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controcorrente
Un kairós per la cultura dell’unità – P. Coda ___________________ » pp. 5-11
Nuova Umanità si veste a nuovo ma non muta la sostanza della sua missione cultura-
le, che l’immensa gestazione coinvolgente il mondo contemporaneo e oggi entrata
nella fase risolutiva chiede e propizia. Non si tratta di proporre qualche aggiusta-
mento, ma di cambiare paradigma facendo nostra, nel servizio esigente e liberante
della cultura, l’intuizione evangelica di Chiara Lubich affinché divenga storia concre-
ta e aperta: «Il mio io è l’umanità».
Focus
Mezzo millennio dopo Lutero
Re-formatio. Riforma del XVI secolo e riforma della Chiesa oggi
– H. Blaumeiser ___________________________________________ » pp. 13-32
Oltrepassando un’immagine di Lutero segnata dalla polemica, l’articolo indaga sulle
linee di fondo della teologia del Riformatore, strettamente legata alla spiritualità e
alla pastorale: dall’immagine di Dio come si rivela nel Cristo crocifisso alle conse-
guenze antropologiche. Centrale lo “scambio ammirevole”: fra Cristo e noi e fra noi
e i nostri prossimi. A fianco a innegabili limiti, emergono importanti stimoli per una
riforma della Chiesa anche nell’oggi, che non può non essere ritorno alla “forma”
originaria così come ci è svelata nella kenosi di Cristo.
Lutero e la teologia cattolica: gettare ponti tra diverse forme di pensiero.
Approcci ecumenici – W. Thönissen_________________________ » pp. 33-50
L’articolo rievoca il cammino delle Chiese cattolica e luterana che, nell’ultimo seco-
lo, ha liberato l’immagine di Lutero da interpretazioni e distorsioni. Dopo la Dichiara-
zione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 1999, nuovo frutto importante è
il documento Dal conflitto alla comunione, che ha affrontato dei temi tradizionalmen-
te controversi evidenziando come le accentuazioni dottrinali diverse non debbano
escludersi a vicenda e non vanifichino un consenso nelle verità fondamentali. Infine
si evidenzia come le secolari condanne nei confronti di Lutero potrebbero essere
riviste, scoprendo sempre più la sua ecclesialità e “cattolicità”.
sommario
scripta manent
Cinque imperativi ecumenici______________________________ » pp. 57-59
Riportiamo qui il capitolo VI del Rapporto della Commissione internazionale lutera-
na-cattolica per l’Unità, Dal conflitto alla comunione. Commemorazione comune lute-
rana-cattolica della Riforma nel 2017 (2013). Traduzione dall’originale tedesco a cura
della rivista Il Regno (Supplemento a «Il Regno. Documenti» n. 11 – 1° giugno 2013).
parole chiave
Receptive Ecumenism – C. Slipper __________________________ » pp. 61-63
punti cardinali
Ecologia della scrittura giornalistica – M. Zanzucchi__________ » pp. 65-73
In questo articolo l’Autore presenta, con la penna del cronista e la testa del-
lo studioso di giornalismo, qualche riflessione sulla “ecologia della scrittura
giornalistica”. Sì, perché anche la scrittura del cronista ha una dimensione eco-
logica nella sua dimensione “casalinga”, prendendo l’etimo greco nel suo sen-
so più letterale: un “discorso sulla casa”. Ma anche “nella casa” e “della casa”.
“Casa” qui viene intesa come luogo di abitazione ma ovviamente anche come
ambiente nel quale ci si trova a vivere come giornalisti: la redazione, la stra-
da, i parlamenti, ogni luogo dove la notizia viene creata da fatti che accadono.
in biblioteca
Il libro dell’incontro di G. Bertagna - A. Ceretti
- C. Mazzucato (edd.) – A. Crippa__________________________ » pp. 133-136
Paolo VI e Chiara Lubich di P. Siniscalco - X. Toscani (edd.)
- E. Del Nero ____________________________________________ » pp. 137-138
english summary _______________________________________ » pp. 139-141
murales – G. Berti __________________________________________ » p. 142
dallo scaffale di città nuova
L’unità si fa storia
Pasquale Foresi e il Movimento
dei Focolari
A cura di Armando Droghetti e Fiorenza Medici
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controcorrente
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piero coda
4. Una voce che si leva con forza e chiarezza, e che pare raccogliere e
convogliare gli aneliti e le istanze, le grida e le speranze di molti, è oggi – in
questa prospettiva che travalica d’emblée anche i più consolidati (all’appa-
renza) storici steccati – quella ferma e profetica di papa Francesco.
Un papa – come si è detto – che viene dalla fine del mondo non solo in
senso geografico e spaziale, ma anche storico e temporale: nel farci avver-
titi, e senza giri di parole, della vera posta in gioco che qui ed ora è nelle
nostre mani.
Quand’egli parla del tempo che viviamo non come una semplice epoca
di cambiamento, ma come un reale cambiamento d’epoca; quando sollecita
a un rinnovato impegno culturale ed educativo, e in radice etico e spiritua-
le, che si faccia indispensabile premessa per generare un paradigma altro di
cultura in grado d’informare il nostro progetto umano e sociale; quando – per
descrivere la portata di quest’impresa – non ha remore nel parlare di una
sovversiva “rivoluzione culturale”, Francesco indirizza senza tentennamenti
il nostro sguardo e le nostre scelte in questa direzione.
Così facendo, l’ispirazione cristiana, ritrovando lo slancio di novità e di
radicalità evangelica che ha animato il Vaticano II, si accredita e si offre agli
attori della nostra storia come partner decisivo dei tanti propositi positivi e
costruttivi che ispirano i differenti universi religiosi così come le avanguar-
die più avvertite e sinceramente in ricerca della cultura laica, nella decisa
volontà di attraversare la soglia che sta davanti a tutti noi.
Assolvere a questo compito, evidentemente, chiede alla cultura d’ispira-
zione cristiana per prima un profondo e radicale processo di conversione e
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Umanità non può oggi non leggere il suo compito e il suo impegno come gratu-
itamente rispondenti a questo specifico e oneroso kairós.
La sfida, dunque, è di esplicitare e rendere incidente in questa immensa
gestazione l’apporto di una cultura dell’unità, di cui nel corso di tutti questi
anni – lo dobbiamo riconoscere, pur consapevoli della nostra piccolezza – le
pagine della nostra Rivista hanno voluto essere uno spazio di proposizione
e una palestra di addestramento e di verifica. Producendo frutti che costi-
tuiscono senza meno una preziosa eredità: la quale ora, nello slancio di una
nuova tappa del cammino, chiede d’essere rivisitata con attenzione e valo-
rizzata con cura.
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focus. mezzo millennio dopo lutero
Re-formatio
Riforma del XVI secolo
e riforma della Chiesa oggi
arrivare a una rottura2. Che in seguito si giunse a una divisione della Chiesa
è da attribuire non solo a lui e al suo carattere impulsivo, ma anche a vicende
ecclesiastiche e politiche di rara complessità, al divario culturale fra il nord
e il sud delle Alpi nonché all’avvento della stampa proprio in quegli anni. Va
tenuto presente, in ogni caso, che una «Riforma della Chiesa dal capo alle
membra» nel tardo Medioevo si sollecitava da molti anni.
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Allora cominciai – ricorderà anni dopo, quasi alla fine della vita – a
comprendere la giustizia di Dio come quella giustizia per la quale il
giusto vive per il dono di Dio ed esattamente per la fede [...] come
sta scritto: «Il giusto vive per la fede». Qui mi sono sentito come
completamente rinato e come se fossi entrato attraverso le porte
spalancate nel Paradiso stesso. Là immediatamente tutta la Scrit-
tura mi mostrava un volto diverso6.
Nel 1518 ritroviamo la stessa scoperta, espressa con parole diverse, nella
celebre tesi 28, quella conclusiva della Disputa di Heidelberg, in cui Lutero
ha tracciato un vero e proprio programma teologico: «Amor Dei non invenit
sed creat suum diligibile, amor hominis fit a suo diligibili – l’amore di Dio non
trova quello che gli è amabile ma lo crea; l’amore umano si origina da quello
che gli è amabile». L’Amore divino, infatti, si dirige con preferenza «non là
dove trova un bene di cui godere, ma là dove può comunicare il bene a ciò
che è cattivo e bisognoso». Esso «ama i peccatori, cattivi, stolti e deboli, per
farli giusti, buoni, sapienti e forti»7.
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conseguenze antropologiche
L’immagine, meglio: la realtà di Dio, che si dona in maniera del tutto gra-
tuita e comunica a noi la sua vita e il suo essere, si traduce per Lutero con
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Vale la pena evidenziare, con brevi cenni, senza alcuna pretesa di essere
esauriente, alcuni tratti della grande attualità che questa theologia practi-
ca del Riformatore può avere oggi e quanto possa essere pertanto fecondo
prodigarsi perché il 500° anniversario dell’inizio della Riforma non rimanga
soltanto un’occasione per commemorare o celebrare, ma diventi un’oppor-
tunità per riscoprire la linfa profonda che scorreva nella teologia di Lutero.
Cerchiamo di metterne in luce almeno qualche aspetto.
Forse si è potuto percepire, in quanto detto fin qui, che nel pensiero del
Riformatore teologia, spiritualità e pastorale sono in qualche modo un tutt’u-
no. Non a caso Lutero, se da un lato si è segnalato come teologo, e più esat-
tamente biblista, di calibro, allo stesso tempo era appassionato predicatore.
La teologia che egli propone è di immediata rilevanza esistenziale, interpella,
vuole trasformare. Se questo, dal punto di vista sistematico ovvero dell’elabo-
razione dogmatica, comporta a volte un limite, è soprattutto un pregio.
Altro punto di rilievo è la concezione squisitamente personale del rap-
porto con Dio. La grazia della salvezza non è qualcosa che ci viene da lui,
quasi un “pacchetto” di facoltà o di capacità superiori con cui avviene un
upgrade della persona umana, ma è Qualcuno, è Cristo stesso che ci viene
incontro e si dona a noi, prende dimora in noi e così trasforma il nostro modo
d’essere proiettandoci fuori di noi: in Dio e nel prossimo. Ci sarebbe molto
da dire su questa visione dell’esistenza cristiana che apre, in definitiva, la via
a un’antropologia relazionale di indubbia modernità20.
In una società dell’efficienza e del rendimento, è un particolare pregio
della teologia di Lutero aver rimesso in luce la prospettiva genuinamente
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biblica, specie paolina, che essere cristiani non è un “fare” e tanto meno
un “fare se stessi” ovvero un virtuoso sforzo di autoperfezionamento – sta
qui un limite dell’assunzione dell’etica aristotelica da parte della teologia
scolastica –, ma è un aprirsi all’agire di Dio, un aderire nella fede – e, in vir-
tù della fede, nell’agire – alla vita nuova che ci viene gratuitamente donata
da lui. «Siamo creature e non creatori»21, sottolinea il Riformatore, siamo
opera delle mani di Dio. Nessuno spazio pertanto per il legalismo. Ciò che
ci è chiesto è allo stesso tempo molto di meno e molto di più: metterci in
gioco, attraverso la fede, con tutti noi stessi, e poi lasciare che Cristo si
esprima in noi.
Altra dimensione da ricordare della teologia di Lutero è senz’altro la sua
concentrazione sul vangelo, l’accento posto sulla Parola di Dio, prima di
qualsiasi altra cosa. A questo proposito egli, in maniera singolare, si mostra
conscio della forza trasformante, creatrice e ricreatrice che è propria della
Parola e le conferisce un’efficacia quasi sacramentale quando è accolta nella
fede. Cristo opera in noi soprattutto attraverso la Parola: è attraverso di lei
che egli afferra la persona umana, la purifica, la unisce a sé e la porta oltre
se stessa22.
Ora queste, e tutte le parole di Dio – leggiamo nel trattato sulla li-
bertà cristiana – sono sante, veraci, giuste, pacifiche, libere e piene
di ogni bene. Perciò chi si attiene a esse con vera fede, si unisce
a esse con l’anima così interamente, che tutte le virtù della Parola
diventano proprie anche dell’anima. E così, per mezzo della fede,
l’anima è fatta dalla Parola di Dio santa, giusta, verace, mansueta,
libera e piena di ogni bene, un vero figliolo di Dio.
ziale, essi sono allo stesso tempo una manovra correttiva e un’indicazione
di priorità, un deciso – forse a volte troppo deciso – accento su ciò che è il
cuore, il centro di tutto.
limiti e stimoli
Con tutto ciò non si possono sorvolare limiti, unilateralità ed eccessi che
si riscontrano nella teologia e nell’operato di Lutero, come del resto, ai nostri
giorni, riconoscono gli stessi luterani25.
Tra questi, a mio avviso, il difetto più grande, che ci impone un cammino
non semplice di approfondimento e di riconciliazione, è identico a quello di
molti dei suoi avversari cattolici: la polemica che rompe la comunione, avve-
lena i rapporti e sfalsa la realtà, assieme a un – forse inconscio – gusto della
contrapposizione e della polarizzazione che conduce, nel confronto sui pun-
ti controversi, alla negazione di uno dei due poli in gioco. Si rischiano così di
opporre, in maniera esclusiva, il primato dell’iniziativa di Dio e della grazia
alla cooperazione della libera volontà e al ruolo delle opere nell’esistenza
cristiana; lo scandalo della croce e la trascendenza e la libertà di Dio alla
concretezza di una vita sacramentale in linea con il fatto dell’incarnazione
del Verbo; la normatività assoluta della Scrittura alla grande Tradizione ec-
clesiale dalla quale non si distinguono sufficientemente tradizioni, consue-
tudini e leggi ecclesiali sviluppatesi lungo la storia. E potremmo continuare
a individuare esempi, da ambo le parti.
È da tener presente poi, come già accennato, che l’approccio della teolo-
gia di Lutero è tutt’altro rispetto a quello della teologia scolastica, con punti
di partenza e indirizzi così diversi che non era e non è facile comprendersi
tra l’uno e l’altro. Ciò che a Lutero interessa non è l’esposizione sistematica
del dogma della fede cristiana in una visione d’insieme come la cercava la
scolastica, ma educare gli orientamenti del cuore e influire sulla retta prassi
della vita cristiana26.
In un contesto similmente polarizzato e complesso, fu arduo il compito
del Concilio di Trento. Da un lato fece capo ad esso un movimento di Contro-
Riforma che si prefiggeva di porre freno al dilagare della Riforma protestan-
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Chi […] potrebbe negare che Martin Lutero fosse una persona pro-
fondamente religiosa, che lottò con onestà e dedizione per il mes-
saggio dell’Evangelo? Chi potrebbe negare che, nonostante il fatto
di aver lottato contro la Chiesa cattolica romana e la sede apostolica
(e per amore di verità, non si possono tacere questi fatti), preservò
una porzione preziosa della fede cattolica tradizionale? Non è forse
vero d’altronde che il Concilio Vaticano II ha risposto ad esigenze
che, fra l’altro, furono espresse da Martin Lutero, e che consentono
attualmente una migliore espressione di svariati aspetti della fede
e della vita cristiane?28.
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Ricomprendere meglio gli intenti più profondi della teologia di Lutero po-
trà essere di luce anche oggi, in un momento in cui le Chiese, forse più che
in altri tempi, sono alle prese con la sfida dell’Ecclesia semper reformanda. Ri-
forma della Chiesa per Lutero non significava, infatti, semplicemente cam-
biamento e neppure adattamento alle tendenze e alla mentalità di un’epoca,
ma re-formatio nel senso di ritorno alla forma originaria del cristianesimo che
compare nella maniera più nitida nel Cristo crocifisso.
Al culmine della sua vita, il Figlio di Dio ha manifestato la sua divini-
tà proprio nell’assumere la forma servi. Ogni giorno egli ci viene incontro
nella sua Parola per operare anche in noi una sempre nuova trans-formatio
dal vivere centrati su noi stessi al vivere trasferiti in Dio e negli altri. Modo
d’essere che, del resto, è normativo non solo per il singolo cristiano ma an-
che per la Chiesa nel suo insieme che, alla sequela del suo Signore croci-
fisso e risorto, non può cercare potere, gloria e ricchezza. Nelle sofferenze
e nell’abbandono sperimentati dal Cristo crocifisso si svela infatti – come
Lutero spiega nel commento al Salmo 22, 2 – la nova populi forma32 che fa sì
che la Chiesa, per natura sua, cresca nelle avversità mentre si indebolisce in
mezzo alle prosperità33.
Cercando di trarre, da quanto abbiamo intravisto, alcune conseguenze
per il presente, potremmo dire che:
- riforma, in senso genuinamente evangelico, è un evento mai concluso
ma avviene e deve avvenire sempre di nuovo in ogni momento presente34;
- a ben guardare non esiste, pertanto, e non potrà esistere – né in ambito
protestante né in ambito cattolico – una Chiesa “riformata” e che possa sen-
tirsi “a posto”, quasi la riforma potesse essere una conquista fatta una volta
per tutte e diventare quindi un possesso: siamo e saremo sempre Ecclesia
reformanda;
- protagonisti di una vera riforma, in ultima istanza, non sono “riforma-
tori” che si improvvisano come tali, ma è chi lascia che risuoni con nuova
attualità il vangelo con la sua chiamata alla conversione;
- ri-forma avviene nel costante riferimento al Cristo crocifisso come for-
ma distintiva e come fonte e fermento di continua trasformazione;
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1
Con la vendita delle indulgenze, l’arcivescovo Albrecht di Brandeburgo volle
saldare il debito contratto per l’assegnazione della diocesi di Magonza oltre a quella
di Magdeburgo. Com’è noto, quei soldi gli erano stati chiesti da Roma per l’attribu-
zione di una seconda sede episcopale e contribuirono, fra l’altro, all’edificazione del-
la basilica di San Pietro. In cambio era stato concesso all’arcivescovo di far predicare
una speciale indulgenza. Ne nacque, per opera del domenicano Giovanni Tetzel, il
deplorevole commercio delle indulgenze criticato da Lutero.
2
Cf., a questo proposito, Messaggio di Giovanni Paolo II al Card. Giovanni Wil-
lebrands, Presidente del Segretariato per l’unione dei cristiani, in occasione del 500°
anniversario della nascita di Lutero: «Infatti, le ricerche scientifiche di studiosi evan-
gelici e cattolici, ricerche i cui risultati hanno già raggiunto notevoli punti di conver-
genza, hanno condotto a delineare un quadro più completo e più differenziato della
personalità di Lutero e della trama complessa della realtà storica, sociale, politica
ed ecclesiale della prima metà del Cinquecento. Di conseguenza si è delineata chia-
ramente la profonda religiosità di Lutero che, con bruciante passione, era sospinto
dall’interrogativo sulla salvezza eterna. Parimenti è risultato chiaro che la rottura
dell’unità ecclesiale non si può ridurre né alla mancanza di comprensione da par-
te delle autorità della Chiesa cattolica, né solamente alla scarsa comprensione del
vero cattolicesimo da parte di Lutero, anche se entrambe le cose hanno avuto un
loro ruolo».
3
Cf. ad esempio nel secondo ciclo di lezioni sui Salmi: «Così noi non ci prepa-
riamo a essere per la fede trasformati in lui, cosicché egli ci sia Dio, ma cerchiamo
attraverso le opere di farlo cambiare a nostro favore e di adeguarlo ai nostri voti, co-
sicché noi diventiamo idoli per lui» (Weimarer Ausgabe [Edizione critica delle opere
di Lutero – WA] 5, 446, 14-16).
4
Cf. in particolare la Disputatio contra scholasticam theologiam (1517) e la Dispu-
ta di Heidelberg (1518). Per quest’ultima vedi J.E. Vercruysse, Gesetz und Liebe. Die
Struktur der Heidelberger Disputation Luthers (1518), in «Lutherjahrbuch» 48 (1981),
pp. 7-43; Id., Homo cum theologia crucis. Considerazioni sull’antropologia di Lutero nella
disputa di Heidelberg, in La Sapienza della Croce oggi, Atti del Congresso internaziona-
le, Roma, 13-18 ottobre 1975, vol. I: La Sapienza della Croce nella Rivelazione e nell’Ecu-
menismo, Elledici, Torino 1976, pp. 588-593.
5
Cf. WA 1, 557, 33 - 558, 18 (Resolutiones sulle 95 tesi).
6
Frammento autobiografico del 1545 nella Prefazione all’edizione latina delle sue
opere (WA 54, 185, 12 – 186, 20)
7
WA 1, 365, 1-2; 13-15; 9-10.
8
WA 1, 362, 18-19.
9
Cf. ad esempio nel trattato De libertate christiana 1: «Così [è detto] anche di
Cristo [il quale], benché Signore di tutti, è “nato da donna, nato sotto la legge” [Ga-
lati 4, 4], libero e al tempo stesso servo, in forma di Dio e al tempo stesso in forma
di servo» (traduzione italiana dalla versione latina, in M. Lutero, Opere scelte, vol. 13:
La libertà del cristiano [1520], a cura di P. Ricca, Claudiana, Torino 2005, p. 82). Nella
versione tedesca del trattato la citazione di Fil 2 ricorre al n. 26: «Abbiate lo stesso
sentimento che vedete in Cristo, il quale, sebbene fosse del tutto in forma divina e
fosse abbastanza ricco per sé, e non avesse bisogno della sua vita, attività e passio-
ne per diventare con esse pio o beato, si è nondimeno spogliato di tutto e ha preso
l’aspetto di un servo, fatto e sofferto ogni cosa, non considerando altro che il nostro
più grande bene; e così, sebbene fosse libero, egli si è per amor nostro fatto servo»
(in M. Lutero, Opere scelte, vol. 13, cit., p. 193).
10
WA 5, 608, 6-9.
11
WA 5, 608, 16-18. Cf. similmente nella Disputa di Heidelberg: «Per la fede
Cristo è in noi, anzi un tutt’uno con noi» (probatio tesi 26; WA 1, 364, 23-24) e
«quando Cristo abita in noi attraverso la fede, già ci muove alle opere» (probatio tesi
27; WA 1, 364, 30-31); De libertate christiana 12: «La terza incomparabile grazia della
fede è questa, che congiunge l’anima a Cristo come la sposa allo sposo. Con questo
sacramento, come insegna l’Apostolo, Cristo e l’anima diventano una sola carne,
[…] ne consegue anche che tutte le loro cose diventano comuni, sia quelle buone sia
quelle cattive». «Cristo è pieno di grazia, vita e salvezza, l’anima è piena di peccato,
morte e dannazione. Ora si interpone tra loro la fede, e accade che il peccato, la
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morte e l’inferno sono di Cristo, mentre la grazia, la vita e la salvezza sono dell’ani-
ma» (traduzione italiana dalla versione latina, in M. Lutero, Opere scelte, vol. 13, cit.,
pp. 114 e 116).
12
È questa un’interpretazione del pensiero di Lutero che negli ultimi decenni è
emersa sempre più, specie nell’ambito della ricerca scandinava. Cf. fra gli altri B.K.
Holm, Gabe und Geben bei Luther. Das Verhältnis zwischen Reziprozität und reformato-
rischer Rechtfertigungslehre, Walter De Gruyter, Berlin 2006.
13
Cf. E. Thaidigsmann, Gottes schöpferisches Sehen. Elemente einer theologischen
Sehschule im Anschluß an Luthers Auslegung des Magnificat, in «Neue Zeitschrift für
systematische Theologie und Religionsphilosophie» 29 (1987), pp. 19-38. Secondo
J. Moltmann, sta qui la differenza fra il “teologo della gloria”, il quale cerca e ama ciò
che gli è simile, e il “teologo della croce” che è capace di amare ciò che gli è dissimile
e diverso (cf. J. Moltmann, Il Dio crocifisso. La croce di Cristo, fondamento e critica della
teologia cristiana, Queriniana, Brescia 1973, p. 248).
14
Per un approfondimento dell’immagine di Dio in Lutero e per rendersi conto
che non vi è un’ultima contraddittorietà in essa, almeno nel Secondo Commento ai
Salmi (1519-1521), cf. le pp. 171-185 del mio studio Martin Luthers Kreuzestheologie.
Schlüssel zu seiner Deutung von Mensch und Wirklichkeit, Bonifatius, Paderborn 1995.
15
Cf. Weimarer Ausgabe Lettere – WABr 1, 35.
16
De libertate christiana 27 (traduzione italiana dalla versione latina, in M. Lute-
ro, Opere scelte, vol. 13, cit., pp. 200 e 202). Poco oltre Lutero afferma: «Certamente
siamo chiamati così [“cristiani”] a motivo di Cristo, che non è assente ma abita in
noi, se cioè crediamo in lui e siamo reciprocamente e scambievolmente Cristo uno
per l’altro, facendo al prossimo quel che Cristo fa a noi». E ancora: «Ma – che pena!
– questa vita è oggi sconosciuta in tutto il mondo, e non è né predicata né ricercata»
(p. 202). Interessante come Lutero in questo contesto accenni a Maria: «Un esem-
pio di questa fede, superiore agli altri, l’ha offerto anche la beata Vergine» (p. 204).
17
De libertate christiana 27, (ibid., p. 218).
18
De libertate christiana 30 (traduzione italiana dalla versione tedesca, in M.
Lutero, Opere scelte, vol. 13, cit., p. 221).
19
Cf. WA 5, 66, 17: «Egli distrugge ogni forma viziosa e la tramuta in altra, così
come piace a Dio». L’idea della transformatio ritorna in Lutero in molteplici modi,
ispirati al linguaggio della Scrittura: uomo vecchio e uomo nuovo, carne e spirito,
cuore incurvato e cuore dritto, ecc.
20
Cf., fra gli altri, W. Joest, Ontologie der Person bei Luther, Vandenhoeck & Ru-
precht, Göttingen 1967, e K.H. zur Mühlen, Nos extra nos. Luthers Theologie zwischen
Mystik und Scholastik, Mohr, Tübingen 1972. Come questa visione relazionale in Lu-
tero abbia addirittura radici ontologiche e si estenda alla creazione intera si può de-
sumere ad esempio da questo brano delle Operationes in Psalmos: «Non esiste nes-
sun albero che porta i suoi frutti per sé, ma egli dona i suoi frutti a un altro; ed anzi,
nessuna creatura vive per se stessa e serve se stessa (tranne l’uomo e il diavolo). Il
sole risplende non per sé, non per sé fluisce l’acqua ecc. Così ogni creatura osserva
la legge dell’amore e tutta la sua consistenza (substantia) sta nella legge del Signore.
Anche le membra del corpo umano non servono a se stesse. Soltanto l’inclinazio-
ne interiore (affectus) dell’anima è peccaminosa (impius). Perché essa non soltanto
non dona a nessuno del proprio, non serve nessuno e non vuole bene a nessuno,
bensì rapisce tutto a tutti, cercando in tutto, e persino in Dio, il proprio» (WA 5, 38,
11-20). Per un approfondimento cf. A. Raunio, Die “Goldene Regel” als theologisches
Prinzip beim jungen Luther, in T. Mannermaa et al. (edd.), Thesaurus Lutheri. Auf der
Suche nach neuen Paradigmen der Luther-Forschung, Referate des Luther-Symposiums
in Finnland, 11-12 November 1986, Helsinki 1987, pp. 309-327.
21
«Facturae non factores» (WA 5, 544, 21).
22
Cf. per esempio WA 5, 379, 18-20 su quanto opera la Parola: «Essa purifica,
rende solido e prova il cuore della persona umana assimilandolo a sé, perché non
sappia nulla di ciò che è di lui e sulla terra, bensì ciò che è di Dio e nei Cieli». Simil-
mente WA 5, 176, 17-33 (Excursus De spe et passionibus nel commento al Salmo 5).
23
De libertate christiana 10 (traduzione italiana dalla versione tedesca, in M. Lu-
tero, Opere scelte, vol. 13, cit., pp. 105 e 107).
24
Cf. quanto esposto nell’articolo di W. Thönissen in questo numero della
Rivista.
25
Cf. la Dichiarazione Martin Lutero testimone di Gesù Cristo della Commissione
congiunta cattolica romana - evangelica luterana in occasione del 500° anniver-
sario della nascita di Martin Lutero nel 1983: «Assieme alla loro gratitudine per i
contributi di Lutero, le Chiese luterane sono attualmente consapevoli dei suoi limiti
personali e del suo lavoro e di taluni effetti negativi delle sue azioni. Non possono
approvare i suoi eccessi polemici; sono inorridite dagli scritti antigiudaici della sua
vecchiaia; si rendono conto che la sua consapevolezza apocalittica lo portò a giudizi
che esse non possono condividere, ad esempio sul papato, sul movimento anabat-
tista e sulla guerra dei contadini» (n. 20; Enchiridion oecumenicum [EO] 1/1540).
26
Cf. Benedetto XVI, Discorso durante l’incontro con i rappresentanti del Consiglio
della Chiesa evangelica in Germania, Erfurt, 23 settembre 2011: «Dio, l’unico Dio, il
Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’o-
rigine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è
diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera
sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo”
era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrit-
tura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che
l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita».
30 nu 221
hubertus blaumeiser
27
Cf. Martin Lutero testimone di Gesù Cristo: «Il timore di fronte alla distribuzione
di edizioni non autorizzate della Bibbia, una insistenza accentratrice sul papato e
sull’unilateralità della teologia e della prassi sacramentale caratterizzarono consa-
pevolmente il cattolicesimo nel senso della Controriforma. D’altro canto, parecchie
delle preoccupazioni di Lutero vengono prese in considerazione dagli sforzi di rifor-
ma del Concilio Tridentino, come, ad esempio, il rinnovamento della predicazione,
l’intensificazione della istruzione religiosa e l’insistenza sulla dottrina agostiniana
della grazia» (n. 21; EO 1/1541).
28
Citato in Martin Lutero testimone di Gesù Cristo, n. 23. Al n. 24 la Dichiarazione
esplicita quest’affermazione: «Tra le posizioni del Vaticano II in cui si riconoscono
preoccupazioni manifestate da Lutero, possiamo menzionare:
- l’insistenza sull’importanza decisiva della sacra Scrittura per la vita e la dottri-
na della Chiesa (costituzione dogmatica Dei verbum);
- la descrizione della Chiesa come “popolo di Dio” (costituzione dogmatica Lu-
men gentium, cap. II);
- l’affermazione della necessità di un rinnovamento continuo della Chiesa du-
rante la sua esistenza storica (Lumen gentium 8; decreto sull’ecumenismo Unitatis
redintegratio 6);
- l’insistenza sulla confessione della croce di Gesù Cristo e sulla sua importanza
per la vita del singolo cristiano e della Chiesa nel suo insieme (Lumen gentium 8;
Unitatis redintegratio 4; Gaudium et spes 37);
- la concezione dei ministeri della Chiesa come servizi (Christus Dominus 16; Pre-
sbyterorum ordinis);
- l’insistenza sul sacerdozio di tutti i battezzati (Lumen gentium 10-11; Apostoli-
cam actuositatem 2-4);
- l’affermazione del diritto dell’individuo alla libertà nelle questioni religiose (Di-
gnitatis humanae)» (EO 1/1544).
29
Testo italiano in «Il Regno. Documenti», Supplemento al n. 11, 1 giugno 2013;
disponibile anche nella pagina del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità
dei cristiani, all’interno del sito del Vaticano: http://www.vatican.va/roman_curia/
pontifical_councils/chrstuni/lutheran-fed-docs/rc_pc_chrstuni_doc_2013_dal-
conflitto-alla-comunione_it.html.
30
Ricevendo il 18 dicembre 2014 una delegazione della Chiesa evangelica lute-
rana tedesca, papa Francesco ha affermato a questo proposito: «Il dialogo ecumeni-
co oggi non può più essere separato dalla realtà e dalla vita delle nostre Chiese. Nel
2017 i cristiani luterani e cattolici commemoreranno congiuntamene il quinto cen-
tenario della Riforma. In questa occasione, luterani e cattolici avranno la possibilità
per la prima volta di condividere una stessa commemorazione ecumenica in tutto
il mondo, non nella forma di una celebrazione trionfalistica, ma come professione
della nostra fede comune nel Dio Uno e Trino. Al centro di questo evento ci saranno
dunque la preghiera comune e l’intima richiesta di perdono rivolte al Signore Gesù
Cristo per le reciproche colpe, insieme alla gioia di percorrere un cammino ecume-
nico condiviso».
31
Cf. Dal conflitto alla comunione, nn. 234-237.
32
Cf. WA 5, 610, 6-8.
33
Cf. WA 5, 42, 7-8.
34
Cf. la teologa C. Aus der Au, nominata presidente del Kirchentag evangelico
del 2017: «A ben guardare, nel 2017 non celebreremo il 5° centenario della Riforma,
ma la Riforma in atto da 500 anni! E, più esattamente, non solo da 500 anni, ma da
molto più tempo ancora […]. Il Giubileo della Riforma, in tutte le sue manifestazioni
e nei suoi incontri, ci offre l’opportunità di scoprire in maniera nuova questa fede. E
di renderne conto in maniera nuova nel linguaggio della nostra società e guardan-
do in faccia ai nostri problemi. […] Allora la Riforma continuerà trasversalmente in
tutte le Chiese e così anche nei prossimi 500 anni vi sarà chi vive questa fede in
maniera sincera e seria, gioiosa e serena, autonoma e comunitaria» (nostra tradu-
zione dall’originale tedesco; http://www.luther2017.de/de/2017/reformationsjubi-
laeum/standpunkte/christina-aus-der-au/).
32 nu 221
focus. mezzo millennio dopo lutero
tento lavoro storico, gli studi cattolici hanno potuto oltrepassare a poco a
poco l’approccio unilaterale alla persona e all’opera di Lutero4. A favorire
questo sviluppo fu l’interesse di un certo numero di cattolici per la storia
della Riforma, svegliatosi nella seconda metà del XIX secolo attraverso mol-
teplici sforzi compiuti dalla popolazione cattolica nell’Impero tedesco sotto
la predominante influenza dei protestanti. Assai presto alcuni teologi cat-
tolici aperti all’ecumenismo riuscirono a liberarsi dalle accentuazioni di una
storiografia protestante antiromana e formularono la tesi secondo la quale
Lutero superò, in sé, un cattolicesimo che non era pienamente cattolico5.
Secondo questa visione, propugnata in particolare dallo storico cattolico
Joseph Lortz, la vita e la dottrina della Chiesa nel tardo Medioevo rappre-
sentarono lo sfondo negativo sul quale si fece strada la Riforma. La chiave
per comprendere la Riforma come rinnegamento della Chiesa cattolica va
ravvisata dunque nella situazione della Chiesa tardo-medievale e nelle am-
biguità insite nella teologia cattolica dell’epoca6. «In modo nuovo, Lutero fu
rappresentato come una persona di intenso fervore religioso e un rigoroso
uomo di preghiera. Lucide analisi storiche condotte da altri teologi cattolici
mostrarono che a portare alla divisione della Chiesa non furono le questioni
cruciali di cui si occupò la Riforma, come la dottrina della giustificazione,
ma piuttosto le critiche mosse da Lutero alla situazione della Chiesa del
suo tempo, che scaturivano da tali questioni»7. Alcuni decenni dopo, il card.
Johannes Willebrands (allora presidente del Pontificio Consiglio per l’unità
dei cristiani) rese in un certo senso giustizia a Lutero, riconoscendo la sua
profonda religiosità8, ma furono soprattutto Giovanni Paolo II, e più recen-
temente papa Benedetto XVI, a completare l’immagine di Lutero. Giovanni
Paolo II nel 1996 sottolineò la propensione di Lutero al rinnovamento della
Chiesa9; Benedetto XVI esaltò in Lutero la questione su Dio come la grande
passione e forza motrice durante tutta la sua vita10. Non era intenzione di
Lutero dividere la Chiesa.
Un passo ulteriore permise alla ricerca cattolica su Lutero di individuare,
nel confronto sistematico tra i due teologi più rappresentativi delle due con-
fessioni, Tommaso d’Aquino e Martin Lutero, contenuti teologici analoghi
espressi in strutture e sistemi di pensiero differenti. Un confronto ermeneu-
tico delle loro teologie è in grado di mostrare che il loro pensiero ha percorso
34 nu 221
wolfgang thönissen
strade molto diverse, le quali però non si escludono a vicenda e in alcuni casi
sono addirittura complementari.
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wolfgang thönissen
di Lutero non era volta all’abolizione del sacramento della penitenza. La do-
manda centrale invece fu: «Come ottengo la remissione dei peccati?». La
teologia della sua epoca gli aveva insegnato che Dio perdonerà chi con un
sincero atto d’amore si pente del proprio peccato. È compito del sacerdo-
te indicare e dichiarare con l’assoluzione la remissione dei peccati, già av-
venuta attraverso il pieno pentimento. La remissione dei peccati è l’effetto
del pentimento19. Dietro a questo si scorge la teoria nominalista secondo la
quale Dio non nega la sua grazia a chi fa tutta la propria parte20. Secondo
questo concetto la giustificazione del peccatore appare come conseguen-
za del pentimento ad opera della persona umana, benché dono ricevuto da
Dio, già avvenuto al momento della remissione dei peccati. Lutero, nella sua
profonda analisi della dottrina della penitenza del tardo Medioevo, cominciò
a comprendere che il pentimento deriva invece da una promessa da parte di
Dio che la persona umana accoglie e afferra nella fede. Lutero osserva che
fu Staupitz a iniziare questa dottrina e riceve spunti decisivi da Bernardo di
Chiaravalle e da Agostino21. L’unica risposta adeguata alla promessa divina
che ci raggiunge attraverso la Parola è la fede. La giustificazione della perso-
na umana avviene soltanto per via della grazia, con la fede nell’opera salvifica
di Gesù Cristo.
«Anche nel XVI secolo vi era tra le posizioni dei luterani e dei cattolici
una notevole convergenza riguardo alla necessità della misericordia di Dio
e all’incapacità degli uomini di conseguire la salvezza mediante le proprie
forze»22. I teologi cattolici tuttavia considerarono inquietanti le posizioni di
Lutero.
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wolfgang thönissen
ficio fosse un’opera buona dei fedeli, legò il pensiero del sacrificio al concetto
di memoria. È Cristo stesso che si dona a quanti lo ricevono. Fu una sua pro-
fonda convinzione che il dono di Cristo stesso può essere ricevuto solo nella
fede. Quindi Lutero poté preservare il carattere sacrificale dell’Eucaristia,
purché fosse intesa come sacrificio di rendimento di grazie. Anche il Concilio
di Trento usò il concetto della memoria e sostenne l’unico sacrificio di Gesù
Cristo, che nella celebrazione eucaristica viene reso presente, applicato e co-
municato ai fedeli come vero e reale sacrificio. Il dialogo luterano-cattolico è
riuscito a sciogliere in gran parte il dissenso su questo punto.
Cattolici e luterani riconoscono insieme che Gesù Cristo nell’Eu-
caristia «è presente come crocifisso, morto per i nostri peccati e
risorto per la nostra giustificazione, come vittima offerta una vol-
ta per sempre per i peccati del mondo». Questo sacrificio non può
essere né continuato né ripetuto né sostituito né completato; ma
può e deve diventare operante in modo sempre nuovo in mezzo alla
comunità. Sul modo e la misura di questa efficacia esistono fra di
noi diverse interpretazioni43 .
42 nu 221
wolfgang thönissen
44 nu 221
wolfgang thönissen
Dove ci hanno condotto i quattro temi? Che cosa rivelano? Nelle que-
stioni della giustificazione, dell’Eucaristia, del ministero, del rapporto tra
Scrittura e Tradizione nel periodo tra il 1517 e il 1521 si sono sviluppate ra-
pidamente delle controversie che sono sfociate in divisioni e alla fine nella
scissione della Chiesa occidentale.
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wolfgang thönissen
1
Le riflessioni contenute in questo testo intendono essere un’introduzione, un
commento e una spiegazione al Rapporto della Commissione luterana-cattolica per
l’Unità, Dal conflitto alla comunione. Commemorazione comune luterana-cattolica della
Riforma nel 2017 (testo in italiano: «Il Regno. Documenti», Supplemento al n. 11, 1
giugno 2013 – abbreviato: DCC). Ho ricevuto e accolto indicazioni a riguardo dal mio
collega prof. Theodor Dieter.
2
Cf. Martin Lutero, testimone di Gesù Cristo, n. 2 (Enchiridion Oecumenicum
[= EO] 1/1522).
3
DCC 22.
4
È l’opera della vita di A. Herte. Cf. J. Ernesti, art. Herte, Adolf, in J. Ernesti - W.
Thönissen, Personenlexikon Ökumene, Freiburg i.Br. 2010, pp. 90s.
5
Cf. J. Lortz, Die Reformation in Deutschland, vol. I, Freiburg i.Br. 1940, p. 176.
6
Cf. ibid., p. 137.
7
DCC 22.
8
Cf. J. Willebrands, Discorso alla celebrazione del 500° anniversario della nascita
di Lutero, Lipsia, 11 novembre 1983 (cf. Lutero tra scomunica e rivalutazione. Discorso
del card. Johannes Willebrands, in «Il Regno. Documenti» 1984, n. 1, pp. 53-54).
9
Giovanni Paolo II, Discorso durante l’incontro con i rappresentanti delle Chiese
evangeliche e del Gruppo di lavoro delle Chiese cristiane in Germania, Paderborn, 22
giugno 1996.
10
Benedetto XVI, Discorso durante l’incontro con i rappresentanti del Consiglio del-
la Chiesa evangelica in Germania, Erfurt, 23 settembre 2011.
11
DCC 23.
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wolfgang thönissen
12
Cf. Tutti sotto uno stesso Cristo, n. 10 (EO 1/1415).
13
Cf. K. Lehmann - W. Pannenberg (edd.), Condemnations of the Reformation era:
do they still divide?, Fortress, Minneapolis 1990 (ed. originale Lehrverurteilungen - kir-
chentrennend? I. Rechtfertigung, Sakramente und Amt im Zeitalter der Reformation und
heute, Vandenhoeck & Ruprecht - Herder, Freiburg i.Br. - Göttingen 1988).
14
Cf. Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, nn. 14-18 (EO
7/1844-1848).
15
Cf. DCC 101.
16
Ph. Melanchthon, Historia Lutheri, 1546 (Corpus Reformatorum 6, pp. 155-170).
17
Lo fa il Rapporto della Commissione luterana-cattolica per l’Unità, Dal conflit-
to alla comunione. Commemorazione comune luterana-cattolica della Riforma nel 2017.
Il documento esamina quattro argomenti: Giustificazione, Eucaristia, Ministero,
Scrittura/Tradizione, tutti temi centrali della teologia di Lutero e perciò anche temi
centrali del dialogo luterano-cattolico degli ultimi cinquant’anni.
18
Cf. DCC 137.
19
Cf. H. Vorgrimler, Buße und Krankensalbung, Handbuch der Dogmengeschich-
te IV/3, Freiburg i.Br. 1978, p. 149.
20
«Facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam» (DCC 102).
21
Cf. W. Thönissen, Luthers 95 Thesen gegen den Ablass (1517) – Ihre Bedeutung
für die Durchsetzung und Wirkung der Reformation, in I. Dingel - H.P. Jürgens, Mei-
lensteine der Reformation. Schlüsseldokumente der frühen Wirksamkeit Martin Luthers,
Gütersloh 2014, p. 95.
22
DCC 119.
23
Ibid.
24
Cf. H. Denzinger - P. Hünermann (edd.), Enchiridion symbolorum definitionum et
declarationum de rebus fidei et morum (= DH), Freiburg i.Br. 1991, n. 1551.
25
Cf. DH 1529.
26
Cf. DH 1554.
27
Cf. DH 1530.
28
Schmalkaldische Artikel II, 1 (BSLK 415, 6).
29
Weimarer Ausgabe (Edizione critica delle opere di Lutero) 39/1; 205, 2s.
30
DCC 122.
31
Cf. DCC 123.
32
Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, n. 15 (EO 7/1845).
33
Ibid., n. 17 (EO 7/1847).
34
Ibid., n. 19 (EO 7/1849).
35
Cf. DH 802.
36
Cf. B. Neunheuser, Eucharistie in Mittelalter und Neuzeit, Handbuch der Dog-
mengeschichte IV, 4, Freiburg i.Br. 1963, pp. 44-53.
37
Cf. DCC 141.
38
DH 1642 (Decreto sul sacramento dell’Eucaristia, 13ma sessione, 11 ottobre
1551).
39
DH 1652.
40
La Cena del Signore. Rapporto della Commissione mista cattolico-romana ed
evangelico-luterana 1978, n. 16 (EO 1/1223).
41
K. Lehmann - W. Pannenberg (edd.), Condemnations of the Reformation era: do
they still divide?, cit., p. 115.
42
DCC 146.
43
La Cena del Signore, n. 56 (EO 1/1263).
44
Decretum Gratiani 2.12.1.7 (E. Friedberg [ed.], Corpus Iuris Canonici, vol. I, Graz
1955, p. 678.
45
DCC 164.
46
DCC 165.
47
Cf. L’apostolicità della Chiesa. Documento di studio della Commissione lutera-
na romano-cattolica per l’Unità, n. 202 (Dokumente wachsender Übereinstimmung [=
DWÜ] 4, 593s).
48
Cf. Confessio Saxonica 1551, 409 (Melanchthons Werke in Auswahl, R. Stupp-
erich ed., VI, 1219).
49
Cf. DH 1765.
50
Cf. DH 1771.
51
Lumen gentium 10.
52
Cf. DCC 178.
53
L’apostolicità della Chiesa, n. 274 (DWÜ 4, 618).
54
DCC 199.
55
DH 1501.
56
DCC 201.
57
Cf. Dei Verbum 9.
58
L’apostolicità della Chiesa, n. 410 (DWÜ 4, 662).
59
Ibid., n. 448 (DWÜ 4, 673).
60
DCC 48.
61
Cf. DCC 137.
62
DCC 238.
63
Cf. ibid.
50 nu 221
focus. mezzo millennio dopo lutero
52 nu 221
theodor dieter
54 nu 221
theodor dieter
plesse tra protagonisti molteplici, tra cui sono da annoverare non soltanto
i riformatori, ma altresì i responsabili della Chiesa romana. Intesa in questo
senso la Riforma è quindi opera sia di Lutero che dei responsabili romani e di
numerosi protagonisti politici. Ora, la Riforma con questo significato, come
successione di eventi che hanno avuto per risultato la scissione della Chiesa,
è a tutti gli effetti motivo di rammarico, rimpianto e ammissione di colpa.
Esempi provenienti sia dalla Chiesa cattolica sia dalla Federazione lutera-
na mondiale illustrano che non è la prima volta che ci troviamo di fronte a
pubbliche ammissioni di colpa da parte delle Chiese. È ovvio però che un’e-
ventuale ammissione di colpa nel 2017 non potrà avvenire unilateralmente,
come se solo la parte luterana fosse responsabile della scissione della Chie-
sa e i cristiani luterani dovessero riconoscersene colpevoli. Colpa c’è stata
da tutte le parti, un’ammissione di colpa può avvenire pertanto solo da ambo
le parti. Del resto per il documento la colpa non consiste nel fatto che teolo-
gi di entrambe le parti siano rimasti fermi sulle loro convinzioni differenti. Se
le avessero abbandonate senza cognizione migliore, avrebbero agito con-
tro coscienza e quindi si sarebbero resi colpevoli. Un teologo luterano non
può considerare veritiera la Dottrina della Giustificazione come la intendeva
Lutero, e addossare allo stesso tempo a Lutero la colpa di esser rimasto
fermo su questa dottrina. La colpa sia dei riformatori che dei loro avversari
è da ravvisare piuttosto nel modo in cui hanno fatto valere le loro convin-
zioni: vi furono assai spesso fraintendimenti e interpretazioni in pessimam
partem tra gli avversari, cosicché hanno peccato in molte maniere contro
l’ottavo comandamento che vieta di dare falsa testimonianza; hanno fatto la
caricatura degli avversari, rendendoli ridicoli e demonizzandoli; hanno an-
teposto di molto l’affermazione della propria posizione alla tutela dell’unità;
hanno strumentalizzato reciprocamente l’ambito terreno e quello spirituale.
Un’ammissione di colpa bilaterale, ben preparata e sincera, migliorerebbe
di gran lunga i rapporti fra le Chiese e testimonierebbe alla società che le
Chiese sono pronte e in grado di attuare, nel loro rapporto vicendevole, ciò
che di frequente chiedono alle persone: essere disposte alla riconciliazione.
Secondo il documento Dal conflitto alla comunione, gioia comune e dolore
comune sono quindi inscindibili nella commemorazione del 2017.
Cf. l’articolo del prof. Wolfgang Thönissen nelle pagine precedenti di questo
1
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scripta manent
243. L’impegno ecumenico per l’unità della Chiesa è a servizio non solo
della Chiesa ma anche del mondo, perché possa credere. Il compito missio-
nario dell’ecumenismo diventerà tanto più grande quanto più le nostre so-
cietà diventeranno pluralistiche dal punto di vista religioso. Anche qui sono
necessari un ripensamento e una metanoia.
Quinto imperativo: cattolici e luterani dovrebbero rendere insieme testimo-
nianza della misericordia di Dio nell’annuncio del Vangelo e nel servizio al mondo.
58 nu 221
Vangelo della giustizia di Dio, che è anche misericordia di Dio. Nella pre-
fazione alle sue opere latine (1545) egli osservò che «meditando giorno e
notte fui condotto dalla misericordia di Dio» a comprendere in modo nuovo
Romani 1, 17:
245. Gli inizi della Riforma saranno ricordati in maniera adeguata e giu-
sta quando luterani e cattolici ascolteranno insieme il Vangelo di Gesù Cri-
sto e si lasceranno di nuovo chiamare a fare comunità insieme al Signore.
Allora saranno uniti in una missione comune che la Dichiarazione congiunta
sulla dottrina della giustificazione così descrive: «Luterani e cattolici tendono
insieme alla meta di confessare in ogni cosa Cristo, il solo nel quale riporre
ogni fiducia, poiché egli è l’unico mediatore (1 Tm 2, 5s) attraverso il quale
Dio nello Spirito Santo fa dono di sé ed effonde i suoi doni che tutto rinnova-
no» (Dichiarazione congiunta, n. 18; EO 7/1848).
1
M. Lutero, Vorrede zum ersten Bande der Gesamtausgaben seiner lateinischen
Schriften, Wittenberg 1545, in LW 34, 337; WA 54, 186, 3.8-10.16-18.
nu 221
parole chiave
Receptive Ecumenism
62 nu 221
callan slipper
1
Per esempio, il comunicato stampa di ARCIC III (la Terza Commissione In-
ternazionale Anglicana-Cattolico-Romana) dice: «Nel considerare il metodo che
verrà usato da ARCIC III, la Commissione è stata aiutata dall’approccio del Receptive
Ecumenism, che tenta di far progredire l’ecumenismo imparando dai nostri partner
piuttosto che chiedendo loro di imparare da noi» Communiqué, 28.05.2011, Bose,
Italia, in Pontifical Council for Promoting Christian Unity, Information Service, Vati-
can City, N. 136, 2011/1, 19.
2
Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Milano, Mondadori 1994, p.
167.
3
Ci sono molte risorse in internet. Uno dei libri più significativi è stato pubbli-
cato in seguito alla conferenza “L’apprendistato cattolico: esplorazioni sul Receptive
Ecumenism”, organizzata all’Ushaw College, Inghilterra, dal 12 al 17 gennaio 2006:
Receptive Ecumenism and the Call to Catholic Learning. Exploring a Way for Contempo-
rary Ecumenism, Oxford University Press, Oxford 2008, ISBN 978 0 19 921645-1.
4
Cf. https://www.dur.ac.uk/theology.religion/ccs/projects/receptiveecumenism
/projects/localchurch.
5
Cf. http://sacc.asn.au/en/index.php?rubric=en_receptive+ecumenism.
6
Cf. http://saskatoonrcdiocese.com/events/2015-09-16/receptive-ecumenism-
context-150916.
7
P.D. Murray, Introducing Receptive Ecumenism, in «The Ecumenist, a journal of
theology, culture and society», vol. 51, n. 2, Spring 2014.
nu 221
punti cardinali
Ecologia della
scrittura giornalistica
poltrona o sdraiato sul letto o dinanzi alla sua finestra preferita; scrive in
ufficio, mentre il direttore lo scruta e i telefoni suonano e la tv strilla nell’an-
golo; scrive ormai quasi sempre al computer portatile, magari in una sala
stampa affollata mentre l’avvenimento ancora è in corso e non ha tempo
per riflettere; scrive nel suo taccuino in piedi, in una via a ridosso del par-
lamento, riportando quello che dice il ministro di turno; scrive i suoi articoli
persino sul telefonino, pratica corrente ormai, mentre sorbisce un cappuc-
cino al caffè e sbircia un giornale; scrive sui supporti più impensati, come
sul tovagliolino di un caffè o sulla carta intestata spiegazzata di un hotel
durante un reportage in un luogo di guerra.
La “malattia” del giornalista è la scrittura, ma anche la sua passione. È in
fondo un “monomaniaco”. Scriveva Julien Gracq, citato da Alain Finkelkraut,
filosofo francese: «La voglia di scrivere viene dal bisogno di precisare e dal
bisogno di raccontare il luogo in cui ci si trova»1. Il luogo è certamente im-
portante per la scrittura di un pezzo, e d’altronde esso può riuscire in un
modo o nell’altro, ben fatto o abortito, a seconda dell’ambiente nel quale ci
si trova a lavorare.
La propria “casa giornalistica”, però, proprio per la natura della nostra
professione, è nei fatti ovunque. «Dappertutto e da nessuna parte», direb-
be Heidegger. C’è un aforisma di Anton Čechov che mi sembra riassumere
bene il “luogo-senza-luogo” del nostro lavoro: «Non si finisce col fracassarsi
il naso in terra perché si scrive ma al contrario si scrive perché ci si fracassa
il naso e non resta più altro luogo dove andare»2. Si scrive perché l’evento
ci è capitato, perché dobbiamo scrivere, ovunque ci troviamo. È quasi un
imperativo categorico.
Concentrarsi è perciò atto necessario alla scrittura giornalistica, per
creare “la propria casa” nella quale l’atto di allineare parole e segni diventa
infine possibile. Nella quale riusciamo non solo a concentrarci ma a trovare
il modo di andare in fondo a noi stessi e di esprimere il meglio di noi stessi e
della nostra cultura. Finanche della nostra anima. Scriveva María Zambrano:
«Scoprire il segreto e comunicarlo sono i due stimoli che muovono lo scrit-
tore»3. Quale segreto? La lettura esatta e onesta degli eventi, quel brandello
di verità che siamo riusciti a trovare nei fatti, nelle parole altrui, nella storia
messa in prospettiva, nei “segni dei tempi” colti nel presente. Anche scri-
66 nu 221
michele zanzucchi
C’è la casa del nostro mestiere, lo spazio del nostro lavoro, il luogo del
nostro girovagare, ma c’è anche il tempo di una professione che sembra
correre senza freni. Dieci anni fa avevo un collega che doveva ideare, scri-
vere, correggere e impaginare tre pagine di un quotidiano di provincia in
una sola giornata lavorativa. Era già un impegno gravoso, ma oggi ci sono
colleghi che per vivere debbono scrivere 10-15 pezzi quotidiani per il web,
perché la proprietà, in barba agli accordi sindacali, versa solo pochi euro per
un articolo.
Scriveva Ludwig Wittgenstein: «Io penso effettivamente con la penna,
perché la mia testa spesso non sa nulla di ciò che la mia mano scrive»5. È
vero, quante volte ci mettiamo a scrivere – soprattutto noi giornalisti – senza
sapere quel che uscirà dalle tastiere pigiate o dalla penna lasciata scorrere
sul foglio! Ma per far ciò, anche solo per scrivere senza pensare, c’è bisogno
di tempo, del tempo. Sapendo che il tempo sincopato della rivoluzione digi-
tale spesso e volentieri non ci permette che poche frazioni di secondo per
redigere un tweet o un post, figuriamoci un articolo riflettuto e ponderato.
In quella “casa giornalistica” che è la nostra mente, che è il nostro spirito,
il tempo fluisce nell’alternanza di silenzio e parola. Scriveva ancora la Zam-
brano: «La verità della parola ha bisogno di un grande vuoto, di un silenzio
in cui poter prendere dimora senza che nessun’altra presenza si mischi alla
sua, falsandola»6. Il silenzio dà il ritmo alla parola, il silenzio permette di dar
senso alla parola, il silenzio sostantifica la parola. Il tempo del giornalista, a
ben guardare, è proprio dato dall’alternanza tra silenzio e parola, il metrono-
mo del nostro lavoro. Non solo per il radiofonico o il televisivo, ma per tutti,
anche per chi ancora scrive con la penna: nello spazio bianco si solleva la
penna!
Il tempo ci chiede di sbrigare rapidamente le formalità delle five dabliu
per poi uscire dal seminato, per creare, per «dimenticare la grammatica»7,
che è la condizione per scrivere bene, come affermava il regista russo An-
drei Tarkovski nel suo magnifico Journal, ricordando Goethe. Nel tempo si
può trasformare la nostra professione da una vita sempre uguale e barbosa
in una esplosione di creatività. Provare per credere, anche le storie più ba-
nali possono diventare delle opere d’arte. E ciò avviene se il tempo della
scrittura è anche un tempo di perdita di orpelli inutili, di semplificazione, di
essenzialità.
Quante volte, però, consideriamo il tempo nostro, il tempo del giornali-
smo, come una proprietà privata, uno spazio temporale nel quale solo noi
possiamo entrare. Così da arrivare a trascurare l’incontro con l’altro. E così
coltiviamo nel nostro cuore e nella nostra mente l’illusione di riuscire a me-
glio decifrare nella solitudine quello che accade, a meglio distillare fatti e
persone e parole. Attenzione, ci dice il filosofo argentino Humberto Giannini
(che scrive in francese): «Ecrire nous éloigne de la réalité, à la différence du
dialogue»8, scrivere ci allontana dalla realtà a differenza del dialogo. L’altro è
il primo principio di realtà, non la nostra fantasia che è troppo spesso alta-
mente irreale. E Cioran, acuto come sempre: «La scrittura del XX secolo è
senza volto: non si parla più a nessuno»9. Cioè si parla a se stessi, e questo
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michele zanzucchi
o del suo computer. Quando Boselli scoprì che quel pezzo era in gran parte
copiato, per non licenziarla seduta stante la obbligò a prendere una settima-
na di riposo, per non commettere atti di cui entrambi avrebbero poi avuto
da pentirsi.
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michele zanzucchi
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michele zanzucchi
conclusione
1
A. Finkelkraut, L’imparfait du présent, Gallimard, Paris 2002, p. 279.
2
A. Čechov, Senza trama e senza finale, minimum fax, Roma 2002, p. 31.
3
M. Zambrano, Per abitare l’esilio, Le Lettere, Firenze 2006, p. 148.
4
F. Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra, Livre de Poche, Paris 1947, p. 47.
5
L. Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1995, p. 44.
6
M. Zambrano, Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 28.
7
A. Tarkovski, Journal 1970-1986, Cahiers du Cinéma, Paris 1993, p. 65.
8
H. Giannini, La “Réflexion” quotidienne vers une archéologie de l’expérience, Ali-
nea, Aix-en-Provence 1992, p. 139.
9
É. Cioran, Oeuvres, Glossaire, Gallimard, Paris 1995, p. 1746.
10
Cf. M. Zanzucchi (ed.), Tutta rivestita di Parola, Città Nuova, Roma 2004.
11
I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti,
Milano 1988.
12
Clemente d’Alessandria, Stromata I, Sources Chrétiennes 30, p. 84.
13
É. Cioran, Aveux et anathèmes, in Oeuvres, Gallimard, Paris 1995, p. 1686.
14
S. Márai, L’ultimo dono. Diari 1984-1989, Adelphi, Milano 2009, p. 207.
15
S. Quinzio, Diario profetico, Adelphi, Milano 1996, p. 101.
16
E. Flaiano, Diario degli errori, Adelphi, Milano 2002, p. 153.
17
A. Merini, La nera novella, Rizzoli, Milano 2007, p. 7.
18
M. Kundera, Il sipario, Adelphi, Milano 2005, p. 72.
19
I. Brodskij, Poesie italiane, Adelphi, Milano 1996, p. 25.
20
D. Buzzati, Siamo spiacenti di, citato in P. Mauri, «Una frase, un rigo appena»,
Einaudi, Torino 1994, p. 71.
21
Cf. R. Kapuściński, Lapidarium, Feltrinelli, Milano 1995, p. 27.
Il silenzio e la parola.
La luce - ascolto, comunicazione e
mass media
di Michele Zanzucchi
nu 221
punti cardinali
detto papa Francesco – senza paura. Tanto più è ricco il patrimonio, che con
parresia avete da condividere, tanto più sia eloquente l’umiltà con la quale
lo dovete offrire. Non abbiate paura di compiere l’esodo necessario ad ogni
autentico dialogo»1.
È un appello che ritorna costantemente nel suo magistero: nelle udienze,
nei documenti e nelle encicliche, così come nei discorsi spontanei, nelle in-
terviste rilasciate o nelle omelie a Santa Marta.
Per le realtà che nella Chiesa sono frutto di carismi donati da Dio, un
discorso importante, in certo senso fondamentale, è quello rivolto da papa
Francesco ai partecipanti al III Convegno mondiale dei movimenti ecclesiali
e delle nuove comunità nel novembre 2014. Nell’affrontare il nostro tempo
nella fedeltà a quanto i diversi carismi hanno significato e significano per
la Chiesa e per l’umanità, Francesco ricorda: «Occorre tornare sempre alle
sorgenti dei carismi e ritroverete lo slancio per affrontare le sfide». Affer-
mando ciò il papa, in quell’occasione, ha anche offerto alcune linee opera-
tive che ha sintetizzato in tre punti: 1) mantenere la freschezza del carisma,
consci che è stato il “coraggio evangelico” a permettere la nascita dei mo-
vimenti o delle comunità; 2) accompagnare gli uomini del nostro tempo, in
particolare i giovani, con pazienza, rispettandone la libertà; 3) cercare sempre
la comunione, non dimenticando che essa è il «bene più prezioso, il sigillo
dello Spirito Santo»2.
Saranno tali linee – che, umilmente, papa Francesco ha voluto chiamare
piuttosto “suggerimenti”, ma che risultano essere piuttosto una consegna – a
guidarci nella riflessione sul contributo che il carisma dell’unità porta nell’af-
frontare la “sfida del dialogo”, sulle intuizioni di luce da Dio donate a Chiara
Lubich e sulla vita che ne è scaturita.
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lucia abignente
pagne, attraverso fatti, intuizioni che hanno segnato i primi giorni di vita di
questa nuova realtà ecclesiale e hanno fatto venire in rilievo alcune frasi del
vangelo, confermatesi poi come punti cardine della spiritualità dell’unità4.
Altre volte il ritorno ai “primi tempi” è avvenuto attraverso la rilettura degli
scritti dell’epoca, anche di semplici “letterine” inviate negli anni Quaranta a
chi incontrava; e ciò con un preciso intento: “scrutarne il carisma”.
Penso che uno studio analitico permetterebbe di trovare in quei fatti e in
quelle intuizioni, nonché nei documenti rimasti, il fondamento di ogni dialo-
go intrapreso più tardi.
Due esempi.
Partiamo da un fatto. È indubbio che, all’origine di tutto il Movimento, vi
sia una forte esperienza di Dio alla quale la Lubich si apre totalmente, senza
riserve, accogliendola con fede. Essa si manifesta da subito con una luce
particolare, e ciò non solo nella comprensione nuova della preghiera di Gesù
al Padre per l’unità (cf. Gv 17, 21) come magna charta di questa esperienza di
vita, ma già prima, con la scoperta di Dio come Amore e di Gesù Crocifisso e
Abbandonato come mistero d’amore. Colpisce la dinamica che accompagna
i passi di quella prima folgorante scoperta: un passaggio rapido dall’ascolto
della frase dettale da un sacerdote – «Dio La ama immensamente» – alla
trasmissione agli altri, «Dio ti ama immensamente», «Dio ci ama immen-
samente». Sarà questa una caratteristica costante nella storia del carisma:
esso è dono elargito a Chiara perché lo doni a sua volta in vista dell’attua-
zione di un disegno, di cui subito si intravede la dimensione universale. La
Lubich continuerà a condividere questo dono con semplicità: nel 1981, ad
esempio, trovandosi di fronte a 12.000 buddhisti radunati nell’Aula Sacra di
Tokyo, non esiterà a presentare quella storia dell’intervento di Dio nella sua
vita, chiedendo di accoglierla «quale dono d’amore di una vostra sorella»5.
Se passiamo alle fonti scritte, tra i tanti e significativi documenti rima-
sti, vorrei citarne uno del “tempo delle origini” che offre l’esempio del rap-
porto di Chiara con una persona incontrata una volta, forse quasi per caso,
nell’ambito del Terz’Ordine francescano e alla quale scrive una lunga lettera,
già l’8 marzo 1944, dunque a soli tre mesi dalla sua consacrazione a Dio.
Eccone qualche stralcio:
La Lubich, dunque, comunica, a chi Dio mette sul suo cammino, il dono
ricevuto: è un annuncio della Verità fatto con autenticità e franchezza, con
“parresia” si potrebbe dire, senza riserve, senza analisi o scelta di persona.
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rispettare la libertà
della dignità di ogni persona, nella quale – ne sia cosciente o meno, lo creda
oppure no – Dio è presente. «Credi: Dio è in te! – scriveva Chiara in una nota
lettera circolare risalente probabilmente al 1943 – La tua anima in grazia è
centro dello Spirito Santo: il Dio che santifica. Rientra in te: cerca Dio, il tuo
Dio, quello che vive in te!»18. Ed è significativo già da allora il rilievo dato alla
coscienza, espresso anche nell’invito costante ad «ascoltare quella voce».
Ripensando a questo suo sentire e comprendere, ritrovo la vicinanza con
ciò che affermerà la Gaudium et spes circa la dignità della coscienza di ogni
uomo (cf. GS 16). La Costituzione conciliare parla di una “voce” presente
nel cuore di ogni uomo, di un dialogo che Dio stabilisce nell’intimo della
coscienza facendosi riconoscere, attraverso la relazione stessa, come colui
che chiama all’amore. Questa coscienza umana è, come tale, un “sacrario”,
un’intimità da riconoscere e favorire nella libertà capace di divenire respon-
sabile. La Lubich aveva colto questo sacrario che nel mondo, attraverso l’in-
contro, diviene tempio di Dio.
Fede, rispetto della dignità e della libertà dell’uomo e, nello stesso tem-
po, annuncio e condivisione di valori si fondono armonicamente19.
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che ritrova squallida e demoralizzata, una sintonia profonda con quanto po-
teva aver avvertito Gesù durante la vita terrena. Rileva l’estremo rispetto
che lui ha avuto della libertà umana, il suo accettare anche la voluta incom-
prensione della gente e nello stesso tempo la sua fede incrollabile, in un
consegnarsi continuamente al Padre e nel Padre guardare l’umanità intorno.
Scrive:
In queste righe, sintesi ardita del manifestarsi del carisma – dalla scoper-
ta di Dio Amore, scintilla ispiratrice, alla chiamata al «che tutti siano uno» –,
si cela l’annuncio di quella cultura della risurrezione tipica del messaggio
e della testimonianza della Lubich. In Dio sono il fondamento e la radice di
una stima per tutto ciò che attiene all’essere umano28 e di un amore immen-
so per ogni uomo con il quale, secondo un neologismo tipico della Lubich,
siamo chiamati a “farci uno”, ad essere uno, il che comporta: «sentir in noi i
sentimenti dei fratelli. Risolverli come cosa nostra, fatta nostra dalla carità.
Esser loro. E questo per amor di Dio, di Gesù nel fratello»29.
L’essenza della pagina che illumina il ritorno a Roma e il modo di attuarla
sono espressi sapientemente dalla Lubich nel post scriptum di una lettera
del 26 settembre 1949 a una sua amica che le scriveva di non capire quel
“risuscitandomi” nei fratelli. Spiega la Lubich: «dopo aver scoperta la stessa
verità che è in me negli altri, io (non più io ma la verità in me) m’unisco a
me stesso negli altri e questo avvicinarmi per unirmi agli altri (è amore) fa
fiorire, dissotterra la luce che è negli altri, cosicché la verità in essi (che è
poi quella in me) viene in rilievo (quasi risuscita)». Ed avverte: «Qui biso-
gna mettere in pratica per capire». La Lubich continua poi richiamando un
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lucia abignente
frammento della pagina in questione: «Ma non capisce questo se non chi Lo
lascia vivere in sé vivendo negli altri, ché la vita è amore e, se non circola, non
vive» – ed esplicita ancora alla sua compagna:
Amare gli altri significa piangere con chi piange, ridere con chi ride:
farsi uno con essi, sentendo i loro dolori e le loro gioie. Giordani
direbbe: vivere il fratello – vivere, cioè la sua vita, e questo è an-
nientamento assoluto dell’io il quale dopo esser stato col fratello
(per amore di Gesù) rientrato in sé non trova più sé, ma Dio in sé e
continua il suo colloquio d’amore. Cosicché la vita è sempre trasfe-
rirsi in Altro come la vita della Trinità. Insomma è amore. E l’amore
suppone sempre almeno due30.
L’amore porta alla comunione. Ed ecco la terza pagina, Guardare tutti i fio-
ri, sintesi magistrale sul come vivere la comunione, sul fondamento di essa,
su come alimentarla con ogni uomo. Scrive Chiara:
Dio che è in me, che ha plasmato la mia anima, che vi riposa in Tri-
nità con i santi e con gli Angeli, è anche nel cuore dei fratelli. Non
è ragionevole che io Lo ami solo in me. Se così facessi il mio amore
avrebbe ancora qualcosa di personale, d’egoistico: amerei Dio in
me e non Dio in Dio, mentre questa è la perfezione: Dio in Dio ché
è Unità e Trinità.
Oggi da più parti si insiste sull’importanza del dialogo per il futuro della
nostra umanità, anche per l’immediato futuro. Credenti e non credenti riflet-
tono sulle possibilità, sulle condizioni, sui criteri di un vivere pluralistico, a
livello etico e culturale, politico e religioso, che trovi, nella sincerità di ascol-
to reciproco e di reciproco confronto, la sorgente di una parola d’intesa, di
comunicazione, d’impegno responsabile per la pace, per il bene comune,
nel favore di ogni parte, a iniziare dai deboli. È una sfida quanto mai attuale.
In questa stagione storica sembra ancor più profetica quell’insistenza
messa dalla Lubich sul dialogo, compreso sul fondamento della comunica-
zione di Dio e con Dio, «del Dio in me con il Dio nel fratello». Per lei esso
porta l’altezza, la larghezza, la profondità dell’amore trinitario che Dio ha
posto in ogni relazione. Si tratta di un dialogo che è amore, che fa spazio al
fratello senza diffidenze e gelosie, senza desiderio di vittoria sull’altro. Del
resto, senza gratuità quale dialogo sarebbe possibile? Se vi è una risposta di
reciprocità, anche nell’adesione a un cammino comune di fede, essa è con-
seguenza – non condizione – di una vita che nelle relazioni di amore all’in-
terno della Trinità (che comprende anche il mistero dell’abbandono di Gesù
sulla croce) trova la luce per vivere i rapporti. Dialogare, ricordava Chiara,
«significa amare, donare quello che abbiamo dentro di noi per amore dell’al-
tro, e anche ricevere e arricchirsi: divenire […] “uomini mondo”, che hanno
dentro gli altri e sono riusciti a dare anche del proprio»32.
Proprio perché radicata in Dio e profondamente evangelica, l’esperienza
vissuta e annunciata da Chiara valorizza l’umano. Colpisce la sensibilità con
cui persone di convinzione diverse abbiano saputo coglierlo con chiarezza
e riconoscerlo con sincerità. Scrive a proposito della Lubich Pietro Taiti, uno
dei primi interlocutori del dialogo con persone di convinzioni diverse:
Noi non abbiamo parlato con qualcuno che aveva in mente tutte le
risposte di Verità a tutti i problemi del mondo, e se anche aveva cer-
tamente le sue risposte, ha accettato di parlarne con noi, con fonda-
mentale, vicendevole rispetto e ascolto: ci rendiamo conto sempre
di più che la stessa possibilità del dialogo è stata resa possibile a
Chiara, non al di là, ma proprio dentro la sua osservanza radicale
della Parola, in cui molti si sono ritrovati anche senza la stessa fede.
Abbiamo partecipato in qualche maniera, senza sciocchi sincreti-
smi, ad una “ecclesia” più vasta, potenzialmente contenente l’intera
umanità, senza confini di geografie e di culture diverse33.
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lucia abignente
un contributo mariano
1
Francesco, Incontro con i Vescovi degli Stati Uniti d’America, Washington 23
settembre 2015.
2
Id., Ai partecipanti al III Convegno mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove
comunità, Sala Clementina, 22 novembre 2014.
3
Il 7 dicembre 1943, giorno della consacrazione a Dio di Chiara Lubich, viene
considerato data di nascita dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari).
4
Sul valore teologico-spirituale di tale racconto, cf. L. Abignente, Memoria e
presente. La spiritualità del Movimento dei Focolari in prospettiva storica, Città Nuova,
Roma 2010.
5
C. Lubich, Incontri con l’Oriente, Città Nuova, Roma 1986, p. 19.
6
Id., Lettere dei primi tempi (1943-1949), a cura di F. Gillet e G. D’Alessandro,
Città Nuova, Roma 2010, pp. 34-36.
7
Ibid., p. 88.
8
Cf. Francesco, Ai partecipanti al III Convegno mondiale dei movimenti ecclesiali e
delle nuove comunità, cit.
9
Chiara ne affidò la direzione a Igino Giordani, pioniere ecumenico già dagli
anni ’20.
10
Cf. J.P. Back, L’ecumenismo di Paolo VI e Chiara Lubich, in P. Siniscalco - X. To-
scani, Paolo VI e Chiara Lubich. La profezia di una Chiesa che si fa dialogo, Ed. Studium,
Brescia 2015, pp. 111-133.
11
Cf. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei mo-
vimenti ecclesiali, 27 maggio 1998, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXI, 1
(1998), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, pp. 1061-1065.
12
Benedetto XVI, Ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari e della Comunità di
Sant’Egidio, Sala Clementina, 8 febbraio 2007.
13
Cf. C. Lubich, Con tutte le nostre forze, in «Città Nuova», 52 (1998), n. 12, p. 12.
14
Id., L’Unità, in «Nuova Umanità», XXIX (2007/6) 174, p. 607.
15
Ibid., pp. 605-606.
16
Tali rispetto e stima sono stati pienamente ricambiati. Luciana Scalacci, tra le
prime testimoni e protagoniste di tali incontri, afferma: «[Chiara] Mi ha insegnato a
considerare che per l’altro, la sua verità è tanto importante e vera quanto la mia è im-
portante e vera per me, e mi ha insegnato che non si deve usare mai la propria verità
come arma offensiva» (intervista a Luciana Scalacci, in Umanesimo dialogo fraternità
– eredità di Chiara. Atti del convegno 1-3 aprile 2011 [ad uso interno del Movimento
dei Focolari], Roma 2012, p. 18).
17
Cf. O. Paliotti - B. Callebaut, Chiara mia sorella. Intervista a Gino Lubich, Città
Nuova, Roma 2011, p. 21.
18
C. Lubich, Lettere dei primi tempi, cit., p. 27.
19
Lo si constata anche nel vissuto della Lubich che, pur avendo ricevuto da Dio
doni particolari, non si è messa in cattedra ad insegnare e tanto meno a convertire.
Ciò spiega anche il binomio con cui è recepita da tanti: maestra di vita e madre, capa-
ce con amore di “educare” nel senso etimologico della parola, di “trarre fuori”, ren-
der manifesta la presenza di Gesù in ognuno, nella sua realtà umano-divina, quindi
anche come presenza di valori veri, autentici, del vero bene. «È con il suo modo di
dialogare – continua Luciana Scalacci – che [Chiara] ha potuto creare ponti di unità»
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lucia abignente
(intervista a Luciana Scalacci, cit., p. 18; cf. O. Paliotti, Madre e maestra di vita, in
«Città Nuova», numero speciale – aprile 2008, pp. 46-48).
20
C. Lubich, Il grido, Città Nuova, Roma 2000, p. 57.
21
Ibid., p. 51.
22
Cf. ibid., pp. 103-105.
23
Ibid., p. 105; cf. p. 88.
24
Ibid., p. 90.
25
Ibid., p. 89. Penetrando l’attualità di quella domanda rivolta al Padre, un agno-
stico scrive in pagine profonde e sincere, senza mezzi termini: «Solo partendo da
questo buco nero che è l’Abbandono si può sperare d’arrivare a comprendere la re-
altà luminosa di un Dio che ci ama immensamente, senza ridurla a un mito incarta-
pecorito, a una favoletta consolatoria, o a un inverosimile happy-ending hollywoo
diano. […] Di più: credo che mai come in questi tempi la non risposta a quella Sua
domanda si proponga come ipotesi di senso per gran parte di tanti interrogativi,
irrisolti o inespressi, dei cuori contemporanei» (F. Coriasco, Sul credere o non credere,
in V. Rus - F. Kronreif (edd.), Rivolti verso le periferie esistenziali, Città Nuova, Roma
2011, pp. 84-85).
26
Francesco, Ai partecipanti al III Convegno mondiale dei movimenti ecclesiali e
delle nuove comunità, cit.
27
C. Lubich, Risurrezione di Roma, in «Nuova Umanità», XVII (1995/6) 102, pp.
6-8.
28
«Gesù va risuscitato nella città eterna ed immesso dovunque. È la Vita e la
Vita completa. Non è solo un fatto religioso…» scrive ancora la Lubich nel testo
citato e a commento aggiunge: «è come altro Cristo, come membro del suo Corpo
mistico, che ogni uomo porta un contributo suo tipico in tutti i campi: nella scienza,
nell’arte, nella politica…» (ibid., p. 8).
29
Id., L’Unità, cit., p. 610.
30
Id., Lettera ad Anna Melchiori, 26 settembre 1949, in Archivio Chiara Lubich,
F120 01 06.
31
Id., Scritto del 6 novembre 1949, pubblicato in Guardare tutti i fiori. Da una
pagina del ’49 di Chiara Lubich, Città Nuova (Studi della Scuola Abbà), Roma 2014, p.
11.
32
Id., La dottrina spirituale, nuova edizione, a cura di M. Vandeleene, Città Nuo-
va, Roma 2006, p. 486.
33
P. Taiti, Il dialogo è radicato nel «che tutti siano uno», in V. Rus - F. Kronreif
(edd.), Rivolti verso le “periferie esistenziali”, cit., pp. 40-41.
34
Giovanni Paolo II, Messaggio alla signorina Chiara Lubich, fondatrice del Movi-
mento dei Focolari, in occasione del 60o anniversario di nascita del Movimento, in Inse-
gnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXVI/2 (2003), Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano 2005, pp. 882-883.
35
Cf. «Città Nuova», numero speciale, aprile 2008, in particolare W. Kasper,
Quell’intuizione profetica, pp. 126-127.
36
Cf. C. Lubich, Maria trasparenza di Dio, Città Nuova, Roma 2003.
37
Id., La dottrina spirituale, cit., p. 484.
38
Ibid., p. 210.
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punti cardinali
Prosperità e
Commons collaborativo
Dottrina sociale cristiana,
economia e Stato innovatore
Silvio
Minnetti
Andare oltre vuol dire allargare e non
economista, restringere, creare spazi e non limitarsi al loro
presidente del controllo. Sarebbe bellissimo se i molteplici
movimento rivoli del bene comune andassero a creare
politico per un fiume grande la cui acqua vince l’aridità,
l’unità - italia. porta nuova fecondità, facendo risplendere e
rendere bella e amabile questa vita e questo
tempo. Andare oltre significa liberare il bene
e goderne i frutti.
Francesco, Videomessaggio Festival DSC, Vero-
na, 20-23 novembre 2014
una ripresa della crescita ma anche uno stato delle cose possibile e
desiderabile, almeno per qualche aspetto migliore di quello che ci
lasciamo alle spalle. Etimologicamente, pro-sperità deriva da “spe-
rare” – nel senso che è conforme alla speranza –, ma anche da “sof-
fiare” (pro-spirari), con un rinvio alla dimensione spirituale della no-
stra vita, «come un vento che giunge opportuno a spingere le navi»3.
92 nu 221
silvio minnetti
storici da scorgere con pazienza, senza ansietà, con speranza. Siamo invitati
ad andare «oltre i luoghi, dentro il tempo»9, per cogliere la realtà globalizza-
ta. «Un economista si chiederebbe come conciliare il libero mercato, diritti
delle persone, globalizzazione e bene comune?». Il IV Festival della Dottrina
sociale della Chiesa
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silvio minnetti
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silvio minnetti
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silvio minnetti
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silvio minnetti
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silvio minnetti
La società postmoderna deve ritrovare quel di più che la colloca nel più
ampio progetto di compimento dell’umano. Gratuità, creatività, generosi-
tà, philía, agápe, communitas, fraternità devono ancora impregnare il cam-
po dell’economia, infondendole un respiro ampio, capace di consentirle di
gestire con armonia la “casa” dell’umanità, l’oîkos. Ritorna, in altri termini,
il respiro della nuova prosperità enunciata da Magatti e Gherardi. Nella ri-
generazione del tessuto sociale, un ruolo importante sarà svolto dal genio
femminile, capace di accogliere e di tenere insieme tutte le dimensioni della
vita, compresa quella economica. Nella dimensione dei carismi e dei talenti
possiamo trovare l’ispirazione per la costruzione di un’economia civile, per
apprendere il cammino verso la felicità pubblica e la gioia del vivere.
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silvio minnetti
1
Cf. M. Magatti - L. Gherardi, Una nuova prosperità. Quattro vie per una crescita
globale, Feltrinelli, Milano 2014.
2
Cf. J. Rifkin, La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del
“Commons” collaborativo e l’eclissi del capitalismo, Mondadori, Milano 2014.
3
M. Magatti - L. Gherardi, Una nuova prosperità. Quattro vie per una crescita glo-
bale, cit., p. 11.
4
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina So-
ciale della Chiesa, n. 161.
5
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 221.
6
Ibid., n. 222.
7
Ibid., n. 230.
8
C. Gentili, Editoriale, in «La Società», n. 4, luglio-agosto 2014, p. 593.
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silvio minnetti
9
Tema della quarta edizione del Festival della Dottrina sociale della Chiesa,
Verona, 20-23 novembre 2014.
10
C. Gentili, Editoriale, in «La Società», nn. 5/6, settembre dicembre 2014, pp.
792-793.
11
Cf. P. Ortelli, Multinazionali “tascabili”: la Chiesa e la globalizzazione – I Parte, in
«La Società», n. 4, luglio-agosto 2014, p. 646.
12
C. Lubich, Il pianeta al bivio, Editoriale, in «Città Nuova», 14/2001, p. 7.
13
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina So-
ciale della Chiesa, n. 310.
14
Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 55.
15
Cf. ibid.
16
M. Iasevoli, La finanza si pieghi al bene comune, in «Avvenire», 12 luglio 2014.
17
Cf. J. Rifkin, La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del
“Commons” collaborativo e l’eclissi del capitalismo, cit.
18
Cf. S. Latouche, L’economia è una menzogna. Come mi sono accorto che il mondo
si stava scavando la fossa, Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 84.
19
J. Rifkin, La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del “Com-
mons” collaborativo e l’eclissi del capitalismo, cit., p. 3.
20
Ibid., p. 18.
21
Ibid., p. 25.
22
Cf. S. Latouche, L’economia è una menzogna, cit.
23
T. Paquot, Introduzione, in S. Latouche, L’economia è una menzogna, cit., p. 13
24
S. Latouche, Limite, Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 91.
25
A. Tornielli - G. Galeazzi, Papa Francesco. Questa economia uccide, Piemme,
Milano 2015, p. 206.
26
Ibid., p. 207.
27
Ibid., p. 210.
28
S. Zamagni, Intervista in A. Tornielli - G. Galeazzi, Papa Francesco. Questa eco-
nomia uccide, cit., p. 186.
29
Ibid., p. 193.
30
L. Becchetti, La felicità sostenibile, in http://felicita-sostenibile.blogautore.re-
pubblica.it/, 15 marzo 2015.
31
L. Bruni - A. Smerilli, L’altra metà dell’economia. Gratuità e mercati, Città Nuova,
Roma 2014, p. 10.
32
Cf. T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2014.
33
Ibid., pp. 44-45.
34
Ibid., p. 33.
35
Cf. M. Mazzucato, Lo Stato innovatore. Sfatare il mito del pubblico contro il priva-
to, Laterza, Roma-Bari 2014.
L’unità
di Chiara Lubich
nu 221
alla fonte del carisma dell’unità
È l’inizio del primo degli scritti la cui raccolta costituisce il Paradiso ’49. Si
tratta della lettera del 19 luglio 1949, indirizzata a Igino Giordani per comu-
nicargli la visione appena avuta di Maria2. L’originale è andato perduto. Ne è
rimasta la trascrizione fatta dal destinatario stesso3.
110 nu 221
fabio ciardi
La natura penetra la stessa realtà del Paradiso che Chiara vede «nella
sua veste fiorita e stellata e variopinta con i mari, con i monti, con i laghi, con
le stelle, col sole, con la luna, con i viali e tutto il Paradiso...». La contemplerà
trasfigurata nei cieli nuovi e nella terra nuova, tutta amore: «amore le piante,
amore gli animali, amore le stelle, le pietre, i sassi, i fiori…».
L’incipit fa subito comprendere che l’esperienza di cui si narrerà nel libro
ha una precisa collocazione ambientale, geografica, è ancorata alla terra, al
creato, non è un’astrazione; nello stesso tempo la natura entra a far parte
dell’esperienza stessa, ne diventa parte costitutiva e imprescindibile.
la natura dell’opera
i personaggi dell’opera
112 nu 221
fabio ciardi
spressione ultima. Si profila già l’intonazione mariana del Paradiso ’49, dove
Maria è presente nella sua singolarità e in ciò che essa rappresenta.
Finalmente vi è l’io narrante, la persona di Chiara, quindi personaggio.
Non voce fuori campo, distaccata, ma protagonista del dramma. A lei il Pa-
dre rivela lo Sposo, lei lo Sposo prende in sposa, lei è baciata dallo Spirito, a
lei lo Spirito rivela Maria. Chiara è presente in tutta la sua interezza di per-
sona, compresa la dimensione corporea. È oggetto di una rivelazione divina
e quindi è investita nell’intelletto e nell’anima. L’annotazione del «forte male
al cuore» fa capire che la rivelazione del divino la coinvolge affettivamente
e fisicamente. Il Paradiso ’49 non è dunque soltanto un libro di dottrina, di
teologia, di grande mistica, ma anche un’esperienza vissuta in prima perso-
na, testimonianza di una partecipazione attiva e coinvolgente di una donna
concreta e ben individuata, in tutta la sua femminilità (la sposa, il bacio…).
Infine il destinatario della lettera e di molti dei successivi scritti che com-
pongono l’opera: Igino Giordani, Foco, sesto personaggio. Nel dramma gli è
assegnata la parte di colui che consente l’oggettivazione della rivelazione e
la sua fruizione.
La sua comparsa nell’incipit sembra riferirsi a tre funzioni. La prima è
quella della sua singola persona nell’irripetibile ruolo svolto nella compren-
sione della peculiarità di Chiara e nell’aver occasionato l’entrata nel seno del
Padre: è con lui che ella ha chiesto a Gesù Eucaristia di stipulare un patto
d’unità da cui l’esperienza del Paradiso prende il via. Lungo l’opera il suo
specifico “disegno” si andrà precisando ulteriormente.
La seconda funzione di Foco è quella di esprimere l’universalità della de-
stinazione della rivelazione di cui Chiara è fatta oggetto. Il Paradiso ’49 non
è un libro esoterico, frutto di un’esperienza che vuole rimanere proprietà
privata di Chiara o di un cerchio ristretto: è per l’umanità intera, di cui Foco,
come sposato, uomo politico, inserito nella vita pubblica, è figura. Chiara
sente di dover comunicare tutto a lui («Potessi mandarti un angelo a dirti
tutto!»), dietro il quale, gradualmente, vedremo emergere tutta l’umanità.
La terza funzione di Foco, in questo incipit, è quella di introdurre l’ultimo
grande personaggio dell’opera: l’Anima. «Ma tu sei me, vero?», gli scrive
Chiara. I due non sono più due, le loro due anime sono una sola anima, ini-
zio di quella grande “Anima” che il patto d’unità nell’Eucaristia e la comu-
114 nu 221
fabio ciardi
1
Così avveniva per tanti libri dell’antichità, compresi quelli della Bibbia, prassi
che continua anche oggi per i documenti pontifici.
2
Nella composizione attuale del Paradiso ’49 si trovano alcune pagine di intro-
duzione che Chiara ha preparato l’8 aprile 1986 e che ha inserito nei primi mesi del
1991. Per la comprensione dell’incipit è indispensabile la lettura di quelle pagine e
dei relativi commenti: AA.VV., Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi
interdisciplinari, Città Nuova, Roma 2012.
3
Non è dato di sapere se i punti di sospensione che balzano dalla frase siano
della scrittrice o del trascrittore. Conoscendo la cura di Igino Giordani nel trascri-
vere i testi di Chiara, è presumibile che siano della stessa Lubich. Poiché questa è la
prima volta che ella si cimenta nella comunicazione scritta della sua straordinaria
esperienza, è naturale che traspaia una certa inadeguatezza nel tradurre l’intensità
del vissuto, quasi la superasse.
4
Tanto viva fu quella scena, che Chiara vi tornerà successivamente in una ulte-
riore nota: «sono andata con le focolarine su una collina e, vedendo che dalla mon-
tagna di fronte saettavano su dei raggi di sole appena tramontato, ho detto loro:
“Ecco il Verbo! Il Verbo è lo splendore del Padre”».
nu 221
alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 5
“Tutti uno”
118 nu 221
igino giordani
1946
All’Immacolata, Regina delle vergini
120 nu 221
igino giordani
sì, padre…
Un altro tema era questo: dovendo essere ciascuna Gesù nel mondo,
bisognava che tutte avessero coscienza della paternità di Dio per ciascuna e
vivere in conseguenza. Come di Gesù è detto che per lui furono fatte tutte le
cose, del pari esse dovevano vedere le cose d’attorno come fatte dal Padre
per ciascuna di loro e vivere in modo che Dio trovasse in esse le sue compia-
cenze come le aveva trovate Gesù.
Una lettera natalizia spiegò a tutte l’intento.
Natale 1946
L’unità o la morte
122 nu 221
igino giordani
124 nu 221
igino giordani
la tennero per mesi, sino a che, dimenticata dai più, poté tornarsene a Roma.
E ivi la ritrovarono in casa Alvino. In questa casa il marito di Elena, detta da
loro “Frate Iacopa”5, ascoltò e accolse con entusiasmo la parola dell’idea-
le. Se ne innamorò talmente che mise a disposizione delle focolarine la sua
casa, a Roma, ogni qualvolta venissero; e si presentava scherzando: «Luigi
Alvino, primo e unico consigliere del Movimento».
Si ricorda un raduno, il 30 aprile, festa di santa Caterina, alla Villa S. Igna-
zio a Trento, dove convennero 500 donne, giovani e anziane: a loro parlò
Chiara di santa Caterina e dell’amore a Gesù. Il raduno restò così impresso
negli spiriti che dopo anni lo ricordano ancora.
Quell’anno entrò nella comunità verginale un’altra “stella” di prima gran-
dezza, come si dirà più tardi scherzando: Marilen (simbiosi trentina dei
nomi Maria ed Elena). Essa era la sorella più anziana di otto fratellini. Si era
da sé consacrata a Dio, a conclusione di tre giorni di esercizi spirituali, fatti
più di barzellette che di meditazioni. Ma Marilen, formata in una famiglia
fondamentalmente cristiana (dove la madre diceva di preferire la morte dei
figli a un loro peccato mortale) e contemplando il crocefisso, consapevole
della responsabilità sua, aveva deciso di far voto di verginità. E si era donata
alle opere cattoliche. Non era però sazia: la sua anima restava vuota; cer-
cava di agganciarla a qualche interesse: sport, montagna, corsi di lavoro,
campeggi… era disperata come se si fosse consacrata a Dio inutilmente.
Nel 1947 incontrò Chiara che parlava a tre o quattro focolarine; Chiara
la scorse e la salutò come se la conoscesse. Parlò della misericordia di Dio.
«Essa è infinita; è bene piangere sui peccati, [ma è] meglio rimetterli alla
misericordia di Dio e lanciarsi ad amare il prossimo: non è bene che, per
pensare al peccato, uno trascuri un fratello che piange. Bene chiedere scusa
all’oste per un bicchiere rotto, [ma è] meglio recarsi a comperare un servizio
nuovo e donarglielo. Questa mano è piena d’inchiostro: Gesù la netta e la
rifà più bella…».
Commossa per quella limpidezza di idee e quella trasparenza di anima,
Marilen si associò di cuore alla preghiera delle pope e intuì in Chiara la sua
maestra. Una maestra vestita con un cappottino di stoffa autarchica e un
berrettino color marrone bruciato… Ripensando a quell’incontro, dopo 20
anni, Marilen ancora la rivedeva in quella sua povertà, pur così elegante-
mente atteggiata.
Il giorno appresso, domenica, essa fece in cattedrale la confessione ge-
nerale e iniziò una vita nuova.
Qualche giorno dopo andò a trovare Chiara a piazza Cappuccini. Chia-
ra smise di scrivere a macchina e parlò con lei: a un certo punto qualcuno
bussò alla porta. Era un mendicante. Chiara lo fece entrare e poi rovistò nei
cassetti: non c’era niente. Trovò solo un pane e un arancio: e allora li prese e
ne fece un pacchetto con carta di cellophane e lo consegnò con tanto amore
e cura, quasi dovesse porgerlo a un personaggio di riguardo: lo dava difatti
al Signore.
Il gesto colpì Marilen che faceva parte di una conferenza di S. Vincenzo; capì
che dare viveri non basta, bisogna saperli dare.
Similmente si comportava Chiara con Marilen; la amava, la curava, la sti-
mava… tanto che Marilen si preoccupò, nei suoi complessi, quasi che Chiara
si fosse fatta di lei un concetto assolutamente superiore ai suoi meriti. E
glielo disse: «Chiara, io non sono quel che tu credi: tu ti fidi troppo di me».
«Non di te mi fido, ma di Gesù in te».
Quella risposta rivelatrice liberò Marilen dai suoi complessi e la rese to-
talmente – e docilmente – disponibile a tutte le istanze del nuovo ideale.
L’estate 1949, un giorno Chiara scese da Tonadico a Trento: quella mat-
tina era avvenuta quella che noi chiamiamo “entrata in Paradiso”. Era il 16
luglio, festa della Madonna del Carmine. La sera si recò in casa di Marilen
e la condusse con sé, in focolare. Nell’uscir di chiesa le disse: «Ricordati,
Marilen, di non venire a cercar la gioia in focolare: vieni a cercare Gesù Ab-
bandonato». E, indicando un’immagine di lui, aggiunse: «Non io sono venuta
a portarti via, ma lui, Gesù Abbandonato».
Benché Marilen avesse capito, in quel momento sentiva solo la gioia che
provava. Giunta in focolare, Marilen dormì su un tappeto rozzo, sopra il pa-
vimento, con un cuscino duro di un divano: ma era felice.
Il giorno seguente risalirono a Fiera di Primiero.
Nell’entrare in focolare, Chiara le disse: «Questo è il giorno delle tue noz-
ze. In questo giorno lo Sposo dona quel che la sposa gli chiede. Domanda a
Gesù quanto ti è più caro».
126 nu 221
igino giordani
chiara a roma
1947
Appello per la crociata della carità
AMORE E UNITÀ
State unitissime alle sorelle di Trento, ché vi manderemo precise
istruzioni ogni tre giorni.
Qui a Trento, con lunedì 27 c.m. inizieremo istruzioni.
Voi le riceverete e immediatamente le attuerete.
State poi attentissime alla volontà di Dio.
Se essa vi vorrà: Crociate combattenti in prima linea per quell’Idea-
le, che ormai travolgerà il mondo, state prontissime.
Vi darò precise istruzioni perché ormai in ogni città, in ogni pae-
se nasceranno centri di questo immenso movimento di cuori verso
l’Amore.
Per intanto alla Comunione del mattino, fate innalzare da Gesù
all’Eterno Padre la SUA preghiera.
Certo io penso che su questo importantissimo avvenimento ebbe
peso non piccolo questa costante preghiera che Gesù dice nel no-
stro cuore: la preghiera dell’Unità.
Gesù ottiene tutto dall’Eterno Padre.
Offrite poi la vostra vita: «Ut omnes unum sint», «Affinché tutti sia-
no UNO»! Vi attendo tutte schierate in prima linea sul campo della
battaglia dell’Amore.
E giacché per l’Amore avete sempre obbedito, cominciate ora a ri-
vestirvi della divisa della Crociata: la gioia perenne sul volto.
Gridiamo: O l’unità o la morte.
l’unità
128 nu 221
igino giordani
Parola di vita
9.9.’47
Crociato,
la tua missione sulla terra è far conoscere Cristo in te e nei tuoi
fratelli, perché tutti siano uno e il testamento di Gesù abbia il suo
compimento.
Impregna dunque il tuo spirito della Giustizia di Cristo.
Si dice che la giustizia significhi: dare a ciascuno il suo.
Tutto è di Dio.
Da’ tutto a Dio e sarai giusto.
Da’ tutto il tuo essere: cuore, mente, volontà, forze fisiche, beni; ciò
che sei e ciò che hai al servizio di Dio, della Sua divina volontà su di
te. È giustizia.
Prima di tutto il cuore. Perché Dio è amore e vuole amore.
Là dove è il cuore è tutto il nostro essere.
Gesù parlò chiaro a proposito degli Scribi e dei Farisei, che osserva-
vano esternamente i dettami della Legge ed avevano il cuore pieno
di rapina e di iniquità: «Ma guai a voi, o farisei, che pagate le decime
della menta, della ruta e di ogni specie di legumi e non fate caso
del giudizio e dell’amor di Dio. Queste son le cose che bisogna fare
senza tralasciare le altre» (Lc 11, 42).
Dio è carità.
E Dio giudicherà prima e soprattutto l’interno, l’intimo del nostro
cuore.
Tutto ci è stato donato per amore: tutto deve tornare a Dio per amore.
Questa è la giustizia. «Il giusto vive di fede» ed una sola è la nostra
fede dacché Cristo ci ha portato la buona novella:
Credo in Dio che è amore,
che mi ha creato per amore,
che mi vuol salvo per amore,
che esige amore per darci se stesso che è Amore
Per questa crociata dunque Chiara venne anche a Roma, per incontrarsi
col padre Veuthey nel suo convento di S. Teodoro. Da lui conobbe appunto
altri sacerdoti, tra i quali padre Massimei.
130 nu 221
igino giordani
1
Qui si riporta la versione della lettera così come Giordani la trascrisse in que-
ste pagine. La medesima lettera appare oggi, in una versione curata ed emendata, in
C. Lubich – I. Giordani, “Erano i tempi di guerra…”. Agli albori dell’ideale dell’unità, Città
Nuova, Roma 2007, pp. 99-101.
2
Qui si riporta la versione della lettera così come Giordani la trascrisse in que-
ste pagine. La medesima lettera appare oggi, in una versione curata ed emendata,
in C. Lubich, Lettere dei primi tempi, alle origini di una nuova spiritualità, Città Nuova,
Roma 2010, pp. 120-122.
3
Qui si riporta la versione della lettera così come Giordani la trascrisse in que-
ste pagine. La medesima lettera appare oggi, in una versione curata ed emendata,
in ibid., pp. 123-125.
4
Padre Clovis Leone Veuthey (1896-1974) svizzero, francescano conventuale,
autore di opere di filosofia, teologia e mistica, insegnò in vari istituti teologici e ri-
coprì cariche importanti nel suo Ordine. Nel 1945 fondò ad Assisi la “Crociata della
carità”. Ne è iniziato il processo di beatificazione; attualmente è servo di Dio.
Cf.
Lucia Abignente, L’unità: un comune sentire nello spirito, in «Miscellanea france-
scana» 114 (2014) pp. 466-501.
5
Elena Alvino venne chiamata da Chiara e dalle sue compagne “frate Jacopa”
per il suo materno servizio e per la sua disponibilità verso tutti, richiamando alla
memoria la figura di frate Jacopa che fu accanto a san Francesco.
6
Papa Eugenio Pacelli, Pio XII.
7
Qui si riporta la versione della lettera così come Giordani la trascrisse in que-
ste pagine. La medesima lettera appare oggi, in una versione curata ed emendata, in
C. Lubich - I. Giordani, “Erano i tempi di guerra…”. Agli albori dell’ideale dell’unità, cit.,
pp. 130-132.
isbn
9788831159005
pagine
224
prezzo
euro 18,00
nu 221
in biblioteca
Il libro dell’incontro
G. Bertagna - A. Ceretti - C. Mazzucato (edd.), Il libro dell’incontro. Vittime e
responsabili della lotta armata a confronto,
Il Saggiatore, Milano 2015, 455 pp., 22,00 €.
134 nu 221
Il libro dell’incontro
Non tutti hanno aderito, non tutti sono riusciti a entrare in questo per-
corso: i fallimenti ci sono stati e le fatiche sono state gravose. Per altri invece
è stato intraprendere «un percorso umano […] dove agire riparazione».
Il dialogo con le proprie vittime non è mai aver chiuso i conti, ma richiede
un’uscita da sé, in un divenire. Il dialogo chiede necessariamente un’uscita
da sé e apre ad una maggior comprensione delle proprie ma anche delle
altrui responsabilità. La sinistra di allora forse avrebbe dovuto sostenere con
un confronto aperto quella che allora si chiamava democrazia progressiva.
Da quella incomunicabilità all’interno della stessa sinistra nasce un fat-
to storico che nel Libro dell’incontro ha una sua tappa importante. L’ascolto
dell’altro ha un presupposto imprescindibile «sempre, prima di entrare, non
dimenticare mai di toglierti i sandali e lasciarli fuori. Sei in quella terra Santa
che è la vita dell’altro».
Il testo si arricchisce inoltre di approfondimenti scientifici e metodologici
interessantissimi. Lo sguardo inevitabilmente va all’esperienza del Sudafri-
ca post-apartheid, esempio ispiratore per coloro che desiderano mettersi
nel solco della “giustizia riparativa” e, perché no, sognare anche in Italia la
costituzione di una Commissione per la verità e la riconciliazione, capace di
coinvolgere il Parlamento e le istituzioni, proprio perché – come conferma il
professore universitario e criminologo Adolfo Ceretti – il percorso fatto «si è
trattato di vita vera e non di un ambizioso e artificioso esperimento in vitro»,
dove la parola riconciliazione, fatta propria dalla Commissione per la verità
e la riconciliazione di tutto il Sudafrica, ha ottenuto un posto privilegiato
nel tragitto italiano. Percorso quasi antitetico a quello adottato attualmente
nel nostro sistema penale – come spiega la dott.ssa Claudia Mazzucato –,
ove per ottenere giustizia occorre esigere che nuova sofferenza venga inflit-
ta all’autore dell’illecito (pena o sanzione). In realtà nel “gruppo” è emerso
evidente che l’aver gli uni scontato la pena, ha lasciato comunque nelle vit-
time resti di insoddisfazione, domande aperte, quesiti brucianti, ferite vive.
E nemmeno l’aver “scontato” la pena restituisce un equilibrio, i conti pur-
troppo rimangono aperti nel momento in cui si può essere «ex terroristi, ex
militanti, ex detenuti ma non si può mai diventare purtroppo ex assassini».
Molte le interessanti problematiche argomentate in modo rigoroso dalla co-
autrice, che da sole potrebbero suscitare un dibattito e riflessioni sul senso
e sulla funzione della pena nel nostro sistema, forte della consapevolezza
che la scelta non violenta del nostro sistema è espressa nel nostro ordina-
mento dall’articolo 27 comma 3 della costituzione del 1947: la pena non può
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla
rieducazione del condannato. E per una tragica confusione tra “persona” e
funzione svolta dalla stessa all’interno delle istituzioni, proprio Aldo Moro
fu assassinato, proprio lui a cui si deve il riconoscimento dell’importanza
primaria della rieducazione nella formulazione della disposizione costituzio-
nale, così da vincolare anche in futuro il legislatore verso concrete possibilità
di rieducazione del reo.
Un libro inedito che ci avvicina a esperienze ricche di significato, che
fanno riflettere e potrebbero aprire nuovi orizzonti in discipline comples-
se, come il diritto penale e l’esecuzione penale. Una di queste esperienze
è quella di Agnese Moro, della quale si legge: «Mi sembra che ci sia più
giustizia qui, in questo dialogo. Non penso che mio padre abbia avuto giu-
stizia con la condanna dei colpevoli. Sono convinta che mio padre avrebbe
preferito vedere voi riprendere il cammino. Nel mio caso il diritto penale non
può nulla. Non sento che sia stata sanata una ferita».
136 nu 221
Paolo VI e Chiara Lubich
138 nu 221
english summary
ed to celebrate together the important course on the home,” but also “in the
concerns of the Protestant Reformation home” and “of the home”. “Home” here
as part of a shared heritage. This anni- is to be understood as dwelling place
versary is an invitation to conversion, but also as the environment in which we
acknowledgement of shared blame, but find ourselves living as journalists: the
also the opportunity to be inspired by editorial offices, the street, the parlia-
the perspective of unity to give a com- ment, wherever news is created by facts
mon witness to the gospel life. on the ground.
140 nu 221
english summary
which reconciles the individual and motto of one of the letters, quoted
social context. The rise of collabora- Giordani, that she wrote during those
tive Commons, through the internet of years.
things is bringing about a new economic
paradigm. Reflection on our time calls
for a new attention to the redistribution in biblioteca
of goods and the innovating State. p. 133
142 nu 221
dallo scaffale di città nuova
La distruzione creatrice
come affrontare le crisi nelle
Organizzazioni a Movente Ideale
Luigino Bruni
Leggendo un carisma
Chiara Lubich e la cultura
di Giuseppe Maria Zanghí
nu 221