione con
tutti i suoi limiti e la sua strana brutalità. Dovete aiutarlo a comprendere tutto
questo. La fioritura della bontà non sta nella conoscenza della matematica e della
biologia o nel superare gli esami e nell’avere una carriera felice. Esiste al di fuori
di queste cose e quando vi è quella fioritura, la carriera e le altre attività
necessarie sono influenzate dalla sua bellezza. Attualmente mettiamo in evidenza
una cosa e trascuriamo completamente la fioritura. Nelle nostre scuole tentiamo
di riunirle, non artificialmente, non come un principio o un modello da seguire, ma
perché comprendiate la verità assoluta, cioè che queste due devono fluire insieme
per la rigenerazione dell’uomo.
Siete in grado di farlo? – non perché voi tutti acconsentiate a farlo dopo
aver discusso ed essere giunti a una conclusione, ma piuttosto perché ne
comprendiate con un occhio interiore la straordinaria importanza: la
comprendiate da soli. Allora ciò che dite avrà senso. Diverrete un centro di luce
che brilla di luce propria. Poiché voi siete tutta l’umanità – cosa che è una realtà e
non una dichiarazione verbale – siete totalmente responsabili del futuro
dell’uomo. Vi prego di non considerarlo un fardello. Se lo fate, questo fardello è
un insieme di parole senza alcuna realtà. È un’illusione. Questa responsabilità ha
la propria gaiezza, il proprio umore, il proprio moto senza il peso del pensiero.
1 gennaio 1979
Poiché ci occupiamo dell’istruzione, vi sono due fattori che dobbiamo tenere
a mente in ogni momento. Uno è la diligenza e l’altro la negligenza. La maggior
parte delle religioni ha parlato dell’attività mentale, che deve essere controllata,
modellata, dalla volontà di Dio o da qualche agente esterno; e la devozione verso
una certa divinità, creata dalla mano o dalla mente, ha bisogno di una certa
qualità di attenzione in cui sono coinvolti l’emozione, il sentimento e l’immagi-
nazione romantica. Questa è l’attività mentale che è il pensiero. La parola
diligenza significa cura, attenzione, osservazione e un senso profondo di libertà.
La devozione a un oggetto, una persona o un principio nega questa libertà. La
diligenza è l’attenzione che dà origine in modo naturale a una cura infinita,
all’interesse e alla freschezza dell’affetto. Tutto ciò richiede una grande sensibilità.
Si è sensibili ai propri desideri o ferite psicologiche, o si è sensibili a una persona
particolare, osservandone i desideri e rispondendo prontamente ai suoi bisogni;
ma questa specie di sensibilità è molto limitata e la si può definire a stento
sensibile. La caratteristica della sensibilità di cui stiamo parlando viene fuori
naturalmente quando vi è la responsabilità totale, cioè l’amore. La diligenza ha
questa caratteristica.
La negligenza è indifferenza, pigrizia; indifferenza verso l’organismo fisico,
verso lo stato psicologico, e indifferenza verso gli altri. Nell’indifferenza vi è
l’insensibilità. In questo stadio la mente diviene tarda, l’attività del pensiero
rallenta, viene a mancare la prontezza di percezione e la sensibilità diviene una
cosa incomprensibile. La maggior parte di noi è talvolta diligente ma più spesso
negligente. Questi non sono realmente opposti. Se lo fossero, la diligenza sarebbe
ancora negligenza. La diligenza è la conseguenza della negligenza? Se lo è, fa
ancora parte della negligenza e pertanto non è realmente diligente.
La maggior parte degli uomini è diligente nei propri interessi personali,
quando si identificano con la famiglia, un gruppo particolare, una setta o una
nazione. In quegli interessi vi è il germe della negligenza benché vi sia una
preoccupazione costante per se stessi. Preoccupazione limitata e perciò
negligente; è un’energia trattenuta entro un limite ristretto. La diligenza è la
libertà dalla preoccupazione accentrata su se stessi e produce un’abbondanza di
energia. Quando si comprende la natura della negligenza l’altra viene alla luce
senza alcuno sforzo. Quando lo si comprende a fondo – non soltanto le definizioni
verbali di negligenza e diligenza – si manifesterà la somma perfezione nel nostro
pensiero, nell’azione e nel comportamento. Ma, sfortunatamente, non chiediamo
mai a noi stessi la qualità massima del pensiero, dell’azione e del
comportamento. Non sfidiamo mai noi stessi e, quando lo facciamo, abbiamo
varie scuse per non rispondere completamente. Ciò rivela un’indolenza della
mente, la debole attività del pensiero, non è vero? Il corpo può essere pigro ma la
mente, con la sua prontezza di pensiero e sottigliezza, mai. Si può comprendere
facilmente la pigrizia del corpo, essa può derivare dal fatto che si è lavorato
eccessivamente o si è abusato di qualcosa, o si è giuocato troppo. Perciò il corpo
ha bisogno di riposo, che si può considerare pigrizia benché non lo sia. La mente
attenta, essendo vigile, sensibile, sa quando l’organismo ha bisogno di riposo e di
cura.
Nelle nostre scuole, è importante comprendere che la qualità di energia, che
è la diligenza, richiede il giusto tipo di cibo, il giusto tipo di esercizio fisico e un
periodo di riposo sufficiente. L’abitudine, la routine, è la nemica della diligenza –
l’abitudine del pensiero, dell’azione, del comportamento. Il pensiero stesso si crea
i propri schemi e vive in essi. Allorché questo schema viene sfidato, o viene
trascurato o il pensiero si crea un altro schema di sicurezza. Ecco il moto del
pensiero – da uno schema all’altro, da una conclusione, una credenza, all’altra.
Questa è la vera negligenza del pensiero. La mente diligente non ha alcuna
abitudine; non ha alcuno schema di risposta. È un movimento incessante, che
non si consolida mai in abitudine, che non è mai imprigionato in conclusioni.
Il movimento ha una grande profondità e mole quando non ha alcun limite
causato dalla negligenza del pensiero.
Poiché ci occupiamo ora dell’istruzione, in che modo questa diligenza con la
sua sensibilità, con la sua grande attenzione in cui non vi è posto per la pigrizia
dello spirito può essere comunicata dalmaestro? Naturalmente è sottinteso che
l’insegnante si interessa di questo problema e comprende l’importanza della
diligenza per tutta la vita. In questo caso, come si accingerà a coltivare il fiore
della diligenza? Si interessa profondamente dello studente? Si assume realmente
la responsabilità totale di quei giovani che gli sono affidati? O è lì soltanto per
guadagnarsi da vivere, costretto dalla preoccupazione per i propri averi? Come
abbiamo sottolineato nelle lettere precedenti, l’insegnamento è la massima
funzione dell’uomo. Siete lì e avete gli studenti davanti a voi. Siete indifferenti? I
vostri problemi personali di casa esauriscono la vostra energia?
Il portare i problemi psicologici di giorno in giorno è un’assoluta perdita di
tempo e di energia, che rivela la negligenza. La mente diligente affronta il
problema al suo sorgere, ne osserva la natura e lo risolve immediatamente.
Trascinare un problema psicologico non è risolverlo. È una dispersione di energia
e dello spirito. Quando risolvete i problemi com’essi nascono, scoprirete che non
vi sono affatto problemi.
Quindi dobbiamo tornare alla domanda: come insegnanti nella nostra o in
qualsiasi altra scuola, potete coltivare la diligenza? Solo in essa viene alla luce la
fioritura della bontà. È la vostra responsabilità totale, irrevocabile, e in essa vi è
quell’amore che troverà istintivamente un modo di aiutare lo studente.

15 gennaio 1979
È importante che il maestro nelle nostre scuole si senta sicuro tanto
economicamente quanto psicologicamente. Alcuni maestri possono essere
desiderosi di insegnare senza interessarsi molto della propria condizione
economica; possono essere lì per l’insegnamento e per ragioni psicologiche, ma
ogni maestro si dovrebbe sentire sicuro nel senso di essere a casa, assistito, privo
di preoccupazioni finanziarie. Se il maestro stesso non si sente sicuro e pertanto
non si sente libero di fare attenzione allo studente e alla sua sicurezza, non sarà
in grado di essere totalmente responsabile. Se il maestro non è felice in se
stesso, la sua attenzione sarà divisa ed egli sarà incapace di esercitare
interamente la propria funzione.
Perciò diventa importante da parte nostra scegliere i maestri giusti,
invitando ciascuno a fermarsi per qualche tempo nelle nostre scuole in modo da
scoprire se si può unire felicemente alle attività svolte. Ciò deve essere reciproco.
In tal caso il maestro, essendo felice, sicuro, sentendosi a casa, può creare nello
studente quel senso di sicurezza, quella sensazione che la scuola è la sua casa.
Sentirsi a casa significa che non vi è alcun senso di paura, che si è protetti
fisicamente, assistiti e liberi, non è vero? La protezione, sebbene lo studente si
possa opporre all’idea di essere protetto, sorvegliato, non significa che egli è
tenuto in una prigione, relegato e sorvegliato in modo critico. Ovviamente la
libertà non significa fare ciò che si desidera, ed è ugualmente ovvio che ciò non è
sempre possibile. Il tentativo di fare ciò che si desidera – la cosiddetta libertà
individuale, cioè scegliere una linea d’azione conforme al proprio desiderio – ha
provocato nel mondo una confusione sociale ed economica. La reazione a questa
confusione è il totalitarismo.
La libertà è una cosa molto complessa. Ci si deve accostare a essa con la
massima attenzione, perché la libertà non è l’opposto della schiavitù né una fuga
dalle circostanze in cui si è imprigionati. Non èuna libertà da un qualcosa, o lo
scampo da una costrizione. La libertà non ha alcun opposto; esiste per se stessa.
La comprensione stessa della natura della libertà è il risveglio dell’intelligenza.
Non è un adattamento a ciò che esiste, ma la comprensione di ciò che esiste e
quindi il trascenderlo. Se il maestro non comprende la natura della libertà imporrà
allo studente soltanto i propri pregiudizi, limiti e conclusioni. Così lo studente
naturalmente si opporrà o accetterà per paura, divenendo un essere umano
convenzionale, o timido o aggressivo. Solo con la comprensione di questa libertà
di vita, non il suo concetto o la sua approvazione verbale che diviene uno slogan,
la mente è libera di imparare.
La scuola, dopo tutto, è un luogo in cui lo studente è fondamentalmente
felice, non tiranneggiato, non spaventato dagli esami, non costretto ad agire
secondo un modello, un sistema. È un luogo in cui viene insegnata l’arte di
imparare. Se lo studente non è felice, è incapace di imparare quest’arte.
La memorizzazione, il registrare le informazioni, è considerata
apprendimento. Ciò produce una mente che è limitata e pertanto profondamente
condizionata. L’arte di imparare equivale a dare il posto giusto alle informazioni,
ad agire abilmente secondo quel che viene appreso, ma allo stesso tempo a non
essere legati psicologicamente dai limiti delle conoscenze e dalle immagini o
simboli creati dal pensiero. Arte significa mettere ogni cosa al suo proprio posto,
non in conformità a qualche ideale. Comprendere il meccanismo degli ideali e
delle conclusioni equivale a imparare l’arte dell’osservazione. Un concetto
costruito dal pensiero, o verso il futuro o secondo il passato, è un ideale – un’idea
proiettata o un ricordo. È uno spettacolo di ombre, un trasformare la realtà in
astrazione. Quella astrazione è una fuga da ciò che sta accadendo in questo
momento. La fuga dalla realtà è infelicità.
Ora, possiamo noi, come maestri, aiutare lo studente a essere felice in
senso reale? Possiamo aiutarlo a occuparsi di ciò che accade realmente? Questa è
attenzione. Lo studente che osserva una foglia ondeggiare nel sole è attento. In
quel momento, costringerlo a ritornare al libro equivale a scoraggiare
l’attenzione; mentre aiutarlo a osservare perfettamente quella foglia lo rende
consapevole del culmine dell’attenzione in cui non vi è alcuna distrazione. Allo
stesso modo, poiché ha appena visto cosa significhi l’attenzione, sarà capace di
rivolgersi al libro o a qualsiasi altra cosa si stia insegnando. In quell’attenzione
non vi è alcuna costrizione, alcun conformismo. È la libertà in cui vi è
l’osservazione totale. L’insegnante stesso è in grado di avere quella specie di
attenzione? Solo in questo caso può aiutare un altro.
Per massima parte lottiamo contro le distrazioni. Non vi è alcuna
distrazione. Immaginate di sognare a occhi aperti o che la vostra mente stia
vagando senza meta; ciò è quanto accade realmente. Osservatelo.
Quell’osservazione è attenzione. Quindi non vi è alcuna distrazione.
Lo si può insegnare agli studenti, si può imparare quest’arte? Voi siete
totalmente responsabili dello studente; dovete creare un’atmosfera
d’apprendimento, una serietà in cui vi sia un senso di libertà e felicità.

1 febbraio 1979
Come abbiamo già indicato diverse volte in queste lettere, le scuole
esistono in primo luogo per operare una profonda trasformazione negli esseri
umani. L’insegnante ne è completamente responsabile. Se il maestro non
comprende questo fattore centrale, allo studente insegnerà unicamente a divenire
un uomo d’affari, un ingegnere, un avvocato o un politico. Vi sono molti maestri
di questo tipo che sembrano incapaci di trasformare sia se stessi che la loro
società. Probabilmente nella struttura attuale della società gli avvocati e gli
uomini d’affari sono necessari, ma quando nacquero le nostre scuole il loro scopo
era, e resta, quello di trasformare profondamente l’uomo. Gli insegnanti lo
dovrebbero comprendere realmente, non intellettualmente, non come un
concetto, ma comprendendone con tutto il loro essere la piena implicazione. Noi
ci occupiamo dello sviluppo totale di un essere umano, e non unicamente di
accumulare conoscenze.
Le idee e gli ideali sono una cosa, e il fatto, l’avvenimento reale, è un’altra
cosa. I due non si possono mai riunire. Gli ideali sono stati imposti sulla realtà e
alterano ciò che accade per uniformarlo a ciò che dovrebbe essere, l’ideale.
L’utopia è una conclusione tratta da ciò che accade e sacrifica la realtà per
uniformarsi a ciò che si è idealizzato. Questo è stato il procedimento per millenni,
e ogni studente e tutti gli intellettuali si dilettano di ideazioni. La fuga da ciò che
esiste è il principio della corruzione della mente. Questa corruzione pervade tutte
le religioni, la politica e l’istruzione, tutti i rapporti umani. Il nostro interesse è
quello di comprendere il processo di fuga e superarlo.
Gli ideali corrompono la mente: nascono dalle idee, dai giudizi e dalla
speranza. Gli ideali sono astrazioni da ciò che esiste, e una qualsiasi idea o
conclusione su ciò che accade realmente distorce l’avvenimento, e così ha luogo
la corruzione. Sottrae l’attenzione dalla realtà, da ciò che esiste, e così la dirige
verso l’immaginario. L’allontanamento dalla realtà crea simboli, immagini, che
quindi assumono un’importanza che distrugge ogni cosa. L’allontanamento dalla
realtà è la corruzione della mente. Gli esseri umani si abbandonano a esso nelle
conversazioni, nei loro rapporti, in quasi tutto ciò che fanno. La realtà è convertita
istantaneamente in un concetto o in una conclusione che quindi detta le nostre
reazioni. Quando si vede qualcosa, il pensiero immediatamente ne fa un
duplicato, e questo diviene la realtà. Voi vedete un cane, e istantaneamente il
pensiero si rivolge a qualsiasi immagine possiate avere riguardo ai cani, e così
non vedete mai il cane.
Si può insegnare agli studenti ad attenersi al fatto, la realtà che accade in
questo momento, sia psicologicamente o esteriormente? La conoscenza non è la
realtà, ma un qualcosa che la riguarda per cui, benché abbia una propria
funzione, impedisce la percezione di ciò che è realmente; allora ha luogo la
corruzione.
È davvero molto importante comprenderlo. Gli ideali vengono considerati
nobili, elevati, pieni di significato, e ciò che accade realmente viene considerato
puramente sensoriale, terreno e di minor valore. Le scuole di tutto il mondo
hanno qualche scopo elevato, un ideale; in questo modo educano gli studenti alla
corruzione.
Cosa corrompe la mente? Usiamo la parola mente per intendere i sensi, la
facoltà di pensare, e il cervello che immagazzina tutte le memorie e le esperienze
come conoscenza. Questo moto completo è la mente. Il conscio come pure
l’inconscio, la cosiddetta supercoscienza, tutto questo è la mente. Ci chiediamo:
quali sono i fattori, i germi della corruzione in tutto ciò? Abbiamo detto che gli
ideali corrompono. Anche la conoscenza corrompe la mente. La conoscenza, par-
ticolare o ampia, è un moto del passato, e quando il passato adombra la realtà,
ha luogo la corruzione. La conoscenza, che è proiettata nel futuro, e dirige ciò che
accade in questo momento, è corruzione. Usiamo la parola corruzione per
intendere ciò che viene fatto a pezzi, ciò che non viene considerato un tutto. Non
si può mai fare a pezzi la realtà; non si può mai limitare con la conoscenza la
realtà. La completezza della realtà schiude la porta all’infinito. Non si può dividere
la completezza; essa non si contraddice; non può suddividere se stessa. La
completezza, la totalità, è il moto infinito.
L’imitazione, o conformismo, è uno dei grandi fattori di corruzione della
mente; il modello, l’eroe, il salvatore, il guru, è il fattore dicorruzione più
rovinoso. Il seguire, l’obbedire, il conformarsi, negano la libertà. La libertà esiste
dall’inizio, non dalla fine. Non è un conformarsi, un imitare, un accettare
dapprima per poi trovare infine la libertà. Questo è lo spirito del totalitarismo, sia
del guru o del prete. Questa è la crudeltà, la spietatezza del dittatore,
dell’autorità, del guru o del sommo sacerdote.
Quindi l’autorità è corruzione. L’autorità è fare a pezzi l’integrità, l’intero, il
completo – l’autorità del maestro nella scuola, l’autorità di uno scopo, di un
ideale, di colui che afferma di sapere, l’autorità di una istituzione. La pressione
dell’autorità in ogni aspetto è il fattore alterante della corruzione.
Fondamentalmente l’autorità nega la libertà.
La funzione del vero insegnante è quella di istruire, mostrare, informare,
senza l’influenza corrompente dell’autorità. L’autorità del confronto distrugge.
Quando uno studente è confrontato a un altro, li si danneggia entrambi. Vivere
senza confronti vuol dire essere integri. Voi, o maestri, lo farete?

15 febbraio 1979
Sembra che gli esseri umani abbiano un’enorme quantità di energia. Sono
stati sulla luna, hanno scalato le vette più alte della terra, hanno avuto un’energia
prodigiosa per le guerre, per gli strumenti bellici, e una grande energia per lo
sviluppo tecnologico, per accumulare quelle vaste conoscenze raccolte dall’uomo,
per lavorare ogni giorno, l’energia per costruire le piramidi e per esplorare
l’atomo. Quando si considera tutto ciò è impressionante rendersi conto di quanta
energia abbia consumato l’uomo. Questa energia è stata dedicata all’indagine
delle cose esteriori, ma l’uomo ha speso pochissima energia per indagare tutta la
struttura psicologica di se stesso. È necessaria l’energia, sia esteriormente che
interiormente, per agire o essere totalmente muti.
L’azione e la nonazione richiedono una grande energia. Abbiamo usato
l’energia positivamente nelle guerre, nello scrivere libri, negli interventi chirurgici,
per lavorare sul fondo dei mari. La nonazione richiede molta più azione della
cosiddetta azione positiva. L’azione positiva è il controllare, il sostenere, l’evitare.
La nonazione è l’attenzione totale dell’osservazione. In questa osservazione ciò
che viene osservato subisce una trasformazione. Questa osservazione silenziosa
non richiede soltanto energia fisica ma anche una profonda energia psicologica.
Noi siamo abituati alla prima e questo condizionamento limita la nostra energia.
Nell’osservazione totale, silenziosa, che è la nonazione, non vi è alcun dispendio
di energia, e così l’energia è infinita.
La nonazione è l’opposto dell’azione. L’andare al lavoro ogni giorno, un anno
dopo l’altro per tanto tempo, che può essere necessario da come stanno le cose,
limita effettivamente, ma il non lavorare non vuol dire che avrete un’energia
illimitata. La stessa pigrizia della mente è una dispersione di energia, com’è
l’indolenza del corpo. La nostra istruzione in ogni campo limita questa energia. Il
nostro sistema di vita, che è una lotta costante per divenire e non dive nire, è la
dissipazione dell’energia.
L’energia è eterna e non la si può misurare. Ma le nostre azioni sono
misurabili, e così noi abbassiamo questa energia illimitata nella stretta orbita
dell’io. E, avendola imprigionata, cerchiamo l’immensurabile. Questa ricerca fa
parte dell’azione positiva ed è dispersione di energia psicologica. Quindi vi è un
moto senza fine entro gli archivi dell’io.
Nell’istruzione, il nostro interesse è quello di liberare la mente dall’io. Come
abbiamo detto in diverse occasioni in queste lettere, è nostro compito dare
origine a una nuova generazione libera da questa energia limitata definita “io”. Si
deve ripetere ancora una volta che le nostre scuole esistono per realizzare tale
scopo.
Nella lettera precedente abbiamo parlato della corruzione della mente. Il
germe di tale corruzione è l’io. L’io è l’immagine, la raffigurazione, la parola che
viene trasmessa di generazione in generazione, e si deve lottare con il peso della
tradizione dell’io. Questo fatto – non la conseguenza di questo fatto o come esso
si sia prodotto – è abbastanza facile da spiegare; mentre osservare il fatto con
tutte le sue reazioni senza un movente che alteri il fatto, è l’azione negativa.
Questa allora trasforma il fatto. È importante comprenderlo molto
profondamente; non agire sulla realtà ma osservare cos’è.
Ogni essere umano è ferito sia psicologicamente che fisicamente. È
relativamente facile affrontare il dolore fisico, ma il dolore psicologico rimane
nascosto. La conseguenza di questa ferita psicologica è il costruirsi un muro
intorno, il resistere a un ulteriore dolore e perciò il divenire timorosi o il ritirarsi in
isolamento. La ferita è stata prodotta dall’immagine dell’io con la sua energia
limitata. Poiché è limitata è danneggiata. Non si può mai danneggiare ciò che non
è misurabile, non lo si può mai corrompere. Qualsiasi cosa sia limitata può essere
ferita, mentre ciò che è intero è oltre la portata del pensiero.
L’insegnante può aiutare lo studente a non essere mai ferito
psicologicamente, non solo durante la scuola ma per tutta la vita? Se l’insegnante
comprende il grande danno che deriva da quella ferita, come istruirà lo studente?
Cosa farà effettivamente affinché lo studente non sia mai ferito per tutta la vita?
Lo studente arriva alla scuola già ferito. Probabilmente non ne è consapevole. Il
maestro, osservandone le reazioni, le paure e l’aggressività, scoprirà il danno che
è stato fatto. Perciò egli ha due problemi: liberare lo studente dal danno passato
e impedire danni futuri. È questo che vi interessa? O voi leggete semplicemente
questa lettera, la comprendete intellettualmente, che equivale a non
comprenderla affatto, e così non vi interessate dello studente? Ma se vi
interessate, come dovreste, come affronterete questo fatto – che egli è ferito e
che voi dovete impedire a tutti i costi ogni ferita ulteriore? In che modo vi
accostate al problema? Qual è lo stato della vostra mente quando gli siete di
fronte? È anche il vostro problema, non solo quello dello studente. Voi siete feriti
e così e lo studente. Quindi siete interessati entrambi: non è un problema
unilaterale; voi siete coinvolti quanto lo studente. Osservate, il coinvolgimento è il
fattore principale che dovete affrontare. Il desiderare unicamente di essere liberi
dalla vostra ferita passata e lo sperare di non essere mai feriti di nuovo è una
dispersione di energia. L’attenzione assoluta, l’osservazione di questo fatto, non
solo vi racconterà la storia della ferita stessa, ma proprio questa attenzione
disperde, cancella la ferita.
Quindi l’attenzione è questa immensa energia che non può essere mai ferita
o corrotta. Vi prego di non accettare ciò che viene detto in queste lettere.
L’approvazione è la distruzione della verità. Mettetelo alla prova – non in qualche
momento futuro, ma mettetelo alla prova mentre leggete questa lettera. Quando
lo mettete alla prova, non casualmente ma con tutto il vostro cuore ed essere, ne
scoprirete da soli la verità. E solo allora sarete in grado di aiutare lo studente a
cancellare il passato e ad avere una mente invulnerabile.

1 marzo 1979
Queste lettere sono scritte in uno spirito amichevole. Non si propongono di
dominare il vostro pensiero o di convincervi a uniformarvi al modo in cui lo
scrivente pensa o sente. Non sono propaganda. In realtà, sono un dialogo tra voi
e lo scrivente, tra amici che discutono i propri problemi, e nella buona amicizia
non vi è mai alcun senso di competizione o dominio. Anche voi dovete aver
osservato lo stato del mondo e della nostra società, e come vi debba essere una
trasformazione radicale nel modo di vivere degli uomini, nei loro rapporti
reciproci, nei loro rapporti con il mondo come un insieme e in ogni modo
possibile. Discutiamo tra noi, essendo tutti profondamente interessati non solo del
nostro sé individuale, ma anche degli studenti di cui siete completamente
responsabili. Il maestro è la persona più importante della scuola, perché da lui
dipende il benessere futuro dell’umanità. Non è una semplice affermazione
verbale; è una realtà assoluta e irrevocabile. Solo quando lo stesso insegnante
sentirà la dignità e il rispetto impliciti nella sua professione, sarà consapevole che
l’insegnamento è l’occupazione più elevata, superiore a quella del politico,
superiore a quella dei principi del mondo. Lo scrivente intende dire realmente
ogni singola parola e quindi, vi prego, non ignoratele come esagerazioni o
tentativi di farvi sentire un’importanza irreale. Voi e gli studenti dovete fiorire
insieme nella bontà.
Abbiamo messo in luce i fattori corrompenti o degeneranti della mente.
Poiché la società si sta disgregando, le nostre scuole devono essere centri per la
rigenerazione della mente. Non del pensiero. Non si può mai rigenerare il
pensiero perché il pensiero è sempre limitato, ma è possibile una rigenerazione
della totalità della mente. Quando si siano esaminate a fondo le vie della
degenerazione, questa possibilità non è concettuale ma reale. Nelle lettere
precedenti abbiamo esplorato alcune di queste vie.
Ora dobbiamo esaminare anche la natura distruttiva della tradizione,
dell’abitudine e dei sistemi di pensiero che si basano sulla ripetizione. Sembra che
il seguire, l’accettare la tradizione, diano una certa sicurezza alla propria vita, sia
esteriore che interiore. La ricerca della sicurezza in ogni modo possibile è il
movente, la forza motrice della maggior parte delle nostre azioni. L’esigenza di
sicurezza psicologica adombra la sicurezza fisica rendendola così incerta. Questa
sicurezza psicologica è la base della tradizione trasmessa da una generazione
all’altra tramite le parole, i rituali, le credenze – religiosi, politici o sociologici.
Raramente contestiamo la norma stabilita, ma quando lo facciamo cadiamo
invariabilmente nella trappola di un nuovo modello. Questo è stato il nostro
sistema di vita: rifiutare una cosa e accettarne un’altra. Il nuovo è più attraente e
il vecchio viene lasciato alla generazione passata. Ma entrambe le generazioni
sono intrappolate in modelli, in sistemi, e questo è il movimento della tradizione.
La parola stessa significa conformismo, sia moderno o antico. Non vi è alcuna
tradizione buona o cattiva: vi è solo la tradizione, la vana ripetizione di rituali in
ogni chiesa, tempio o moschea. Essi sono assolutamente privi di senso, ma
l’emozione, il sentimento, il romanticismo, l’immaginazione gli donano colore e
illusione. È la natura della superstizione e ogni prete al mondo la incoraggia. Il
processo di abbandonarsi a cose prive di senso o di affidarsi a cose senza
significato è una dispersione di energia che degenera la mente. Si deve essere
profondamente consapevoli di queste realtà, e la stessa attenzione dissolve ogni
illusione.
Vi è quindi l’abitudine. Non vi sono affatto abitudini buone o cattive; vi è
soltanto l’abitudine. Abitudine significa un’azione che si ripete, che ha origine dal
non essere consci. Si prendono le abitudini deliberatamente o si è convinti per
mezzo della propaganda; o, avendo paura, si assumono riflessi autodifensivi. Lo
stesso per il piacere. Il seguire una routine, per quanto sia efficace o necessario
nella vita quotidiana, può condurre, e generalmente conduce, a un sistema di vita
meccanico. Si può fare la stessa cosa alla stessa ora ogni giorno senza che essa
divenga un’abitudine se vi è la consapevolezza di ciò che si fa. L’attenzione
disperde l’abitudine. Le abitudini si formano solo quando non vi è alcuna
attenzione. Vi potete alzare alla stessa ora ogni mattino e sapete perché vi state
alzando. Questa consapevolezza può sembrare a un altro un’abitudine, buona o
cattiva, ma inrealtà per colui che è consapevole, attento, non esiste alcuna
abitudine. Noi prendiamo abitudini psicologiche o routine perché crediamo che
questo sia il sistema di vita più comodo, e se osservate attentamente anche nelle
abitudini formate nei rapporti, personali o altro, vi è un certo carattere di pigrizia,
trascuratezza e noncuranza. Tutto ciò dà un falso senso di intimità, sicurezza e
facile crudeltà. Nell’abitudine vi è ogni pericolo: l’abitudine di fumare, l’azione che
si ripete, l’impiego di parole, pensieri o comportamenti. Ciò rende la mente
completamente insensibile, e il processo degenerante è portato a trovare qualche
forma di sicurezza illusoria quale la nazione, una credenza o un ideale, e ad
aggrapparsi a essa. Tutti questi fattori sono molto distruttivi per la sicurezza
reale. Viviamo in un mondo immaginario che è divenuto una realtà. Confutare
questa illusione equivale a divenire un rivoluzionario o a essere permissivi. Questi
sono entrambi fattori di degenerazione.
In sostanza, il cervello con tutte le sue facoltà straordinarie è stato
condizionato di generazione in generazione ad accettare questa sicurezza fallace,
che è diventata ora un’abitudine radicata. Per abbattere questa abitudine noi
subiamo varie forme di tortura, molteplici evasioni, o ci buttiamo in qualche
utopia idealistica e così via. Il problema dell’insegnante è quello di indagare, e la
sua facoltà creativa sta nell’osservare con grande attenzione il proprio
condizionamento radicato e quello dello studente. È un processo reciproco: non
dovete esaminare dapprima il vostro condizionamento e quindi informare l’altro
delle vostre scoperte, ma esplorare insieme e scoprire la verità. Ciò richiede una
certa specie di pazienza; non una pazienza in senso temporale, ma la
perseveranza e l’attenzione diligente della responsabilità totale.

15 marzo 1979
Noi siamo diventati troppo abili. I nostri cervelli sono stati addestrati a
divenire molto brillanti verbalmente e intellettualmente. Sono zeppi di moltissime
informazioni e noi ci serviamo di questo fatto per ottenere una carriera
vantaggiosa. La persona abile e intellettuale viene lodata e stimata. Sembra che
tali persone usurpino tutte le posizioni più importanti del mondo: hanno il potere,
la posizione, il prestigio. Ma alla fine la loro abilità le tradisce. Il loro cuore non ha
mai saputo cosa sia l’amore o la carità o la generosità profonda, perché esse sono
rinchiuse nella loro vanità e arroganza. Questo è divenuto il modello di tutte le
scuole molto dotate. Il ragazzo o la ragazza, accettati nelle scuole convenzionali,
rimangono intrappolati nella civiltà moderna e sono insensibili all’intera bellezza
della vita.
Quando vagate per i boschi dalle ombre profonde chiazzate di luci e
improvvisamente vi trovate per caso in uno spazio aperto, in un prato verde
circondato da alberi maestosi, o presso un ruscello scintillante, vi domandate
perché l’uomo abbia perso il proprio rapporto con la natura e la bellezza della
terra, della foglia caduta e del ramo spezzato. Se avete perso i contatti con la
natura, perderete inevitabilmente i rapporti con gli altri. La natura non è soltanto
i fiori, il grazioso praticello verde o le acque che scorrono nel vostro giardinetto,
ma la terra intera con tutte le cose in essa. Noi pensiamo che la natura esista per
il nostro uso, per il nostro comodo, e così perdiamo la comunione con la terra.
Questa sensibilità verso la foglia caduta e il grande albero sulla collina è molto più
importante di tutti gli esami superati e dell’ottenere una carriera brillante. Queste
cose non sono tutta la vita. La vita è simile a un fiume immenso con un’enor me
massa d’acqua senza principio né fine. Da questa corrente veloce prendiamo un
secchio d’acqua, e quell’acqua limitata diviene la nostra vita. È il nostro
condizionamento e il nostro dolore eterno.
Il movimento del pensiero non è la bellezza. Il pensiero può creare ciò che
sembra bello – il dipinto, la statua di marmo o una bella poesia – ma esso non è
la bellezza. La bellezza è la sensibilità suprema, non rivolta alla sensazione dei
propri dolori e inquietudini, ma a racchiudere l’intera esistenza dell’uomo. Vi è la
bellezza solo quando la corrente dell’io si è prosciugata completamente. Quando
non vi è l’io, vi è la bellezza. Con l’abbandono del sé nasce la passione della
bellezza. Nelle nostre lettere abbiamo discusso insieme la degenerazione della
mente. Abbiamo presentato al vostro esame e indagine alcune vie di tale
deterioramento. Una delle sue attività basilari è il pensiero. Il pensiero è una
frattura della totalità della mente. L’intero contiene la parte, ma la parte non può
mai essere ciò che è completo. Il pensiero è la parte più attiva della nostra vita. Il
sentimento si unisce al pensiero. Essi sono essenzialmente una cosa sola sebbene
tendiamo a separarli. Avendoli separati, diamo molta importanza alla sensazione,
al sentimento, al romanticismo e alla devozione, ma il pensiero, come il filo di una
collana si insinua attraverso tutti questi, nascosto, vivo, controllando e
modellando. È sempre lì, anche se ci piace credere che le nostre profonde
emozioni siano essenzialmente diverse. In ciò sta una grande illusione, un
inganno tenuto in grande stima che conduce alla disonestà.
Come abbiamo detto, il pensiero è la realtà della nostra vita quotidiana.
Tutti i cosiddetti libri sacri sono frutto del pensiero. Li si può venerare come
rivelazioni ma sono essenzialmente pensiero. Il pensiero ha costruito la turbina e i
grandi templi della terra, il missile e l’inimicizia tra gli uomini. Il pensiero è il
responsabile delle guerre, della lingua usata e dell’immagine prodotta dalla mano
o dalla mente. Il pensiero domina i rapporti. Il pensiero ha descritto cosa sia
l’amore, i paradisi e il dolore della sofferenza. L’uomo venera il pensiero, ne
ammira le sottigliezze, l’astuzia, la violenza, le crudeltà per una ragione. Il
pensiero ha portato grandi progressi nella tecnologia e con essa l’abilità nel
distruggere. Ecco la storia del pensiero, ripetuta nei secoli.
Perché l’umanità ha attribuito un’importanza tanto straordinaria al
pensiero? Forse perché è la sola cosa che abbiamo, per quanto sia attivata dai
sensi? Perché il pensiero è stato capace di dominare la natura, dominare il suo
ambiente, e ha realizzato una certa sicurezza fisica? Perché è lo strumento più
elevato per mezzo del quale l’uomo opera, vive e si avvantaggia? Perché il
pensiero ha creato gli dèi, i salvatori, la supercoscienza, dimenticando
l’inquietudine, la paura, il dolore, l’invidia, la colpa? Perché tiene unite le persone
come nazione, gruppo o setta? Perché dà speranza a una vita oscura? Perché
presenta una breccia per evadere dal nostro noioso sistema di vita di tutti i
giorni? Perché, non sapendo quale sia il futuro, offre la sicurezza del passato, la
sua arroganza, la sua insistenza sull’esperienza? Perché nella conoscenza vi è la
stabilità, lo scampo dalla paura nella certezza del conosciuto? Perché il pensiero in
se stesso ha assunto una posizione invulnerabile, opponendosi allo sconosciuto?
Perché l’amore è inesplicabile, non misurabile, mentre il pensiero è misurato e
resiste al moto costante dell’amore?
Non abbiamo mai messo in discussione la natura stessa del pensiero.
Abbiamo accettato il pensiero come una cosa inevitabile, come gli occhi e le
gambe. Non abbiamo mai esplorato fino in fondo il pensiero: e poiché non lo
abbiamo mai discusso, ha assunto la preminenza. È il tiranno della nostra vita e i
tiranni sono sfidati raramente.
Quindi, come insegnanti, ci accingiamo ad esporlo alla luce brillante
dell’osservazione. La luce dell’osservazione non solo disperde istantaneamente
l’illusione, ma la sua chiarezza rivela i più minuti dettagli di ciò che si osserva.
Come abbiamo detto, l’osservazione non parte da un punto di vista fisso, da una
credenza, un pregiudizio o una conclusione. L’opinione è una cosa piuttosto
scadente e pretenziosa come anche l’esperienza. L’uomo esperto è una persona
pericolosa perché è intrappolato nella prigione della sua stessa conoscenza.
Potete quindi osservare con chiarezza straordinaria l’intero moto del
pensiero? Questa luce è libertà: non significa che voi l’avete catturato e usato a
vostro comodo e vantaggio. L’osservazione stessa del pensiero è l’osservazione di
tutto il vostro essere, e lo stesso essere è costruito dal pensiero. Come il pensiero
è finito, limitato, così siete voi.

1 aprile 1979
Ci occupiamo ancora della totalità della mente. La mente comprende i sensi,
le emozioni volubili, la facoltà del cervello e il pensiero incessante. Tutto ciò è la
mente, compresi i vari attributi della coscienza. Quando tutta la mente è in
attività essa è illimitata, ha grande energia e azione senza un’ombra di rimpianto
e una promessa di ricompensa. Questa caratteristica della mente, questa totalità,
è l’intelligenza. Si può comunicare allo studente questa intelligenza e aiutarlo ad
afferrarne prontamente il significato? Realizzarlo è sicuramente responsabilità
dell’insegnante.
La facoltà del pensiero viene modellata e controllata dal desiderio tanto che
essa ne è limitata; cioè è limitata dal moto del desiderio: il desiderio è l’essenza
della sensazione. L’ambizione limita la facoltà del cervello, cioè il pensiero. Questa
facoltà è ridotta dalle esigenze sociali ed economiche o dall’esperienza e da motivi
individuali. È limitata da un ideale, dalle sanzioni di varie credenze religiose, dalla
paura senza fine. La paura non è distinta dal piacere.
Il desiderio – l’essenza della sensazione – è modellato dall’ambiente, dalla
tradizione, dalle nostre inclinazioni e dal nostro temperamento. E così la facoltà o
azione che richiede un’energia totale è condizionata a seconda del nostro comodo
e piacere. Il desiderio è un fattore irresistibile della nostra vita, non lo si deve
soffocare o evitare, non si deve lusingarlo o discorrere con esso, ma piuttosto lo
si deve comprendere. Questa comprensione può nascere soltanto tramite l’esame
del desiderio e l’osservazione del suo moto. Conoscendo il fuoco stimolante del
desiderio, la maggior parte delle proibizioni religiose e settarie lo ha trasformato
in un qualcosa che si deve soffocare, controllare o abbandonare – consegnare,
per così dire, a una divinità o un principio. Gli innumerevoli voti fatti dagli uomini
interamente per negare il desiderio non lo hanno affatto estinto. È là.
Quindi ci dobbiamo accostare a esso in un modo diverso, tenendo a mente
che l’intelligenza non è destata dal desiderio. Il desiderio di andare sulla luna dà
origine a un’enorme conoscenza tecnica, ma questa conoscenza è un’intelligenza
limitata. La conoscenza è sempre specializzata e quindi incompleta, mentre noi
stiamo parlando dell’intelligenza che è il moto della totalità mentale. Noi ci
occupiamo di questa intelligenza e del suo risveglio in entrambi: l’insegnante e lo
studente.
Come abbiamo detto prima, la facoltà è limitata dal desiderio. Il desiderio è
la sensazione, la sensazione di una nuova esperienza, di nuove forme di
eccitazione, la sensazione di scalare le vette più alte della terra, la sensazione del
potere, della posizione sociale. Tutto ciò limita l’energia del cervello. Il desiderio
dà un’illusione di sicurezza, e il cervello, che ha bisogno di sicurezza, incoraggia e
favorisce ogni forma di desiderio. Quindi, se non comprendiamo il compito del de-
siderio, esso causa la degenerazione della mente. È davvero importante
comprenderlo.
Il pensiero è il moto di questo desiderio. La curiosità di scoprire è stimolata
dal desiderio di sensazioni maggiori e dalla certezza illusoria di sicurezza. La
curiosità ha conseguito l’enorme quantità di conoscenze che hanno il loro peso
nella nostra vita di tutti i giorni. La curiosità ha un significato nell’osservazione.
Il pensiero può essere il fattore principale della degenerazione della mente,
mentre l’intuizione schiude la porta alla totalità dell’azione. Nella prossima lettera
ci addentreremo nel significato completo dell’intuizione, ma per ora dobbiamo
discutere se il pensiero sia un fattore distruttivo della totalità mentale. Abbiamo
affermato che lo è. Non accettate questa affermazione finché non l’avrete
esaminata completamente e liberamente.
Per totalità mentale intendiamo la facoltà infinita e la sua vacuità assoluta
in cui vi è un’energia incommensurabile. Il pensiero, essendo limitato dalla sua
stessa natura, impone la sua limitatezza all’insieme, e così il pensiero è sempre in
prima linea. Il pensiero è limitato perché è il risultato della memoria e della
conoscenza accumulata con l’esperienza. La conoscenza è il passato e ciò che è
stato è sempre limitato. Il ricordo può proiettare un futuro. Questo futuro è legato
al passato, perciò il pensiero è sempre limitato. Il pensiero è misurabile – il più e
il meno, il più grande e il più piccolo. Questa misura è il movimento del tempo: io
sono stato, io sarò. Pertanto il pensiero, quando predomina, per quanto sia
sottile, astuto e vitale, corrompe la totalità, e noi abbiamo attribuito al pensiero la
massima importanza.
Vi posso chiedere se, dopo aver letto questa lettera, avete afferrato il
significato della natura del pensiero e della totalità della mente? E se l’avete
compreso, lo potete comunicare allo studente che è sotto la vostra responsabilità
totale? Questo è un argomento difficile. Se non avete alcuna luce non potete
aiutare un altro ad averla. Lo potete spiegare molto chiaramente o definirlo con
parole scelte, ma non avrà la forza della verità.

15 aprile 1979
Qualsiasi forma di conflitto, di lotta, corrompe la mente – la mente essendo
la totalità della nostra esistenza. Questa caratteristica viene distrutta quando vi
sia una specie qualsiasi di attrito, una qualsiasi contraddizione. Poiché la maggior
parte di noi vive in uno stato perenne di contraddizione e conflitto, questa
mancanza di totalità produce la degenerazione. Nella presente lettera ci
occupiamo di scoprire da soli se sia possibile far cessare questi fattori
degeneranti. Probabilmente la maggior parte di noi non ci ha mai pensato; l’ab-
biamo accettato come il sistema di vita normale. Abbiamo convinto noi stessi che
il conflitto porta uno sviluppo – come la competizione – e abbiamo varie
spiegazioni in merito: l’albero nella foresta lotta per la luce, il neonato lotta per il
respiro, la madre soffre per partorire. Noi siamo condizionati ad accettarlo e a
vivere in questo modo. Questo è stato il nostro sistema di vita per generazioni, e
qualsiasi suggerimento che forse vi potrebbe essere un sistema di vita senza
conflitto sembra quasi incredibile. Vi potete prestare ascolto come a un’assurdità
idealistica o rifiutarlo immediatamente, ma non riflettete mai se vi sia un qualsiasi
significato nell’affermazione che è possibile condurre una vita senza un’ombra di
conflitto. Quando ci occupiamo dell’integrità e responsabilità di far nascere una
nuova generazione, che è la nostra unica funzione di insegnanti, potete
esaminare questo fatto? E, nel processo stesso dell’istruzione, potete comunicare
allo studente quel che scoprite personalmente?
Ogni forma di conflitto è un indizio di resistenza. In un fiume rapido non vi è
alcuna resistenza; esso scorre intorno ai grandi massi, attraverso villaggi e città.
L’uomo lo controlla per i suoi scopi. In sostanza la libertà significa la mancanza di
quella resistenza che il pensiero si è costruito intorno, non è vero?
L’onestà è una cosa molto complessa. In cosa siete onesti e per quale
ragione? Potete essere onesti con voi stessi e nello stesso modoessere leali verso
un altro? È possibile dire che si deve essere onesti verso se stessi? L’onestà è una
faccenda di ideali? Può mai essere onesto l’idealista? Egli vive in un futuro
intagliato nel passato; è intrappolato tra ciò che è stato e ciò che dovrebbe
essere, e quindi non può mai essere onesto. Potete essere onesti con voi stessi? È
possibile? Siete il centro di varie attività, talvolta contraddittorie; di vari pensieri,
sentimenti e desideri che sono sempre in opposizione tra loro. Qual è il desiderio
o pensiero onesto, e quale non lo è? Queste non sono domande puramente
retoriche o abili controversie. È molto importante scoprire cosa significhi essere
completamente onesti perché ci accingiamo a occuparci dell’intuizione e
dell’immediatezza dell’azione. È assolutamente importante, se desideriamo
afferrare la profondità dell’intuizione, avere questa caratteristica di integrità
totale, quell’integrità che è l’onestà della totalità.
Si può essere onesti su un ideale, un principio o una credenza radicata.
Senza dubbio questa non è l’onestà. L’onestà può esistere soltanto quando non vi
è alcun conflitto delle dualità, quando l’opposto non esiste. Vi è l’oscurità e la
luce, la notte e il giorno; vi è l’uomo, la donna, l’alto, il basso e così via, ma è il
pensiero a renderli opposti, a metterli in contraddizione. Stiamo manifestando la
contraddizione psicologica coltivata dall’umanità. L’amore non è l’opposto dell’odio
o della gelosia. Se lo fosse, non sarebbe l’amore. L’umiltà non è l’opposto della
vanità o dell’orgoglio e dell’arroganza. Se lo fosse, sarebbe ancora parte
dell’arroganza e dell’orgoglio e quindi non umiltà. L’umiltà è completamente
separata da tutto ciò. La mente umile è inconsapevole della propria umiltà. Quindi
l’onestà non è l’opposto della disonestà.
Si può essere sinceri nelle proprie credenze o concetti, ma questa sincerità
produce il conflitto e dov’è il conflitto non vi può essere alcuna onestà. Perciò
chiediamo: potete essere onesti con voi stessi? Il vostro essere è un miscuglio di
molti movimenti che si ostacolano l’un l’altro, che si dominano l’un l’altro e
raramente fluiscono insieme. Quando tutti questi movimenti fluiscono insieme vi è
l’onestà. Di nuovo, vi è la separazione tra il conscio e l’inconscio, dio e il diavolo;
il pensiero ha prodotto questa divisione e il conflitto che esiste tra queste parti. La
bontà non ha alcun opposto.
Con questa nuova comprensione di cosa sia l’onestà, possiamo procedere
nell’esame di cosa sia l’intuizione? Essa è assolutamente importante, perché può
essere il fattore in grado di rivoluzionare le nostre azioni e di operare una
trasformazione nel cervello stesso. Abbiamo detto che il nostro sistema di vita è
divenuto meccanico: il passato con tutte le esperienze e conoscenze accumulate,
che sono le fonti del pensiero, dirige e modella ogni azione. Il passato e il futuro
sono interdipendenti e inseparabili, e lo stesso processo del pensiero è fondato su
ciò. Il pensiero è sempre limitato, finito; sebbene possa pretendere di
raggiungere il cielo, quello stesso cielo è entro la struttura del pensiero. La
memoria è misurabile, come lo è il tempo. Questo movimento del pensiero non
può mai essere fresco, nuovo, originale. Quindi l’azione fondata sul pensiero deve
essere sempre interrotta, incompleta, contraddittoria. Si deve comprendere a
fondo tutto il movimento del pensiero con il posto relativo che occupa nelle
necessità della vita, cose che si devono ricordare. Qual è quindi l’azione che non è
la continuazione del ricordo? È l’intuizione.
L’intuizione non è l’attenta deduzione del pensiero, il suo processo analitico
o la natura della memoria legata al tempo. È la percezione priva di colui che
percepisce; è istantanea. Da questa intuizione ha luogo l’azione. A causa di
questa intuizione la spiegazione di ogni problema è accurata, definita e vera. Non
vi è alcun rimpianto, alcuna reazione. È assoluta. Non vi può essere alcuna
intuizione senza la caratteristica dell’amore. L’intuizione non è un affare
intellettuale da discutere e brevettare. Questo amore è la forma di sensibilità più
elevata – quando tutti i sensi fioriscono insieme. Senza sensibilità – non ai propri
desideri e problemi e a tutte le piccolezze della propria vita – l’intuizione è
ovviamente del tutto impossibile.
L’intuizione è olistica. Olistico significa l’intero, la totalità della mente. La
mente è tutte le esperienze dell’umanità, le vaste conoscenze accumulate con le
loro capacità tecniche, con i loro dispiaceri, inquietudini, dolori, pene e
malinconie. Ma l’intuizione è oltre tutto ciò. Perché esista l’intuizione è essenziale
la libertà dal dolore, dalla pena, dalla malinconia. L’intuizione non è un
movimento continuo. Non può essere catturata dal pensiero. L’intuizione è
l’intelligenza suprema e questa intelligenza usa il pensiero come uno strumento.
L’intuizione è l’intelligenza con la sua bellezza e amore. In realtà sono
inseparabili: in realtà sono una cosa sola. Questa è la totalità più sacra.

1 maggio 1979
Dopo tutto, la scuola è un luogo in cui non si impara soltanto la conoscenza
necessaria alla vita quotidiana ma anche l’arte di vivere con tutte le sue
complessità e sottigliezze. Sembra che lo dimentichiamo e ci lasciamo prendere
completamente dalla superficialità della conoscenza. La conoscenza è sempre
superficiale, e imparare l’arte di vivere non è ritenuto necessario. Vivere non è
considerato un’arte. Quando si lascia la scuola si smette di imparare e si continua
a vivere in base a quel che si è accumulato come conoscenza. Non pensiamo mai
che la vita è un processo d’apprendimento continuo. Quando si osserva la vita, la
vita quotidiana è un mutamento e un movimento costante e la nostra mente non
è abbastanza rapida e sensibile da seguirne le sottigliezze. Ci avviciniamo a essa
con risposte stereotipate e fissazioni. Lo si può evitare nelle nostre scuole? Ciò
non significa che si debba avere una mente aperta. Generalmente la mente
aperta è simile a un setaccio che trattiene poco o nulla. Ma è necessaria una
mente capace di una percezione e azione rapide. Ecco perché abbiamo esaminato
il problema dell’intuizione con la sua immediatezza d’azione. L’intuizione non
lascia la cicatrice della memoria. Generalmente l’esperienza, come la si intende,
lascia un proprio residuo come memoria, e noi agiamo partendo da questo
residuo. Quindi l’azione rafforza il residuo e così diviene meccanica. L’intuizione
non è un’attività meccanica. Pertanto, si può insegnare in una scuola che la vita
quotidiana è un processo costante d’apprendimento e di azione nei rapporti,
senza rafforzare quel residuo che è la memoria? Per gran parte di noi la cicatrice
diviene importantissima, e noi perdiamo la veloce corrente della vita.
Studente e insegnante vivono entrambi in uno stato di confusione e
disordine, sia esternamente sia interiormente. Si può essere inconsapevoli di
questo fatto e, essendone consapevoli, si mettono in ordine rapidamente le cose
esteriori, ma si è consapevoli raramente della confusione e del disordine interiori.
Dio è disordine. Esaminate gli innumerevoli dèi che l’uomo ha inventato, o il
dio unico, l’unico salvatore, e osservate la confusione che ciò ha creato nel
mondo, le guerre che ha causato, le innumerevoli divisioni, le credenze, i simboli
e le immagini che dividono. Ciò non è forse confusione e disordine? Noi ci siamo
abituati, lo accettiamo prontamente, perché la nostra vita è così pesante per la
noia e il dolore che cerchiamo conforto negli dèi evocati dal pensiero. Questo è
stato il nostro sistema di vita per migliaia d’anni. Ogni civiltà ha inventato gli dèi
ed essi sono stati la fonte di una grande tirannia, di guerre e distruzione. I loro
templi possono essere straordinariamente belli, ma all’interno vi è oscurità e la
fonte della confusione.
Si possono mettere da parte questi dèi? Lo si deve fare, se si riflette sul
motivo per cui la mente umana vive nel disordine politicamente, religiosamente
ed economicamente e lo accetta. Qual è la fonte di questo disordine, la sua
realtà, non il motivo teologico? Si possono mettere da parte i concetti di disordine
ed essere liberi di indagare l’effettiva fonte quotidiana del nostro disordine, non
cosa sia l’ordine ma il disordine? Solo quando abbiamo esaminato a fondo il
disordine e la sua origine possiamo scoprire cosa sia l’ordine assoluto. Siamo così
desiderosi di scoprire cosa sia l’ordine, così impazienti verso il disordine, che
siamo propensi a soffocarlo, pensando di realizzare in questo modo l’ordine. In
questa lettera non ci chiediamo soltanto se vi possa essere un ordine assoluto
nella nostra vita quotidiana ma anche se questa confusione può cessare.
Pertanto ci occupiamo in primo luogo del disordine e di quale sia la sua
fonte. È il pensiero? Sono i desideri contraddittori? È la paura e la ricerca della
sicurezza? È la domanda costante di piaceri? Il pensiero è una delle fonti o la
ragione principale del disordine? Non è unicamente lo scrivente ma siete voi
stessi a porre queste domande, quindi vi prego di tenerlo sempre a mente. Voi
dovete scoprire la fonte, non conoscerla da altri per poi ripeterla verbalmente.
Il pensiero, come abbiamo sottolineato, è finito, limitato, e qualsiasi cosa
sia limitata, per quanto possano essere vaste le sue attività, inevitabilmente
causa la confusione. Ciò che è limitato crea divisioni e quindi distrugge e
confonde. Abbiamo studiato a sufficienza la natura e la struttura del pensiero, e
comprendere a fondo la natura delpensiero equivale a dargli il posto giusto così
che esso perda il proprio dominio schiacciante.
Il desiderio e gli oggetti mutevoli del desiderio sono una delle cause del
nostro disordine? Reprimere il desiderio vuol dire reprimere ogni sensazione – che
equivale a paralizzare la mente. Pensiamo che questo sia il modo più facile e
rapido per porre fine al desiderio ma non è possibile reprimerlo; è troppo forte,
troppo sottile. Non potete afferrarlo con le mani e torcerlo a piacere – cosa che è
un altro desiderio. In una lettera precedente abbiamo parlato del desiderio. Il de-
siderio non può essere mai represso o trasformato o corrotto dal desiderio giusto
e sbagliato. Rimane sempre una sensazione e un desiderio, qualsiasi cosa ne
facciate. Il desiderio dell’Illuminazione e il desiderio di denaro sono la stessa cosa,
benché l’oggetto sia diverso. Si può vivere senza il desiderio? O per esprimerlo in
un altro modo, i sensi possono essere supremamente attivi senza l’intervento del
desiderio? Vi sono attività sensoriali sia psicologiche che fisiche. Il corpo cerca il
calore, il cibo, il sesso; vi è il dolore fisico e così via. Queste sensazioni sono
naturali ma quando entrano nel campo psicologico, cominciano le difficoltà. E qui
sta la nostra confusione. È importante comprenderlo, specialmente da giovani.
Osservare le sensazioni fisiche senza reprimerle o esagerarle ed essere vigilanti,
attenti che esse non filtrino nel regno psicologico interiore a cui non appartengono
– qui sta la nostra difficoltà. L’intero processo accade così rapidamente perché noi
non lo copiamo, non l’abbiamo compreso, non abbiamo esaminato effettivamente
ciò che accade in realtà.
Allo stimolo vi è una risposta sensoriale immediata. Questa risposta è
naturale e non è sotto il dominio del pensiero, del desiderio. La nostra difficoltà
inizia quando queste risposte sensoriali penetrano nel regno psicologico. Lo
stimolo può essere una donna o un uomo o un qualcosa piacevole, allettante; o
un bel giardino. La risposta a essa è la sensazione, e quando questa sensazione
entra nel campo psicologico ha inizio il desiderio, e il pensiero con le sue immagini
cerca di realizzarlo.
La domanda che ci poniamo è: come possiamo impedire che le risposte
fisiche naturali entrino nel campo psicologico? È possibile? È possibile soltanto
quando osservate con grande attenzione la natura degli stimoli e le risposte.
Questa attenzione totale impedirà che le risposte entrino nella psiche interiore.
Ci occupiamo del desiderio e della comprensione di esso, non del fattore
abbrutente del reprimerlo, evitarlo o idealizzarlo. Non potete vivere senza il
desiderio. Quando avete fame avete bisogno di cibo. Ma comprendere, che vuol
dire esaminare tutta l’attività del desiderio, è dargli il posto giusto. In questo
modo non sarà una fonte di disordine nella nostra vita quotidiana.
15 maggio 1979
Ciò che l’uomo ha fatto all’uomo non ha limiti. Lo ha torturato, lo ha
bruciato, ucciso, lo ha sfruttato in ogni modo possibile – religioso, politico,
economico. Questa è stata la storia dell’uomo nei confronti dell’uomo;
l’intelligente sfrutta lo stupido, l’ignorante. Tutte le filosofie sono intellettuali e
pertanto non totali. Queste filosofie hanno reso schiavo l’uomo. Hanno inventato
cosa dovrebbe essere la società e sacrificato l’uomo ai loro concetti; gli ideali dei
cosiddetti pensatori hanno disumanizzato l’uomo. Lo sfruttamento di un altro –
uomo o donna – sembra il sistema della nostra vita quotidiana. Ci usiamo l’un
l’altro, e ciascuno accetta questa consuetudine. Da questo rapporto particolare ha
origine la dipendenza con tutte le sue sofferenze, confusioni e l’angoscia che le è
connessa. L’uomo è stato sia interiormente sia esteriormente sleale verso se
stesso e gli altri; e come vi può essere amore in queste circostanze?
Diventa quindi molto importante che l’insegnante provi una responsabilità
totale non solo nel suo rapporto personale con lo studente ma anche nel rapporto
con tutta l’umanità. Egli è l’umanità. Se non si sente totalmente responsabile di
se stesso, sarà incapace di provare questa emozione di responsabilità totale che è
amore. Voi, come insegnanti, sentite questa responsabilità? In caso negativo –
perché no? Vi potete sentire responsabili di vostra moglie, di vostro marito o dei
bambini e potete ignorare e non sentire alcuna responsabilità di un altro. Ma se vi
sentite completamente responsabili di voi stessi non potete fare a meno di essere
responsabili dell’umanità intera.
Questa domanda – perché non vi sentite responsabili di un altro, è molto
importante. La responsabilità non è una reazione emotiva, non un qualcosa che
imponete a voi stessi – sentirsi responsabili. In tal caso diviene un dovere e il
dovere ha perso il profumo o la bellezza di quella qualità interiore di
responsabilità totale. Non è un qualcosa che accogliete come un principio o un
concetto a cui aggrapparvi, come si possiede una sedia o un orologio. La madre si
può sentire responsabile del suo bambino, sentire che il bambino è parte del suo
sangue e della sua carne e perciò dedicargli ogni cura e attenzione per alcuni
anni. La responsabilità è questo istinto materno? Forse abbiamo ereditato il
nostro particolare attaccamento al bambino dai primi animali. Esiste in tutta la
natura, dal più minuto uccello all’elefante maestoso. Ci chiediamo – la
responsabilità è questo istinto? Se lo fosse, i genitori si sentirebbero responsabili
di un giusto tipo d’educazione, di una specie totalmente diversa di società. Fareb-
bero in modo che non vi fossero guerre e che essi stessi fiorissero nella bontà.
Così sembra che l’essere umano non si interessi agli altri ma si impegni solo
in se stesso. Questo impegno è una irresponsabilità totale. Le sue emozioni, i suoi
desideri personali, i suoi attaccamenti, il suo successo, il suo progresso,
produrranno inevitabilmente una crudeltà sia manifesta che sottile. È questa la
via della vera responsabilità?
Nelle nostre scuole, colui che dà e colui che riceve sono entrambi
responsabili e quindi non si possono mai abbandonare a questa specie particolare
di separazione. La separazione egotistica forse è proprio la radice della
degenerazione della totalità della mente di cui ci interessiamo profondamente. Ciò
non significa che non vi sia alcun rapporto personale con il suo affetto, la
tenerezza, l’incoraggiamento e l’appoggio. Ma quando il rapporto personale
diviene importantissimo e responsabile soltanto di pochi, ha inizio il male; quanto
ciò sia reale è noto a ogni essere umano. Questa frammentazione dei rapporti è il
fattore degenerante della nostra vita. Abbiamo così ristretto i rapporti, che essi
siano rapporti personali, con un gruppo, con una nazione, con alcuni concetti e
così via. Ciò che è in frammenti non può mai contenere la totalità della
responsabilità. Dal piccolo noi tentiamo sempre di prendere il più grande. Il
migliore non è il buono, e tutti i nostri pensieri sono fondati sul meglio, il più; mi-
gliore agli esami, lavori migliori, stato sociale migliore; dèi migliori, concetti più
nobili.
Il meglio è il risultato del paragone. Il quadro migliore, la tecnica migliore, il
musicista più bravo, il più dotato, il più bello e il più intelligente dipendono da
questo paragone. Raramente consideriamo un quadro in se stesso, o un uomo o
donna in se stessi. Vi è semprequesta caratteristica innata del paragone. Il
paragone è amore? Potete mai dire di amare questo più di quello? Quando vi è
questo paragone, è amore? Quando vi è questa sensazione del più, che è la mi-
sura, il pensiero è in attività. L’amore non è il moto del pensiero. Questa misura è
il paragone. Siamo incoraggiati per tutta la vita a paragonare. Quando, nella
vostra scuola, paragonate B e A, li state distruggendo entrambi.
Quindi, è possibile educare senza alcun senso di paragone? E perché
paragoniamo? Paragoniamo per la semplice ragione che la misura è il sistema del
pensiero e il nostro sistema di vita. Siamo istruiti in questa corruzione. Il migliore
è sempre più nobile di ciò che è, di ciò che accade realmente. Osservare ciò che
è, senza il paragone, senza la misura, vuol dire oltrepassare ciò che è.
Quando non vi è alcun paragone vi è l’integrità. Non che voi siete sinceri
con voi stessi, cosa che è una forma di misura, ma quando non vi è
assolutamente alcuna misura vi è questa caratteristica di totalità. L’essenza
dell’io, il “me’, è la misura. Quando vi è la misura vi è la frammentazione. Lo si
deve comprendere profondamente non come un concetto ma come una realtà.
Quando leggete questa affermazione la potete rendere un’astrazione come
un’idea, un concetto, e l’astrazione è un’altra forma di misura. Ciò che è non ha
alcuna misura. Vi prego di dedicarvi con tutto il cuore a comprendere queste
cose. Quando ne avete afferrato il significato completo, il vostro rapporto con lo
studente e la vostra famiglia diventerà completamente diverso. Se domandate se
questa differenza sarà in senso migliore, siete presi nell’ingranaggio della misura.
Allora siete persi. Scoprirete la differenza quando lo metterete alla prova
realmente. La parola stessa, differenza, implica la misura, ma noi usiamo questa
parola in un senso non relativo. Quasi ogni parola che usiamo ha questo senso di
misura, così le parole influenzano le nostre reazioni e le reazioni approfondiscono
il senso di paragone. La parola e la reazione sono interdipendenti, e l’arte sta nel
non essere condizionati dalla parola, che significa che il linguaggio non ci modella.
Usate la parola senza le reazioni psicologiche connesse.
Come abbiamo detto, ci occupiamo di comunicare tra noi la natura della
degenerazione della nostra mente e quindi il nostro sistema di vita.

1 giugno 1979
Generalmente i genitori hanno pochissimo tempo per i bambini dopo la
prima infanzia. Li mandano alla scuola locale o in collegio, oppure lasciano che se
ne occupino altri. Possono non avere il tempo o la pazienza necessaria per
educarli in casa. Essi si occupano dei loro problemi. Perciò le nostre scuole
diventano la casa dei bambini e gli insegnanti ne diventano i genitori con tutta la
responsabilità. Ne abbiamo già parlato e non è fuori luogo ripeterlo: la casa è un
luogo in cui vi è una certa libertà, un senso di essere sicuri, curati e protet ti. I
bambini nelle nostre scuole sentono di essere sorvegliati attentamente,
considerati e amati molto, e che ci si interessa al loro comportamento, al cibo, ai
vestiti e al loro contegno? Se è così, la scuola diventa un luogo in cui lo studente
si sente realmente a casa, con tutte le sue implicazioni: che vi sono persone
vicino a lui che si occupano dei suoi gusti, del modo in cui parla, che egli è
seguito sia fisicamente che psicologicamente, e aiutato a liberarsi dalle ferite e
dalla paura. Questa è la responsabilità di ogni maestro nelle nostre scuole – non
di uno o due soltanto. Tutta la scuola esiste per questo, per un’atmosfera in cui
sia gli insegnanti che gli studenti fioriscano nella bontà.
L’insegnante ha bisogno di tempo per essere tranquillo con se stesso, per
raccogliere l’energia che ha consumato, per essere consapevole dei suoi problemi
personali e per risolverli, così che quando incontra di nuovo gli studenti non porti
con sé il fragore, il rumore della sua agitazione personale. Come abbiamo indicato
in precedenza, qualsiasi problema che sorga nella nostra vita dovrebbe essere ri-
solto istantaneamente o il più rapidamente possibile, perché i problemi, se
trascinati da un giorno all’altro, degenerano la sensibilità di tutta la mente.
Questa sensibilità è essenziale. Perdiamo questa sensibilità quando istruiamo lo
studente unicamente in una materia. Quando la materia diviene la sola cosa
importante, la sensibilità svanisce e voi realmente perdete il contatto con lo
studente. Lo studente in questo caso è un semplice ricettacolo per le
informazioni. Perciò la vostra mente e quella dello studente divengono
meccaniche. Generalmente, siamo sensibili ai nostri problemi, ai nostri pensieri e
desideri e raramente agli altri. Quando siamo in contatto costantemente con gli
studenti vi è una tendenza a imporre loro i nostri concetti, le nostre immagini
mentali, oppure, se lo studente ha i propri concetti saldi, vi è un conflitto tra
questi concetti. Diviene quindi molto importante che l’insegnante lasci a casa i
propri concetti, e si occupi dei concetti che i genitori o la società hanno imposto
allo studente, o del concetto che egli stesso ha creato. Solamente nella funzione
vi può essere un rapporto, e generalmente il rapporto tra due concetti è illusorio.
I problemi fisici e psicologici logorano la nostra energia. L’insegnante può
essere sicuro fisicamente in queste scuole oltre a essere libero da problemi
psicologici? È veramente importante comprenderlo. Quando non vi è questo senso
di sicurezza fisica, l’incertezza dà origine all’inquietudine psicologica. Essa
favorisce la fiacchezza mentale, e così la passione tanto necessaria alla nostra
vita quotidiana si inaridisce e viene sostituita dall’entusiasmo.
L’entusiasmo non è una passione. Potete essere entusiasti di qualcosa un
giorno e perderlo il giorno dopo. Potete essere entusiasti di giocare al calcio e
perdere ogni interesse quando non vi diverte più. Ma la passione è un qualcosa
completamente diverso. In essa non vi è alcun intervallo di tempo.
L’entusiasmo è una cosa pericolosa perché non è mai costante. Si solleva a
ondate ed è già morto. Ciò viene scambiato per serietà. Potete essere entusiasti
per un certo periodo di ciò che fate, appassionati, attivi, ma vi è intrinseca la
dissipazione. Ancora una volta, è essenziale che lo comprendiamo, perché la
maggior parte dei rapporti è incline a questa dispersione.
La passione è completamente diversa dalla lussuria, dall’interesse o
dall’entusiasmo. L’interesse in qualcosa può essere molto profondo, e voi ve ne
potete servire per un vantaggio o per il potere, ma questo interesse non è la
passione. L’interesse può essere stimolato da un oggetto o un’idea. L’interesse è
intemperanza. La passione è libera dal sé. L’entusiasmo è sempre in merito a
qualcosa. La passione è una fiamma a sé. L’entusiasmo può essere destato da
un’altra persona, da una cosa al di fuori di voi. La passione è la sommatoria
dell’energia che non è il risultato di un qualsiasi stimolo. La passione è oltre il sé.
Gli insegnanti hanno questo senso di passione? – perché da essa deriva la
creazione. Nell’insegnare le materie si devono trovare metodi nuovi per
trasmettere le informazioni, senza che queste informazioni rendano meccanica la
mente. Potete insegnare la storia – che è la storia dell’umanità – non come storia
indiana, inglese, americana e così via, ma come la storia dell’uomo che è globale?
Allora la mente dell’insegnante è sempre fresca, appassionata, e scopre un
accostamento all’insegnamento totalmente diverso. In ciò l’insegnante è
intensamente attivo, e a questa vitalità si unisce la passione.
Lo si può fare in tutte le nostre scuole? – perché noi ci occupiamo di
realizzare una società diversa, con la fioritura della bontà, con una mente non
meccanica. Questa è la vera istruzione e voi, gli insegnanti, vi assumerete questa
responsabilità? In questa responsabilità sta la fioritura della bontà in voi stessi e
nello studente. Noi siamo responsabili di tutta l’umanità – che è voi e lo studente.
Dovete partire da lì e percorrere tutta la terra. Potete andare molto lontano se
partite da molto vicino. La cosa più vicina è voi stessi e il vostro studente. Ge-
neralmente partiamo dal punto più lontano – il principio supremo, l’ideale più
nobile, e ci perdiamo in qualche sogno confuso del pensiero immaginativo. Ma
quando partite da molto vicino, dalla cosa più vicina, che è voi stessi, tutto il
mondo è accessibile, perché voi siete il mondo e il mondo al di là di voi è soltanto
la natura. La natura non è immaginaria: è reale, e ciò che vi accade in questo
momento è reale. Dovete iniziare dal reale – da ciò che accade in questo mo-
mento – e il presente è eterno.
15 giugno 1979
La maggior parte degli esseri umani è egoista. Sono inconsci del proprio
egoismo; è il loro sistema di vita. E se si è consapevoli di essere egoisti, lo si
nasconde con grande cura e ci si conforma al modello della società che è
essenzialmente egoista. La mente egoista è molto astuta. È egoista brutalmente e
apertamente o assume molte forme. Se siete un uomo politico, l’egoismo insegue
il potere, lo stato sociale e la popolarità; si identifica con un’idea, con una
missione e con tutto ciò che sia per il bene pubblico. Se siete un tiranno, si
esprime nel dominio brutale. Se tendete a essere religiosi, assume la forma della
venerazione, della devozione, dell’adesione a qualche credenza, qualche dogma.
Si esprime anche nella famiglia; il padre persegue il proprio egoismo in tutti gli
aspetti della sua vita, e così la madre. La fama, la prosperità, la bellezza,
costituiscono la base di questo movimento nascosto e strisciante del sé. È
presente nella struttura gerarchica del clero, sebbene essi possano proclamare il
loro amore per Dio, la loro adesione all’immagine autoprodotta della loro
particolare divinità. I magnati dell’industria e l’umile impiegato hanno questa
sensualità del sé che si dilata e paralizza. Il monaco che ha rinunciato alle vie del
mondo può vagare sulla superficie della terra o si può rinchiudere in qualche
monastero, ma non ha abbandonato questo moto incessante del sé. Essi possono
cambiar nome, indossare toghe o fare i voti di celibato o silenzio, ma ardono per
un ideale, per un’immagine, per un simbolo.
Lo stesso per gli scienziati, i filosofi e i professori universitari. Colui che
compie opere buone, i santi e i guru, l’uomo o la donna che operano
incessantemente per i poveri – tutti tentano di perdere se stessi nella loro opera,
ma quest’opera ne fa parte. Essi hanno trasferito il loro egoismo nel proprio
lavoro. Ciò inizia nell’infanzia e continua fino alla vecchiaia. La presunzione della
conoscenza, l’umiltà esperta del capopartito, la moglie sottomessa e l’uomo
dominante, hanno tutti questa malattia.
Il sé si identifica con lo stato, con gruppi senza fine, con idee e ragioni
infinite, ma resta ciò che era al principio.
Gli esseri umani hanno tentato varie pratiche, metodi, meditazioni per
liberarsi da questo nucleo che causa tanto dolore e confusione, ma, come
un’ombra, non viene mai catturato. È sempre lì e vi scivola tra le dita, tra la
mente. Talvolta diviene più forte o più debole a seconda delle circostanze. Lo
mettete alle strette qui, e rispunta là.
Ci si domanda se l’insegnante, che è così responsabile di una generazione
nuova, comprenda non verbalmente che cosa nociva sia il sé – quanto causi
corruzioni e deformazioni, quanto sia pericoloso nella nostra vita. È possibile che
egli non sappia come liberarsene, che non sia neanche consapevole della sua
presenza, ma non appena comprende la natura del moto del sé, è in grado di
comunicarne le sottigliezze allo studente? E non è sua responsabilità farlo?
L’intuizione dell’attività del sé è superiore all’istruzione accademica. La co-
noscenza può essere utilizzata dal sé per la propria espansione, la sua
aggressività, la sua innata crudeltà.
L’egoismo è il problema essenziale della nostra vita. Il conformarsi e
l’imitazione sono parte del sé, come lo sono la competizione e un talento
spregiudicato. Se, nelle nostre scuole, l’insegnante prende a cuore seriamente
questo problema, come spero che faccia, come aiuterà lo studente a essere
altruista? Potreste dire che è un dono di strani dèi o ignorarlo perché impossibile.
Ma se siete seri, come è necessario essere, e siete totalmente responsabili dello
studente, come vi accingerete a liberare la mente da questa eterna energia
vincolante? – il sé che ha causato tanto dolore? Non vorreste spiegare, con
grande cura – che implica l’affetto – e in parole povere quali sono le conseguenze
quando egli parla con ira, o colpisce qualcuno, o pensa alla propria importanza?
Non è possibile spiegargli che quando egli insiste: “questo è mio”, o si vanta:
“l’ho fatto io”, o evita per paura una certa azione, sta costruendo un muro,
mattone dopo mattone, intorno a se stesso? Quando i suoi desideri, le sue
sensazioni, dominano il pensiero razionale, non è possibile indicargli che l’ombra
del sé sta crescendo? Non è possibile dirgli che dov’è il sé, in qualsiasi aspetto,
non vi è affatto amore?
Ma lo studente potrebbe domandare all’insegnante: “Avete compreso tutto
ciò o state solo giocando con le parole?”. Proprio questa domanda può risvegliare
la vostra intelligenza, e proprio questa intelligenza vi darà i sentimenti giusti e le
parole giuste in risposta.
Come insegnanti non avete alcuna posizione sociale; siete un essere umano
con tutti i problemi della vita, simile a uno studente. Nel momento in cui parlate
dalla vostra posizione sociale distruggete effettivamente il rapporto umano. La
posizione sociale implica il potere e quando aspirate a esso, consciamente o
inconsciamente, entrate nel mondo della crudeltà. Voi, amici miei, avete una
grande responsabilità, e se vi assumete questa responsabilità totale che è amore,
le radici del sé sono morte. Non dico questo come un incoraggiamento o per farvi
sentire in dovere di farlo, ma, poiché siamo tutti esseri umani, che rappresentano
tutta l’umanità, siamo totalmente e assolutamente responsabili sia se scegliamo
di esserlo o no. Potete tentare di eludere la domanda ma questo stesso
movimento è l’azione del sé. La chiarezza di percezione è libertà dal sé.

1 luglio 1979
La fioritura della bontà è la liberazione della nostra energia totale. Non è il
controllo o la repressione dell’energia, ma piuttosto la liberazione totale di
quell’immensa energia. Essa è limitata, ristretta, dal pensiero, dalla
frammentazione dei nostri sensi. Il pensiero stesso è quell’energia che manipola
se stessa in uno stretto canale, un centro del sé. La fioritura della bontà può
avvenire soltanto quando l’energia è libera, ma il pensiero, per la sua stessa
natura, ha limitato questa energia e così ha luogo la frammentazione dei sensi.
Perciò vi sono i sensi, le sensazioni, i desideri e le immagini mentali che il
pensiero ha ricavato dal desiderio. Tutto ciò è una frammentazione dell’energia.
Questo movimento limitato può essere conscio di se stesso? Cioè, i sensi possono
essere consci di se stessi? Il desiderio può vedere se stesso che sorge dai sensi,
dalla sensazione, dall’immagine creata dal pensiero, e il pensiero può essere
conscio di se stesso, del suo movimento? Tutto ciò significa – l’intero corpo fisico
può essere conscio di se stesso?
Noi viviamo per mezzo dei nostri sensi. Generalmente uno di essi è
dominante; sembra che l’udito, la vista, il gusto, siano separati l’uno dall’altro,
ma è vero? O forse abbiamo attribuito un’importanza maggiore all’uno o all’altro –
o piuttosto il pensiero gli ha attribuito un’importanza maggiore? Si può ascoltare
una musica splendida ed esserne incantati, pur essendo insensibili alle altre cose.
Si può avere un gusto sensibile ed essere completamente insensibili a un colore
delicato. Questa è frammentazione. Quando ciascun frammento è conscio
unicamente di se stesso, la frammentazione viene mantenuta. In questo modo
l’energia si spezza. Se è così, come sembra, vi è una consapevolezza non
frammentaria da parte di tutti i sensi? E il pensiero fa parte dei sensi. Ciò significa
– il corpo può essere conscio di se stesso? Non un vostro essere consapevoli del
corpo, ma una consapevolezza del corpo stesso. È molto importante scoprirlo.
Non lo può insegnare un’altra persona: in questo caso è un’informazione di
seconda mano che il pensiero impone a se stesso. Dovete scoprire da soli se
l’intero organismo, l’entità fisica, può essere conscio di se stesso. Potete essere
consci del movimento di un braccio, di una gamba o della testa, e avere la
sensazione, tramite quel movimento, di divenire consci dell’insieme corporeo, ma
noi stiamo chiedendo: il corpo può essere conscio di se stesso senza alcun
movimento? È essenziale scoprirlo, poiché il pensiero ha imposto al corpo il
proprio modello, quel che ritiene il giusto esercizio fisico, il giusto cibo, e così via.
Quindi vi è un dominio del pensiero sull’organismo; consciamente o
inconsciamente vi è una lotta tra il pensiero e l’organismo. In questo modo il
pensiero distrugge l’intelligenza naturale del corpo stesso. Il corpo, l’organismo
fisico, ha una propria intelligenza? Sì, quando tutti i sensi agiscono insieme in
armonia così che non vi sia alcuno sforzo, alcun bisogno emotivo o sensoriale del
desiderio.
Quando abbiamo fame mangiamo, ma generalmente il gusto, formato
dall’abitudine, detta ciò che mangiamo. Così ha luogo la frammentazione. Si può
realizzare un corpo sano soltanto con l’armonia di tutti i sensi che è l’intelligenza
del corpo stesso. Ci chiediamo: la disarmonia provoca la dispersione dell’energia?
L’intelligenza propria all’organismo, che è stata repressa o distrutta dal pensiero,
può essere risvegliata?
Il ricordo distrugge il corpo. Il ricordo del piacere di ieri rende il pensiero
padrone del corpo. Il corpo diviene allora lo schiavo del padrone, e l’intelligenza è
negata. Quindi vi è un conflitto. Questa lotta si può esprimere come pigrizia,
stanchezza, indifferenza o con reazioni nevrotiche. Quando l’intelligenza propria
del corpo è libera dal pensiero, benché esso ne faccia parte, questa intelligenza
sorveglierà il suo benessere.
Il piacere, nelle sue forme più crude o più colte, domina la nostra vita. E il
piacere è essenzialmente un ricordo di ciò che e stato o di ciò che è anticipato. Il
piacere non è mai al momento presente. Quando si nega, si reprime o si ostacola
il piacere, da questa frustrazione hanno origine atti nevrotici, quali la violenza e
l’odio. Allora il piacere cerca forme e sfoghi diversi; nascono la soddisfazione e
l’insoddisfazione. L’essere consci di tutte queste attività, sia fisicamente che
psicologicamente, richiede l’osservazione di tutto il moto della propria vita.
Quando il corpo è conscio di se stesso, possiamo porre un’ulteriore
domanda, forse più difficile: il pensiero, che ha messo insieme tutta questa
coscienza, può essere conscio di se stesso? Per la maggior parte del tempo il
pensiero domina il corpo e così il corpo perde la sua vitalità, l’intelligenza, la
propria energia intrinseca, e ha in conseguenza reazioni nevrotiche. L’intelligenza
del corpo è diversa da quella intelligenza totale che può esistere solo quando il
pensiero, comprendendo i suoi limiti, trova il proprio posto?
Come abbiamo detto all’inizio di questa lettera, la fioritura della bontà può
aver luogo solo quando ci sia la liberazione dell’energia totale. In questa
liberazione non vi è alcun attrito. Solo in questa suprema intelligenza indivisa vi è
questa fioritura. Questa intelligenza non è figlia della ragione. La totalità di questa
intelligenza è la compassione.
L’umanità ha tentato di liberare questa immensa energia per mezzo di varie
forme di controllo, tramite una disciplina estenuante, il digiuno, i sacrifici offerti a
qualche principio o dio supremo, o manipolando questa energia attraverso vari
stati. Tutto ciò implica la manipolazione del pensiero verso un fine desiderato. Ma
quel che diciamo è completamente opposto a tutto ciò.
Lo si può comunicare allo studente? È vostra responsabilità farlo.

15 luglio 1979
L’interesse delle nostre scuole è quello di dare origine a una nuova
generazione di esseri umani che siano liberi dall’azione egocentrica. Nessun altro
centro educativo se ne interessa ed è nostra responsabilità, in quanto insegnanti,
conseguire una mente che non abbia alcun conflitto interiore e porre fine in
questo modo alla lotta e al conflitto in atto nel mondo che ci circonda. La mente,
che è una struttura e un moto complesso, si può liberare dalla rete che ha in-
trecciato? Ogni essere umano intelligente si chiede se sia possibile porre fine al
conflitto tra uomo e uomo. Alcuni lo hanno esaminato molto profondamente,
intellettualmente; altri, comprendendone l’irreparabilità, diventano aspri, cinici, o
cercano qualche agente esteriore che li liberi dal loro stesso caos e dolore.
Quando chiediamo se la mente si possa liberare dalla prigione che ha prodotto,
non è una domanda intellettuale o retorica. È posta con serietà assoluta; è una
sfida a cui non dovete rispondere quando e come vi fa comodo, ma uniformandovi
alla sua essenzialità. Non la si può rimandare.
La sfida non chiede se sia possibile o no, se la mente è in grado di liberare
se stessa: la sfida, per essere tale, deve essere immediata e intensa. Per
risponderle dovete avere questa qualità di intensità e immediatezza – la
sensazione di essa. Quando vi è questo accostamento intenso, la domanda ha
grandi implicazioni. La sfida esige da voi la massima perfezione, non solo
intellettualmente, ma con ogni facoltà del vostro essere. Essa non è al di fuori di
voi. Vi prego di non metterla all’esterno – che equivale a crearne un concetto.
Esigete da voi stessi la totalità di ogni vostra energia.
La stessa richiesta cancella ogni controllo, ogni contraddizione e qualsiasi
opposizione entro voi stessi. Implica un’integrità totale, un’armonia assoluta.
Questa è l’essenza del non essere egoisti.
La mente con le sue reazioni emotive, con tutte le cose messe insieme dal
pensiero, è la nostra coscienza. Essa, con i suoi contenuti, è la coscienza di ogni
essere umano, modificata, non del tutto simile, diversa per sfumature e
sottigliezze, ma fondamentalmente le radici della sua esistenza sono comuni a noi
tutti. Gli scienziati e gli psicologi stanno esaminando questa coscienza e i guru
giocano con essa per i propri scopi. I più seri esaminano la coscienza come un
concetto, un procedimento da laboratorio – le reazioni del cervello, le onde alfa e
così via – come un qualcosa al di fuori di loro stessi. Ma noi non ci occupiamo di
teorie, concetti o idee sulla coscienza; ci occupiamo della sua attività nella vita
quotidiana. Comprendendo queste attività, le reazioni quotidiane, i conflitti,
comprenderemo a fondo la natura e la struttura della nostra stessa coscienza.
Come abbiamo indicato, la realtà fondamentale di questa coscienza è comune a
noi tutti. Non è la vostra coscienza individuale o la mia. Noi l’abbiamo ereditata e
la stiamo modificando, cambiandola qui e là, ma il suo moto fondamentale è
comune a tutta l’umanità.
La coscienza è la nostra mente con tutti i suoi labirinti di pensiero – le
emozioni, le reazioni sensoriali, la conoscenza accumulata, la sofferenza, il dolore,
l’inquietudine, la violenza. La nostra coscienza è tutto ciò. Il cervello è antico ed è
condizionato da secoli d’evoluzione, da ogni sorta d’esperienza, dalle recenti
accumulazioni di ulteriori conoscenze. Tutto ciò è la coscienza in azione in ogni
momento della nostra vita – il rapporto tra gli esseri umani con tutti i piaceri, i
dolori, la confusione dei sensi contraddittori e il soddisfacimento del desiderio con
il suo dolore. Questo è il moto della nostra vita. Chiediamo, e si deve rispondere a
questa domanda come a una sfida: questo moto antico potrà mai giungere al
termine? – perché questa è divenuta un’attività meccanica, un sistema di vita
tradizionale. Nella fine vi è un inizio e solo allora non vi è né la fine né l’inizio.
La coscienza sembra una cosa molto complessa ma in realtà è molto
semplice. Il pensiero ha messo insieme tutti i contenuti della nostra coscienza – la
sua sicurezza, la sua incertezza, le speranze e le paure, la depressione e
l’esaltazione, l’ideale, l’illusione. Una volta compreso ciò – che il pensiero è
responsabile di tutti i contenuti della nostra coscienza – sorge la domanda
inevitabile – si può fermare il pensiero? Sono stati fatti molti tentativi, religiosi e
meccanici, di interrompere il pensiero. La domanda stessa di interrompere il
pensiero fa parte del moto del pensiero. Gli dèi, i rituali, tutta l’illusione emotiva
delle chiese, dei templi e delle moschee con la loro architettura meravigliosa, è
ancora il moto del pensiero. Dio è posto in cielo dal pensiero.
Il pensiero non ha creato la natura. Essa è reale. Anche la sedia è reale, ed
è fatta dal pensiero; tutte le cose prodotte dalla tecnologia sono reali. Le illusioni
sono ciò che evita il reale (ciò che accade in questo momento), ma le illusioni
diventano reali perché noi viviamo di esse.
Un cane non è creato dal pensiero, ma quel che noi vogliamo sia il cane è
un moto del pensiero. Il pensiero è la misura. Il pensiero è il tempo. L’insieme di
ciò è la nostra coscienza. La mente, il cervello, i sensi ne fanno parte. Ci
chiediamo: può giungere al termine questo moto? Il pensiero è la radice di tutto il
nostro dolore, di tutta la nostra bassezza. Ciò che chiediamo è la fine di queste
cose – le cose messe insieme dal pensiero – non la fine del pensiero stesso ma la
fine della nostra inquietudine, pena, dolore, potere, violenza. Con la fine di queste
cose, il pensiero trova il proprio posto, legittimo e limitato – la conoscenza di ogni
giorno e la memoria che ci sono necessarie. Quando i contenuti della coscienza,
messi insieme dal pensiero, non sono più attivi, vi è uno spazio immenso e,
quindi, la liberazione di quell’energia infinita che era limitata dalla coscienza.
L’amore è oltre questa coscienza.

1 agosto 1979

Interrogante: Vi posso chiedere quali sono le cose che considerate più importanti
nella vita? Vi ho pensato molto e vi sono tante cose nella vita che sembrano tutte
importanti. Mi piacerebbe porvi questa domanda con la massima serietà.

Krishnamurti: Probabilmente è l’arte di vivere. Usiamo la parola arte nel


senso più vasto. Poiché la vita è tanto complessa, è sempre piuttosto difficile e
sconcertante sceglierne un aspetto e dire che è il più importante. La stessa scelta,
la qualità differenziante, se posso farlo notare, porta a un’ulteriore confusione. Se
dite che questo è il più importante, relegate le altre realtà della vita in una
posizione secondaria. O consideriamo l’intero movimento della vita una cosa sola,
cosa che diviene estremamente difficile per la maggior parte della gente, o
prendiamo un aspetto fondamentale in cui si possano includere tutti gli altri. Se
siete d’accordo, possiamo procedere nel nostro dialogo.

I.: Intendete dire che un solo aspetto può comprendere l’intero campo della vita? È
possibile?

K.: Sì. Esaminiamolo molto lentamente e con esitazione. Prima di tutto noi
due dobbiamo indagare e non arrivare immediatamente a una conclusione, che è
generalmente piuttosto superficiale. Esploriamo insieme un aspetto della vita e
proprio nella sua comprensione possiamo comprendere l’intero campo della vita.
Per indagare dobbiamo essere liberi dai nostri pregiudizi, dalle esperienze
personali, e dalle conclusioni predeterminate. Come un buon scienziato, dobbiamo
avere una mente libera dalla conoscenza che abbiamo già accumulato. Dobbiamo
accostarci a esso in un modo nuovo e questo è uno dei requisiti dell’esplorazione,
non dell’esplorazione di un’idea o di una serie di concetti filosofici, ma di
un’esplorazione della nostra stessa mente senza alcuna reazione a quel che si
osserva.
Ciò è assolutamente necessario; altrimenti la vostra indagine si tinge delle
vostre paure e speranze e dei vostri piaceri.

I.: Non chiedete troppo? È possibile avere una tale mente?

K.: Proprio il bisogno di indagare e la sua intensità libera la mente dalle sue
colorazioni emotive. Come abbiamo detto, una delle cose più importanti è l’arte di
vivere. Vi è un sistema di condurre la nostra vita quotidiana che sia affatto
diverso da com’è normalmente? Noi tutti conosciamo il sistema abituale. Vi è un
sistema di vivere senza alcun controllo, senza alcun conflitto, senza un
conformismo disciplinare? In che modo lo scopro? Lo posso scoprire soltanto
quando tutta la mia mente fronteggia proprio quel che accade in questo
momento. Ciò significa che posso scoprire cosa voglia dire vivere senza conflitti
solo quando sono in grado di osservare quel che accade in questo momento.
Questa osservazione non è una cosa intellettuale o emotiva, ma la percezione
acuta, chiara, sottile, in cui non vi è alcuna dualità. Vi è solo il reale e null’altro.

I.: Cosa intendete per dualità in questo caso?

K.: Che in ciò che accade non vi è alcuna contraddizione o opposizione. Il


dualismo nasce solo quando vi è una fuga da ciò che è. Questa fuga crea
l’opposto e così ha origine il conflitto. Vi è solo il reale e null’altro.

I.: State dicendo che quando si percepisce qualcosa che accade in questo momento,
la mente non deve intromettersi con associazioni e reazioni?

K.: Sì, intendiamo dire questo. Le associazioni e le reazioni a quel che


accade sono il condizionamento della mente. Questo condizionamento impedisce
l’osservazione di ciò che accade ora. Ciò che ha luogo in questo momento è libero
dal tempo. Il tempo è l’evoluzione del nostro condizionamento. È l’eredità
dell’uomo, il fardello che non ha alcun principio.
Quando vi è questa osservazione veemente di quel che accade, ciò che
viene osservato si dissolve nel nulla. L’osservazione dell’ira che ha luogo in questo
momento rivela l’intera natura e struttura della violenza. Questa intuizione è il
termine di ogni violenza. Non è sostituita da nessun’altra cosa e qui sta la nostra
difficoltà. Tutti i nostri desideri e impulsi mirano a trovare un termine definito. In
questo termine vi è un senso di sicurezza illusoria.

I.: Molti di noi hanno difficoltà nell’osservazione dell’ira perché sembra che le
emozioni e le reazioni ne facciano inestricabilmente parte. Non si prova un sentimento d’ira
senza associazioni, contenuti.

K.: L’ira ha molte storie alle spalle. Non è soltanto un singolo evento. Come
avete indicato, ha moltissime associazioni. Proprio queste associazioni, con le loro
emozioni, impediscono l’osservazione reale. Nel caso dell’ira, i contenuti sono
l’ira. L’ira è i contenuti; non sono due cose distinte. I contenuti sono il
condizionamento. Con l’osservazione veemente di quel che accade realmente –
vale a dire, le attività del condizionamento – la natura e la struttura del
condizionamento si dissolvono.

I.: State dicendo che quando ha luogo un avvenimento, nella mente vi è


un’immediata, rapida corrente di associazioni? E se si percepisce all’istante che questo sta
per accadere, questa osservazione lo interrompe immediatamente ed esso cessa? È questo
che intendete dire?

K.: Sì. In realtà è molto semplice, tanto semplice che non afferrate la sua
stessa semplicità e quindi la sua sottigliezza. Stiamo dicendo che qualsiasi cosa
accada – quando camminate, parlate, “meditate” – si deve osservare l’evento che
sta accadendo. Quando la mente vaga, l’osservazione stessa del suo vagare pone
fine alle sue chiacchiere. Quindi non vi è assolutamente nessuna distrazione in
alcun momento.

I.: Sembrate dire che i contenuti del pensiero non hanno essenzialmente alcun
significato nell’arte di vivere.

K.: Sì. Il ricordo non ha alcun posto nell’arte di vivere. Il rapporto è l’arte di
vivere. Se nel rapporto è presente il ricordo, non è un rapporto.
Il rapporto è tra gli esseri umani, non tra i loro ricordi. Questi ricordi sono
quel che divide, e così vi è la rivalità, l’opposizione del tu e dell’io. Quindi il
pensiero, che è ricordare, non ha assolutamente posto nel rapporto. Questa è
l’arte di vivere.
Il rapporto è con tutte le cose – con la natura, gli uccelli, le rocce, con ogni
cosa intorno a noi e al di sopra di noi – con le nuvole, le stelle e il cielo azzurro.
Ogni esistenza è il rapporto. Senza di esso non potete vivere. Poiché abbiamo
rapporti corrotti viviamo in una società in degenerazione.
L’arte di vivere può nascere soltanto quando il pensiero non contamini
l’amore.
Nelle nostre scuole, il maestro si può affidare interamente a quest’arte?

15 agosto 1979
L’arte suprema è l’arte di vivere, superiore a tutte le cose create, con la
mente o la mano, dagli esseri umani, superiore a tutte le scritture e ai loro dei.
Solo per mezzo di quest’arte di vivere può nascere una nuova cultura. Darle
origine è la responsabilità di ogni maestro, particolarmente in queste scuole.
Quest’arte di vivere può risultare soltanto dalla libertà assoluta.
Tale libertà non è un ideale, una cosa che dovrà finalmente accadere. Il
primo passo nella libertà è l’ultimo passo in essa. È il primo passo che conta, non
l’ultimo. Quel che fate ora è ben più essenziale di quel che farete in qualche
momento futuro. La vita è ciò che accade in questo istante, non in un istante
immaginato, non ciò che ha concepito il pensiero. Quindi il primo passo che fate
ora è quello importante. Se questo passo è nella direzione giusta, tutta la vita è
dischiusa per voi. La direzione giusta non è verso un ideale, un fine
predeterminato. È inseparabile da ciò che accade in questo momento. Questa non
è una filosofia, una serie di teorie. È esattamente quel che significa la parola
filosofia – l’amore della verità, l’amore della vita. Non è un qualcosa che si impara
all’università. Impariamo l’arte di vivere nella nostra vita quotidiana.
Noi viviamo di parole e le parole divengono la nostra prigione. Le parole
sono necessarie per comunicare, ma la parola non è mai la cosa. Il reale non è la
parola, ma la parola diviene importantissima se ha preso il posto di ciò che è.
Potete osservare questo fenomeno quando la descrizione è divenuta la realtà al
posto della cosa stessa – il simbolo che veneriamo, l’ombra che seguiamo,
l’illusione a cui ci aggrappiamo. E così le parole, il linguaggio, modellano le nostre
reazioni. Il linguaggio diviene una forza irresistibile, e la nostra mente è
modellata e controllata dalla parola. Le parole nazione, stato, Dio, famiglia, e così
via ci avvolgono con tutte le loro associazioni, e così la nostra mente diviene
schiava della pressione delle parole.

Interrogante.: Come lo si può evitare?

Krishnamurti: La parola non è mai la cosa. La parola “moglie” non è mai la


persona, la parola “porta” non è mai la cosa. La parola impedisce la percezione
reale della cosa o della persona, perché la parola ha molte associazioni. Queste
associazioni, che sono in realtà ricordi, deformano l’osservazione non solo visuale
ma anche psicologica. Le parole divengono quindi una barriera al libero flusso
dell’osservazione. Considerate le parole “Primo Ministro” e “impiegato”. Esse
descrivono delle funzioni, ma le parole “Primo Ministro” hanno un tremendo
significato di potere, rango e importanza, mentre la parola “impiegato” ha
associazioni di scarsa importanza, condizione sociale misera e nessun potere.
Quindi la parola vi impedisce di considerarli entrambi esseri umani. In gran parte
di noi vi è uno snobismo radicato, e capire cos’abbiano fatto le parole al nostro
pensiero ed esserne consapevoli senza alternativa, è imparare l’arte
dell’osservazione – l’osservare senza associazioni.

I.: Comprendo quel che dite ma d’altra parte la velocità delle associazioni è tanto
istantanea che la reazione ha luogo prima che sia possibile rendersene conto. È possibile
evitarlo?

K.: Non è una domanda sbagliata? Chi lo deve evitare? È un altro simbolo,
un’altra parola, un’altra idea? Se lo è, allora non si è compreso il significato
completo della schiavitù della mente operata dalle parole, dal linguaggio. Vedete,
usiamo le parole emotivamente; è una forma di pensiero emotivo, a parte l’uso di
parole tecnologiche quali i metri, i numeri, che sono precisi. Nei rapporti e nelle
attività umane, le emozioni interpretano un ruolo di primo piano. Il desiderio è
molto forte, ed è sostenuto dal pensiero che crea le immagini mentali.
L’immagine è la parola, la raffigurazione, ed essa segue il nostro piacere, il nostro
desiderio. Pertanto tutto il nostro sistema di vita è modellato dalla parola e dalle
sue associazioni. Comprendere nell’insieme tutto questo processo vuol dire
comprendere la verità di come il pensiero impedisca la percezione.
I.: State dicendo che non vi è alcun pensiero senza le parole?

K.: Sì, più o meno. Vi prego di tenere a mente che stiamo parlando dell’arte
di vivere, imparando su di essa, non memorizzando le parole. Noi stiamo
imparando; non che noi insegniamo e voi divenite uno sciocco discepolo. Chiedete
se vi è il pensiero senza le parole. Questa è una domanda molto importante.
Tutto il nostro pensiero si basa sulla memoria, e la memoria si basa sulle parole,
le immagini, i simboli, le raffigurazioni. Tutte queste sono parole.

I.: Ma ciò che si ricorda non è una parola; è un’esperienza, un evento emotivo,
un’immagine di una persona o di un luogo. La parola è un’associazione secondaria.

K.: Ci serviamo della parola per descrivere tutto questo. Dopo tutto, la
parola è un simbolo per indicare ciò che è accaduto o sta accadendo, per
comunicare o evocare qualcosa. Vi è un pensiero senza tutto questo processo? Sì,
vi è, ma non lo si dovrebbe definire pensiero. Il pensiero implica una
continuazione della memoria, mentre la percezione non è l’attività del pensiero.
In realtà è un’intuizione dell’intera natura e moto della parola, del simbolo,
dell’immagine e delle loro implicazioni emotive. Comprenderlo nell’insieme vuol
dire attribuire alla parola il posto giusto.

I.: Ma cosa vuol dire comprendere nell’insieme? Lo dite spesso. Cosa intendete con
ciò?

K.: Il pensiero crea divisioni perché è limitato in se stesso. Osservare


interamente implica la non interferenza del pensiero – osservare senza che il
passato, sotto forma di conoscenza, freni l’osservazione. In questo caso non vi è
un osservatore, poiché l’osservatore è il passato, la natura stessa del pensiero.

I.: Ci state chiedendo di interrompere il pensiero?

K.: Ancora una volta, se possiamo farlo notare, questa è una domanda
sbagliata. Se il pensiero dice a se stesso di smettere di pensare, crea dualità e
conflitti. Questo è proprio il processo del pensiero che crea divisioni. Se ne
afferrate realmente la verità, il pensiero viene naturalmente sospeso.
Il pensiero, in questo caso, ha il proprio posto limitato. Il pensiero non si
impadronirà di tutta la sfera della vita, come fa ora.

I.: Signore, comprendo quale attenzione straordinaria sia necessaria. Posso avere
realmente questa attenzione, sono abbastanza serio da dedicargli tutta la mia energia?

K.: Si può del tutto dividere l’energia? L’energia consumata per guadagnarsi
da vivere, per avere una famiglia, e per essere abbastanza seri da afferrare
quanto si è detto, è tutta energia. Ma il pensiero la divide, e così noi consumiamo
molta energia per vivere e pochissima energia per il resto. Questa è l’arte in cui
non vi è alcuna divisione. Questa è la vita totale.
1 settembre 1979
Perché veniamo istruiti? Probabilmente non vi ponete mai questa domanda,
ma se lo fate, qual è la vostra risposta? Per sostenerne la necessità sono proposti
molti motivi, argomenti ragionevoli, veramente essenziali e mondani. La risposta
consueta è per avere un lavoro, per avere una carriera felice, o per divenire abili
con le mani o con la mente. Si mette molto in evidenza la capacità della mente di
trovarsi una professione buona e vantaggiosa. Se non siete brillanti
intellettualmente diviene importante l’abilità delle vostre mani. Si dice che
l’educazione sia necessaria per sostenere la società com’è, per conformarsi a un
modello stabilito dalla cosiddetta istituzione, tradizionale o ultramoderna. La
mente istruita ha una grande capacità di raccogliere informazioni quasi su
qualsiasi materia – l’arte, la scienza, e così via. Questa mente istruita è
scolastica, professionale, filosofica. Una tale erudizione è molto lodata e onorata.
Questa istruzione, se siete studiosi, abili, svelti a imparare, vi assicurerà un futuro
brillante, il cui splendore dipende dalla vostra condizione sociale e ambientale. Se
non brillate particolarmente nella struttura dell’educazione, divenite un
lavoratore, un operaio oppure vi dovete trovare un posto in fondo a questa
società molto complessa. Questo è generalmente il sistema della nostra
istruzione.
Cos’è l’istruzione? Essenzialmente è l’arte di imparare, non solo dai libri, ma
da tutto il movimento della vita. La parola stampata è diventata eccessivamente
importante. Voi imparate ciò che pensano altre persone, le loro opinioni, i loro
valori, i loro giudizi e una molteplicità delle loro innumerevoli esperienze. La
biblioteca è più importante dell’uomo che possiede la biblioteca. Egli stesso è la
biblioteca e presume di imparare con la lettura costante. Questa accumulazione di
informazioni, come in un calcolatore, è considerata una mente istruita, raffinata.
Quindi vi sono coloro che non leggono affatto, che sono piuttosto sprezzanti verso
gli altri e assorbiti dalleproprie esperienze egocentriche e dalle proprie opinioni
dogmatiche.
Riconoscendo tutto ciò, qual è la funzione della mente olistica? Intendiamo
per mente tutte le reazioni dei sensi, le emozioni – che sono completamente
diverse dall’amore – e la facoltà intellettuale. Al presente attribuiamo
un’importanza fantastica all’intelletto. Intendiamo per intelletto la facoltà di
ragionare logicamente, sensatamente o senza ragionevolezza, oggettivamente o
personalmente. L’intelletto, con il suo moto del pensiero, causa la
frammentazione della nostra condizione umana. L’intelletto ha diviso il mondo
linguisticamente, nazionalmente, religiosamente – ha diviso l’uomo dall’uomo.
L’intelletto è il fattore principale della degenerazione dell’uomo in tutto il mondo,
perché l’intelletto è solo una parte della condizione e capacità umane. Quando
una parte è esaltata, lodata e onorata, quando assume un’importanza assoluta, la
nostra vita che è il rapporto, l’azione, il comportamento, diviene contraddittoria e
ipocrita, e hanno origine l’inquietudine e la colpa. L’intelletto ha il proprio posto,
ad esempio nella scienza, ma l’uomo si è servito della conoscenza scientifica per
produrre strumenti di guerra e d’inquinamento della terra. L’intelletto può
percepire le proprie attività che causano la degenerazione, ma è completamente
incapace di porre fine al proprio decadimento perché, essenzialmente, è solo una
parte.
Come abbiamo detto, l’istruzione è l’essenza dello studio. Istruzione è
studiare la natura dell’intelletto, il suo predominio, le sue attività, le sue vaste
capacità e il suo potere distruttivo. Istruzione è studiare la natura del pensiero,
che è il moto stesso dell’intelletto, non da un libro ma dall’osservazione del
mondo intorno a voi – studiare esattamente quel che sta accadendo senza teorie,
pregiudizi e valori. I libri sono importanti, ma è ben più importante studiare il li-
bro, la storia di voi stessi, perché voi siete tutta l’umanità. Leggere quel libro è
l’arte di imparare. È tutto lì; le istituzioni, le loro oppressioni, le imposizioni, e le
dottrine religiose, la loro crudeltà, le loro fedi. La struttura sociale di tutte le
società è il rapporto tra gli esseri umani con la loro avidità, le ambizioni, la
violenza, i piaceri, le inquietudini. È lì se sapete cercare. La ricerca non è volta
all’interno. Il libro non è all’esterno né è nascosto dentro di voi. È tutto intorno a
voi: voi fate parte di quel libro. Il libro vi narra la storia dell’essere umano e lo si
deve leggere nei vostri rapporti, nelle reazioni, nei vostri concetti e valori. Il libro
è il nucleo stesso del vostro essere, e istruzione è leggere quel libro con viva
attenzione. Il libro vi narra la storia del passato, di come il passato modelli la
vostra mente, il vostro cuore e i vostri sensi. Il passato modella il presente,
modificandosi a seconda della richiesta del momento. E gli esseri umani sono
catturati da questo moto infinito del tempo. Questo è il condizionamento
dell’uomo. Questo condizionamento è stato l’eterno fardello dell’uomo, di voi
stessi e dei vostri fratelli.
I filosofi, i teologi, i santi, hanno accettato questo condizionamento, hanno
permesso che venisse accettato, traendone il massimo vantaggio; oppure hanno
proposto delle fughe in fantasie di esperienze mistiche, di dèi e paradisi.
L’istruzione è l’arte di conoscere questo condizionamento e la via per uscirne, la
libertà da questo fardello. Vi è una via d’uscita che non è una fuga, che non
accetta le cose come sono. Non è un evitare il condizionamento, non è la sua
repressione. È la dissoluzione del condizionamento.
Quando leggete o ascoltate questa lettera, siate consapevoli se lo state
facendo con la facoltà verbale dell’intelletto o con la cura dell’attenzione. Quando
vi è questa attenzione totale non vi è affatto il passato ma soltanto la semplice
osservazione di quel che accade realmente.

15 settembre 1979
Siamo portati a dimenticare o trascurare la responsabilità dell’insegnante di
dare origine a una nuova generazione di esseri umani che siano psicologicamente,
interiormente, privi di sofferenze, inquietudini e tensioni. È una responsabilità
sacra, che non si può mettere da parte facilmente per le proprie ambizioni, lo
stato sociale o il potere. Se l’insegnante sente tale responsabilità – la grandezza,
la profondità e la bellezza di questa responsabilità – troverà la capacità di
insegnare e di conservare la propria energia. Ciò richiede una grande diligenza,
non uno sforzo periodico e casuale, e proprio questa profonda responsabilità
accenderà il fuoco che lo manterrà un essere umano totale e un grande maestro.
Poiché il mondo sta rapidamente degenerando, in tutte le nostre scuole vi deve
essere un gruppo di maestri e studenti che si dedichino a operare una trasfor-
mazione radicale degli esseri umani tramite una giusta istruzione. La parola
“giusta” non è una questione di opinioni, valutazioni o concetti inventati
dall’intelletto. La parola “giusta” denota l’azione totale in cui cessano tutti i
moventi interessati. La stessa responsabilità dominante, interesse non solo
dell’insegnante ma anche dello studente, bandisce i problemi che si
autoperpetuano. Per quanto la mente sia immatura, una volta che accettate
questa responsabilità, quell’accoglienza stessa produce la fioritura della mente. La
fioritura sta nel rapporto tra lo studente e l’insegnante. Non è una cosa
unilaterale. Quando leggete queste parole, vi prego di dar loro tutta la vostra
attenzione e di sentire l’urgenza e l’intensità di questa responsabilità. Mentre
leggete, vi prego di non trasformarla in un’astrazione, in un concetto, ma
piuttosto di osservare il fatto reale, l’avvenimento reale.
Nella vita, quasi tutti gli esseri umani desiderano il potere e la ricchezza.
Quando vi è la ricchezza vi è un senso di libertà, e si aspira al piacere. La sete di
potere sembra un istinto che si esprime in molti modi. È presente nel prete, nel
guru, nel marito o nella moglie, oppure in un ragazzo nei confronti di un altro.
Questo desiderio di dominare o sottomettere è una condizione dell’uomo,
ereditata probabilmente dagli animali. Questa aggressività e l’abbandonarsi a
essa corrompono ogni rapporto per tutta la vita. È stato il modello dal principio
del tempo. L’uomo lo ha accettato come il sistema di vita naturale, con tutti i
conflitti e le sofferenze che comporta.
Fondamentalmente vi è implicata la misura – il più e il meno, il maggiore e
l’inferiore – che è essenzialmente il paragone. Ci paragoniamo sempre agli altri,
paragoniamo una raffigurazione all’altra; vi è un confronto tra il potere maggiore
e minore, tra il timido e l’aggressivo. Inizia quasi alla nascita e continua per tutta
la vita – questa misura costante del potere, della posizione, della ricchezza. Ciò
viene incoraggiato nelle scuole, nei college e nelle università. Tutto il sistema di
gradazione è questo valore comparativo della conoscenza. Quando A è
paragonato a B, che è abile, brillante, positivo, il paragone stesso distrugge A.
Questa distruzione prende la forma di competizione, imitazione e conformismo ai
modelli fissati da B. Ciò causa, consciamente o inconsciamente, l’antagonismo, la
gelosia, l’inquietudine e persino la paura, e diviene la condizione in cui A vive per
il resto della vita, sempre misurando, sempre paragonando psicologicamente e
fisicamente.
Questo paragone è uno dei tanti aspetti della violenza. La parola “più” è
sempre comparativa, come lo è la parola “meglio”. La domanda è: il maestro può
mettere da parte ogni paragone, ogni misura, nel suo insegnamento? Può
accettare lo studente così com’è, non come dovrebbe essere, e non fare giudizi
basati su valutazioni comparative? Solo quando vi è un paragone tra uno
studente definito abile e uno studente definito ottuso vi è una caratteristica quale
l’ottusità. L’idiota – è un idiota a causa del paragone o perché è incapace di certe
attività? Fissiamo alcuni standard che si basano sulla misura e coloro che non
corrispondono a essi sono considerati deficienti. Quando l’insegnante mette da
parte il paragone e la misura, si interessa dello studente così com’è, e il suo
rapporto con lo studente è diretto e totalmente diverso. È veramente molto
importante comprenderlo. L’amore non è comparativo. Non ha alcuna misura. Il
paragone e la misura sono le vie dell’intelletto. L’intelletto crea divisioni. Quando
lo si comprende a fondo – non il significato verbale mala realtà effettiva – il
rapporto del maestro e dello studente subisce una trasformazione radicale. Le
prove ultime della misura sono gli esami con la loro paura e angoscia che
influenzano profondamente la vita futura dello studente. Tutta l’atmosfera della
scuola subisce una trasformazione quando non vi è alcun senso di competizione,
di paragone.

1 ottobre 1979
Una delle caratteristiche degli esseri umani è quella di coltivare valori.
Dall’infanzia siamo incoraggiati a fissarci alcuni valori radicati. Ciascun individuo
ha i propri scopi e propositi duraturi. Naturalmente i valori di una persona sono
diversi da quelli di un’altra. Questi valori sono coltivati o dal desiderio o
dall’intelletto. Essi sono illusori, confortevoli, consolanti o reali. Questi valori
ovviamente favoriscono la divisione tra uomo e uomo. Sono ignobili o nobili a se-
conda dei propri pregiudizi e intenzioni. Senza stare a elencare i vari tipi di valori,
perché gli uomini fissano dei valori e quali sono le loro conseguenze? Il significato
di base della parola valore è forza. Deriva dal latino valere, aver forza. La forza
non è un valore. Diviene un valore quando è l’opposto di debolezza. La forza –
non la forza di carattere che è il risultato della pressione della società – è
l’essenza della chiarezza. Il pensiero chiaro è privo di pregiudizi e preconcetti; è
un’osservazione senza alterazioni. La forza o il valore non è una cosa che si deve
coltivare come coltivereste una pianta o una nuova razza. Non è un risultato. Il
risultato ha una causa e la presenza di una causa rivela una debolezza; le
conseguenze della debolezza sono la resistenza o la sottomissione. La chiarezza
non ha alcuna causa. La chiarezza non è un effetto o un risultato; è l’osservazione
pura del pensiero e la sua attività totale. Questa chiarezza è forza.
Se lo comprendiamo chiaramente, perché gli esseri umani hanno proiettato
dei valori? Forse perché essi li guidino nella vita quotidiana? Perché diano loro
uno scopo, dato che altrimenti la vita diviene incerta, vaga, priva di una
direzione? Eppure la direzione è fissata dall’intelletto o dal desiderio, e così la
direzione stessa diviene un’alterazione. Queste distorsioni variano da uomo a
uomo, e l’uomo vi si aggrappa in un tormentato oceano di confusione. Si possono
osservare le conseguenze del nutrire valori: essi separano gli uomini e mettono
gli esseri umani gli uni contro gli altri. In senso lato, ciò conduce alla sofferenza,
alla violenza e in definitiva alla guerra.
Gli ideali sono valori. Gli ideali di qualsiasi tipo sono una serie di valori,
nazionali, religiosi, collettivi, personali, e se ne possono osservare le conseguenze
com’esse si manifestano nel mondo. Quando si comprende la verità di ciò, la
mente è libera da tutti i valori e per una tale mente esiste solo la chiarezza. La
mente che si aggrappa a un’esperienza o la desidera insegue l’inganno dei valori,
e diviene così isolata, riservata e crea divisioni.
Come insegnanti, potete spiegare questo allo studente: il non avere
assolutamente alcun valore, ma vivere con chiarezza, che non è un valore? Lo si
può fare quando l’insegnante stesso ne ha percepito profondamente la verità.
Altrimenti, diviene unicamente una spiegazione verbale priva di un qualsiasi
significato profondo. È necessario comunicarlo non solo agli studenti più grandi
ma anche ai giovanissimi. Gli studenti più anziani sono già profondamente
condizionati, a causa della pressione, ai valori della società e dei genitori; oppure
essi stessi hanno proiettato mete proprie che divengono la loro prigione. Nel caso
dei più giovani, la cosa più importante è aiutarli a liberarsi dalle pressioni e dai
problemi psicologici. Attualmente ai giovanissimi si insegnano complessi problemi
intellettuali; i loro studi divengono sempre più tecnici; si danno loro sempre più
informazioni astratte; ai loro cervelli sono imposte varie forme di conoscenza,
condizionandoli così fin dall’infanzia. Invece noi ci occupiamo di aiutare i giovani a
non avere alcun problema psicologico, a essere liberi dalla paura,
dall’inquietudine, dalla crudeltà, ad avere cura, generosità e affetto. Ciò è molto
più importante di imporre la conoscenza alle loro giovani menti. Questo non
significa che il bambino non dovrebbe imparare a leggere, a scrivere, e così via,
ma si accentua la libertà psicologica invece dell’acquisizione di conoscenze,
benché necessaria. Questa libertà non significa che il bambino fa quel che vuole
ma che lo si aiuta a comprendere la natura delle sue reazioni, dei suoi desideri.
Ciò richiede moltissima intuizione da parte del maestro. Dopo tutto, voi
desiderate che lo studente sia un essere umano completo senza alcun problema
psicologico; altrimenti farà un cattivo uso di qualsiasi conoscenza acquisita. La
nostra istruzione è quella di vivere nel conosciuto ed essere così schiavi del
passato con tutte le sue tradizioni, memorie, esperienze. La nostra vita è dal
conosciuto al conosciuto, quindi non vi è mai la libertà dal conosciuto. Se si vive
costantemente nel conosciuto non vi è nulla di nuovo, nulla di originale, nulla che
non sia stato contaminato dal pensiero. Il pensiero è il conosciuto. Se la nostra
istruzione è l’accumulazione costante del conosciuto, la nostra mente e il cuore
divengono meccanici e privi della vitalità immensa del nonconosciuto. Ciò che ha
continuità è la conoscenza, ed è eternamente limitato. E ciò che è limitato deve
incessantemente creare problemi. La fine della continuità che è il tempo – è la
fioritura dell’eterno.

15 ottobre 1979
I maestri o gli insegnanti sono esseri umani. La loro funzione è di aiutare lo
studente a imparare – non solo questa o quella materia – ma a comprendere
tutta l’attività dell’apprendimento; non solo accumulare informazioni su varie
materie ma in primo luogo essere un uomo completo. Le nostre scuole non sono
unicamente centri d’istruzione, ma devono essere centri di bontà, e dare origine a
menti religiose.
Gli esseri umani stanno degenerando in tutto il mondo in misura maggiore o
minore. Quando il piacere, personale o collettivo, diviene l’interesse dominante
della vita – il piacere sessuale, il piacere di far valere la propria volontà, il piacere
dell’esaltazione, il piacere dell’interesse personale, il piacere del potere e della
posizione sociale, il bisogno insistente di soddisfare i propri piaceri – vi è la
degenerazione. Quando i rapporti umani diventano casuali, fondati sul piacere, vi
è la degenerazione. Quando la responsabilità ha perso il suo significato totale,
quando non vi è alcuna sollecitudine per gli altri, o per la terra e la vita dei mari,
questa noncuranza verso il cielo e la terra è un’altra forma di degenerazione.
Quando vi è ipocrisia nelle sfere sociali più alte, quando vi è disonestà nel
commercio, quando le menzogne fanno parte del linguaggio di ogni giorno,
quando vi è la tirannia di pochi, quando hanno il predominio soltanto le cose – vi
è il tradimento di ogni vita. Allora l’uccidere diviene l’unico linguaggio della vita.
Quando l’amore è considerato piacere, l’uomo si è tagliato fuori dalla bellezza e
dalla santità della vita.
Il piacere è sempre personale, è un processo isolante. Per quanto si creda
che il piacere sia un qualcosa condiviso con un altro, in realtà, attraverso il
soddisfacimento, è un’azione dell’io, del “me”, che racchiude e isola. Più è grande
il piacere, più è grande il rafforzamento del “me”. Quando vi è la ricerca del
piacere, gli esseri umani si sfruttano l’un l’altro. Quando il piacere domina la
nostra vita, il rapporto viene sfruttato per questo scopo e così non vi è alcun
rapporto reale con gli altri. Il rapporto diviene un commercio. Il bisogno di
soddisfacimento si basa sul piacere, e quando questo piacere è negato o non
trova i mezzi d’espressione, vi è l’ira, il cinismo, l’odio o l’amarezza. In realtà
questa ricerca incessante del piacere è insania.
Tutto ciò rivela che l’uomo, nonostante le sue vaste conoscenze, le capacità
straordinarie, l’energia motrice, l’azione aggressiva, è in declino?
Ciò è evidente in tutto il mondo – questo egocentrismo deliberato con le sue
paure, i piaceri, le inquietudini.
Qual è quindi la responsabilità totale delle nostre scuole? Certamente esse
devono essere centri per l’apprendimento di un sistema di vita che non sia basato
sul piacere, su attività egocentriche, ma sulla comprensione dell’azione corretta,
della profondità e bellezza del rapporto, e della santità della vita religiosa.
Quando il mondo che ci circonda è completamente distruttivo e privo di senso,
queste scuole, questi centri, devono divenire luoghi di luce e di saggezza.
Realizzarlo è responsabilità di coloro che dirigono questi luoghi.
Data l’urgenza di ciò, le scuse non hanno senso. O i centri sono come una
roccia circondata dalle acque della distruzione, o si uniscono alla corrente della
decadenza. Questi luoghi esistono per l’Illuminazione dell’uomo.
1 novembre 1979
In un mondo in cui l’umanità si sente minacciata dalle agitazioni sociali,
dalla sovrappopolazione, dalle guerre, da una violenza terrificante,
dall’insensibilità, ciascun essere umano si interessa più che mai della propria
sopravvivenza.
Sopravvivenza implica il vivere ragionevolmente, felicemente, senza grandi
pressioni o tensioni. Ciascuno di noi interpreta la sopravvivenza secondo il proprio
concetto. Gli idealisti proiettano un sistema di vita che non è il reale; i teorici,
marxisti, religiosi o appartenenti a una qualsiasi altra credenza, hanno formulato
modelli per la sopravvivenza; i nazionalisti ritengono che la sopravvivenza sia
possibile soltanto all’interno di un particolare gruppo o comunità. Queste
differenze ideologiche, questi ideali o fedi sono le radici di una divisione che
impedisce la sopravvivenza umana.
Gli uomini vogliono sopravvivere in un modo particolare, conformemente
alle loro risposte limitate, ai loro piaceri immediati, a qualche fede, a qualche
salvatore religioso, profeta o santo. Tutte queste cose non possono affatto dare
sicurezza perché sono in se stesse esclusive e limitate e creano divisioni. Vivere
sperando nella sopravvivenza secondo la tradizione, sia antica o moderna, non ha
senso. Le soluzioni parziali di qualsiasi specie – scientifiche, religiose, politiche,
economiche – non possono più assicurare la sopravvivenza all’umanità. L’uomo si
è interessato della propria sopravvivenza individuale, della sua famiglia, del suo
gruppo, della propria nazione tribale, e tutto ciò, creando divisioni, minaccia la
sua sopravvivenza effettiva. Le suddivisioni moderne in nazionalità, colore,
cultura, religione, sono le cause dell’incertezza umana per la sopravvivenza. L’in-
certezza, nell’agitazione del mondo attuale, ha spinto l’uomo a rivolgersi
all’autorità – all’esperto politico, religioso o economico. Lo specialista è
inevitabilmente un pericolo, perché la sua risposta deve essere sempre parziale,
limitata. L’uomo non è più un individuo, un essere distinto. Quel che riguarda una
minoranza riguarda tutta l’umanità. Non vi è alcuna fuga o scampo dal problema.
Non vi potete più ritirare dalla totalità della situazione umana.
Abbiamo enunciato il problema e la causa e ora dobbiamo trovare la
soluzione. Questa soluzione non deve dipendere da un qualsiasi tipo di pressione
– sociologica, religiosa, economica, politica o di una qualsiasi organizzazione. Non
possiamo assolutamente sopravvivere se ci interessiamo soltanto della nostra
sopravvivenza personale. Oggi tutti gli esseri umani, in tutto il mondo, sono
interdipendenti. Quel che accade in uno stato riguarda anche gli altri. L’uomo si è
considerato un individuo distinto dagli altri ma, psicologicamente, un essere
umano è inseparabile da tutta l’umanità.
Non esiste una cosa quale la sopravvivenza psicologica. Quando vi è questo
desiderio di sopravvivenza o realizzazione, voi create una situazione che non solo
separa, ma è anche completamente irreale. Psicologicamente non potete essere
separati dagli altri. E questo desiderio di esserlo è l’origine stessa del pericolo e
della distruzione. Ogni persona che tenti di predominare minaccia la propria
esistenza.
Quando se ne percepisce e comprende la verità, la responsabilità dell’uomo
subisce una trasformazione radicale non solo nei confronti dell’ambiente
immediato ma nei confronti di tutte le cose viventi. Questa responsabilità totale è
compassione. Questa compassione agisce per mezzo dell’intelligenza. Questa
intelligenza non è parziale, individuale, separata. La compassione non è mai
parziale. La compassione è la santità di tutte le cose viventi.

15 novembre 1979
Dovremmo esaminare con grande serietà, non solo in queste scuole ma
anche come esseri umani, la capacità di lavorare insieme; lavorare insieme con la
natura, le cose viventi della terra, e pure con gli altri esseri umani. Come esseri
sociali, esistiamo in modo individuale. Le nostre leggi, i governi, le religioni,
sottolineano tutti la separazione dell’uomo che, nel corso dei secoli, si è
sviluppata in una contrapposizione tra uomo e uomo. Diviene sempre più
importante, se dobbiamo sopravvivere, che vi sia uno spirito di cooperazione con
l’universo, con tutte le cose del mare e della terra.
Si può vedere in atto, in tutte le strutture sociali, l’effetto distruttivo della
frammentazione – una nazione contro l’altra, un gruppo contro un altro gruppo,
una famiglia contro un’altra famiglia, un individuo contro l’altro. Lo stesso
religiosamente, socialmente ed economicamente. Ciascuno si sforza per se
stesso, per la sua classe o il suo interesse particolare nella comunità. Questa
divisione di credenze, ideali, conclusioni e pregiudizi impedisce di fiorire allo
spirito di cooperazione. Noi siamo esseri umani, non identità tribali, esclusive,
separate. Siamo esseri umani irretiti in conclusioni, teorie, fedi. Siamo creature
viventi, non etichette. La nostra condizione umana ci costringe a cercarci il cibo,
le vesti e il ricovero a spese degli altri. Il nostro pensiero stesso crea divisioni, e
ogni azione che deriva da questo pensiero limitato deve naturalmente impedire la
cooperazione. L’attuale struttura economica e sociale, comprese le religioni di
stato, intensifica l’esclusività, la separazione. Questa mancanza di cooperazione
causa infine le guerre e la distruzione dell’uomo. Sembra che diveniamo uniti solo
durante le crisi o i disastri e, cessati questi, ritorniamo alla nostra vecchia
condizione. Sembriamo incapaci di vivere e lavorare insieme armoniosamente.
Questo processo isolante, aggressivo, si è verificato perché il nostro
cervello, che è il centro del pensiero e della sensazione, è divenuto fin
dall’antichità tanto condizionato da ricercare la propria sopravvivenza personale?
Perché questo processo isolante si identifica con la famiglia, con la tribù, e
diventa il glorificato nazionalismo? Ogni isolamento non è collegato a un bisogno
di identificazione e realizzazione? L’importanza del sé non è stata coltivata
attraverso l’evoluzione dell’opposizione tra io e tu, noi e loro? Tutte le religioni
non hanno accentuato la salvezza personale, l’illuminazione personale, la
realizzazione personale, sia religiosamente che nel mondo? La cooperazione è
diventata impossibile perché abbiamo attribuito tale importanza al talento, alla
specializzazione, al raggiungimento, al successo – che sottolineano tutti la
separazione? Perché la cooperazione umana si è concentrata su un qualche tipo di
autorità governativa o religiosa, su qualche ideologia o conclusione, che quindi
producono inevitabilmente Il proprio opposto distruttivo?
Cosa significa cooperare – non la parola, ma il suo spirito? Non potete
assolutamente cooperare con un altro, con la terra e le sue acque, a meno che
non siate armoniosi in voi stessi, integri e privi di contraddizioni; non potete
cooperare se siete sotto tensione o pressione, in conflitto. Come potete cooperare
con l’universo se vi interessate di voi stessi, dei vostri problemi, delle vostre
ambizioni? Non può esistere alcuna cooperazione se tutte le vostre attività sono
egocentriche e vi occupate del vostro egoismo, dei vostri desideri e piaceri
segreti. Finché l’intelletto con i suoi pensieri domina tutte le vostre azioni,
ovviamente non può esistere alcuna cooperazione, perché il pensiero è parziale,
limitato e crea eternamente divisioni. La cooperazione richiede una grande
onestà. L’onestà non ha alcun movente. L’onestà non è un qualche ideale, una
fede. L’onestà è chiarezza – la chiara percezione delle cose così come sono. La
percezione è attenzione. Questa stessa attenzione con tutta la sua energia, fa
luce su ciò che viene osservato. Questa luce della percezione opera una
trasformazione nella cosa osservata. Non vi è alcun metodo con cui imparare a
cooperare. Non lo si deve strutturare e classificare. La sua natura stessa richiede
che vi sia amore, e quest’amore non è misurabile, perché quando paragonate –
che è l’essenza della misura – entra in scena il pensiero. Dove è il pensiero, non
vi è l’amore.
Ora, lo si può comunicare allo studente, e nelle nostre scuole può esistere la
cooperazione tra gli insegnanti? Queste scuole sono centri di una nuova
generazione con una prospettiva nuova, con un senso nuovo di essere cittadini
del mondo, interessati a tutte le cose viventi di questa terra. È vostra grave
responsabilità dare origine a questo spirito di cooperazione.

1 dicembre 1979
L’intelligenza e la facoltà dell’intelletto sono due cose completamente
diverse. Probabilmente queste due parole derivano dalla stessa radice ma, al fine
di chiarire il pieno significato della compassione, dobbiamo essere in grado di
distinguere la differenza tra le due. L’intelletto è la facoltà di discernere,
ragionare, immaginare, creare illusioni, pensare chiaramente e inoltre pensare
non oggettivamente, personalmente. Generalmente l’intelletto viene considerato
diverso dall’emozione, ma noi ci serviamo della parola “intelletto” per suggerire
l’intera facoltà di pensiero umano. Il pensiero è la risposta della memoria
accumulata per mezzo di varie esperienze, reali o immaginate, che vengono
immagazzinate nel cervello come conoscenza. Quindi la facoltà dell’intelletto è
quella di pensare. Il pensiero è limitato in tutti i casi, e quando l’intelletto domina
le nostre attività sia nel mondo esteriore sia in quello interiore, le nostre azioni
devono essere naturalmente parziali, incomplete. Ciò produce il rimpianto,
l’inquietudine, e il dolore.
Tutte le teorie e le ideologie sono in se stesse parziali, e quando gli
scienziati, i tecnici e i cosiddetti filosofi dominano la nostra società, la morale – e
quindi la nostra vita quotidiana –, non ci troviamo mai di fronte alla realtà di quel
che accade effettivamente. Queste influenze colorano le nostre percezioni, la
nostra comprensione diretta. L’intelletto trova spiegazioni, sia per il male sia per il
bene compiuto. Razionalizza il cattivo comportamento, l’uccidere e le guerre.
Definisce il bene come l’opposto del male. Il bene non ha alcun opposto. Se il
bene fosse collegato al male, la volontà avrebbe in se i germi del male. In tal caso
non sarebbe bontà. Ma l’intelletto è incapace, a causa della sua facoltà di
dividere, di comprendere la completezza del bene. L’intelletto – il pensiero –
paragona, valuta, compete e imita sempre; perciò noi diveniamo esseri umani
conformisti, di seconda mano. L’intelletto ha portato enormi benefici
all’umanitàma ha provocato anche grandi distruzioni. Ha coltivato le arti belliche
ma è incapace di cancellare le barriere tra gli esseri umani. L’inquietudine fa parte
della natura dell’intelletto, come le ferite, perché l’intelletto, cioè il pensiero, crea
l’immagine mentale che è quindi vulnerabile.
Quando abbiamo compreso l’intera natura e moto dell’intelletto e del
pensiero, possiamo iniziare a esaminare cosa sia l’intelligenza. L’intelligenza è la
capacità di percepire l’insieme. L’intelligenza è incapace di dividere i sensi, le
emozioni, l’intelletto l’uno dall’altro. Li considera un solo movimento unitario.
Poiché la sua percezione è sempre totale, è incapace di dividere un uomo
dall’altro, di contrapporre l’uomo alla natura. Poiché l’intelligenza nella sua stessa
natura è totale, è incapace di uccidere.
Praticamente tutte le religioni hanno detto di non uccidere ma non lo hanno
mai impedito. Alcune hanno affermato che le cose della terra, comprese le
creature viventi, sono lì per l’uso dell’uomo – quindi per essere uccise e distrutte.
L’uccidere per piacere, l’uccidere per commercio, l’uccidere per il nazionalismo,
l’uccidere per le ideologie, l’uccidere per la propria fede, sono tutti accettati come
sistemi di vita. Mentre uccidiamo le creature viventi della terra e del mare
diveniamo sempre più isolati e, in questo isolamento, sempre più avidi, alla
ricerca del piacere, in ogni forma. L’intelletto lo può percepire ma è incapace di
un’azione completa. L’intelligenza, che è inseparabile dall’amore, non uccide mai.
Non uccidere, se è un concetto, un ideale, non è intelligenza.
Quando l’intelligenza è attiva nella nostra vita quotidiana ci dirà quando
cooperare e quando non farlo. La natura stessa dell’intelligenza è la sensibilità, e
questa sensibilità è amore.
Senza questa intelligenza non vi può essere alcuna compassione.
La compassione non è il compiere atti caritatevoli o riforme sociali; è libera
dal sentimento, dal romanticismo e dall’entusiasmo emotivo. È potente come la
morte. È simile a una grande roccia, immobile nel mezzo della confusione, della
sofferenza e dell’inquietudine. Senza questa compassione non può nascere alcuna
cultura o società nuova. La compassione e l’intelligenza camminano insieme; non
sono separate. La compassione agisce tramite l’intelligenza. Non può mai agire
tramite l’intelletto. La compassione è l’essenza della totalità della vita.
15 dicembre 1979
Gli esseri umani in tutto il mondo hanno reso l’intelletto uno dei fattori più
importanti della nostra vita quotidiana. Come si nota, gli antichi indù, gli egizi e i
greci hanno tutti considerato l’intelletto la funzione più importante nella vita.
Persino i buddhisti gli hanno attribuito importanza. In ogni università, college e
scuola in tutto il mondo, sia sotto un regime totalitario o nelle cosiddette
democrazie, esso ha interpretato un ruolo dominante. Intendiamo per intelletto la
facoltà di comprendere, discernere, scegliere, considerare, tutta la tecnologia
della scienza moderna. L’essenza dell’intelletto è l’intero moto del pensiero. Il
pensiero domina il mondo tanto nella vita esteriore quanto nella vita interiore. Il
pensiero ha creato tutti gli dèi del mondo, tutti i rituali, i dogmi, le credenze. Il
pensiero ha creato anche le cattedrali, i templi, le moschee con la loro
architettura meravigliosa, e i santuari locali. Il pensiero è stato il responsabile
della tecnologia senza fine ed espansiva, delle guerre e dei loro strumenti, della
divisione degli uomini in nazioni, classi e razze. Il pensiero è stato, e
probabilmente è tuttora, l’istigatore della tortura nel nome di Dio, della pace,
dell’ordine. È stato il responsabile anche della rivoluzione, dei terroristi, del
principio fondamentale e degli ideali prammatici. Noi viviamo di pensiero. Le
nostre azioni sono basate sul pensiero, i nostri rapporti sono fondati anch’essi sul
pensiero, quindi l’intelletto è stato venerato per tutte le età.
Ma il pensiero non ha creato la natura – i cieli disseminati di stelle, il mondo
con tutta la sua bellezza, con i suoi vasti mari e le terre verdi. Il pensiero non ha
creato l’albero, ma il pensiero ha usato l’albero per costruire la casa, per fare la
sedia. Il pensiero usa e distrugge.
Il pensiero non può creare l’amore, l’affetto e la caratteristica della bellezza.
Ha intrecciato una rete di illusioni e realtà. Quando viviamo soltanto del pensiero,
con tutte le sue complessità e sottigliezze, con i suoi scopi e direzioni, perdiamo
la profondità della vita,perché il pensiero è superficiale. Sebbene pretenda di
scavare profondamente, lo strumento stesso è incapace di penetrare oltre i propri
limiti. Può proiettare il futuro, ma quel futuro ha origine dalle radici del passato.
Le cose create dal pensiero sono reali, vere – come un tavolo, come l’immagine
che venerate – ma l’immagine, il simbolo che venerate è costruito dal pensiero,
comprese le sue tante illusioni – romantiche, idealiste, umanitarie. Gli uomini
accettano le cose del pensiero e vivono con esse – il denaro, la posizione, lo stato
sociale e il piacere della libertà donata dal denaro. Questo è l’intero moto del
pensiero e dell’intelletto e attraverso questa stretta finestra della nostra vita noi
guardiamo il mondo.
Vi è un qualsiasi altro moto che non sia quello dell’intelletto e del pensiero?
È stata la ricerca di molti sforzi religiosi, filosofici, e scientifici. Quando usiamo la
parola religione non intendiamo l’assurdità delle credenze, dei rituali, dei dogmi e
della struttura gerarchica. Per uomo religioso intendiamo chi si è liberato da secoli
di propaganda, dal peso morto della tradizione, antica o moderna. I filosofi che si
abbandonano a teorie, concetti, ricerche sull’ideazione, non possono
assolutamente esplorare oltre la stretta finestra del pensiero, come non lo
possono gli scienziati con le loro capacità straordinarie, con il loro pensiero forse
originale, con le loro conoscenze immense. La conoscenza è il deposito della
memoria e vi deve essere una libertà dal conosciuto per esplorare ciò che è al di
là di esso. Vi deve essere la libertà di indagare senza alcun legame, senza alcun
attaccamento alla propria esperienza, alle proprie conclusioni, a tutte le cose che
l’uomo ha imposto a se stesso. L’intelletto deve essere immobile in una quiete
assoluta senza un fremito di pensiero.
Oggi la nostra istruzione si basa sulla coltivazione dell’intelletto, del
pensiero e della conoscenza, necessari nel campo della nostra azione quotidiana,
ma fuori posto nei nostri rapporti psicologici l’uno con l’altro, perché la natura
stessa del pensiero crea divisioni e distrugge. Quando il pensiero domina ogni
nostra attività e rapporto produce un mondo di violenza, terrore, conflitto,
sofferenza.
Nelle nostre scuole, questo deve essere l’interesse di noi tutti – vecchi e
giovani.

1 gennaio 1980
Dovremmo comprendere fin dall’inizio di questo nuovo anno che ci
interessiamo in primo luogo dell’aspetto psicologico della nostra vita, anche se
non intendiamo trascurarne l’aspetto fisico, biologico. Quel che si è interiormente
alla fine darà origine a una buona società o a un deterioramento graduale dei
rapporti umani. Ci occupiamo di entrambi gli aspetti della vita, senza attribuire il
predominio all’uno o all’altro, benché l’aspetto psicologico – vale a dire quel che
siamo interiormente – detti il nostro comportamento, i nostri rapporti con gli altri.
Sembra che attribuiamo un’importanza assai maggiore agli aspetti fisici
della vita, alle attività di ogni giorno, per quanto importanti o irrilevanti, e che
trascuriamo completamente le realtà più profonde e più vaste. Quindi vi prego di
tenere a mente che in queste lettere ci accostiamo alla nostra esistenza
dall’interno all’esterno, e non viceversa. Benché la maggior parte degli uomini si
interessi dell’aspetto esteriore, la nostra istruzione si deve occupare di realizzare
un’armonia tra l’aspetto esteriore e interiore, e ciò non può assolutamente
accadere se i nostri occhi sono fissi unicamente all’esterno. Intendiamo per
aspetto interiore tutti i moti del pensiero, i nostri sentimenti – logici e assurdi, le
nostre immaginazioni, le credenze e gli attaccamenti – felici e infelici – i nostri
desideri segreti con le loro contraddizioni, le nostre esperienze, i dubbi, la
violenza e così via. Le ambizioni nascoste, le illusioni a cui si aggrappa la mente,
le superstizioni della religione, e il conflitto interiore apparentemente infinito
fanno parte anch’essi della nostra struttura psicologica. Se siamo ciechi a tutto ciò
o lo accettiamo come una parte inevitabile della natura umana, permettiamo una
società in cui noi stessi diveniamo prigionieri. Quindi è veramente importante
comprenderlo.
Siamo certi che ogni studente in tutto il mondo vede l’effetto del caos che ci
circonda e spera di trovare scampo in qualche ordine esteriore, per quanto possa
essere interiormente in un’agitazione assoluta. Vuole cambiare il mondo esteriore
senza cambiare se stesso, ma egli è la fonte e la continuazione del disordine.
Questa è una realtà, non una conclusione personale.
Perciò, nella nostra istruzione, ci occupiamo di cambiare la fonte e la
continuazione. Sono gli esseri umani a creare la società, non gli dèi di qualche
paradiso. Iniziamo quindi dallo studente. La parola stessa significa studiare,
apprendere e agire. Apprendere non solo dai libri e dai maestri, ma studiare e
apprendere su voi stessi – questa è l’istruzione fondamentale. Se non conoscete
voi stessi e vi riempite la mente delle molte realtà dell’universo, state unicamente
accettando e perpetuando il disordine. Probabilmente voi studenti non vi
interessate di ciò. Volete divertirvi, perseguire i vostri interessi, siete costretti a
studiare soltanto sotto pressione, accettate i confronti e le conseguenze inevitabili
con lo sguardo fisso su una certa professione. Questo è il vostro interesse
fondamentale che sembra naturale, dato che i vostri genitori e nonni hanno
seguito lo stesso sentiero – lavoro, matrimonio, bambini, responsabilità. Finché
voi siete al sicuro vi preoccupate ben poco di ciò che accade intorno a voi. Questo
è il vostro rapporto reale con il mondo, il mondo che è stato creato dagli esseri
umani. L’immediato è ben più reale, importante ed esigente della totalità. Il
vostro interesse, e l’interesse dell’insegnante, è e deve essere quello di
comprendere la totalità dell’esistenza umana; non una parte ma il tutto. La parte
è solo la conoscenza delle scoperte fisiche umane.
Perciò qui in queste lettere iniziamo in primo luogo da voi studenti e
dall’insegnante che vi aiuta a conoscere voi stessi. Questa è la funzione di ogni
istruzione. Abbiamo bisogno di creare una buona società in cui tutti gli esseri
umani possano vivere felicemente in pace, senza violenza, con sicurezza. Voi,
come studenti, ne siete responsabili. Una buona società non nasce per mezzo di
qualche ideale, un eroe o una guida, o qualche sistema progettato attentamente.
Voi dovete essere buoni perché siete il futuro. Voi costruirete il mondo, o
com’esso è, o modificato, o come un mondo in cui voi e gli altri pos siate vivere
senza guerre, senza brutalità, con generosità e affetto.
Quindi, cosa farete? Avete compreso il pròblema, che non è difficile; cosa
farete? La maggior parte di voi è istintivamente gentile, buona e desiderosa di
aiutare, naturalmente se non è stata troppo calpestata e ingannata, come
speriamo non sia accaduto. Cosa farete quindi? Se l’insegnante è all’altezza del
suo compito vi vorrà aiutare, e in questo caso la domanda è: cosa farete insieme
per aiutarvi a studiare voi stessi, per apprendere su voi stessi e agire? Per questa
lettera ci fermiamo qui e continueremo nella prossima.

15 gennaio 1980
Continuiamo con ciò che stavamo dicendo nella nostra ultima lettera, che
metteva in luce la responsabilità di studiare, apprendere e agire. Finché si è
giovani e forse innocenti, dediti all’eccitazione e ai giochi, la parola responsabilità
sembra un fardello abbastanza terrificante e pesante. Ma noi usiamo questa
parola per indicare la cura e l’attenzione verso il nostro mondo. Gli studenti non
devono provare alcun senso di colpa se non hanno mostrato questa cura e
attenzione. Dopo tutto, i genitori che si sentono responsabili di voi, di farvi stu-
diare e preparare alla vita futura, non si sentono colpevoli, sebbene si possano
sentire insoddisfatti o infelici se non corrispondete alle loro aspettative. Dobbiamo
comprendere chiaramente che quando usiamo la parola responsabilità non vi
deve essere un senso di colpa. Siamo particolarmente attenti nell’usare questa
parola, libera dal triste peso di una parola quale dovere. Quando ciò sia compreso
chiaramente, possiamo usare la parola responsabilità senza il suo fardello di
tradizione. Quindi, siete a scuola con questa responsabilità di studiare,
apprendere, agire. Questo è lo scopo principale dell’istruzione.
Nella nostra ultima lettera abbiamo posto la domanda “Cosa farete per voi
stessi e il vostro rapporto con il mondo?”. Come abbiamo detto, anche
l’insegnante, il maestro, è responsabile di aiutarvi a comprendere voi stessi e così
il mondo. Poniamo questa domanda perché voi scopriate da soli la vostra
risposta. È una sfida a cui dovete rispondere. Dovete incominciare da voi stessi,
con il comprendere voi stessi e, in relazione a ciò, qual è il primo passo? Non è
l’affetto? Probabilmente da giovani avete questa caratteristica, ma sembra che la
perdiamo molto rapidamente. Perché? Non è a causa della pressione degli studi,
la pressione della competizione, la pressione del tentare di raggiungere una certa
posizione negli studi, paragonandovi agli altri e forse essendo tiranneggiati dagli
altri studenti? Tutte queste molteplici pressioni non vi costringono a occuparvi di
voi stessi? E quando vi interessate così di voi stessi, perdete inevitabilmente
questa caratteristica di affetto. È molto importante comprendere come
gradualmente le circostanze, l’ambiente, la pressione dei vostri genitori o il vostro
stesso bisogno di uniformarvi, riducano la vasta bellezza della vita alla piccola
sfera dell’io. E se perdete da giovani questo affetto vi è un indurimento del cuore
e della mente. È una cosa rara mantenere questo affetto per tutta la vita, senza
corruzione. Ecco quindi la prima cosa che dovete avere. Affetto significa cura, una
cura diligente in qualsiasi cosa facciate; cura nel parlare, nel vestire, nel modo di
mangiare, in come vi occupate del corpo; cura nel vostro comportamento senza le
distinzioni di superiore o inferiore; in come considerate la gente.
La cortesia è considerazione per gli altri, e questa considerazione è cura, sia
se è verso il fratello minore o la sorella maggiore. Quando avete cura, ogni forma
di violenza scompare da voi – la vostra ira, il vostro antagonismo e orgoglio.
Questa cura significa attenzione. Attenzione è guardare, osservare, ascoltare,
apprendere. Vi sono molte cose che potete imparare dai libri, ma vi è un
apprendimento che è infinitamente chiaro, rapido e privo di una qualsiasi
ignoranza. Attenzione significa sensibilità, e questa dà alla percezione una profon-
dità che nessuna conoscenza, con la sua ignoranza, potrebbe dare. Dovete
studiare questo, non in un libro, ma, con l’aiuto dell’insegnante, dovete imparare
a osservare le cose che vi circondano – quel che accade nel mondo, quel che
accade a un compagno, quel che accade in un povero villaggio o vicolo e all’uomo
che si trascina in quella strada sudicia.
L’osservazione non è un’abitudine. Non è una cosa che vi addestrate a fare
meccanicamente. È lo sguardo fresco dell’interesse, della cura, della sensibilità.
Non vi potete addestrare a essere sensibili. Di nuovo, da giovani siete sensibili,
rapidi a percepire, ma ciò scompare con la crescita. Perciò dovete studiare voi
stessi e forse il vostro maestro vi aiuterà. Se non lo fa, non importa, perché è
vostra responsabilità studiare voi stessi e imparare così cosa siete. E quando vi è
questo affetto le vostre azioni nascono dalla sua purezza. Tutto ciò potrebbe
sembrare molto difficile ma non lo è. Abbiamo trascurato tutto questo aspetto
della vita. Siamo tanto interessati dalla nostra professione, dai nostri piaceri, dalla
nostra stessa importanza, che trascuriamo la grande bellezza dell’affetto.
Vi sono due parole che si devono tenere sempre a mente – la diligenza e la
negligenza. Noi ci dedichiamo diligentemente ad acquisire conoscenze dai libri,
dai maestri, vi passiamo venti o più anni della vita e trascuriamo di studiare il
significato più profondo della nostra stessa vita. Abbiamo sia l’esteriore che
l’interiore. L’aspetto interiore richiede una diligenza maggiore dell’esteriore. È
un’esigenza pressante e questa diligenza è lo studio affettuoso di ciò che siamo.

1 febbraio 1980
La crudeltà è una malattia infettiva da cui ci si deve guardare
rigorosamente. Sembra che alcuni studenti abbiano questa particolare infezione
ed essi in un certo qual modo dominano gradualmente gli altri. Probabilmente la
considerano molto virile, dato che gli adulti sono spesso crudeli nelle azioni, negli
atteggiamenti, nei gesti, nell’orgoglio. Tale crudeltà esiste nel mondo. È
responsabilità dello studente – e vi prego di ricordare in quale significato usiamo
questa parola – evitare qualsiasi forma di crudeltà. Una volta, molti anni fa, fui
invitato a parlare in una scuola della California, e mentre entravo nella scuola fui
superato da un ragazzo di circa dieci anni con un grande uccello, preso in
trappola, dalle zampe spezzate. Mi fermai e guardai il ragazzo senza pronunciare
una parola. Il suo viso manifestava la paura, e quando finii il mio discorso e uscii,
il ragazzo – uno sconosciuto – mi si avvicinò con le lacrime agli occhi e mi disse:
“Signore, non accadrà mai più”. Aveva paura che lo dicessi al preside e che vi
fosse una scenata, e poiché non avevo detto una parola sul crudele incidente né
al ragazzo né al preside, la consapevolezza della cosa terribile che aveva fatto gli
fece comprendere l’enormità dell’azione. È importante essere consapevoli delle
proprie attività e, se vi è l’affetto, la crudeltà non trova posto nella nostra vita in
nessun momento. Nei paesi occidentali vedete uccelli allevati con cura e, più
avanti nella stagione, uccisi per divertimento e mangiati. La crudeltà del cacciare,
uccidere piccoli animali, è divenuta una parte della nostra civiltà, come la guerra,
la tortura e gli atti di terrorismo e sequestro. Anche nei nostri rapporti intimi e
personali vi è molta crudeltà, ira, e un nuocersi a vicenda. Il mondo è divenuto un
luogo pericoloso in cui vivere e, nelle nostre scuole, si deve evitare totalmente e
completamente qualsiasi forma di coercizione, minaccia e ira, perché tutte queste
cose induriscono il cuore e la mente, e l’affetto non può coesistere con la
crudeltà.
Voi, come studenti, comprendete quanto sia importante rendersi conto che
qualsiasi forma di crudeltà non solo vi indurisce il cuore ma corrompe i vostri
pensieri, distorce le vostre azioni. La mente, come il cuore, è uno strumento
delicato, sensibile e molto capace, e quando la crudeltà e l’oppressione lo
colpiscono vi è un indurimento del sé. L’affetto o amore non ha alcun centro come
il sé.
Ora, avendo letto queste cose e compreso quel che si è detto finora, cosa
farete a proposito? Avete studiato quel che si è detto, apprendete i contenuti di
queste parole; quale sarà quindi la vostra azione? La vostra risposta non è
unicamente studiare e apprendere ma anche agire. La maggior parte di noi
conosce ed è consapevole di tutte le implicazioni della crudeltà e di ciò che essa
compie effettivamente sia esteriormente che interiormente, e lascia andare senza
fare nulla – pensando una cosa e facendo esattamente il contrario. Ciò non solo
genera molti conflitti ma anche l’ipocrisia. La maggior parte degli studenti non
ama essere ipocrita; ama osservare i fatti ma non sempre agisce. Quindi è
responsabilità dello studente percepire effettivamente la crudeltà e comprendere,
senza alcuna persuasione o adulazione, cosa significhi e fare qualcosa. L’agire è
forse una responsabilità maggiore. Generalmente gli uomini vivono con idee e
credenze completamente distaccate dalla loro vita quotidiana e ciò naturalmente
diviene ipocrisia. Quindi, non siate ipocriti – cosa che non significa che dovete
essere rudi, aggressivi o eccessivamente critici. Quando vi è l’affetto,
inevitabilmente vi è una cortesia priva di ipocrisia.
Qual è la responsabilità del maestro che ha studiato e appreso, e agisce nei
confronti dello studente? La crudeltà ha molte forme. Uno sguardo, un gesto,
un’osservazione secca, e soprattutto il paragone. Tutto il nostro sistema
educativo si basa sul paragone. A è meglio di B, e quindi B si deve conformare ad
A o imitarlo. Questa, in essenza, è crudeltà, ed essa si esprime
fondamentalmente negli esami; perciò, qual è la responsabilità dell’insegnante
che comprende questa verità? In che modo insegnerà una qualsiasi materia senza
la ricompensa e la punizione, tenendo conto della necessità di un resoconto finale
che indichi la capacità dello studente? Può farlo il maestro? È compatibile con
l’affetto? Se è presente la realtà fondamentale dell’affetto, vi trova posto il
paragone? Il maestro può eliminare in se stesso il dolore del paragone? Tutta la
nostra civiltà si basa sul paragone gerarchico sia esteriormente che interiormente,
che nega il senso di profondo affetto. Possiamo eliminare dalla nostra mente il
migliore, il più, lo stupido, l’abile, tutto questo pensiero comparativo? Se
l’insegnante ha compreso il dolore del paragone, qual è la sua responsabilità
nell’insegnamento e nell’azione? La persona che abbia realmente afferrato il
significato del dolore del paragone agisce partendo dall’intelligenza.

15 febbraio 1980
In tutte queste lettere abbiamo sottolineato costantemente che la
cooperazione tra l’insegnante e lo studente è responsabilità di entrambi. La parola
cooperazione significa lavorare insieme, ma noi non possiamo lavorare insieme se
non guardiamo nella stessa direzione con gli stessi occhi e la stessa mente. La
parola “stesso”, in questo contesto, non significa in alcun caso uniformità,
conformismo, o l’accettare, obbedire, imitare. Nella cooperazione reciproca, nel
lavorare insieme, lo studente e il maestro devono avere un rapporto basato
essenzialmente sull’affetto. Gli uomini, per lo più, cooperano quando fabbricano,
giocano, o sono impegnati in ricerche scientifiche, o se lavorano insieme per un
ideale, una credenza, o un qualche concetto realizzato per un certo beneficio
personale o collettivo; oppure cooperano intorno a un’autorità, religiosa o politica.
Per studiare, apprendere e agire, è necessaria una cooperazione tra il
maestro e lo studente. Entrambi sono coinvolti in queste cose. L’insegnante può
conoscere molte materie e fatti. Se, nel comunicarli allo studente, non vi è la
caratteristica dell’affetto, ciò diventa una lotta tra i due. Ma noi non ci
interessiamo soltanto della conoscenza terrena ma anche dello studio del sé in cui
vi è l’apprendimento e l’azione. Sia l’insegnante che lo studente sono impegnati in
quello studio, e qui cessa l’autorità. Per apprendere su se stesso l’insegnante non
si occupa soltanto di sé ma dello studente. Nell’azione reciproca e nelle sue
reazioni iniziamo a comprendere la natura di noi stessi – i pensieri, i desideri, gli
attaccamenti, le identificazioni, e così via. Ciascuno fa da specchio all’altro;
ciascuno osserva allo specchio esattamente quel che è perché, come abbiamo
sottolineato precedentemente, la comprensione psicologica di noi stessi è molto
più importante dell’accumulare fatti e immagazzinarli come conoscenza a favore
dell’abilità nelle azioni. L’interiore prevale sempre sull’esteriore. Ciò deve essere
compreso chiaramente sia dall’insegnante che dallo studente. L’esteriore non ha
trasformato l’uomo; le attività esteriori, la rivoluzione fisica, il controllo fisico
dell’ambiente non hanno trasformato profondamente l’essere umano, i suoi
pregiudizi e superstizioni; intimamente gli esseri umani restano come sono stati
per milioni d’anni.
L’istruzione giusta è il trasformare questa condizione fondamentale. Quando
l’insegnante lo afferra realmente, benché debba insegnare delle materie, il suo
interesse principale dovrà essere la trasformazione radicale della psiche, del “tu”
e del “me”. E qui sta l’importanza della cooperazione tra le due persone che
studiano, apprendono e agiscono insieme. Non è lo spirito di squadra, o lo spirito
della famiglia, o l’identificazione con un gruppo o nazione. È una libera indagine in
noi stessi senza la barriera tra colui che sa e colui che non sa. Questa è la
barriera più distruttiva, specialmente in questioni di autoconoscenza. In questa
non vi è alcuna guida né alcun guidato. Quando lo si percepisce totalmente – e
con affetto – la comunicazione tra lo studente e il maestro diviene facile, chiara e
non solo a un livello verbale. L’affetto non implica alcuna pressione, non è mai
tortuoso. È semplice e diretto.
Una volta dette queste cose, e se entrambi le avete studiate, qual è la
caratteristica della vostra mente e del cuore? Vi è stato un mutamento non
prodotto dall’influenza o dalla semplice stimolazione, che possono causare un
mutamento illusorio? La stimolazione è come una droga: svanisce, e voi siete di
nuovo al punto di partenza. Anche qualsiasi forma di pressione o influenza agisce
nello stesso modo. Se agite in queste circostanze non state realmente studiando
e apprendendo su voi stessi. L’azione basata sulla ricompensa e la punizione,
l’influenza o la pressione, inevitabilmente dà origine a conflitti. È così. Ma pochi
ne comprendono la verità, e così ci rinunciano o dicono che in un mondo pratico è
impossibile o che è idealistico – un qualche concetto utopista. Eppure non lo è. È
eminentemente pratico e realizzabile. Quindi non vi lasciate sconcertare dai
tradizionalisti, dai conservatori o da coloro che si aggrappano all’illusione che il
mutamento possa provenire soltanto dall’esterno.
Quando studiate e apprendete su voi stessi, nasce una forza straordinaria,
basata sulla chiarezza, che si può opporre a tutte le assurdità del sistema. Questa
forza non è una forma di resistenza o un’ostinazione o volontà egocentriche, ma
un’osservazione diligente dell’esterno e dell’interno. È la forza dell’affetto e
dell’intelligenza.

1 marzo 1980
Voi arrivate nelle nostre scuole con un bagaglio personale – sia tradizionale
o libero – con disciplina o senza disciplina, obbedienti o riluttanti e disobbedienti,
in rivolta o conformisti. I vostri genitori sono o negligenti o molto diligenti per voi;
alcuni si possono sentire molto responsabili, altri no. Arrivate con tutti questi
problemi, con famiglie divise, incerti o assertivi, volendo fare a modo vostro o
sottomettendovi con diffidenza ma ribellandovi interiormente.
Nelle nostre scuole siete liberi, e tutte le agitazioni della vostra giovane vita
entrano in azione. Volete fare a modo vostro ma nessuno al mondo lo può. Lo
dovete comprendere molto seriamente – non potete fare a modo vostro. O
imparate ad adattarvi con comprensione, con ragionevolezza, o siete spezzati dal
nuovo ambiente in cui siete entrati. È molto importante comprenderlo. Nelle
nostre scuole gli insegnanti spiegano con cura e voi potete discutere con loro,
avere un dialogo, e capire perché si debbano fare certe cose. Quando si vive in
una piccola comunità di maestri e studenti, è necessario che essi abbiano un buon
rapporto tra loro, amichevole, affettuoso, e con una certa qualità di comprensione
sollecita. Particolarmente oggigiorno, nessuno che vive in una società libera ama
le norme, e le norme divengono assolutamente superflue quando voi e
l’insegnante adulto comprendete, non solo verbalmente e intellettualmente ma
con il cuore, che alcune discipline sono necessarie.
La parola disciplina è stata rovinata dagli assolutisti. Ciascuna arte ha la
propria disciplina, la propria abilità. La parola disciplina deriva dalla parola
discepolo – apprendere; non conformarsi, non ribellarsi, ma apprendere in merito
alle vostre reazioni, il vostro ambiente, i loro limiti, e trascenderli. L’essenza
dell’apprendimento è un moto costante senza un punto fisso. Se il vostro
pregiudizio, le opinioni e le conclusioni ne divengono il punto fisso e voi partite da
quell’ostacolo, cessate di imparare. L’apprendimento è infinito. La mente che
apprende costantemente è al di là di ogni conoscenza. Quindi, siete qui per
apprendere come pure per comunicare. La comunicazione non è solo uno scambio
di parole, per quanto queste parole possano essere articolate e chiare; è molto
più profonda. La comunicazione è apprendere l’uno dall’altro, comprendersi l’un
l’altro, e ciò ha fine quando avete assunto una posizione definitiva in merito a
qualche azione superficiale o non meditata a fondo.
Quando si è giovani vi è un bisogno di conformarsi, di non sentirsi esclusi;
apprendere la natura e le implicazioni del conformismo comporta una propria
disciplina particolare. Vi prego di tenere a mente quando usiamo questa parola
che sia lo studente che l’insegnante sono in un rapporto d’apprendimento, non di
affermazione e approvazione. Quando lo si comprende chiaramente le norme di-
ventano superflue. Quando non è chiaro, è necessario formulare norme. Vi potete
rivoltare contro le norme, contro il fatto che vi si dica cosa fare e cosa non fare,
ma quando comprendete prontamente la natura dell’apprendimento, le norme
scompaiono del tutto. Solo chi è ostinato e arrogante dà origine alle norme; fai
questo e non fare quello.
L’apprendimento non deriva dalla curiosità. Potete essere curiosi del sesso:
questa curiosità si basa sul piacere, su qualche specie di eccitazione, sugli
atteggiamenti degli altri. Lo stesso si applica al bere, alle droghe, al fumo.
L’apprendimento è molto più profondo e più vasto. Apprendete sull’universo non
per piacere o curiosità ma per il vostro rapporto con il mondo. Avete diviso
l’apprendimento in categorie distinte che dipendono dalle esigenze della società o
dalle vostre tendenze personali.
Non stiamo parlando di apprendere su un qualcosa, ma della qualità della
mente che è desiderosa di apprendere. Potete imparare come diventare un buon
falegname, o un giardiniere, o un ingegnere, e quando avete raggiunto la
destrezza in queste professioni avete ridotto la mente a uno strumento che può
funzionare forse abilmente in un certo schema. Ciò è definito apprendimento.
Esso dà una certa sicurezza finanziaria che, probabilmente, è tutto quel che
vogliamo, e così creiamo una società che provvede alle nostre richieste. Ma
quando vi è questa qualità diversa di un apprendimento non su qualcosa, avete
una mente e, naturalmente, un cuore, eternamente vivi.
La disciplina non è il controllo o la sottomissione. Apprendimento significa
attenzione, vale a dire essere diligenti. Solo la mente negligente non apprende
mai. Se è superficiale, noncurante e indifferente, costringe se stessa ad accettare.
La mente diligente esamina attivamente, osserva, non cade in valori e credenze
di seconda mano. La mente che apprende è una mente libera, e la libertà richiede
la responsabilità dell’apprendimento. La mente intrappolata nell’ostinazione,
trincerata in qualche conoscenza, può domandare la libertà, ma per libertà
intende l’espressione dei propri atteggiamenti e conclusioni personali, e quando
ciò venga ostacolato chiede la propria realizzazione. La libertà non ha alcun senso
di realizzazione: è libera.
Quindi, quando arrivate nelle nostre scuole, o di fatto in qualsiasi altra
scuola, vi deve essere questa nobile qualità di apprendimento a cui si unisce un
grande senso di affetto. Quando siete davvero profondamente affettuosi, state
imparando.

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